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14.

1 GLI STATI ITALIANI DOPO IL 48 - UNA SECONDA “RESTAURAZIONE”


Gli anni dopo la prima guerra d’Indipendenza, videro l’Italia divisa nuovamente in moltissimi Stati
che portò ad una nuova idea restauratrice che cancellò le varie riforme in atto ed impose regimi
assolutistici.

- Nel lombardo – veneto, gli Austriaci mantennero lo stato di assedio, con Radetzky, sino al
1854. Questa repressione colpì inanzitutto i repubblicani mazziniani. Si aggiunse poi un
rigido sistema fiscale imposto da Vienna che portò ad una crisi economica. Dopo questo
anche i più moderati che proponevano accordi con l’Austria, capirono che non sarebbe
stato più possibile.

- Nei Ducati di Modena e Parma, retti da sovrani filoaustriaci, ci fu una stretta autoritaria,
che produsse un malessere diffuso

- La stessa politica reazionario venne fatta da Leopoldo II in Toscana, il quale


vietò ogni riforma del passato,
i ministeri vennero affidati a uomini di fiducia
fino alla meta degli anni 50 mantenne la presenza delle truppe austriache in Toscana.

- Pio IX, torna a Roma, cancella qualsiasi cosa che rimandi alla rivoluzione, venne nominato
il cardinale Antonelli che sarebbe stato il consigliere del papa, lui perseguitò gli avversari
politici con arresti e portò gli ecclesiastici a capo di tutti gli organismi pubblici, in
particolare i gesuiti.

- Nel regno delle due Sicilie, la repressione fu molto pesante. Ferdinando II:
tolto la costituzione,
istituì un severo sistema di polizia
vennero fatti numerosi arresti arbitrari contro chiunque era sospetto di un’attività di
anti-governo.

Tuttavia l’agricoltura prevaleva:


- ebbe numerosi progressi (in Piemonte e in Pianura Padana),
- era cresciuta una borghesia agraria che investivano in nuovi procedimenti agricoli e
introducevano nuovi sistemi di produzione capitalistici con l’aiuto del lavoro salariato e
contratti d’affitto delle terre.
- In Toscana era molto diffusa la mezzadria, che prevedeva la spartizione degli oneri tra un
mezzadro e il proprietario,
- Nelle regioni meridionali dominava il latifondo dove vastissime proprietà erano nelle mani
di pochi proprietari basato su una cultura estensiva dei cereali.

Lo sviluppo industriale fu diversificato, le zone in cui erano presenti sistemi agricoli


avanzati, videro anche un forte sviluppo di un nuovo sistema industriale (es. la Lombardia):
- Il settore più sviluppato era quello tessile, in particolare serico, che grazie alla presenza di
grandi opifici era aumentata la produzione della seta.
- Si stava sviluppando anche l’industria metallurgico-meccanica.
- A Genova si diffuse l’industria siderurgica e cantieristica.
- La lentezza dello sviluppo industriale in Italia era dovuto agli scarsi investimenti nella rete
dei trasporti, in particolar modo nel settore ferroviario.

Per quanto riguarda la popolazione aumentò da 18 a 25 milioni di abitanti, l’aumento


riguardò soprattutto la campagna della Lombardia, Pianura Padana e Toscana. La vita in
alcune zone della penisola risultò migliore grazie ai progressi dell’igiene pubblica con la
costruzione di nuovi acquedotti, reti fognarie con diminuzione delle epidemie.

CAVOUR E IL PROGRAMA LIBERALE MODERATO


L’unico Stato della penisola che non tolse numerosi provvedimenti e mantenne lo statuto
Albertino fu il Piemonte di Vittorio Emanuele II, questa scelta di ospitare molti rifugiati politici
provenienti dagli altri stati italiani portarono alla diffusione di un’immagine di un regno come
promotore di aspirazioni all’unità della nazione italiana.
Gli ambienti piemontesi guidati da un processo di indipendenza e di unificazione nazionale
volevano togliere il paese dalla dominazione austriaca.

Una svolta importante nella politica del regno sabaudo avvenne nel 1850 quando al governo ci fu
d’Azeglio che dovette affrontare i rapporti tra Stato e Chiesa. La camera aveva approvato due
provvedimenti che riducevano i privilegi ecclesiastici chiamati leggi Siccardi. Queste riforme
abolirono il foro ecclesiastico e diritto d’asilo nei luoghi sacri. Le leggi Siccardi suscitarono
discussioni che misero in imbarazzo il cattolicismo del re Vittorio Emanuele II. Tuttavia grazie a dei
parlamentari moderati guidati da Camillo Benso conte di Cavour il testo passo così in Senato.

