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INDICE
PARTE PRIMA
La prima rivolu.zione industriale (1750-1850)
1. La rivoluzione industriale
1.1 . Premessa: la storia economica 3
1.2. Le grandi rivoluzioni nella storia dell 'umanità 6
1.3. Il sistema feudale 9
1.4. La società di ancien régime 1O
1.5. La rivoluzione industriale 11
2. Lo sviluppo economico
2.1 . Crescita, sviluppo e progresso 15
2.2. La misurazione de lla crescita 16
2. 3. I modelli di sviluppo 17
2.4. Crisi e cicli economici 20
PARTE SECONDA
La seconda rivoluzione industriale (1850-1950)
FrancoAngeli
Indice III
PARTE TERZA
L 'economia contemporanea (1950-2017)
LA PRIMA RIVOLUZIONE
INDUSTRIALE
(1750-1850)
1.
LA RIVOLUZIONE
INDUSTRIALE
1
Un bene econo,nico è qualsiasi oggetto che abbia le due seguenti caratteristiche: a) deve
essere in grado di soddisfare un bisogno ttmano; b) deve avere un prezzo e quindi un mercato,
sul quale è acqui stato e venduto. Difatti, non sono beni economici, anche se soddisfano biso-
gni, quelli «liberi», cioè che non banno un prezzo (aria, luce del sole), perché sono disponibili
in natura in quantità tale da appagare completamente e in modo permanente i conispondenti
bisogni. Il mercato è il luogo (o anche l'insieme di operatori economici fra loro collegati) nel
quale avvengono le contrattazioni e gli scambi di beni e servizi e si formano i prezzi.
2
I servizi sono in sostanza dei beni inunateriali che servono anch'essi a soddisfare un bi-
sogno. Normalmente essi sono «consumati» nel momento stesso in cui vengono prodotti (per
esempio, un concerto, una visita 1nedica o una lezione).
3
Il capitale è una somma di denaro (capitale finanziario) o un insieme di beni necessari
per la produzione di altri beni o di servizi (capitale produttivo). In genere, quando si parla di
capitale si fa riferimento al capitale produttivo (terra, edifi ci, macchinari, materie p1ime, ecc.).
Chi impiega il capitale finanziario è un capitalista.finanziario e riceve un compenso detto inte-
resse; chi impiega il capitale produttivo è un capitalista ùnprenditore e ricava un profitto.
1. La rivoluzione industriale 5
il modo e le finalità con cui questi temi vengono affrontati sono molto di-
versi. L 'economia politica studia l'attività economica per comprenderne il
funzionamento ed eventualmente tentare di giungere alla formulazio11e di
leggi 4 • Le conoscenze in materia consentono a ll' economista di effettuare le
previsioni e preparare i piani che gli vengono continuamente richiesti da
pubblici amministratori, istituzioni e imprese. La politica economica si oc-
cupa del modo in cui i governi, con la loro azione e per raggiungere fini
prefissati, cercano di modificare la composizione, la distribuzione e il con-
sumo della ricchezza prodotta. La storia economica, da parte sua, studia le
modalità con le quali i problemi della produzione, della distribuzione e del
consumo di beni e servizi sono stati effettivamente risolti in certe epoche e
it1 determinati luoghi.
Per conseguenza, i compiti dell' economista e dello storico economico
sono differenti. Il primo - come sosteneva John Maynard Keynes, il celebre
economista inglese (1883-1946) - <<deve studiare il presente alla luce del
passato per fini che hanno a che fare con il futuro>>. L ' economista è quindi
rivolto verso il futuro, ma l'individuazione delle uniformità che portano alla
determinazione di <<leggi>> può avere luogo quasi soltanto in base alla cono-
scenza dei fatti già avvenuti. Lo storico, invece, è orientato decisamente
verso il passato e perciò non si preoccupa del futuro. Anzi - come afferma
Cipolla - deve evitare la pericolosa tentazione d'insistere su certe apparenti
regolarità con cui sembra si svolgano determinati eventi economici e anco-
ra di più giungere a ipotizzare <<leggi>> ritenute valide per ogni tempo. Meno
che mai deve partire da tes i preconcette e interpretare i fatti per dimostrare
le sue tesi. La ricerca storica richiede un'attenta analisi delle fonti (che tal-
volta possono essere fuorvianti e persino false), una loro corretta valutazio-
ne e infi ne una grande cautela nella loro interpretazione.
Non bisogna dimenticare, mfine, che anche se la storia economica si oc-
cupa delle vicende e dei fatti economici, dietro di essi vi è sempre l'uomo,
vero protagonista della Storia, con i suoi sentimenti, le sue convinzioni, i
suoi pregiudizi e le sue paure. Sono le azioni dell'uomo, razionali o irrazio-
nali che siano, a determinare, alla fin fine, gli eventi economici che influi-
scono sulle sue condizioni materiali di vita.
4
Le leggi econo,niche sono relazioni tra fenomeni economici confermate dal! ' esperienza,
nel senso che dovrebbero ripetersi sempre allo stesso modo, sicché quando si verifica tm certo
fenomeno ci si attende un determinato effetto (per esempio, se il prezzo di un tipo di automo-
bile duninuisce, se ne dovrebbero vendere di più). Siccome gli uomini si comportano in modo
vario e difficilmente prevedibile, spesso gli effetti attesi in base alle cosiddette «leggi econo-
miche» non sono se1npre tmiforrni, ma possono dare risultati anche molto di versi da quelli
previsti. Vi è anche chi ritiene che in econo1nia non vi siano «leggi».
6 La prima rivoluzione industriale (1750-1850)
Da quando l' homo sapiens è apparso sulla Terra, circa duecentomila anni
or sono, vi sono state tre importanti rivoluzioni che hanno segnato il destino
dell'umanità: a) la rivoluzione cognitiva, circa settantamila anni fa; b) la ri-
voluzione agricola, circa dodicimila anni fa; c) la rivoluzione industriale, ini-
ziata circa duecentocinquanta anni fa, verso la metà del Settecento, che fu
preceduta e preparata dalla rivoluzione scientifica dei secoli XVI e XVII. In
questo libro ci occuperemo della rivoluzione industriale, ma è opportuno fa-
re un breve cenno alle a ltre due grandi rivoluzioni e ai modelli economici e
sociali cui esse diedero luogo.
I . La rivoluzione cognitiva. L ' homo sapiens visse per millenni cibando-
si dei frutti selvatici e d.ei prod.otti della caccia e della pesca e imparando a
utilizzare il fuoco per cucinare e rendere maggiormente commestibili e di-
geribili gli alimenti. Inve11tò anche le imbarcazioni, le lampade a olio, gli
archi, le frecce e gli aghi, necessari per cucire le pelli che lo riparavano dal
freddo. Circa settantamila anni fa, egli partì dall'Africa orientale, sua terra
di elezione, e si diffuse a p oco a poco in tutto il mondo, soppiantando le al-
tre specie umane presenti (homo erectus, homo neanderthalensis, ecc.).
Da allora e per altri quarantamila anni, l' homo sapiens realizzò quella
che è stata chiamata rivoli,zione cognitiva, consistente, in sostanza, nella
comparsa del pensiero astratto e nell'uso di simboli per esprimerlo. Il lin-
guaggio elaborato consentì di parlare di intere categorie di cose che l'uomo
non aveva mai visto, toccato o odorato. Egli fu in grado non solo di creare
miti, dèi e religioni, ma soprattutto di condividerli con altri suoi simili. Ciò
consentì a gruppi sempre più grandi di esseri umani di restare uniti e colla-
borare, proprio perché accumunati dalle stesse credenze. Ne derivò un enor-
me vantaggio su tutti gli altri animali, che vivevano solitari o in piccoli
branchi di poche unità.
I giuppi di cacciatori-raccoglitori, composti in genere di qualche decina
di individui (al massimo un centinaio), si spostavano in continuazione alla
ricerca di territori più ricchi di frutti e di animali e impararono ad organiz-
zarsi e a cooperare per cacciare anche g li animali di grossa taglia. Per po-
tersi trasferire altrove essi dovevano possedere conoscenze approfondite sul
mondo che li circondava, poiché dovevano tener conto del mutamento delle
stagioni, d.e lle migrazioni annuali degli animali e dei cicli di crescita delle
piante. Questi gruppi, di solito, andavano avanti e indietro su uno stesso ter-
ritorio che copriva al massimo qualche centinaio di chilometri quadrati. So-
lo in alcuni casi, quando le fonti di sostentamento si rivelavano particolar-
mente ricche, come lungo le rive dei fiu mi e le coste marine, dove vi era di-
1. La rivoluzione industriale 7
plicata in generale alla società e alle istituzioni esistenti prima della Rivolu-
zione nei diversi paesi europei. Nel Settecento, la società europea era anco-
ra divisa in classi, anche se ormai con caratteristiche alquanto diverse da
quelle feudali. Al vertice vi erano la nobiltà e il clero, alla base la massa dei
lavoratori (contadini, artigiani, domestici, ecc.) e in mezzo il ceto borghese,
nato nelle città dalla progressiva dissoluzione del sistema feudale, costituito
da mercanti, banchieri, notai, medici, burocrati e altri.
La nobiltà godeva ancora di un enorme prestigio sociale ed esercitava
un importante ruolo politico. In molti luoghi, i nobili continuavano ad esse-
re esentati dal pagamento di parecchi tributi, amministravano la giustizia
nei confronti degli abitanti delle loro terre, riscuotevano alcuni canoni feu-
dali e spesso continuavano ad esigere prestazioni gratuite di lavoro.
La natura aristocratica della società settecentesca era rafforzata dall' au-
torità e dal prestigio della Chiesa. Infatti, anche se in genere il clero era di
origine contadina o proveniva dai ranghi dell'artigianato urbano, le alte ca-
ricl1e ecclesiastiche erano quasi sempre appa.nnaggio dei membri della no-
biltà. Inoltre, il clero continuava a godere di molti privilegi: era esentato dal
pagamento di numerosi tributi ordinari, riscuoteva le decime per il suo
mantenimento ( di norma rappresentate dal versamento di una quota del rac-
colto) e deteneva il monopolio pressoché completo dell'istruzione.
I contadini costituivano la stragrande maggioranza della popolazione,
ma le loro condizioni variavano da luogo a luogo. I contadini dell' Europa
occidentale (Inghilterra, Francia e Germania) erano ancora assoggettati a
numerosi obblighi feudali, ma la loro situazione era abbastanza buona. A
est del fiume Elba, invece, a mano a mano che ci si spostava verso oriente
(Prussia orientale, Boemia, Polonia, Russia), le loro condizioni tendevano a
peggiorare e i vincoli feudali si facevano sempre più frequenti e oppressivi.
La borghesia si stava consolidando ed assumeva caratteristiche partico-
lari a seconda dei paesi in cui si era sviluppata. Era soprattutto una borghe-
sia mercanti le nelle prospere nazioni commerciali dell'Europa occidentale,
come Olanda e Inghilterra; era composta prevalentemente di pubblici fun-
zionari nei paesi dell'Europa centrale e orientale, specie in P1ussia e 11ei
domini asburgici, ed era principalmente formata da appaltatori delle impo-
ste e da fmanzieri in Francia.
A partire dalla metà del Settecento ebbe inizio quella profonda trasforma-
zione economica e sociale che prende il nome di rivoluzione industriale, un
12 La prima rivoluzione industriale (1750-1850)
1
L'aggregato è una grandezza economica complessa, generalmente espressa in valore,
che si ottiene so1TI1nando grandezze singole. Sono esempi di grandezze aggregate l' insi eme di
tutte le produzioni, dj tutti i constLIDi, di tutti gli investimenti o di tutti i reddjti di un paese.
2
Se dal Pii e dal Pn1 si detraggono gli ammorta1nenti si ottengono, rispetti vamente, il Pro-
dotto interno netto e il Prodotto nazionale netto. Il Reddito nazionale è 1.m altro aggregato che
talvolta viene usato come sinoni1n o del Pii, sebbene fra i due vi sia una leggera differenza.
2. Lo sviluppo economico 17
calcolo del Pii pone diversi problemi, fra cui quello relativo a lla misurazio-
ne del valore dei servizi, i quali vengono considerati sulla base del costo
sostenuto per produrli. Ciò significa che, per esempio, siccome il costo dei
servizi della pubblica amministrazione (istruzione, sanità, difesa, giustizia,
ecc.), è costituito principalmente dalle retribuzioni pagate ai dipendenti
pubblici, se si aumentano tali retribuzioni aumenta anche il Pil, il che desta
quanto meno delle perplessità.
La determinazione del Pil serve non solo per conoscere la sua variazione
fra un anno e l'altro, ma anche per stabilire confronti internazionali e com-
parare i livelli di crescita dei diversi paesi. A questo proposito, però, biso-
gna osservare che il Pil complessivo di un paese è poco significativo se non
lo si rapporta alla popolazione. Dividendo il Pil p er il numero degli abitanti,
si ottiene il Pii pro capite, che p ermette di conoscere il valore dei beni e dei
servizi che ciascun cittadino ha mediamente contribuito a produrre. Solo
così è possibile stabilire confronti fra diversi paesi e scoprire, per esempio,
che il piccolo Lussemburgo (circa seicentomila abitanti), con un Pil comples-
sivo infmitamente inferiore a quello degli Stati Uniti (325 milioni di abitanti),
ha un Pil pro capite che è di oltre tre quarti superiore a quello americano.
Un altro problema che si pone, quando si vogliano effettu.a re confronti
fra le economie di diversi paesi, è quello del valore delle monete nelle quali
è espresso il Pil di ciascuno di essi e del conseguente tasso di cambio da
applicare. Da qualche tempo, si fa sempre più ricorso al metodo della Pari-
tà di potere d 'acquisto (PPA), in inglese Purchasing power parity (PPP),
che consiste nell 'individuazione di una certa quantità (paniere) di beni e
servizi di uso più comune e nella determinazione del loro prezzo nella mo-
neta di ciascun paese. Se, per esempio, un tale paniere vale 1.000 euro in
Europa e 1.300 dollari negli Stati Uniti, vuol dire che 1 eu.r o è equiva lente a
1,30 dollari. Questo metodo, anche se si presta a critiche, è comunque pre-
feribile all' applicazione del tasso di cambio, dato dall' incontro fra doman-
da e offerta di moneta 3 .
Gli storici e gli economisti hanno fatto sp esso ricorso a schemi o model-
li per spiegare lo sviluppo economico, nel tentativo d ' individuare meccani-
3
ll tasso di cambio indica il prezzo di una moneta espresso in un'altra moneta, detenni-
nato in base alla domanda e all'offerta della moneta stessa. Se, per ese1npio, nei paesi che
usano l'euro, il dollaro è molto richiesto, il suo valore in euro aumenta; se, viceversa, vi so-
no molti dollari offerti in vendita, il suo valore in euro diminuisce.
18 La prima rivoluzione industriale (1750-1850)
4
La produttività (da non confondere con la produzione) è il rapporto fra la quantità di
prodotto ottenuto da un'attività (output) e la quantità di uno o più fattori dell a produzione
impiegati (input). Perciò, si parla di produttività del lavoro (in genere, prodotto per addetto),
produttività del capitale (in genere, prodotto per unità di capitale impiegata) e produttività
della terra (in genere, quintali per ettaro). Vi è poi la produttività totale, relativa a tutti i fat-
tori della produzione impiegati .
5
L' accumulazione è il processo mediante il quale, in una società, si destina una parte di
ciò che si produce all'accrescimento della capacità produttiva futura. In genere, la produzio-
ne è utilizzata: a) per ripristinare ciò che si è consumato durante il processo produttivo (se-
menti , attrezzi, ecc.); b) per il consumo (alimentazione, vestiario, ecc.). Non vi è accumula-
zione se la produzione viene totalmente consumata per il ripristino e il consum o. Vi è accu-
mulazione se una parte della produzione viene destinata a produ1Te altri beni (in particolare,
mantenendo le persone che vi lavorano), necessari per accrescere la capacità futura di pro-
duzione (macchine, edifici, strade, ferrovie, ecc.). Ciò è possibi le solo se i beni prodotti su-
perano le es igenze vitali di una popolazione, altrimenti essi devono essere interamente uti-
lizzati per le esigenze di coloro che li hanno prodotti, com'è spesso avvenuto nel mondo pre-
industriale, quando la produzione agricola serviva a mantenere i contaduù e poche altre ca-
tegorie, come artigiani, mercanti, governanti, 1nilitari, clero e proprietari terrie1i.
2. Lo sviluppo economico 19
provvede alla creazione delle infrastrutture più costose 6 . Non mancano, pe-
rò, forti resistenze ai cambiamenti, messe in campo da chi vede in pericolo
la propria posizione e i propri privilegi.
3. La società del decollo o del take off. È lo stadio più importante, per-
ché segna il momento in cui una società, al pari di un aereo che si solleva
dal suolo per librarsi verso l'alto, conosce una forte ed irrevers ibile accele-
razione, riuscendo a superare tutte le resistenze che si frappongono al suo
sviluppo. Il s istema economico subisce profonde trasformazioni, che in
genere si conce11trano in pochi decenni. La produzione e la produttività
crescono sia in agricoltura che negli altri settori, i quali diventano partico-
larmente dinamici e contribuiscono al l'accumulazione di capitale. Le in-
novazioni si fanno più numerose, gli investimenti aumentano e le trasfor-
mazioni investono anche il quadro politico e istituzionale, che deve agevo-
lare lo sfruttamento del le nuove opportunità. Il deco llo r iguarda principal-
mente alcuni settori-guida (leading sectors) che tr ascinano lo sviluppo,
mentre altri non sono coinvolti, generando squilibri economici all' interno
di un paese.
4. La società matura. E' la società che ormai è decollata e vede conti-
nuamente aumentare produttività, innovazioni tecnologiche e investimen-
ti, in un processo di crescita regolare e continua. Le trasformazioni, che
prima avevano interessato principalmente alcuni settori leader, ora si al-
largano ad altri campi, come le industrie delle macchine utensili, dei pro-
dotti chimici e delle attrezzature elettriche. Lo sviluppo, cioè, comincia ad
autoalimentarsi.
5. La società dei consumi di massa. E' questa la società che Rostow os-
servava negli anni Cinquanta del Novecento negli Stati Uniti e che imma-
ginava si sarebbe estesa a mo lti a ltri paesi, come in effetti è avvenuto. In
questo stadio si ass iste a un forte aumento della domanda di beni di consu-
mo durevoli e di servizi, reso possibile dall' incremento del reddito pro ca-
pite. Ormai il processo di accumulazione, che era costato parecchi sacrifici
alle generazioni precedenti e aveva caratterizzato le fasi del decollo e della
maturità, è terminato ed è possibile destinare r isorse al miglioramento della
qualità della vita (istruzione, sanità, attività sportive, ecc.).
La teoria degli stadi di Rostow ha avuto molta fortuna, specie perché ha
ricl1iamato l' attenzione sul take offe ha stimolato parecchi studi sulla fase
del decollo d.e i singoli paesi. Ma ha raccolto anche diverse critiche. È stato
6
Le infrastrutture sono beni materiali non utili zzati direttamente nel processo produtti-
vo, 1n a messi a disposizione di una pluralità di utenti, come strade, linee ferrovia rie, acque-
dotti, fognature e, in seguito, linee elettriche, linee telefoniche e reti informatiche.
20 La prima rivoluzione industriale (1750-1850)
osservato, per esempio, che essa non spiega in modo es auriente il passaggio
da uno stadio ali' altro, non chiarisce come si realizza110 le condizioni del
decollo né come si formano gli imprenditori che lo stimolano, né infme
considera i rapporti fra i diversi paesi e cioè la dimensione internazionale
dello sviluppo.
7
Il capitalismo, nell'accezione marxiana, è il siste1na economico-sociale basato sulla pro-
prietà privata dei mezzi di produzione e sul lavoro salariato, considerato alla stregua di una
qualsiasi 1nerce disponibile sul mercato. L'obiettivo del sistema è la massimizzazione del pro-
fitto e il suo reimpiego per allargare la base produttiva. L'economia e la società capitalistiche
sono ritenute molto più dinamiche delle società precapitalistiche, che non riuscivano a realizza-
re un processo di accumulazione. A1cuni studiosi (Wemer Sombart e Max Weber) hanno indi-
cato come essenza del sistema lo «spirito capitalistico>>, basato sulla libera iniziativa e sul-
1'impresa privata, che persegue la ricerca sistematica del profitto e favorisce l'accumulazione.
8
In economia si distingue fra congiuntttra e stn1ttura. La congiuntura economica è data
dall ' insieme delle condizioni che caratterizzano l'attività economica di un paese o di un set-
tore in un dato periodo. Lo studio della congiuntura si riferisce sempre a periodi molto brevi.
Si prenda, per esempio, la produzione e la vendita di automobil i: si parlerà di congiuntura
favorevole quando produzione e vendite crescono e di congiuntura sfavorevole quando pro-
duzione e vendite di1ninuiscono. La struttura economica, viceversa, è data dall'insieme delle
attività che caratterizzano un sistema economico. L'espressione è anche riferita a singoli set-
tori economici, a singole ilnprese, ai consumi o al commercio internazionale di un paese, per
indicarne l'organizzazione, il modo di funzionamento, la composizione, ecc. Si parla di mu-
tamento strutturale, che richiede tempi lunghi, quando cambia la struttura economica di un
2. Lo sviluppo economico 21
paese o di un settore. Per ese1npio, vi è 1nutamento strutturale quando si passa da t1na società
agricola a una società industriale o si passa dall'uso delle carrozze a quell o delle automobili
o ancora dall 'espo11azione di grano a quella di elettrodomestici.
22 La prima rivoluzione inditstriale (1750-1850)
·- N b
Trend secolare
tempo
1
La domanda di un bene è la quantità di quel bene che i soggetti presenti sul mercato
desiderano acquistare in corrispondenza di un certo prezzo del bene stesso. Ciò significa che
al variare del prezzo varierà anche la quantità richiesta di quel bene. In genere, se il prezzo
di un bene aumenta, la do1nanda di quel bene diminuisce; se viceversa il prezzo diminuisce,
la domanda aumenta.
2
L'offerta di un bene è la quantità di quel bene che coloro che lo producono desiderano
vendere in corrispondenza di un certo prezzo del bene stesso. Il prezzo deve necessariamen-
te essere superiore al costo di produzione, ossia al valore di tutti i mezzi di produzione im-
piegati per produrlo. Quando si ha un aumento generalizzato dei prezzi si parla di inflazione,
fenomeno che può avere diverse cause. In genere, si distingue fra : a) inflazione monetaria,
provocata da un'eccessiva quantità di moneta messa in circolazione, che fa aumentare i
prezzi; b) inflazione da donianda , prodotta da un'eccedenza di domanda di beni e servizi
24 La prima rivoluzione industriale (1750-1850)
rispetto all 'offerta e quindi chi può è disposto a pagare prezzi più elevati pur di ottenere ciò
di cui ha bisogno; c) inflazione da costi, dovuta a un incremento dei costi di produzione di
beni e servizi, che fa aumentare i prezzi di vendita. L' inflazione può essere provocata da
più cause che agiscono contemporaneamente.
3
La capacità di spesa (o di acquisto) è la capacità di una popolazione (o di una persona) di
acquistare beni e servizi, in cambio di moneta che si è procurata con il proprio lavoro, ossia
producendo e cedendo ad altri beni e servizi.
4
Si dice che un bene (o un servizio) è a donianda rigida o anelastica se la sua domanda
varia di poco al variare, anche consistente, del prezzo. Ne sono un esempio i beni di pri1na
necessità, in quanto nessuno mangerà molto più pane se il suo prezzo diminu isce, né ridurrà
di molto il consumo se il prezzo aumenta. Sono a do,nanda elastica quei beni la cui doman-
da varia di molto anche se i prezzi variano di poco. Ne sono un ese1npio i beni voluttuari,
diciamo una marca di orologi, la cui domanda aumenterà molto se il prezzo diminuisce e
diminuirà molto se il prezzo aumenta.
3. Le premesse: la popolazione 25
Tab. 3.1. - Stinia della popolazione europea dal 400 a.C. al 1750, in milioni
5
La natalità e la mortalità sono misurate con i rispettivi tassi o quozienti , riferiti a mille
abitanti. Il quoziente (o tasso) di natalità è dato dal rapporto fra il numero dei nati vivi in un
certo periodo, solitamente un anno, e l'ammontare medio della popolazione considerata. Il
quoziente (o tasso) di ,nortalità è dato dal rapporto fra il numero dei decessi in un certo pe-
riodo, solita1nente un anno, e l'ammontare medio della popolazione considerata.
6
Il quoziente di mortalità infantile è dato dal rapporto fra il numero dei morti nel primo
anno di vita e il numero dei nati vivi.
7
La vita media è data dal numero di a1mi che restano da vivere, in media, ad un indivi-
duo al momento della nascita. Perciò è più propriamente detta sp eranza di vita alla nascita.
Il calcolo si basa sull 'osservazione di una determinata popolazione per t1n certo periodo, che
porta alla co1npilazione di una tavola di mortalità, ossia di tma tabella che segue le modalità
di estinzione (numero di morti all' anno) della popolazione osservata.
3. Le premesse: la popolazione 27
23 27
400 a.e. 1 d.e. 200 700 1300 1400 1600 1700 1750
375
300 + - - - - - - - - - - - - - --+--- - - - - - - - - - - - - - - - - - !
150
100 +---------------------------------1
O -+--- - - - - - ~ - - - - - - ~ - - - - - - ~ - - - - - - - - - - <
400 a.e. I d.C. 200 600 1200 1340 1400 1500
28 La prima rivolitzione industriale (1750-1850)
sussistenza, costituiti quasi esc lusivamente dai prodotti della terra. Il rap-
porto fra popolazione e n1ezzi di sussistenza era sempre difficile e troppo
spesso diventava drammatico. Quando la popolazione cresceva in modo ec-
cessivo rispetto alla capacità di un territorio di assicurare i mezzi di sussi-
stenza necessari, inevitabilmente gli abitanti del luogo dovevano affrontare
periodi anche lunghi di malnutrizione. L 'organismo umano s' indeboliva e
diventava facile preda delle epidemie, che si accompagnavano sovente alle
carestie. Molte volte, l'uomo, per sopravvivere, era costretto a spostarsi in
cerca di nuove terre da dissodare, perché con le tecniche agricole disponibi-
li non era possibile aumentare signif icativamente la produzione di de1Tate
nel territorio dove viveva. L'uomo, cioè, era costretto a inseguire il cibo. Le
epidemie costituivano il modo tragico e doloroso con il quale l'equilibrio
fra popolazione e mezzi di sussistenza era ripristinato. Come Sisifo, con-
dannato per l'eternità dagli dei, a causa delle sue colpe, a spingere un enor-
me masso su p er un pendio, che inevitabilmente, poco prima di giungere
sulla cima, rotolava di nuovo a valle, costringendolo a riprendere la fatica,
anche gli uomini sembravano condannati a compiere enormi sforzi per au-
mentare la loro consistenza numerica, per poi ritornare più o meno al punto
di parte112a.
La diffusione di malattie di ogni tipo, fra le quali particolare gravità as-
sumeva la peste, era favorita, oltre che dalla malnutrizione prolungata, anche
dalle cattive condizioni igieniche, dalle limitate conoscenze mediche e dalle
misere condizioni di vita, di lavoro e di abitazione, in cui versava la grande
maggioranza degli abitanti delle città e delle campagne. Le guerre non erano
una causa particolarmente grave di mortalità, perché non provocavano molte
vittime. Di più lo erano le devastazioni e i saccheggi provocati dal passaggio
delle truppe, che aggravavano le già misere condizioni dei ten·itori attraver-
sati e diffondevano numerose malattie.
Va rilevato, infine, che la popolazione europea del Settecento era so-
stanzialmente analfabeta. In molti casi sapeva leggere ma non riusciva a
scrivere se non il proprio nome. Il basso livello tecnologico, d'altronde, non
richiedeva ai lavoratori particolari conoscenze e le poche semplici macchi-
ne adoperate non necessitavano di uno specifico addestramento per essere
manovrate. Solo alcune persone, per svolgere la loro attività, dovevano sa-
per leggere, scrivere e far di conto. La cultura era appannaggio delle classi
superiori, le quali, per l' istruzione dei propri figli, ricorrevano a precettori.
Anche nel campo dell'istruzione, la situazione non era dappertutto uguale.
In Inghilterra, per esempio, intorno al 1750, la metà della popolazione sa-
peva leggere, mentre cento anni più tardi gli analfabeti in Italia erano anco-
ra più del 70 per cento.
3. Le premesse: la popolazione 29
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Nel secolo compreso fra metà Settecento e metà Ottocento, di cui ci stia-
mo occupando, la popolazione m.ondiale aumentò da poco meno di 800 mi-
lioni a quasi 1,3 miliardi, con un incremento del 60 per cento. La p op ola-
zione europ ea, a sua volta, passò da 140 a 275 milio1ù, arriva11do quasi a
raddoppiarsi. Il paese che conobbe l' incremento più consistente fu la Gran
Bretagna, la cui popolazione cominciò a crescere già nella seconda metà del
secolo XVIII. Fra il 1750 e il 1800, essa passò da oltre 7 milioni a circa 11
milioni, per superare i 20 milioni a metà Ottocento. Nell'arco di un secolo si
era quasi triplicata.
30 La prima rivoluzione industriale (1750-1850)
distanza le derrate, grazie alla costruzione di strade, canali e porti, che co-
minciavano a rompere l' isolamento delle campagne. Proprio per questo,
le carestie si fecero meno frequenti, anche se ci volle molto tempo perché
scomparissero del tutto.
2. Le condizioni igieniche. Sia quelle pubbliche che private comincia-
rono lentamente a migliorare. Nelle città si sistemarono e si ammoderna-
rono le fognature, si ampliarono e si resero più pulite le strade, furono co-
st1uite reti idriche e si edificarono case in muratura. Queste erano più fa-
cili da pulire e, perciò, i topi, le cui pulci trasmettevano alcune forme di
peste, riuscivano a insediarsi con maggiore difficoltà che nelle case di le-
gno. L'igiene personale migliorò. Si fece un uso più frequente del sapone
e si cominciarono ad adoperare indu1nenti di cotone, che si potevano lava-
re con maggiore frequenza, in quanto non si restringevano né s ' infeltri-
vano come quelli di lana. Il progresso in questo campo fu molto lento, an-
che per il permanere di pregiudizi diffusi sull'opportunità di lavarsi spes-
so e di cambiare frequentemente gli indumenti. Tuttavia, il miglioramento
dell'igiene, assieme a una più adeguata alimentazione, contribuì sicura-
mente a rafforzare le difese immunitarie dell'organismo umano.
3. I primi progressi della medicina. Va subito precisato che tali pro-
gressi, ancorché importanti, non furono così rilevanti come quelli realiz-
zati nei periodi successivi. Le scoperte furono poche, fra cui l'inocula-
zione del vaccino contro il vaiolo, malattia che colpiva principalmente i
bambini (anche di pochi mesi), praticata per la prima volta proprio su un
bambino da Edward Jenner (1796). Cominciò anche a diffondersi una
nuova sensibilità nei confronti dei problemi della vita, che i11dusse gover-
nanti, sapienti e medici a ingaggiare una lotta contro la morte, la malattia
e le epidemie. Vi fu una maggiore attenzione verso la medicina, che fu
meglio organizzata, per esempio con la costituzione delle prime accade-
mie mediche, e anche meglio insegnata, per esempio con l'introduzione,
verso la metà del secolo XVIII, delle prime cattedre di ostetricia nelle uni-
versità, che contribuirono a limitare le numerose morti per parto. La me-
dicina fu sostenuta in modo più adeguato dai pubblici poteri e venne me-
glio divulgata, con la pubblicazione di numerosi trattati di medicina popo-
lare. La peste, il temibile flagello che aveva accompagnato per secoli le
popolazioni europee, cominciò ad arretrare. Già all' inizio del Settecento
essa non era più presente nei paesi d.ell'Europa occidentale e settentriona-
le, mentre in quelli dell'Europa orientale e meridionale durò più a lungo,
per scomparire definitivamente solo nei primi decenni dell'Ottocento.
