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L’IO E GLI ALTRI: COME POSSO ESSERE CERTO DELL’ESISTENZA DELLE ALTRE MENTI?
I miei organi di senso percepiscono durezza, profumo di fiori e sapore di miele e la mia mente “vede” la cera; quando
il filosofo guarda fuori dalla finestra della sua stanza vede cappotti e soprabiti, ma è convinto che si tratti di essere
umani. Tuttavia, prosegue Cartesio, chi gli assicura che sotto quei vestiti ci siano realmente degli essere umani? Non
potrebbero essere degli automi?
Egli non ha dimostrato l’esistenza degli essere umani ma ha solo dimostrato l’esistenza di una mente, ossia quella di
Cartesio. Il resto potrebbe essere ancora un’illusione.
Questa imposizione è un’altra delle importanti eredità lasciate da Cartesio ai suoi successori, ovverosia la
considerazione che noi conosciamo la mente e le facoltà mentali meglio degli oggetti esterni.
L’unica certezza di Cartesio è l’argomento del cogito. L’evidenza del cogito e di tutte quelle che gli sembrano le idee
più certe (geometria) hanno in comune il fatto di essere chiare e distinte. C’è poi un’altra questione: da dove vengono
le idee? Cartesio individua inizialmente due fonti:
1. Alcune idee, come quella della cera, sembrano provenire dall’esterno del mio corpo, causate dagli oggetti,
quelle che Cartesio chiama idee avventizie.
2. Altri sono chiaramente una mia creazione. Io però esisto necessariamente, mentre per quanto ne sappiamo
finora gli oggetti esterni potrebbero essere un prodotto del genio ingannatore, un sogno o una mia creazione.
Dunque, quello che serve a Cartesio per dimostrare che esiste qualcosa oltre a lui, è un’idea che non abbia creato lui
stesso. Se c’è un’idea, c’è una mente che l’ha pensata; se questa mente non è la mia, ho quindi dimostrato l’esistenza
di un’altra mente. Questa idea è l’idea di Dio.
Il filosofo dimostra che l’inganno è messo in atto sempre a causa di una qualche imperfezione. Ma Dio è onnisciente,
e quindi non può ignorare niente. Quindi Dio non avrebbe motivo di ingannarmi.
Possiamo concludere che tutto ciò che io intuisco con chiarezza e distinzione deve essere vero, perché in caso
contrario Dio mi starebbe ingannando. Queste idee non sono un mio prodotto, ma sono innate e sono direttamente
opera dell’Onnipotente.
Se credo che esista uno spazio pieno di oggetti (= res extensa, che si contrappone alla res cogitans) questo deve
esistere, almeno nella misura in cui ne individuo le proprietà in maniera chiara e distinta.
Cartesio riprende così la distinzione introdotta da Galileo tra qualità primarie e secondarie, per cui tutto ciò che non
può essere chiaramente espresso in termini di numeri è possibile fonte di errore. Delle idee chiare e distinte possiamo
essere totalmente sicuri, perché è Dio che ne garantisce la validità. Ed ecco che dal dubbio siamo giunti alla assoluta e
totale certezza; ed ecco anche il motivo per cui la fisica cartesiana è deduttiva, ovvero non si basa sull’esperienza ma
parte dalle idee innate per trarre conclusioni sulla struttura della materia e del cosmo.
LA TEORIA DELL’ERRORE: SE DIO NON MI INGANNA, PERCHE’ SBAGLIO?La seconda parte del
percorso di Cartesio, quella che risale dal Cogito a Dio e da questi alla certezza della validità del sapere e all’esistenza
degli oggetti è stata massacrata da un gran numero di critiche:
La prima e più comune è che si tratta di un argomento circolare. Perché siamo certi che Dio esiste?
Risposta: grazie alla chiarezza e distinzione del cogito.
E come siamo certi che le idee chiare e distinte sono valide? Risposta: perché Dio esiste.
Cartesio è costretto ad ammettere che il cogito resterebbe valido anche se Dio non esistesse, e che tuttavia
l’esistenza di un Dio che non inganni è necessaria ad assicurare il valore oggettivo della conoscenza.
Altro punto è quella che Dio non possa ingannarci perché è perfetto e del tutto buono. Poniamo il caso di
un padre che racconti a suo figlio che esiste Babbo Natale: non lo fa né per ignoranza né perche teme
qualcosa, ma lo fa perché vuole bene a suo figlio. Dio potrebbe comportarsi alla stessa maniera.
C’è poi un’altra linea di obiezione riguardo all’esperienza mentale.
Se Dio era perfetto e onnipotente, perché aveva creato un essere che si sbagliava tanto spesso, perché evidentemente
era stato fornito di un intelletto e di sensi difettosi? Non era forse un segno della sua propensione a ingannare l’uomo?
Cartesio si interroga su quali siano le responsabilità di Dio negli errori umani. In questo, utilizza Agostino, affermando
che ogni volta che giungo alla verità lo faccio grazie alle idee innate chiare e distinte presenti nella mia mente di cui
sono debitore a Dio.
Quando sbaglio, lo faccio perché nel momento in cui formulo un giudizio non sto usando una sola facoltà, ma due.
L’intelletto è limitato, visto che non possiamo comprendere tutto: al contrario la volontà è infinita, visto che non c’è
limite a ciò che possiamo desiderare.
Dio ci ha creato con il libero arbitrio (= libertà di sostenere le posizione più arbitrarie), e siamo quindi liberi di
scegliere tutto ciò che vogliamo. Dunque ogni mio sbaglio è una mia colpa: l’errore deriva da un’infrazione del
metodo. Cartesio riteneva il metodo frutto di un’illuminazione divina.
La questione dell’esistenza di Dio appariva simile a quella degli assiomi di Euclide. Tutti davano per scontato che
Dio esistesse, così come tutti erano sicuri del fatto che, dati un punto e una retta, esistesse una e una sola retta parallela
alla prima passante per quel punto. Il problema non era quella della verità di affermazione, ma di come questa potesse
essere provata.
Per Cartesio l’anima è solo quella razionale. Questa concezione pone dei problemi:
La meccanicità degli animali
La meccanicità del corpo umano
Il rapporto tra anima e copro nell’essere umano
Cartesio ritiene che gli animali non abbiamo anima, e che siano dei meccanismi; non possono nemmeno provare
dolore: il fatto che un cane guaisca se lo picchio non è altro che una semplice reazione meccanica. Per avere una prova
definitiva del fatto che gli animali sono semplici oggetti, Cartesio fa rilevare che sono assolutamente incapaci di
parlare, anche fra di loro. Il problema non è nemmeno fisico, perché ad esempio i pappagalli sono capaci di articolare
parole, ma non riescono a comprenderle e utilizzarle.