Queste leggi Siccardi portarono una svolta nella politica piemontese, venne infatti consolidato
un nuovo gruppo parlamentare liberale-moderato dove Cavour ne fu leader.
Per Cavour esisteva una connessione tra le libertà economiche e le libertà politiche infatti graduali
riforme potevano portare sia ad uno sviluppo economico ma anche a rinnovamento di un regime
monarchico costituzionale.
Cavour al potere:

- il conte era contrario al suffragio universale, e proponeva un sistema basato sul censo che
dava più importanza ai ceti medi-alti della popolazione.

- alle forze liberali Cavour dava il compito di essere mediatrici tra gli interessi della società

- Cavour escludeva così ogni prospettiva rivoluzionaria e tra i suoi obiettivi immediati non
c’era la realizzazione di uno Stato nazionale, lui piuttosto auspicava ad un regno dell’alta
Italia che potesse riunire le regioni settentrionali sotto i Savoia

- soltanto in un secondo momento avrebbe pensato all’unificazione nazionale.

Il programma di Cavour consisteva in:


- un sistema politico centralizzato ed efficiente nelle mani di ceti alto borghesi.

Nel 1850 Cavour fu nominato ministro dell’Agricoltura e del commercio dal presidente d’Azeglio
divenne poi attribuita la carica di ministro delle finanze, qui fece numerosi trattati commerciali
che erano ispirati ad un libero scambio tra Austria Belgio Francia e Gran Bretagna in modo da
rafforzare la posizione del Piemonte.
Internamente fece dei provvedimenti per razionalizzare l’organizzazione dell’amministrazione
pubblica, la contabilità dello Stato.

In materia fiscale fece una politica tributaria molto severa finalizzato soprattutto nelle rendite
che non producevano.
Il Piemonte avviò così un processo di modernizzazione e crescita economica.

Il conte riuscì ad ottenere le simpatie di numerosi esponenti di sinistra, come Rattazzi, prese così
forma la manovra parlamentare definita “CONNUBIO” (Febbraio 1852) grazie all’avvicinamento
dei blocchi di destra e sinistra in Parlamento, il che portò ad un’ampia maggioranza che consentì
l’avvio di una politica riformatrice.

Il primo risultato fu nel maggio 1852 con l’elezione di Rattazzi come presidente della camera dei
deputati.
L’accordo che nasce tra Cavour e Rattazzi mise in difficoltà d’Azeglio, lontano dalle idee riformiste
che stavano prevalendo.

Successivamente una legge consentiva il matrimonio civile.

Il sovrano vedendo il crescente consenso pubblico e parlamentare progressista decide di


assegnare un nuovo governo a Cavour, l’ascesa di Cavour al governo che avvenne nel novembre
1852 portò l’avvio di una fase di sviluppo politico ed economico per il regno.
Cavour vide così confermati l’appoggio sia dell’opinione pubblica e anche della maggioranza,
tuttavia anche se scoppiò nel 1855 una crisi, essa venne superata e la leadership di Cavour ne uscì
rafforzata.

Per quanto riguarda la politica estera Cavour voleva dare più importanza al regno di fronte alla
diplomazia europea in modo da creare legami con Gran Bretagna e Francia. Lui voleva ottenere
questo appoggio in vista di una creazione del regno dell’alta Italia che avrebbe potuto ampliare
lo scontro contro l’Austria.

Le ambizioni piemontesi di battere gli Austriaci emersero qualche tempo dopo con la guerra di
Crimea (1854-1856). Cavour decise così di aderire all’alleanza franco inglese e il 19 maggio 1855
un corpo di spedizione comandato dal generale la Marmora arrivo in Crimea, l’esercito venne
decimato a causa dell’epidemia di colera ma il 16 agosto 1855 l’esercito piemontese aveva dato un
importante contributo al successo della battaglia della Cernaia e con la conquista della piazza forte
in mano degli alleati, la guerra si concluse.

