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L’Europa nell’economia

internazionale, dalla ricostruzione


postbellica alla fine del 900.
Argomenti principali e una scansione cronologica

1. La riflessione sull’esperienza della crisi e della


recessione degli anni 1930. L’influenza di J. M. Keynes.
2. Il lascito della seconda guerra mondiale: rapporti
finanziari ed economici internazionali; la supremazia
USA; nuovi orizzonti produttivi.
3. La ricostruzione postbellica (1945-1950).
4. I miracoli economici (1955-1964).
5. L’integrazione economica e finanziaria internazionale
6. La crescente instabilità del sistema internazionale dei
pagamenti tra la seconda metà degli anni 1960 e il 1973.
7. 15 anni di difficoltà e ristrutturazioni (1971-1985); la
svolta neoliberista e monetarista e la crisi fiscale degli
stati
8. Un nuovo slancio e i progressi di un sistema globale
(1985-1995).
Testi di riferimento

(1) Barry Eichengreen, La nascita dell’economia europea.


Dalla svolta del 1945 alla sfida dell’innovazione, Il
Saggiatore, Milano, 2009;
(2) Andrew Glyn, Capitalismo scatenato. Globalizzazione,
competitività e welfare, Francesco Brioschi editore,
Milano, 2007
(3) a scelta, una delle tre monografie seguenti:
 David Harvey, Breve storia del neoliberismo, Milano, Il
Saggiatore, 2007;
 Richard A. Posner, Un fallimento del capitalismo. La
crisi finanziaria e la seconda Grande depressione,
Torino, Codice edizioni, 2011;
 Luciano Gallino, Finanzcapitalismo. La civiltà del
denaro in crisi, Torino, Einaudi, 2011;
 Daniel Yergin, Joseph Stanislaw, La Grande guerra del
l’economia (1950-2000). La lotta tra Stato e imprese
per il controllo dei mercati, Milano, Garzanti, 2000.
Due guerre mondiali e due dopoguerra

 La gestione economica e finanziaria della prima


guerra mondiale aveva rappresentato una novità che
aveva colto pressoché del tutto impreparati stati e
operatori economici.
 Altrettanto era stato per il difficile dopoguerra e la
gestione di una fase di drammatica instabilità
economica, sociale e politica che aveva interessato
tutta l’Europa.
 L’esperienza compiuta nella prima guerra e nel
dopoguerra sono largamente utilizzate nella seconda
e nel suo dopoguerra per evitare gli errori che
avevano favorito (1) l’instabilità valutaria e (2) la
drastica riduzione dei rapporti economici e finanziari
internazionali durante la grande crisi e la depressione
degli anni Trenta.
Nuovi obiettivi e strumenti di politica economica.

Viene anche attentamente valutata l’esperienza


 del ristagno economico sofferto già negli anni 1920 da
alcuni paesi (UK e Italia in particolare) in relazione a
politiche di cambio errate;
 e soprattutto quella della gravissima recessione degli anni
30 e delle soluzioni che avevano consentito in alcuni
sistemi economici di limitare i guasti.
Le lezioni tratte dagli anni 30 portano a elaborare nuovi
indirizzi di politica economica.
Vengono diffusamente applicate da amministrazioni statali
ormai investite di ampie responsabilità in campo
economico misure di stabilizzazione congiunturale
mediante (1) politiche monetarie (ed eventualmente
fiscali) e (2) politiche di investimento per favorire la
ricostruzione e l’occupazione.
L’ispirazione keynesiana nelle politiche
economiche
Le proposte avanzate da John Maynard Keynes si erano
affermate nel mondo accademico anglosassone.
L’affermazione fu agevolata dal ruolo inedito che gli
economisti svolsero come consulenti dei governi di UK,
Canada e USA durante la guerra. Inoltre vi contribuì il
grande prestigio che lo stesso Keynes aveva acquisito
grazie al suo ruolo
 nel dibattito politico e culturale fra le due guerre;
 come consigliere del primo ministro e della Treasury
britannica dal 1939;
 come principale negoziatore internazionale per il governo
britannico.
Progressivamente, ma lentamente e in maniera non
omogenea, esse ispirarono i responsabili della politica
economica anche degli stati europei continentali.
L’evoluzione delle concezioni di Keynes: un
cenno
Keynes rivolse particolare attenzione ai problemi monetari per tutta la
prima parte della sua attività, da Indian currency al Treatise on
money. Negli anni 20, in disaccordo con la maggior parte degli
economisti contemporanei, propose di stabilizzare i prezzi interni
piuttosto che i cambi, e di frenare l’inflazione ma evitando una
rigorosa deflazione.
Da metà anni Venti concentrò particolarmente la sua attenzione sul
rapporto tra tasso d’interesse e investimenti, mentre raccomandava
politiche di sostegno all’occupazione attraverso lavori pubblici, come
sostenevano Lloyd George e il partito liberale britannico nella
campagna elettorale del 1929.
Partecipò attivamente alle discussioni sulla dole e polemizzò con la
Treasury, secondo cui bisognava contrarre la spesa pubblica per
superare le difficoltà dell’economia britannica (1929-1931), tanto più
che ciò che lo stato spendeva era sottratto alle risorse del settore
privato.
Nel 1936 pubblicò la sua opera più innovativa, The general theory of
employment, interest and money.
Le scuole keynesiane
 La General theory proponeva ricette innovative per la politica
economica in condizioni di parziale impiego delle risorse
disponibili (disoccupazione diffusa e sottoutilizzo della capacità
produttiva degli impianti) e presupponeva un approccio non
ortodosso all’esigenza di stimolare l’economia. Ma Keynes preferì
agevolare l’affermazione delle sue idee inserendole in un quadro
analitico familiare agli economisti formatisi nel quadro teorico del
l’economia neoclassica.
 Non le sviluppò ulteriormente perché colpito da un attacco di
cuore e poi assorbito dalla collaborazione con la Treasury e il
governo fino al 21 aprile 1946. Solo in How to pay for the war
(1940) affrontò il problema dell’inflazione in condizioni di pieno
impiego, questione diventata molto rilevante negli anni 60.
 Nel dopoguerra riuscì facilmente a prevalere un’interpretazione
del pensiero di Keynes che trascurava il potenziale più innovativo
delle sue analisi sull’instabilità finanziaria. Questo è l’indirizzo
dominante fino agli anni 1970 in USA e UK .
Il lascito della guerra: le distruzioni

 I paesi direttamente o indirettamente coinvolti nella


guerra sperimentano vicende che possono essere molto
diverse, a cominciare dalla natura e dall’entità delle
sollecitazioni a cui la guerra sottopone le loro strutture
economiche e sociali.
 In URSS risultano distrutte 17m città e 70m villaggi.
 In Germania danneggiato o distrutto il 90% del
patrimonio residenziale.
 Nelle zone occupate il patrimonio industriale e i mezzi
di trasporto sono saccheggiati.
 Secondo il governo francese il paese aveva perso il
45% della ricchezza nazionale.
 In Italia la perdita era stimata di 1/3.
 Il Giappone era stato pesantemente colpito dai
bombardamenti delle maggiori città, dalla perdita della
flotta mercantile, dalla distruzione di molti stabilimenti
industriali.
Morti complessive in relazione alle perdite di guerra
(000 omessi).

Militari 22.000
Civili morti in campi di concentramento 12.000
Id morti sotto bombardamenti 1.500
Id. morti in Europa per altre cause di guerra 7.000
Id. morti in Cina per altre cause di guerra 7.500
Totale 28.000
Perdite complessive 50.000

Fonte: voce Demography of the war, Oxford companion of the Second World War,
OUP, Oxford 1995.
Altre conseguenze demografiche della seconda
guerra mondiale

 La mobilitazione e le perdite militari modificano il


rapporto quantitativo fra i sessi in molti popoli. In
particolare nell’URRS. Calano drammaticamente i tassi di
matrimonio e di fertilità.
 A guerra conclusa, però, la ripresa è piuttosto rapida. Si
verifica in diversi paesi (a cominciare dagli USA) un baby
boom capace di influire fortemente sulla disponibilità di
popolazione attiva alla fine degli anni 1950 e agli inizi
degli anni 60.
 I movimenti di popolazione connessi alla guerra si
ripercuotono sulla composizione etnica e sulla
mescolanza di nazionalità in molte regioni, creando un
potenziale di tensioni e conflitti politico-sociali che si
trascinano a lungo. Condizionano pesantemente la
gestione della politica in alcuni stati (per es. i profughi
dei Sudeti nella RFT).
Gli spostamenti di popolazione: i profughi [000]

1939-1945 1946-47 Saldo netto


Dentro Fuori Dentro Fuori
Germania 7.500 4.600 7.200 600 9.500
Italia 1.400 1.500 680 350 230
Romania 450 700 80 - -170
Austria 385 150 310 33 512
Totale Asse 9.927 7.134 8.471 1.211 10.053
UK - 500 - 413 87
Jugoslavia - 350 90 180 -440
Cecoslov. 15 1.025 160 1.915 -2.765
Polonia - 6.900 1.500 2.300 -7.700
Francia 3.900 3.710 282 50 422
Totale 4.201 12.835 2.300 4.988 -10.322
Alleati
Totale altri 408 200 93 219 -82
URSS 20.000
Il lascito della guerra: lo stimolo a crescere
I paesi produttori di materie prime e i paesi coinvolti come
retrovie del conflitto in Asia, Australia e Medio Oriente
ricevono un forte impulso alla crescita perché favoriti
dalle spese degli alleati.
Il reddito monetario insolitamente alto creato da esportazioni
verso i belligeranti e/o dalla spesa di truppe stanziate sul
loro territorio fornisce abbondanti risorse valutarie.
Raramente possono essere spese immediatamente.
Soprattutto i conti in £ (i più consistenti) sono bloccati
dalle disposizioni valutarie britanniche.
La chiusura del mercato internazionale favorisce l’avvio di
produzioni manifatturiere locali prima difficili a causa
della concorrenza di economie industriali.
I benefici ottenuti non sono permanenti. La capacità di
sfruttarli per consolidare l’economia dei paesi interessati
è raramente riscontrabile. V. l’es. dell’Argentina.
Gli USA consolidano il loro primato economico e finanziario
mondiale.
Il commercio estero USA, 1939-1945 [mln $]

  1939 1940 1941 1942 1943 1944 1945

Importazio 2.361 2.599 3.269 2.821 3.418 3.911 4.125


ni
Esportazio 3.138 3.938 5.026 8.005 12.872 14.288 9.676
ni
Lend-lease - - 999 4.525 8.659 9.967 3.781

   
Ind.Import 100,00 110,08 138,46 119,48 144,77 165,65 174,71
.
Ind.Esport. 100,00 125,49 160,17 255,10 410,20 455,32 308,35
Lend- 19,88 56,53 67,27 69,76 39,08
lease/
esportazio
ni
Lend- 56,86 87,29 91,59 96,05 68,11
lease/
saldo
comm.    
L’erogazione degli aiuti USA durante la seconda
guerra mondiale
Nel concedere aiuti ai paesi impegnati nella guerra contro Germania
e Italia l’amministrazione Roosevelt è vincolata da 2 leggi, frutto
del forte isolazionismo che caratterizza il Congresso. Sono
(1) il Johnson Act varato a metà anni 20 per vietare crediti a chi non
avesse rimborsato i debiti della prima guerra mondiale;
(2) i Neutrality Acts varati nel 1936-37 per impedire il
coinvolgimento degli USA in guerre. Stabiliscono che eventuali
forniture a paesi belligeranti devono essere fatte sulla base del
pagamento in contanti; e vietano l’impiego di navi americane nel
trasporto.
 La grave situazione della Gran Bretagna che si profila dal
maggio 1940 fa auspicare a Roosevelt il superamento delle
limitazioni poste dal Congresso.
 Nel marzo 1941, dopo un approfondito dibattito parlamentare
che serve a far accogliere il principio dell’appoggio economico ai
nemici dell’Asse, è approvato il Lend lease Act. Il presidente può
fornire mezzi ritenuti indispensabili allo sforzo di guerra;
valuterà a sua discrezione a quali condizioni finanziarie.
 Varata la legge, il Dipartimento di Stato cerca di scambiare
forniture contro basi militari (specie in Centro America).
Gli aiuti lend-lease degli USA agli alleati, importi
mensili tra il gennaio 1943 e il giugno 1945 e
valore cumulativo dal marzo 1941 [mln. $].
Aiuti lend lease, genn. 1943-giu.1945

1.800 45.000

Totale cumulativo da mar.41


1.600 40.000
Importi mensili in mln $

1.400 35.000
1.200 30.000
1.000 25.000
800 20.000
600 15.000
400 10.000
200 5.000
0 0
La tenuta della produzione tedesca di armamenti
fino all’ultima fase della guerra. Indice della
produzione di armamenti, 1° bimestre 1942=100

Carri
Produz. Armi arm Aerei Muniz.

  totale        

1941 98 106 81 97 102

1942 142 137 130 133 166

1943 222 234 330 216 247

1944 277 348 536 277 306

gen-45 227 284 557 231 226

Fonte: R. Wagenfuhr, Die deutsche Industrie im Kriege 1939-1945, pp. 178-81.


La guerra stimola l’incremento dello stock di
macchine utensili di 5 paesi belligeranti,
1938-45 (000 di unità]

1938 1940 1945


Germania:taglio 900 1.178 1.737-1.233
metalli
Id. taglio e 1.281 1.577 2.316-1.776
modellamento
metalli
Id. ogni lavoraz. 1.614 n.d. 2.594-2.143
di metalli
UK taglio e n.d. 700 800
modellamento
metalli
Francia ogni 550 n.d. 600
lavoraz. di metalli
Italia ogni 207 n.d. 290
lavoraz. di metalli
USA:taglio metalli n.d. 942 1.883
Le conseguenze finanziarie della guerra: debiti
pubblici, scarsità di riserve, inflazione.
Per molti stati la guerra produce un netto peggioramento della bilancia dei
pagamenti; alcuni sono appesantiti da un consistente debito estero (per
es. UK: £ 16 mld).
Praticamente in tutti i paesi coinvolti la guerra lascia una pesante eredità in
termini di spinte inflazioniste. O perché la spesa pubblica ha
incrementato enormemente la liquidità dei sistemi economici o perché i
saldi attivi delle bilance dei pagamenti hanno avuto conseguenze simili,
anche se di portata più contenuta.
L’inflazione può avere un forte impatto sulle società; può risultarne una forte
disorganizzazione economica, per esempio cancellando la capacità di
finanziare nuovi investimenti (dopo una fase iniziale in cui, invece, può
favorirli). L’inflazione modifica profondamente la ripartizione dei
patrimoni e sollecita comportamenti molto destabilizzanti a quanti
cercano di mettersi al riparo dalle sue conseguenze per redditi e
patrimoni.
Sono quasi generali gravi carenze di approvvigionamenti alimentari,
aggravate da cattivi raccolti. La produzione agricola europea nel 1945 è
50% del 1938; quella industriale del 33%.
La carenza di merci aggrava le spinte inflazioniste.
La ripresa commerciale è gravemente ostacolata dal Dollar gap. Esso è
aggravato dalla revoca dell’Accordo Lend lease il 15.8.1945 che si chiude
con l’erogazione di $ 42 mld, tra marzo 1941-giugno 1945, 89% merci;
ca. 50% a UK e Impero.
La flotta mondiale in 000 t, 1939-1947. Una
distribuzione per stati che aumenta le difficoltà
delle bilance dei pagamenti dei paesi debitori
1939 1947

USA (meno flotta dei Grandi Laghi) 9.000 27.000

di cui in riserva 0 11.000

Impero Britannico 21.000 17.500

Giappone 5.600 1.000

Norvegia 4.800 3.400

Germania 4.500 700

Italia 3.400 700

Olanda 3.000 1.900

Francia 2.900 1.700

Grecia 1.800 700

URSS 1.300 1.200

Danimarca 1.200 700


Il lascito tecnologico della guerra:
alcuni esempi. 2 esiti: abbattimento dei costi;
diversificazione e ampliamento dell’offerta

 Agricoltura: meccanizzazione e concimi; riduzione degli addetti.


