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ESERCITAZIONE DI FILOSOFIA:

Kant – Critica della ragion pratica con un esercizio di etica applicata

1. Con riferimento al testo della Prefazione della Critica della ragion pratica letto e discusso in
classe chiarisci le ragioni in base alle quali Kant sostiene di non poter mantenere un perfetto
parallelismo fra i titoli delle due opere. (Max 1500 caratteri)

Le prime due critiche che Kant elabora si intitolano rispettivamente Critica della ragion pura e Critica
della ragion pratica.

Nella Critica della ragion pura Kant studia e definisce quali sono i limiti della ragione umana per
quanto riguarda l’atto del conoscere. Per fare ciò opera innanzitutto una distinzione fra conoscenza
empirica e conoscenza a priori: ciò gli sarà utile al fine di determinare la legittimità della ragione
nell’esperienza.

Nella Critica della ragion pratica, invece, Kant non si sofferma sulla legittimità o non legittimità della
ragione pratica nell’esperienza: essa è sempre legittimata ad agire nell’esperienza, poiché l’uomo
opera sempre entro i confini di un mondo empirico. L’obiettivo che Kant si propone di raggiungere
in questa seconda critica, è quello di studiare l’eventuale moralità o immoralità dell’agire pratico
dell’uomo nell’esperienza. Dunque non sarebbe di alcuna utilità soffermarsi a ragionare intorno alla
sola ragione pratica pura, perché essa, essendo teorica, è sempre morale (non ci sarebbe quindi
bisogno di indagare sulla sua possibile immoralità).

Per queste ragioni Kant non può mantenere un perfetto parallelismo fra i titoli delle due opere,
denominandoli Critica della ragion pura e Critica della ragion pratica pura.

Egli stesso ne fornisce una spiegazione esauriente nella Prefazione della Critica della ragion pratica.

2. Quello seguente è il testo di una celebre nota di Kant alle prime righe della Prefazione della
Critica della ragion pratica, il cui testo abbiamo letto e commentato. Con riferimento alle
discussioni fatte in classe relativamente alla terza antinomia e sulla base della lettura del
testo della Prefazione, costruisci un breve commento del testo in cui chiarisci il rapporto
stabilito da Kant fra libertà e legge morale.
Affinché non si creda di ravvisare incoerenza nel fatto che qui addito nella libertà la condizione della
legge morale e successivamente nell’opera sostengo che la legge morale è la condizione senza la
quale non possiamo divenire consapevoli della libertà, ricorderò semplicemente che la libertà è
senza dubbio la ratio essendi della legge morale, ma che la legge morale è la ratio cognoscendi della
libertà. Infatti se la legge morale non fosse in primo luogo pensata chiaramente nella nostra ragione,
non ci considereremmo mai autorizzati ad ammettere qualcosa come la libertà (anche se essa non
importa contraddizione). Ma se non ci fosse libertà di sorta, non sarebbe assolutamente possibile
trovare in noi la legge morale.

Nella Terza antinomia della Critica della ragion pura Kant sostiene che deve esistere, oltre alla
causalità in base a leggi della natura, una causalità mediante libertà, dalle quali sia possibile far
derivare tutti i fenomeni del mondo. Se non esistesse la libertà, infatti, non vi sarebbe nemmeno un
inizio primo, e questo renderebbe impossibile l’esistenza di una causa sufficientemente determinata
a priori (e la natura consiste proprio in questo). Sarebbe dunque contraddittorio non ammettere
l’esistenza della libertà di cominciare qualcosa, senza che ciò sia determinato da uno stato
precedente (libertà trascendentale): se non vi fosse nessun inizio, la serie delle cause in base a leggi
di natura rimarrebbe incompleta (e quindi non sarebbe valida).

Nonostante Kant non sia in grado di confutare l’antitesi di questa tesi, nella quale afferma che la
libertà è <<un vuoto pensiero>> poiché un primo inizio presuppone uno stato che non è in alcun
rapporto con lo stato precedente (e ciò che è privo di qualsiasi connessione basata su delle leggi,
non può essere conosciuto), nella sua celebre nota alle prime righe della Prefazione, ammette la
necessità dell’esistenza della libertà. In particolare spiega perché le sue affermazioni riguardo al
rapporto tra libertà e legge morale non peccano di incoerenza.

Premessa: il presupposto di Kant è che la coscienza del dovere morale è <<un fatto della ragione>>
e cioè che è originario e indeducibile. Grazie all’imperativo morale l’uomo diviene consapevole della
propria libertà, che altrimenti gli sarebbe ignota.

Dunque, ciò che Kant intende con le espressioni <<addito nella libertà la condizione della legge
morale e successivamente nell’opera sostengo che la legge morale è la condizione senza la quale
non possiamo divenire consapevoli della libertà>> è che senza la libertà non potrebbe esistere una
legge morale (libertà come ratio essendi della legge morale), poiché se l’uomo non avesse la
possibilità di scegliere tra ciò che è morale e ciò che è immorale, una legge che definisce questa
distinzione non avrebbe ragione di esistere, e, in secondo luogo, sostiene che senza una legge
morale l’uomo non sarebbe consapevole di possedere la libertà (legge morale come ratio
cognoscendi della libertà), poiché non sarebbe chiamato a scegliere tra un’azione morale e una
immorale, e quindi non potrebbe esercitare la propria libertà.

3. ESERCIZIO DI ETICA APPLICATA


A) Costruisci una ipotetica situazione passibile di giudizio morale, ossia una situazione in cui
l’agente si trovi di fronte ad una chiara alternativa fra cui deliberare moralmente.
B) Mostra la soluzione del caso morale ipotizzato sulla base dell’approccio kantiano (attraverso
quali procedure è possibile individuare la scelta moralmente corretta).
C) Prova a risolvere lo stesso caso morale sulla base di un’etica teologica (il bene morale
coincide con il comando divino) e sulla base di un’etica puramente eudemonistica (il bene
morale coincide la felicità).
D) Mostra in che senso le scelte compiute sulla base dell’etica teologica e dell’etica
eudemonistica non sarebbero moralmente accettabili per Kant.