Nel 1856 Il Piemonte partecipò al congresso di Parigi in condizioni di parità con le altre potenze,
Cavour ottenne l’apertura di una riunione in cui denunciò l’invadente presenza austriaca sul suolo
italiano che ha causato numeroso malcontento e numerose minacce alla pace, presentandola
come se fosse un rischio per l’equilibrio europeo. La questione italiana era stata posta
all’attenzione delle altre nazioni europee.

MOVIMENTO DEMOCRATICO E LA NASCITA DELLA SOCIETà NAZIONALE


Nel dibattito pubblico italiano molto attivo era anche il movimento democratico che era ispirato
alle riflessioni di Giuseppe Mazzini. Questa corrente trae vantaggio grazie al fallimento delle
ipotesi neoguelfa e confederali che avevano ricevuto tanto successo tra i moderati.
Durante l’esilio in Svizzera Mazzini cercò di acquisire dei consensi e degli appoggi alla sua causa
anche all’estero e nel luglio 1850 fondò il comitato centrale democratico europeo.
Successivamente al comitato europeo, era nato in Italia un comitato nazionale che raccoglieva i
diversi gruppi mazziniani. Inoltre sorsero anche società di mutuo soccorso che avevano l’obiettivo
di aiutare i lavoratori disoccupati e le loro famiglie tramite dei sussidi ad una cassa comune. Dagli
anni 50 la strategia di Mazzini era quella di preparare una rivolta su scala nazionale anche se tutti
questi tentativi risultarono fallimentari.

Nel 1853 i mazziniani e altri democratici diedero vita al partito d’azione che aveva il compito di
coordinare tutte quelle energie verso l’obiettivo di un’unificazione sotto una Repubblica. Tuttavia
tutti questi nuovi moti ebbero esito fallimentare per esempio ricordiamo nel 1857 quello a
Livorno e a Genova.
A causa di questi esiti negativi il movimento mazziniano ebbe una profonda crisi.

Ripresero così con più forza le proposte federali e socialiste di Ferrari e di Cattaneo.
Difatti Ferrari aveva concentrato la sua attenzione sulla questione sociale e voleva una legge
agraria che avrebbe dovuto modificare gli assetti delle campagne.

Anche il governo piemontese, sotto il potere di Cavour, venne a conoscenza della questione
nazionale. Nel 1856 dopo il successo diplomatico avvenuto a Parigi iniziò ad agire la società
nazionale italiana (1857) che aveva come obiettivo la formazione di un’unità politica della
penisola sotto l’appoggio e la protezione della monarchia sabauda. Oltre a lavorare liberamente
in Piemonte questa società era presente clandestinamente anche negli altri Stati italiani. In
questa società ricordiamo l’adesione di Giuseppe Garibaldi.

14.2 VERSO L’UNITà D’ITALIA–LA SECONDA GUERRA D’INDIPENDENZA (24 Aprile – 11 Luglio
1859)
Intorno alla seconda metà degli anni 50, dopo il congresso di Parigi, Cavour temeva che la sua
strategia politica potesse vanificare a causa della decisione dell’Austria di addolcire la propria
politica in Italia. Intanto Radetzky venne sostituito al governo dall’arciduca Massimiliano che
ebbe atteggiamenti meno rigidi.

Nel 1857 il governo viennese aveva lanciato questa polemica contro il Piemonte accusandolo di
permettere una stampa antiaustriaca. Cavour rispose ribadendo il disappunto nei confronti degli
austriaci negli affari italiani e a marzo avvenne definitivamente la rottura delle relazioni
diplomatiche tra Italia e Austria.

Nel 1858 Cavour ebbe una nuova occasione per annunciare a tutta Europa la politica soffocante
dell’Austria in Italia. Infatti nel gennaio di quell’anno Orsini che era un patriota italiano che venne
visto come il responsabile del fallimento dei moti rivoluzionari italiani del 48, venne catturato e
condannato a morte ma prima di morire disse alla diplomazia francese la causa nazionale italiana,
infatti oltre a dichiararsi pentito, confessò di aver agito in quel modo per liberare gli italiani
dall’opprimente presenza dell’Austria.