 Siderurgia: i laminati di acciaio.
 Metallurgia: l’alluminio.
 Meccanica ed elettromeccanica: prodotti più numerosi e
sofisticati; accentuazione della standardizzazione produttiva.
 Trasporti: nuove tecniche produttive per le navi
(standardizzazione e saldatura); trasformazione degli aerei e del
loro processo di costruzione. Sviluppo della logistica.
 Chimica: la conversione al petrolio come componente decisiva
della produzione energetica e come materia prima. I prodotti
sintetici (gomma e benzina, nylon, teflon). I medicinali
(sulfamidici; trasfusioni di sangue).
 Elettronica: comunicazione a distanza e strumenti di rilevazione.
La produzione di nuovi strumenti di calcolo.
 Progressivo controllo sulla reazione nucleare e la trasposizione
dall’impiego militare alla produzione di energia.
 Crescente sofisticazione del controllo dei processi di produzione e
delle innovazioni gestionali, riprendendo le tecniche di direzione
aziendale concepite negli USA e le soluzioni istituzionali
sperimentate nelle grandi imprese americane.
Ricostruzione economica e riqualificazione
produttiva. L’industrializzazione come strumento di
sviluppo e di costruzione nazionale

Forte esigenza di industrializzazione per garantire un livello di reddito


più elevato (1) nei paesi già industrializzati (ma preoccupati di
combattere la disoccupazione che minaccia la stabilità sociale) e
(2) in quelli non industrializzati.
Si vuole rimediare alle distruzioni e riqualificare sistemi produttivi
rimasti separati dal flusso di rinnovamento tecnologico più
recente perché le restrizioni valutarie ostacolavano la loro
acquisizione.
La spinta all’industrializzazione é collegata alla formazione di stati
indipendenti partendo da paesi che erano stati per lunghi periodi
colonie o comunque subordinati, politicamente ed
economicamente, a potenze europee (UK, Olanda, Belgio e
Francia).
Diversi paesi dell’Asia, già colpiti da una drammatica caduta delle
esportazioni negli anni 20 e 30, che era stata aggravata da
un’evoluzione a loro danno delle ragioni di scambio, diventano
finalmente indipendenti.
L’industrializzazione é in diversi casi un mezzo per costruire le basi
politiche dei nuovi stati: l’avvio di politiche di sviluppo, favorisce
il consolidamento di borghesie nazionali e il varo di campagne di
lotta alla miseria.
L’industrializzazione dei nuovi stati socialisti
In Europa dell’Est e in URSS, più tardi in Cina, l’industrializzazione è strumento
di trasformazioni strutturali che devono consentire l’indipendenza
nazionale e l’organizzazione di un’economia socialista.
Si adotta in quasi tutti i paesi la pianificazione centralizzata che ricalca quella
varata in URSS nel 1928: (1) rigida e volontarista anziché attenta alle
compatibilità di una crescita integrata dei diversi settori produttivi. (2) Si
assume che i prezzi non debbano essere in relazione con i costi. (3) Non ci
si preoccupa di trovare mezzi per adattare offerta e esigenze espresse dalla
domanda. (4) E di assicurare la qualità delle merci.
Prevale il criterio di raggiungere gli obiettivi quantitativi fissati dal piano, senza
attenzione per l’efficienza nell’impiego delle risorse.
Si mette molto impegno nelle produzioni di base funzionali all’incremento degli
investimenti e alla difesa. Si trascura la produzione di beni di consumo e
l’edilizia residenziale (dove fanno premio criteri di costruzione che mirano
soprattutto alle economie di scala).
L’agricoltura presenta livelli di produzione inadeguati, soprattutto in URSS.
L’integrazione economica è limitata alle economie socialiste e viene gestita
spesso come strumento delle alleanze politico-militari nel “blocco sovietico
”. Non necessariamente con vantaggio economico per l’URSS.
Ricostruzione economica e riqualificazione
produttiva. L’articolazione delle industrie per
settori e per dimensione
I sistemi industriali sono diversi, ma per molto tempo la loro
composizione ricalca modelli relativamente simili. I settori
produttivi attivati riflettono (1) le risorse locali disponibili, (2)
l’eventuale specifica capacità di specializzarsi in alcuni tipi di
produzioni, (3) l’esistenza di sbocchi commerciali per i prodotti,
sul mercato interno o su quello internazionale. I livelli di reddito
influiscono perciò sui percorsi di industrializzazione.
Ci sono industrie leggere e industrie pesanti; industrie dei beni di
consumo e industrie di base o produttrici di beni d’investimento.
Richiedono strutture di gestione e quantità di capitale diversi.
Anche il rapporto con il mercato è spesso molto diverso secondo
i settori produttivi, e secondo che si producano beni di consumo
venduti direttamente ai fruitori finali (condizione che garantisce
flussi di cassa più pronti) o che si producano beni intermedi e
beni d’investimento per altre imprese.
Piccola e grande impresa: sono legate da rapporti di
complementarità e subordinazione; presentano modelli
organizzativi diversi. La piccola impresa spesso vanta una
maggiore flessibilità, mentre la grande può mobilitare maggiori
risorse finanziarie e può risultare più dinamica nell’innovazione.
Il ruolo economico dello stato nel dopoguerra: nuovi
compiti, dilatazione della spesa, gestione della politica
monetaria (1)

 Durante il conflitto i compiti economici dello stato nella


produzione e distribuzione si dilatano.
 Comportano un appesantimento della spesa pubblica che solo in
parte può essere affrontato, in economie di mercato, con
incrementi del prelievo fiscale. Cresce l’indebitamento e cresce la
creazione di liquidità attraverso emissioni di moneta fiduciaria che
crea pressioni inflazionistiche (eventualmente nascoste da
disposizioni restrittive su prezzi e distribuzione delle merci e dei
servizi che sono adottate durante la guerra e possono durare nel
dopoguerra).
 Le pressioni inflazionistiche comportano un’instabilità (più o meno
accentuata) per gli assetti monetari dei diversi stati. Tendono a
cancellare il valore reale delle posizioni debitorie, a cominciare da
quella dello stato. L’onere del debito pubblico cala, se non viene
ulteriormente alimentato, mentre l’inflazione erode il potere
d’acquisto della moneta. Purché il debito abbia una struttura che
non comporta il continuo rinnovo dei titoli a tassi d’interesse
crescenti.
Il ruolo economico dello stato nel dopoguerra: nuovi
compiti, dilatazione della spesa, gestione della politica
monetaria (2)

 La transizione del dopoguerra, nonostante le pressioni per


ridimensionare l’azione dello stato (garanzia di contenimento della
pressione tributaria) richiede però di confermarla per la ricostruzione
di infrastrutture, per interventi di stabilizzazione sociale,
eventualmente per la riconversione dell’apparato produttivo.
L’accentuata propensione egualitaria che accompagna l’esperienza di
guerra porta ad attribuire alle amministrazioni statali > compiti di tipo
ridistributivo e previdenziale.
 Inoltre si accelera nel 1945-46, in Asia, il processo di
decolonizzazione; provoca reazioni diverse da parte degli stati
dominanti, ma impone spese: per contrastare militarmente la
decolonizzazione o per reinserire i colonizzatori costretti al rientro in
patria. In Africa un processo simile si avvia nei primi anni 1950.
 Continua a lungo, anche nei paesi ad economia di mercato, il
coinvolgimento diretto delle amministrazioni statali nella gestione del
l’economia (v. ERP). Le nazionalizzazioni, motivate richiamandosi
all’efficacia economica e/o alla giustizia sociale, sono ricorrenti in
diversi paesi occidentali. Si prolungano inoltre nel dopoguerra, pur fra
tensioni e discussioni, scelte di partecipazione diretta dello stato
all’attività produttiva compiute negli anni 1930, come in Italia.
Indipendentemente dall’estensione delle economie pianificate di tipo
socialista o comunista.
Riallineamento dei cambi, applicazione di cambi rigidi e
relativa stabilità dei prezzi: le acquisizioni del sistema di
Bretton Woods per le economie dell’Europa occidentale.

 Condizioni specifiche permettono di limitare


fortemente le spinte inflazionistiche nei paesi
dell’Europa occidentale dopo le sistemazioni
monetarie che intervengono fra 1947 e 1949, grazie
anche al sistema di parità di cambio relativamente
rigide emerso dal trattato di Bretton Woods.
 Questo crea un nuovo sistema di rapporti finanziari
internazionali, frutto di un articolato progetto di
profonda riorganizzazione elaborato durante la
seconda guerra mondiale.
 Esso è il risultato di una dura contrattazione fra i 2
paesi che disponevano delle principali monete usate
come mezzo di pagamento internazionale alla vigilia
della seconda guerra mondiale: £ e $.
Bretton Woods è parte di un nuovo assetto
istituzionale internazionale imperniato sull’azione
di organismi sovranazionali; i membri condividono
un patrimonio politico-ideale.
 Diversamente dal 1919, il governo USA sceglie di impegnarsi
formalmente nell’assetto politico del mondo uscito dalla seconda
guerra mondiale. Prima tappa l’Atlantic Charter firmato il 1.1.1942
da Cina, UK, USA e URSS (cui si aggiungono 22 altri joint declarers e
19 altri firmatari che ne accettano gli impegni). Compare la
definizione Nazioni Unite. 30.10.1943, a Mosca, dichiarazione delle 4
potenze conferma gli impegni del gennaio 1942.
 Conferenza di Dumbarton Oaks 21.8-28.9.1944, 28.9-7.10.1944: 39
paesi elaborano il quadro di un’organizzazione di sicurezza mondiale
sulla base della dichiarazione delle 4 potenze. Linee guida delle
Nazioni Unite (Assemblea e Consiglio), del loro Segretariato, della
Corte internazionale di giustizia. L’URSS avrà 17 seggi?
 Conferenza di San Francisco, 25.4-26.6.1945: 50 stati partecipano
alla Conferenza delle Nazioni Unite sull’organizzazione internazionale.
Firma dello UN Security Charter. Disaccordo con URSS (seggio
Polonia; veto nel Consiglio di sicurezza). UNRRA (1945-1947).
 Bretton Woods: UN Monetary and Financial Conference, 1-22.7.1944:
44 stati. Funzionerà da dicembre 1945 con 22 aderenti. Banca
Internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo.
Gli scopi del FMI: l’art. 1 della carta istitutiva
 Promuovere la cooperazione monetaria internazionale fornendo strumento
di consultazione e collaborazione.
 Facilitare espansione e crescita bilanciata del commercio internazionale,
contribuendo a promuovere e mantenere un alto livello di occupazione e
reddito reale e allo sviluppo delle risorse produttive di tutti i membri.
 Promuovere la stabilità dei cambi, mantenere rapporti di cambio ordinati
fra i membri ed evitare le svalutazioni competitive.
 Aiutare a stabilire un sistema multilaterale di pagamenti nelle transazioni
correnti fra i membri, eliminando le restrizioni sui cambi esteri che
ostacolano la crescita del commercio mondiale.
 Dare fiducia ai membri rendendo le risorse generali del Fondo
temporaneamente disponibili con adeguate salvaguardie, per correggere
squilibri della bilancia dei pagamenti senza ricorrere a misure che
distruggano la prosperità nazionale e internazionale.
 Abbreviare la durata e ridurre la portata degli squilibri di bilancia dei
pagamenti dei membri.
 Il fondo ha l’autorità legale di sovrintendere l’adeguamento dei membri di
adeguarsi alle politiche economiche coerenti con gli obbiettivi del Fondo. E’ l
’unico organismo al mondo con questo diritto.
Il Fondo monetario internazionale (1)

 Deve consentire di risolvere alcune delle peggiori


difficoltà emerse dopo la prima guerra mondiale nella
riorganizzazione del sistema di pagamenti internazionali.
 Afferma il principio che le parità di cambio tra monete
(1) possono fluttuare solo entro margini molto ristretti;
(2) ogni modifica che si renda necessaria per rimediare a
uno squilibrio strutturale della bilancia dei pagamenti di
uno dei paesi aderenti deve essere autorizzato
preliminarmente dal Fondo.
 Questo deve essere uno strumento sovranazionale
(comprende inizialmente 44 stati membri) che ha come
scopo favorire la collaborazione economica e finanziaria
internazionale per evitare le svalutazioni competitive
delle monete che sono state frequentemente decise negli
anni 1930 per rimediare agli squilibri delle bilance dei
pagamenti.
Il Fondo monetario internazionale (2)
 (3) I tassi di cambio definiti nel quadro del FMI
devono essere armonizzati: la parità diretta tra lira e
franco francese, per es. deve corrispondere alla parità
che si otterrebbe cambiando le due monete prima con
gli equivalenti in dollari.
 (4) I tassi di cambio devono essere unici: non è
permesso applicare tassi diversi a seconda del tipo di
transazione a cui si riferiscono.
 (5) La moneta di riferimento internazionale è il
dollaro degli Stati Uniti, ma le parità di cambio sono
determinate in termini di once (o grammi) d’oro. Non
c’è più circolazione monetaria in oro e il ricorso
all’oro è limitato ai pagamenti internazionali in caso
di necessità, utilizzando lingotti e non metallo
monetato. Le diverse valute non sono in realtà
convertibili direttamente in oro, tranne poche. Tra
queste è fondamentale il $.
Il modo di operare del Fmi (1)

 Il Fmi concede crediti ai paesi che ne hanno bisogno per


assicurare la stabilità del proprio cambio. Sono crediti di
importo limitato, sulla base della loro quota di
partecipazione al capitale del Fondo, costituito da
versamenti in monete nazionali integrate da una
frazione in oro. Il credito deve essere restituito al
massimo entro 2 anni.
 Il cumulo delle quote consente di concedere credito ai
debitori per consentire di mettere in atto le misure
necessarie all’assestamento delle rispettive bilance dei
pagamenti.
 In linea di principio l’aggiustamento tocca
prevalentemente ai debitori; viene tuttavia prevista una
clausola che prevede eventualmente una correzione di
parità e misure riequilibratrici da parte di un paese che
risultasse strutturalmente creditore.
Il modo di operare del Fmi (2)
 Il fondo dispone di un capitale relativamente
limitato: circa 8 mld. di $ quando diventa
operativo.
 Le decisioni vengono prese sulla base del numero
di quote sottoscritte. Nella configurazione iniziale
gli Stati Uniti dispongono di fatto di un diritto di
veto perché dispongono della quota senza la quale
non si ottiene la maggioranza qualificata
necessaria per decidere.
 Il Fondo sarà attivato quando i parlamenti degli
stati membri avranno ratificato la decisione di
aderirvi espressa dai firmatari dell’accordo del
luglio 1944. Diventa operativo nel marzo 1947.
Crediti ottenuti dal Fmi come percentuale delle
importazioni mondiali 1948-1992
Fmi e movimenti di capitali (1)

 Già nelle trattative che preparano l’accordo di


Bretton Woods emerge un giudizio negativo nei
confronti dei movimenti internazionali di capitali,
sulla base degli effetti destabilizzanti che avevano
avuto nel corso degli anni 1920 e, in particolare,
nella crisi finanziaria del 1930-1931. Gli ampi
spostamenti di capitali, che hanno contribuito alla
trasmissione internazionale della crisi, hanno (1)
impedito agli stati di realizzare politiche monetarie
stabili, (2) minacciato la stabilità dei cambi, (3)
messo a rischio la stabilizzazione finanziaria.
 Non sarebbe possibile mobilitare riserve valutarie
adeguate se, oltre alle risorse necessarie per le
esigenze commerciali e le altre transazioni ordinarie,
fosse necessario fronteggiare movimenti di capitali.
Fmi e movimenti di capitali (2)
 Serve un controllo preventivo sui movimenti di
capitali: non devono cessare gli investimenti
esteri, ma sono sottoposti al controllo degli stati e
ad accordi internazionali.
 Il Fmi recepisce e legittima sul piano
internazionale tali controlli; essi attenuano il
collegamento fra condizioni finanziarie interne e
internazionali senza pregiudicare la stabilità del
cambio.
 Il mercato finanziario nell’immediato dopoguerra
è di modesta entità: i controlli non entrano in
conflitto con le esigenze degli operatori finanziari.
 L’azione internazionale delle imprese è ancora
relativamente ristretta.
La Banca internazionale per la ricostruzione e lo
sviluppo: uno strumento per favorire la crescita (1)

 Diventa operativa nel maggio 1946, ma il primo credito ($


250 mln alla Francia) viene concesso nel maggio 1947. Ha
come obiettivo a breve finanziare la ricostruzione; solo più
tardi si occuperà di sviluppo. I primi esercizi vedono un
impiego molto cauto e limitato delle risorse.
 Si tratta di una banca intergovernativa: è controllata dagli
stati aderenti che forniscono il suo patrimonio e concede
credito agli stati. Ottiene le risorse necessarie collocando
obbligazioni sul mercato finanziario, prevalentemente New
York. E offre garanzie sui crediti concessi da finanziatori
privati. La cautela dimostrata dalla Banca riflette l’esigenza
di ottenere un’alta notazione sul mercato per contenere il
costo del collocamento delle obbligazioni. Finanzia progetti
di investimento in infrastrutture e impianti che aumentino
la capacità produttiva dei debitori e sceglie progetti che
paiono redditizi. I crediti sono concessi per periodi lunghi,
a tassi d’interesse dipendenti da quelli di mercato.
La Banca internazionale per la ricostruzione e lo
sviluppo: uno strumento per favorire la crescita (2)
 Dopo la metà degli anni 1950 cresce l’attenzione per l’esigenza
di finanziare lo sviluppo. Un progresso decisivo viene realizzato
nel 1960 con la fondazione dell’International Development
Association (IDA) che estende l’ambito operativo del “gruppo”
della Banca al finanziamento di progetti agricoli, idrici, di
educazione e formazione. L’IDA non valuta rigidamente la
convenienza diretta dei progetti in cui investe come la Banca. A
partire dalla presidenza di Robert McNamara (1968-1979) il
tema della lotta alla povertà e quello dello sviluppo diventano
prevalenti.
 La Banca si trasforma nel 1970 in Banca mondiale. Si specializza
nell’erogazione di crediti a economie con basso livello di reddito
pro capite. Condiziona i crediti all’elaborazione di progetti
specifici, alla cui preparazione contribuisce fattivamente.
Subordina i crediti anche a scelte di politica economica da parte
degli stati debitori giudicate adeguate, contribuendo
efficacemente alla costruzione di un indirizzo di politica
economica più sensibile alla oculatezza e al rigore nella gestione
dei finanziamenti che alle ricadute sociali delle scelte .
 Negli anni 1980 svolge un ruolo importante nella gestione della
crisi dei paesi debitori.
Prestiti della Banca mondiale,1946-95: impegni medi
annui in valore assoluto in $ correnti e costanti (1995) e
ripartizione geografica in %

  1946-49 1950-59 1960-69 1970-79 1980-89 1990-95

Impegni (medie annuali)  

Mld $ correnti 0,22 0,39 1,05 5,36 15,69 22,03


Mld $ 1995 1,19 2,37 5,52 12,09 22,24 23,66

Distribuzione % per
regione  
Africa 0 15 12 14 15 15
Asia 0 38 40 38 43 37
Europa 81 20 12 12 9 16
America Latina 19 22 28 24 26 25
Medio Oriente-Nord Africa 0 5 7 11 7 7
Prestiti della Banca mondiale,1946-95: ripartizione
per settore e tipo di credito in %
Distribuzione % per
settore 1946-49 1950-59 1960-69 1970-79 1980-89 1990-95

Agricoltura 0 4 13 28 24 16

Finanza e industria 2 13 12 16 18 11

Infrastrutture (a) 21 61 64 36 29 24

Sociale (b) 0 0 4 13 15 26

Altro (c) 76 22 8 8 15 24

Distribuzione % tipo di
prest.  
Programmi e aggiustamenti
(d) 76 21 6 5 18 20

Investimenti specifici 2 53 67 56 46 60
Altro (e) 0 2 11 17 16 80
Legenda della tab. sui prestiti della Banca
mondiale, 1946-1995.

(a) telecomunicazioni, trasporti, elettricità e altre energie.

(b) educazione, ambiente, popolazione, sviluppo urbano, acqua e


fognature.