4. La riduzione della mortalità infantile. Questo fattore fu uno di quelli
che maggiormente contribuirono al calo del tasso di mortalità. Il crollo de-
32 La prima rivoluzione industriale (1750-1850)
finitivo del numero dei morti nel primo anno di vita avverrà molto più tardi,
nel ventesimo secolo, ma è certo che quel quoziente riuscì, iI1 alcuni paesi
europei, a dimezzarsi già fra metà Settecento e metà Ottocento, scendendo
dal 250 al 120-130 per mi Ile. La riduzione più consistente fu realizzata fra i
ceti abbienti, segno che il benessere, l'igiene, la migliore qualità dell'ali-
mentazione e la disponibilità di cure mediche, comprese le vaccinazioni,
erano elementi determinanti per abbattere la mortalità infantile.
I fattori precedentemente riportati hanno avuto un p eso diverso nei vari
periodi storici. Negli anni in esame, ossia in quelli della prima rivoluzione
industriale, il ruolo predominante nel determinare la riduzione del tasso di
mortalità lo ha avuto certamente un'alimentazione più ricca e varia, mentre
durante la seconda rivoluzione industriale questo compito è spettato al mi-
glioramento delle condizioni igieniche e al contributo del progresso med.i-
co; dalla metà del Novecento, infme, diventano essenziali il ruolo della
medicina e della chirurgia e l' abbattimento della mortalità infantile.
Il tasso di natalità, da parte sua, rimase elevato ancora per parecchio
tempo, ma anch ' esso cominciò a mostrare qualche segno di cedimento ver-
so la fme del periodo in esame. La riduzione di questo quoziente è influen-
zata dai comportamenti i11dividuali e di coppia, che sono particolarmente
difficili da individuare e studiare, anche se sono certamente legati alle con-
dizioni economiche e all'organizzazione del lavoro. Il mantenimento dei fi-
gli diventava difficile quando i raccolti erano scarsi, ma una delle ragioni
per le quali nelle società contadine le coppie continuavano a mettere al
mondo molti figli era la necessità di assicurarsi il mantenimento in vecchiaia,
fidando sulla sopravvivenza di un certo numero di discendenti maschi, che
si sarebbero dovuti occupare dei genitori.
La famiglia allargata, con la presenza di ascendenti, discendenti e colla-
terali, cominciò a cedere il posto alla famiglia composta dal solo nucleo
elementare genitori-figli. Questa evoluzione, lenta e incerta nelle campa-
gne, fu più evidente nelle città, che stavano crescendo non solo per I' incre-
mento naturale della popolazione, ma anche per l'arrivo di molte persone
dalle zone agricole circostanti. Si stava sviluppando, cioè, un nuovo urba-
nesimo, che costituisce l'ultima caratteristica demografica del secolo della
prima rivoluzione industriale. L ' Inghilterra e il Galles, sotto questo aspetto,
furono nettamente in anticipo sul resto dell' Europa, perché già intorno alla
metà dell' Ottocento circa il 50 per cento della popolazione viveva nelle cit-
tà ( considerando tali anche centri di poche migliaia di abitanti), mentre ne-
gli altri paesi 110n si raggiungeva il 20 per cento. Nei primi cinquant' anni
del secolo XIX, per esempio, una città come Londra passò da un milione a
2,4 milioni di abitanti.
4.
LE PREMESSE
DELLA RIVOLUZIONE
INDUSTRIALE INGLESE
L'AGRICOLTURA
1
L'attività economica è distinta, di solito, in tre settori: 1) l'agricoltura o settore pri-
1nario, che comprende, oltre all'agricoltura propriamente detta, anche la zootecnia, le fore-
ste e la pesca; 2) l'industria o settore secondario, che comprende le attività industriali (ma-
nifatturiere, estrattive, delle costruzioni, ecc.); 3) servizi o settore terziario, che comprende
le attività che producono servizi (co1nmercio, trasporti, banche, assicurazioni, turi smo, li-
bere profession i, pubblica amministrazione, ecc.). Oggi si parla anche di terziario avanza-
to, per definire il settore che produce servizi relativi a nuovi comparti, come l' informatica e
le telecomunicazioni.
34 La prima rivoluzione industriale (1750-1850)
Settore primario
Regno Unito 36 19 9 4 1,3
Francia 51 41 20 2,5
Stati Uniti 59 38 8 1,6
Germania 37 14 1,6
Italia 70 62 29 3,7
Settore secondatio
Regno Unito 30 44 46 47 15,8
Francia 30 29 38 18,8
Stati Uniti 20 30 31 17,3
Germania 41 47 24,6
Italia 18 22 41 28,5
Settore terziario
Regno Unito 34 37 45 49 82,9
Francia 19 30 42 78,7
Stati Uniti 21 32 61 8 1, 1
Germania 22 39 73 ,8
Italia 12 16 30 67,8
Fonte: Dati tratti da: G. Felloni, Profilo di storia econornica dell 'Europa dal M edioevo
all 'età conternporanea, Torino, 1993, p. 50 (tab. 3); lstat, Somniario di statistiche storiche
del! 'Italia. 1861-1975, Roma, 1976, p. 14 (tav. 8).
Note: I dati della Francia riportati nella colonna del 1861 sono del 1866; quelli della Ger-
mania nella colonna del 1901 sono del 1907. La tabella è stata aggiornata con i dati del 20 11.
2
La popolazione attiva è costituita dal compl esso di persone occupate, disoccupate ( che
hanno perduto il precedente lavoro), in cerca di prima occupazione o momentaneamente im-
pedite a svolgere un' attività lavorativa (militari di leva, detenuti, ecc.). Un' espressione equi-
valente a popolazione attiva è forze di lavoro.
4. Le premesse: l 'agricoltura 35
dalle stalle. M a le stalle erano poche, perché s i praticava l' allevamento bra-
do, il quale sottraeva ulteriori terre alla coltivazione.
La produzione dei cereali era già aumentata da tempo per la necessità di
rifornire le città, in particolare Londra, e aveva dato vita a un proficuo
commercio non solo interno ma, per qualche tempo, anche di esportazione.
Era, però, necessario accrescerla ancora. La rotazione più diffusa in Inghil-
terra era quella triennale, ma non mancavano, in alcune zone, rotazioni più
perfezionate, come qu.elle che preved.e vano il riposo ogni quattro, cinque o
sei anni. In ogni caso una parte de lla terra restava inutilizzata.
Eppure, la soluzione p er evitare questo spreco era già stata trovata in
Olanda e in qualche regione inglese, come la contea di Norfolk. La solu-
zione consisteva nell 'eliminazione del maggese e nel l' ins erimento nelle ro-
tazioni di leguminose e di piante da foraggio (rape, ravizzone, trifoglio, er-
ba medica, ecc.), che miglioravano la fer tilità del terreno e quindi facevano
aumentare la resa in grano dell'anno successivo. Si trattava, perciò, di ge-
neralizzare la pratica delle rotazioni continue (in gener e quadriennali) e
dell'eliminazione del maggese, pratica nota in Inghilterra appunto con il
nome di <<sistema di Norfolk>>, dove si era affermata anche grazie all'opera
di alcuni innovatori, come Lord Charles Townshend.
Una conseguenza importante dell' inserimento di piante foraggere nelle
rotazioni fu la possibilità di alimentare gli animali nelle stalle, in particolare
i bovini, prima tenuti al pascolo brado, recuperando a ltre terre alla coltiva-
zione. La costruzione di stalle e magazzini richiedeva investimenti di una
certa consistenza, che era comunque conveniente effettuare perché si aveva
la possibilità di disporre di stallatico con il qua le concimare il terreno. Si era
messo in moto un circolo virtuoso, che partiva dall'aumento delle ten·e colti-
vate (scomparsa del maggese e riduzione dell'allevamento brado), passava
per l' incremento dell' allevamento bovino (disponibilità di carne e latte) e as-
sicurava una maggiore concimazione delle terre (letame). Fu però necessario
del tempo affmché queste nuove pratiche si diffondessero. La tradizionale
diffidenza dei contadini li portava a convincersi della bontà di nuove colture
e di nuovi metodi solo quando vedevano i risultati nel campo del vicino.
coniitnitario e si basava sul cosiddetto sistema dei tre campi. Le terre non
recintate del villaggio, cioè, erano divise in tre parti, di cui due coltivate e
una tenuta a maggese. Ogni parte era a sua volta frazionata in numerose
strisce, che venivano assegnate periodicamente alle famiglie con il compito
di coltivarle (le famiglie ottenevano strisce in ognuno dei tre campi). Gli
abitanti del luogo avevano la facoltà di pascolare il bestiame e raccogliere
legna e frutti spontanei nelle terre incolte comuna li e anche sui campi colti-
vati, ma solo dopo il raccolto o nel periodo di maggese. Era necessario,
perciò, fissare di comune accordo il tipo di coltivazione e il tempo della
semina e del raccolto, in modo che tutti fossero a conoscenza dei periodi
durante i quali potevano esercitare i loro diritti sulle te1Te. In tali condizio-
ni, era difficile introdurre migliorie e sperimentare nuove coltivazioni.
In Inghilterra, le terre gravate da i diritti degli abitanti del luogo erano
numerose e si dividevano in:
a) open fields (terre aperte, non reciI1tate), coltivate con il s istema dei tre
campi, le cui strisce (spesso più di una, anche a una certa distanza fra di lo-
ro) erano assegnate agli abitanti de l villaggio;
b) common lands, ossia terre comuni (boschi, pascoli, paludi, ecc.), appar-
tenenti alla comunità, in genere non coltivate ma lasciate all'uso collettivo.
La possibilità di usufruire dei diritti sulle terre aperte e su quelle comuni
era, per molti contadini poveri, un modo d'integrare i loro magri redditi, p er
esempio allevando qualche mucca, e perciò essi erano interessati a conserva-
re la situazione esistente. P er apportare una qualsiasi innovazione, da una bo-
nifica a una nuova rotazione delle colture, era necessario ottenere il consenso
dei titolari di tali diritti, la maggior parte dei quali era soddisfatta delle prati-
che tradizionali e diffidava di ogni cambiamento. Perciò fu dato un nuovo
impulso al movimento delle enclosures (recinzioni), che doveva portare a
u na completa privatizzazione delle terre. Si trattava di giungere a una divi-
sione definitiva delle terre fra tutti coloro che vi vantavano dei diritti, in mo-
do che ognuno ottenesse in piena proprietà un appezzamento di tetra e lo col-
tivasse come meglio credeva. Le recinzioni non erano una novità. Esse erano
state praticate fin dal Medioevo, sicché a metà Settecento almeno la metà
della terra arabile dell'Inghilterra era già recintata, ma dopo di allora venne-
ro accelerate. A metà Ottocento non vi erano più campi ape11i e il nuovo pae-
saggio agrario aveva assunto l'aspetto, che ancora conserva, di una continua
successione di ten·eni delimitati da muretti, siepi o altre forme di chiusura.
La pratica della recinzione poteva avvenire in seguito a un accordo priva-
to o co11 un <<atto>> (legge) del Parlamento. Quando gli aventi diritto erano
pochi, potevano facilmente accordarsi e procedere alla divisione delle terre e
alla loro recinzione. Quando, viceversa, le persone erano molte e non riusci-
4. Le premesse: l 'agricoltura 39
vano a trovare un accordo, si seguiva l' altra procedura, in virtù della quale i
titolari di almeno 1' 80 per cento delle terre (talvolta poche persone) presenta-
vano una petizione al Parlamento, che nominava una commissione d' inchie-
sta. Se il st10 parere era favorevole, il Parlamento emanava u.n atto che auto-
rizzava la divisione, fra le proteste dei piccoli coltivatori (spesso molto nu-
merosi), che non volevano perdere i loro diritti comunitari. Le spese per
giungere alla recinzione erano elevate, perché i richiedenti dovevano pagare
l'elaborazione del progetto di divisione, i compensi a commissari, avvocati e
stimatori e sostenere gli oneri di recinzione (siepi, muretti a secco, ecc.). I ti-
tolari di piccole strisce o i contadini poveri che vantavano solo diritti di sfrut-
tamento non potevano permettersi tali spese e, sia pure protestando, preferi-
vano cedere i loro diritti in cambio di una liquidazione in denaro. Proprio per
ridurre questi costi fu emanato, nel 1801, il Generai Enclosures Act, ossia
una legge che disciplinava le recinzioni con una normativa generale, alla qua-
le fecero seguito, nei decenni successivi, altri provvedimenti in materia.
Coloro che ottennero un piccolo appezzamento di terra spesso lo vendet-
tero ai proprietari più grandi e si trasformarono in fittavoli o in braccianti
agricoli. In tal modo, le enclosures contribuirono al consolidamento della
grande proprietà, che a poco a poco si andò estendendo. I grossi proprietari
terrieri affidavano le loro tenute a capaci fittavoli, che vi investivano capita-
li e si servivano di braccianti salariati per i lavori agricoli. Fu anche merito di
questi fittavoli, veri e propri imprenditori agricoli, se l'agricoltura inglese po-
té progredire notevolmente nel secolo della prima rivoluzione industriale.
La divisione delle terre non provocò un immediato spopolamento delle
campagne sia perché la media e la piccola proprietà sopravvissero sia per-
ché, specialmente all' inizio, fu necessaria molta manodopera per procedere
alle recinzioni. Le divisioni, inoltre, consentirono anche di recuperare all'a-
gricoltura brughiere e terreni acquitrinosi, creando ulteriore occupazione.
I contadini poveri che avevano perso i diritti sui campi aperti poterono im-
piegarsi in tali attività oppure trovare lavoro presso la nascente industria.
I piccoli proprietari che non vendettero le quote ottenute riuscirono, a loro
volta, a profittare del periodo di alti prezzi, durato da metà Settecento fin
verso il 18 15, che consentì a molti di loro di far fronte a lle spese di recin-
zione e di conservare un posto nel nuovo sistema agricolo.
l'Ottocento, ossia alla vigilia dell' introduzione delle ferrovie, vi erano or-
mai oltre 30 mila chilometri di strade a pedaggio.
Ma la vera rivoluz ione nel settore stradale si ebbe soltanto all'inizio del
secolo XIX, quando alcum ingegneri, come John Metcalf, Thomas Telford
e John McAdam, ripresero i sistemi di costruzione dei Romani e comincia-
rono a realizzare strade più solide e compatte. Su uno strato di pietre grosse
si disponevano diversi strati di pietre più piccole, ricoperti con una o più
gettate di pietrisco minuto, il tutto schiacciato in modo da formare una su-
perficie dura e liscia. La carreggiata doveva essere leggermente arrotondata
(a schiena d'asino) per assicurare il deflusso dell'acqua nelle cunette later a-
li. Solo così fu possibile consentire lo spostamento più veloce e più econo-
mico dei passeggeri, delle merci e delle notizie. Le diligenze si fecero sem-
pre più numerose, comode e frequenti. Sembra che nel 1820 ne partissero
da Londra, nell'arco di ventiquattro ore, ben 1.500, dirette in tutta la Gran
Bretagna. Fù10 all'avvento dell'automobile si ebbero pochi altri sviluppi nel-
la tecnica delle costruzioni stradali, se si esclude l' introduzione, intorno al
1860, del rullo a vapore per comprimere le pietre.
La grande innovazione nei trasporti terrestri fu costituita dalla comparsa
delle strade ferrate negli anni Trenta dell'Ottocento. I loro effetti, però, s i
manifestarono in pieno solo nella seconda metà del secolo. Le strade ferrate
nacquero dall' abbinamento delle rotaie con la locomotiva a vapore. I binari,
all'inizio di legno e poi di legno ricoperti di ghisa, non erano una novità, per-
ché venivano utilizzati da tempo per il movimento dei vagoncini, a spinta o
con cavalli, nelle cave e nelle miniere. La prima locomotiva a vapore fu co-
struita da Richard Trevithick nel 1801, ma non ebbe successo. Bisognò at-
tend.e re il 1825, quando George Stephenson, un tecnico minerario, costruì
una locomotiva impiegata sulla strada ferrata che collegava le miniere di
Stockton e di Darlington. Cinque anni più tardi (1830), fu inaugurata la li-
nea Liverpool-Manchester, che utilizzava la locomotiva <<Rocket>> (razzo)
di Stephenson e che è considerata la prima vera linea ferroviaria di traspor-
to al mondo. Inizia da allora la straordinaria avventura delle ferrovie, che si
diffusero in breve tempo in tutti i paesi. A metà secolo XIX, erano già stati
costruiti, in tutto il mondo, 35 mila chilometri di strade ferrate, di cui
14.500 negli Stati Uniti e 10.500 in Gran Bretagna.
1
La guerra di corsa, in verità, era ritenuta una fonna legittima e regolare di guerra. I go-
verni rilasciavano ai corsari, ossia a privati cittadini che annavano a proprie spese una o più
navi, una particolare patente (lettera di corsa) che li autorizz.ava ad assalire e depredare va-
scelli commerciali appartenenti a nazioni nemiche. In genere, t1na parte del bottino andava al
sovrano che aveva concesso l' autorizzazione. I pirati, viceversa, erano ladri di mare che cat-
turavano navi di qualsiasi nazionalità a loro esclusivo profi tto.
46 La prima rivoluzione industriale (1750-1850)
2
Il mercato finanziario (o niercato dei capitali) è quello sul quale si trattano finanziamenti
a lungo termine, mentre il niercato monetario è quello che riguarda la negoziazione di prestiti a
breve termine. Si usa anche l'espressione niercato mobiliare per indicare quello sul quale si
trattano i valori niobiliari (titoli azionari e obbligazionari), così detti perché si possono facil-
mente «mobilizzare», vale a dire vendere per ottenere denaro contante.
6.
INDUSTRIE TRAENTI
E INNOVAZIONI
IN GRAN BRETAGNA
operai, i quali, nel lavoro a domicilio, erano talvolta poco accurati e - cosa
più grave - si appropriavano sp esso di parte delle materie prime fornite dal
mercante. Sono queste le vere prime imprese <<capitalistiche>>, perché con-
centravano gli operai in grandi stabilimenti attrezzati con numerose macchi-
ne, richiedevano l'impiego di un capitale, spesso raccolto fra più soci, e cer-
cavano di vendere i prodotti sul mercato per realizzare il massimo profitto.
E' opportuno precisare che le tre forme di organizzazione della produ-
zione precedentemente ricordate non ebbero una successione temporale, nel
senso che il domestic system non soppiantò l' artigianato e non fu a sua vol-
ta rimpiazzato da l factory system. Le diverse forme continuarono ad esist e-
re l'una accanto all'altra, ma il loro peso relativo si modificò con il tempo.
Alla fine il sistema di fabbrica prevalse sul lavoro a domicilio e sull' artigia-
nato, che comunque continu.a rono ad. avere un loro posto nel l' attività pro-
duttiva, sostanzialmente fino ai nostri giorni.
Bisogna infine ricordare la produzione domestica (da non confondere con
l' industria a domicilio), alla quale attendevano i membri della famiglia, spe-
cie di quella contadina, per soddisfare i propri bisogni. Le donne si occupa-
vano della filatura e della tessitura di lino, canapa o lana, preparavano il pane
e salavano la carne. Gli uomini, invece, erano addetti ai lavori più pesanti,
come la lavorazione del legno, la riparazione degli attrezzi o la fabbricazione
della birra o del vino. Ovviamente, i beni di consumo prodotti nell'ambito
della famiglia non entravano nel circuito commerciale, ma venivano diretta-
mente consumati per soddisfare le esigenze e i bisogni familiari.
1
L'obbligazione è un titolo di credito (documento trasferibile, che contiene un diritto
«incorporato»), che rappresenta la quota di un prestito e1nesso da una società privata o da t ln
ente pubblico. Il possessore dell 'obbligazione ha diritto alla riscossione dell ' interesse, in
genere ogni sei mesi, e al rimborso del capitale secondo le modalità stabilite (alla scadenza,
mediante sorteggio o in altro modo).
6. Industrie traenti e innovazioni in Gran Bretagna 53
detti al fu nzionamento delle macchine, la maggior parte dei quali seguì me-
todi empirici, mentre altri operarono in modo più scientifico. Tutti, però,
furono costretti a procedere per tentativi e approssimazioni successive. Le
numerose invenzioni inglesi furono stimolate anche dal sistema dei brevetti
di quel Paese, che risaliva agli inizi del Seicento e garantiva all'inventore
l' utilizzazione esclus iva, sia pure per un periodo limitato, del frutto del suo
ingegno. Perciò i brevetti rilasciati in Inghilterra passarono da meno di 300
nel periodo 1700-1750 a oltre 10 mila fra il 1800 eil 1850.
Il ruolo della tecnologia fu essenziale durante la prima rivoluzione indu-
striale. Non tanto per le invenzioni, quanto per le innovazioni, che cambiaro-
no il processo produttivo e l'organizzazione della produzione e premiarono
gli imprenditori che vi investivano capitali. La distinzione fra invenzione e
innovazione è dovuta a Joseph Schumpeter. L ' invenzione è qualsiasi novità
brevettabile, ossia un qua lunque miglioramento di metodi e processi di lavo-
razione. L'innovazione si ha quando l'invenzione viene effettivamente appli-
cata al processo produttivo. Un' invenzione può 110n diventare mai u11 'inno-
vazione, ma può anche dare luogo a una serie di altre innovazioni.
L ' industria tessile, con le sue fasi della filatura, della tessitura e della
tintura, si era sviluppata nelle campagne, specialmente mediante il lavoro a
domicilio, e rigu.a rdava innanzitutto le tradizionali lavorazioni della lana,
del lino e della canapa, nonché quella della seta. La nuova industria del
cotone, viceversa, era modesta e arretrata. Introdotta nel Lancashire nel
secolo XVII, subì la concorrenza delle stoffe colorate indiane e in partico-
lare del calicò (nome derivato dalla città di Calicut, nell' India meridionale,
da non confondere con Calcutta), un tessuto poco costoso, leggero e dai
vivaci colori stampati, fino a quando la sua importazione non fu vietata da
una legge del Parlamento, il Calico Act (1701). Il cotone greggio arrivava
dall'Oriente, dalle colonie inglesi dell'America settentrionale e dalle Indie
occidentali. I metodi di lavorazione, però, davano prodotti finiti di bassa
qualità, ruvidi e difficili da cucire e da lavare. Inoltre, i tessuti non erano
nemmeno di puro cotone, perché normalmente solo la trama era di quella
fibra, mentre l' ordito era di lino 2•
2
Nella tessitura artigianale, l'ordito è costituito da una serie di fi li paralleli tesi su un te-
laio, attraverso i quali si inserisce ad angolo retto un filo continuo, detto trama, in modo che
le due serie di fi li si sostengano reciprocamente, costituendo il tessuto.
6. Industrie traenti e innovazioni in Gran Bretagna 55
Dalla fusione dei minerai ferrosi (magnetite, limonite, ematite, ecc.) con
il carbone in un forno a tino, detto altoforno, si ottiene la ghisa, la quale,
con successivi processi di decarburazione, fornisce ferro e acciaio 3.
Nel Settecento, per la fus ione si usava quas i s olo carbone di legna,
sicché gli altiforni erano costruiti in genere nelle vicinanze dei boschi e
3
La ghisa è una lega di ferro e carbonio, che contiene una quantità di carboni o vari a-
bile fra il 2 e il 4 per cento e perciò è fragile. Riducendo il carbonio (decarburazione) si
ottiene una lega più resistente, fino a giungere all 'acciaio, quando il carbonio è inferiore
ali ' 1,8 per cento.
6. Industrie traenti e innovazioni in Gran Bretagna 57
se oz 1A Colone
Lana e arllcoll
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- Ferro e acciaio
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e amplia quelli già esistenti, perché le regioni che hanno qualche vantaggio
(disponibilità di materie prime, infrastrutture più adeguate, posizione geogra-
fica, ecc.) riescono a svilupparsi maggiormente. Successivamente, ma non
sempre, le industrie s'impiantano anche nelle regioni più arretrate, dove i
salari sono più bassi.
L ' Inghilterra fu sicuramente favorita, rispetto alle altre nazioni, dal fatto
che il processo d ' industrializzazione riguardò parecchie regioni contempo-
raneamente. Anch'essa, però, fece registrare delle diversità fra un'area e
l' altra del Paese. I bacini carboniferi, i distretti cotonieri e lanieri e l' indu-
stria siderurgica interessarono contemporaneamente molte aree della zona
centro-occidentale del Paese (vedi fig. 6. 1) . Alcune regioni, poi, furono ca-
ratterizzate dalla prevalenza di determinate attività: il Lancashire era il più
importante distretto cotoniero, lo Yorkshire ved.e va la concentrazione del-
l'industria laniera, i Midlands e il Tyneside possedevano miniere di carbone
e industrie siderurgiche, lo Staffordshire aveva quasi il monopolio della
fabbricazione di stoviglie e la Cornovaglia produceva stagno e rame. Il Sud
conservò la caratteristica di zona agricola, ma non per questo fu area arre-
trata e povera, perché vi si trovavano terre molto fertili, sulle quali erano state
applicate le rotazioni e le tecniche della nuova agricoltura. L 'estremo Nord,
invece, legato in gran parte alla pastorizia, non conobbe una crescita parago-
nabile a quella delle altre regioni e restò indietro.
Pure nel Galles vi erano differenze fra la zona attorno all' importante baci-
no carbonifero di Cardiff, dove si era sviluppata l' industria siderurgica, e la
maggior parte delle terre dell'interno, montagnose e poco fertili, in cui si pra-
ticava la pastorizia, che rimasero molto povere e arretrate.
7.
LA RIVOLUZIONE
INDUSTRIALE INGLESE
I PROBLEMI
gnifica che l'argento godeva di libero conio e aveva potere liberatorio illi-
mitato, mentre qu este caratteristiche non erano riconosciute alle monete fab-
bricate con altri metalli. Il libero conio era la possibilità concessa ai privati di
consegnare alla zecca il metallo prezioso in loro possesso e ottenere in cam-
bio l'equivalente in monete, dedotte le spese di fabbricazione ed eventuali
diritti. Il potere liberatorio illimitato era ( ed è) la possibilità concessa dalla
legge alla moneta assunta a base del sistema di essere utilizzata in qualsiasi
pagamento e per qualsiasi importo, senza che nessuno potesse rifiutarla.
Verso la metà del Settecento, i sistemi monetari più diffusi i11 Europa
erano il monometallismo argenteo e il bimetallismo. Solo l'Inghilterra, an-
che s e ufficialmente adottava il sistema bimetallico, si era di fatto avvicina-
ta al monometallismo aureo, perché la circolazione di monete d 'argento si
era ridotta notevolmente, essendo state utilizzate per pagare le merci impor-
tate dall 'Asia, dove prevaleva il monometallismo argenteo.
Con il tempo, le monete d'oro e d'argento cominciarono a rivelarsi in-
sufficienti per le necessità dei traffici, che erano in aumento. Fu necessario
ricorrere a una nuova forma monetaria, la moneta cartacea, introdotta da
alcune banche 1, che perciò si dissero bariche di emissiorze. Esse, cioè, non
disponendo di una quantità sufficiente di monete metalliche da prestar e, in
particolare allo Stato, pensarono di consegnare, a chi chiedeva somme in
prestito, propri biglietti, con la promessa di cambiarli in monete metalliche
ad ogni richiesta dei loro possessori. Per assicurare il cambio, le banche
emittenti d.ovevano tenere una riserva di monete, che ovviamente non era
pari a l valore dei biglietti, altrimenti non vi sarebbe stata alcuna convenien-
za ad emetterli. L' esperienza mostrò che una riserva into1no al 40 per cento
dei biglietti risultava sufficiente a garantire il cambio di quelli che normal-
mente venivano presentati agli sportelli della banca emittente. Ne consegt1e
che nessuna banca sarebbe stata in grado di cambiare tutti i biglietti in cir-
colazione se essi fossero stati presentati più o me110 s imultaneamente; una
circostanza del genere l' avrebbe s icuramente portata al fallimento.
1
Nella sua forma più tradizionale, la banca è un' impresa che raccoglie fondi, soprattutto
sotto forma di depositi, sui quali paga interessi passivi, e li eroga, soprattutto sotto forma di
prestiti, riscuotendo interessi attivi, che devono essere più elevati di quelli passivi, in modo da
coprire le spese di gestione della banca e consentire un profitto. Parte dei depositi deve essere
tenuta come riserva per assicurare il rimborso «a vista» (cioè su richiesta del depositante) delle
somJne depositate. I depositi possono essere utilizzati come mezzo di pagamento, 1nediante
l'uso di assegni (ordine dato alla banca di pagare una somJUa ad altri, prelevandola dal proprio
conto) o mediante giroconto (pagamento mediante il trasferimento di una somJUa dal conto di
u11 cliente a quello di tin altro). Le banche concedevano prestiti anche scontando cambiali (tito-
li che rappresentano un credito riscuotibile a una certa data), cioè anticipando la somma al pos-
sessore della ca1nbiale prima della scadenza, in cambio di un interesse detto sconto.
7. La rivoluzione industriale inglese: i problemi 63
2
La girata è una dichiarazione contenuta in un titolo di credito (cambiale, assegno, ob-
bli gazione), mediante la quale il possessore trasferisce ad altri il titolo e il relativo credito.
La girata è in genere scritta sul retro del titolo e deve essere firmata dal girante.
3
Il debito pubblico è costituito dall ' insieme dei prestiti che lo Stato e gli altri enti del setto-
re pubblico contraggono per le proprie necessità. Esso è rappresentato da titoli pubblici (buoni
del Tesoro, rendite, certificati di credito, ecc.). Nell 'ancien régime, i prestiti erano garantiti da
singole imposte, la cui riscossione (se regolare) consentiva il pagamento degli interessi e la re-
stituzione del prestito. In seguito, con le riforme napoleoniche, il debito pubblico venne garan-
tito dall'insieme delle entrate dello Stato e fu iscritto nel «Gran libro del debito pubbli co».
64 La prima rivoluzione industriale (1750-1850)
banchieri privati erano interessati ai titoli pubblici, oltre che al credito mer-
cantile. In alcuni paesi, come Italia, Spagna e Francia, operavano i Monti di
pietà, sorti a partire dal Quattrocento per opera dei Francescani con lo sco-
po di combattere l'usura, concedendo piccoli prestiti su pegno alle persone
bisognose, in cambio di un modico interesse. I Monti frunientari, partico-
larmente numerosi nelle zone rurali, esercitavano anch' essi il prestito su
pegno, ma invece di denaro prestavano grano per la semina.
La prima rivoluzione industriale risultò poco costosa, nel senso che non
erano necessari molti capitali per avviare un' attività produttiva, essendo re-
lativamente modesto il costo delle macchine e basso quello della manodope-
ra. L'impianto di una manifattura tessile o di un' industria siderurgica oppure
l' acquisto di una macchina a vapore non richiedevano forti somme di dena-
ro. I primi industriali erano spesso artigiani, piccoli proprietari terrieri e fi-
nanche braccianti o operai che iniziarono l'attività con pochi fondi. In gene-
re, gli imprenditori dell' epoca consideravano il capitale impiegato nella loro
impresa alla stregua di un investimento finanziario e si accontentavano di un
rendimento oscillante intorno al 5 per cento, lasciando nell'azienda qualsiasi
guadagno ulteriore.
L 'autofinanziamento, perciò, ossia il reinvestimento nell'azienda di una
parte degli utili, fu il modo principale con il quale gli imprenditori si procu-
ravano i fondi necessari all'ampliamento della loro attività. Altre volte si ri-
volgevano a parenti e a1nici desiderosi d' impiegare con loro i propri capitali,
con i quali costituivano spesso una società in accomandita. E infine, specie a
partire dagli anni Trenta dell'Ottocento, le imprese costituite sotto forma di
società anonima cominciarono a rivolgersi al mercato, sul quale collocavano
le obbligazioni che erano in grado di emettere. Proprio per queste ragioni, le
banche inglesi difficilmente intervennero per concedere alle imprese finan-
ziamenti cospicui e di lunga durata.
Se i primi imprenditori non avevano bisogno di un elevato capitale fis-
so 4, necessitavano però di denaro per l'acquisto di materie prime e per p a-
gare i salari agli operai. Le banche di Londra e quelle di provincia li finan-
ziavano con continuità, in genere mediante lo sconto di cambiali a tre mesi,
4
Fra le diverse classificazioni del capitale, vi è quella fra capitale fisso e capitale circo-
lante. l i capitale fisso è costituito dai beni utilizzabili per più cicli produttivi, ossia per un certo
periodo di tempo (immobili, impianti, macchinari, ecc.). Il capitale circolante è dato dai beni
utilizzabili per un solo ciclo produttivo, ossia per una sola volta (materie prime e semilavorati).