Questo creò una grande risonanza nell’opinione pubblica europea e Cavour cercò di
avvantaggiarsi. Riuscì a ottenere un incontro segreto con Napoleone III infatti a Plombieres nel
1858 si stabilì che era necessario trovare il modo per respingere l’Austria. Napoleone III e Cavour
quindi prefigurano il futuro assetto della penisola divisa tra:
- un regno dell’alta Italia che comprendeva il lombardo-veneto, i ducati lo Stato della Chiesa
- un regno dell’Italia centrale comprendente la Toscana, l’Umbria, le Marche
- un regno dell’Italia meridionale affidato a Murat.
I quattro regni avrebbero dovuto formare una federazione controllata dal Papa. La Francia in
cambio per aver aiutato la causa italiana, venne deciso che il Piemonte doveva cedere alla
Francia le regioni di Nizza e della Savoia che gli erano state date dal congresso di Vienna.

Tra il 24 e il 26 gennaio venne così siglata un’alleanza franco piemontese che formalizzava la
volontà delle due potenze di difendersi dall’Austria.

Nel frattempo si formarono gruppi di volontari organizzati da Giuseppe Garibaldi chiamati i


cacciatori delle Alpi.
Il governo di Vienna esausto di queste azioni inviò al Piemonte un ultimatum il quale intimava
la fine delle azioni dei cacciatori e il loro scioglimento. Questo fu il pretesto che permise a
Cavour di far scattare l’alleanza difensiva con la Francia e il 24 aprile 1859 iniziò la seconda
guerra di indipendenza.

Gran parte della Lombardia fu sotto il controllo delle truppe franco piemontesi:
- a Magenta i francesi sconfissero gli austriaci e puntarono verso Milano dove entrarono l’8
giugno 1859.
- i garibaldini stavano liberando le zone alpine e si stavano dirigendo verso il Veneto,
- l’esercito alleato ebbe due successi: il primo nei pressi di San marino a opera dei
piemontesi il secondo a Solferino ad opera dei francesi.
- Dalle regioni d’Italia centrale scoppiarono dei moti, una pacifica manifestazione portò il
granduca Leopoldo II ad abbandonare la Toscana.
- anche i sovrani di Parma e di Modena fuggirono e quindi si formarono nuovi governi
provvisori che si costituirono nelle legazioni tutte di stampo filo-piemontese.

Proprio nel momento in cui l’esercito franco piemontese stava per liberare le regioni
settentrionali dalla presenza austriaca passando per il Veneto, il re francese Napoleone III si
incontrò con l’imperatore austriaco Francesco Giuseppe a Villafranca e venne firmato un
armistizio che sospendeva le operazioni militari, 11 luglio. Questo armistizio prevedeva la
cessione della Lombardia alla Francia che avrebbe dovuto cederlo al regno di Sardegna, il
ripristino dei sovrani fuggiti a seguito dell’insurrezione scoppiata in Toscana e ducati centrali e
la formazione di una confederazione tra i diversi Stati della penisola.

Cavour rimase spiazzato dalla decisione del re francese di bloccare le operazioni militari e
allora il conte capì subito le conseguenze di questo atto che avrebbe portato in Italia e allora
nel tentativo di dare un forte segnale alla corte sabauda, due giorni dopo l’armistizio Franco
austriaco Cavour si dimise.

Il nuovo governo fu guidato dal tuo Lamarmora-Rattazzi, che si trovò ad affrontare la delicata
questione dell’Italia centrale, dove fu molto difficile applicare le clausole decise dall’incontro a
Villafranca.

DALLA SPEDIZIONE DEI MILLE (5-6 Maggio 1860) ALLA PROCLAMAZIONE DEL REGNO
In questa situazione, decisiva fu l’iniziativa della diplomazia inglese che era a favore della
formazione di uno Stato dell’Italia alta che comprendesse anche le regioni centrali.
Dopo questo intervento Cavour nel 1860 tornò al governo come presidente del consiglio e
Napoleone III dovette acconsentire al programma cavouriano in quanto era l’unico modo per la
Francia di acquisire Nizza e la Savoia.

Fu così che Cavour poté subito regolare i rapporti con le regioni centrali:
- In ogni Stato vennero fatti dei plebisciti in modo tale che i cittadini potessero esprimere la
propria prospettiva di far parte di un regno sabaudo esteso all’Italia centro-settentrionale.
Le annessioni furono molte e tra l’11 e il 12 marzo 1860 i ducati di Parma Modena e legazioni
pontificie e si unirono a questo nuovo regno dell’Italia centro-settentrionale.

Venne deciso che per la toscana ci fu un regime di transizione guidato da Ricasoli visto come
governatore generale che posticipava il passaggio definitivo della Toscana sotto i Savoia.