(c) Petrolio, gas, miniere e attività estrattive, gestione del settore


pubblico, turismo, attività polisettoriali e settori non determinati.

(d) Ricostruzione, aggiustamento di settore, aggiustamento strutturale,


prestiti su altri programmi.

(e) Rimborsi, ripresa di emergenza, intermediazione finanziaria,


assistenza tecnica.
Istituzioni finanziarie internazionali attive dopo il
1945.
 La Banca dei regolamenti internazionali venne fondata nel 1930 per
curare i trasferimenti fra stati derivanti dalle riparazioni delle
potenze sconfitte nella prima guerra mondiale e regolati in modo
definitivo dal Piano Young del 1929. Ha svolto le funzioni di banca
centrale delle grandi banche centrali, mantenendo i contatti fra loro
anche durante la seconda guerra mondiale. Ha assunto un ruolo
importante di raccolta di informazioni sui flussi finanziari e di punto
di osservazione sui mercati finanziari.
 La Import-Export Bank statunitense venne creata come società
dall’amministrazione Roosevelt nel 1934 per concedere prestiti a
operatori esteri allo scopo di agevolare le esportazioni dagli USA e
sostenere l’occupazione. Nel 1945 fu trasformata in ente
governativo per agevolare le esportazioni di operatori privati
fornendo crediti e garanzie assicurative.
 Oltre alla Banca mondiale si sono sviluppate altre banche regionali
che finanziano programmi di sviluppo: in particolare la Asian
Development Bank, dove prevale l’influenza della Bank of Japan; la
Inter-American Development Bank, dove sono forti gli interessi dei
paesi debitori; la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo,
impegnata nel sostegno dei paesi dell’Europa dell’Est.
Il Piano Marshall e l’ERP: i preliminari.

 Cerca di rimediare al dollar gap che diventa particolarmente


acuto nel primo semestre 1947, in seguito al peggioramento
della situazione alimentare in Europa e all’impennata dei
prezzi di merci e servizi degli Stati Uniti seguita alla brusca
liberalizzazione adottata dall’amministrazione Truman in
presenza di una forte domanda nazionale e internazionale.
 L’annunzio di un programma di aiuti è dato dal segretario di
stato George Marshall il 5.6.1947. Il programma è operativo
nel 1948, dopo un duro confronto nell’amministrazione su chi
dovesse gestirlo (Tesoro o Dipartimento di stato). La
responsabilità toccherà al Presidente che si varrà di
un’agenzia apposita posta sotto la sua autorità.
 C’è anche un teso dibattito parlamentare sull’opportunità di
sacrificare i contribuenti americani a vantaggio di stranieri, e
sull’entità degli aiuti. Il parlamento impone che il programma
sia valutato annualmente e che le risorse siano votate
annualmente. Sono nettamente ridimensionate le cifre
inizialmente valutate per l’ammontare complessivo degli aiuti
($ 22, poi 17 mld).
Il Piano Marshall e l’ERP: condizioni e
obiettivi.
 Gli Stati Uniti chiedono ai beneficiari di coordinare le
loro politiche economiche e di unirsi in un organo
rappresentativo che collabori alla ripartizione degli
aiuti. Sarà l’OEEC. Avrà sede a Parigi.
 Destinatari sono 16 paesi europei da cui sono esclusi
URSS e democrazie popolari che non vogliono
accettare di dare informazioni sulla propria economia.
È’ un passo decisivo nel confermare la divisione
economica e politica dell’Europa.
 La 2. Conferenza economica di Parigi dell’aprile 1948
fissa gli obiettivi: (1) aumentare la produzione, (2)
utilizzare meglio la manodopera, (3) assicurare la
stabilità monetaria e finanziaria, (4) intensificare gli
scambi di merci e di servizi. Le politiche dei paesi
aderenti devono essere coordinate e vanno controllati
i rispettivi programmi nazionali di produzione,
importazione ed esportazione. Si intende favorire la
cooperazione economica fra stati.
Le modalità di funzionamento dell’ERP (1)

 Il primo esercizio ERP durerà 15 mesi dall’inizio di


aprile 1948. Sarà prorogato al 30 giugno 1950 e
successivamente al 30 giugno 1951. Nel 1951 gli
aiuti arriveranno nell’ambito del Mutual Security
Act. Cesseranno il 30 giugno 1952.
 Gli aiuti sono dati come grants (doni) per il 90% e
loans (prestiti, gestiti attraverso la Export-Import
Bank) per il 10%. Sono finanziati dal bilancio
federale USA. Permettono di comperare merci e
servizi (trasporto) prevalentemente da produttori
americani per cederle ai governi membri dell’ERP.
 Questi ricevono gli aiuti in natura e possono
venderli agli operatori economici e agli enti che ne
fanno richiesta contro pagamenti nelle diverse
monete nazionali.
 L’ERP assicura circa ¼ delle importazioni europee
fra 1947 e 1950.
Le modalità di funzionamento dell’ERP (2)
 Gli importi pagati affluiscono ai “conti di contropartita” a favore
delle rispettive amministrazioni statali, integrandone il bilancio.
Sono utilizzati in diverso modo: dal finanziamento di lavori
pubblici (senza accendere prestiti o appesantire il prelievo
fiscale) all’accumulazione di riserve. Gli effetti in termini di
stimolazione dell’economia e dell’occupazione sono diversi.
L’ECA (European Cooperation Agency) nel 1949 criticherà i
governi troppo cauti nell’utilizzare i fondi di contropartita per
finanziare investimenti.
 Nei primi 15 mesi arrivano in Europa soprattutto cereali,
carbone e materie prime per l’industria. Successivamente
vengono forniti soprattutto macchinari e impianti. Questo è il
contributo diretto dell’ERP all’ammodernamento dei processi di
produzione e alla riduzione del divario tecnologico rispetto agli
Stati Uniti.
 L’ERP promuove direttamente la formazione di tecnici e
imprenditori alle tecniche moderne attraverso visite a imprese
americane e apposite missioni di consulenza in Europa. Anche in
questo modo si favorisce l’applicazione di soluzioni più avanzate
nei processi produttivi dell’industria europea.
Le erogazioni ERP [mld $ correnti]

Importi

1948 4,300
1949 (30.4-30.6) 1,150
1949-1950 4,300
1950-1951 2,700
Totale 12,400
Di cui all’ Europa 93,0%
All’Unione Europea dei pagamenti 2,8%
A paesi orientali 4,2%
I crediti accordati dall’ERP, 3.4.1948-3.4.1951
[$ 000]: ripartizione merceologica, valore e
quota percentuale
%
Materie prime per l’industria 5.032.119 45,35
Alimentari e prodotti agricoli 4.884627 44,02
Noli oceanici 725.829 6,54
Servizi tecnici 47.334 0,43
Unione europea dei 350.000 3,15
pagamenti
Conto ECA prepagato 56.000 0,05
Totale 11.095.919 99,54
I crediti accordati dall’ERP, 3.4.1948-
3.4.1951 [$ 000]: ripartizione per paese
UK 2.703.049 25,29 Norvegia 218.659 2,05

Francia e suoi 2.223.880 20,80 Irlanda 146.200 1,37


territori
Italia 1.213.059 11,35 Turchia 117.262 1,10

Germania occ. 1.188.757 11,12 Svezia 116.334 1,09

Olanda 949.779 8,88 Portogallo 45.745 0,43

Belgio- 529.765 4,96 Trieste 33.247 0,31


Lussemburgo
Austria 513.978 4,81 Islanda 18.419 0,17

Grecia 432.516 4,05 Totale 10.689.910

Danimarca 239.270 2,23


Stima dell’incidenza dei fondi ERP in % del PNL
1949 di 5 paesi
Tasso di cambio posteriore
Tasso di cambio anteriore
al 19 sett. 1949 al 19 sett. 1949

Francia 9,9 11,5

Italia 8,8 9,6

Olanda 16,1 23,1

UK 5,2 7,5

Germania occidentale 4,7 5,9


Le sistemazioni monetarie del dopoguerra:
pressioni inflazioniste e primi tentativi di
stabilizzazione (1)

 I cambi nel secondo dopoguerra vengono mantenuti fissi


(diversamente dal primo dopoguerra). Sono frequenti
però: (1) rapporti bilaterali, (2) tassi incrociati non
allineati, (3) pratiche multivalutarie. Per rimediare alla
carenza di $ molti paesi mantengono controlli
discriminatori sui pagamenti verso l’area del $. I timori
per la scarsità di $ durano ancora negli anni Cinquanta.
 3 paesi (di cui uno solo europeo) rivalutano per evitare
che il saldo attivo della loro bilancia dei pagamenti faccia
aumentare la liquidità interna e aggravi le pressioni
inflazioniste: Canada e Svezia nel luglio 1946; la Nuova
Zelanda nell’agosto 1948. La maggior parte degli altri
sembra destinata alla svalutazione, accompagnata da
misure deflazioniste per limitare l’aumento dei prezzi e
permettere di stabilizzare i cambi. Il deficit pubblico è
spesso indicato come causa principale delle pressioni
inflazioniste; in realtà agiscono anche l’espansione del
credito e gli alti prezzi delle importazioni.
Le sistemazioni monetarie del dopoguerra:
blocco dell’inflazione e nuovi, durevoli,
allineamenti di cambio (2)
 Nel 1947-1948 si moltiplicano gli sforzi per rimediare ai fattori
di instabilità monetaria, in un quadro di difficoltà valutarie che
minaccia la ripresa economica europea perché costringe a
mantenere scambi bilaterali, accordi di pagamento e controlli. Il
Fmi avvia le operazioni, mentre fallisce il tentativo di
convertibilità della £. Viene fatto un primo tentativo per favorire
la ripresa dei pagamenti multilaterali in Europa occidentale. Ma
occorrono l’avvio dell’ERP e la riforma monetaria tedesca
(giugno 1948: drastica riduzione della liquidità e ampia
liberalizzazione dei prezzi) per consolidare la riorganizzazione
del sistema monetario europeo. Nel 1949 una nuova, grave crisi
della £ porta a un’ondata mondiale di svalutazioni: le nuove
parità di cambio si conserveranno quasi tutte fino al 1971
proprio grazie al riassestamento avviato nel ‘48.
 Solo il $ canadese tra le valute di economie importanti fluttua
dal 1950. I paesi occidentali applicano progressivamente nel
decennio 1950 le prescrizioni fondamentali di Bretton Woods
sui cambi. Il risultato è agevolato dal mantenimento di molti
controlli valutari.
Le sistemazioni monetarie del dopoguerra:
un aiuto dal Fmi, ma ERP e EPU svolgono il
ruolo decisivo (3)
 Periodicamente si manifestano crisi valutarie che
vengono affrontate con strumenti diversi, fra cui i crediti
di stabilizzazione del Fmi. Si afferma la collaborazione
fra banche centrali come strumento che aiuta la
conservazione del sistema.
 L’ERP attenua le difficoltà nella misura in cui viene
consentito l’uso dei doni per pagare importazioni da
paesi diversi da USA (1/15 degli aiuti; 3% del valore del
commercio intereuropeo). L’ECA promuove doni
condizionali per i paesi creditori, ma un meccanismo
difettoso non permette un uso efficace e produce forti
differenze fra stati. Quando a fine 1949 si profila la fine
dell’ERP occorre una nuova soluzione.
 Sarà l’EPU che nel 1958, dopo 8 anni circa di buon
funzionamento, che permetterà di ristabilire la
convertibilità relativa al conto corrente della bilancia dei
pagamenti.
La via verso l’Unione Europea dei pagamenti,
1947-1950.

 Nel 1948 gli accordi bilaterali che avevano consentito la ripresa


del commercio internazionale in Europa nell’immediato
dopoguerra sembrano non più rinnovabili: diversi paesi debitori
hanno esaurito le disponibilità valutarie; alcuni paesi (come UK e
Belgio) continuano ad avere un surplus rispetto al resto d’Europa
(comprese Svizzera e Svezia), che cerca di limitare le
importazioni provenienti dai creditori. Il commercio intereuropeo
minaccia di bloccarsi.
 Dal 1947 si era tentato di correggere parzialmente gli effetti degli
accordi bilaterali, ma con scarso successo perché i creditori erano
preoccupati delle conseguenze che potevano derivare dal fatto
che in paesi importanti continuava l’inflazione. Essa rendeva
anormalmente alte le importazioni e anormalmente basse le
esportazioni. Nel novembre 1947 Belgio, Lussemburgo, Olanda,
Francia e Italia raggiungono un accordo per la reciproca
compensazione dei saldi esistenti, ma senza accordare nuovi
crediti. Vengono compensati solo $ 5 mln su 762,1.
 Nell’ottobre 1948 un accordo impegna tutti i paesi OECE alla
cancellazione multilaterale dei debiti, senza nuovi prestiti. E’
applicato fino al luglio 1950 e non dà risultati rilevanti (solo 4%
dei debiti sono compensati).
Come funziona l’Unione europea dei
pagamenti 1950-1958 (1)
 Ogni stato membro alla fine del mese trasferiva alla
Banca dei regolamenti internazionali (BRI) i saldi con
tutti gli altri. La Banca provvedeva alla compensazione. I
saldi restanti erano consolidati su base multilaterale:
non come debiti o crediti verso un paese, ma verso
l’unione. Così cessava l’esigenza di discriminare fra
paesi in relazione alla posizione valutaria reciproca. I
debiti netti potevano essere finanziati. Ogni paese
disponeva di una quota pari a 15% del suo commercio
totale con i membri EPU. Se il debito restava <20% della
quota, era finanziato interamente e diventava un credito
della BRI. Se era >20%, doveva essere rimborsato in
oro (o $) per l’importo percentuale corrispondente alla
quota del debito. Se si superava la quota attribuita al
paese membro, l’intero debito andava rimborsato in oro
o $. I debiti cumulati erano rimborsati allo stesso modo.
Come funziona l’Unione europea dei pagamenti,
1950-1958 (2)
 I paesi creditori trovano conveniente il dispositivo perché
ricevevano una quota di rimborso in oro o $ > di quella
chiesta ai debitori, utilizzando un fondo di $ 350 mln dato
dall’ECA. Inoltre un consiglio di esperti finanziari
indipendenti consigliava ai paesi debitori come rimediare al
debito, mettendo pressione sui debitori perché
correggessero lo squilibrio. Infine l’EPU comporta la
liberalizzazione delle restrizioni sul commercio (feb. 1951),
cominciando col dimezzare i dazi e i vincoli quantitativi
esistenti per ridurli successivamente fino al 75%.
 Tra 1950 e 1959 il commercio intraeuropeo cresce da $ 10
mld a 23 mld; le importazioni dal Nord America passano da
4 a 6 mld. Il commercio estero cresce più rapidamente della
produzione.
 I risultati ottenuti permettono già nel 1954 di imporre ai
debitori di saldare più sollecitamente la loro esposizione e i
creditori ottengono una quota > di oro o $. La rimozione
dei controlli quantitativi è estesa agli USA.
Le regolazioni fatte dall’Unione europea dei
pagamenti, 1950-1958 [mld $ correnti]

Compensazioni

multilaterali 20,0

prorogate 12,6

regolazioni speciali e aggiustamenti 0,4

Saldo regolato in oro e $ 10,7

Saldo regolato a credito 2,7

Saldo da regolare 13,4

Totale delle posizioni bilaterali (deficits +


46,4
surplus)
L’eredità della guerra, valutata al termine della
ricostruzione: modifiche nella ripartizione del reddito e
riflessi sugli investimenti.