7. La rivoluzione industriale inglese: i problemi 65
Adam Smith (1723-90), nella sua famosa opera La ricchezza delle na-
zioni, pubblicata nel 1776, aveva esaltato il libero mercato, che riteneva
guidato da una <<mano invisibile>>, capace di consentirne l' autoregolamenta-
zione senza bisogno di interventi da parte dello Stato. Smith era convinto
che la ricerca del profitto individuale contribuisse a realizzare anche un
maggiore benessere collettivo e sosteneva che la ricchezza di una nazione
fosse determinata principalmente dal lavoro dei suoi abitanti. Bisognava,
quindi, accrescere la produttività dei lavoratori mediante la divisione del la-
voro a tutti i livelli: nelle fabbriche ( è famoso il suo esempio della fabbrica
di spilli, in cui la lavorazione di uno spillo era stata divisa in diciotto distin-
te operazioni), a livello nazionale fra le diverse fa bbriche e, soprattutto, a
livello internazionale, per consentir e a ogni paese di potersi dedicare a una
specifica attività e scambiare i suoi prodotti con quelli di altri paesi.
David Ricardo (1 772-1823), a sua volta, elaborò il teorema dei <<costi
comparati>> per mostrare la convenienza della divisione internazionale del
lavoro e del commercio internazionale. Per illustrarla brevemente, facciamo
l' esempio di due paesi, che chiameremo paese A e paese B, ognuno dei
quali produce gli stessi due beni. Ricardo sosteneva che, anche se il paese
A fosse riuscito a produrre entra,nbi i beni a costi inferiori di quelli del paese
B, gli sarebbe comunque convenuto sp ecializzarsi nella produzione di un
solo bene (quello in cui era relativamente più bravo) e scambiarlo con l' al-
tro bene, che quindi sarebbe stato prodotto dal paese B. Entrambi i paesi
avrebbero avuto convenienza nella specializzazione, perché il vantaggio
che ne sarebbe derivato sarebbe stato sicuramente maggiore di quello otte-
nuto se ogni paese avesse dovuto produrre entrambi i beni.
D ' altra parte, un economista francese, Jean-Baptiste Say (1767-1832)
aveva proprio allora elaborato una sua teoria, nota con il nome di legge de-
g li sbocchi, che dominò l'economia classica per tutto il secolo XIX e fu poi
smantellata da Keynes. Secondo tale legge è l' offerta che cr ea la domanda,
non solo a livello individuale ma principalmente nel commercio internazio-
nale. Chi vende una merce, difatti, utilizzerà il ricavato per acquistare altra
merce, sicché vi sarà sempre uno sbocco alla produzione. La conclusione di
Say era che in regime di libero scambio non vi potessero essere crisi di
sovrapproduzione.
72 La prima rivoluzione inditstriale (1750-1850)
Tab. 8.1. - Livello del Pii pro capite dei principali paesi raffrontato con quello
della Gran Bretagna negli anni 1700, 1820 e 1870
sempre più bassi. Lo svantaggio era costituito da l fatto che, essendo il pri-
mo paese a percorrere la nuova strada dell'industrializzazione, commise er-
rori, conobbe insuccessi e dovette affrontare problemi sconosciuti, cl1e fu
costretta a risolvere solo per approssimazioni successive.
I paesi ritardatari, che decollarono più tardi (followers, o anche second
comers e fast comers), viceversa, poterono godere di quelli che lo storico sta-
tunitense Alexander Gerschenkron ( 1904-78) ha chiamato i vantaggi del! 'ar-
retratezza, costituiti innanzitutto dalla possibilità di utilizzare le innovazioni
e i processi tecnologici sperimentati dalla Gran Bretagna. Il principale svan-
taggio dei ritardatari, invece, era dato dalla necessità di compiere un grande
sforzo per <<agganciare>> il paese leader, in particolare rea lizzando una rapida
accumulazione con il sacrificio di lavoratori e consumatori. Per indicare que-
sto sforzo, gli economisti ha1mo adoperato il termine catching up.
Secondo Gerschenkron, se in Gran Bretagna esistevano alcuni prerequi-
siti dello sviluppo, i paesi che ne erano privi dovettero ricorrere ai cosiddet-
ti fattori sostitutivi, capaci di svolgere la stessa funzio11e dei prerequisiti. I
principali fattori sostitutivi sarebbero stati le banche e lo Stato, che sosten-
nero e talvolta promossero l'iniziativa privata. Essi consentirono a parecchi
paesi ritardatari di accelerare il ritmo del loro sviluppo.
Agli inizi del Settecento, però, la Gran Bretagna non era il paese più svi-
luppato dell'Europa. I Paesi Bassi facevano registrare, u.n Pii pro capite su-
periore del 50 per cento a quello britannico (vedi tab. 8.1 ). Nel Seicento,
essi erano diventati la nazione più ricca d' Europa, all 'avanguardia in molti
settori. Gli O landesi avevano trasformato in fertile poderi (polders) molte
8. Francia e Stati Uniti 75
piccola Olanda, che nel 1820 contava meno di 2,4 milioni di abitanti, non
fu in grado di r esister e all'ascesa d.e i suoi grandi vicini, soprattutto Inghil-
terra e Francia. Alcune delle sue attività, come l' agricoltura, la fmanza e
qualche ramo industriale furono in grado di resistere, mentre altri, come le
industrie tessili, le costruzioni navali, il trasporto per conto terzi e il com-
mercio estero decaddero, schiacciati da lla concorrenza inglese.
Con la decadenza dell'Olanda, la Gran Bretagna non ebbe più rivali e il
suo modello di sviluppo fu imitato dagli altri paesi europei. Fra costoro
spicca il piccolo Belgio (circa 3,5 milioni di abitanti nel 1820), che fu il
primo Stato dell 'Europa continentale ad adottare pienamente il modello in-
dustriale britannico e verso la metà dell' Ottocento era la nazione più indu-
strializzata d.e l continente.
impegnata nella rivoluzione industriale e con la. Francia sconvolta dalla ri-
voluzione politica e sociale, e ciò, probabilmente, influenzò in modo de-
terminante il destino dei due paesi.
Le ragioni per le quali la Francia rimase indietro sono numerose e si
possono compendiare in una serie di/attori sfavorevoli allo sviluppo:
a) un lungo periodo di guerra. La Francia rivoluzionaria e napoleonica
dovette combattere le potenze europee coalizzate contro di essa per quasi
un quarto di secolo (1792- 1815); la guerra fu combattuta sul continente eu-
ropeo e sui mari e impose alla Francia un costo umano e materiale assai su-
periore a quello sopportato dagli Inglesi, distogliendo peraltro molti più uo-
mini dal lavoro della terra e dalle officine. Né va dimenticato che la Francia
subì, dopo la fine delle gue1Te napoleoniche, diverse insurrezio1ù politiche,
sicuramente più numerose di quelle della maggior parte dei paesi europei,
fra cui le rivoluzioni del 1830 e del 1848;
b) una modesta crescita demog,-afica. La popolazione francese aumentò,
fra metà Settecento e metà Ottocento, da 20 a 36 milioni, con un incremen-
to del l'80 per cento, mentre quel la britannica si triplicava; la popolazione
non solo cresceva poco ma diventava anche più vecchia, tanto che a metà
Ottocento, la percentuale di sessantenni era più elevata in Francia ( l 0,2 per
cento) rispetto all'Inghilterra e alla Germania ( entrambe al 7,5 per cento).
La popolazione, infine, fu trattenuta nelle campagne, anche per la prevalen-
za della piccola proprietà contadina, e non si registrarono, come altrove,
consistenti flussi di emigrazione; anzi, fm da allora la Francia cominciò ad
accogliere immigrati dai paesi vicini. Insomma, l'assenza di pressione de-
mografica ebbe un effetto negativo sullo sviluppo economico, perché ral-
lentò sia la domanda globale sia l' offerta di manodopera;
c) l'insufficienza di risorse naturali, in particolare di carbone e minerali
di ferro. Fra le naz ioni della prima industrializzazione la Francia era sicu-
ramente quella meno ricca di carbone e perciò fu costretta ad affidarsi prin-
cipalmente a ll 'energia idraulica e a importare almeno un terzo del carbone
di cui aveva bisogno; anche i minerali di ferro erano scarsi e, per giunta,
vennero scoperti molto tardi.
Lo svi luppo economico francese, però, poté contare su alcuni fattori fa-
vorevoli, che furono principalmente istituzionali, scientifici e tecnici:
a) la Rivoluzione francese. Se per un verso la Rivoluzione ritardò lo svi-
luppo, per altri versi lo favorì, perché spazzò via in breve tempo l' ancien ré-
gime, soprattutto mediante la liquidazione della feudalità, la fme del sistema
delle corporazioni di mestiere e l'affermazione della piena proprietà indivi-
duale della terra; si soppressero i dazi interni e si consentì a merci, uomini e
capitali di spostarsi liberamente su tutto il ten·itorio nazionale, mentre il nuo-
8. Francia e Stati Uniti 77
vo sistema metrico decimale contribuì a faci litare gli scambi. Quasi certa-
mente, questi risultati si sarebbero conseguiti anche senza la Rivoluzione e
senza i sacrifici che essa impose alla popolazione, poiché molte riforme era-
no già state awiate in precedenza. D 'altra parte, la macchina a vapore, le fer-
rovie e i piroscafi avrebbero fmito per eliminare gli ostacoli che si opponeva-
no allo sviluppo, ma la Rivoluzione ebbe il merito di chiudere definitivamen-
te con il passato e di farlo in un tempo relativamente breve e, inoltre, esportò
le sue idee, le sue riforme e le sue istituzioni in molti paesi europei;
b) l'insegnamento e la ricerca. La Rivoluzione e l' Impero ebbero anche
il merito di riformare l'insegnamento e la ricerca, puntando sullo studio
della matematica e della fisica; la Francia era stato il primo paese a fondare
una scuola d' ingegneria (1747), quella dei Ponti e delle strade, alla quale,
durante la Rivoluzione, si aggiunsero il Politecnico, la Scuola Normale Su-
periore e altre istituzioni simili, che attirarono studenti stranieri per appren-
dervi le nuove tecniche e furono imitate da altri paesi; per molto tempo, gli
ingegneri francesi furono richiesti per realizzare grandi opere all' estero;
c) l'opera dei sansimoniani. Considerati gli apostoli delJ' <<industriali-
smo>>, termine da essi stessi coniato, i sansimoniani, seguaci di Claude Henry
de Rouvroy, conte di Saint-Simon (1760-1825), assegnavano una funzione
trainante a scienziati e industriali e inneggiavano al progresso scientifico, ri-
tenuto capace di assicurare la felicità all'umanità. Essi costituirono un gruppo
molto influente nella società francese e si dedicarono a numerose attività. A
loro, difatti, si devono la costruzione del canale di Suez, la creazione di nu-
merose banche e la costruzione delle prime linee fen·oviarie.
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Spagna
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MESSICO
c) terza tappa: giungono gli agricoltori, che dissodano le te1Te fra non
poche difficoltà, dal momento che, fra l'altro, ignorano la composizione del
terreno e le condizioni climatiche della zona;
d) quarta tappa: s'insedia la vita urbana e sorgono città con grandi edifici
di mattoni, scuole, tribunali e chiese, giungono uomini provvisti di capitali e
di spirito imprenditoriale e tutta la regione conosce un rapido sviluppo.
La successione ricordata (cacciatore-allevatore-agricoltore-vita urbana)
non era sempre così rigorosa e molto spesso la prima tappa fu quella
dell' agricoltore.
Turner, che scriveva verso la fine dell'Ottocento, riteneva che lo spirito
della frontiera avesse contribuito a modellare il carattere americano. Le
condizioni di vita resero gli uomini della frontiera egualitari, individualisti e
intraprendenti, non privi di una certa rozzezza e tolleranti verso la violenza.
I coloni, comunque, dovevano disporre di una certa somma per affrontare il
lungo viaggio verso l'Ovest, acquistare la terra e vivere fino al primo raccol-
to di grano o di granturco, che in genere non era abbondante. Solo dopo due
o tre anni riuscivano ad avere eccedenze da vendere sul mercato. Potevano
contare, però, sull'aiuto di numerose banche, sorte dappertutto nei territori
di nuova colonizzazione, grazie a una legislazione molto permissiva. Di so-
lito esse avevano una sola sede e concedevano prestiti anche con propri bi-
8. Francia e Stati Uniti 83
che erano rimasti indietro, mentre le economie delle diverse aree mondiali
diventavano sempre più interdipendenti per via della globalizzazione.
La rivoluzione industriale fu una rivoluzione europea. Gli storici si sono
inten·ogati sulle ragioni per le quali essa non si realizzò in altre parti del
mondo, dove pure esistevano antiche civiltà, che avevano dato un contribu-
to alle co11oscenze scientifiche e tecnologiche. In Cina, per esempio, erano
state inventate la carta, la stampa, la polvere da sparo, la carriola, la bussola
e la porcellana; nei paesi islamici si erano affermate, nel M edioevo, una
scienza e una tecnologia più avanzate di quelle europee e in India si era dif-
fusa, nel Seicento, un'industria tessile a domicilio capace di esportare i suoi
prodotti in altri paesi asiatici e persino in Europa.
Evidentemente, però, fu in Europa che si verificarono le condizioni più
favorevoli per lo sviluppo della scienza, della tecnica e d.ell' iniziativa eco-
nomica. Esse possono essere così schematicamente riassunte:
a) la visione del niondo degli Europei, che fu certamente lo stimolo più
potente allo sviluppo; essi avevano maturato una crescente fiducia nelle ca-
pacità dell'uomo di dominare la natura e di servirsene a suo vantaggio e a
ciò aveva contribuito anche la posizione del cristianesimo sul lavoro e sul
rapporto fra l' uomo e la natura: non aveva forse Dio - come si legge nella
Bibbia - ingiunto all'uomo di guadagnare il pane con il sudore della sua
fronte e non gli aveva dato il dominio su tutte le altre creature, sulle piante e
sulla terra, che egli era autorizzato ad assoggettare per il suo sostentamento?
b) la frammentazione politica europea, con tanti Stati grandi e piccoli,
che in qualche modo favorì la competizione fra di loro, dapprima nelle sco-
perte geografiche e nella conquista del Nuovo Mondo, e poi nel campo eco-
nomico, stimolando lo sviluppo;
c) la Riforma protestante, che fornì una giustificazione ali'arricchimen-
to, considerando il successo e la ricchezza raggiunti dall'uomo probo e la-
borioso un segno della benevolenza divina, poiché egli aveva seguito la
<<vocazione>> a cui era stato chiamato da Dio; com'è noto, l'etica protestan-
te sarebbe stata, secondo M ax Weber, il famoso economista e sociologo te-
desco (1864-1 920), la ragione per la quale i paesi che avevano aderito alla
Riforma, in particolare al calvinismo, riuscirono a svilupparsi più rapida-
mente dei paesi legati al cattolicesimo, sempre sospettoso verso l' accumu-
lazione individuale della ricchezza;
d) la partecipazione democratica dei cittadini al governo del paese, che
si stava diffondendo in Europa, a partire dalla Gran Bretagna, e che consen-
tiva quanto meno ai ceti borghesi di difendere e sostenere i propri interessi
economici e di lottare contro i privilegi e gli abusi delle classi privilegiate;
le imposte, per esempio, non erano più arbitrarie, ma dovevano essere fissa-
84 La prima rivoluzione industriale (1750-1850)
cedendo loro a basso prezzo vaste strisce di terra (spesso larghe fino a 35
chilometri) ai lati delle strade ferrate, che poi esse rivendevano con ottimi
profitti quando i territor i attraversati erano colonizzati.
2. Il macchinismo. Come in Europa, le prime manifatture si giovarono
della tecnologia inglese, ma vi furono anche numerosi apporti originali da
parte degli Americani, come il telegrafo, inventato da Samuel Morse ( 1840),
e la macchina per cucire, dovuta a Elias Howe (1846). Diversi imprenditori
seppero sfruttare queste innovazioni e fondarono le prime grandi imprese,
favoriti dalla legislazio11e americana, che non prevedeva apprendistato o li-
cenze per iniziare una qualsiasi attività produttiva. La ragione per la quale
gli Stati Uniti fecero un notevole uso di macchine è che in quel grande Pae-
se la manodopera risultava insufficiente per assicurare lo sfruttamento delle
immense risorse disponibili. I salari erano mediamente superiori a quelli
europei e, perciò, risultò conveniente rimpiazzare il lavoro degli uomini
con le macchine, mentre in Europa esse erano ostacolate dagli operai che
temevano di perdere il lavoro.
3. Il sistema americano di produzione. Le innovazioni americane più im-
portanti furono la standardizzazione dei prodotti e la catena di montaggio,
tese a ridurre il costo dei manufatti, soprattutto risparmiando manodopera. Eli
Whitney, inoltre, introdusse (1800) il sistema dei pezzi intercambiabili, gra-
zie al quale cominciò a costruire armi con p ezzi standardizzati e intercambia-
bili. La catena di montaggio consentiva di ottenere oggetti composti di singo-
li pezzi, in modo tale che, se si rompeva un pezzo, poteva essere sostituito
senza dover buttare via l'intero oggetto danneggiato, come avveniva in pre-
cedenza. Questo modo di produ1Te, detto sistema americano, si diffuse suc-
cessivamente in tutto il mondo e venne applicato a molti processi produttivi
(biciclette, macchine per scrivere, automobili, ecc.). La produzione di massa
diventava possibile e la società americana, giovane e con una struttura sociale
flessibile, si mostrò particolarmente adatta ad accogliere prodotti standardiz-
zati, al contrario di quella europea, che preferiva prodotti artigianali di qualità.
A poco a poco si determinò, negli Stati Uniti, una divisione del lavoro
su base geografica, con la formazione di tre aree disti11te: l'Est industriale,
l' Ovest agricolo e il Sud produttore di cotone, coltivato in grandi pianta-
gioni con schiavi negri. L'Ovest inviava i suoi prodotti agricoli al Sud at-
traverso il Mississippi, il Sud spediva il cotone dai suoi porti verso il Nord
e verso l'Europa e l'Est vendeva i suoi manufatti all' Ovest.
PARTE SECONDA
LA SECONDA RIVOLUZIONE
INDUSTRIALE
(1850-1950)
9.
LE FASI
DELLA CRESCITA
(1850-1914)
U11a prima fase di espansione (fase a del ciclo Kondratieff) va dal 1848
al 1873 e fu contraddistinta dall' incremento dei prezzi, dei salari e dei pro-
fitti. In generale, se un eccessivo aumento dei prezzi, ossia una forte infla-
zione, crea problemi all'economia, un loro incremento moderato e regolare
consente alle imprese di realizzare buoni profitti e quindi di aumentare i sa-
lari e di effettuare maggiori investimenti. L'aumento dei salari permette ai
lavoratori d' incrementare i consumi, con vantaggio p er la produzione e per
la vendita di molti beni, mentre la possibilità di effettuare maggiori inve-
stimenti fa sviluppare l' attività produttiva e, per conseguenza, anche l' occu-
pazione. Le imprese, inoltre, conseguono utili più elevati e perciò, potendo
contare su maggiori disponibilità, corrono minori rischi di fallimento nei
momenti di crisi.
Nel periodo in esame vi fu un rapido sviluppo di tutti i settori, alimentato
dal libero scambio, dallo sviluppo dei trasporti e dalla disponibilità di oro.
1. L 'affermazione del libero scambio. Esso fu adottato da quasi tutti i pae-
si europei, che seguirono l'esempio della Gran Bretagna, se non nelle moda-
9. Le/asi della crescita (1850-1914) 89
9.3. La depressione
Nel 1873, in coincidenza con una crisi finanziaria che investì i mercati
di Berlino, Vienna e New York, iniziò un lungo periodo di depressione, per
il quale si usò la locuzione <<Grande depressione>>, durato fino al 1896 (fase
b del ciclo Kondratieff). I prezzi agricoli e industriali diminuirono, i salari
frenarono e vi fu la tendenza alla riduzione del tasso di profitto. Il malcon-
tento delle masse dei lavoratori portò all'affermazione dei partiti socialisti e
allo sviluppo del movimento sindacale.
La diminuzione dei prezzi e dei profitti ebbe diverse cause, fra cui una
maggiore offerta di beni, la riduzione dei costi di trasporto e la diminuzione
della produzione aurifera.
1. L'aumento dell 'offerta sia dei prodotti agricoli che di quelli indu-
striali. L'industria mise a disposizione dei consumatori t1na gran qt1antità
di beni a prezzi sempre più contenuti, che non si riuscivano sempre a col-
locare sul mercato per deficienza di domanda. Anche la produzione agri-
cola aumentò notevolmente, specialmente grazie alla messa a coltura di
nuovi territori.
2. La ,-iduzione dei costi di trasporto e la conseguente crisi agraria eu-
ropea. Le nuove tecnologie resero più veloci e sicuri i mezzi di trasporto e
consentirono alle merci di raggiungere anche mercati molto lontani. Una ta-
le situazione, in genere, doveva costituire un vantaggio e paesi come gli
Stati Uniti, in effetti, ne trassero grosso g iovamento in termini di produzio-
ne e di profitti, mentre l'Europa si vide invasa dal grano americano e da
quello russo e dovette affrontare una crisi agraria abbastanza lunga, co11 una
riduzione dei red.diti degli agricoltori. Anche i prezzi di altri prodotti agri-
coli ne risentirono e calarono dappertutto, rovinando parecchi contadini,
molti dei quali furono costretti ad abbandonare le campagne per trasferirsi
in città alla ricerca di un lavoro o emigrare all' estero.
3. La diminuzione della produzione di oro. Il progressivo esaurimento, a
partire dagli anni Settanta, delle miniere della California e dell'Australia,
provocò u11a diminuzione della produzione aurifera. Essa, tuttavia, si man-
tenne a buoni livel li, diminuendo, nel periodo 187 1- 1900, solo del 15 per
cento rispetto al ventennio precedente, ma la quantità di moneta in circola-
zione non risultò più sufficiente alle necessità di un accresciuto volume dei
traffici e della produzione e perciò contribuì alla diminuzione dei prezz i.
Tuttavia non bisogna dimenticare che, anche se si era in pres enza di una
depressione, essa s' inseriva su un trend positivo dell'economia. Proprio in
quegli anni, difatti, paesi come gli Stati Uniti e la Germania stavano cre-
scendo a ritmi sostenuti.
9. Le/asi della crescita (1850-1914) 91
1
Si parla di econoniie di scala quando il costo 1nedio di produzione di un bene diminui -
sce con l'aumentare delle di1nensioni dell'impianto produtti vo, che deve essere sfruttato al
massimo del le sue capacità. Ciò significa che, in genere, quando I ' impresa cresce d iminu i-
scono i costi medi di produzione (per esempio, il costo di produzione di un'automobile).
Raggiunte certe dimensioni, i costi possono smettere di diminuire e cominciano ad awnen-
tare: si parla allora di disecono,nie di scala.
92 La seconda rivoluzione industriale (1850-1950)
10.2. L'urbanesimo
ca, anche perché in genere gli emigrati erano giovani e lasciavano un vuoto
demografico che richiedeva tempo per essere colmato. I vantaggi, però, erano
notevoli. Innanzitutto, la partenza di molte persone comportava la riduzione
del!' offerta di braccia sul mercato del lavoro e i salari di coloro che rima-
nevano tendevano ad aumentare, consentendo un miglioramento delle con-
dizio11i di vita dei lavoratori. Un altro effetto positivo era costituito dalle
cospicue rimesse degli emigrati, che facevano affluire in patria preziosa va-
luta estera'. Le rimesse non solo andavano a beneficio delle famiglie degli
emigrati, ma risultavano vantaggiose per l' intera collettività. Esse, difatti,
depositate presso le banche o le casse di risparmio postali, potevano essere
investite in attività produttive private e in opere pubbliche. La valuta estera,
inoltre, cambiata in moneta nazionale dai parenti degli emigrati, metteva a
disposizione del Paese risorse finanziare che potevano essere utilizzate per
pagare le importazioni di beni e servizi.
Il principale effetto positivo per i paesi di destinazione fu che gli immi-
grati costituivano u11' apprezzabile risorsa per la nazione che li accoglieva, in
quanto si trattava di persone adu lte, che spesso conoscevano un mestiere e
cominciavano subito a lavorare, senza che fosse stato sostenuto alcun costo
per mantenerli fmo a quel momento. Essi possedevano anche spirito d' intra-
prendenza e capacità di adattamento, dato che avevano avuto abbastanza co-
raggio da lasciare la loro terra per recarsi in un paese lontano e sconosciuto,
dove avrebbero incontrato certamente notevoli difficoltà. Inoltre, trattandosi
principalmente di giovani, contribuivano a far aumentare il tasso di natalità e
quindi a far crescere la popolazione. Con il loro lavoro, infine, concorrevano
a creare ricchezza e benessere nel paese in cui si insediavano.
Il principale problema era costituito dalla difficoltà d' integrazione. Spesso
i nuovi arrivati, oltre a non conoscere la lingua, che i più giovani imparavano
abbastanza rapidamente, avevano anche religione, usanze e costumi diversi
rispetto a coloro che già vivevano nel paese. Né mancarono contrapposi-
zioni, talvolta anche violente, con altri gruppi di immigrati. Le incompren-
sioni furono parecchie e molto spesso i nuovi a11·ivati dovettero subire vessa-
zioni, soprusi e angherie di ogni specie prima di potersi integrare.
1
La valuta estera è costituita dalle monete metalliche e dai biglietti di banca (o di Stato)
emessi da un paese straniero. La divisa è data dai titoli di credito con i quali si possono p a-
gare i debiti all'estero (assegni, cambiali, ordini di pagamento, ecc.).
11.
LE CONDIZIONI
DELLA CRESCITA
TRASPORTI , BANCHE E MONETA
La rivoluzione dei trasporti s' intensificò nel secolo della seconda rivo-
luzione industriale, trasformando completamente il modo di muoversi degli
uomini e di trasportare le merci. Ne conseguì un ulteriore forte impulso alla
produzione e al commercio. La crescita degli scambi e la necessità di una
maggior e mobilità delle persone diedero, a loro volta, una forte spinta al
miglioramento dei mezzi di trasporto a allo sviluppo del sistema delle co-
. . .
mun1caz1on1.
La rete stradale non fece molti progressi. Le strade, però, furono sicu-
ramente migliorate e ne vennero costruite di nuove, in particolare nei paesi
che a metà Ottocento erano rimasti indietro, come la Germania, l' Italia e la
Russia. Dopo il 1870 il traffico stradale s i ridusse in seguito a lla costruzio-
ne delle ferrovie, ad eccezione di qt1ello svolto su lle strade che collegavano
la stazione ferroviaria ai paesi viciI1i. Fu solo co11 lo sviluppo degli autovei-
coli, nella prima metà del secolo XX, che le strade ripresero grande impor-
tanza per il trasporto di merci e persone.
Fra la metà dell' Ottocento e la Prima guerra mondiale, i risultati più rile-
vanti furono raggiunti dalle ferrovie e dalla navigazione a vapore. La rete fer-
roviaria m.ondiale passò, fì·a il 1850 e il 19 14, da 35 mila chilometri a quasi
1,1 milioni. In una settantina d'anni si era sostanzialmente costruita la rete
ferroviaria ancora oggi in funzione (1,4 milioni di chilometri). Nel 19 14, po-
co meno del 40 per cento delle ferrovie si trovava negli Stati Uniti e quasi il
28 per cento in Europa (esclusa la Russia). Ormai la strada ferrata, percorsa
da lunghi convogli trainati da sbuffa11ti <<Vaporiere>> ( come si chiamarono le
locomotive fino agli anni Settanta dell' Ottocento) era entrata a far parte del
paesaggio del vecchio e del nuovo contmente.
100 La seconda rivoluzione i11.dustriale (1850-1950)
'
,,,
1860
1880
vano da imbarcare durante il loro percorso. Questo sistema era così esteso
che i <<tramps>> assorbivano, nel 1914, quasi la metà del traffico mondiale.
Nei primi anni del secolo XX, l'aviazione era ancora ai primordi e aveva
una scarsa importanza economica. Nel 1903, i fratelli Wright erano riusciti a
far volare il loro primo aeroplano per appena 15 secondi su una spiaggia del
North Carolina, negli Stati Uniti. Il progresso in questo campo fu rapidiss i-
mo e già pochi anni dopo (1909) Louis Blériot attraversava la Manica a bor-
do di un velivolo. La costruzione di aerei, però, era ancora molto limitata
(fino al 191 2 erano di legno e tela) e il loro rilievo come mezzi di trasporto
quasi del tutto inesistente. L 'aeroplano conobbe una certa popolarità durante
la Prima gue1Ta mondiale, quando fu utilizzato dapprima per la ricognizione
aerea, poi come caccia e infine per i bombardamenti. Dopo il conflitto, gli
aerei, che usarono la propulsione a elica fino al secondo d.o poguerra, venne-
ro impiegati nel trasporto della posta e di passeggeri paganti. L'aviazione
commerciale iniziò a svilupparsi negli anni Venti e Trenta. In seguito alla
traversata dell' Atlantico da parte dell 'americano Charles Lindbergh (1927),
furono organizzati i primi voli di linea fra Stati Uniti ed Europa.
Gli effetti della rivoluzione dei trasporti sullo sviluppo economico furo-
no rilevanti e riguardarono tutti i settori:
a) il commercio, che ovviamente risentì dei vantaggi più immediati e
tangibili; le merci di ogni tipo poterono raggiungere mercati lontani a costi
molto più bassi di prima, anche perché potevano utilizzare, uno dopo
l' altro, diversi mezzi di trasporto (carri, treni, automezzi, navi, ecc.);
b) l'agricoltura, che fu in grado di attuare una specializzazione delle
colture, poiché ogni regione poté dedicarsi alle coltivazioni più adatte alla
natura del suolo e alle condizioni climatiche;
c) le industrie, che produssero numerosi beni necessari al sistema dei
trasporti, come quelle siderurg iche, metallurgiche e meccaniche (rotaie, lo-
comotive, carrozze, ponti di ferro, navi, automobili, ecc.), ma anche le in-
dustrie estrattive (carbone) e dei laterizi (stazioni ferroviarie, porti);
d) le banche, che furono chiamate a finanziare sia le compagnie fen·o-
viarie che quelle marittime e realizzarono buoni profitti.
11.3. Le comunicazioni
Alla vigilia della Prima gue1Ta mondiale, anche le notizie ormai viag-
giavano con grande rapidità, grazie al telegrafo e al telefono. Il telegrafo
elettrico di Samuel Morse, brevettato nel 1840, si diffuse in breve tempo e
nel 1870 u.n a rete telegrafica ricopriva l'Europa e gli Stati Uniti, peraltro da
104 La seconda rivoluzione i11.dustriale (J 8 50-195 O)
Fino alla metà dell' Ottocento, il credito era stato sostanzialmente eserci-
tato da grandi banchieri privati e dalle banche di emissione, oltre che da
antiche istituzioni creditizie, poco adeguate ai nuovi tempi. Nella seconda
11. Le condizioni della crescita: trasporti, banche e moneta 105
metà del secolo furono introdotte altre forme di credito e si istituirono nuo-
ve categorie di banche, che diedero vita a veri e propri sistemi bancari in
grado di soddisfare le esigenze di una più vasta gamma di clienti.
1. Casse di risparmio. Sorte già nella prima metà dell ' Ottocento in Euro-
pa e in America (e in qualche paese europeo ancora prima), per iniziativa
pubblica o di privati cittadini, le casse di risparmio raccoglievano piccoli ri-
sparmi dalle persone di modesta condizione, come contadini, artigiani, operai
o domestici, ai quali con·ispondevano un interesse. Il loro scopo era di con-
sentire anche ai meno abbienti di accumulare un discreto capitale da utilizza-
re in caso di necessità, educandoli al risparmio. Le somme raccolte erano de-
stinate a impieghi sicuri, in genere tito li di Stato, ma non mancarono anche
prestiti ipotecari. Nella seconda metà del secolo, alle casse di risparmio ordi-
narie si affiancarono, in moltissimi paesi, le Casse di risparmio postali, inca-
ricate di raccogliere il risparmio presso gli uffici postali, presenti anche nei
centri più piccoli, dove quasi sempre mancava uno sportello bancario.