Consideriamo un problema morale di attualità con il quale ci scontriamo quotidianamente: il


problema ambientale.

Prendiamo come esempio Marta, un individuo particolare. Marta deve organizzare una festa, e si
trova davanti a siffatto problema morale: se comprare delle stoviglie di plastica, così da non dover
faticare per lavarle dopo la festa, o se utilizzare delle stoviglie in ceramica, le quali sono riutilizzabili
ma che dovranno essere lavate in seguito.

Nel caso in cui Marta scegliesse di utilizzare le stoviglie di plastica, secondo Kant, compirebbe
un’azione immorale: tale azione gioverebbe a Marta, ma nuocerebbe all’ambiente.

Nel caso contrario, invece, Marta compirebbe un’azione morale, poiché metterebbe il benessere
del pianeta (e quindi il bene comune) davanti ai propri interessi.
La procedura che Kant applica per risolvere questo problema consiste nella rassegna delle
formulazioni che costituiscono la legge morale assoluta:

1) <<agisci soltanto secondo quella massima che, al tempo stesso, puoi volere che divenga una
legge universale>>;
2) <<agisci come se la massima della tua azione dovesse essere elevata dalla tua volontà a legge
universale della natura>>;
3) <<agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre
anche come fine e mai semplicemente come mezzo>>.

Facendo riferimento a tali enunciazioni, Marta, per compiere un’azione morale, dovrebbe scegliere
le stoviglie di ceramica, poiché se tutti utilizzassero quelle di plastica, l’ambiente verrebbe inquinato
eccessivamente, e questo nuocerebbe alla salute e alla sopravvivenza dell’umanità. Dunque, il bene
comune sarebbe il fine di Marta, e non il raggiungimento di interessi personali (fare meno fatica)
tramite il malessere dell’umanità (mezzo).

Se volessimo risolvere lo stesso caso morale sulla base di un’etica teologica, in cui il bene morale
coincide con il comando divino (e non con il bene comune, come per Kant), la soluzione sarebbe
analoga. Prendiamo come esempio Marta come individuo devoto alla religione cristiana.

Anche secondo la concezione cristiana se Marta scegliesse le stoviglie di plastica invece che quelle
di ceramica, e quindi decidesse di non curarsi del benessere dell’ambiente, sarebbe responsabile di
un’azione immorale.

Nel Laudato si’ sulla cura della casa comune di Papa Francesco, viene trattato il tema dell’ambiente.

Il Papa afferma che nella Bibbia l’uomo viene invitato a soggiogare la terra (cfr. Gen 1,28). Questo
invito potrebbe essere interpretato come un permesso allo <<sfruttamento selvaggio della natura
presentando un’immagine dell’essere umano come dominatore e distruttore>>. Questa però non è
l’interpretazione che ne dà la Chiesa: <<oggi dobbiamo rifiutare con forza che dal fatto di essere
creati a immagine di Dio e dal mandato di soggiogare la terra si possa dedurre un dominio assoluto
sulle altre creature>> dichiara il Pontefice. Inoltre ricorda che le Scritture ci invitano a <<coltivare e
custodire>> la terra che ci è stata donata (cfr. Gen 2,15): coltivare significa lavorare un terreno, e
custodire significa proteggere, curare e preservare.
Tutto ciò implica una relazione di reciprocità responsabile tra essere umano e natura. L’uomo può
prendere tutto ciò di cui ha bisogno per sopravvivere dalla natura, ma ha anche il dovere di tutelare
e garantire la continuità della sua fertilità per le generazioni future.

Per queste ragioni il mancato interesse di Marta verso l’ambiente sarebbe considerato immorale
dall’etica teologica presa in considerazione.

Per finire, risolviamo il medesimo problema morale sulla base di un’etica puramente eudemonistica,
secondo la quale il bene morale coincide con la felicità personale (stato di serenità). Facendo
riferimento a questa etica, Marta, per compiere un’azione morale, dovrebbe scegliere di comprare
le stoviglie di plastica per non dover faticare nel lavarle, nonostante questo non porterebbe al bene
comune. (Questo discorso può essere esteso e generalizzato identificando con le stoviglie di plastica
tutti gli agi di cui l’uomo è riuscito ad impossessarsi servendosi del pianeta (il bene comune) come
mezzo, e avendo come fine ultimo la propria felicità).

Queste ultime due soluzioni (elaborate sulla base di un’etica teologica, e sulla base di un’etica
eudemonistica) non sarebbero in alcun modo accettate da Kant.

Nella soluzione teologica Marta compie un’azione condizionata da fattori esterni quali, per esempio,
la paura di essere punita da Dio, dunque per Kant non può essere un’azione morale. Secondo il suo
pensiero, infatti, un’azione è morale solo nel momento in cui è autonoma. Se Marta vuole x e allora
fa y, per Kant, non compie un’azione morale: Marta deve fare y perché deve fare y (imperativo
categorico). In ultima analisi, per compiere un’azione morale, non bisogna avere altri fini oltre a
quello del rispetto della legge morale.

Nella soluzione eudemonistica, invece, il contrasto con l’etica kantiana è ancora più evidente: il
risultato è opposto. Per Kant, infatti, la scelta di Marta di porre la propria felicità davanti al bene
comune porta necessariamente ad un’azione immorale: si serve dell’umanità come di un mezzo per
raggiungere i propri interessi.

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