 La guerra non produce solo distruzioni: può stimolare anche la


crescita economica, in particolare industriale, se è possibile
dedicare risorse alla produzione nonostante il conflitto e ricavare
profitti da tale produzione (com’è stato possibile nella 2. guerra
mondiale, cedendo le merci ai governi o a privati).
 Le particolari condizioni monetarie che accompagnano un
conflitto basato su un grande sforzo produttivo possono favorire
l’accumulazione di consistenti risorse finanziarie capaci di
alimentare un significativo flusso di investimenti. Nei primi anni
della seconda guerra gli investimenti furono molto intensi anche
in Europa oltre che negli USA e in Giappone. Solo dal 1944 la
maggior parte dei paesi comincia a limitare l’incremento della
capacità produttiva. Difficile però valutare il risultato complessivo
ottenuto perché occorre tenere conto delle distruzioni, la cui
stima è spesso falsata dalla possibilità di ottenere risarcimenti.
Esse sono comunque rilevanti soprattutto nelle infrastrutture, nel
patrimonio edilizio, nell’agricoltura e allevamento.
 La guerra provoca cambiamenti significativi nella ripartizione del
reddito a favore delle imprese e di alcune categorie di operatori
che possono trarre vantaggio dalle condizioni dei mercati durante
il conflitto e nell’immediato dopoguerra: per es. aggirando i
controlli amministrativi sui prezzi e i rifornimenti.
L’eredità della guerra: modifica degli assetti
produttivi, trasformazione dei rapporti economici e
finanziari internazionali; sviluppo di politiche
sociali per la stabilizzazione del reddito.
 La guerra favorisce importanti cambiamenti della struttura produttiva di
diversi stati combattenti e anche di diversi neutrali, interessati da
politiche di sostituzione delle importazioni e/o da forniture ai
belligeranti.
 Sul piano produttivo la trasformazione dell’industria comporta
l’applicazione di significative innovazioni di prodotti e di processi
produttivi, eventualmente estendendo al settore civile acquisizioni
legate alle produzioni militari.
 In parte grazie a questi processi, in parte a causa delle modalità di con
cui si creano interdipendenze fra le economie dei paesi belligeranti, la
guerra provoca modifiche profonde nei rapporti economici e finanziari
internazionali. Si creano nuovi creditori e nuovi debitori; le loro posizioni
possono essere relativamente stabili (per es. gli USA) o instabili (per es.
l’Argentina). Tra 1939 e 1945 vengono poste le basi di un indebolimento
irreversibile del Commonwealth e all’area della £.
 In alcuni stati vengono introdotte riforme importanti delle provvidenze
sociali, sotto la spinta di forti esigenze egualitarie. Le riforme
permettono di stabilizzare il reddito di categorie sociali numericamente
ampie e spesso esposte all’incertezza; ma consolidano anche il reddito di
classi medie, a cui garantiscono anche opportunità maggiori di
avanzamento sociale. Ne deriva un > dinamismo nelle società del
dopoguerra che accompagna e rafforza quello derivante dai processi di
ridistribuzione patrimoniale connessi alla guerra.
La crescita accelerata in Europa nel
dopoguerra: recupero [catching-up] e
convergenza.
 La crescita del dopoguerra avviene recuperando la perdita di produzione
e la distruzione di capacità produttiva provocata dalla guerra. Alla fine
degli anni 1940 lo stock di capitale era < ai livelli di equilibrio. Se
l’Europa avesse continuato a crescere fra 1938 e 1946 al tasso medio
annuo composto del 2,2%, la produzione e lo stock di capitale sarebbero
stati del 20% > al 1938 entro la fine degli anni 1940. E l’occupazione
sarebbe stata >. C’è quindi spazio per aumentare lo stock di capitale e si
può ottenere una crescita rapida rimettendo al lavoro i molti disoccupati.
La crescita rapida è, all’inizio, un ritorno alla normalità.
 La convergenza si riferisce alla crescita aggiuntiva ottenuta riducendo lo
scarto di efficienza rispetto agli USA che da fine 800 avevano
conquistato un altro livello di produttività (espresso dall’altro Pil pro
capite), grazie (1) all’uso delle risorse disponibili, (2) alla pionieristica
adozione di metodi di produzione di massa e (3) alla costituzione di un
ampio mercato nazionale unitario. Le 3 condizioni permettono di
adottare l’organizzazione multidivisionale delle grandi imprese con il
risultato di ottenere economie di scala e di integrare le produzioni,
consentendo sia rifornimenti sicuri di materie prime e semilavorati, sia
un accesso economico a mercati locali dispersi. I costi ridotti permettono
alle imprese americane di diventare produttrici su scala mondiale. Ne
deriva un ulteriore stimolo allo sviluppo del sistema di produzione di
massa che caratterizza l’economia USA.
Recupero e convergenza: le condizioni
per realizzarli.
 Negli anni 1950 la divaricazione tra il Pil pro capite di
USA e Europa è alta; c’è spazio per un rapido aumento
di produttività tramite il recupero del ritardo
accumulato.
 La liberalizzazione degli scambi commerciali e degli
investimenti permette di superare i limiti dei mercati
nazionali.
 C’è disponibilità illimitata di mano d’opera per diversi
anni. L’automazione agevola l’uso di addetti non
qualificati.
 Il prezzo dell’energia e di molte materie prime resta
relativamente basso per diversi anni, salvo impennate
di durata relativamente breve (per es. guerra di
Corea). Le ragioni di scambio sono favorevoli ai
manufatti piuttosto che ai prodotti grezzi.
 Diverse condizioni istituzionali agevolano il processo
di sviluppo.
Politiche monetarie e manovre del cambio in
Europa occidentale negli anni 1950: obiettivi
interni e prescrizioni del Fmi
 Nel secondo dopoguerra la maggior parte degli stati dell’Europa
occidentale dà la priorità alla crescita economica e a livelli di
occupazione alti. La manovra del tasso di sconto
(tradizionalmente utilizzata per correggere squilibri della
bilancia dei pagamenti in regime di gold standard) comporta il
rallentamento della crescita e la riduzione dell’impiego delle
risorse. Nel nuovo contesto, per evitare queste conseguenze, lo
strumento fondamentale disponibile è il controllo del tasso di
cambio. La sua applicazione comporta il ricorso a controlli sui
cambi, eventualmente accompagnati da un aumento delle
imposte per frenare i consumi interni. Obiettivo: contenere le
importazioni, come nel 1950-1951 durante la crisi che colpì la
Germania occidentale. Il ritorno alla stabilità è agevolato
eventualmente da prestiti dell’UEP o del FMI.
 Una peculiarità britannica: in UK un tasso di disoccupazione
particolarmente basso (1,8% al massimo fra 1953 e 1958)
induce i governi conservatori a ricorrere a frequenti variazioni
dei tassi d’interesse per stimolare o contenere la domanda
effettiva. La politica dello stop and go.
La Francia negli anni 50: l’instabilità
strutturale del franco.
 In Francia si deve ricorrere a restrizioni commerciali per
rimediare a una forte instabilità del franco, conseguenza
dell’alto livello di spesa pubblica (spese militari,
investimenti pubblici, sussidi all’edilizia), mentre è difficile
aumentare le entrate tributarie. Tra 1956 e 1957 si ricorre
al deposito anticipato (prima del 25, poi del 50%) del
valore delle importazioni autorizzate per frenarne la
crescita, dopo una crisi valutaria che risente della scelta di
aumentare le pensioni, appesantendo ulteriormente la
spesa statale. Agosto 1957: aggio del 20% sulle
compravendite di valuta estera. Austerità finanziaria e fine
della II Repubblica: il ritorno al potere di Charles De Gaulle
favorisce l’adozione di un maggior prelievo fiscale e di tagli
alla spesa pubblica, insieme con la svalutazione del 17%
del franco. Entro il 1959 la bilancia dei pagamenti francesi
torna attiva; pochi anni dopo la Francia potrà sostenere
l’opportunità di rivedere il ruolo internazionale del $ per
tornare all’oro.
La rischiosa alternativa della fedeltà al sistema di
Bretton Woods: stabilità valutaria e deflazione o
instabilità e crisi valutaria ?

 L’accumulo di $ nell’economia internazionale non crea problemi (anzi)


finché non ci sono dubbi sulla possibilità di convertirli in oro. La
certezza svanisce quando i conti esteri delle principali economie
presentano sistematicamente consistenti disponibilità di $ che nel 1960
superano l’entità delle riserve auree statunitensi. Nel 1963 il debito
USA verso l’estero supera quello interno. La richiesta di conversione di
$ in oro avrebbe avuto effetti analoghi a una crisi di liquidità di una
banca e avrebbe cancellato il ruolo del $ nel sistema internazionale dei
pagamenti.
 Se il governo statunitense avesse inteso contrastare questa situazione
assicurando il tasso di cambio tradizionale fra oro e $, avrebbe potuto
ricorrere a misure deflazionistiche che avrebbero sottratto liquidità al
mercato internazionale, esercitando una vigorosa azione deflazionistica
generalizzata: tutti i sistemi economici avrebbero dovuto ricorrere a
misure simili per difendere le proprie monete, riproducendo una
situazione simile a quella degli anni 1930. Esigenze interne agli Stati
Uniti porteranno invece a preferire una politica di sistematico
incremento della liquidità, cercando soluzioni diverse per assicurare il
ruolo del $ e il funzionamento del sistema internazionale di scambio
L’evoluzione del quadro economico internazionale (1).

 La bilancia dei pagamenti USA si modifica: il dollar gap scompare e la


liquidità internazionale cresce nettamente preparando una situazione
nuova che emerge entro l’inizio degli anni 1960. La massa di $ in
circolazione nel mondo è nettamente > a qualunque possibilità di
conversione se qualche stato decidesse di chiederla. La Francia di De
Gaulle ne dà una dimostrazione con la lunga contesa sulla conversione dei
$ in oro sviluppata fra 1961 e 1964.
 L’incremento degli scambi internazionali ha fatto consistenti progressi. La
costruzione di aree di integrazione commerciale regionale risulta decisiva
in Europa dove si affermano 2 diversi tipi di mercati integrati: il Mercato
comune europeo (imperniato su Francia e Germania) e lo European Free
Trade Agreement, imperniato su UK. Vengono trovate soluzioni specifiche
per mantenere rapporti di > vantaggio con i paesi tropicali ex coloniali
rispettivamente di Francia e UK. Particolari problemi emergono nella
formulazione e gestione di politiche agricole per i paesi europei a partire
dal 1964: bisogna conciliare (1) la garanzia di prezzi agricoli remunerativi
per le agricolture nazionali con (2) l’esigenza di limitare rincari di beni
salario e con (3) quella di offrire sbocchi alle produzioni agricole di paesi
ex coloniali.
 Il ruolo internazionale della £ e del mercato finanziario londinese viene
confermato in misura ridimensionata e nuova. Londra diventa la prima
piazza per trattare eurodollari, cioè $ che possono essere ottenuti da
banche che non operano negli USA, consentendo di disporre della
principale valuta mondiale, suscettibile di ampia circolazione, senza
doversi adattare ai vincoli e alle prescrizioni delle autorità monetarie USA.
L’evoluzione del quadro economico internazionale (2)
 La crescita della domanda di materie prime e il progressivo
avvicinamento al limite del pieno impiego delle risorse disponibili (in
particolare manodopera e materie prime) favorisce l’incremento dei
prezzi. L’elevata liquidità internazionale facilita questo esito.
L’incremento dei prezzi è diverso fra paesi, in funzione (1) delle
rispettive strutture economiche, (2) delle rispettive istituzioni
finanziarie e monetarie, e (3) delle diverse capacità di realizzare
avanzamenti di produttività che permettano di mitigare l’aumento dei
prezzi.
 Benché le monete dei paesi occidentali siano quasi tutte legate da cambi
fissi, alcune tendono ad apprezzarsi e altre a svalutarsi. Nel corso degli
anni 1960 si verifica un indebolimento del potere di acquisto del $ che si
traduce in fragilità del cambio. Le banche centrali sviluppano un’intensa
e sofisticata attività di intervento sul mercato dei cambi e di
collaborazione. Pool dell’oro, doppio prezzo dell’oro, swaps, obbligazioni
Roosa e finalmente Diritti speciali di prelievo sono strumenti utilizzati
per consentire di mantenere il sistema di parità fisse.
 Si sviluppa però un’offensiva teorica in favore dei cambi flessibili,
considerati più efficaci per frenare le spinte inflazionistiche.
 L’inflazione deve essere combattuta anche riducendo la spesa pubblica,
tanto più che essa è considerata, quasi ontologicamente, fonte di spreco
e inefficienza, mentre il mercato ha la capacità di autoregolarsi.
L’evoluzione della bilancia dei pagamenti USA, 1946-1959

.
Bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti, 1950-1974.
Valori correnti in mld $.

  1950-59 1960-64 1965-69 1970 1971 1972 1973


Esportazioni 14,80 21,70 31,30 42,00 142,80 48,80 70,30
Importazioni -11,80 -16,20 -28,50 -39,80 -45,50 -55,80 -69,80
Transazioni militari -2,30 -2,40 -2,90 -3,40 -2,90 -3,60 -2,20
Viaggi, noli -0,30 -1,10 -1,60 -2,10 -2,30 -3,10 -2,70
Reddito di investimenti, diritti e altre competenze 2,10 3,90 5,70 6,30 8,00 7,90 8,50
Altri servizi e trasferimenti -0,50 -0,60 -0,70 -0,80 -1,90 -1,80 -1,70
Trasferimenti non militari del governo USA -2,00 -1,90 -1,70 -1,70 -2,00 -2,20 -1,90
Saldo della bilancia corrente -0,10 3,30 1,40 0,40 -3,80 -9,80 0,50
Flussi di capitale a lungo termine pubblici -0,40 -1,00 -1,90 -2,00 -2,40 -1,30 -1,50
Id. privati -1,30 -2,90 -1,80 -1,40 -4,40 -0,10 0,10
Saldo della bilancia di base -1,90 -0,70 -2,30 -3,10 -10,60 -11,20 -0,90
Flussi di capitale privato a breve termine 0,30 -0,50 3,10 -6,50 -10,10 2,00 -1,80
Errori e omissioni 0,30 -1,00 -0,90 -1,20 -9,80 -1,80 -2,60
Attribuzione di DSP 0,90 0,70 0,70
Variazione delle riserve ufficiali -1,30 -2,20 0,00 -9,80 -29,80 -10,40 -5,30

Fonte: L. B. Yeager, International monetary relations, New York, 1976, p. 568.


Evoluzione delle riserve valutarie mondiali, 1950-1971,
in mld $.

Compos Compos Incre-


  1950 % 1971 % mento

Riserve mondiali 48,7 100,00 118,8 100,00 243,9

Riserve fuori degli USA 25,9 53,18 106,7 89,81 412,0

Di cui oro 12,0 24,64 39,6 33,33 330,0

Di cui $ 4,4 9,03 50,6 42,59 1150,0

Fonte:André Gauthier, L'economia mondiale dal 1945 a oggi, Bologna, Mulino, 1998, p. 80.
L’evoluzione della bilancia dei pagamenti USA negli
anni ’60 e l’esigenza di aumentare la liquidità
internazionale limitando il rischio di conversione dei $
 Nella prima metà degli anni 1960 la bilancia commerciale USA
non costituisce un problema serio.
 Le fonti maggiori di preoccupazione sono le spese dello stato al
l’estero, prevalentemente per esigenze militari, e i movimenti
di capitale privato.
 Gli USA però attraggono dall’estero fondi a breve termine. Così
la loro posizione è riequilibrata. Parte del fabbisogno europeo di
capitali investiti a lungo termine proviene dagli USA, sotto
forma di acquisto di titoli a interesse fisso (obbligazioni, titoli
pubblici) o come investimenti diretti, dal momento che il
mercato finanziario statunitense è in parte significativa
interessato a questo tipo di impieghi.
 In Europa invece è rilevante la preferenza per impieghi liquidi.
Trasferire capitali a breve sul mercato finanziario USA soddisfa
questa esigenza e attribuisce alle istituzioni finanziarie
americane il ruolo di banchieri del mondo: prendono a prestito a
breve e prestano a lungo termine.
 É una situazione rischiosa. Il rischio può essere limitato creando
liquidità. Oppure rivalutando l’oro. Se ne parla già sotto
Eisenhower, ma Kennedy teme le conseguenze inflazioniste.
La ricerca di soluzioni alternative all’intervento del
Fmi da parte degli USA negli anni ’60

 Per difendere il $ le amministrazioni USA seguono strategie diverse. Tutte


hanno in comune lo scavalcamento del Fmi. Man mano che il problema si
aggrava, si rafforza l’intenzione di agire autonomamente, scavalcando i
dispositivi previsti dal sistema.
 Vanno in questa direzione gli accordi fra banche centrali che permettono
di tamponare tensioni e disfunzioni nel sistema internazionale dei
pagamenti e di attenuare la pressione sul $ negli anni ’60. In particolare
le banche centrali assicurano un certo ammontare predeterminato di
crediti reciproci a breve termine che contrastino movimenti destabilizzanti
che interessino singole valute. Se la £ si indebolisce rispetto al $, per es.,
la Federal Reserve Bank di NY mette a disposizione della Bank of England
un certo quantitativo di $ per sostenere la £. A fine 1962 il fondo è di 900
mln $; nel 1978 è di 30 mld. Ma il dispositivo funziona solo in crisi
limitate.
 Nel 1962 i General Arrangements to Borrow dei 10 paesi industrializzati
mettono a disposizione $ 6 mld per sostenere $ e £.
 Funzione simile hanno i Roosa bonds (1962) e gli accordi sull’oro.
Compensazioni per le spese militari,
interventi sulle banche USA per limitare i
flussi in uscita di capitale a breve

 Dal 1960 gli USA chiedono compensazioni per le spese militari


all’estero sotto forma di depositi di fondi a medio termine che
compensino il deflusso di pagamenti. Operano allo stesso modo
le vendite di armamenti.
 I paesi che vedono affluire troppi capitali dall’estero adottano
contromisure: dal 1964 le banche tedesche devono depositate
alla Bundesbank, senza interessi,somme proporzionali a ciò che
avevano ricevuto. Il prezzo del denaro estero sale e il suo uso è
disincentivato.
 Nel 1963 gli USA introducono la Interest Equalization Tax
sull’acquisto di azioni e obbligazioni estere per controbilanciare
gli incentivi fiscali prima attribuiti all’acquisto di tali titoli.
 Nel febbraio 1965 chiesto alle banche USA di limitare
volontariamente i crediti all’estero. Dal 1968 la Federal Reserve
è autorizzata a limitare le operazioni all’estero delle banche.
La contestazione francese del ruolo del $ come valuta
di riserva, 1965.

 Charles De Gaulle, nella conferenza stampa del 4 febbraio 1965


dichiarò: “La convenzione che conferisce al $ un valore
straordinario come valuta internazionale non si fonda più sul
presupposto iniziale, e cioè che l’America possiede le maggiori
riserve auree del mondo. Il fatto che molti paesi accettino il $
come equivalente dell’oro per sanare i deficit della bilancia dei
pagamenti americana ha conferito agli Stati Uniti il privilegio di
indebitarsi gratuitamente con l’estero”.
 La Francia avvia la conversione in oro di riserve in $.
 Queste calano da $ 284 a 112 mln tra fine 1964 e 1966.
L’evoluzione delle potenzialità del Fmi tra anni ’60 e ’70.

 A partire dal 1959, dopo l’introduzione della convertibilità


parziale delle monete dei paesi aderenti all’UEP, il sistema di
pagamenti previsto da Bretton Woods diventa realmente
operativo.
 Le risorse del FMI vengono progressivamente aumentate. Il loro
adeguamento doveva avvenire ogni 5 anni. Il primo è realizzato
nel 1960, incrementando le quote del 50% (da 8,8 a 13,2 mld
$); il secondo avviene nel 1965 (+25%) e il terzo nel 1970
(+36%), nel tentativo di aumentare le disponibilità valutarie
internazionali per fronteggiare crisi di pagamento di fronte a
un’economia mondiale in rapida e intensa espansione.
 Nel 1970 le quote del FMI sono salite a 29.220 $ mld.
 Nell’ottobre 1969 gli accordi di Bretton Woods sono emendati
per creare i Diritti speciali di prelievo, moneta addizionale
utilizzabile nei pagamenti internazionali. Un DSP = US$ 1. I
membri del FMI possono utilizzarli in relazione al loro peso nel
Fondo. Assegnati in 3 rate.
L’assegnazione dei Diritti speciali di prelievo, 1970-1972.

1 gennaio 1970 3,40

1 gennaio 1971 2,95

1 gennaio 1972   2,95

Fonte: A. Gauthier, L'economia mondiale cit., p. 81.