2. Istituti di credito fondiario. Il loro scopo era di concedere mutui di lun-
ga durata (fmo a 50 anni), rimborsabili a rate, secondo un piano di ammorta-
mento2, garantiti da ipoteca su immobili (terreni e fabbricati). Si approvvi-
gionavano di fondi mediante l'emissione di proprie obbligazioni, dette <<car-
telle fondiarie>>, e si diffusero in molti paesi, tranne che in Gran Bretagna e
negli Stati Uniti. Sorti per sovvenire i proprietari fondiari, riuscirono, invece,
più utili alla proprietà urbana e fmanziarono spesso le speculazioni edilizie.
3. Banche cooperative. Queste banche, fondate sotto forma di società
cooperative (vedi p. 125), si dividevano in banche popolari, nei centri più.
importanti, e casse rurali, nelle zone agricole, con il compito di accettare
depositi e concedere prestiti ai soci che, in genere, erano negozianti, arti-
giani, impiegati, contadini e altre persone di media condizione.
4. Banche commerciali o di deposito. Costituite, per lo più, sotto forma
di società anonime (jo int stock banks), disponevano di una rete di sportelli,
raccoglievano depositi dal grande pubblico, che remuneravano con un inte-
resse, e investivano i fondi disponibili prestandoli in varie forme a operatori
economici grandi e piccoli.
La varietà di aziende di credito consentiva a tutti di accedere ai servizi
bancari, dallo Stato al grande capitalista, dal proprietario terriero all'impren-
ditore, dal commerciante all'industriale, dall'artigiano al contadino.
2
L' am.mortarnento di un prestito è una procedura conta bi le con la quale si rimborsa gra-
dualmente il prestito ottenuto. La modalità più diffusa è quella a rate costanti, in cui le rate
(che possono essere 1nensili, trimestrali, semestrali, ecc.) comprendono una quota di capitale
(crescente) e una quota di interessi (decrescente, perché ca lcolata sul debito residuo dopo il
pagamento di ciascuna rata).
106 La seconda rivoluzione i11.dustriale (1850-1950)
Al vertice dei sistemi bancari vi erano gli istituti di emissione, che co-
minciavano ad agire come <<prestatori di ultima istanza>> o <<banche delle
banche>>. Ciò s ignifica che le altre banche quando avevano bisogno di presti-
ti si rivolgevano agli istituti di emissione ( che erano in grado di prestare de-
naro anche stampando banconote), ai quali pagavano un interesse in base al
tasso ufficiale di sconto. Questo tasso era fissato dagli stessi istituti di emis-
sione ed era detto così perché i prestiti consistevano, per la maggior parte,
nello sconto (o meglio, risconto) delle cambiali detenute dalle banche, che a
loro volta le avevano scontate ai propri clienti. Per conseguenza, gli interessi
attivi e passivi delle banche si dovevano adeguare al tasso ufficiale di scon-
to: se questo saliva gli interessi aumentavano e se scendeva gli interessi di-
minuivano. Con il tempo, gli istituti di emissione, che di norma operavano
anche per conto dello Stato, ottennero la funzione di controllare il sistema
bancario di un paese e perciò si dissero banche centrali.
I biglietti degli istituti di emissione, intanto, venivano riconosciuti dapper-
tutto come moneta a corso legale, a cominciare dall'Inghilterra (1833), segui-
ta alcuni decenni più tardi da Stati Uniti, Francia e Italia (1864-74), per finire
solo agli inizi del nuovo secolo con la Germania (1909). La conseguenza del
riconoscimento del corso legale alle banconote fu una generale riduzione del-
le monete metalliche in circolazione. Già nel 1885, difatti, le monete d' oro e
d'argento rappresentavano soltanto il 38 per cento dei mezzi di pagamento
disponibili al mondo, percentuale che si ridusse al 17 per cento alla vigilia
della Prima guerra mondiale. Ormai i principali mezzi di pagamento erano
rappresentati dalla moneta bancaria, espressione sotto la quale si comprende-
vano non solo i biglietti di banca (25 per cento) ma anche i depositi a vista
presso le banche, utilizzabili mediante assegni (58 per cento).
U11 altro elemento molto importante, che favorì la crescita economica del
periodo in esame, fu l'adesione di quasi tutti i paesi al gold standard. Come
si ricorderà, solo la Gran Bretagna aveva formalmente adottato il sistema
108 La seconda rivoluzione iridustriale (J 850-1950)
aureo, mentre gli altri paesi europei avevano conservato un sistema bimetal-
lico oro-argento, tranne qualcuno rimasto fedele al monometallismo argen-
teo. La contemporanea esistenza in un paese di monete d ' oro e d'argento ri-
chiedeva che il rapporto di valore fra i due metalli restasse pressoché inva-
riato nel tempo. Invece, tale rapporto mutò, in particolare dopo il 1870,
quando l' enorme produzione di argento delle miniere scoperte nel Nevada
(Stati Uniti), fece diminuire il valore dell' argento rispetto all'oro. Per conse-
guenza, siccome in un sistema bimetallico si potevano utilizzare per i paga-
menti sia le monete d'argento sia quelle d'oro, si adoperarono a questo sco-
po solo le monete d ' argento, mentre quelle d'oro venivano tesaurizzate o
erano usate per effettuare pagamenti all'estero, dove erano accettate al valo-
re del metallo fino contenuto. In tal modo, la moneta cattiva (d'argento)
scacciava la moneta buona (d ' oro) dalla circolazione, come afferma la <<leg-
ge di Gresham>>, formulata da Thomas Gresham nel Cinquecento. Perciò, a
poco a poco, fra il 1873 e il 1900, i paesi industrializzati preferirono aderire
al gold standard (Germania, 1873; Francia, Italia e Belgio, 1878; Austria-
Ungheria, 1892; Russia, 1897-99; Giappone, 1897; Stati Uniti, 1900).
Con l'adesione al gold standard si realizzava un sistema di cambi fissi
fra le monete, tutte legate all'oro. Il cambio dipendeva dal contenuto di oro
fino di ciascuna moneta, anche quando si utilizzavano le banconote, poiché
queste ultime erano convertibili in oro. Un regime di cambi fissi elimina il
rischio di cambio e perciò il commercio estero è favorito dal fatto che im-
portatori ed esportatori possono fare i loro calcoli di convenienza sulla base
di cambi stabili delle monete. Anche gli investimenti all'estero risultano più
sicuri. P er comprender11e il motivo, si consideri il segue11te esempio: un
francese investe 1,9 milioni di franchi in Germania, pari a un milione di
marchi (al cambio dell'epoca); l' investimento va bene ed egli guadagna
100 mila marchi, sicché il suo capitale diventa di 1, 1 milioni di marchi. Se,
però, nel momento in cui riconverte il suo capitale in franchi, il valore del
marco è diminuito, l'investitore francese potrebbe ottenere, per esempio,
1,8 milioni di franchi, cioè meno di quando ha investito, semplicemente
perché 11el frattempo il cambio tra franco e marco è variato.
Nel sistema dei pagamenti internazionali, comunque, va ricordato il ruo-
lo della sterlina, accettata in ogni parte del mondo e quindi diventata una
sorta di moneta internazionale, sia perché era più solida delle altre, sia
principalmente per i servizi finanziari che la piazza di Londra era in grado
di garantire (banche, assicurazioni, borsa, investimenti esteri, ecc.).
12.
.
LE ATTIVITA
PRODUTTIVE
tore mieteva 9.000 metri quadrati e, nel 1945, con una mietitrebbiatrice ar-
rivava a mietere 10.000 metri quadrati (un ettaro) all' ora, co11 il vantaggio
di aver compiuto anche il lavoro della trebbiatura.
Le macchine agricole si diffondevano specialmente quando ricorrevano
almeno due condizioni essenziali: la presenza della grande proprietà e la
pratica della monocoltura granaria, con vaste estensioni di terra pianeg-
giante. Solo i grandi proprietari si potevano permettere di effettuare i ne-
cessari investimenti. I piccoli proprietari, invece, non erano in grado di do-
tarsi delle macchine più costose, a meno che, come avveniva in Germania,
non si associassero per costituire cooperative per il loro acquisto e per l'uso
a turno da parte dei soci. Né era possibile adoperare le macchine nei poderi
che praticavano la policoltura, mentre risultavano particolarmente efficaci
nelle zone cerealicole, dove sostituivano i lavoratori giornalieri. In molti
paesi europei, perciò, la loro introduzione si scontrò spesso con l'opposi-
zione dei braccianti, che diedero vita a violente proteste durante le quali di-
struggevano le nuove falciatrici e mietitrici.
La diffusione dell'uso dei concimi fu l'altro elemento che favorì l'aumento
della produttività in agricoltura. La meccanizzazione aveva consentito sol-
tanto di accrescere la produttività del lavoro, ma fu merito dei fertilizzanti
se aumentarono anche i rendimenti e la produzione. Fino al 1840 si erano
adoperati quasi solo i concimi naturali, come il letame. Dopo la metà del
secolo, i paesi europei cominciarono a importare il guano ( escrementi di
uccelli marini depositati lungo le coste, ricchi di fosfati e di nitrati) dal Cile
e dal Perù e il nitrato di sodio dal Cile e dalla Bolivia. Poi si utilizzarono le
scorie fosforiche che residuavano dal processo Thomas per la produzione di
acciaio e, infme, gli studi di Justus von Liebig consentirono di mettere a
punto i concimi chimici, che la nascente industria chimica dei principali pae-
si industrializzati riuscì a produrre in gran quantità. Divennero allora di uso
comune la potassa, i fosfati e i nitrati, che servivano a ridare fertilità al ter-
reno, e gli antiparassitari, utilizzati per difendere le piante dalle malattie.
re l'accresciuta richiesta del mercato mondiale. Già prima della Grande guer-
ra, queste piantagioni, organizzate con criteri capitalistici, misero in crisi la
raccolta di gomma brasiliana, riuscendo a fornire un prod.o tto a costi più bassi
e con maggiore regolarità, e provocarono il declino della città di Manaus.
Se verso la metà dell' Ottocento nelle principali nazioni europee l' agri-
coltura era ancora l' attività economica prevalente, alla vigilia d ella Prima
guerra mondiale erano ormai l' industria e il settore terziario (per la maggior
parte indotto dallo sviluppo industriale) a dominare la scena. L ' attività in-
dustriale fu caratterizzata, da un lato, dal progresso d.ei sistemi di produzio-
ne e, dall' altro, da una crescente concentrazione, che portò alla creazione di
grandi imprese.
Nella seconda metà dell'Ottocento si concentrò un numero rilevante di
invenzioni. Ebbe luogo allora una vera rivoluzione tecnologica, grazie al le-
game più stretto che si venne a creare fra scienza, tecnica e industria. Il tem-
po necessario per passare da una scoperta scientifica alla sua pratica attua-
zione si ridusse notevolmente: se occorse più di un secolo per mettere a pun-
to la macchina a vapore e adattarla alle locomotive, bastò mezzo secolo per
passare dall'individuazione dei principi alla costruzione dei motori elettrici e
meno di trent' anni per applicare il motore a scoppio alle prime automobili
prodotte in forma industriale. La necessità di affrontar e e risolvere nuovi
problemi posti dai processi produttivi, sempre più complessi, obbligò ad una
collaborazione fra ricerca <<pura>> e applicazioni tecniche. I ricercatori, inol-
tre, ormai dialogavano fra di loro e spesso giungevano separatamente alle
medesime conclusioni, che permettevano di realizzare un'invenzione appli-
cabile all' industria. L ' invenzione si spersonalizzava e diventava sempre più
frutto di un lavoro comune fra diversi individui.
La ricerca scientifica si organizzò, oltre che nelle università, com'era
ovvio, anche presso le aziende, in particolare quelle chimiche, che furono le
più interessate a nuove scoperte. La ricerca venne considerata una delle fun-
zioni della grande impresa, che era l'unica a poter fmanziare gli studi dai
quali si attendeva un vantaggio. In questo campo, la Germania fu all'avan-
guardia : la Bayer, per esempio, assunse, a partire dal 1875, chimici laureati
per condurre ricerche sulle materie coloranti, conseguendo buoni risultati.
I laboratori di ricerca delle industrie più importanti cominciarono a stringe-
re rapporti con i laboratori universitari, dando iniz io ad una proficua colla-
borazione fra università e impres e.
12. Le attività produttive 113
entrambe sorte nel 1899. Negli Stati Uniti, lo stabilimento di Henry Ford
(1903) occupava ben 14.000 operai nel 19 14, quando in America già circo-
lavano 1, 7 milioni di automobili, contro le 108 mila della Francia.
Altre invenzioni diedero luogo a nuove attività produttive e svilupparono
industrie di tutto rilievo, specialmente dopo la Prima guerra mondiale. La
macchina per scrivere fu costruita su scala industriale negli Stati Uniti, a par-
tire dal 1873, nella fabbrica di armi di Philo Remington, ma si affermò solo
verso la fme del secolo. In Italia la produzione ebbe inizio con il primo bre-
vetto di Camillo Olivetti, nella sua fabbrica di Ivrea (1908). Le 1nacchine ti-
pografiche furono perfezionate, in particolare la rotativa per la stampa dei
giornali (già apparsa nel 1847), e altre ne furono inventate, come la linotype
per la composizione (1884), durata oltre un secolo fino all' introduzione dei
computer. Infine, bisogna ricordare la macchina fotografica prodotta dalla
Kodak, che semplificò il procedimento per ottenere bt1one riproduzioni e ri-
dusse i costi, mettendo la fotografia alla portata di tutti.
1
La bilancia dei pagamenti è costituita dall a djfferenza fra tutti i pagamenti e tutte le ri-
scossioni di un paese verso il resto del mondo. I paga,nenti (uscite) di un paese sono dovuti
a: importazjoni di merci, acquisto di servizi all 'estero (noli, assicurazioni, servizi bancari ,
ecc.), spese dei turisti nazionali all 'estero, rimesse di denaro degli immigrati nei loro paesi
di origine, interessi pagati a stranieri sui loro investimenti e investimenti nazionali all 'estero.
Le riscossioni (entrate) dj un paese si ottengono da: esportazioni di merci, vendita di servizj a
stranjeri (noli, assicurazioni , servizi bancari, ecc.), spese dei turisti stranieri , rimesse di denaro
da parte dei propri emigrati, riscossione dj interessi sui capitali investiti all'estero e investi-
menti provenienti dall 'estero. Se le riscossioni superano i pagamenti si ha un avanzo, che bi-
sognerà riscuotere in danaro (o in oro) ; se i pagamenti superano le riscossioni si ha un disa-
vanzo, che bisognerà pagare in danaro (o in oro). La sola differenza fra il valore delle impor-
tazioni e delle esportazioni ili merci, come si è visto, costituisce la bilancia commerciale, che
è solo una parte, sia pure molto importante, della bilancia dei pagamenti.
13.
LA GRANDE
IMPRESA
1
Il pacchetto di controllo è la quantità di azioni che consente il controllo di una società.
Non è necessario che esso sia costituito da più del 50 per cento delle azioni, perché, se la mag-
gior parte delle azioni è distribuita fra un gran numero di azionisti, basta anche una quota infe-
ri ore per controllare la società. Quando le azioni di una società sono in mano a un grandissuno
ntunero di azionisti, il controllo è sostanziahnente nelle mani dei n1anager. Si parla allora, nella
terminologia anglosassone, di public con1pany, ossia di società ad azionariato diffuso.
124 La seconda rivoluzione industriale (J 8 50-195 O)
Gli studi sull' organizzazione scientifica del lavoro furono app licati, per
la produzione in serie, alla catena di montaggio, costituita da un nastro sul
quale scorrevano i pezzi su cui ogni lavoratore doveva compiere, nel tempo
previsto, l'operazione di sua competenza. Siccome le mansioni alla catena
di montaggio erano molto semplici e si potevano facilmente apprender e in
poco tempo, gli operai specializzati, che avevano costituito i primi sindaca-
ti, persero prestigio e potere contrattuale all'interno della fabbrica a favore
degli operai generici. I ritmi di lavoro subirono una forte accelerazione e la
spersonalizzazione dell'attività lavorativa divenne la caratteristica specifica
del sistema di fabbrica.
La catena di montaggio fu particolarmente utilizzata, nei primi decenni
del secolo XX, dall'industria automobilistica. La costruzione delle autovet-
ture si prestava in modo particolare a sfruttare le possibilità offerte dal-
l' assemblaggio di pezzi standardi zzati . Il merito di averla applicata su larga
scala spetta a Henry Ford, che ebbe anche l'intuizione di fare dell'auto-
mobile, nata come bene di lusso, un oggetto alla portata delle masse. Perciò
praticò una politica di alti salari, in modo da consentire agli operai e ai la-
voratori in genere di poter acquistare, eventualmente a rate, le autovetture
standardizzate che era in grado di produn·e a costi contenuti. Era nato il co-
siddetto modello fordista di sviluppo (o fordismo).
La fabbrica fordista risultò conveniente anche per la produzione di altri
beni standardizzati, da collocare su un mercato che si andava ampliando a
mano a mano che i salari reali 2 crescevano e i consumi di massa si diffon-
devano. Dagli Stati Uniti, dov'era nato e dove si affermò fra le due guerr e
mondiali, il modello fordista si estese, sp ecialmente nel secondo dopoguer-
ra, agli altri paesi industrializzati, a cominciare da quelli europei. La fab-
brica standardi zzata secondo il modello taylorista presentava, però, qual-
che punto debole. La catena di montaggio doveva funzionare senza alcuna
interruzione, dato che il lavoro di un operaio era strettamene collegato a
quello degli altri. Perciò, per esempio, bastava uno sciopero a scacchiera di
pochi lavoratori nei vari reparti p er paralizzare l'intera produzione.
Il taylorismo e la catena di montaggio furono fortemente criticati, in
particolare dalle associazioni sindacali, per la monotonia delle operazioni
da compiere e per i disturbi psichici che potevano arrecare ai lavoratori,
oltre che p er la liquidazione della professio11alità operaia.
2
Il salario reale è dato dalla quantità di beni e servizi che si possono acquistare con il
salario nominale, ossia quello percepito dal lavoratore dipendente. Perciò, vi può essere un
aumento del sala1io nominale, ma non del salario reale, se nel frattempo i prezzi sono au-
mentati in misura maggiore dell'incremento salariale.
13. La grande impresa 125
Tab. 14.1. - Tassi p ercentuali m edi annui di crescita del Pii p ro capite nei
p ri11.cip ali p aesi, per p eriodi, dal 1820 al 201O
Tab. 14.2. - Livello del Pii pro capite dei p rincipali paesi raffrontato con quel-
lo della Gran Bretag na, p er alcuni anni dal 1820 al 201 O
Nella seconda metà dell' Ottocento, la Gran Bretagna visse uno dei pe-
riodi più prosperi de lla sua storia, che sostanzialmente coincise con il lungo
regno della regina V ittoria (1837-1901). L'età vittoriana, però, si chiuse
con un rallentamento della crescita, che ha fa tto parlare di declino <<relati-
vo>> della Gran Bretagna, la quale rimaneva comunque la principale potenza
economica europea. In effetti, non vi fu una decadenza assoluta, ma una
sorta di offuscamento del suo primato, dovuto al fa tto che i paes i inseguito-
ri erano riusciti a sviluppare un maggiore dinamismo e avevano accorciato
le distanze da essa o l'avevano addirittura superata (Stati Uniti). Prima del-
la Grande guerra, pure la Germania l'aveva sorpassata in alcuni rami pro-
duttivi, anche se il suo Pil pro capite era ancora il 7 1 per cento di quello bri-
tannico. L'economia del Paese d'o ltremanica mostrava evidenti sintomi di
debolezza, ma tuttavia le sue basi restavano solide.
Un elemento di forza era costituito dalla popolazione, che continuò a cre-
scere nonostante l' emigrazione, passando, fa il 1850 e il 1914, da una ventina
a più di 40 milioni, di cui oltre i tre quarti vivevano in città. L ' inditstria con-
servava un posto di primissimo pia.no, tanto che, intorno al 1870 la Gran Bre-
tagna era ancora la prima nazione manifatturiera del mondo, con quasi il 32
per cento della produzione mondiale di manufatti. Alla vigilia della Prima
guerra mondiale, però, la sua quota si era ridotta al 14 per cento ed essa era
stata superata da Stati Uniti (36 per cento) e Germania (16 per cento). L 'im-
piego del vapore, ancora limitato a metà secolo XIX, si diffuse rapidamente e
la produzione di carbone registr ò un fortissimo incremento, tanto che un ter-
zo del prodotto poteva essere esportato. Le industrie traenti della pr ima rivo-
luzione industria le (tessile e siderurgica), viceversa, anche se applicarono, ma
130 La seconda rivoluzione industriale (1850-1950)
2
L'espressione laissez:faire è usata per indicare il principio della dottrina economica I i-
berista contraria all' intervento dello Stato in econo1nia. Essa de1i va dalla frase laissez-faire,
laissez-passer (lasciate fare, lasciate passare), utilizzata nel Settecento dai fisiocratici per ri-
chiedere libe1tà di produzione e di scambio.
132 La seconda rivoluzione industriale (J 8 50-195 O)
3
I dazi specifici colpiscono le merci in 1nisura fissa per categoria merceologica (per esem-
pio, 50 centesimi per ogni cappello importato), a prescindere dal loro prezzo, e perciò sono fa-
cilmente applicabili. I dazi ad valorem, viceversa, sono fissati in percentuale del prezzo del bene
(per esempio, il l Oper cento del prezzo dei cappelli), la cui esatta determinazione non sempre è
agevole, per la tendenza dell'iinportatore a dichiarare un valore inferi ore a quello effettivo.
15.
I PAESI A FORTE CRESCITA
GERMANIA E STATI UN ITI
1
Il termine oligopolio (dal greco oligos, poco, e polein, vendere) indjca una forma di mer-
cato in cui poche imprese controllano la produzione e la vendita ili un dato bene o servizio.
L'oligopoli o, affennatosi con il processo di concentrazione industriale iniziato alla fine del se-
colo XIX, è più frequente del monopolio, che prevede la presenz.a su] mercato di un solo pro-
duttore e venditore, condizione djfficile da realizzarsi, se non in determinati e limitati casi.
15. Gerniania e Stati Uniti 139
Intorno al 1860 gli Stati Uniti, con una popolazione di circa 31 milioni
di abitanti, avevano una quota della produzione industriale mondiale uguale
a quella francese ed erano superati solo dalla Gran Bretagna. Essi avevano
già realizzato il loro take off. Mezzo secolo più tardi, poco prima della
Grande guerra europea, la popolazione, con 92 milioni di abitanti, s i era
quasi triplicata e gli Stati Uniti detenevano più di un terzo della produzione
140 La seconda rivoluzione industriale (J 8 50-195 O)
rono mucche destinate alle fattorie degli agricoltori del Nordovest. Quan-
do questi ultimi non ebbero più bisogno di alh·o b estiame e il prezzo di-
minuì, gli spostamenti di mandrie guidate da cow-boys cessarono quasi
improvvisamente dopo il 1885.
consegnare quel li più riottosi all' esercito per una lunga ferma sotto le armi.
Le te1Te dei pomesciki erano affidate alle comunità di villaggio, che le distri-
buivano alle famiglie contadine ii1 base alle unità di lavoro di ciascuna di es-
se. In cambio, i servi dovevano pagare un canone o fornire gratuitamente la
loro opera owero erano tenuti a entrambe le prestazioni, ma non potevano
sposarsi senza l'autorizzazione del signore, per non mutare la composizione
della forza di lavoro familiare. I servi dello Stato si trovavano in una condi-
zione migliore di quelli dei pomesciki, con un minor caiico di obblighi, men-
tre i servi della famiglia imperiale erano in una condizione intermedia.
I contadini spesso si ribellavano e uccidevano i loro padroni, com ' era av-
venuto al tempo della zarina Caterina, quando il Paese fu scosso per un paio
d' anni (1773-75) dalla rivolta capeggiata da Emeljan Pugacev. Ma più che le
continue ribellioni, furono un movimento di idee contrario alla permanenza
della servitù e la sconfitta nella guerra di Crimea a portare all'emancipazione
dei contadini e alla riforma agraria. Durante la guerra di Crimea era em ersa
in tutta evidenza l'arretratezza del Paese: le navi da guerra russe non riusci-
rono a tenere testa alle forze navali inglesi e francesi, i fucili adoperati erano
antiquati e risultò difficile rifornire la città di Sebastopoli assediata per l' in-
sufficienza dei trasporti. Si comprese allora che una guerra moderna non po-
teva essere condotta da un esercito di soldati a11uolati per 25 anni, ma richie-
deva il ricorso alla mobilitazione generale di uomini liberi.
Perciò, nel 1861 lo zar Alessandro II decretò l'emancipazione dei servi
dei nobili e qualche anno dopo ( 1863 e 1866) anche quella dei servi della
famig lia imperiale e dello Stato. I servi conquistarono la Libertà personale e
i signori non ebbero più alcuna autorità su di loro. Ottennero anche in <<Uso
permanente>> la casa dove abitavano e un appezzamento di terra, in cambio
di un canone annuo a l pomescik. Non ebbero la proprietà della terra, come
volevano, ma potevano riscattare gli appezzamenti ottenuti e diventarne
pieni proprietari (dal 1881 il riscatto divenne obbligatorio), pagando al si-
gnore una somma pari alla capitalizzazione del canone al 6 per cento 1• Sic-
come i contadini non avrebbero mai potuto pagare il riscatto, lo Stato anti-
cipò 1'80 per cento di quanto dovuto ai signori, consegnando loro obbliga-
zioni statali che rendevano un interesse annuo. I contadini dovevano pagare
(anche a rate) il restante 20 per cento ai signori e rimborsare, in 49 annuali-
tà, 1'80 per cento anticipato dallo Stato.
1
La capitalizzazione è un procedimento mediante il quale si determina il valore di un
bene o di un titolo sulla base della rendita (nel nostro caso del canone) applicando un de-
terminato tasso di conversione (nel nostro caso il 6 per cento). Se, per esempio, il canone an -
nuo a carico di un contadino era di 12 rubli, mediante la p roporzione 100: 6 = x : 12 si ot-
tiene che x, ossia il valore della terra da riscattare, era pari a 200 n1bli.
16. Russia e Giappo,ie 147
Stato, fondata nel 1860, ma che solo nel 1897, quando la Russia aderì al
gold standard, divenne defmitivamente istituto di emissione, fu costretta a
tenere elevate riserve auree a garanzia dei propri biglietti, in modo da rassi-
curare gli investitori stranieri e convincerli a investire nel Paese. Questi ul-
timi arrivarono, ma preferirono affidare i fondi da investire alle banche rus-
se, che operavano come banche miste, piuttosto che direttamente alle socie-
tà private; così si sentivano pit) garantiti, perché confidavano nel fatto che
lo Stato sarebbe venuto in aiuto delle banche se si fossero trovate in diffi-
coltà, come aveva già fatto in più di un' occasione.
cilio e un solido ceto mercantile ed era fiorita una vigorosa cultura urbana
nelle grandi città in cui risied.evano i daimyo, come Edo (poi ribattezzata To-
kyo, con un milione di abitanti), Kyoto e Osaka. L 'istruzione era abbastanza
diffusa, con tassi di scolarizzazione superiori a quelli di diversi paesi euro-
pei. Infme, in Giappone non esistevano gli antagonismi sociali o le con-
n·apposizioni ideologiche che caratterizzavano i rapporti fra le classi nella
società europea. Le re lazioni fra le diverse categorie erano contraddistinte
da un forte senso di obbedienza e di disciplina nei confronti del capo, pecu-
liarità che risultò molto utile nell' organizzazione del lavoro in fabbrica.
Gli Americani, giunti sul Pacifico con la costituzione d.e llo Stato della
California (1850), desideravano allacciare rapporti commerciali con il Giap-
pone. Nel 1853, il commodoro americano Matthew P eny, al comando di una
squadra navale, entrò nella baia di Edo per consegnare allo shogun una lette-
ra del presidente degli Stati Uniti. Ritornato l'anno successivo, costrinse il
governo nipponico ad aprire i suoi porti al commercio con i paesi occiden-
tali. Gli Stati Uniti ( e poi altre nazioni europee) stipularono trattati commer-
ciali con il Giappone, imponendogli dazi doganali molto bassi sulle merci
importate e la loro presenza nel Paese. Perciò si parlò di <<trattati ineguali>>.
L'Italia, dopo essere stata, almeno fino al Rit1ascimento, fra le zone più
sviluppate d'Europa, aveva conosciuto un periodo di declino, dal quale si era
cominciata a risollevare solo durante il Settecento. La sua antica ricchezza è
testimoniata dal fatto che il Pil pro capite era ancora, nel 1700, pari a quasi
l' 80 per cento di quello britannico, ma nel 1820 si era ridotto al 53 per cento
(vedi tab. 8. 1). L'Italia rimase ai margini dell'economia europea fino a dopo
l'unificazione. Mancavano le condizioni per realizzare il decollo, che perciò
si verificò solo all'inizio del secolo XX.
Gli ostacoli che frenavano lo sviluppo economico italiano erano numerosi:
a) la lenta crescita della popolazione, che non consentì di dare un im-
pulso alle attività produttive; la popolazione, difatti, aumentò del 60 p er
cento fra il 1750 e il 1850 (da 15,5 a meno di 25 milioni), ossia molto meno
di quella inglese, che nel frattempo si era trip licata;
b) la natura del suolo, arabile solo p er metà della sua estensione e con po-
che zone pianeggianti (Pianura padana, Tavoliere di Puglia e qualche pianu-
ra lungo le coste), sicché la produzione di generi alimentari non era sufficien-
te a soddisfare i bisogni di una popolazione che comunque stava crescendo;
c) la scarsità di risorse 1ninerarie, con una modesta quantità di carbone
(Sardegna) e pochi giacimenti di minerale ferroso (isola d'Elba e Valle
d'Aosta); solo la Sicilia possedeva importanti miniere di zolfo, che alimen-
tavano un consistente flusso di esportazione;
d) l'inadeguatezza del sistema dei trasporti, con strade insufficienti, an-
che per la presenza delle catene montuose, e senza una rete di vie d'acqua
it1teme, perché mancavano fiumi navigabili, se si escludono il Po e qualche
suo affluente; solo la navigazione di cabotaggio lungo le coste consentiva il
col legamento fra le diverse parti della Penisola, ma teneva fuori le zone in-
154 La seconda rivoluzione industriale (1850-1950)
teme e, inoltre, le distanze erano spesso molto grandi (si pensi, per esem-
pio, al viaggio via mare da Venezia a Genova);
e) la scarsa disponibilità di capitali, che non si erano riusciti ad accu-
mulare precedentemente; inoltre, quelli disponibili si rivo lgevano, di nor-
ma, verso impieghi sicuri, come l'acquisto di terre o di titoli di Stato;
f) l'assenza di un mercato nazionale e la permanenza di ristretti mercati
locali, limite di cui molti erano consapevoli, tanto che una delle aspirazioni
più sentite dagli uomini che si posero alla guida del movimento nazionale
unitario fu proprio la formazione di un mercato nazionale.
Nella seconda metà del Settecento, comunque, erano state awiate alcune
importanti riforme dai governanti più illuminati, completate durante l'occu-
pazione francese, che avevano di fatto portato alla fine delle corporazioni,
delle dogane interne e del regime feudale. Il Congresso di Vienna aveva divi-
so sostanzialmente l' Italia in sette Stati, di cui uno molto esteso (Regno delle
Due Sicilie), tre di dimensioni medie (Regno di Sardegna, Granducato di To-
scana e Stato Pontificio), due molto piccoli (ducati di Modena e di Parma) e
l'u ltimo sotto la dominazione austriaca (Lombardo-Veneto) 1•
1
Altre due entità statali di modesta estensione, il Ducato di Massa Carrara e il Ducato di
Lucca, rimasero autonome fino al 1829 e al 1847, quando passarono rispettivamente al Du-
cato di Modena e al Granducato di Toscana.
17. L 'Unità d'Italia e l 'economia nazionale 155
inoltre, si era ulteriormente ridotto rispetto a quello della Gran Bretagna, por-
tandosi a poco più del 40 per cento; solo in seguito esso comincerà a recupe-
rare il ritardo per ritornare, nel 1913, al 50 per cento (vedi tab. 14.2).