Successivamente alle elezioni politiche per il parlamento, svolte il 25 marzo 1860, i risultati
segnarono il successo del partito di Cavour, altri plebisciti consentirono l’annessione di Nizza e
Savoia alla Francia come compenso per l’aiuto di Napoleone III per l’indipendenza italiana.

Nelle regioni meridionali a causa della condotta Illiberale e anticostituzionale del sovrano
borbonico, si creò un’ondata di malcontento generale:
- In Sicilia, Francesco Crispi e altri mazziniani cercarono di creare un moto rivoluzionario.
Crispi cercò di avvicinare alla causa anche Giuseppe Garibaldi che deluso dal governo di
Torino sembrava essere tornato a simpatizzare le posizioni mazziniana.

Venne elaborato un piano che prevedeva una spedizione di volontari in Sicilia e Garibaldi
accettò di assumere il comando.
Sia Vittorio Emanuele, sia Cavour ero informati di questo progetto ma tuttavia mentre il
sovrano anche se negò un aiuto al compiersi di questo progetto, lo incoraggiava
segretamente, mentre il Primo Ministro Cavour temeva una deriva repubblicano-
democratica e allora cercò di controllarne a distanza i preparativi inviando in Sicilia
Giuseppe La farina.

Intanto nel 1860 liguri e veneti e gran parte dei lombardi insieme a Garibaldi si
imbarcarono a est di Genova e dopo una sosta per rifornirsi di armi e munizioni il gruppo
sbarcò l’11 maggio 1860 a Marsala sulla costa orientale della Sicilia. Si ebbe così la
cosiddetta spedizione dei Mille:
I volontari garibaldini ebbero rapidamente la meglio sull’esercito napoletano che
era disorganizzato impreparato, venne stipulato l’editto di Salemi (14 Maggio), dove
Garibaldi proclamò la sua dittatura sull’isola a nome del re Vittorio Emanuele II.
Intanto nei pressi di Calatafimi vennero sconfitte ancora le truppe borboniche,
i garibaldini entrarono a Palermo
puntando poi verso Messina.
Vinsero anche nei pressi di Milazzo
quindi l’intera isola passò sotto il controllo di Garibaldi che il 19 agosto sbarco in
Calabria e risalì la penisola sconfiggendo gli avversari
il 7 settembre entrò trionfando a Napoli.

1) In Sicilia il sostegno del popolo alla spedizione dei mille portò All’abolizione di alcune
misure come la tassa sul macinato,
2) vicino a Bronte i contadini siciliani erano insorti in armi contro i proprietari terrieri e
Garibaldi intervenne duramente affidando la repressione di questo moto a Bixio che fermò
il moto.

Cavour decise di cambiare la sua strategia politica, decise di estendere la presenza


piemontese anche nel meridione:
invase lo Stato della Chiesa,
occuparono le Marche, l’Umbria,
dopo aver sconfitto a Castelfidardo le truppe papali
giunse al confine con il regno delle due Sicilie evitando di passare per il Lazio.
Cavour ordinò poi di marciare verso Napoli verso uno scontro con i democratici e con
Garibaldi.
Questi dopo aver definitivamente sconfitto i borbonici nella battaglia di Volturno il 2
ottobre, Garibaldi decise che non ci sarebbe stato alcun confronto militare infatti venne
trovato un accordo per il passaggio dei territori nelle mani del governo piemontese.
La decisione venne presa il 26 ottobre con l’incontro di Teano, Garibaldi cedette il
controllo sulle terre conquistate al re di Sardegna che riconobbe come il re d’Italia.

Nel frattempo vennero fatti nuovi plebisciti per l’annessione del regno delle due Sicilie e il
7 novembre 1860 il sovrano piemontese fece il suo ingresso a Napoli visto come re del
nuovo Stato unitario.

Nel 1861 vennero fatte le prime elezioni politiche dell’Italia Unita. La legge elettorale
piemontese era a suffragio ristretto ma fu estesa a tutti i territori annessi. Al voto
potevano votare i cittadini maschi che avessero almeno 25 anni di età che sapevano
leggere e scrivere e pagare 40 lire di tasse annue.

Il 17 marzo 1861 venne inaugurato il primo parlamento nazionale che porta alla nascita
definitiva del Regno d’Italia, venne approvata la legge che proclamava Vittorio Emanuele
II re d’Italia per volontà di Dio e per volontà della nazione. Questo successo fu ottenuto
grazie all’abilità politica e diplomatica di Cavour.