Verso la fine di Bretton Woods
 I DSP arrivano tardi e sono resi inutili, come fonte di liquidità
internazionale, dall’esplosione di liquidità creata
unilateralmente dagli USA dal 1970.
 Non contribuiscono a creare fiducia nella convertibilità del $
limitando l’erosione delle riserve auree statunitensi perché la
quantità di $ creati attraverso il passivo della bilancia dei
pagamenti USA era elevata.
 I DSP hanno un ruolo marginale nel funzionamento del sistema
internazionale dei pagamenti e non riescono a porlo su nuove
basi.
 Con l’amministrazione repubblicana emersa dall’elezione di
Richard Nixon alla presidenza USA prevale la scelta di restituire
piena autonomia in campo valutario agli USA. Viene revocata la
convertibilità aurea del $ il 15 agosto 1971.
 La gestione del sistema di pagamenti internazionale emersa nel
1944 soccombe; i paesi sono in reciproco disaccordo sugli
aggiustamenti.
Variazione percentuale media annua dei
prezzi al consumo in economie Ocse, 1951-
1973

  1951-55 1956-60 1961-65 1966-70 1971-73


USA 2,6 2,7 1,6 4,3 4,6
Giappone 6,2 3,6 5,1 5,7 7,4
Germania 3,2 2,7 3,5 3,5 5,9
Francia 6,8 6,5 4,2 4,5 6,3
UK 4,9 3,2 3,6 4,8 8,6
Ocse 3,5 3,2 2,6 4,4 5,9

Fonte:A. Gauthier, L'economia mondiale dal 1945 a oggi, Bologna, 1998, p 77.
L’aumento dell’inflazione nel quarto di secolo
di intenso sviluppo. Spiegazioni in conflitto o
complementari
 Per i fautori della teoria monetarista che va aumentando la sua influenza
negli anni 1960-70 l’inflazione è il frutto di una crescita eccessiva della
liquidità. Per evitarla bisognerebbe regolare abilmente l’incremento di
offerta di liquidità. Corollario: è vitale in particolare controllare con
rigore la spesa pubblica come specifica responsabile di spinte
inflazioniste.
 Per gli economisti influenzati da J.M.Keynes l’inflazione è il risultato di
uno squilibrio fra offerta e domanda; cioè una domanda da parte di
imprese e famiglie superiore alla disponibilità di risorse. Va corretta con
misure che modifichino il livello dei redditi e quello dell’offerta (sul
breve periodo, per es., importando di più; su tempi più lunghi
aumentando la produzione e il reddito).
 Le rigidezze nella ripartizione del reddito fra detentori del capitale e
lavoratori dipendenti possono alimentare l’inflazione.
 Inflazione deriva anche da tendenza all’aumento dei costi di produzione
associati all’aumento dei prezzi dei prodotti di base e
dall’appesantimento degli oneri salariali e sociali sulle imprese.
 La dimensione e il carattere delle imprese influisce sulla loro capacità di
controllare lo scarto fra costi e prezzi.
I cicli di trattative del GATT, 1947-1967

Ciclo data luogo stati Concessioni Valore in

      partecipanti tariffarie mld $

1° round ot 47-giu 48 Ginevra 23 45.000 10,0

2° round ap-ago 49 Annecy 13 5.000


3° round set 50-apr 51 Torquay 38 8.700 -25%

4° round gen-mag 51 Ginevra 26 2,5


Dillon r. set 60-lug 61 Ginevra 26 4.400 4,9
Kennedy r. mag 64-giu 67 Ginevra 62   40,0

Il Kennedy Round comporta l’impegno di ridurre i dazi industriali CEE, USA, UK e Giappone del 35% in 5
anni (1.1.1972). Adozione di un codice antidumping da parte di 19 paesi. Restano molti ostacoli
extratariffari. L’amministrazione Nixon crea una nuova situazione imponendo 10% sulle importazioni.
Fonte:A. Gauthier, L'economia mondiale dal 1945 a oggi, Bologna, 1998, p 81.
La crescita dell’integrazione economica internazionale.
% delle esportazioni sul Pil [prezzi 1990], 1950-1992
1950 1973 1992
Francia 7,7 15,4 22,9
Germania 6,2 23,8 32,6
Olanda 12,5 41,7 55,3
UK 11,4 14,0 21,4
Totale Europa occidentale 9,4 20,9 29,7
Spagna 1,6 5,0 13,4
URSS/Russia 1,3 3,8 5,1
Australia 9,1 11,2 16,9
Canada 13,0 19,9 27,2
USA 3 5,0 8,2
Totale America Latina 6,2 4,6 6,2
Cina 1,9 1,1 2,3
India 2,6 2,0 1,7
Indonesia 3,3 5,0 7,4
Giappone 2,3 7,9 12,4
Corea 1,0 8,2 17,8
Taiwan 2,5 10,2 34,4
Tailandia 7,0 4,5 11,4
Totale Asia 2,3 4,4 7,2
Mondo 7,0 11,2 13,5
Valori delle esportazioni di 56 paesi a
prezzi correnti, in $, 1870-1992
  1870 1913 1929 1950 1973 1992

Valori assoluti
Paesi europei industrializzati 2.841 9.352 13.186 19.439 243.830 1.549.810
Paesi extraeuropei di recente
insediamento 571 3.295 7.149 15.484 109.996 634.586
Paesi europei del sud 154 338 910 1.027 11.944 127.472
Paesi dell'Europa orientale 259 1.025 1.944 4.113 47.066 98.704
Paesi dell'America latina 218 1.236 2.328 4.866 19.926 109.690
Paesi dell'Asia 439 1.802 3.929 4.823 61.631 679.543
Paesi dell'Africa 86 560 993 2.824 14.921 52.512
Totale 4.568 17.608 30.439 52.576 509.314 3.252.317
Indice 100 385 666 1.151 11.150 71.198
Valore di esp. mondiali in mln. $ 1990 56.247 236.330 334.408 375.765 1.797.199 3.785.619
Indice id. 100 420 595 668 3.195 6.730
Fonte: A. Maddison, L'économie mondiale 1820-1992. Analyse et Statistiques, OCDE, Paris, 1995, pp.152-
252,257.
Ripartizione percentuale delle esportazioni di
56 paesi a prezzi correnti, in $, 1870-1992

1870 1913 1929 1950 1973 1992

Paesi europei industrializzati 62,19 53,11 43,32 36,97 47,87 47,65


Paesi extraeuropei di recente
insediamento 12,50 18,71 23,49 29,45 21,60 19,51

Paesi europei del sud 3,37 1,92 2,99 1,95 2,35 3,92

Paesi dell'Europa orientale 5,67 5,82 6,39 7,82 9,24 3,03

Paesi dell'America latina 4,77 7,02 7,65 9,26 3,91 3,37

Paesi dell'Asia 9,61 10,23 12,91 9,17 12,10 20,89

Paesi dell'Africa 1,88 3,18 3,26 5,37 2,93 1,61

Totale 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00

Fonte: A. Maddison, L'économie mondiale 1820-1992. Analyse et Statistiques, OCDE, Paris, 1995, pp.152-
252, 257.
Distribuzione per zone del commercio mondiale
(esportazioni), 1950, 1970, 1980

  1950 1970 1980


CEE 23,3 28,4 33,3
EFTA 14,5 13,1 5,8
Resto di Europa occ. 2,5 2,9 1,6
Giappone 3,2 6,2 6,5
Canada 4,3 5,4 3,2
USA 16,0 13,7 10,2
Australia, Nuova Zel., Unione Sud Afr. 3,1 2,6 2,0
Economie a pianificazione centrale 11,8 10,6 8,9
Paesi in sviluppo 21,3 17,1 27,9

Fonte: H. van der Wee, Prosperity and upheaval, Harmondsworth, 1986, p. 263.
Distribuzione geografica delle esportazioni
mondiali di manufatti, in percentuale, 1963-
1976
  1963 1973 1976   1963 1973 1976
Canada 2,61 4,16 3,32 Brazile 0,05 0,35 0,41
USA 17,24 12,58 13,55 Messico 0,17 0,64 0,51
Giappone 5,98 9,92 11,38 Jugoslavia 0,40 0,55 0,60
Francia 6,99 7,26 7,41 Hong Kong 0,76 1,05 1,15
Repubb.Fed. Tedesca 15,53 16,98 15,81 Corea del Sud 0,05 0,78 1,20
Italia 4,73 5,30 5,49 Taiwan 0,16 1,04 1,23
UK 11,14 7,00 6,59 Singapore 0,38 0,46 0,52
Tot. paesi recente
Spagna 0,28 0,92 1,07 sviluppo 2,59 6,29 7,12
Altri paesi in via di
Portogallo 1,30 0,35 0,21 svil. 2,70 2,34 1,55
Grecia 0,04 0,15 0,22 Blocco orientale 13,35 10,00 9,65

Altri paesi OCSE 15,65 17,63 17,71 Totale mondiale 100,0 100,00 100,0
Totale OCSE 80,49 82,25 82,76        

Fonte: H. van der wee, Prosperity


and upheaval, cit. , p. 265.
Produzione e esportazioni mondiali, 1953-
1982: valori correnti, mld $, e indici
(1963=100)
1953 1958 1963 1968 1973 1977 1980 1982
Esportazioni mondiali, valore totale 78 105 154 240 574 1.125 1.990 1.845
Id. prodotti primari agricoli 42 50 45 54 121 288 299 272
Id. prodotti minerari 26 41 96 266 567 493
Manufatti 36 55 82 140 347 648 1.095 1.049
Esport. mond., valore unitario, tot. 100 100 100 105 161 271 423 403
Id. prodotti primari agricoli 107 103 100 100 185 255 330 292
Id. prodotti minerari 100 111 192 550 1.200 1.254
Manufatti 94 98 100 104 152 232 337 314
Esportazioni mond., volume, totale 52 70 100 149 231 269 305 300
Id. prodotti primari agricoli 60 74 100 121 147 166 203 209
Id. prodotti minerari 100 144 195 188 185 153
Manufatti 44 66 100 166 280 344 400 410
Produzione mondiale, volume,
totale 60 74 100 133 180 205 224 223
Id. prodotti primari agricoli 77 88 100 115 128 139 146 154
Id. prodotti minerari 100 129 171 191 196 183
Manufatti 54 69 100 141 197 227 253 249

Fonte: H. van der wee, Prosperity and upheaval, cit. Le cifre relative ai prodotti agricoli si riferiscono anche ai minerali nel 1953-58
Composizione merceologica delle esportazioni mondiali
(% del totale), 1950-1980
Cambiamenti strutturali nei flussi
commerciali internazionali e riflessi sul
sistema dei pagamenti tra anni ’60 e ‘70
 Il commercio internazionale è aumentato più
velocemente della produzione mondiale: il valore delle
esportazioni di 56 paesi, in $ 1990, quintuplica fra 1950
e 1973; fra 1973 e 1992 raddoppia; tra 1950 e 1992 il
valore è più che decuplicato.
 Cambia la composizione merceologica. Nel 1955 i
manufatti rappresentavano il 49,2% delle esportazioni
mondiali; 11,1% erano i combustibili e il 38,4% gli
alimentari e le materie prime. Nel 1973 le proporzioni
erano 61,5, 19,4 e ancora 19,4.
 Cambia di conseguenza anche la ripartizione geografica
dei flussi commerciali.
 Chi ha ampi saldi attivi teme di importare inflazione. I
produttori di combustibili (specie petrolio) concentrano
dal 1974 abbondanti disponibilità di valuta, da usare per
impieghi finanziari.
La svolta degli anni 1970: l’instabilità dei cambi (1)

 La divaricazione dei tassi d’inflazione tra economie diverse


rende sempre più difficile dalla fine degli anni 60 mantenere il
sistema di cambi quasi fissi. Nel 1967-1969 £, franco francese,
DM subiscono variazioni di cambio.
 Non si vara un aggiustamento generalizzato perché avrebbe
liberato gli USA da ogni vincolo di politica monetaria,
aggravando la minaccia rappresentata dall’elevata liquidità in $,
proprio allora in forte aumento.
 L’incertezze sui tassi di cambio, in un contesto di crescente
integrazione commerciale e di > opportunità di speculazione
finanziaria, favoriscono l’incremento di movimenti di capitale a
breve per approfittare di eventuali variazioni di cambio. I rischi
di destabilizzazione aumentano.
 L’attenzione alle opportunità speculative che emergono dalla
necessità di allineare su parità diverse i cambi si è rafforzata dal
1961, in occasione della prima rivalutazione del DM.
 Lo sviluppo del commercio, l’espansione delle imprese
multinazionali e le maggiori opportunità di comunicazione
agevolano la speculazione e ostacolano controlli efficaci sui
movimenti di capitali.
La svolta degli anni 1970: tensioni inflazioniste legate alla
dinamica espansiva dell’economia e a modificazioni
strutturali nella forza lavoro

 Il lungo periodo di alti tassi d’investimento (nei paesi industrializzati e in


quelli in via d’industrializzazione) spinge in alto i prezzi di prodotti
energetici e materie prime.
 L’aumento è sostenuto dal carattere non omogeneo dei processi di
crescita. Si verificano disfunzioni fra settori che hanno differenti capacità
di sviluppo; ne derivano tensioni dei prezzi, oltre che minore produttività.
Per es., tra 1950 e primi anni 1970 l’arretratezza del sistema commerciale
di distribuzione provocò aumenti dei prezzi al consumo superiori a quelli
dei prezzi all’ingrosso, rafforzando la richiesta di incrementi salariali.
 I salari, con il procedere della lunga congiuntura di espansione, tendono a
crescere per il progressivo avvicinarsi a condizioni di pieno impiego, anche
se operano a lungo specifiche condizioni che permettono di attenuare le
tensioni salariali: (1) flussi migratori da nuovi bacini di lavoro
sottoutilizzato; (2) aumento della produttività favorito dall’accumulo degli
investimenti pubblici (infrastrutturali ) e privati.
 L’aumento di produttività consente anche il recupero più o meno integrale
degli incrementi di retribuzione e compensa la riduzione del numero di ore
di lavoro. Dalla metà degli anni 1960 crescono però, in Europa occidentale,
le tensioni nelle relazioni industriali e nei salari. Concorrono a questo esito
sia fattori legati al mercato del lavoro, sia condizioni sociali che possono
favorire i conflitti industriali: (1) rinnovo generazionale e sociale degli
occupati, (2) effetti della concentrazione urbana, (3) irrigidimento dei
processi di produzione e tendenza all’uso intensivo di soluzioni tayloriste.
La svolta degli anni 1970: tensioni inflazioniste
legate all’aumento delle spese pubbliche
 Le trasformazioni strutturali intervenute nella società
europee industrializzate comportano incrementi della
spesa pubblica per finanziare (1) una burocrazia più
estesa e complessa che svolge compiti più sofisticati, (2)
infrastrutture indispensabili all’efficienza del sistema
produttivo, (3) il potenziamento di servizi sociali, per
rispondere a pressioni demografiche, all’ incremento dei
redditi individuali, a esigenze poste da dinamiche sociali
in atto. (4) Bisogna anche tenere conto di casi di
irrigidimento delle spese militari (UK) e (5) di costosi
interventi di ristrutturazione di settori produttivi
diventati obsoleti o non profittevoli (dalle miniere di
carbone alla navalmeccanica, al tessile).
 Non sempre le entrate tributarie riescono a coprire
l’aumento delle spese. Ne deriva un aumento di liquidità
mal controllabile dei sistemi economici; cresce la
capacità di spesa delle amministrazioni pubbliche,
contribuendo alle tensioni inflazioniste e al
peggioramento delle bilance dei pagamenti.
La svalutazione del $ e l’abbandono dei cambi fissi:
posizioni contrastanti

 Nella CEE si guarda con preoccupazione alla crescita della


liquidità in $. Nel 1969-70 i suoi dirigenti politici
progettano un’unione economica e monetaria che riduca i
margini di fluttuazione fra le rispettive monete entro un
decennio e offra un riparo ai rischi della crescita
incontrollata della quantità di $ (Rapporto Werner).
 Nel Fmi nello stesso periodo cresce il timore che diventi
sempre più difficile mantenere il sistema esistente: si
discute di cambi più flessibili che agevolino gli
aggiustamenti [crawling peg].
 Aumenta, specie negli USA, l’attenzione per cambi liberi
di fluttuare, come raccomandava Milton Friedman.
 Anche in Germania la Bundesbank e economisti
accademici cominciano a considerare con favore questa
decisione, benché i governi in carica smentiscano
nettamente l’intenzione di modificare la parità di cambio.
Ma nell’ottobre 1969 il governo SPD di W. Brandt rivaluta
di oltre il 9,29 % il DM dopo 4 settimane di fluttuazione.
Gli accordi di Washington (Smithsonian
agreement), dicembre 1971
 Un incontro allo Smithsonian Institute di Washington fra i
rappresentanti di 10 paesi (USA, Canada, Giappone, Europa dei
6, UK) affronta le conseguenze negative per il sistema
internazionale della decisione di Nixon. Accetta la modifica del
valore dell’ore (da 35 a 38 $/oz) e una serie di modifiche delle
parità di cambio fra le monete.
 Viene molto ampliato il margine di fluttuazione consentito: da 1
a 2,25% rispetto al $. Lo scarto massimo fra monete diverse dal
$ può dunque raggiungere 4,5% in un momento dato. Nel corso
del tempo lo scarto fra 2 monete può salire perciò al 9%.
 Questo scarto è definito “il tunnel”.
 La convertibilità in oro del $ è definitivamente revocata.
 Il $ diventa l’unico riferimento possibile nel sistema mondiale
dei pagamenti. La sua svalutazione rispetto alle monete dei 2
principali concorrenti aumenta la competitività degli USA in
campo commerciale.
Accordi monetari di Washington: la
svalutazione del $ rispetto ad altre 7 monete

Vecchia parità Nuova parità Ribasso

  ufficiale ufficiale % del $

Yen 360,0000 308,0000 -16,88


DM 3,6600 3,2230 -13,57
Fiorino ol. 3,6200 3,2450 -11,57
Fbelga 50,0000 44,8100 -11,57
£ 0,4166 0,3838 -8,57
Ff 5,5540 5,1160 -8,57
Lit 625,0000 581,5000 -7,49