Oltre a questo stato di arretratezza nei confronti dei paesi più progrediti,
l' Italia unita si rese progressivamente conto che esisteva anche un divario
eco11omico e sociale fra le sue regioni, che con il tempo cominciò a preci-
sarsi e ad approfondirsi. Il problema dell'arretratezza del Mezzogiorno
continua a tenere occupati gli studiosi. Secondo la maggior parte di essi, il
divario al mome11to dell'Unità fra il Centro-Nord e il Mezzogiorno (Sud e
Isole), in termini di Pil pro capite, non sarebbe particolarmente elevato e
oscillerebbe fra il 1O e il 20 per cento. Dati recenti, per esempio, mostrano
come il divario fra il Sud e le altre parti del Paese (Nordovest e Nordest-
Centro) oscillasse, nel 1871, fra 13 e 19 punti percentuali (vedi tab. 17.1).
Tab. 17. 1. - Percentuale del Pil pro capite delle regiorii del Mezzogiorno
d'Italia (Sud e Isole) rispetto a quelle del Nordovest e del Nordest-Ce11.tro, a prezzi
costanti, per alcuni anni, dal 1871 al 2009
1871 81 87 1961 46 59
1891 77 88 1971 57 70
1911 69 84 1981 58 64
1931 60 76 1991 59 63
1938 50 72 2001 55 60
1951 40 59 2009 58 60
Secondo altri studiosi, viceversa, il divario fra Sud e Nord sarebbe ad-
dirittura inesistente. Anzi, sembra che vi fossero maggiori differ enze fra
Est e Ovest che non fra Nord e Sud, nel senso che le regioni orientali, che
si affacciano sull' Adriatico, risultavano, sempre per Pil pro capite, più ar-
retrate di quelle occidentali, che danno sul Tirreno. E inoltre le due macro-
aree Nord e Sud non erano nemmeno omogenee al loro interno, poiché si
registravano profonde differenze, per esempio, fra Liguria e Veneto al Nord
o fra Campania e Calabria al Sud, o anche fra zone costiere e zone interne
di una medesima regione.
156 La seconda rivoluzione industriale (J 8 5 0-195 O)
Fonte: Per la popolazione attiva: Istat, Serie storiche, tab. 10.4, reperibile sul sito web
dell' lstat; per la partecipazione al Pil: V. Daniele - P. Malanima, Il divario Nord-Sud in lta-
lia. 1861-2011 , Saveria Mannelli, 2011 , pp. 196-203 (appendice 1.1).
Tab. 17.3. - Percentuale del Pii pro capite delle regioni del Mezzogiorno
d'Italia (Sud e Isole) rispetto a qi,elle del Centro-Nord, a prezzi costanti 1911, per
quinqi,enrzi, dal 1861 al 2010
lendo, per giungere in molti casi quasi a scomparire ai nostri giorni. Oltre
che nelle infrastrutture e nel sistema creditizio, ciò appare chiaramente quan-
do si prendano in considerazione l'istruzione e la durata media della vita.
Fra il 1871 e il 2011 , infatti, gli analfabeti sono crollati, in Italia, dal 70
all'l ,5 p er cento della popolazione con più di sei anni di età. Nel frattempo
quelli del Mezzogiorno sono passati dall' 84 al 3 per cento. Ancora più de-
ciso è stato l' annullamento del divario per ciò che riguarda la vita media:
nel 1891 essa era di 36 anni nel Mezzogiorno contro i 42 del Centro-Nord,
ma già nel 1961 la differenza si era ridotta a poco (68,8 anni contro 70,2)
per annullarsi quasi nel 2007 (8 1 contro 81,6).
Il Mezzogiorno, in sostanza, ha beneficiato del diffuso processo di mo-
dernizzazione dell' intero Paese, particolarmente intenso dopo la Seconda
guerra mondiale. Ma, al contrario di quanto è avvenuto al Nord, si è trattato
di una sorta di modernizzazione passiva, ossia di un processo trascinato dal
generale miglioramento economico e sociale del Paese, che però non è riu-
scito a stimolare un autonomo percorso di crescita delle regioni meridionali
e insulari. Le istituzioni politiche ed economiche del Mezzogiorno, troppo
spesso legate agli interessi di ristrette élites, non sono state in grado di
promuovere lo sviluppo, che, peraltro, è stato ostacolato o rallentato anche
da negative condizioni sociali locali, fra le quali una particolare funzione
frenante ha avuto la diffusa presenza della malavita organizzata.
2
La mezzad,ia era un patto agrario in virtù del quale il proprietario di un podere, in genere
dotato dj una casa colonica e degli attrezzi da lavoro, lo affidava ad un mezzadro, in proprio e
come capo della famiglia colonica, perché lo coltivasse e djvidesse con lui il raccolto e le spese
a metà. Se la ili visione non era in parti uguali, il contratto si chiamava colonia pa,z iaria. In Ita-
lia tali contratti sono stati aboliti a partire dal 1974.
17. L 'Unità d'Italia e l 'economia nazionale 159
La storia economica dell'Italia fino alla Grande guerra può essere so-
stanzialmente divisa in tre p eriodi: il primo riguarda il ventennio successi-
vo all'Unità (1861-80), durante il quale il Paese gettò le basi della sua cre-
scita e puntò sull'espansione dell'agricoltura; il secondo (1881-96), caratte-
rizzato dalla crisi agraria e dalla scelta a favore dell'industrializzazione; il
terzo (1897-1914), in cui si realizzò il primo consistente sviluppo economi-
co. Considerando il Pil pro capite si nota come esso aumentò (in valori co-
stanti 1) del 36 per cento fra il 1861 e il 1896 e di un altro 36 per cento fmo al
1913. La sua crescita, quindi, fu molto più rapida negli ultimi anni.
Il primo ventennio fu caratterizzato dalla scelta del libero scambio, che
segnò il tipo di sviluppo successivo, e dall' intervento dello Stato per dota-
re il Paese delle infrastrutture necessarie.
La decisione a favore del libero scambio fu preceduta da un ampio di-
battito fra coloro che volevano conservare la protezione alle industrie na-
zionali e coloro che viceversa si battevano p er il libero commercio. Preval-
sero questi ultimi, che rappresentavano principalmente i proprietari terrieri,
interessati all' esportazione dei loro prodotti, sostenuti dagli studiosi imbe-
vuti delle dottrine liberistiche allora imperanti in Europa. I sostenitori della
protezione doganale, fra i quali erano il meridionale A11tonio Polsinelli, in-
1
I valori di i1na serie storica si possono esprimere sia in valori correnti (o «a prezzi corren-
ti») sia in valori costanti (o «a prezzi costanti»). I valori co,renti sono quelli dell'anno preso in
considerazione. Se si vogliono comparare i valori di una serie storica, tenendo conto della va-
riazione del potere d'acquisto della moneta (in aumento o in diminuzione), bisogna ricalcolare
i valori a prezzi costanti, assumendo come base il prezzo di un anno e applicarlo a quelli
dell' intera serie, secondo coefficienti che tengono conto della variazione del potere d'acquisto.
Le percentuali sopra riportate, per esempio, sono state calcolate sui valori del Pii pro capite del
1861, 1896 e 1913, espressi in prezzi 1911 (o lire 19 11), cioè 336, 458 e 621.
164 La seconda rivoluzione i11.dustriale (J 8 50-195 O)
2
I tributi si distinguono generalmente in imposte e tasse. L'ilnposta è la contribuzione
obbligatoria pagata allo Stato o ad altri enti pubblici territoriali (comuni, province e, oggi,
anche regioni) in rapporto al reddjto o al patrimonio del contribuente, per fronteggiare le
spese necessarie a garantire servizi pubblici generali e indjvisibili (giustizia, sicurezza, dife-
sa, istruzione, sarutà, ecc.). La tassa è la quota (inferiore al costo) pagata allo Stato o a un
ente pubblico da un privato, in cambio dj un servizio prestatogli dietro sua richiesta (per esem-
166 La seconda rivoluzione i11.dustriale (J8 50-195O)
pio, le tasse universitari e). Le imposte si distinguono in dirette e indirette. Le imposte dirette
colpiscono il reddito o il patrimonio del contribuente in proporzione al valore e quindi ten-
gono conto della sua capacità contributiva; perciò esse sono progressive. Le i,nposte indiret-
te colpiscono in genere i consumi (per esempio, l'Iva) e perciò sono regressive, in quanto
sono uguali per tutti, indipendentemente dal reddito e dalla capacità contributiva del consu-
matore. Ne consegue che esse saranno più gravose per le persone con redditi più bassi.
3
Si ha l'emissione sotto la pari di un'obbligazione quando essa è collocata sul mercato
ad un prezzo di vendita inferiore al valore no1ninale (la pari), con grande vantaggio per l'ac-
quirente. Se un titolo di Stato del valore nominale di 100 euro al 5 per cento è vendu to a 80
euro, chi l'acquista riscuoterà l' interesse su 100 euro (5 euro all 'anno) e alla scadenza otter-
rà 100 euro (valore nominale), cioè 20 euro in più di quanto ha pagato, sicché l' interesse ef-
fettivo sul suo investimento di 80 euro è più del 5 per cento. Si ha un'emissione sopra la pa-
ri quando il titolo è venduto ad un prezzo superiore al valore nominale. In tal caso il rendi-
mento è più basso dell ' interesse nominale sta bi Iito.
18. L 'Italia itnita 167
all' annessione del Veneto), difatti, siccome le riserve degli istituti di emis-
sione si erano fortemente ridotte, il governo aveva deciso di introdurre il
corso forzoso, ossia l'inconvertibilità dei biglietti. Tale prowedimento, che
doveva durare poco tempo, durò invece diciassette anni, proprio perché lo
Stato, per far fronte alle sue esigenze finanziarie, trovò conveniente ricorrere
continuamente ai prestiti a basso tasso d'interesse delle banche di emissione.
In seguito (1874), il governo chiese addirittura che i biglietti gli fossero
somministrati senza dover pagare alcun interesse, visto che le banche di
emissione realizza vano buoni profitti con i biglietti che stampavano e pre-
stavano ai privati. Solo quando il governo fu in grado di rimborsare le anti-
cipazioni e i prestiti ottenuti (anche grazie ad un prestito estero) fu possibile
ritornare alla convertibilità delle banconote (1883). Pochi anni dopo, però,
prima di fatto e poi con un decreto, fu di nuovo introdotto il corso forzoso
(1894), che non venne mai più abolito. Per i cittadini italiani fu giocoforza
adattarsi alla circolazione cartacea ed essi dovettero prendere confidenza con
il nuovo mezzo di pagamento, le banconote, alle quali erano poco abituati.
Il reperimento dei capitali necessari a lla creazione di infrastrutture e alle
altre spese statali fu realizzato a scapito della classe agricola, costretta a
contener e i consumi sia per l'alta tassazione sia per i bassi salari agricoli.
Come in molti altri paesi, le basi per il successivo sviluppo furono poste dal
sacrificio, certo non volontario, soprattutto delle masse rurali, peraltro non
ancora costrette a una massiccia emigrazione. E quando, con il nuovo seco-
lo, l'emigrazione divenne un vero esodo, furono ancora una volta i ceti ru-
rali e i lavoratori ad essere sacrificati per consentire lo sviluppo del Paese.
1,30 dollari ; viceversa gli Europei saranno scoraggiati ad acquistare 1nerci americane, poiché
con l euro avranno merci per 1 dollaro, 1n entre prima ne avevano per l ,30 dollari. Insomma,
per dirla in modo approssimativo ma efficace, è come se la svalutazione dell'et1ro comportas-
se una generale riduzione dei prezzi espressi in euro nei confronti degli acquirenti che pagano
in doll ari. Ovviamente, l' inverso avviene nel caso della rivalutazione di ttna moneta.
18. L 'Italia unita 169
lento: 1,5-2 per cento all'anno. E' il periodo della Belle époque che coincide
con l'età giolittiana, contrassegnata dalla figura politica di Giovanni Giolit-
ti, e risente degli effetti positivi della fase a del ciclo di Kondratieff a livel-
lo internazionale. L'economia parte sotto i migliori auspici: la rete ferrovia-
ria è sostanzialmente completata, il sistema bancario è stato risanato e di-
spone di grandi banche miste, la moneta è stabile, le finanze statali sono in
ordine e il bilancio dello Stato presenta fmanche degli avanzi, gli scambi
con la Francia sono ripresi e i prezzi mostrano una tendenza all'aumento.
L 'agricoltura si giovò del periodo di prezzi elevati, aumentati di circa il
50 per cento su molti prodotti. Si fece un consistente ricorso ai concimi chi-
mici, che l'industria nazionale era in grado di mettere a disposizione delle
campagne, e si utilizzarono le prime macchine agricole da parte delle aziende
cerealicole più grandi. I lavori di bonifica avviati dallo Stato, specialmente
nel Ferrarese, dove si resero coltivabili circa 400 mila ettari di terra, contri-
buiro110 all' incremento della produzione e della produttività in agricoltura.
Ma l'età giolittiana fu caratterizzata principalmente dallo sviluppo indu-
striale, che riguardò tutti i rami, da quelli tradizionali ai più moderni. L ' in-
dustria si concentrò in tre regioni - Piemonte, Liguria e Lombardia - i cui
capoluoghi (Torino, Genova e Milano) costituirono i vertici del cosiddetto
triangolo industriale. I progressi dell 'industria tessile riguardarono soprat-
tutto l'industria cotoniera, diventata la maggiore industria italiana, e l' indu-
stria laniera, che conobbe una crescita più lenta e non riuscì a soddisfare
per intero la domand.a nazionale. L'industria della seta, concentrata soprat-
tutto in Lombardia, continuò ad alimentare l'esportazione di seta tratta e
conservò una quota rilevante ( circa un terzo) del mer cato mondiale di que-
sto prod.otto. Il suo ruolo nell' economia nazionale risultò molto importante
per diverse ragioni : mantenne l' Italia sui mercati internazionali con l'espor-
tazione della seta tratta anche nei momenti più difficili, consentì l'i11tegra-
zione dei redditi delle famiglie contadine che allevavano i bozzoli, assicu-
rando a donne e ragazzi un lavoro nelle fi lande, permise l'accumulazione di
capitali con gli utili realizzati e assicurò l'addestramento della manodopera,
che poté essere utilizzata in altr e industrie tessili.
I comparti più rilevanti del periodo in esame, però, furono quelli dell'in-
dustria p esante: la siderurgia, la meccanica, la chimica e l' industria elettri-
ca. L ' industria siderurgica, appoggiata dallo Stato e sostenuta finanziaria-
mente dalla Banca commerciale e dal Credito italiano, conobbe una notevo-
le espansione. Lo Stato promosse la nascita del grande impianto siderurgico
di Terni (1884), e diverse società siderurgiche diedero vita all' Ilva (1905),
sorta per la gestione dello stabilimento a ciclo integrale (cioè che non usava
rottami di ferro) di Bagnoli, vicino a Napoli. La produzione di acciaio giun-
18. L 'Italia unita 171
I trentuno anni che co1Tono fra lo scoppio della Prima guerra mondiale e
la fine della Seconda ( 19 14-45) furono caratterizzati da due gue1Te cruenti e
devastatrici come il mondo non aveva mai visto prima e da una nuova
<<Gra11de depressione>>, ben più grave di quella della seconda metà dell' Ot-
tocento. In Europa, vi furono dieci anni di guerra, alcuni altri di difficile
dopoguerra e tre o quattro di depressione (1930-33). Secondo i dati di An-
gus Maddison, prendendo in esame il Pil complessivo dei principali dodici
paesi dell' Europa occidentale, si nota come la variazione del tasso annuo
fosse negativa in ben quattordici anni, vale a dire che in quegli anni si pro-
dusse meno dell'anno precedente. I risultati peggiori furono registrati nel
1914 (- 5,9 per cento), nel 1919 (- 7,5), nel 193 1 (- 5,2) e nel 1945 (- 13,6) e
quelli migliori nel 1922 (+ 8,9 per cento), nel 1924 (+ 8,2), nel 1925 (+ 5,5),
nel 1937 (+ 5,1) e nel 1939 (+ 6,0). Il periodo in esame, quindi, fu il peg-
giore vissuto dai paesi più sviluppati dall'epoca della prima rivoluzione in-
dustriale, tanto da far temere che il s istema capitalistico stesse per giungere
alla fine. Ciò nonostante, proprio in quei pochi decenni furono compiuti u 1-
teriori passi avanti nello sviluppo tecnologico e industriale, anche grazie
all' impulso che le necessità belliche impressero all' innovazione e alla con-
centrazione delle imprese. Era la seconda rivoluzione industriale che si
. .
compiva e ne preannunziava una nuova.
Nell' estate del 1914, senza che nessuno se l' aspettasse veramente, scop-
piò la Prima guerra mondiale, che vide contrapposti d.a un lato l' Intesa (Gran
Bretagna, Francia e Russia) e dall' altra gli Imperi centrali (Germania e Au-
stria-Ungheria). Successivamente entrarono in guerra altri paesi, come l'Im-
pero turco ( 19 14), che si schierò con gli Imperi centrali, mentre il Giappone
(1914), l'Italia (1915) e gli Stati Uniti (1917) si allearono con l' Intesa.
174 La seconda rivoluzione iridustriale (1850-1950)
Dopo la Grande guerra, il mondo non fu più come prima. Il conflitto co-
stituì una cesura con il passato e diede inizio a una nuova fase d' intenso
travaglio che durò fmo alla Seconda guerra mondiale, la quale segnò un'ulte-
riore frattura rispetto al periodo precedente. Per comodità espositiva, le
principali conseguenze della Prima guerra mond.iale si possono raggruppare
in tre categorie: dirette, indirette e strutturali.
Le conseguenze dirette furono quelle più immediatamente riconducibili
al conflitto. Innanzitutto le vittime, che furono numerose, anche se il loro
numero esatto non è noto. Si lamentarono circa nove milioni di morti e di-
versi altri milioni di decessi in seguito alle carestie e alle epidemie provoca-
te dal conflitto, la più famosa delle quali fu l' epidemia influenza le detta
<<spagnola>>. Il deficit demografico fu presto colmato ed ebbe scarsa inci-
denza sulla crescita della popolazione, che riprese rapidamente. I danni ma-
teriali riguardarono i territori dove s i era combattuto, vale a dire la Francia
settentrionale, che subì i danni maggiori, il Belgio, il Veneto e la Polonia.
19. La Prima guerra mondiale 177
anche le costruzioni navali. Esaurito questo tipo di dom.a nda proprio mentre
la capacità produttiva cresceva, si determinò una crisi di sovrapproduzione,
che provocò una consistente riduzione dei prezzi, l' accumulo di merci inven-
dute e la chiusura di nu.m erose fabbriche, con conseguente disoccupazione.
La crisi colpì in modo particolare Canada e Stati Uniti, che erano in grado
d' immettere sul mercato u11a grande quantità di prodotti.
Una delle conseguenze che maggiormente incise sulla vita delle pers o-
ne fu l'inflazione, sviluppatasi in tutti i paesi negli ultimi anni di guerra e
nell'immediato dopoguerra. Essa fu causata dall' innalzamento dei costi di
produzione, d.a lla diminuzione dell ' offerta di beni e soprattutto dal forte
incremento delle banconote messe in circolazione. L'aumento dei costi di
produzione fu provocato dalla crescita dei salari, dovuta alla scarsità di
manodopera per il richiamo a lle armi degli uomini più validi, e dalla lie-
vitazione del prezzo delle materie prime, causata dalle difficoltà di ap-
provvigionamento e dagli elevati costi di noli e premi di assicurazione in
tempo di guerra. D 'altra parte, diminuì l'offerta dei manufatti, perché le
industrie erano impegnate nella produzione di materiale bellico. Anche la
disponibilità dei generi alimentari si ridusse a causa di alcuni anni di cat-
tivi raccolti e del le difficoltà nella distribuzione. Infine, i prezzi aumenta-
rono per la grande quantità di biglietti di banca e di Stato 2 emessi da tutti
i paesi per pagare le spese militari. Tutto ciò portò i prezzi americani a
raddoppiars i entro il 19 17 e quelli europei a triplicarsi o quadruplicarsi
entro la fine del la guerra.
Ma si trattava di aumenti ancora contenuti se confrontati con quelli del
dopoguerra, qua11do, specialmente nei paesi sconfitti, i prezzi si moltiplica-
rono per migliaia di volte (Austria e U ngheria), per miliardi di volte (Polo-
nia e Russia) e per migliaia di miliardi di volte (Germania), provocando una
completa perdita di valore della cartamoneta. Le popolazioni dovettero
abituarsi ai biglietti di banca e dimenticare le monete d'oro, che erano quasi
scomparse dalla circolazione e in seguito non furono più coniate. Un tale
disastro fu dovuto principalmente a un' emissione sfrenata di moneta carta-
cea, iniziata durante la guerra e proseguita successivamente p er le necessità
2
I biglietti di Stato sono moneta a corso legale, in genere di piccolo taglio, messi in cir-
colazione, come le monete metal liche, direttamente dal lo Stato e non dalle banche di emis-
sione. I biglietti di Stato circolarono in Italia fino al 1985, quando furono ritirate le 500 lire
di carta, ormai sostituite da una moneta metallica di pari valore.
19. La Prima guerra mondiale 179
sede centrale della banca che li aveva emessi. Era, cioè, una convertibilità li-
mitata e in sostanza riservata alle grandi transazioni, per lo più internazionali.
A poco a poco i principali paesi ripristinarono la convertibilità delle loro
monete, definendone il rapporto con l'oro (tranne gli Stati Uniti che avevano
sempre conservato la convertibilità del dollaro), e aderirono al gold exchange
standard. Il marco fu risanato e reso convertibile nel 1924, la sterlina nel
1925, il franco francese nel 1926 e la lira italiana nel 1927, quando si era so-
stanzialmente ritornati a un sistema di cambi fissi.
delle rate e poi anche il debito complessivo. In seguito alla crisi del 1929,
però, il pres idente degli Stati Uniti, Herbert Hoover, dichiarò (1931) la mo-
ratoria dei debiti tedeschi, cioè la temporanea sospensione dei pagamenti,
che in sostanza mise fme al ver samento delle riparazioni e al rimborso dei
debiti interalleati. Come si vedrà, la lezione servì a evitare gli stessi errori
dopo la Seconda guerra mondiale, quando i vincitori rinunziarono ad im-
pon·e indennità agli sconfitti e anzi li aiutarono nell'opera di ricostruzione.
Un'ultima conseguenza indiretta della Prima gue1Ta mondiale fu l'aggra-
varsi della questione sociale. Alla fine del conflitto la società europea era
percorsa da un profondo malessere. L'inflazione aveva falcidiato i salari e gli
stipendi e la crisi del dopoguerra non aveva consentito di reinserire nel mon-
do del lavoro parecchi ex combattenti, dopo anni di sacrifici durante i quali
molti di loro erano stati ufficiali o sottufficiali e avevano avuto la responsabi-
lità della vita dei loro uomini. Oltre agli operai e al ceto medio, anche i con-
tadini erano scontenti, poiché le promesse di riforme agrarie a guerra finita,
fatte durante il conflitto, non furono rispettate. E poi vi era l' esempio della
rivoluzione russa che infiammava gli animi e provocò tumulti operai e conta-
dini in molti paesi, come la Germania, l'Ungheria, l'Italia, l'Austria, la Fran-
cia e la stessa Inghilterra. Questi movimenti ebbero esiti diversi. Nei paesi
con una maggiore tradizione democratica (Gran Bretagna e Francia) furono
riassorbiti, mentre altrove ebbero uno sbocco reazionario, con l'instaurazione
di regimi autoritari: il fascismo in Italia e il nazismo in Germania.
Una delle consegue112e più importanti della Grande guerra fu l' instaura-
zione del regime collettivistico in Russia. La rivoluzione socialista si pro-
poneva di realizzare una maggiore eguaglianza fra gli uomini, eliminando
la propr ietà privata dei mezzi di produzione e affidando allo Stato il compi-
to di r egolare tutta l'attività economica. Essa, al contrario di quanto aveva
previsto Kart Marx, si verificò in un paese non ancora industrializzato e con
un'economia prevalentemente agricola.
La partecipazione della Russia alla Prima guerra mondiale, sotto la gui-
da di una c lasse dirigente incapace e corrotta, fece crescere il malcontento
delle masse popolari. Nel febbraio del 19 17 scoppiò la rivoluzione, che co-
strinse lo zar Nicola II ad abdicare e portò al potere dapprima il principe
Georgij L 'vov e poi Aleksandr Kerenskij. Il nuovo governo, di orientamen-
to liberale, era debole e decise di continuare la guerra, mentre si andavano
organizzando i primi Soviet (consigli) dei rappresentanti dei soldati, degli
operai e dei contadini. Intanto si rafforzava il Partito bo lscevico, che poi as-
sunse la denominazione di Partito comunista, sotto la guida di Nikolaj Le-
nin (pseudonimo di Vladimir Il'ic Ul'j anov). Il programma sintetico dei
bolscevichi prevedeva la fine della guerra senza annessioni o indennità e il
diritto di autodeterminazione dei popoli, nonché la distribuzione delle terr e
ai contadini e il controllo degli operai sulle fabbriche, riassunti nello slo-
gan : <<La terra ai contadini e le fab briche agli operai>>.
I comunisti conquistarono il potere con la rivoluzione di ottobre (o di
novembre per i Russi, che adottarono il calendario occidentale solo nel
1918). Poco dopo stipu larono una pace separata con la Germania (pace di
Brest-Litovsk) e si ritirano da l conflitto. Seguì una lunga guerra civile, alla
fine della qua le fu proclamata, nel 1922, l'Unione delle Repubbliche So-
20. L 'Unione Sovietica 185
1
I tennini socialisnio e coniunismo (o socialista e comunista) vengono usati , qui e in se-
guito, come sinonimi, nell 'accezione co1nune dj sistema sociale basato sull 'elimi11azione to-
tale o parziale della proprietà pri vata dei mezzi di produzione e sul controllo collettivo della
loro utilizzazione.
186 La seconda rivoluzione industriale (1850-1950)
20.3. La pianificazione
Tab. 21.1. - Andamento del Pii pro capite dei principali paesi, per alcuni anni
fra il 1913 e il 1946 (1913 = 100)
Stati Uniti era aumentato del 30 per cento (vedi tab. 2 1.1 ), la produzione in-
dustriale nel suo complesso era quasi raddoppiata(+ 93 per cento) e le espor-
tazioni erano cresciute del 68 per cento.
At1che l'Italia profittò della congiuntura positiva degli anni Venti. Nel
1929 la sua produzione industriale era aumentata del 58 per cento rispetto
al 1913 e le esportazioni del 23 per cento, facendo registrare una crescita
192 La seconda rivoluzione industriale (1850-1950)
del Pil pro capite del 21 per cento e ponendosi, in Europa, subito dopo la
Francia per risultati otte11uti (vedi tab. 21.1 ). Dopo il <<biennio rosso>> del
1919-20, durante il quale vi fu l' occupazione delle terre e delle fabbriche da
parte di contadini e operai, colpiti dall' inflazione e dalla disoccupazione, il
potere fu preso dai fascisti con la cosiddetta <<marcia su Roma>> ( ottobre
1922). In seguito all' assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti
(1924), quando sembrò che il governo stesse per cadere, fu instaurata la dit-
tatura e vennero sciolti i sindacati e i partiti politici.
Aiutato dalla congiuntura positiva, il nuovo governo poté realizzare il pa-
reggio del bilancio statale e diede spazio alla libera iniziativa, awantaggian-
do gli industriali e i proprietari te11·ieri, i quali, assieme al ceto medio, costi-
tuivano la base di consenso del regime fascista. La produzione industriale
aumentò notevolmente e anche le esportazioni crebbero. Ma l' Italia era pove-
ra di materie prime, che doveva necessariamente importare. Le importazioni
superavano le esportazioni e la bilancia commerciale rimase passiva. Né era
più possibile pareggiarla con le rimesse degli emigrati, perché i paesi di de-
stinazione (soprattutto gli Stati Uniti), avevano sostanzialmente chiuso le
frontiere all'immigrazione con leggi restrittive. Il turismo, d'altra parte, an-
che se si stava sviluppando, non era ancora tale da assicurare un considerevo-
le flusso di entrate di valuta estera, come invece aweniva in Francia.
Si tentò di ridun·e la dipendenza dalle importazioni, cercando di produrre
in patria almeno quei beni che essa poteva dare, in particolare i prodotti della
terra. Fu perciò avviata, nel 1925, la cosiddetta battaglia del grano, tendente
a incrementare la produzione di frumento. Favorita anche dagli alti dazi
d'importazione, la produzione di frumento crebbe di quasi il 45 per cento (da
52 a 75 milioni di quintali fra il 192 1-25 e il 1936-40) e l' importazione si ri-
dusse, alle stesse date, del 70 per cento (da 25 a 7,6 milioni di quintali).
La bonifica integrale, iniziata nel 1928, contribuì anch'essa all'incre-
mento della produzione agricola. La bonifica integrale consisteva nella
normale bonifica idraulica (prosciugamento di terre paludose) più la crea-
zione delle infrast1utture necessarie alle terre recuperate, come case coloni-
che, acquedotti, strade e linee elettriche, fino alla creazione di interi centri
abitati. Fu bonificato, per esempio, l' Agro Pontino, dove vennero fondate
nuove città come Littoria ( oggi Latina) e Sabaudia, popolate con coloni
provenienti dal Nord Italia.
Intanto, l'aumento delle importazioni e la conseguente domanda di valu-
te estere per poterle pagare avevano determinato il peggioramento del cam-
bio della lira rispetto alle altre monete (la sterlina era giunta a 133 lire e il
dollaro a 27 lire). Perciò, il governo, ottenuto un prestito dal mercato ame-
ricano, decise, nel 1927, la stabilizzazione della lira, ossia la ripresa della
21. La Grande depressione 193
Nel 1929 si manifestò, proprio negli Stati Uniti, una grave crisi borsisti-
ca, alla quale fece seguito una depressione durata alcuni anni. Anche se
spesso si parla genericamente di <<crisi del '29>>, si trattò di due eventi con-
catenati, ma non necessariamente consequen.z iali. La crisi del ' 29 fu diversa
da quelle precedenti, poiché si trattò di una crisi universale, nel senso che
essa : a) colpì quasi tutti i paesi capitalistici, per i legami economici che s i
erano stabiliti fra di loro; b) coinvolse tutti i settor i dell'economia (agrico l-
tura, industria, commercio, banche, ecc.); c) ebbe effetti su tutte le catego-
rie sociali (imprenditori, operai, impiegati, agricoltori, ecc.).
La crisi esplose alla Borsa di New York, in Wall Street, alla fme d.e l m e-
se di ottobre del 1929. Durante l'euforia degli anni Venti, oltre ai tradizio-
nali investitori (banche, assicurazioni, società finanziarie, ecc.) avevano
cominciato a investire in azioni molti risparmiatori, che poi furono presi
dalla frenesia speculativa. A ciò erano stati incoraggiati anche dagli agenti
di cambio 1, sostenuti dalle banche, i quali, per consentire l' acquisto di azioni,
chiedevano agli acquirenti di versare solo una piccola qu ota (bastava il 1O
per cento) della somma da investire e di saldare il resto a rate, ma trattene-
vano i titoli acqu istati, che cedevano in garanzia alle banche p er ottenere
nuovi prestiti e continuare la loro attività. Da parte loro, le holding, che
possedevano azioni, spins ero in tutti i modi il loro valore verso l' alto, anche
ricorrendo a pratiche scorrette, come l'aggiotaggio 2 •
Normalmente, un investitore acquista azioni in Borsa per ottenere il
<<dividendo>>, ossia la quota di utile che g li spetta ogni anno in remunera-
zione del capitale investito. T alvo lta, se il valore delle azioni sale, egli può
profittare dell' occasione e vendere quelle in suo possesso, realizzando un
<<capitai gain>>, ossia un guadagno sul capita le investito, dato dalla differ en-
za fra il prezzo di vendita (più a lto) e il prezzo di acquisto (più basso).