14.3 I PRIMI PASSI DELL’ITALIA UNITA – LA DIFFICILE SITUAZIONE ECONOMICA E SOCIALE


Una volta realizzata l’unità d’Italia, la nuova classe dirigente doveva ridurre le differenze politiche,
culturali ed economiche che esistevano tra le regioni della penisola.

Anche la lingua comune per tutta la penisola era da decidere. C’erano alcune porzioni di Italia che
erano fuori dei confini nazionali: il Veneto, la regione del Trentino che erano in mano austriaca,
Roma e il Lazio che erano sotto il pontefice.

Alla data dell’unità d’Italia, il reddito nazionale era appena un quarto di quello della Gran
Bretagna e quindi appare evidente di eliminare questa difficile condizione di arretratezza in modo
che l’Italia possa paragonarsi alle potenze europee.

Inoltre questa nuova nazione aveva numerose debolezze strutturali per esempio la carenza di
materie prime e di fonti energetiche e la scarsità di soldi disponibili.
Erano pessime anche le condizioni di gran parte della popolazione, con tassi di natalità e di
mortalità molto alti, infatti l’andamento demografico era tipico di quei paesi che economicamente
erano arretrati.

Numerose città avevano esclusivamente attività amministrative commerciali e artigianali:


le fabbriche che avevano una certa importanza erano pochissime ed erano concentrate perlopiù al
Nord.

La popolazione attiva che era addetta al lavoro nei campi era circa il 70%.
L’agricoltura era quindi quel settore che contribuiva a dare più della metà del reddito nazionale.
La terra e la coltura erano quindi il centro del sistema economico ma l’esito dei raccolti dipendeva
ancora se nella penisola c’era il sole o la pioggia a causa dell’assenza di moderni procedimenti
tecnici. A causa di rapporti agrari molto arretrati vivevano nelle campagne una quantità elevata di
contadini e braccianti. Le famiglie contadine vivevano in catapecchie e risultavano molto esposte
a gravi malattie, come la colera.

A confermare che l’Italia era una società arretrata era l’altissimo tasso di analfabetismo, circa il
78% della popolazione in particolar modo concentrata lungo il meridione. Infatti negli stati
meridionali non esisteva l’obbligo scolastico e l’istruzione era poco strutturata. Difatti le scuole
che preparavano all’esercizio di specifici mestieri erano pochissime e concentrate soprattutto al
Nord.

La differenza più profonda era quella esistente tra Nord e sud della penisola, il sud non aveva
ancora conosciuto l’industrializzazione che aveva contraddistinto alcune arie del Nord. Questo era
dovuto:
- al fatto della scarsità di combustibili,
- risorse di energia idraulica,
- di materie prime.

Nel meridione c’erano gravi carenze nelle infrastrutture per esempio reti stradali e ferroviarie, e
una scarsità di risorse finanziarie.

Al sud per dominavano i latifondi appartenenti alle famiglie nobiliari che erano poco inclini a
rinnovare i procedimenti di coltivazione.

Tuttavia nelle fertili zone padane erano sorte delle piccole aziende agricole condotte da
proprietari terrieri propensi a ottenere un aumento di livelli di produttività. Estese zone erano
state bonificate e utilizzate per la cultura del riso, del gelso, dei bachi da seta.

I GOVERNI DELLA DESTRA STORICA (1861-1876)


La classe piemontese era quindi sicura di avere tutte le carte in regola per completare l’impresa
nazionale.

Questa convinzione fu affermata grazie all’estensione dello statuto Albertino nel 1848 in tutta
Italia.

Le elezioni del 1861 sancirono la nascita della destra storica ovvero dei liberali moderati eredi di
Cavour. Non era un vero e proprio partito ma è uno schieramento parlamentare con all’interno
figure di spicco come Ricasoli, Sella, Lanza e Spaventa. Gli uomini della destra erano accomunati da
concezioni ideali:
- la nascita dello Stato,
- la fedeltà all’istituzione monarchica,
- la fiducia
- la libertà, in un progresso moderato.
Gli uomini della destra misero mano nella costruzione del nuovo Stato. Il loro primo obiettivo era:
- unificare codici,
- bilanci,
- tasse,
- eserciti,
- ordinamenti amministrativi
- sistemi educativi.
In secondo luogo bisognava avvicinare il paese agli standard che tutte le altre nazioni europee
avevano raggiunto

Alla destra storica si opponeva la sinistra storica ovvero l’unione della sinistra moderata
piemontese con esponenti garibaldini e mazziniani.