Fonte:A. Gauthier, L'economia mondiale dal 1945 a oggi, Bologna, 1998, p. 89.
La svalutazione del $ e l’abbandono dei cambi fissi:
gli obiettivi dell’amministrazione Nixon e il
fallimento dei tentativi di riforma a causa
dell’irrigidimento USA
 L’amministrazione repubblicana USA sceglie di revocare la
convertibilità aurea del $ per aumentare i propri margini di
manovra nella gestione della politica monetaria, in relazione a
(1) un alto livello di spesa pubblica militare; (2) alle esigenze di
un’onerosa riqualificazione del sistema industriale in calo di
produttività e competitività; (3) all’intenzione di stimolare la
ripresa delle esportazioni grazie a un cambio svalutato e (4) di
limitare le importazioni. (5) Le restrizioni all’esportazione di
capitali, inoltre, ostacolavano gli investimenti all’estero. La
decisione è unilaterale. La posizione USA è forte,
istituzionalmente, perché il paese ha di fatto diritto di veto nel
Fmi. In particolare può bloccare l’emissione dei diritti speciali di
prelievo con cui si spera di rimediare alla contraddizione fra
bisogno di incrementare la liquidità internazionale e crescente
inaffidabilità del $.
 Per circa 2 anni e mezzo si tenta di elaborare una riforma del
sistema di pagamenti che allarghi i margini di fluttuazione
rendendo il sistema di pagamenti più flessibile, pur tenendo in
considerazione le preoccupazioni dei molti paesi ostili a cambi
liberamente fluttuanti. Nel 1973 il sistema di cambi quasi fissi
introdotto da Bretton Woods è formalmente abbandonato.
Le reazioni europee alla svalutazione del $ e alla sua
fluttuazione: l’accordo di Basilea del marzo 1972 e la
difficoltà di mantenere un’area valutaria europea

 Diversi paesi con un’alto grado di apertura internazionale si


considerano particolarmente esposti ai rischi derivanti dalla forte
liquidità in $ e dalla fluttuazione del cambio; possono adattarsi alla
nuova situazione cercando di aumentare i propri margini nella
gestione delle politiche dell’occupazione e della protezione sociale in
una fase congiunturale che è carica di incertezze e sfide.
 Nella CEE i cambi flessibili e la tendenza degli USA a non curarsi dei
rischi connessi all’aumento di $ ormai inconvertibili in circolazione
inducono a preferire accordi valutari che permettano di stabilizzare i
cambi. Tanto più che la fluttuazione complica la gestione delle
sovvenzioni previste dalla politica agricola comune, destinataria della
> parte del bilancio comunitario. Nel marzo 1972 i membri della CEE
danno vita al “serpente monetario”, cui aderiscono anche UK, Irlanda
e Danimarca, che stanno per entrare nella CEE. Prevede fluttuazione di
± 1,25%. Il serpente, organizzato attorno al DM, fallisce perché i tassi
di crescita delle diverse economie sono molto diversi, così come il
livello dei loro prezzi; le politiche monetarie e finanziarie che ciascuna
conduce indeboliscono il serpente perché non riescono ad essere
conciliate, date le differenze strutturali fra economie. É facile
speculare sulle valute del “serpente”.
 L’uscita dal “serpente” della £ comporta la fine dell’area della £. Solo
12 su 65 aderenti continuano a farne parte. Chi usava la £ come valuta
di riserva l’abbandona. Con UK escono Eire e Dk.
Il tentativo fallito di un accordo multilaterale nel 1973
e la fluttuazione dei cambi. La limitata eccezione del
“serpente monetario europeo”

 Un Comitato interinale di 20 paesi dal settembre 1972 discute


del riassetto del sistema di pagamenti: la Francia chiede
l’aggancio all’oro e le parità fisse, gli USA rifiutano il ritorno
all’oro e vogliono cambi fluttuanti.
 Nel febbraio 1973 il $ è svalutato del 10% (oncia d’oro a 42,22
$). Il dollaro fluttua liberamente e il “tunnel” scompare.
 2 gg. dopo l’Italia esce dal “serpente”; la Francia ne esce nel
gennaio 1974, ma rientra, volontaristicamente, nel luglio 1975
per essere nuovamente costretta a uscire nel marzo 1976.
 Nel 1975 solo 7 paesi restano nel “serpente”, grazie all’ingresso
della Svezia: aderiscono anche D, Dk (rientrata nell’ott. 1973),
Nl, B, Lux, Norvegia.
 Dal 1 giugno 1974 il FMI usa come moneta di conto i DSP ormai
equiparati a un paniere di valute dei paesi che partecipano al
commercio mondiale con una quota > 1%. Il $, ancora la
moneta dominante (33% degli scambi), è quotato giorno per
giorno.
 L’incontro di Rambouillet, del dicembre 1975, fra i 6 stati
principali dal punto di vista economico sancisce la vittoria della
posizione USA a favore di cambi fluttuanti sganciati dall’oro.
Gli accordi della Giamaica (1976) e l’epilogo
di Bretton Woods. L’abbandono dell’oro come
strumento di pagamento
 Nel gennaio 1976 una conferenza riunita a Kingston introduce
la seconda modifica degli statuti del FMI.
 Cessa la quotazione ufficiale dell’oro, totalmente
demonetizzato. Il FMI può cedere 1/3 delle sue 4.650 t di oro:
metà le restituirà ai membri in proporzione delle quote; metà
andranno a un fondo fiduciario per la vendita in 4 anni. Il
ricavato servirà a finanziare i paesi in cui il Pil pro capite è < $
350.
 L’oro residuo potrà essere venduto grazie all’attribuzione di
nuovi poteri al fondo.
 I DSP sostituiscono l’oro come riferimento. I criteri per
determinarne il valore possono essere modificati solo da una
maggioranza dell’85%. Quindi gli USA (16% circa dei diritti di
voto) mantengono un diritto di veto.
 I membri del FMI possono scegliere, in linea di principio, il loro
regime di cambio. Gli USA vedono sancita una totale autonomia.
Ma nel 1984 ancora il 62% delle economie avevano cambi fissi;
solo nel 1994 i paesi che hanno cambi fissi si riducono al 38%.
L’indebolimento del $ e le reazioni dei paesi
OPEC per aumentare il ricavo che ottengono
dal petrolio fino all’estate 1973
 Il $ è debole ed è soggetto a pressioni speculative che ne
accentuano la svalutazione. Ne deriva il miglioramento della
bilancia dei pagamenti USA e, dopo un certo tempo, persino un
relativo apprezzamento del $, prima di un declino nel 1977. Il $
resta valuta di regolazione internazionale in un regime di cambi
fluttuanti.
 La svalutazione del $ determina una forte reazione da parte dei
paesi aderenti all’OPEC nel 1973.
 L’Organizzazione è stata fondata nel 1960; i suoi membri
obbediscono a lungo a esigenze diverse. Contrattano nei primi
anni ’70 migliori condizioni; nel 1973 riescono a intendersi sulla
riduzione dell’offerta di petrolio e un netto aumento del prezzo.
Allora controllano il 54% della produzione, il 70% delle riserve,
l’81% delle esportazioni mondiali di greggio.
 Nel 1971 l’OPEC ottiene un aumento dei prezzi ufficiali dalle
compagnie petrolifere. Altri aumenti, nel 1972 e nel giugno 1973
sono stati ottenuti per contrastare la svalutazione del $; il prezzo
del petrolio viene indicizzato sulla quotazione del $ rispetto a 11
valute.
 Tra 1970 e 1973 diversi stati (Libia, Algeria, Iraq, Iran)
nazionalizzano le risorse petrolifere.
Il progressivo incremento del prezzo del
petrolio, 1973-1980 e la divaricazione dei
prezzi applicati dai paesi produttori
 Dopo la guerra del Kippur l’Arab Organization of Arab Exporting
Countries decide l’embargo sulle consegne di petrolio a Olanda, USA,
Giappone, considerati sostenitori di Israele, e decide l’aumento
unilaterale del prezzo del greggio ceduto alle compagnie petrolifere. Il
16 ottobre 1973 i prezzi vengono aumentati del 70%.
 Il 22 dicembre l’OPEC decide un ulteriore aumento del 130%. Il prezzo
del barile di Arabian Light sale da 3 $ (inizi ottobre 1973) a 5,18 a fine
ottobre e a 11,65 a fine dicembre.
 Tra 1974 e 1978 l’OPEC aumenta 3 volte il prezzo del petrolio. Ma nel
dicembre 1976 i paesi OPEC non si accordano sulle scelte: Arabia Saudita
e Emirati Arabi Uniti vogliono limitare l’aumento dei prezzi dal 1.1.1977
al 5% mentre altri 11 membri vogliono il 15% entro il luglio 1977. Solo
in quella data i prezzi sono nuovamente unificati, con un aumento
complessivo del 10% rispetto al 1976.
 Nel dicembre 1978 deciso l’aumento progressivo del 14,5% per il 1979:
in ottobre il barile di petrolio saudiano sarebbe costato $ 14.546. Viene
introdotto un premio di maggiorazione che poteva essere di $ 1,20.
 28 giugno 1979: l’OPEC porta a $ 21 il prezzo, ma ammette differenze di
prezzo fra i membri. Algeria, Libia e Nigeria applicano $ 23,50. Una
domanda sostenuta permette di arrivare a $ 24 (Arabia Saud.) e a 30
(Libia). Nell’ultimo trimestre 1980 i prezzi salgono ancora: il prezzo
medio OPEC diventa $ 36. La conferenza di Bali fissa un nuovo massimo
a $ 41.
Conseguenze del rincaro del petrolio grezzo
del 1973
 La fine del basso prezzo del petrolio causa una severa
recessione e impone una profonda riorganizzazione
dell’economia mondiale (1) per rimediare agli squilibri di
bilancia dei pagamenti e (2) ridurre l’impatto degli alti
prezzi del petrolio sui sistemi produttivi nazionali.
 Viene trovata una via d’uscita per realizzare un
risanamento relativamente veloce delle bilance dei
pagamenti dei paesi industrializzati che avevano sofferto
del rincaro del petrolio. I paesi OPEC controllano ormai
grandi disponibilità finanziarie che sono usate solo in
misura limitata per aumentare le importazioni. Soprattutto
gli stati del Golfo Persico e l’Arabia Saudita, con
popolazione molto limitata e enormi surplus di bilancia dei
pagamenti, realizzano investimenti di portafoglio e alcuni
consistenti investimenti diretti nelle economie
industrializzate.
 Contribuiscono così anche ad aumentare la liquidità dei
sistemi bancari e dei mercati finanziari delle principali
economie industrializzate.
La bilancia dei pagamenti corrente dei paesi
importatori di petrolio, in mld $, 1973-81
  1973 1974-78 1979-81

Bilancia commerciale
OCSE 8,2 -57,0 -143,0
Paesi in via di sviluppo -7,5 -124,0 -154,0
Trasferimenti privati
OCSE -9,7 71,0 85,0
Paesi in via di sviluppo -5,5 -47,0 -63,0
Trasferimenti pubblici
OCSE -8,2 -68,0 -69,0
Paesi in via di sviluppo -6,0 41,0 35,0
Bilancia corrente
OCSE 9,5 -54,0 -126,0
Paesi in via di sviluppo -7,0 -130,0 -182,0
Fonte:A. Gauthier, L'economia mondiale dal 1945 a oggi, Bologna, 1998, p. 101.
Aumento dei prezzi al consumo nei maggiori paesi
OCSE, 1967-1992: tassi medi annui e tassi massimi e
minimi

  1967-1973 1974-1982 massimo anno minimo anno

USA 4,6 9,0 13,5 1980 5,7 1976

Giappone 6,4 8,4 23,2 1974 2,7 1982

Germania 3,9 5,0 7,0 1974 2,7 1978

Francia 5,4 11,5 13,7 1974 9,1 1978

UK 6,4 14,7 24,3 1975 8,3 1978

OCSE 5,0 10,1 13,3 1974 7,8 1978

Fonte:A. Gauthier, L'economia mondiale dal 1945 a oggi, Bologna, 1998, p. 110.
Il rallentamento dell’inflazione dopo il 1983
 Dal 1983 l’inflazione nei paesi OCSE rallenta nettamente. Germania e
Giappone sono i paesi in cui l’aumento dei prezzi è più limitato; entro la
fine del decennio 1980 anche la Francia riesce a limitarlo. Gli scarti tra i
tassi di incremento dei diversi paesi si attenuano.
 Paul Volcker, presidente della Fed, tra 1979 e 1982 adotta una politica di
restrizione monetaria. I grandi paesi industrializzati applicano
programmi imperniati sulla lotta all’inflazione.
 La riduzione del tasso d’inflazione è agevolata dalla caduta del prezzo
del petrolio. La contrazione della domanda di petrolio genera un surplus
di produzione di grezzo e costringe l’OPEC a calare il prezzo ufficiale del
barile da $ 34 a $ 29. Tanto più che si sono sviluppati nuovi centri di
produzione che non aderiscono all’Organizzazione. Si cercano fonti
energetiche alternative.
 L’OPEC è resa più fragile dalla guerra tra Iran e Iraq (1980-1988) e
dall’invasione irakena del Kuweit (1990) e l’acutizzarsi del conflitto di
orientamenti tra Arabia Saudita, Algeria e Nigeria. Risulta impossibile
limitare la produzione. Nel 1985 l’Arabia saudita decide di aumentare la
propria produzione; entro il luglio 1986 il barile è a $ 7: in termini reali
vale la metà degli anni 1950. Nell’estate 1990 il petrolio valeva
sostanzialmente come prima dell’ottobre 1973 in termini reali.
Incrementi medi annuali dei prezzi al
consumo nei maggiori paesi OCSE, 1981-
1994

  1981-1985 1986-1988 1989-1992 1993 1994

USA 3,7 3,2 4,3 3,0 2,7

Giappone 2,1 0,5 2,6 1,3 0,7

Germania 2,6 0,4 3,3 4,1 2,3

Francia 7,6 2,8 3,2 2,1 1,6

UK 5,2 4,2 6,7 1,6 2,9

OCSE 5,0 3,2 5,1 3,6 2,3

Fonte:A. Gauthier, L'economia mondiale dal 1945 a oggi, Bologna, 1998, p. 110.
Dall’inflazione al rischio della deflazione.
Conseguenze delle politiche di stabilizzazione avviate
nel 1974-1975.

 Dopo la minaccia dell’inflazione, nei paesi sviluppati si profila il rischio di


deflazione dovuto (1) a un eccessivo indebitamento di imprese e famiglie;
(2) alla contrazione del credito bancario dettata dal timore di insolvenze.
In condizioni di rallentamento della crescita economica si verifica un
rallentamento della crescita dei prezzi; gli operatori economici vedono
diminuire i loro margini rispetto ai costi e tentano di contrarre i costi
salariali, eventualmente di licenziare, provocando un’ulteriore riduzione dei
redditi e il calo dei consumi e degli investimenti.
 Viene frenata l’attività produttiva e sono scoraggiati gli scambi. La
deflazione può portare alla depressione.
 C’è un correttivo: l’espansione del commercio mondiale. Ma con limitazioni.
Nel 1975 e nel 1982 il volume degli scambi mondiali si contrae del 3%; ma
dal 1973 il commercio mondiale cresce più velocemente della produzione.
Però in condizioni di maggiore concorrenza: l’incremento annuo del
commercio fra 1973 e 1994 è minore rispetto al 1963-1972.
 Ritorna il dumping, nonostante il bando del Kennedy Round del GATT
(1968). Crescono le sovvenzioni statali alle industrie e all’agricoltura. Si
teme il ritorno del protezionismo: le tariffe doganali sono scese fra i
membri GATT a 4%, ma crescono le restrizioni non tariffarie e le
compensazioni bilaterali [countertrade] entro la fine degli anni 1980.
L’esigenza di una riorganizzazione produttiva imposta
dal rincaro del petrolio: limitare l’incidenza dei costi fissi,
decentramento e diverso impiego della manodpera

 Il rincaro delle materie prime e soprattutto dei prodotti energetici


insieme con la maggior rigidezza del mercato del lavoro
sollecitano la riorganizzazione produttiva dei paesi
industrializzati. L’esperienza delle imprese giapponesi di beni di
consumo durevoli [auto in particolare] offre delle soluzioni
considerate efficaci:
 (1) il coordinamento delle fasi del processo di produzione per
abbattere gli immobilizzi legati alla gestione tradizionale del
magazzino;
 (2) il ricorso sistematico al decentramento delle produzioni di
semilavorati presso produttori a cui è richiesto di abbattere i costi
del loro prodotto grazie alla specializzazione e alle economie di
scala;
 (3) la regolazione dei rapporti con i fornitori (che sono spesso in
posizione di dipendenza) per migliorare la tesoreria delle imprese
committenti;
 (4) la richiesta ai propri dipendenti di svolgere il lavoro di
montaggio accoppiandolo con il controllo della qualità dei prodotti
per migliorare per aumentare la redditività del processo
produttivo. È la produzione snella [lean production] che
caratterizza il toyotismo.
L’esigenza di una riorganizzazione produttiva
imposta dal rincaro del petrolio: la ricerca di
maggiore flessibilità produttiva
 I principi dell’organizzazione della produzione e del modo di
compensare il lavoro secondo criteri fordisti restano
largamente in uso, eventualmente conciliati con il
toyotismo. Accanto alle produzioni di massa, spesso
insostituibili, si avviano produzioni in piccola serie
concepite per soddisfare segmenti di mercato più esigenti
che richiedono prodotti meglio rispondenti alle esigenze
della clientela. Per questo scopo si sfruttano innovazioni
tecniche che aumentano la flessibilità dei processi (per es.
le macchine a controllo numerico, disponibili da metà anni
‘60).
 Il decentramento produttivo e la specializzazione delle
produzioni per distretti favoriscono in alcuni sistemi
economici lo sviluppo di imprese medie e piccole,
coordinate su base territoriale, come aveva constatato
Alfred Marshall a fine 800. Dimensioni ridotte delle imprese
e radicamento locale modificano profondamente le relazioni
industriali, limitano la sindacalizzazione della manodopera,
ne aumentano la flessibilità.
La tendenza al rallentamento
dell’occupazione nei paesi OCSE, 1970-1994
[variazioni medie annuali]