Quando il prezzo delle azioni continua a crescere per un periodo abbastanza
lungo, molti investitori sono indotti ad acquistarle nella speranza di vedere
la loro quotazione crescere ancora e rivenderle con profitto. Se il prezzo
delle azioni continua ad aumentare, il guadagno è assicurato e la sp ecula-
zione si scatena. Ma tutti sa1mo che il valore delle azioni, siccome dipende
dal dividendo che sono in grado di assicurare, non può crescere all' infinito.
1
L'agente di cambio (broker) è un operatore economico autorizzato a operare nelle Bor-
se valori per acquistare o vendere titoli per conto dei clienti, Oggi tale compito è riservato,
in Italia, alle società di intermediazione 1nobiliare (Sim) o alle banche.
2
L'aggiotaggio è la pratica di chi diffonde notizie false, esagerate o tendenziose, per provo-
care il rialzo o la diminuzione del prezzo dei titoli quotati in Borsa (o anche del prezzo delle
merci). L'aggiotaggio è un reato pt1nito dalla legge.
21. La Grande depressione 195
tori, che non comprendeva i meccanismi della speculazione sui titoli e che
credeva di aver trovato un modo semplice per arricchirsi, si sentì vittima di
una colossale truffa e perse fiducia negli economisti e nei banchieri.
Per uscire da lla depressione, i paesi che erano stati colpiti adottarono
quas i tutti le stesse politiche, ispirate ai principi keynesiani ( esp oste, però,
solo nel 1936 da Keynes nella sua opera principale <<T eoria generale del-
l' occupazione, dell'interesse e cl.ella moneta>>) e quindi a un maggiore in-
tervento dello Stato in economia. Ma non subito. I governanti tardarono a
intervenire con decisione in tal senso perché legati alle concezioni econo-
miche liberali, secondo le qua li un ' ingerenza dello Stato in economia era
ritenuta dannosa e avr ebbe finito per aggravare la crisi. Gli economisti che
seguivano l' ortodossia liberale erano convinti che il mercato sarebbe riusci-
to da solo a riassorbire la crisi e a ristabilire l' equilibrio economico. Lo Sta-
to si sarebbe dovuto limitare ad assicurare una moneta sana e un bilancio
statale in pareggio.
Tuttavia, per contrastare la diminuzione dei prezzi si cercò di ostacolare
le importazioni, in particolare quelle dei prodotti alimentari, ricorrendo a un
inaspr imento della politica protezionistica. Negli Stati Uniti la legge Ha-
wley-Smoot (1930) aumentò i dazi d' importazione su 20 mila prodotti, no-
nostante l' opposizione di molti economisti e d.e llo stesso Henry Ford, pro-
vocando la reazione di altri paesi che risposero con dazi di rappresaglia. La
Gran Bretagna aumentò le tariffe doganali (1931 ), ma firmò con i paesi del
Commonwealth I gli accordi di Ottawa ( 1932), che introdussero la cosiddetta
1
Il British Con1rnon,-vealth of Nations (Co1nunità britannica delle nazioni) nacque dopo la
Prima guerra mondiale e fu sancito uffi cialmente nel 193 1. Esso comprendeva il Regno Unito,
le sue colonie, i suoi protettorati e u.n gruppo di Stati indipendenti (dominions), un tempo colo-
nie inglesi, come il Canada, l' Australia, la Nuova Zelanda e il Sudafiica. Gli Stati che facevano
parte del Commonwealth britannico erano legati soltanto da un comune gitiramento di fedeltà
alla Corona inglese e dalla loro libera volontà di associazione. Oggi essi sono una cinquantina.
200 La seconda rivoluzione iridustriale (1850-1950)
Anche nei paesi europei l' intervento dello Stato nell'economia si fece
più consistente. La Gran Bretagna incoraggiò le fusioni di imprese e la ra-
zionalizzazione dei settori in crisi, come quelli d.el carbone e della siderur-
gia. Per combattere la disoccupazione, il governo concesse sussidi per apri-
204 La seconda rivoluzione industriale (1850-1950)
Stati Uniti e Germania. Ma in Italia questo piano non riuscì, perché le azien-
de non furono completamente risanate e non si trovarono acquirenti nazio-
nali disposti a rilevarle. Perciò, l 'Iri dovette conservare i pacchetti azionari
di mo lte industrie italiane e di importanti banche. Per la gestione delle indu-
strie, l'Iri costituì diverse holding: la Finmare per le imprese di navigazione
marittima, la Finsider per quelle siderurgiche, la Fincantieri p er i cantieri
navali e, nel dopoguerra, la Finmeccanica per le imprese meccaniche.
Una legge bancaria del 1936 pose fine all'esperienza delle banche miste
e disti11se fra banche di credito ordinario (credito a breve termine) e istituti
di credito speciale (credito a medio-lungo termine). Essa r iorganizzò anche
la Banca d' Italia, il cui capitale (300 milioni di lire) fu rimborsato ai prece-
denti azionisti privati e rilevato da casse di risparmio, grandi banche e istitu-
ti di previdenza e assicurazione, mentre il governatore e i vertici dell'istituto
diventavano sostanzialmente di nomina governativa.
In conclusione, si può affermare che la depressione fu arginata ma non
dappertutto sconfitta. Tuttavia, il Pil pro capite riprese a crescere e nel 1937
superò i livelli del 1932 del 7 per cento in Ita lia, del 13-20 per cento in Gran
Bretagna, Francia e Giappone, del 30 negli Stati Uniti, del 39 in Germania e
di circa il 50 per cento nell' Unione Sovietica, dove si awertivano gli effetti
della pianificazione (vedi tab. 2 1.1). Ma solo il riarmo e lo scoppio della Se-
conda guerra mondiale posero defmitivamente fine alla lunga depressione
degli anni Trenta e riuscirono a riassorbire completamente la disoccupazione.
L'ECONOMIA
CONTEMPORANEA
(1950-2017)
23.
UNA NUOVA RIVOLUZIONE
I PROBLEMI DEMOGRAFICI
Tab. 23.1. - Alcuni principali indicatori dell 'econo,nia ,nondiale nel 1955 e
nel 2014
stanza alta (50-90 per mille) nei paesi più poveri, dove, in qualche raro ca-
so, supera ancora il 100 per mille, valore comunque più basso di quello che
si registrava in Europa all' inizio della rivoluzione industriale.
Il regime demografico <<moderno>>, con bassi tassi di natalità e bassi tas-
si di mortalità, si è ormai affermato nella maggior parte delle nazioni del
mondo. La vita media, che nei paes i sviluppati oscillava, a metà secolo XX,
fra i 65 e i 70 anni, si è portata intorno agli 80 anni, con qualche paese, co-
me Giappone e Italia, in cui an·iva fino a 84-85 anni. Solo alcuni paesi afri-
cani fanno registrare una speranza di vita alla nascita compresa fra 50 e 60
anni. Tutto ciò ha avuto conseguenze importanti sulla divisione in classi di
età della popolazione e sulla composizione delle famiglie. Nelle nazioni a-
vanzate sono diminuiti i bambini e aumentati gli anziani, mentr e nei paesi
in via di sviluppo il numero dei bambini continua ad essere molto superiore
a quello degli ultrasessantenni. Ciò vuol dire che sia i paesi con un elevato
numero di anziani sia quelli con una popolazione molto giovane devono
mantenere classi di età non produttive o poco produttive, assicurando loro
pensioni, assistenza medica, istruzione e altre forme di sostegno, oltre a un
posto di lavoro per i giovani. La composizione del nucleo familiare ha subi-
to profonde modificazioni e la famiglia dell' inizio del secolo XXI è me-
diamente composta da meno di tre u.n ità in quasi tutti i paesi ad alto reddito,
mentre sale sopra le sei unità in alcuni paesi africani e asiatici.
Le cause del forte incr emento demografico, oltre a quelle più volte ri-
cordate (alimentazione, igiene, ecc.), che hanno continuato ad avere un ruo-
lo importantissimo, vanno ricercate principalmente nei progressi della me-
dicina e della chirurgia e nelle campagne di prevenzione conh·o le malattie,
condotte dai governi nazionali e dalle organizzazioni internazionali.
L'uomo è diventato sempre pitì sensibile a lla cura del proprio corpo e alla
conservazione della salute. Le principali novità in campo medico hanno ri-
guardato la diffusione di nuovi medicinali, come gli antibiotici (a comincia-
re dalla penicillina, scoperta dal batteriologo inglese Alexander Fleming nel
1929, ma utilizzata solo dall'inizio degli anni Quaranta) e i chemioterapici.
L 'uso su vasta scala di vaccini vecchi e nuovi, come quello contro la po-
liomelite, hanno conh·ibuito a ridurre la mortalità, specialmente quella in-
fantile. Ma importanza forse maggiore hanno avuto il progresso della chi-
rurgia e i trapianti di organi (rene, 1954; cuore, 1967). Le epidemie sono
scomparse, ma di tanto in tanto riappaiono nuovi focolai di infezioni, come
quello dell' Aids (malattia causata da un virus che riduce le difese immuni-
tarie), che ha colpito i paesi più poveri dell'Africa, ma che le organizzazio-
ni sanitarie nazionali e internazionali sono comunque in grado di is olare e
di combattere.
23. Una nuova rivoluzione: i problemi de,nografici 213
scar so valore dagli acquirenti e perciò non bastano ad ottenere le derrate ali-
mentari di cui essi hanno bisogno.
L 'allevamento del bestiame, da parte sua, ha fatto registrare una crescita
inferiore all'incremento dell.a popolazione mondiale, pur essendo aumenta-
to, fra il 1955 e il 2014, sia il numero dei bovini(+ 95 per cento) che quello
degli ovini (+ 35 per cento) (vedi tab. 23.1 ). Il fatto è che gli uomini sono
in concorrenza con gli animali per ciò che concerne l'alimentazione, poiché
le ten·e destinate al pascolo sono sottratte alla coltivazione. Per alimentare i
bovini oggi esistenti ( quasi 1,7 miliardi) viene utilizzato circa un quarto
delle terre disponibili. Inoltre, per produrre 450 grammi di carne occon·ono
4 kg di alimenti, sicché un ettaro di terra destinato all' allevamento fornisce
all'uomo un quantitativo di proteine dieci volte inferiore a quello che si ot-
terrebbe se fosse coltivato a verdure. Senza considerare l'effetto inquinante
dell'allevamento, per l'anidride carbonica, l'ossido di azoto e il metano ri-
lasciato nell'atmosfera dagli animali.
carbone e di alcuni sali minerali) e ciò spiega i grandi investimenti delle in-
dustrie petrolifere nella ricerca di nuove materie plastiche. La p etrolchimi-
ca, perciò, si sviluppò notevolmente, costituendo un ramo industriale di
primaria importanza.
L 'indust,·ia elettrica è diventata indisp ensabile per tutte le attività pro-
duttive e per le esigenze d ella vita moderna. La produz ione di energia elet-
trica è aumentata in misura incredibile, passando da qualche mig liaio di mi-
liardi a oltre 22 mila miliardi di chilowattora (2014). Questa forma di ener-
gia è ottenuta per due terzi da centrali termiche, alimentate da carbone, pe-
trolio o gas naturale, e per il resto da centrali idroelettriche ( 17 per cento) e
nucleari (1 1 per cento), oltre a una quota (6 per cento) da altre fonti rinno-
vabili, che è in continuo aumento. Il petrolio seguitò ad alimentare numero-
si metodi di trazione (automobili, aeroplani, trattori, navi, ecc.) e diverse
macchine che lo utilizzano per la combustione. La sua produzione è cre-
sciuta da 700 milioni di tonnellate (1955) a quasi 4,4 miliardi (2015) ed è
stato necessario costruire lunghissimi oleodotti per il trasporto del greggio
dai luoghi di produzione a quelli di utilizzazione oppure ai porti d'imbarco
per essere caricato su enormi p etroliere. Anche l'estrazione del gas natura-
le, altra importantissima fonte energetica, è aumentata notevolmente fino a
quasi 3.600 miliardi di metri cubi (2015), così come è cresciuta - special-
mente in Cina e negli Stati Uniti - l'estrazione del carbone (7,5 miliardi di
tonnellate nel 20 16), combustibile che continua a essere molto utilizzato
per la produzione di energia elettrica.
L'indi,stria automobilistica è diventata quasi l' industria simbolo del p e-
riodo in esa1ne. La produz ione è stata in continua crescita, passando da 25
milioni di autoveicoli (20 di autovetture e 5 di veicoli commerciali) a metà
degli anni Sessanta a 95 milioni nel 201 3 (72 di autovetture e 23 di veicoli
commerciali), un terzo dei quali è costruito in Cina (nel 1999 la quota cine-
se era di appena il 3 per cento). Oggi circolano nel mondo circa 1,2 miliardi
di autoveicoli, che comportano un enorme consumo di combustibile e p e-
raltro hanno una rilevante capacità d' inquinamento. L ' utilizzazione delle
autovetture per il trasporto delle pers one e di autocarri e autotreni per quel-
lo delle merci richiede l'esistenza di un 'efficiente rete stradale e ciò ha dato
un enorme impulso alla costruzione di grandi autostrade, con intricate reti
di svi11colo attorno agli agglomerati urbani, regolate da complessi meccani-
smi di s egnaletica.
L'indi,stria aeronautica ha prodotto una grande quantità di aeroplani.
L 'introduzione dei turboreattori e delle leghe leggere consentì la costruzio-
ne di aerei in grado di trasportare alcune centinaia di persone e di percorre-
re lunghe distanze in tempi brevi e senza scalo. Per conseguenza, fu neces-
24. Una nuova rivoluzione: i settori p roduttivi 2 19
mi posti dalla navigazione nello spazio, per esempio nei campi delle leghe
leggere, della plastica e delle telecomunicazioni.
1
L'aumento di biossido di carbonio ha influito sull'effetto serra, ossia su quel comp lesso
di fenomeni che provoca il riscaldamento della Terra. Le radiazioni solari che colpiscono il
Pianeta, difatti, vengono riflesse nell 'atmosfera: una parte (il 35 per cento) ri esce a sfu ggire
e viene irradiata nello spazio, mentre quella più grande (il 65 per cento) è trattenuta e contri-
bui sce a riscaldare il Pianeta. Il vapore acqueo, il biossido di carbonio e il metano (detti gas
serra) hanno la caratteristica di trattenere il calore, sicché un loro aumento nell 'atmosfera fa
alzare la temperatura media terrestre. Ciò sta avvenendo, in particolare, per l' aumento del
biossido di carbonio, prodotto dall'attività industriale e dai mezzi di traspor to. Le conse-
guenze prevedibili sono lo scioglimento dei ghiacciai, l' innalzamento del livello del mare, la
sommersione delle zone costiere, l' incremento di precipitazioni e di inondazioni, peri odi di
siccità prolungata e così via.
24. Una nuova rivoluzio11e: i settori p roduttivi 223
2
Una stanipante 3D è una macchina co1nputerizzata capace di produrre oggetti, strato
dopo strato, partendo da un modello e utilizzando solo il materiale necessario. Essa può du-
plicare qualsiasi cosa, dai cioccolatini alle armi, dai tessuti ai medicinali, fino ad oggetti
molto più grandi, come una casa.
224 L 'economia contemporanea (1950-2017)
zati oggi non vi è località, per quanto remota, che non abbia nelle sue vici-
nanze u11 centro commerciale, che sta diventando anche punto d'incontro e
di svago per tantissime persone. I discount, nati negli Stati Uniti durante la
difficile congiuntura degli anni Trenta, si difft1sero ovunque nella seconda
metà del Novecento. Com' è noto, si tratta di grandi magazzini che puntano
a contenere al massimo i prezzi, abbattendo i costi di gestione, mediante
l'utilizzazione di locali modesti, la presentazione essenziale delle merci e il
ricorso a pochi addetti. Bisogna, infme, ricordare il commercio elettronico,
che consente di fare acquisti tramite Internet e che si va sempre più diffon-
dendo, anche per la nascita di apposite grandi società specializzate, come
l'americana Amazon e la cinese Alibaba.
Il commercio estero, dopo le difficoltà degli anni Trenta, conobbe, nel
dopoguerra, una crescita continua, agevolata dalla decisione dei principali
paesi del mondo capitalistico di adottare una politica di libero scambio, di
ripristinare un sistema di cambi fissi, durato fino al 1973, e di costituire or-
ganizzazioni internazionali per promuovere gli scambi fra i paesi aderenti.
Anzi, si può dire che la crescita del dopoguerra fu in qualche modo trasci-
nata dal commercio internazionale, che non s' interruppe nemmeno in se-
guito alla crisi degli anni Settanta.
Fra le attività del settore terziario, un pa1iicolare sviluppo hanno cono-
sciuto le attività finanziarie e il turismo. I sistenii bancari subirono profon-
de trasformazioni. Le banche estesero la loro attività, offrendo una vasta
gamma di servizi alla clientela, e si rivolsero a nuovi soggetti, come le fa-
miglie, che prima di allora non si erano quasi mai indirizzate alle aziende di
credito per le loro esigenze di gestione domestica (accreditamento dello sti-
pendio, pagamento delle utenze familiari, credito al consumo, ecc.). 11 pro-
cesso di concentrazione, che proseguiva fin dal secolo XIX, portò alla for-
mazione di grandi gruppi bancari in tutti i paesi e fu accelerato dalla globa-
lizzazione dei mercati. La concorrenza si fece mondiale e, per seguire le
imprese multinazionali loro clienti, le banche aprirono filiali all'estero e di-
vennero esse stesse multinazionali.
Un' altra importante novità nel campo bancario fu la despecializzazione.
La netta distinzione fra banche commerciali o di deposito e banche d'affari
o d'investimento, introdotta durante la depressione degli anni Trenta, fu su-
perata a partire dagli anni Sessanta e Settanta, qu.a ndo dappertutto cominciò
ad affermarsi la banca universale. Si tratta di un tipo di azienda di credito in
grado di fornire qualsiasi servizio ai clienti, dal più modesto al più sofistica-
to e per qualsiasi durata, compresi i servizi di consulenza. I computer si sono
rivelati particolarmente adatti alla gestione dei servizi bancari (per esempio,
consentendo la recente dif fusione della <<banca online>>) e hanno contribuito
226 L 'eco11.omia contemporanea (1950-2017)
I danni della guerra all'apparato industriale dei paesi che avevano subito
bombardamenti o sul cui territorio si era combattuto si mostrarono subito in-
feriori a quanto fosse potuto sembrare. Le distruzioni maggiori erano state in-
ferte alle infrastrutture e alle abitazioni, che furono presto riparate, consen-
tendo a molte industrie di riprendere a lavorare a pieno ritmo. Ancora prima
della fine del conflitto, che ormai volgeva a loro favore, gli Alleati comincia-
rono a progettare l'economia mondiale del dopoguerra. Il loro obiettivo era di
sviluppare la cooperazione internazionale, che era mancata durante il periodo
preced.ente e aveva reso difficile la fuoriuscita dalla depressione d.egli anni
Trenta, portando a un nuovo terribile conflitto. Nel campo economico, il pro-
blema era di evitare la sovrapproduzione e la disoccupazione. Bisognava,
perciò, equilibrare la produzione e regolare gli scambi internazionali. La que-
stione principale non era di produrre e vendere, ma di trovare il modo di farsi
pagare, vale a dire di fornire capacità di acquisto ai paesi importatori, facen-
doli partecipare al commercio internazionale.
Furono tenuti diversi incontri e si stipularono alcuni trattati che gettaro-
no le basi del nuovo ordine politico ed economico mondiale: nel luglio del
1944 furono frrmati gli accordi di Bretton Woods, nel feb braio del 1945 si
svolse la conferenza di Yalta, nel mese di giugno dello stesso anno fu costi-
tuita, a San Francisco, in California, l' Organizzazione delle Nazioni Unite
(Onu) e nell' ottobre del 1947 furono stipulati gli accordi per il commercio
internazionale (Gatt).
Le intese più squisitamente politiche furono quelle di Y alta e di San Fran-
cisco. Alla conferenza di Yalta, in Crimea, s'incontrarono il presidente degli
Stati Uniti Franklin D. Roosevelt, il primo ministro britannico Winston
Churchi ll e Josif Stalin per l'Unione Sovietica. La conferenza, anche senza
228 L 'ecorzomia contemporanea (1950-2017)
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(eut)---.1'"'
Fonte: G. Duby, Atlante storico niondiale, Rizzoli Larousse, ed. speciale per il Corriere
della Sera, Milano, 2004, p. 484.
Nota: La linea continua indica la «cortina di ferro». La parte scura a est indica i territori
incorporati nell'Unione Sovietica. RFT: Repubblica Federale Tedesca ( I 949-90); RDT: Re-
pubblica De1nocratica Tedesca (1949-90).
dichiararlo apertamente, portò alla divisione del mondo in due zone d ' in-
fluenza: americana e sovietica. Sotto influenza sovietica caddero i paesi
dell'Europa orientale occupati d.a ll' Armata Rossa e quelli asiatici successi-
vamente guadagnati all'ideologia comunista (Mongolia, Cina, Corea del
Nord e Vietnam del Nord). L'Europa occidentale e il Giappo11e rientrarono
nella sfera d' influenza americana. Nel dopoguerra, essendosi evidenziato il
contrasto fra gli Alleati occidentali e l'Unione Sovietica, la Germania fu
25. La ricostruzione dell 'economia mondiale 229
vo gold exchange stand.ard con una sola moneta convertibile in oro, il dolla-
ro statunitense, secondo il rapporto di 35 dollari per un'oncia d' oro fino. Il
dollaro, però, come stabilito nel 1936, poteva essere cambiato in oro soltan-
to alle banche centrali degli altri paesi e non ai cittadini o a lle altre banche.
Ogni paese doveva defmire in oro la propria moneta, dichiarandone la
parità, ossia il quantitativo (teorico) di oro co1Tispondente all 'unità moneta-
ria, in modo da poter determinare il cambio fra tutte le monete in base al
rapporto con l' oro. La parità poteva oscillare entro una banda dell'uno p er
cento in più o in meno ed era compito delle ba11che centrali di ogni paese
d'intervenire sul mercato dei cambi per assicurare che quei limiti non fosse-
ro superati. Ciò voleva dire che, se in un determinato paese vi era abbon-
danza di una moneta straniera e il suo prezzo (cambio) scendeva, la banca
centrale doveva acquistarla (con moneta nazionale, che poteva stampare)
per bloccarne la discesa; viceversa, se una moneta straniera era molto ri-
chiesta e perciò il suo valore tendeva a salire, la banca centrale doveva
vendere quella in suo possesso per frenarne il rialzo. Quando la banca cen-
trale non possedeva una sufficiente quantità di tale moneta straniera, poteva
ricorrere al Fondo monetario internazionale (Fmi), istituito proprio per as-
sicurare la stabilità dei cambi. Esso, difatti, disponeva di un fondo di valute
nazionali versate dai paesi che ne facevano parte, dal quale poteva preleva-
re quelle necessarie per concedere anticipazioni ai paesi che ne avessero
avuto bisogno per sostenere il tasso di cambio della loro moneta. Per attua-
re completamente il nuovo sistema monetario internazionale fu necessario
procedere alla ricostruzione dei paesi devastati dalla guerra e soprattutto al
risanamento delle monete screditate dall' inflazione. Solo quando le monete
furono stabilizzate, verso la fine degli anni Quaranta, e i paesi furono in
grado di difendere la parità prefissata, il nuovo sistema monetario interna-
zionale cominciò a funzionare in pieno.
Un alh·o organismo sorto a Bretton Woods fu la Banca internazionale
per la ricostruzione e lo sviluppo (Birs ), meglio nota come Banca mon-
diale, che era stata istituita per fmanziare la ricosh·uzione dei paesi dan-
neggiati dalla guerra. Siccome, però, come vedremo, molti di essi furono
sostenuti dagli aiuti del Piano Marshall, la Banca si dedicò al finanziamen-
to dei paesi sottosviluppati.
A Ginevra, nel 194 7, ventitré paesi frrmarono il Generai Agreement on
Tariffa and Trade (Gatt, Accord.o generale sulle tariffe e sul commercio).
In verità, si voleva creare un' Organizzazione internazionale del commer-
cio (International Trade Organization, Ito), da affiancare al Fondo mone-
tario e alla Banca mondiale. In attesa di realizzare quest ' obiettivo, si die-
de vita a un accordo provvisorio, denominato Gatt, che invece durò quasi
25. La ricostruzione dell 'economia mondiale 231
mezzo secolo, poiché il Congresso degli Stati Uniti non approvò mai il
trattato istitutivo dell'Ito. Il Gatt rimase un semplice trattato multilaterale,
privo di una propria struttura organizzativa, che richiedeva estenuanti ne-
goziati per giungere ad accordi che vincolassero i paesi che li avevano sot-
toscritti. Il Gatt si proponeva, difatti, la fine degli accordi bilaterali, che
avevano regolato gli scambi fra le due guerre, e l' affermazione della multi-
lateralità nei rapporti commerciali internazionali, mediante l'applicazione
della clausola della nazione più favorita e la progressiva riduzione delle
barriere doganali.
Nel corso d.e lla sua esistenza, durante la quale il numero dei paesi ade-
renti aumentò fino a un centinaio, si tennero diversi round, ossia lunghi
negoziati, a volte durati diversi anni, alla fine dei quali si giungeva alla ri-
duzione dei dazi su una serie di prodotti. Con il tempo, il Gatt si occupò
anche di rimuovere gli ostacoli di tipo regolamentare che limitavano gli
scambi internazionali (controlli doganali, d.u mping, ecc.) ed estese la sua
attività al settore dei servizi. Il primo accordo ( 1947) stabilì la riduzione
dei dazi su 45 mila voci, che costituivano la metà circa del commercio in-
ternazionale. Vi furono complessivamente otto cicli di trattative, i più im-
portanti dei quali furono gli ultimi tre, ossia il Kennedy Round ( 1964-67),
il Tokyo Round (1973-79) e l'Uruguay Round (1986-94). Non sempre il
Gatt riuscì ad assicurare un rapido cammino verso il libero scambio e le
trattative furono talvolta molto aspre, a11che per le forti divergenze fra i
paesi partecipanti, in particolare per gli interessi spesso contrastanti fra i
paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo. In campo agricolo, inoltre, fu
conservata una certa protezione, dapprima per impulso degli Stati Uniti e
success ivamente per volontà dei paesi europei e del Giappone. Il protezio-
nismo agricolo danneggiava i produttori dei paes i in via di sviluppo, per-
ché ostacolava le loro esportazioni di derrate alimentari nei paesi sviluppa-
ti e quindi la loro possibilità di pagare le importazioni da quei paesi.
Terminato l'Uruguay Round, i rappresentanti di centoventicinque paesi
firmarono a Marrakesh, in Marocco, l'accordo istitutivo della World Trade
Organization (Wto o Ome, Organizzazione mondiale del commercio), en-
trata in funzione all'inizio del 1995. Il nuovo organismo, al quale hanno
aderito oltre centosessanta paes i, ha sede a Ginevra e prosegue l' attività
del Gatt, con lo scopo principale di favorire il commercio internazionale
attraverso la liberalizzazione dei traffici. Pur avendo una sua struttura or-
ganizzativa, funziona anch'esso sulla base della regola del consenso di
tutti, sicché nel 2001 è iniziato un nuovo estenuante ciclo di trattative, il
Doha Round (nel Qatar), che si è arenato per le contrastanti pos izioni dei
paesi partecipanti.
232 L 'economia co,itemporanea (1950-2017)
Gli ultimi anni di guerra e i primi anni del dopoguerra furono molto dif-
ficili. Il Pii pro capite (in valori costanti) era continuato a crescere quasi
ovunque almeno fino agli anni 1943-44, spinto in alto dalla produzione bel-
lica, ma successivamente crollò. I paesi sconfitti (Italia, Germania e Giappo-
ne) persero intorno alla metà del Pil pro capite, ma anche i vincitori (Stati
Uniti e Gran Bretagna) dovettero accusare il calo di qualche decina di punti.
La Francia vide dimezzato il suo Pil pro capite fra il 1939 e il 1944, in se-
guito all' occupazione tedesca e perciò riprese a crescere con anticipo ri-
spetto agli altri paesi già dal 1945.
L ' immediato dopoguerra fu particolarmente duro per le popolazioni eu-
ropee, che vennero soccorse dagli aiuti dell 'Unrra (United Nations Relief
and Rehabilitation Administration), un organismo istituito nel 1943 dagli
Alleati, che già si cominciavano a chiamare Nazioni Unite, con lo scopo di
fornire aiuti gratuiti e assistenza ai paesi devastati dalla guerra (non solo eu-
ropei). Sostenuto fmanziariamente in primo luogo dagli Stati Uniti, l'UmTa
erogò quasi 3, 7 miliardi di dollari, inviando soprattutto viveri, specie in se-
guito al disastroso raccolto granario del 1945 in tutta l'Europa, oltre che
medicinali, vestiario, sementi, concimi, macchinari, materie prime e com-
bustibili, che servirono ad alleviare le difficili condizioni della popolazione.
L 'Unrra, inoltre si occupò di assistere i profughi e i perseguitati per ragioni
politiche e razziali.
Durante la guerra gli Stati Uniti avevano anche rifornito i loro alleati di
materiale bellico e di altri beni di prima necessità, venduti con lunghe dila-
zioni nei pagamenti. Alla fine d.el conflitto erano creditori netti di oltre 40
miliardi di dollari e il loro credito aumentò ancora per le u lteriori vendite di
be1ù indispensabili alla ricostruzione. Nelle condizioni drammatiche in cui si
trovavano i paesi europei, con una forte inflazione e con la necessità di beni
di qualsiasi natura, non era assolutamente pensabile che potessero pagare i
loro debiti entro breve tempo. Intanto molti paesi, in primo luogo gli Stati
Uniti, ma anche quelli del Commonwealth e dell' America Latina, avevano
bisogno di esportare la loro eccedente produzione. I paesi europei, però,
non disponevano dei dollari necessari per acquistare i beni di cui pure ave-
vano bisogno, perché non erano in grado di esportare quasi niente. L 'Euro-
pa soffriva di una peni,ria di dollari (dollar shortage).
L'idea d'impon·e il pagamento di riparazioni alla Germania sconfitta, di
cui pure si parlò, fu subito accantonata perché ancora una volta la Germania
non avrebbe potuto pagare. Gli Americani maturarono allora la convinzione
che fosse nel loro interesse favorire la ricostruzione di tutti i paesi, alleati e
25. La ricostruzio11.e dell 'economia mondiale 233
rali in vigore dall'anteguerra. Gli scambi fra i paesi aderenti all'Uep non ve-
nivano pagati in contanti, ma davano luogo a regish·azioni contabili, com-
pensate mensilmente. In tal modo, se per esempio l'Italia aveva un debito di
100 verso la Francia e crediti di 70 verso l' Inghilterra e 30 verso il B elgio,
vedeva azzerati i suoi rapporti di debito e credito. Sarebbero stati Inghilterra
e Belgio a pagare per suo conto la Francia, sempre che anch' essi non aves-
sero potuto compensare il loro debito con crediti verso a ltri paesi. Soltanto
quando un paese risultava sempre debitore era tenuto a pagare quanto dovu-
to in oro o in dollari, così come un paese che risultava sempre creditore po-
teva riscuotere parte del suo credito in oro o in dollari.
L'Uep fu sciolta nel 1958, mentre l' Oece si trasformò, nel 1961, in Ocse
(Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), con la par-
tecipazione anche di Stati Uniti e Canada, ai quali si aggiunsero in seguito
Giappone, Australia e altri paesi, con lo scopo di favorire l' espansione
economica degli Stati membri e lo sviluppo del commercio estero su base
multilaterale.
Tab. 26. 1. - Livello del Pil pro capite di alcuni paesi raffrontato con quello del
Regno Unito, per decenni, dal 19 5 O al 201 O
già stata superata, nel 1950, oltre che dagli Stati Uniti, da Svizzera, Dani-
marca, Canada e A ustralia. N ei decenni successivi, essa fu raggiunta da al-
tri paesi europei e dal Giappone. Dagli anni Ottanta la Gran Bretagna ha di
nuovo superato la Germania e l' Italia e, successivamente, anche diversi al-
tri paesi europei (vedi tab. 26. 1).
La rincorsa iniziata due secoli prima era sostanzialmente terminata.
Ormai, intorno al 1990, i principali paesi industrializzati europei erano più
o meno allineati alla Gran Bretagna, mentre gli Stati Uniti erano defmitivamen-
te diventati la principale potenza economica mondiale. Era ad essi che ormai
gli altri paesi dovevano guardare e nei confronti dei quali esercitare l' azione
26.