Dopo il successo militare riportato dei volontari di Garibaldi e di 1000 volontari, si era diffusa la
convinzione che l’arretratezza del sud fosse una conseguenza del regime dispotico dei Borbone e
che quindi una volta conquistata la libertà, il meridione sarebbe rapidamente diventato una
terra fertile e prosperosa. Questa speranza si interrompe quando si venne a conoscenza delle reali
condizioni del sud.

La formazione di questo nuovo Stato porta:


- un inasprimento del carico fiscale,
- la leva obbligatoria.

Scoppiò quindi una serie di insurrezioni contadine che assunsero tra il 1861 e il 1865 l’aspetto di
una guerra civile. La rivolta guidata da ex militari e ribelli, venne definita BRIGANTAGGIO.
Il governo allora reagì con la forza, nel 1862 il Primo Ministro Rattazzi dopo aver inviato a Napoli
il generale la Marmora, proclamò lo stato d’assedio nelle zone colpite dal brigantaggio e per
spegnere la rivolta manda circa 120.000 soldati e il brigantaggio venne sconfitto nel corso del
1865.

Tuttavia nel 1866 scoppiò un’insurrezione a Palermo. In questo contesto si verificò il fenomeno
della mafia. Il governo non poteva rischiare un altro scontro al sud in quanto poteva mettere in
pericolo le basi di questo nuovo Stato nazionale, così dopo più di sette giorni in cui Palermo rimase
assediata dei rivoltosi, la marina militare intervenne bombardando la città.

Nel 1865 oltre allo statuto Albertino anche la legge elettorale piemontese venne estesa a tutti i
territori annessi. Il governo emanò:
- un codice civile,
- i nuovi codici di procedura della navigazione e del commercio.
- non si arrivò all’approvazione di un unico codice penale.

Per quanto riguarda l’ordinamento amministrativo il dibattito vedeva schieramenti:


- da un lato che sostenevano l’accentramento
- dall’altro ritenevano una maggiore autonomia degli organi periferici.
Finì poi col prevalere la soluzione fortemente centralistica di derivazione napoleonica.

Attraverso la figura del prefetto, rappresentante del potere esecutivo, il governo viene abilitato ad
ampi poteri di controllo sulle amministrazioni locali. Tutte le deliberazioni dei consigli e delle
giunte comunali dovevano essere quindi approvate dal prefetto che era nominato dal Ministro
dell’interno.

I governi della destra avviarono anche una politica di grandi investimenti pubblici:
- a cominciare dalla rete ferroviaria.
- Il mercato interno venne unificato, abolendo così le barriere doganali.
- stabilirsi un rapporto di unione tra Nord e sud.
- L’adozione di dazi di entrata particolarmente negli scambi con l’estero agevolò le
esportazioni agricole, quelle della seta, e del pellame.

venne esteso a tutto il paese la legge sull’istruzione pubblica già in vigore nel 1859 in Sardegna.
Questa stabiliva gratuità e obbligatorietà del primo biennio della scuola elementare che era uguale
per tutti. La legge voleva limitare la presenza del clero nel campo educazione e abbattere
l’analfabetismo per creare così una comunità di cittadini in grado di parlare la stessa lingua.

Lo sforzo finanziario per raggiungere il pareggio del bilancio era indispensabile sia per ottenere
prestiti dalle principali case finanziarie francesi-inglesi, ma anche per consolidare il proprio Stato,
questo comportò che i fondi necessari vennero presi mettendo tasse come quella sul sale e sul
macinato. La tassa sul macinato provoca tensioni nelle campagne. Nel 1861 viene abolita
ovunque poi nel 1868 venne reintrodotta e infine aumentata nel 1870 da Sella. Dopo tanti sacrifici
alla fine del 1875 avviene il pareggio del bilancio dello Stato.

LA TERZA GUERRA D’INDIPENDENZA (Giugno-Ottobre 1866) E IL COMPLETAMENTO


DELL’UNIFICAZIONE
Gli uomini della destra erano convinti dell’esigenza simbolica di fare di Roma la capitale del
nuovo regno.
L’ultimo atto politico di Cavour, prima di morire, era stata la proclamazione di Roma come futura
capitale d’Italia.