  1970-73 1974-75 1976-79 1980-82 1983-1990 1991-1994

USA 2,3 0,5 3,6 0,2 2,1 1,1

Giappone 1,1 -0,4 1,2 0,9 1,3 0,9

Germania 0,4 -2,0 0,4 0,6 0,8 -0,4

Francia 1,0 0,0 0,5 -0,1 0,3 -0,4

UK 0,1 -0,2 0,4 -2,1 1,5 -1,6

CEE 0,5 -0,2 0,3 -0,5 0,9 -1,0

OCSE 1,2 0,2 1,6 0,2 1,5 0,1

Fonte:A. Gauthier, L'economia mondiale dal 1945 a oggi, Bologna, 1998, p. 107.
La disoccupazione nei paesi OCSE in
percentuale della popolazione attiva, 1967-
1994

  1967-73 1975 1982 1993 1994 Max. anno

USA 4,6 8,3 9,7 6,8 6,1 9,7 1982

Giappone 0,9 1,9 2,3 2,5 2,9 2,9 1994

Germania 1,0 3,1 5,0 8,8 9,6 9,6 1994

Francia 2,5 4,2 8,2 11,7 12,6 12,6 1994

UK 2,5 3,7 10,4 10,2 9,4 11,8 1986

CEE 2,6 4,2 9,4 11,2 11,8 11,8 1994

OCSE 3,3 5,2 8,4 8,0 8,2 8,6 1983

Fonte:A. Gauthier, L'economia mondiale dal 1945 a oggi, Bologna, 1998, p. 106.
Sovvenzioni statali alle industrie nei paesi
OCSE, 1970-1989 per favorire la
riorganizzazione produttiva in % del Pil

  1970-74 1975-79 1980-84 1985-89

USA 0,5 0,4 0,5 0,7

Giappone 1,2 1,3 1,4 1,1

Germania 1,8 2,1 2,0 2,2

Francia 2,1 2,5 2,8 3,0

UK 2,2 2,7 2,3 1,7

OCSE 1,2 1,5 1,6 1,6

Fonte:A. Gauthier, L'economia mondiale dal 1945 a oggi, Bologna, 1998, p. 117.
Riorganizzazione finanziaria delle imprese e modifica dei
sistemi finanziari nazionali tra anni ’70 e ’80 (1)

 I conglomerati industriali godono per alcuni anni di grande


prestigio perché la diversificazione delle attività promette una
migliore tutela contro le minacce di crisi e gli imprevisti che
caratterizzano l’economia dopo il 1973. I risultati di un settore
possono compensare quelli di un’altro.
 Negli anni 1980 si moltiplicano accorpamenti e fusioni fra grandi
imprese. Offrono un ampio campo di lucroso lavoro alle banche
d’investimento che curano per i clienti queste operazioni e
spesso vi partecipano direttamente.
 Si sviluppa la pratica di rilevare imprese in difficoltà per
aggregarle in nuovi complessi o smembrarle e riproporle sul
mercato. Sono operazioni che permettono profitti finanziari di
grande entità; nel valutare la convenienza dell’operazione
diventano trascurabili sia la vitalità industriale delle imprese,
sia le conseguenze sul piano dell’occupazione dei processi di
riorganizzazione. L’inflazione elevata gonfia le quotazioni dei
titoli azionari e contribuisce ad aprire prospettive favorevoli per
lo sviluppo di pratiche finanziarie nuove con una forte
componente speculativa. Per es. il leveraged buy out, l’acquisto
attraverso l’indebitamento. Con risorse relativamente limitate si
possono ottenere alti profitti.
Riorganizzazione finanziaria delle imprese e modifica dei
sistemi finanziari nazionali tra anni ’70 e ’80 (2)

 Si affermano nuovi tipi di operatori finanziari, non bancari, che


dispongono di risorse abbondanti; la loro novità fa sì che siano libere da
vincoli legali e si muovaono con grande agilità fornendo servizi finanziari
adatti a nuovi profili di investitori: per es. i fondi d’investimento.
Lavorano con capitali propri, anche modesti, gestiscono patrimoni e
possono assicurare profitti elevati. I fondi pensionistici affermatisi nei
paesi anglosassoni e cresciuti particolarmente dove è limitata la tutela
assicurata da schemi pubblici spiccano perché dispongono di molte
risorse; per proteggersi dall’erosione dei patrimoni dovuta all’inflazione
devono cercare investimenti profittevoli e con un’ottica solo finanziaria.
 La crisi fiscale di diversi stati fornisce ulteriori stimoli allo sviluppo dei
mercati finanziari attraverso la creazione di grandi quantità di debito
pubblico con cui si finanziano livelli elevati di spesa, evitando revisioni
politicamente pericolose dei sistemi di prelievo fiscale. Le spese
alimentano in alcuni casi costosi programmi di investimenti
infrastrutturali; in altri coprono alte spese ordinarie e i trasferimenti con
cui si affrontano ristrutturazioni produttive ed esigenze di natura
sociale, dalle provvidenze contro la disoccupazione all’estensione della
scolarizzazione e delle tutele sanitarie monetarie e finanziarie.
 Questa evoluzione si verifica in un contesto di forte instabilità valutaria,
accentuata dal comportamento del $, che ipoteca pesantemente le scelte
di politica finanziaria e monetaria.
Il deprezzamento del $, 1976-1980: accordi
con i paesi creditori e il collocamento
all’estero di parte del debito federale USA
 Sotto la presidenza di Jimmy Carter il $ si indebolisce perché
aumenta il deficit commerciale USA, si aggrava l’inflazione, il
Congresso resiste alle proposte di legge dell’amministrazione
per risparmiare energia e contenere l’importazione di petrolio.
 Inizi di novembre 1978: piano di salvataggio del $ elaborato con
i paesi a moneta forte. Prevista la creazione di un Fondo
d’intervento con $ 30 mld per combattere la speculazione con
acquisti correttivi sul mercato. 1/3 era sottoscritto mediante
prestiti in divise (DM, CHF, ¥).
 L’amministrazione statunitense colloca buoni del tesoro presso
investitori esteri: 15 mld nel 1970, 105 nel 1979, grazie al ruolo
internazionale del $. Il collocamento di titoli pubblici all’estero
non subisce limitazioni a causa della revoca della convertibilità.
 Esso permette di compensare il deficit commerciale USA; la
sottoscrizione di titoli diventa strumento per frenare la
rivalutazione delle monete forti rispetto al $.
L’apprezzamento del $, 1980-1985: benefici
per l’economia USA, difficoltà per i paesi
sviluppati che pagano le importazioni in $
 Nella fase conclusiva dell’amministrazione Carter il nuovo presidente
della Fed, Paul Volcker, esercita un controllo rigido sulla creazione di
moneta e cerca di rialzare il tasso d’interesse. Grazie a questo indirizzo
ottiene un aumento della quotazione del $ a partire dal 1980. L’arrivo di
R. Reagan alla presidenza e il suo impegno per restituire forza e capacità
d’iniziativa agli USA contribuisce a diffondere fiducia nella ripresa del $.
E affluiscono capitali dall’estero, sostenendo il $.
 Il grave indebitamento dei paesi sottosviluppati accentua la domanda di
liquidità, che cresce più della disponibilità di nuovi $. Il $ torna a essere
moneta cara e rara.
 L’economia statunitense deve, come contropartita, accettare il netto
peggioramento della bilancia commerciale. Ma la politica monetaria della
Fed mette in difficoltà i paesi industrializzati: il $ caro e gli alti interessi
del mercato finanziario americano sottraggono capitali agli altri mercati
sviluppati. Per limitare l’esportazione di capitali le economie sviluppate
devono mantenere alti tassi di interesse o alzarli, a scapito del
finanziamento degli investimenti.
 Inoltre cresce l’onere delle importazioni i cui prezzi sono determinati in
$: Giappone e Europa occidentale non riescono perciò a trarre
completamente vantaggio dalla riduzione del prezzo del petrolio. Le loro
economie continuano a essere minacciate da pressioni inflazionistiche a
cui le rispettive autorità monetarie reagiscono con politiche restrittive.
La politica finanziaria dell’amministrazione
Reagan e l’incremento del debito federale
 La riduzione del prelievo fiscale introdotta nei primi anni 80 in USA (drastica
riduzione dell’aliquota marginale massima, rinunzia alla progressività;
crescente popolarità di una flat rate per la tassazione dei redditi) aumenta
le disponibilità per impiego delle imprese e dei proprietari di grandi
patrimoni.
 Viene stimolato l’afflusso di risorse al mercato finanziario, eventualmente
attraverso gli hedge funds attivi negli USA.
 La riduzione del prelievo fiscale non è accompagnata da un’equivalente
riduzione della spesa pubblica.
 Comincia ad accumularsi un consistente debito pubblico statunitense che è
collocato in parte presso sottoscrittori esteri. Da una media annuale di $ 48
mld di debito pubblico tra 1979 e 1981 si passa a 212 nel 1985. I
sottoscrittori esteri appartengono a paesi con bilance dei pagamenti attivi e
monete forti; in primo luogo il Giappone. Esportando capitale correggono la
posizione creditrice del proprio conto corrente e contrastano i rischi di
rivalutazione. Così, però, si possono scoraggiare gli investimenti interni,
tanto più perché i tassi d’interesse devono essere alti.
 Si profila una caratteristica della situazione finanziaria statunitense che
dura fino a oggi: l’esistenza di un doppio deficit (della bilancia dei
pagamenti e del bilancio federale), compensato dall’apporto di capitali
esteri, provenienti da economie con forti attivi della bilancia dei pagamenti
correnti. Il potenziale di instabilità che può derivarne è molto alto. La
peculiare posizione del $ influisce sul flusso di capitali impiegati in attivi
USA.
La ricaduta del $ tra 1985 e 1995
 Il $ tocca il valore massimo nel febbraio 1985. La sua
sopravvalutazione crea difficoltà a agricoltori e industriali: R.
Reagan accetta perciò di pilotare il cambio al ribasso, d’accordo
con i grandi paesi industrializzati che sono preoccupati per le
spinte protezioniste che si sviluppano negli USA.
 22.9.1985: 5 paesi firmano l’accordo del Plaza per cui le
rispettive banche centrali interverranno sul mercato per
provocare una riduzione del cambio del $. Nel 1985 la riduzione
è stata del 20% rispetto alla > parte delle valute; nel 1986 ha
raggiunto il 21% su DM e ¥.
 Agli inizi del 1987 viene stipulato un nuovo accordo fra i 5 + il
Canada per bloccare la discesa del $. Il 22 febbraio 1987 è
concluso l’accordo del Louvre per stabilizzare il $ alle parità
raggiunte.
 Fra 1985 e 1995 il $ perde oltre metà del valore e torna a un
livello simile a quello del 1980 rispetto alle altre valute.
 Nonostante il ridimensionamento continua a essere moneta
dominante.
La crescita del mercato finanziario internazionale a
partire da metà anni ’70: un orientamento fortemente
speculativo e i crediti ai paesi in difficoltà per l’alto
prezzo del petrolio

 Nuove opportunità di lavoro emergono in alcuni dei maggiori mercati


finanziari nazionali.
 Sono favorite (1) dalla crescente perdita di incisività dei controlli sui
movimenti di capitale; (2) dalla carenza di norme internazionali sulle
riserve obbligatorie rispetto alle passività internazionali o di vincoli sul
rapporto tra risorse proprie d quantità di prestiti erogati; (3) dalla
dilatazione delle esigenze di finanziamento da parte di paesi non
industrializzati che tentano di svilupparsi.
 Le grandi banche attive sui mercati internazionali cercano di impiegare
le maggiori risorse liquide di cui dispongono dopo il 1974 promuovendo
l’indebitamento delle economie emergenti, specie dell’America Latina e
in particolare nei paesi che disponevano di giacimenti petroliferi (per es.
il Messico), perché queste sono considerate una garanzia ai fini del
rimborso dei debiti.
 Il debito dei paesi emergenti sale da $70 mld nel 1970 a 264 nel 1977.
 Anche i paesi dell’Europa orientale si indebitano: entro il 1978 hanno $
60 mld di debito verso i paesi OCSE. Si tratta di una novità legata in
parte all’evoluzione non positiva del loro assetto produttivo e al
tentativo di ammodernare la loro economia, rimediando in parte a forti
tensioni sociali emerse nel passaggio fra anni 1960 e 1970. La crisi
polacca del 1980-1981 ne mette in evidenza l’inaffidabilità.
Ragioni strutturali degli indirizzi speculativi e
l’affermazione di nuovi operatori finanziari negli
anni ‘80
 Per ottenere rendimenti adeguati dei fondi a disposizione e non subire danni
in una congiuntura connotata (1) da spinte inflazionistiche (che erodono i
rendimenti reali e la consistenza patrimoniale degli operatori) e (2) da
elevati rischi di insolvenza della clientela, gli operatori finanziari danno un
connotato spiccatamente speculativo alle loro operazioni.
 Accanto agli operatori tradizionali (banche d’affari, imprese assicurative che
hanno abbondanza di liquidità e, nei paesi anglosassoni, investitori
istituzionali che gestiscono i fondi pensionistici) si attivano fondi di
investimento che offrono ai risparmiatori pacchetti compositi di attivi che
promettono la divisione dei rischi. Si affermano anche dei fondi per la
gestione di patrimoni e liquidità secondo criteri innovativi, basati sul calcolo
delle probabilità per ricavare rendimenti particolarmente elevati.
 I nuovi operatori finanziari ottengono un grande successo, specialmente in
USA e UK, riducendo il campo operativo delle banche generaliste.
 I mercati finanziari assumono connotati accentuatamente speculativi entro
gli anni ‘80. Cresce la loro volatilità e l’entità delle transazioni. Prendono
piede le operazioni in derivati (che richiedono la disponibilità effettiva di
somme relativamente limitate rispetto all’entità nominale delle transazioni).
Cresce il ricorso all’indebitamento per finanziarsi.
 I cambi e i prezzi instabili offrono sia l’opportunità di speculare che
l’esigenza di farlo per ricoprirsi dai rischi, diventati maggiori rispetto agli
anni di stabilità 1950-60.
 Un indirizzo spiccatamente speculativo aumenta il rischio di inceppamenti e
quindi di crisi.
La crisi finanziaria dei paesi debitori, 1982-
1985. L’applicazione di politiche di rigida
deflazione come rimedio
 La prima crisi finanziaria successiva alle “crisi petrolifere” è quella dei
paesi debitori.
 Le debolezze strutturali delle economie debitrici portano nel 1981-82 a
insolvenze (impossibilità di pagare le rate di ammortamento e gli interessi
sui debiti), quando la seconda crisi petrolifera del 1979 modifica ancora il
quadro economico e finanziario introducendo rincari superiori a quelli del
’73.
 Vi contribuisce pesantemente la politica di alti tassi d’interesse e di
rivalutazione del $ applicata dalla Fed negli USA per bloccare l’inflazione e
rivalutare il $. Essa rende più fragile la posizione delle economie debitrici.
 I pagamenti erano più difficili se i debitori dovevano svalutare per
rimediare a difficoltà di bilance dei pagamenti passive, o se i tassi di
interesse aumentavano. La crisi colpisce in modo particolare Messico (in
seguito alla riduzione del prezzo del petrolio del 1981), Argentina,
Filippine, Polonia.
 Di riflesso, vengono messe in difficoltà le banche internazionali esposte
verso tali economie. Le difficoltà sono proporzionali all’esposizione di
ciascuna banca verso debitori poco affidabili. Di riflesso le banche
riducono investimenti e prestiti nei paesi in via di sviluppo. Da $ 52 mld
nel 1981 scendono a 7 mld nel 1991.
 Per i debitori si tratta di affrontare una dura deflazione. Tanto più che, fra
1984 e 1988, essi diventano esportatori netti di capitali a causa dei
rimborsi dei prestiti e dei pagamenti degli interessi.
Crisi finanziaria e FMI: la ripresa di
importanza dell’ente e l’aumento degli stati
aderenti