DALLA GOLDEN AGE
ALLA CRISI
Tab. 26.2. - Livello del Pii pro capite di alcuni paesi raffrontato con quello de-
gli Stati Uriiti, per decenni, dal 1950 al 2010
di catching up, che finora non è riuscita ad alcuna grande nazione (vedi tab.
26.2). Come vedremo, però, dopo un ulteriore ravvicinamento, la crisi iniziata
nel 2008 provocherà una nuova divaricazione fra le economie di questi paesi.
La nuova contrapposizione era fra gli Stati Uniti da un lato e l' Unione
Sovietica e il Giappone dall' altro. Con l'Unione Sovietica si trattò di un
confronto politico, ideologico, militare e anche tecnologico (sfida per la
conquista dello spazio), senza che il paese dei Soviet riuscisse a insidiare la
supremazia economica americana. Il tenore di vita dei Russi rimase me-
diamente sempre molto più basso di quello degli Americani e il Pil pro ca-
pite giunse, negli anni migliori, a poco più di un terzo di quello statuniten-
240 L 'ecorzomia contemporanea (1950-2017)
dichiarò l'inconvertibilità del dollaro, che da allora non si poté più cambia-
re in oro e fu lasciato fluttuare liberamente sul mercato. Un accordo fra die-
ci paesi (detto <<Smithsonian Agreement>>, dal nome dell' istituzione di Wa-
shington che ospitò l'incontro), mediante il quale si cercò di ripristinare un
sistema di cambi fissi con la quotazione ufficiale dell'oro a 38 dollari
l'oncia, durò solo due anni e, nel 1973, il gold exchange standard fu defini-
tivamente abbandonato. Da allora i cambi divennero fluttuanti, ossia deter-
minati in base alla domanda e all'offerta delle valute.
Pure se era diventato i11convertibile, il dollaro rimase la moneta interna-
zionale per eccellenza e continuò a essere accettato dappertutto per la fidu-
cia che si aveva nella solidità dell'economia statunitense. Anzi, la sua quo-
tazione riprese a crescere e raddoppiò in una decina di anni, rispetto alle
principali valute europee. Molti paesi, specialmente asiatici e latinoameri-
cani, ancorarono le loro monete al dollaro, nel senso che stabilirono un tasso
di cambio fisso con la moneta americana, in modo da eliminare il rischio di
cambio e favorire gli investimenti esteri. Ma risultò difficile, specialmente
per i paesi con economie più debol i, conservare la parità fissata con il dolla-
ro, anche perché contro le loro monete si accanì la speculazione, resa pos-
sibile proprio dalla variabilità dei cambi. A fine secolo, perciò, molti di essi
furono costretti a sganciare le loro monete dal dollaro, lasciandole fluttuare
liberamente sul mercato, con una loro inevitabile svalutazione.
L 'altro evento che segnò l'inizio della crisi fu il primo shock petrolifero
del 1973. In Medio Oriente vi era una situazione instabile da quando, nel
1948, si era costituito lo Stato di Israele, appoggiato dai paesi occidentali. Es-
so si era subito trovato in contrasto con i Palestinesi che abitavano quelle ter-
re da secoli, anche perché gli Ebrei provenienti dall'Europa, dove durante la
guerra erano stati crudelmente perseguitati dai nazisti, diventavano sempre
più numerosi. Le rivalità con i Palestinesi e con gli arabi degli Stati limitrofi
si acuirono, portando a diversi conflitti, tutti vinti da Israele. Quando scoppiò
la quarta guerra arabo-israeliana (1973), detta del Kippur (dal nome di una
festività ebraica), alcu11i paesi esportatori di petrolio, riuniti fin dal 1960
nell'Opec (Organization of Petroleum Exporting Countries), un' organizza-
zione promossa dal Venezuela ma della qu,a le facevano parte quasi solo paesi
arabi, decisero di penalizzare gli Stati che avevano appoggiato Israele. Essi
ridussero la produzione di petrolio e aumentarono il prezzo, che arrivò a qua-
drup licarsi in pochi mesi, passando da 3 a 12 dol lari al barile (159 litri).
244 L 'economia coritemporanea (1950-2017)
resse aumentarono, per via dell'inflazione che colpì i paesi avanzati, e il dol-
laro si apprezzò sulle altre monete, cioè divenne più caro, il peso per i paesi
debitori (per capitali da rimborsare e interessi da corrispondere) si fece in-
sopportabile. Nel 1982, il problema esplose in tutta la sua drammaticità e il
Messico fu costretto a chiedere una moratoria dei pagamenti.
Poiché non era pensabile che le banche creditrici potessero fallire, inter-
vennero il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale e i governi
dei paesi industrializzati, che concessero ulteriori prestiti con i quali i paesi
debitori poterono rimborsare le banche occidentali. In tal modo, il debito
contratto con banche private divenne pubblico, nel senso che ora il debito
era verso governi stranieri o istituzioni pubbliche internazionali. Molti pre-
stiti vennero rinegoziati, con riduzio11i e ampie dilazioni nei pagamenti, e si
cominciarono anche a cancellare quelli verso i paesi più poveri. Il Fondo
monetario internazionale (il principale fmanziatore) impose politiche di au-
sterità ai paesi debitori, che furono costretti a prendere drastiche misure di
risanamento dei loro bilanci e provvedimenti per favorire le esportazioni, in
modo da procurarsi i dollari necessari a l pagamento dei debiti, ma sottraen-
do così risorse ai consumi e agli investimenti interni. La crisi si fece meno
grave quando i tassi d ' interesse cominciarono a diminuire a mano a mano
che l' inflazione dei paesi avanzati veniva domata. I nuovi prestiti ottenuti,
ancora una volta, non furono utilizzati per progetti d'investimento a favore
dello sviluppo economico, ma per pagare le importaz ioni, sostenere i consu-
mi, compresi quelli di lusso delle élites, e fmanziare progetti spesso inutili.
Con la svolta degli anni Settanta si modificò il ruolo dello Stato nell' e-
conomia. I liberisti avevano sempre sostenuto che il mercato sarebbe stato
capace di risolvere autonomamente le crisi e perciò ritenevano che lo Stato
dovesse limitarsi alle sue funzioni essenziali, predisponendo un insieme di
regole generali per tutelare la proprietà privata, assicurare il rispetto degli
obblighi contrattuali, gara.ntire la stabilità della moneta e favorire lo svilup-
po di mercati liberi e aperti. A partire dalla Grande depressione degli anni
Trenta, le teorie liberiste non erano state giudicate idonee ad affrontare eri-
solvere i problemi delle complesse economie mod.erne e avevano perso vi-
gore. John M. Keynes aveva fornito la giustificazione teorica all'intervento
dello Stato e le sue teorie si affermarono dappertutto nel seco11do dopoguer-
ra. Secondo il suo pensiero, l' intervento statale era considerato l'unico mo-
do per rimediare alle carenze del capitalismo e del mercato e assicurare il
pieno impiego dei fattori produttivi. I governi attuarono gradualmente poli-
tiche ispirate alle teorie dell'economista inglese.
Esauritasi la fase espansiva del dopoguerra, i neoliberisti ripresero il so-
pravvento sui keynesiani e riproposero, sia pure sotto forme più sofisticate,
le teorie sulla capacità del mercato di autoregolarsi. Negli anni Ottanta, le
politiche economiche ispirate a questa corrente di pensiero trovarono i loro
più convinti sostenitori nel presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan
(1981-89), e nel primo ministro britannico, Margaret Thatcher (1979-90),
tanto che si parlò di reaganismo (o reaganomics ) o thatcherismo.
In quegli anni, i governi erano preoccupati principalmente dell'inflazione
e non della disoccupazione e, perciò, si affidarono alle idee dei monetaristi,
che insistevano sulla necessità di una moneta solida, anche se ciò compor-
tava il ricorso a politiche monetarie restrittive. I neoliberisti, inoltre, al con-
250 L 'economia contemporanea (1950-2017)
trario dei keynesiani che puntavano sul sostegno della domanda, propone-
va110 u11a politica dal lato dell 'offerta (supply-side), capace di garantire il
funzionamento dei mercati e assicurare la crescita economica. Secondo
questa teoria, era necessario:
a) attuare una decisa deregolamentazione dei mercati (deregi,lation ), ri-
muovendo norme e regolamenti che ne impedivano il libero funzionamento,
come la fissazione di salari minimi o i controlli sulle operazioni finanziarie;
b) introdurre forti sgravi f iscali (e quindi una diminuzione della spesa
pubblica), nella convinzione che, riducendo le imposte da pagare, special-
mente ai più ricchi, si sarebbe consentito loro di spendere di più e sostenere i
consumi privati, anche se ciò avrebbe comportato (come infatti ha comporta-
to) un aumento delle disparità sociali, che i sostenitori della supply-side rite-
nevano un fenomeno del tutto temporaneo, perché alla fme il benessere si sa-
rebbe progressivamente propagato dai ricchi alle altre categorie.
E, infme, se K eynes aveva visto l' intervento dello Stato come una conse-
guenza del fallimento del mercato, i neoliberisti sottolineavano il fallimento
dello Stato, che con il suo intervento impediva il libero funzionamento del
mercato. Chiesero, perciò, il drastico ridimensionamento della sua presenza
nell' attività economica e con essa anche la revisio11e dell' impalcatura del
Welfare State. Ronald Reagan sosteneva che lo Stato non era la soluzione
dei problemi, ma era esso stesso il problema. Quando, però, negli anni
2008-09 esplose una nuova grave crisi, favorita dall' eccessiva libertà del
mercato, in particolare di quello finanziario, il prestigio dei neoliberisti
sembrò incrinarsi, e anche molti di coloro che fino a poco tempo prima a-
vevano avversato l' inger enza dello Stato nell'economia, reclamarono a
gran voce il suo intervento. Si chiesero massicce iniezioni di d.e naro a so-
stegno delle imprese e delle banche in diffico ltà e a favore dei redditi delle
famiglie per sostenere i consumi, nonché nuove e più efficaci regole per ga-
rantire un più corretto funzionamento dei mercati.
Negli anni precedenti, però, nonostante le politiche indicate dai neoliberi-
sti, era stato possibile ridurre solo in parte la presenza dello Stato nell'eco-
nomia. Se risultò abbasta.nza agevole liberalizzare i mercati e privatizzare pa-
recchie banche e imprese, finite nelle mani dello Stato per i salvataggi degli
anni Trenta o con le nazionalizzazioni del dopogu erra, risultò molto più diffi-
cile contenere i costi del Welfare. Ormai i cittadini ritenevano una conquista
irrinunciabile le prestazioni fornite dallo Stato e non ne avrebbero accettato la
riduzione, specialmente in un periodo di crisi. I governi, perciò, per conserva-
re tali serviz i, dovettero indebitarsi ulteriormente e il debito pubblico non fe-
ce che crescere, creando non pochi problemi a parecchi paesi, che dovettero
pagare interessi più elevati per collocare i loro titoli sul mercato.
27. Neoliberismo e g lobalizzazione 251
27.2. La globalizzazione
1
! fondi comuni d 'investimento sono organismi d'investi mento collettivo, che raccolgono
quote di partecipazione dai risparmiatori e le impiegano in titoli, provvedendo a di videre il
guadagno fra i partecipanti, dedotte le spese di gestione. In tal modo, si consente anche a picco-
lj risparmiatori di investire fondi che altrimenti non sarebbero in grado di impiegare convenien-
temente se operassero da soli.
2
1/ondi pensione sono t1na fonna di previdenza a favore dei lavoratori di un'impresa o di
una categoria professionale. Gli iscritti al fondo versano dei contributi per ottenere una pensi o-
ne all 'epoca prestabilita e i gestori dei fondi investono in vario modo le somme raccolte, per
accrescere il capitale destinato all 'erogazione delle prestazioni. Nei paesi anglosassoni (Regno
Unito, Usa, Canada, Australia, ecc.) e in qualche altra nazione, come Olanda e Giappone, le
pensioni sono prevalentemente assicurate da fondi pensione privati, 1nentre nel continente eu-
ropeo vi provvede per lo più la previdenza pubblica.
3
Le con1pagnie di assicurazione devono investire proficuamente i pre1ni riscossi dagli as-
sicurati . Tali premi costituiscono in sostanza il fondo al quale attingere per risarcire i danni al
verificarsi dell 'evento per il q1.1ale si è stipulato tm contratto di assicurazione.
254 L 'eco11.omia contemporanea (1950-2017)
to, i manager delle grandi imprese hanno cominciato a tenere presenti innan-
zitutto gli interessi degli azionisti, sacrificando quelli degli altri portatori di
interessi verso l' impresa (stakeholders), come dipendenti, fornitori, clienti,
banche fmanziatrici e comunità locali. Perciò, tali manager non hanno alcuna
difficoltà a ristrutturare, chiudere o vendere un settore dell'azienda se il suo
rendimento non è quello atteso, anche se è comunque soddisfacente. Inoltre,
spesso molti di essi preferiscono impiegare le risorse disponibili in operazio-
ni finanziarie, che rendono più degli impieghi nell'attività produttiva.
La finanziarizzazione dell' economia ha rafforzato l' idea che il denaro
debba fruttare un interesse solo perché è denaro e non - come sarebbe più
logico e giusto ritenere - perché è investito in un'attività produttiva (indu-
striale, commerciale, agricola, ecc.), dalla quale si ricava un profitto che
d.eve remunerare, oltre all' imprenditore, anche chi ha fornito i capitali, op-
pure perché è prestato allo Stato che lo impiega a favore della collettività.
28.
SVILUPPO
E SOTTOSVILUPPO
Tab. 28.1. - Livello del Pii pro capite delle diverse regioni del mondo raffron-
tato con quello degli Stati Uniti, per decenni, dal 1950 al 2010
1 Gli economisti distinguono soltanto fra paesi sviluppati (Psv) e paesi in via di sviluppo
(Pvs) e fissano la linea di de1narcazione fra i due gruppi intorno a 10 1ni la dol lari di reddito
•
medio pro capite annuo. E ovvio che al loro interno vi sono situazioni profondamente diver-
se, in particolare fra i Pvs, di cui fa parte il gruppo di paesi an·et rati ai qu ali si è fatto sopra
riferimento. Perciò, la Banca mondiale ha individuato delle sottoclassi fra i P vs: paesi a bas-
so reddito, paesi a reddito medio-basso e paesi a reddito medio-alto.
28. Sviluppo e sottosviluppo 259
1
Il termine recessione indica una fase del ciclo econo1nico caratterizzata dall a 1iduzione
del Pi l. Dal punto di vista tecnico, un paese si defi1ùsce in recessione quando il Pil diminu i-
sce per almeno due trimestri consecutivi.
264 L 'eco11.omia contemporanea (1950-2017)
A partire dalla seconda metà del 2009, la crisi sembrò arrestarsi. Nel
20 l O e nel 20 11 vi furono segni di ripresa nei principali paesi industrializ-
zati, più marcati in alcuni e più deboli in altri (vedi tab. 29 .1 ). Ma la crisi
2
Una vendita si dice allo scoperto quando il venditore non possiede i titoli che vende, ma
conta di acquistarli solo aJ momento della consegna, poiché prevede che a quell 'epoca il loro
prezzo sarà diminuito. Si tratta di un'operazione esclusiva1nente speculativa, tanto che a volte è
stabilito che alla scadenza il venditore si limiti a riscuotere dal compratore la differenza di
prezzo fra quello pattuito e quello di mercato se quest'ultimo è diminuito (come previsto dal
venditore) o a pagargli tale differenza se il prezzo è aumentato (come previsto dal compratore).
29. La Grande recessione 267
3
Le agenzie di rating sono società private che valutano la solvibilità dei titoli privati e
pubblici. Ne esistono oltre un centinaio, ma le più importanti sono solo tre, tutte statunitensi :
Standard & Poor's, Moody's e Fitch. Le loro valutazioni, talvolta criticate, determinano gli in-
vestimenti in un titolo piuttosto che in un altro, specialmente da parte degli investitori istituzio-
nali, che dovrebbero preferire impieghi a basso rischio, visto che amministrano capitali altrui.
268 L 'ecorzomia contemporanea (1950-2017)
Tab. 29.1 - Pil pro capite dei paesi del G20 e del Mondo dal 2007 al 2016
(2007=100)
4
In Europa la condizione del debito pubblico di un paese si misura con il cosiddetto spre-
ad, ossia con la differenza tra i rendnnenti dei titoli di Stato dei paesi in difficoltà e il rendi-
mento dei titoli di Stato tedeschi, considerati un investi1nento sicuro. Lo spread italiano giunse,
nel momento più drarrunatico della crisi, a fine 2011 , a oltre 500 punti base, vale a dire a 5
punti percentuali in più rispetto ai titoli tedeschi, con tm forte aggravio della spesa per interessi.
29. La Grande recessione 269
Segue: Tab. 29.1 - Pii pro capite dei paesi del G20 e del Mondo dal 2007 al
2016 (2007=100)
blici, per tentare di mantenere la stabilità dell' euro ed evitare spinte inflazio-
nistiche. Intanto, l' economia reale continuava a peggiorare. L'Italia aveva
conosciuto una crescita contenuta negli anni precedenti la crisi e la situa-
zione s i era aggravata successivamente (vedi tab. 29.2). Si registrarono non
solo un forte calo della produzione industriale, specialmente nel settore au-
tomobilistico, e un incremento della disoccupazione, in particolare di quella
giovanile, ma anche un rilevante ritiro di investimenti esteri e un aumento del
debito pubblico.
Ma ormai era tutta l'Europa a trovarsi di nuovo in recessione, già a pa11ire
dall'ultimo trimestre del 20 11 , quando la crisi del settore industriale risultò
particolarmente grave in Ita lia, Spagna, Po11ogallo e Grecia, con sensibili ri-
duzioni degli ordinativi e perdita di interi settori produttivi.
Le politiche di austerità e di risanamento dei conti pubblici seguite da
diversi paesi cominciarono a essere criticate da alcuni economisti, che rite-
nevano necessario adottare politiche di sostegno della domanda, come ne-
270 L 'eco11.omia contemporanea (1950-2017)
Tab. 29.2 - Pil pro capite dei principali paes; europei in alcuni anni dal 1990
al 2016, in dollari internazionali 2011
retrare alcune economie, come Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Italia e
Giappone.
Sempre in base al Pil pro capite, la crisi del 2012-13 fu meno grave eri-
guardò sostanzialmente i paesi europei. Fra i paesi del G20, soltanto l' Italia
segnò un arretramento di qualche rilievo (5,5 punti). Nel 2016, quando ormai
la crisi sembrava superata, era.n o chiari i segni che essa aveva lasciato. In no-
ve anni, il Pii pro capite del l'Unione Europea era cresciuto appena di poco
più di tre punti percentuali, con la sola Germania che aveva realizzato una
crescita di nove punti e con l' Italia che faceva ancora segnare, unica fra le
economie dei paesi del G20, una perdita del Pil pro capite di oltre dieci punti
rispetto al 2007. Gli Stati Uniti, che nel 2013 erano ritornati alla situazione
del 2007, raggiunsero un iJ.1cremento nel 2016 del 4,4 per cento.
Le economie emergenti, viceversa, per tutto il lungo periodo di crisi, fe-
cero registrare una crescita, in alcuni casi spettacolare, come quelle della
Cina e dell' India. Rispetto al 2007, la Cina aveva realizzato, nel 2013 , un
incre1nento del Pil pro capite del 64 per cento e quasi giunse a raddoppiarlo
nel 2016, conservando elevati tassi di incremento annuo, in media superiori
al 10 per cento. L 'altra grande economia emer gente, l' India, fece registrare
un incremento di quasi il 65 per cento e l'Indonesia del 44,5 per cento.
Se, infine, si considera il Pil pro capite mondiale, sempre in valori co-
stanti, si può osservare come in tutti gli anni compresi fra il 2007 e il 2016
esso sia stato costantemente in crescita, tranne che nel 2009, quando arretrò
di 1,6 punti, subito recuperati. Nel 2013, nonostante la crisi, era cresciuto
dell'l l per cento rispetto al 2007 e nel 2016 di quasi il 19 per cento.
Se confrontata con quella degli anni Trenta del Novecento, la Grande
recessione di inizio secolo XXI è stata senza dubbio meno grave. Il Pil pro
capite dei principali paesi, difatti, aveva conosciuto, fra il 1929 e il 1932,
272 L 'ecorzomia contemporanea (1950-2017)
Gli Stati Uniti uscirono rafforzati dalla Seconda guerra mondiale. Durante
il conflitto sfruttarono in pieno la loro capacità produttiva e incrementarono
la produzione agricola e quella industriale per soddisfare la forte domanda
bellica. Dopo la guerra, il <<gap>> tecnologico dell' Europa nei loro confronti
risu.ltò evidente. La tecnologia americana, soprattutto i processi produttivi ba-
sati sulla catena di montaggio e sui prodotti standardizzati, fu esportata do-
vunque vi fossero le condizioni per poterla applicare. Si assistette allora, in
Europa e in molti altri paesi, a una sorta di <<americanizzazione>> a tutti i livel-
li e l'American way of /ife divenne l'esempio da imitare in tutti i campi (eco-
nomia, arte, musica, letteratura, ecc.), specialmente per le nuove ge11erazioni.
Lo stile di vita americano fu illustrato da migliaia di film, telefilm e romanzi
ed entrò nell'immaginario collettivo di molti popoli del mondo.
Gli Stati Uniti erano definitivamente diventati la maggiore potenza poli-
tica, militare ed economica del Pianeta e avevano pres o coscienza del loro
ruolo di leader del mondo capitalistico. Gli Americani si sentirono colletti-
vamente responsabili di una grande missione: combattere il comunismo
mondiale e affermare e diffondere i loro principi, basati su lla certezza della
superiorità della democrazia, del le libertà individuali e del libero mercato.
La lotta al comunismo, però, li portò, in più occasioni, ad appoggiare regi-
mi autoritari e corrotti, che non rispettavano affatto i diritti umani.
Il dollaro americano era stato posto a base de l sistema monetario inter-
nazionale e aveva assunto la funzione di moneta dei pagamenti internazio-
nali. Gli Stati U11iti goderono del particolare privilegio di uti lizzare la loro
moneta per i pagamenti all ' estero e di vedere una massa sempre più grande
di dollari trattenuti fuori dei propri confini dagli altri paesi, che li tenevano
274 L 'ecorzomia contemporanea (1950-2017)
vano o accorpavano per rivenderle con buoni profitti, dando vita a una
sorta di mercato delle aziende.
Le corporations americane, oltre che nei tradizionali rami di attività si
diffusero in particolare nell'elettronica e nell'informatica, nella chimica e
nei prodotti petroliferi. Molte di esse diedero vita, a partire dagli anni Ses-
santa, a un gran numero di conglomerate, imprese che operavano contem-
poraneamente in diversi rami produttivi. Le conglomerate, sorte già da
tempo, si svilupparono notevolmente solo a partire dal secondo dopoguerra .
Esse erano un tipo particolare di grande impresa, formata da un insieme di
attività che producevano e commercializzavano beni anche molto diversi
fra loro. In tal modo - come ha rilevato Alfred Chandler - si realizzano, ol-
tre a quelle di scala, anche economie di diversificazione, consistenti nella
possibilità di utilizzare servizi comuni, come la stessa catena di vendita e
gli stessi uffici legali. La diversificazione della produzione, inoltre, permet-
te di avvertire in modo meno traumatico le oscillazioni della domanda di un
singolo prodotto.
30.2. La reaganomics
Gli Stati Uniti realizzarono buoni risultati anche dopo il 1973, senza ac-
cusare il forte rallentamento del ritmo di crescita registrato in Europa e in
Giappone (vedi tab. 14.1). Negli anni Settanta, tuttavia, conobbero una fase
di stagnazione e di aumento dell'inflazione (la cosiddetta stagflazione), che
portò alla vittoria del repubblicano Ronald Reagan alle elezioni del 1980 e
all'adozione della politica economica neoliberista che da quel presidente
prese il nome: la reaganomics.
La lotta all'inflazione fu attuata con provvedimenti monetari e creditizi
(alti tassi d' interesse, restrizione del credito, ecc.) per tenere sotto controllo
la massa di moneta in circolazione. Il rilancio della crescita si fondò sulla
riduzione dell' imposizione fiscale, sul taglio della spesa assistenziale, su un
forte aumento della spesa militare e su una decisa liberalizzazione dei mer-
cati finanziari, industriali e del lavoro. Si cercò d'incentivare la domanda
con la diminuzione delle imposte, specialmente sui redditi medio-alti, e si
soste1me l' offerta mediante significative misure di deregolamentazione per
dare maggiore libertà alle imprese. Ciò fu possibile anche perché gli Stati
Uniti, a differenza dell'Europa, dove i lavoratori erano maggiormente tute-
lati, avevano un mercato del lavoro più flessibile e meno regolamentato. La
deregolamentazione riguardò in modo particolare il sistema bancario. Le
banche si orientarono verso il tipo di banca universale e si costituirono
276 L 'eco11.omia contemporanea (1950-2017)
pari a meno del 12 per cento di quello americano. Le speranze nel futuro di
una nazione umiliata e sconfitta erano molto basse.
Invece, a partire dal 1950 e fino al 1973, anche il Giappone conobbe il
suo miracolo economico. Il Pii pro capite aumentò in media dell'8, 1 per cen-
to all'anno, il doppio della crescita dell'Europa occidentale. La rimonta fu
straordinaria: nel 1950 il Pil pro capite era ancora pari al 28 per cento di quel-
lo britannico e al 20 per cento di quello americano, ma nel 1973 aveva quasi
raggiunto il Pil britannico e si era avvicinato a quello degli Stati Uniti (vedi
tabb. 26.1 e 26.2). Gli investime11ti e la produttività crebbero, la disoccupa-
zione fu riassorbita e le esportazioni aumentarono di ben ventitré volte.
L'eccezionale sviluppo economico giapponese si basò su diversi fattori ,
alcuni dei quali esterni al Paese.
1. La guerra di Corea (1950-53). Maturata nel clima della Guerra
fredda contrappose gli Stati Uniti, alla guida di un corpo di spedizione
delle Nazioni Unite, alla Corea del Nord comunista, sostenuta dalla Cina.
Durante il conflitto, il Giappone, situato proprio di fronte alla Corea, fu in
grado di rifornire le t1uppe americane di tutto ciò di cui avevano bisogno
in cambio di dollari, che si rivelarono preziosi per pagare le importazioni
di materie prime e di petrolio; in tal modo, la sua economia poté ripartire.
2. Gli aiuti americani. Gli Americani, che occuparono militarmente il
Giappone fino al 1952, al loro arrivo avevano smantellato il suo apparato
i11dustriale e smembrato i potenti zaibatsu, accusati di detenere troppo po-
tere economico e finanziario e di aver sostenuto lo sforzo bellico nipponi-
co. Successivamente cambiarono atteggiamento e ne consentirono la rico-
stituzione, aiutando il Giappone a risollevarsi per farne il fedele alleato
asiatico contro il comunismo.
3. La disponibilità di una tecnologia avanzata. Come nell'epoca Meiji,
la tecnologia disponibile a basso prezzo sul mercato internazionale consentì
al Giappone di recuperare il <<gap>> tecnologico accumulato fra la fine degli
anni Trenta e la fine degli anni Quaranta, quando la sua economia era rima-
sta sostanzialmente isolata dal resto del mondo. I Giapponesi seppero pro-
fittarne meglio degli altri per due ragioni: disponevano di un capitale uma-
no di alto livello e avevano un elevato volume di risparmio, dovuto a lla vita
sobria che conducevano, sicché il processo di accumulazione di capitali po-
té ripartire in modo consistente. I Giapponesi riuscirono anche a sviluppare
una propria tecnologia, soprattutto nel campo dell 'elettronica, in cui rag-
giunsero una posizione di primissimo piano, contra.stando con successo il
predominio statunitense.
4. La partecipazione al commercio internazionale. Il Giappone seppe in-
serirsi sul mercato mondiale come paese esportatore di prodotti ad alta tecno-
280 L 'ecorzomia contemporanea (1950-2017)
1
L'espressione ricerca e sviluppo (in sigla R&S) indica le attività mediante le quali
un' impresa studia e sperimenta la fattibi lità tecnica di nuovi prodotti (,icerca) e traduce
queste conoscenze in una fonna che ne consenta la reali zzazione industriale (sviluppo).
2
Si hanno partecipazioni azionarie incrociate, quando una società (A) possiede azioni di
un'altra società (B), che a sua volta possiede azioni della società A. In tal modo, uomini di A
possono far parte del Consiglio di amministrazione di B, e viceversa.
30. Stati Uniti e Giappone 28 1
all' interno dell' azienda. I manager garantivano la sicurezza del posto di la-
voro e prevedevano una serie di benefici (formazione professionale, au-
menti salariali di anzianità, gratifiche periodiche, ecc.), in cambio della fe-
deltà dei dipendenti. La diffusione di public companies, inoltre, consenten-
do a un gran numero di persone di diventare azionisti di grandi società,
contribuì a legare i Giapponesi alle imprese nelle quali investivano e delle
quali spesso erano dipendenti.
Il G iappone, per i successi raggiunti, risentì meno di altri paesi delle cri-
si petrolifere degli anni Settanta. La crescita del Pil rallentò, anche in modo
consistente, ma conservò livelli superiori a quelli dell'Europa e degli Stati
Uniti (vedi tab. 14.1). Si procedette a una ristrutturazione produttiva, attra-
verso l' introduzione di nuovi metodi (la <<produzione s11ella>>, inventata pro-
prio dai Giapponesi) e l'utilizzazione diffusa dei robot, che sostituirono il
lavoro umano, garantendo la competitività internazionale di molte indu-
strie. Negli anni Ottanta, quando il Giappone era diventato la seconda po-
tenza economica mondiale, la sua crescita s'intensificò, facendo registrare
un incremento medio annuo del Pii pro capite di circa il 3,5 per cento.
Negli anni Novanta, invece, l' incremento del Pii pro capite crollò ad ap-
pena lo 0,7 per cento all 'anno. Che cosa era successo? Il Giappone era stato
investito da una. grave crisi, che presenta non poche analogie con quella
americana e mondiale del 2008-09. L e cause dell' inversione di tendenza
sono da ricercarsi proprio nella crescita precedente, durante la quale le espor-
tazioni verso gli Stati Uniti erano aumentate e il governo aveva adottato
u na politica di espansione del credito, mediante la riduzione dei tassi d ' in-
teresse, che comportò la stampa di nuova ca1tamoneta. La disponibilità
monetaria risultò elevata, anche per l'alto livello del risparmio interno, e i
Giapponesi (imprese, istituzioni fmanziarie e famig lie) effettuarono inve-
stimenti in titoli azionari e in immobili.
Nella seconda metà degli anni Ottanta, il corso delle azioni giunse a tri-
plicarsi e i prezzi degli immobili quasi raddoppiarono, mentre il livello ge-
nerale dei prezzi rimaneva stabile e i consumi aumentavano, sostenuti dal-
1' elevata occupazione. L'economia sembrava solida e i Giapponesi si atten-
devano ancora un lungo periodo di crescita, senza rendersi conto che stava-
no entrando in u11a bolla speculativa. La bolla scoppiò all' inizio del 1990,
quando alcuni investitori cominciarono a vendere le loro azioni, proprio
mentre la Banca del Giappone, per ridurre la massa monetaria in circola-
282 L 'eco11.omia contemporanea (1950-2017)
doganale, il Benelux, che decise la libera circolazione delle merci al suo in-
terno e stabili un'unica barriera doganale esterna.
Qualche anno più tardi, nel 1951, su iniziativa del ministro degli Esteri
francese Robert Schuman, fu fondata, con il trattato di Parigi, la Comunità
europea del carbone e dell 'acciaio (Ceca), alla quale parteciparono la Fran-
cia, la Germania occidentale, l' Italia e i tre paesi del Benelux. La durata
della Ceca era prevista per cinquant'anni e perciò ebbe termine nel 2002.
Essa era un 'unione doganale per il minerale ferroso, il carbone, il coke e
l' acciaio ed esercitava il controllo sulla produzione e sulla vendita di quei
beni. La Comunità ebbe successo e la produzione di acciaio aumentò da 34
a 56 milioni di tonnellate fra il 1950 e il 1958, quando gli Stati Uniti ne
producevano 77 milioni e la Gran Bretagna 20 milioni.