Cavour aveva precisato il suo punto di vista, visto come il principio “libera Chiesa in libero Stato”
(1861) questo indicava la prospettiva di una autonomia e indipendenza dei due poteri: quello
spirituale del Papa e quello temporale dello Stato italiano. Ma Pio IX respinse questa idea vista
come un’eresia. Il Papa non voleva rinunciare al proprio potere sullo stato. La dura posizione del
pontefice portò a una rottura tra la Chiesa e il sistema liberale (fine 1864). Quindi passando per
via diplomatica una soluzione era impossibile, l’appoggio del Papa alla Francia impediva al governo
italiano di risolvere questa questione con la forza.

In questo contesto i seguaci di Mazzini e Garibaldi decisero di prendere iniziativa. Nel 1862, 2 mila
volontari guidati da Garibaldi andarono in Sicilia, in Calabria, con l’obiettivo di salire verso Roma
si trattava di una coraggiosa politica azzardata. In un primo momento il re e il presidente del
consiglio Rattazzi non si mossero, ma questa volta Vittorio Emanuele II sconfessò la spedizione
garibaldina e mandò l’esercito per bloccarlo, in uno scontro a fuoco ad Agosto sull’Aspromonte
(Agosto 1862) venne ferito Garibaldi che venne poi arrestato.

Successivamente nel 1864 venne firmato un accordo con Napoleone III dal presidente del
consiglio Minghetti, la cosiddetta convenzione di settembre, dove si ottenne il ritiro delle truppe
francesi dal Lazio in cambio di spostare la capitale da Torino a Firenze. Il trasferimento avvenne
nel 1865.

Intanto nel 1866 si delinearono delle aspirazioni per annettere il Veneto che era ancora in mano
agli austriaci. Alla vigilia della guerra austro-prussiana il governo italiano si era alleato con la
Prussia contro l’Austria in base a un accordo che prevedeva che in caso di vittoria il Veneto
passava all’Italia. Iniziò così la terza guerra di indipendenza,
Le prove militari degli italiani furono deludenti,
- a Custoza il 24 giugno persero contro gli austriaci e anche presso l’isola di Lissa (20 luglio)
persero.
- Tuttavia avvennero numerosi successi riportati dai cacciatori delle Alpi ovvero i volontari
che agirono sotto il comando di Garibaldi.
La guerra si concluse comunque con il successo della Prussia che nell’ottobre 1866 dove si decise
che il Veneto e Mantova furono ceduti all’Italia anche se rimasero fuori dallo Stato nazionale il
Trentino, il Friuli orientale e Trieste.

Nel 1867 fallì un nuovo tentativo di Garibaldi per liberare Roma infatti con i suoi volontari invase il
Lazio sperando che a Roma scoppi un’insurrezione che in realtà non avvenne. Tutto questo
avvenne a Mentana dove i garibaldini furono battuti dall’esercito francese.

Il crollo del Secondo impero francese determinò la scomparsa della convenzione di settembre
rendendola quindi nulla.
Il governo italiano allora con Lanza, decise di utilizzare l’artiglieria e il 20 settembre 1870 venne
fatto un varco nella cinta muraria che circondava la città di Roma la cosiddetta breccia di Porta Pia
e i bersaglieri sconfissero le truppe pontificie.
Il 3 febbraio 1871 venne stabilito il trasferimento della capitale da Firenze a Roma.

Il governo italiano cercò anche di risolvere il conflitto con il Papa impegnandosi a garantire al
Papa, con la legge delle guarentigie (nel maggio 1871), la totale autonomia nello svolgimento del
suo magistero spirituale e la libertà di comunicazione tra il Papa e i rappresentanti dei governi di
tutti gli altri Stati.
Pio IX vede ingiusta questa occupazione italiana perciò il regno d’Italia che era per il 99% cattolico
si trovò ad ottenere una scomunica papale destinata ad avere numerose conseguenze sul rapporto
tra Stato e società.
Nel 1874 con il non expedit, il Papa Pio IX dichiarò non opportuno che i cattolici partecipassero
all’elezione di uno Stato usurpatore. Questo divieto e le ostilità con il Papa avrebbero portato a
una grave incidenza sulla politica dell’Italia liberale.

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