Ma il passo più importante fu compiuto con i trattati di Roma del 1957,
sempre fra i sei paesi che avevano dato vita alla Ceca . Nacquero allora la
Comunità economica europea (Cee) - o Mercato comune europeo (Mec) -
e la Comunità europea p er l 'energia atomica (Ceea o Euratom), entrate in
funzione all' inizio del 1958, con scopi molto più ambiziosi.
L 'Euratom si proponeva di promuovere lo sviluppo delle ricerche e la
diffusione delle conoscenze in materia nucleare, nonché di provvedere
all 'approvvigionamento della materia prima necessaria, assicurandone un
uso pacifico. Non essendo stata prevista alcuna scadenza, questa organizza-
zione è ancora in attività e si occupa in particolare della sicurezza in mate-
ria nucleare.
Ben più importante fu il Mercato comune, che si prefiggeva la libera
circolaz ione delle merci, dei lavoratori, dei capitali e dei servizi, da realiz-
zare entro dodici anni. Si dovevano abolire i dazi doganali e le restrizioni
quantitative agli scambi, bisognava fissare una tariffa doganale comune, ga-
rantire la libera concorrenza e praticare politiche comuni nel campo com-
merciale ( verso i paesi terzi) e in quelli agricolo, dei trasporti e sociale. I ri-
s11ltati furono superiori alle attese ed entro il 1968, con anticipo sui tempi
previsti, i dazi tra gli Stati membri erano stati completamente eliminati.
La Gran Bretagna, pure invitata a entrare nel 11uovo organismo, non vi
aderi, perché non voleva rinunziare a parte della propria sovranità e ai suoi
legami particolari con i paesi del Commonwealth. Tuttavia, non era contra-
ria a semplici aree di libero scambio e, perciò, promosse, assieme ai paesi
scandinavi, alla Svizzera, ali' Austria e al Portogallo, l'Associazione euro-
p ea di libero scambio (Efta, European Free Trade Association), che entrò in
funzione nel 1960. Ma già qualche anno dopo, la Gran Bretagna chiese di
essere ammessa al Mercato comune, uscendo dall'Efta. L'opposizione della
Francia ne ritardò l'ingresso, che avvenne solo nel 1973, assieme al i'Irlan-
31. L 'Unione Europea 285
Le crisi petrolifere degli anni Settanta e il crollo del sistema dei cambi
fissi colpirono in modo particolare i paesi dell'Europa occidentale. Il Pil
pro capite aumentò, fra il 1973 e il 2003 , dell' 1,9 per cento all'anno, vale a
dire meno della metà della crescita registrata nel periodo precedente e la
produttività del lavoro cominciò a diminuire. Nel frattempo rallentava la
crescita demografica e il vecchio continente fu interessato da un imponente
flusso d' immigrazione. I principali problemi dell' economia europea erano
la disoccupazione e l'inflazione. La disoccupazione raggiu.nse livelli altis-
simi, che, fra il 1994 e il 1998, oscillarono mediamente intorno all 'l 1 per
cento, mentre durante l'età dell' oro erano stati inferiori al 3 per cento. Una
disoccupazione così elevata riuscì ad essere sopportata solo grazie al siste-
ma di sicurezza sociale (pensioni, indennità di disoccupazione, assegni fa-
miliari, assicurazione obbligatoria contro infortuni e malattia, assistenza
medica per tutti, ecc.), che fece crescere l' indebitamento pubblico. D ' altra
parte, proprio il tenore di vita raggiunto dagli Europei e l'elevato costo del
lavoro, grazie alle conquiste sindacali dei decenni precedenti, metteva i
prodotti europei in difficoltà sui mercati mondiali, dove si affacciavano in
misura sempre maggiore quelli a basso costo dei paesi in via di sviluppo.
La lotta all 'injlazione, che in alcuni paesi superò il 16 per cento medio
annuo (1974-83), indusse i governi a tralasciare un' efficace politica di lotta
alla disoccupazione per puntare sulla stabilità dei prezzi. Essendo saltato
anche il sistema dei cambi fissi, si temeva che l' inflazione si potesse tra-
sformare in iperinflazione e si adottarono politiche restrittive del credito,
che non favorivano g li investimenti e quindi la creazione di nuovi posti di
lavoro. Le politiche deflazionistiche, comunque, ebbero successo e
l' inflazione, a partire dalla metà degli anni Ottanta cominciò a decrescere,
per portarsi poco sopra il due per cento nel periodo 1994-98 e rimanere in-
torno a quei valori anche successivamente.
La necessità di combattere l' inflazione era dovuta anche a un obiettivo
che i paesi europei volevano perseguire: realizzare l' unione monetaria. Una
proposta in tal senso era già stata avanzata nel 1970, ma era stata accanto-
nata in seguito alla fine del s istema di Bretton Woods. Se ne ricominciò a
parlare molto tempo dopo, nel 1989. Nel frattempo, i paesi dell'Europa oc-
cidentale tentarono di limitare l'oscillazione dei cambi delle loro monete
mediante appositi accordi. Quello più importante riguardò la costituzione
del Sistema monetario europeo (Sme), entrato in vigore 11el 1979, che pre-
vedeva la fissazione di una parità fra le monete aderenti e la possibilità di
oscillazioni del 2,25 per cento in più o in meno. La lira italiana, più debo le,
31. L 'Unione Europea 287
fu autorizzata a fluttuare del 6 per cento, concessione che durò fino al 1990.
Le parità furo110 calcolate in una nuova u11ità di conto, l'Eci, (European
Currency Unit), composta di un <<paniere>> di monete europee. Negli anm
successivi, però, a lcune monete, come il franco francese e la lira ita liana,
furono svalutate, mentre il marco fu rivalutato. Lo Sme conseguì modesti
risultati fmo al 1992, quando entrò in crisi. L'Italia e il Regno Unito ne usci-
rono, lasciando fluttuare liberamente le loro monete e l'anno successivo la
banda di oscillazione fu portata al 15 per cento, decisione che significava il
sostanziale fallimento del sistema europ eo dei cambi fissi.
Proprio nel 1992, intanto, veniva stipulato il Trattato di Maastricht
(Olanda), con il quale la Comunità economica europea si sarebbe trasfor-
mata in Unione Europea, con lo scopo di perseguire l'unione politica, eco-
nomica e monetaria. Fu decisa l'introduzione di u na moneta unica, l' euro,
in sostituzione di quelle dei singoli Stati e vennero fissati rigidi criteri di
convergenza, ai quali i paesi che volevano a dottare la nuova moneta si do-
vevano attenere. Questi criteri, in sostanza, miravano ad assicurare stabilità
alla nuova moneta e perciò ognj paese s'impegnava a contenere il deficit
del bilancio statale entro il 3 per cento del Pii e a ridurre gradualmente il
debito pubblico (se più elevato) entro il 60 per cento del Pil.
L 'euro fu introdotto nel 1999 come moneta di conto (utilizzata a fmi
contabili e p er i pagamenti non in contanti) e nel gennaio del 2002 come
moneta effettiva, con la speranza di poter fa re concorrenza al dollaro come
moneta internazionale. Esso fu adottato da dodici paesi (su quindici), con
l' importante e sigmficativa eccezione della Gran Bretagna, che continuò a
utilizzare la sterlina. L 'emissione della nuova moneta è stata affidata alla
Banca Centrale Europea (Bee), che ha il compito di definire e attuare la
politica monetaria nell' area dell'euro (la cosiddetta <<Eurozona>>) e di dete-
nere e gestire le riserve degli Stati membri. Essa si propone innanzitutto di
garantire il potere d' acquisto dell' euro e la stabilità dei prezzi. Il Consiglio
direttivo della Bee è composto dai governatori delle banche centrali degli
Stati aderenti all'euro, le quali hanno p erso la sovramtà che avevano sulle
loro precedenti monete.
In seguito, l' Unione si è ulteriormente allargata fino a comprendere 28
Stati, che contano poco più di 500 milioni di abitanti, inclusi alcuni paesi
dell'Europa orientale (Poloma, Ungheria, Repubblica ceca, Repubblica slo-
vacca, Slovema, Croazia, Bulgaria e Romania) o appartenenti all'ex Unione
Sovietica (Estoma, Lettonia e Lituama). Fino al 2018 diciannove paesi
hanno adottato l'euro e cioè Francia, Germania, Italia, Belgio, Olanda, Lus-
semburgo, Spagna, Portogallo, Irlanda, Austria, Grecia, Finlandia, Slovac-
chia, Slovenia, Malta, Cipro, Estonia, Lettonia e Lituania. Nel mese di giu-
288 L 'eco11.omia contemporanea (1 950-2017)
gno del 2016, un referendum nel Regno Unito ha sancito l'uscita di quel
paese dall'Unione Europea (la cosiddetta Brexit), che avverrà, se non vi sa-
ranno ripensamenti, entro il 2019.
Nel secondo dopoguerra, i paesi più grandi dell' Europa occidentale - Gran
Bretagna, Francia, Germania e Italia - ebbero destini comuni, segnati dalla
costruzione dell'Unione Europea, ma, specialmente agli inizi, ognuno seguì
un proprio percorso per realizzare il grande sviluppo della seconda metà del
ventesimo secolo. La Gran Bretagna, nonostante fosse uscita vincitrice dal
secondo conflitto mondiale, si trovò in gravi difficoltà e dovette prendere
atto che ormai la leadership economica (e politica) mondiale era defmiti-
vamente passata agli Stati U11iti. Durante la guerra aveva accumulato un
pesante debito estero e fu costretta a chiedere un prestito di ben cinque mi-
ljardi di do llari agli Stati Uniti e al Canada per pagare le importazioni di
derrate e di materie prime. Inoltre, fu particolarmente provata dal rigido in-
verno del 1946-47, che coprì le isole britanniche di una coltre di ghiaccio e
paralizzò l' economia per diverse settimane, durante le quali, oltre al pane,
dovette essere razionata anche la con·ente elettrica.
Il nuovo governo laburista mise mano a una serie di nazionalizzazioni
(Banca d'Inghilterra, telecomunicazioni, aviazione civile, carbone, elettrici-
tà, trasporti, gas, siderurgia), che non mutarono i caratteri dell' economia di
mercato. L ' 80 per cento delle industrie rimase ai privati e le imprese nazio-
nalizzate, più che diventare il settore trainante dell' economia, si trovarono a
rimorchio di quelle private. Di grande importanza furono i provvedimenti
tesi a realizzare il Welfare State, così come proposto da Lord Beveridge. Fu
istituito, prima che in altri paesi, il Serviz io sanitario nazionale, che doveva
garantire la completa assistenza medica a tutti i residenti nel R egno Unito,
si varò un vasto programma di edilizia pubblica per ricostruire gli immobili
distrutti dai bombardamenti, s 'introdussero diverse forme di assistenza ai
lavoratori e ai cittadini e venne migliorato il sistema dell' istruzione.
Superati i difficili momenti dell' immediato dopoguerra, l'economia ri-
prese a crescere e i cittadini britannici poterono entrare nell' era dei consumi
di massa qualche anno prima del resto dell'Europa. Ma si trattò di una cre-
scita lenta. Dalla fine del conflitto agli anni Novanta, difatti, il Pii pro capi-
te del R egno Unito aume11tò a un ritmo medio di circa il 2 per cento all' an-
no. Sembrava - com'è stato scritto - che questa percentuale <<fosse stata elar-
gita ali ' economia britannica per grazia divina>>, quasi che, effettuato lo
31. L 'Unione Europ ea 289
La Francia, uscita dalla guerra con gi·avi distruzioni materiali sull' intero
territorio nazionale, presentava alcune debolezze sostanziali: la popolazione
era rimasta praticamente invariata nei cinquant'anni precedenti (e perciò
era invecchiata), l' economia era chiusa verso l' esterno e riusciva a soste-
nersi solo con misure protezionistiche e grazie ai rapporti commerciali con
le colonie. Il governo, dopo la lunga occupazione 11azista, 110n aveva né gli
strumenti né la volontà per impegnarsi a fondo in un ' efficace politica eco-
nomica. Il Paese, inoltre, era ancora troppo legato a ll'agricoltura, che con-
servava un numero di addetti particolarmente elevato.
All' indomani della liberazione, però, la Francia fu capace di uno slancio
nazionale, a l quale parteciparono tutte le parti politiche e l' intera popolazio-
ne. Ciò consentì di riprendersi rapidamente e in cinque anni il Pil pro capite
arrivò a raddoppiarsi. Il Paese poté entrare con determinazione nei <<trenta
gloriosi>>, come i Francesi chiamano gli anni della golden age, che per loro
iniziò con anticipo sugli altri paesi europei. La popolazione, nel rinnovato
clima di fiducia, riuscì a invertire la tendenza negativa che durava da troppo
tempo e riprese a crescere a ritmi sostenuti. Dalla fme della gue1Ta a oggi, es-
sa è aumentata di oltre il 60 per cento, mentre quelle del Regno Unito, della
Germania e dell' Italia sono cresciute di circa il 25 per cento. Ancora una vol-
ta, la crescita d.e mografica si è rivelata un potente fattore di sviluppo in un
paese dotato di risorse umane e materiali e di infrastrutture adeguate. La rico-
31. L 'Unione Europea 29 1
La riunificazione, di cui si era parlato negli anni Cinquanta e che era poi
stata accantonata durante la Guerra fredda, fu realizzata nel 1990, dopo la fi-
ne del regime comunista nella Germania orientale. Avvenne pacificamente
per annessione, nel senso che i territori orientali chiesero di entrare a far parte
della Repubblica Federale Tedesca come nuovi Lander. Il costo dell'opera-
zione fu molto elevato. La necessità di agire con rapidità e decisione e la vo-
lontà di favorire, per motivi politici, i Tedeschi dell'Est, indussero il governo
a fissare la conversione del marco orientale con qu.ello occidentale alla pari
(uno contro uno), mentre valeva molto di meno. Ne beneficiarono coloro che,
nell'ex Germania comunista, percepivano un salario o uno stipendio. Il go-
verno, inoltre, dovette affrontare spese ingenti, coperte con nuove imposte,
per la modernizzazione delle infrastrutture e il risanamento dell' apparato in-
dustriale della parte orientale. Le imprese furono privatizzate e quelle poco
produttive smantellate, con l'inevitabile incremento della disoccupazione,
che creò malcontento in una popolazione - quella dell'ex Germania comuni-
sta - abituata a vivere modestamente, ma con i bisogni essenziali garantiti
dallo Stato. Anche nella Germania occidentale non mancarono proteste per il
costo eccessivo dell'unificazione, che aveva imposto sacrifici a tutti.
Negli anni Novanta, perciò, furono necessari dolorosi interventi di ri-
strutturazione produttiva (delocalizzazione) e di riduzione delle spese pub-
bliche. L'economia tedesca rimane comunque molto solida ed è fortemente
legata alle esportazioni, il cui valore risultava (2008) pari al 4 7 per cento
del Pii, successivamente ridottosi a meno del 39 per cento ( 2016). Negli ul-
timi anni la Germania, che conta oltre 80 milioni di abitanti, ha perso il
primato come paese esportatore, essendo stata superata dalla Cina e dagli
Stati Uniti, e ha subito un crollo di 4,2 punti percentuali del Pil pro capite
nel 2009. Tuttavia essa resta l'economia più forte del continente europeo, e
ha saputo superare gli anni della crisi di inizio secolo con una disoccupa-
zione più contenuta e un incremento del Pil pro capite di sei punti nel 2013,
portatisi a quasi nove nel 2016 (vedi tab. 29 .1 ).
32.
L'ECONOMIA
ITALIANA
32.1. La ricostruzione
Le condizioni dell' Italia, alla fine del secondo co1rl1itto mondiale, erano
disastrose. La guerra, combattuta per oltre due anni sul territorio nazionale,
aveva provocato ingenti danni al patrimonio abitativo e al sistema dei tra-
sporti, sia per i bombardamenti aerei degli Anglo-americani sia per le si-
stematiche distruzioni dei Tedeschi in ritirata. Erano stati distrutti 1,9 mi-
lioni di vani e quasi altri 5 milioni risultarono danneggiati (su circa 34 mi-
lioni di vani esistenti); si era perso più dell'80 per cento della marina mer-
cantile; le linee ferroviarie erano interrotte per i danni arrecati a ponti, linee
elettriche aeree e binari; molte strade erano impraticabili e gli autocarri si
erano ridotti a meno della metà. Relativamente pochi (meno del 10 per cento)
erano, invece, i danni ali' apparato industriale.
Se si considera il Pil pro capite, si nota come esso fosse crollato, nel
1945, al 55 per cento di quello del 1939 e risu ltasse addirittura inferiore (in
valori costanti) a quello del 1905. Nessuno avrebbe immaginato che sareb-
bero bastati appena cinque anni per ritornare al livello di prima della guer-
ra, né che lo sviluppo successivo sarebbe stato eccezionale, tanto da far par-
lare di <<miracolo economico>>, e avrebbe trasformato profondamente l'eco-
nomia e la società italiane. In appena ventitré anni, fra il 1950 e il 1973, il
Pil pro capite riuscì a triplicarsi (sempre in valori costanti), e aumentò, in
media, del 5 per cento all'anno, consentendo un miglioramento senza pre-
cedenti del tenore di vita degli Italiani (vedi tab. 14.1). Per comprendere le
trasformazioni realizzate, basti pensare che, secondo l'inchiesta parlamen-
tare sulla miseria del 1951 -52, quasi un quarto delle famiglie italiane era
considerato misero o indige11te, la metà degli appartamenti non possedeva il
gabinetto interno e più della metà non disponeva di acqua corrente. E questi
valori erano sensibilmente più elevati nel Mezzogiorno.
296 L 'eco11.omia contemporanea (1950-2017)
Negli anni centrali del miracolo economico, vale a dire dal 1950 al
1963, il Pil pro capite aumentò del 5,8 per cento all'anno, mentre successi-
vamente, fino al 1973, i risultati furono meno elevati, ma comunque rag-
guardevoli (+ 4 per cento). La crescita fu accompagnata da profondi muta-
nienti strutturali, che in poco tempo cambiarono il volto dell ' Italia. Fra i
censimenti del 1951 e del 1971, gli addetti all' agricoltura crollarono dal 4 2
al 17 per cento del totale e o ltre cinque milioni di contadini abbandonarono
le campagne, mentre aumentarono g li addetti all' industria e al settore ter-
ziario. L ' industrializzazione e poi la terziarizzazione del Paese emergono
ancora più chiaramente se si considera l' apporto dei tre settori alla forma-
zione del Pii (vedi tab. 17.2). Il punto massimo della partecipazione del-
l'industria si registrò nel 1976 con il 42,5 per cento. Anche l'istruzione de-
gli Italiani stava migliorando. Nel ventennio 1951 -7 1 gli analfabeti si ridus-
sero dal 10,5 al 4 per cento del la popolazione e aumentarono i diplomati
(+ 44 per cento) e i laureati (+ 109 per cento).
L'agricoltura si modernizzò, anche grazie all' aiuto dello Stato, mediante
una rapida meccanizzazione e una più diffu.sa utilizzazione dei concimi
chimici, e si rivolse maggiormente all'allevamento e alle produzioni specia-
lizzate (ortofrutta, vite, olivo, ecc.). Basti pensare cl1e i trattori, macchine
che possono essere assunte come indice dell'intera meccanizzazione agrico-
la, balzarono da poco più di 40 mila alla fine del la guerra, quando erano pre-
32. L 'economia italiana 299
senti principalmente nell'Italia settentrionale, a 600 mila nel 1970, per cre-
scere ancora nei decenni successivi fino a raggiungere il numero di 1.700.000
a fme secolo: in cinquant'anni essi si erano moltiplicati per oltre quaranta
volte. Anche il consumo di pesticidi e ferti lizzanti aumentò notevolmente, fa-
cendo migliorare le rese agricole. Inoltre, i contadini che abbandonarono le
campagne costituirono una forza di lavoro a basso costo per l'industria.
Le principali industrie che caratterizzarono il miracolo economico ri-
guardarono la produz ione di automobili, di elettrodomestici e di fibre sinte-
tiche, nonché la meccanica di precisione e la petrolchimica. Per queste atti-
vità, anche in Italia si affermò, sull'esempio americano, la grande impresa,
organizzata secondo i criteri della fabbrica fordista. Nel dopoguerra, molti
industriali italiani si recarono negli Stati Uniti per visitare le grandi fabbri-
che e studiarne la struttura e l' organizzazione. La bilancia dei pagamenti si
portò in attivo a partire dal 1957, non solo per le accresciute esportazioni,
ma anche per le rimesse degli emigrati e per lo sviluppo del turismo, che
ormai cominciava ad attirare un gran numero di stranieri desiderosi disco-
prire le ricchezze artistiche e paesaggistiche del Bel Paese.
L'Italia era diventata, in pochi decenni, una nazione industrializzata, in
cui si diffondevano i consumi di massa e si registrava un forte esodo dalle
campagne, mentre le città del triangolo industria le si riempivano di operai,
molti dei quali provenivano dalle regioni meridionali. L'istruzione si dif-
fondeva, lo Stato introduceva le prime forme di Welfare e le prospettive
apparivano rosee, in particolare per le giovani generazioni. Ma vi erano
anche alcune ombre, come l ' in·isolta questione meridionale e la ripresa
dell'emigrazione.
Il ritardo del Mezzogiorno riuscì a essere parzialmente ridotto, ma non
annullato. L'intervento statale, principalmente attraverso l'azione della Cassa
per il Mezzogiorno, consentì la nascita, in alcune zone costiere del Mezzo-
giorno, di grandi industrie, pubbliche e private, ad alta intensità di capitale e
spesso anche tecnologicamente avanzate. Esse, però, riuscirono ad assorbire
poca manodopera, sicché la disoccupazione rimase molto elevata e per molte
persone la soluzione contiI1uò a essere costituita dall'emigrazione.
Dopo la Seconda guerra mondiale riprese anche l' emigrazione dalle re-
gioni meridionali (ma pure da alcune zone del Nordest, come il Veneto),
dove la modernizzazione dell' agricoltura e specialme11te il ricorso alle
macchine agricole fece emergere la sovrappopolazione relativa delle cam-
pagne. Gli emigranti partirono per le Americhe (Argentina, Stati Uniti,
Canada e Brasile) e, sempre più frequenteme11te, per l'Europa (Francia,
Svizzera e Germania) e per l'Australia. Fra il 1946 e il 1976 lasciarono
l'Italia quasi 7,5 milioni di persone, con una media di 240 mila emigrati
300 L 'eco11omia contemporanea (1950-2017)
L ' economia italiana risentì della crisi petrolifera del 1973 e rallentò la
sua crescita. Il tasso medio annuo d'incremento del Pil pro capite, che du-
rante la golden age era stato del 5 per cento, nel trentennio successivo si ri-
dusse a poco più del 2 p er cento.
Una delle conseguenze della crisi petrolifera fu la forte inflazione, che si
tenne mediamente intorno al 13,5 per cento all'anno sino a ll'inizio degli anni
Ottanta. Nei mesi successivi all'aumento dei prezzi del petrolio, furono vara-
te diverse misure per il risparmio energetico che, sebbene restassero in vigore
per poco tempo, resero evidente a tutti la gravità della crisi: fu vietato alle au-
tovetture di circolare la domenica; le vetrine dei negozi dovevano essere
spente alle 19 ; le sale cinematografiche, i bar e i ristoranti dovevano chiudere
alle 23 e alla stessa ora dovevano terminare le trasmissioni televisive, allora
mandate in onda solo dalla Rai. L 'Italia cominciò a utilizzare sempre più il
gas naturale, riducendo la dipendenza dal petrolio, che fmo al 1973 copriva
quasi 1'80 per cento del fabbisogno energetico nazionale. Ai nostri giorni,
l'utilizzazione del p etrolio per la produzione di energia elettrica si è enorme-
mente ridotto non solo a vantaggio del gas naturale, importato soprattutto
dall'Algeria e dalla Russia, ma anche delle fonti di energia rinnovabili (idroe-
lettrico, fotovoltaico, eolico, ecc.), giunte a oltre il 30 per cento.
La crisi fu affrontata grazie all'intervento dello Stato, che s ostenne le im-
prese in difficoltà e i red.d iti delle famiglie. Il sostegno alle imprese fu attuato
mediante la fiscalizzazione degli oneri sociali (rimasta in vigore fino al
1999), con la quale furono ridotti i contributi previdenziali che i datori di la-
voro dovevano versare per i loro dipendenti (pensioni, assicurazioni contro
gli infortuni e le malattie, ecc.). Le imprese in difficoltà si avvalsero dei fi-
nanziamenti agevolati della Gepi (Società per le gestioni e partecipazioni in-
dustriali, 197 1-99), un'agenzia pubblica, che poteva intervenire anche per
acquistare partecipazioni azionarie. Essa, di fatto, venne utilizzata per evitare
il licenziamento delle maestranze e mantenne in vita aziende improduttive.
Fu anche finanziata ulteriorme11te la Cassa integrazione guadagni, incaricata
di versare, per un certo periodo, una parte dello stipendio ai lavoratori licen-
ziati o momentaneamente sospesi dal lavoro per riduzione della produzione.
I redditi delle famiglie furono sostenuti anche m ediante l 'allarganiento
del Welfare. Nel 1969 erano state introdotte le pensioni sociali a favore di
persone di oltre 65 anni di età prive di reddito ed era stato riformato il siste-
ma pensionistico, con la concessione, fra l' altro, di pensioni ai pubblici di-
pendenti dopo soli quindici anni di servizio effettivo. Nel 1978 fu istituito il
Servizio sanitario nazionale, che assicurò a tutti le prestazioni medic he e
302 L 'ecorzomia contemporanea (1950-2017)
che, fra il 1992 e il 2005, portarono nelle casse dello Stato quasi 140 mi-
liardi di euro. Esse riguardarono le banche, le imprese dell ' Iri ( ente sop-
presso nel 2002), l' Eni, l'Enel, i trasporti e le telecomunicazioni. Gli acqui-
renti furono sia imprenditori nazionali che stranieri, alcuni dei quali con
scopi speculativi, vale a dire con l' intenzione di rivendere successivamente
le imprese acquistate e non di potenziarle con un piano strategico per il loro
futuro. I piccoli risparmiatori, essendo poco abituati agli investimenti di ri-
schio, non acquistarono molte azioni. Lo Stato conservò tuttavia importanti
quote di partecipazione e rimase l'azionista di riferimento (detentore del
pacchetto di controllo) di molte grandi aziende (Finmeccanica, Fincantieri,
Rai, ecc.), sicché si può affermare che lo Stato imprenditore non è del tutto
finito, pur se notevolmente ridimensionato.
Anche il sistema bancario fu privatizzato. Esso fu riformato con alcune
leggi, poi confluite nel Testo Unico Bancario del 1993, che sostituì defmiti-
vamente la legge bancaria del 1936. Il sistema fu semplificato e le diverse
categorie di banche esistenti (istituti di credito di diritto pubblico, banche
d'interesse nazionale, casse di risparmio, banche popolari, casse rurali, ecc.)
furono sostanzialmente ridotte a du e: le banche sotto forma di società p er
azioni e le banche cooperative. Il nuovo Testo Unico stabilì il superamento
della distinzione tra banche commerciali e banche d'investimento, introdotto
durante la crisi degli anni Trenta, per adottare il sistema della banca univer-
sale. Vi furono anche parecchie fusioni, che portarono a una riduzione del
numero delle banche e alla formazione di grandi gruppi (Unicredit, Intesa
San Paolo, Monte dei Paschi di Siena, ecc.), ritenuti maggiormente in grado
di competere sul mercato inten1azionale dei capitali. Lo Stato, che, nel 1994,
controllava il 70 per cento del sistema bancario, dieci anni dopo ne control-
lava solo il 1Oper cento.
Nel frattempo, si accelerava la terziarizzazione dell'economia. In quaran-
tacinque anni, fra il 197 1 e il 2016, gli addetti ai servizi passarono dal 38 al
70 per cento, mentre calarono quelli dell'industria (dal 44 al 26 per cento) e
caddero a livelli minimi gli addetti all'agricoltura (dal 17 al 4 per cento).
Dopo la crisi degli anni Settanta, le grandi imprese, che si erano dovute
notevolmente indebitare, procedettero ad una ristiutturazione produttiva. Per
risparmiare sul costo d.ella manodopera, diventato più rigido con le conquiste
salariali e normative successive all' <<autunno caldo>>, ricorsero sempre di più
all' automazione dei processi produttivi, sostituendo i lavoratori con le mac-
304 L 'eco11.omia contemporanea (1950-2017)
miglia e del risparmio, volontà di rischiare, ecc.) e una serie di relazioni fra di
loro, che si dimostrarono importanti fattori di sviluppo dell'intera zona.
A partire dagli anni Settanta si costituirono numerosi distretti industriali,
successivamente tutelati dalla legge (1991). Oggi se ne contano oltre 140,
che rappresentano circa un quarto del sistema produttivo del Paese. Solo
per fare qualche esempio, si possono ricordare quelli di Prato e di Carpi
(tessile), di Sassuolo (ceramica), della Brianza (mobili), di Fermo (calzatu-
re), di Vicenza (oreficeria) e di Solofra (concerie). Le imprese dei distretti,
in origine solo di modeste dimensioni, in molti casi riuscirono a prospera-
re e a diventare veri gruppi con una presenza internazionale (le cosiddette
<<multinazionali tascabili>>). Nel momento in cui, da un lato, le grandi im-
prese, come Fiat, Montedison, Pirelli e Olivetti, si trovarono in difficoltà
e dovettero procedere a drastiche ristrutturazioni e, dall' altro, le piccole
imprese non riuscivano a crescere e subivano la concorrenza dei manufat-
ti provenienti dai paesi con basso costo della manodopera, furono le me-
die imprese ( diciamo quelle che fatturano fra 150 milioni e 1,5 miliardi di
euro) che fecero registrare i maggiori successi. Queste imprese, che co-
minciarono ad affermarsi negli anni Ottanta, divennero le vere nuove pro-
tagoniste del sistema industriale italia.no. In alcuni casi, il loro fatturato si
moltiplicò per decine o addirittura per centinaia di volte.
Fra i paesi che avevano combattuto la Seconda guerra mondiale, l' Unione
Sovietica fu quello che subì i danni maggiori, sia per le perdite di vite uma-
ne sia per le devastazioni materiali a1Tecate al suo territorio. Dopo la guerra
fu ripresa la pianificazione e si varò il quarto piano quinquennale, che punta-
va ancora, come i precedenti, sull 'industria pesante e sugli armamenti, con
particolare riguardo a quelli nucleari. La Russia continuava a temere l'accer-
chiamento, anche se ormai aveva messo fra sé e l' Europa occidentale un lar-
go cuscinetto costituito dagli <<Stati satelliti>>, come si dissero i paesi dell'Eu-
ropa orientale passati sotto il suo controllo. Anche dopo la morte di Stalin
(1953), l'organizzazione dell'economia pianificata non mutò. Si continuaro-
no a predisporre piani che sacrificavano la produzione di beni di consumo a
vantaggio di quelli strumentali e degli armamenti, oltre che dell'esplorazione
dello spazio, che fu l'unico campo in cui i Sovietici riuscirono a ottenere
maggiori successi degli Americani, almeno nei primi anni.
Tuttavia, anche l'Unione Sovietica partecipò alla generale fase di svi-
luppo dell'economia mondiale e il suo Pil pro capite crebbe al tasso del 3,4
per cento annuo, vale a dire a una velocità maggiore di quelli di Gran Bre-
tagna e Stati Uniti (vedi tab. 14.1 ). Esso, però, era pari, nel 1973, solo al 50
per cento del Pil pro capite britannico e appena al 36 per cento di quello
americano. Nel 1989 quei valori si erano ridotti al 43 e al 31 per cento, poi-
ché nel frattempo il Pil pro capite era aumentato solo di un modesto O, 7 per
cento annuo.
A mano a mano che l' attività eco11omica diventava più ampia e articola-
ta, i limiti della pianificazione centralizzata sovietica, processo molto com-
plesso e difficile da gestire in modo efficace, risultarono più evidenti.
306 L 'ecorzomia contemporanea (1950-2017)
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Turlanenistan, Uzbekistan e Tagikistan) l'v
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33. La.fine del Blocco sovietico 3 13