 La crisi rimette al centro del sistema finanziario internazionale, dopo


anni di eclisse, il Fmi come coordinatore degli interventi e come
promotore di soluzioni di politica finanziaria per i debitori.
 Il FMI gioca un ruolo nella concessione dei finanziamenti necessari per
rimediare alla crisi dei paesi debitori.
 In corrispondenza con questa ripresa dell’attività, il FMI deve accrescere
le proprie risorse e in primo luogo le quote. Cresce il numero dei membri
e stati prima marginali diventano importanti (come l’Arabia Saudita)
perché dispongono di fondi abbondanti. Dai primi anni 80 diversi paesi
socialisti entrano nel FMI, alla ricerca di un’integrazione più stretta nel
sistema economico mondiale (Cina 1980, Ungheria 1982, Polonia 1986);
dal 1990 le richieste di adesione aumentano man mano che procede la
trasformazione delle economie a pianificazione centrale in economie di
mercato. Bulgaria e Cecoslovacchia aderiscono nel 1990, l’Albania nel
1991, le 15 repubbliche dell’ex URSS nel 1992. In quello stesso anno
entra anche la Svizzera.
 Cambia il ruolo del FMI dopo la crisi petrolifera: si indebolisce la
funzione monetaria, mentre si sviluppa l’azione di intermediazione
finanziaria fra paesi poveri e ricchi perché eroga prestiti a tassi
normalmente < a quelli di mercato. Di qui l’esigenza di aumentare le
risorse proprie e di introdurre nuovi strumenti di finanziamento.
Le soluzioni per incrementare le risorse del
FMI a partire dagli anni 1970: DSP e crediti
 Il Fondo interviene per limitare gli effetti delle crisi utilizzando risorse
proprie, ottenute dalle quote di partecipazione e dai DSP. Il suo capitale è
passato da DSP 29 mld nel 1970 a 90 nel 1990, grazie alle nuove
ammissioni e alle periodiche revisioni delle quote. Nel 1990 è deciso
l’aumento del 50% delle quote, portandole a 135,2 mld. entro il 1992. Nel
1993 le quote salgono a 145 mld.
 Grazie a queste risorse il FMI può cedere divise convertibili contro monete
nazionali fino al 25% delle quote dei singoli membri. I membri possono
ricavarne DSP in proporzione, aumentando la disponibilità di divise.
 Nel 1978 è decisa l’emissione di DSP 12 mld in 3 anni. Nel 1992 ne
circolavano in tutto 21,4 mld. L’aumento dell’emissione serviva a
incrementare le riserve dei membri, soprattutto dei membri recenti che
non avevano potuto godere dei precedenti stanziamenti. L’aumento di
disponibilità di comporta tensioni fra i membri sia sull’entità delle
emissioni che sulla ripartizione dei DST. I paesi sottosviluppati le
contestano e giudicano insufficienti i DSP.
 Il FMI concede anche prestiti, dal momento che la disponibilità di divise
convertibili attraverso le quote e i DSP risulta insufficiente e che la
richiesta di fondi, con la crisi petrolifera, diventa particolarmente elevata.
 Dopo i primi rincari del petrolio di fine 1973 sono previste agevolazioni
per i paesi di difficoltà. Vengono varati 2 prestiti: di 6,9 mld DSP nel
1974-75, rimborsato nel 1983 e 7,8 mld nel 1979, con fondi per 55%
forniti dai produttori di petrolio.
Il ricorso a fondi delle maggiori economie per
rimediare alle difficoltà dei paesi sottosviluppati fra
1981 e 1993
 Dal 1981 si prevede un aumento dei fondi che il FMI può concedere in
prestito: un membro può prelevare per 3 anni fra 90 e 110% per anno
della sua quota (in totale 270-330%). Le risorse sono fornite dai paesi
industrializzati e dall’ Arabia Saudita.
 Nel 1983 viene sensibilmente aumentata la dotazione del general
arrangement to borrow: il gruppo dei 10 e la Svizzera si impegnano a
mettere a disposizione del FMI 17 mld DSP rispetto ai 6,4 del 1962, anno
in cui era stato introdotto l’arrangement (Gab).
 Nello stesso anno i paesi OCSE (eccetto USA, Portogallo e Turchia)
concedono al FMI DSP 3 mld.
 Nel dicembre 1986 il Giappone concede al Fondo un prestito quadriennale
di DSP 3 mld.
 L’Arabia Saudita ne concede 11 nel 1981-1983 e accetta di metterne a
disposizione ancora 1,5 alle condizioni del Gab.
 Nel marzo 1986 viene decisa la creazione di una facility (agevolazione) di
aggiustamento strutturale. Consente di accordare prestiti di 5-10 anni al
tasso di 0,50% ai paesi più poveri. Una facility rafforzata è prevista per i
paesi poveri che applichino politiche di risanamento delle loro economie.
Nell’aprile 1993 c’erano 89 accordi del primo tipo (FAS) e 68 del secondo
tipo (FASR) per 13,5 mld DSP totali, finanziati da prestiti elargiti da
alcuni membri del FMI.
 L’intervento del FMI per i paesi sottosviluppati è vitale: i prestiti bancari
a loro favore sono calati da $ 52 mld nel 1981 a 7 nel 1991.
Il controllo degli USA sul FMI e l’applicazione
di ricette liberiste in caso d’intervento
 Gli USA, con l’appoggio di un ridotto numero di paesi, mantengono una
posizione dominante nel Fmi, utilizzandolo come agenzia per
promuovere politiche di rigore monetario e finanziario che possono
avere importanti effetti recessivi sull’economia dei paesi che cercano un
sostegno nei crediti del Fondo. Promuovere la solvibilità dei debitori
significa normalmente favorire la capacità di recuperare i crediti da
parte dei creditori, spesso banche USA.
 Il ruolo internazionale del $ appare senza rivali; i DSP, nonostante il loro
incremento, giocano un ruolo limitato. Grazie al $ standard le autorità
USA hanno un’ampia discrezionalità nell’aggiustare la parità di cambio in
funzione di esigenze interne all’economia statunitense.
 Negli anni 1980 emergono in piena evidenza i rischi dello squilibrio
internazionale e il peso dei condizionamenti internazionali sulle
economie non sviluppate. Nel 1982 il Messico deve accettare misure
pesanti: rigore di bilancio (che porta a un saldo attivo del bilancio
federale) e monetario, privatizzazioni e apertura internazionale. Nel
1986 il Messico entra nel GATT; si accorda con USA e Canada per il
NAFTA e riduce i dazi, entra nell’OCSE nel 1994; attrae capitali esteri e
può nuovamente contare su un elevato indebitamento estero (nel 1994 $
164 mld) e un tasso di inflazione del 10% nel 1992. 1994: svalutazione
del peso e nuova crisi finanziaria.
L’esperienza valutaria europea: la ricerca di
soluzioni per l’ancoraggio dei cambi e il passaggio
dal “serpente” allo SME
 Nel luglio 1978 il Consiglio europeo della CEE accetta di sostituire il
serpente con un Sistema monetario europeo per aumentare
l’indipendenza dal $ e dalla sua volatilità, rendendo monetariamente
stabile l’Europa occidentale. Il Consiglio europeo approva ufficialmente
lo Sme nel dicembre 1978 e esso entra in vigore nel marzo 1979.
 Come il vecchio sistema, si basa su parità reciproche delle diverse
monete; utilizza come riferimento una Unità di conto europea, impiegata
sul mercato delle obbligazioni e dei titoli pubblici. Il valore è definito in
base al paniere di 9 monete della CE che aderiscono al sistema.
 Le diverse monete possono oscillare rispetto alla parità centrale (tasso
base) ±2,25%. All’Italia è concesso il 6%, data la fragilità dei suoi conti
con l’estero. Nei primi 4 anni si procede a 1 riallineamento ogni 8 mesi;
poi fino al gennaio 1987 I riallineamenti si riducono a 1 l’anno. Vengono
allentati i controlli sui movimenti di capitali nell’area europea.
 A differenza del “serpente” lo Sme prevede che gli interventi correttivi di
eventuali squilibri non spettino solo ai paesi a valuta debole, ma anche a
quelli con valuta forte.
 Ai 9 membri iniziali si aggiungeranno la Spagna nel giugno 1989; UK
nell’ottobre 1990 (per euroscetticismo); il Portogallo nell’aprile 1992.
tutti godono dell’oscillazione al 6%.
 Viene preparato un piano per istituire un Fondo monetario europeo
(FME) e si ventila la riunificazione delle riserve nazionali in un solo
fondo. L’unità di conto è valuta di riserva per il FME.
La resistenza della Bundesbank al tentativo di limitare il
suo potere nella politica valutaria europea e alla
prospettiva di un’unificazione monetaria

 Lo SME era stato frutto di un accordo politico tra il presidente francese


V. Giscard d’Estaing e del cancelliere federale H. Schmidt, che cercavano
un rilancio del progetto europeo per ragioni diverse ma convergenti. La
Francia avrebbe voluto che lo SME fosse incluso nel regime istituzionale
comunitario. I cambi sarebbero stati una competenza e uno strumento
operativo della Comunità e sulla loro gestione si sarebbe esercitata
l’influenza politica francese, riducendo la preminenza della Bundesbank.
Non lo ottiene.
 La Bundesbank si fa garantire dal governo tedesco di non dover
intervenire se il governo non riusciva ad accordarsi con i partners sui
piani di riallineamento valutario.
 Nel 1986 la sottoscrizione dell’Atto Unico rilancia la prospettiva di
Unione economica e monetaria, perfezionata nell’accordo di Maastircht
del 1992 che istituisce l’Unione Europea.
 Obiettivo è l’unione monetaria fra i 12 membri CEE in 3 tappe: (1) luglio
1990 liberalizzazione dei movimenti di capitale; (2) gennaio 1994
creazione dell’Istituto monetario europeo (IME), coordinamento delle
politiche economiche e monetarie, (3) creazione di una banca centrale
europea e adozione di una moneta unica fra gennaio 1997 e gennaio
1999.
 Fissate delle regole per la convergenza delle economie interessate
riguardo a tasso di inflazione; deficit di bilancio, debito pubblico e tassi
di interesse.
La crisi dello SME, settembre 1992
 Dal settembre 1979 al settembre 1992 vengono realizzate 4 svalutazioni
del Ff; 6 rivalutazioni del DM. L’assetto valutario europeo richiede
frequenti aggiustamenti di segno diverso nei diversi paesi
 Nel settembre 1992 precipita una drammatica crisi dei cambi in Europa
in seguito a massicci attacchi al ribasso. Lo SME pare fragile per
mancanza di coordinamento effettivo fra le politiche dei diversi membri
e per la fragilità dei conti esteri di alcuni di loro.
 Peseta e lira vengono svalutate rispettivamente del 5 e 7%. La lira e la £
escono dal sistema. Per 5 mesi si succedono attacchi speculativi contro
altre valute. Il franco evita la svalutazione grazie all’aiuto della
Germania. Peseta e escudo sono ancora svalutati nel novembre 1992 e
nel maggio 1993; la lira irlandese nel febbraio 1993.
 Nell’agosto 1993 deciso l’aumento delle fluttuazioni a ±15% (eccetto il
cambio DM-fiorino).
 L’incertezza sul cambio sembra fonte di distorsioni nei flussi commerciali
interni alla CE: i paesi che hanno svalutato sono stati favoriti nelle
esportazioni. L’incertezza costringe a politiche di alti tassi di interesse,
con danno degli investimenti e rallentamento dell’economia.
 Nel 1993 solo la Danimarca rispondeva ai criteri di convergenza di
Mastricht.
Il rallentamento dell’economia europea fra
anni 70 e fine secolo.
 Tra 1973 e 1998 il Pil dell’Europa occidentale crebbe del 2,1%
l’anno rispetto al 4,8 del 1950-1973 secondo Angus Maddison.
 In parte questo è il risultato di un rallentamento della crescita
della popolazione da 0,7% l’anno a 0,3%, frutto di una
generalizzata caduta delle nascite.
 Inoltre crebbe massicciamente la disoccupazione (11% della
forza lavoro nel 1994-98, > agli anni 30 e 4 volte il 1950-1973).
 Infine si contrasse la produttività del lavoro, cresciuta del 2,3%
l’anno in media rispetto al 4,8% del 1950-1973.
 Nonostante questo rallentamento, continuò il processo di
avvicinamento agli USA anche dopo il 1973. Il livello della
produttività in Europa occidentale salì dai 2/3 di quella USA nel
1973 a 4/5 nel 1998.
L’avvicinamento della produttività fra economie
sviluppate : il rapporto del capitale fisso lordo
rispetto al Pil, 1950-1992, in 6 paesi industrializzati

USA Francia Germania Olanda UK Giappone

Parco macchine e impianti

1950 0,64 0,21 0,39 0,27 0,31 0,74

1973 0,65 0,50 0,62 0,61 0,52 0,58

1992 0,86 0,74 0,70 0,78 0,65 1,07

Infrastrutture escluse le abitazioni

1950 1,81 1,42 1,42 1,79 0,50 1,03

1973 1,47 1,05 1,32 1,36 0,80 1,16

1992 1,57 1,52 1,63 1,53 1,17 1,95


Stock del capitale fisso per salariato, escluse le
abitazioni, 1950-1992, in 6 paesi industrializzati in
$1990

USA Francia Germania Olanda UK Giappone

Parco macchine e impianti

1950 15.150 2.325 3.948 3.878 4.699 3.234

1973 26.259 15.778 18.513 20.394 13.893 13.287

1992 39.636 33.930 31.736 30.044 23.095 40.243

Infrastrutture escluse le abitazioni

1950 42.673 15.795 14.364 25.686 7.556 4.518

1973 59.461 33.037 39.697 45.393 21.464 26.402

1992 72.625 69.232 70.119 57.918 41.797 73.135


Stock del capitale fisso per occupato, escluse le
abitazioni, 1950-1992, in 6 paesi industrializzati in
$1990 e in % degli USA

1950 1973 1992 1950 1973 1992

Valori assoluti USA = 100

Francia 18.120 48.815 103.162 31 57 92

Germania 18.312 58.210 101.855 32 68 91

Olanda 29.564 65.787 87.962 51 77 78

UK 12.444 35.399 64.892 22 42 58

Giappone 7.752 34.777 113.376 13 41 101

USA 57.600 85.178 112.261 100 100 100


Il calcolo della produttività complessiva dei fattori (TFP):
uno strumento per contabilizzare la crescita (1)

 Secondo l’approccio marginalista neoclassico, la crescita economica


può essere analizzata cercando di definire l’apporto di ogni fattore di
produzione alla crescita.
 Per via empirica si è riscontrato che il tasso di crescita della
produzione complessiva di un sistema economico nazionale non può
essere interamente spiegato con un maggiore apporto combinato
dei fattori fisici di produzione. Resta un residuo che ha un peso
notevole nella spiegazione della crescita.
 Edward Denison ha elaborato in grande dettaglio l’approccio
neoclassico alla spiegazione della crescita comparata di diversi
sistemi economici (USA, Giappone, Europa occidentale). Why
Growth Rates Differ. Postwar experience in nine western countries,
Washington 1967, ha dato un forte impulso all’applicazione di
questo metodo di ricerca. Monografie successive hanno esteso il
periodo di applicazione del metodo, compatibilmente con la
disponibilità di informazioni statistiche adeguate.
Il calcolo della produttività complessiva dei fattori (TFP):
uno strumento per contabilizzare la crescita (2)

 Denison tenta di misurare il contributo dei fattori fisici della


produzione, capitale e lavoro non limitandosi alla semplice
somma dei valori aggregati complessivi; cerca di valutarlo
distinguere l’apporto delle singole componenti dei 2 fattori,
identificate in base ai loro caratteri qualitativi.
 Per il lavoro tiene conto del numero medio di ore lavorate; del
diverso rendimento dei diversi tipi di lavoratori secondo l’età e
il sesso, secondo i livelli di educazione e di addestramento.
 Per il capitale distingue 4 sottogruppi: edilizia residenziale,
edifici industriali e macchinari, scorte, investimenti esteri.
 Il residuo è attribuito ai progressi della produttività. Anch’esso
e distinto in categorie diverse:
 (1) guadagni di produttività realizzati con un generale
avanzamento di conoscenze tecnologiche o organizzative, alla
frontiera della conoscenza applicata;
Il calcolo della produttività complessiva dei fattori (TFP): uno
strumento per contabilizzare la crescita (3)

 (2) guadagni di produttività realizzati attraverso un recupero di conoscenza:


chi è più arretrato può approfittare degli avanzamenti altrui, copiandoli, e
avvicinarsi all’ottimo conosciuto. Basta l’applicazione di tecniche già note,
senza avanzamento del complesso delle conoscenze disponibili;
 (3) guadagni realizzati attraverso la migliore allocazione dei fattori fisici
della produzione. C’è un uso ottimo quando i fattori sono applicati a settori
e regioni che assicurano il ricavo massimo. L’allocazione può essere
contrastata da forze sociali o politiche che difendono interessi costituiti o
rendite di posizione. Ogni volta che l’attribuzione dei fattori fisici di
produzione si avvicina all’ottimo, la produttività aumenta.
 Possono modificare la produttività: (a) lo spostamento di fattori
dall’agricoltura all’industria; (b) lo spostamento da industrie piccole,
arretrate, tradizionali, a industrie grandi, avanzate, innovative; (c)
l’abbattimento degli ostacoli al commercio internazionale.
 (4) Guadagni possono essere realizzati con le economie di scala,
eventualmente ottenibili attraverso un aumento di dimensioni del mercato
locale (attraverso urbanizzazione e motorizzazione) o il consumo
accresciuto di specifici beni. I beni di consumo durevoli, la cui elasticità al
reddito è alta, sono adatti alla produzione di massa che usa tecniche
efficienti.
Il calcolo della produttività complessiva dei fattori (TFP):
limiti del contributo di Denison

 Il metodo seguito da Denison non permette di tenere conto di tutte le


variabili che possono ostacolare la migliore allocazione delle risorse
quando non sono quantificabili. Per es. non prevede valutazioni
specifiche dell’effetto di stimolo o di ostacolo alla produttività che deriva
(a) dal comportamento delle organizzazioni sindacali dei lavoratori o
degli imprenditori; (b) dall’atteggiamento più o meno intraprendente
degli imprenditori; (c) dagli indirizzi di politica industriale dello stato.
 Denison prende in considerazione la produzione nazionale misurabile e il
reddito nazionale misurabile. Così ignora i cambiamenti nella qualità di
merci e servizi. Non considera l’effetto negativo che la crescita
economica e l’aumento del benessere materiale possono rappresentare
un costo (o un elemento negativo) per l’ambiente e per il benessere
individuale. Nel primo caso si sottovalutano gli effetti della crescita e
delle trasformazioni; nel secondo si sopravvalutano. E non riesce a
tenere conto della sottoutilizzazione della capacità produttiva totale
nelle recessioni.
 Come è tipico dell’approccio neoclassico, (1) si confrontano posizioni di
equilibrio in momenti dati; (2) si assume che la crescita sia bilanciata e
(3) che la mobilità dei fattori sia perfetta; (4) non ci sono processi
cumulativi, compatibili solo con un permanente squilibrio.
Le spiegazioni di Denison sulla differenza dei tassi di
sviluppo e dei livelli di reddito tra paesi. Negli anni
successivi la preminenza USA viene ridimensionata

 Giappone e Europa occidentale sono cresciuti più velocemente degli


USA fra 1953 e 1971; lo scarto sarebbe > se non si considerasse UK.
 La crescita USA nel periodo è spiegabile più con l’aggiunta di lavoro e
capitale che con guadagni di produttività. Questi furono favoriti
dall’accelerazione del progresso tecnico dopo la seconda guerra
mondiale (e in aumento fra 1969 e 1973), mentre gli incrementi di
produttività realizzati con la migliore allocazione dei fattori o con le
economie di scala risultano meno importanti. Hanno limitato la crescita
della produttività anche gli interventi governativi per la protezione
sociale e ambientale.
 In Europa occidentale l’influenza dell’uso aggiuntivo di capitale e lavoro
(eccetto nella Bundesrepublik) è stata < dei guadagni di produttività
che hanno inciso per 2/3 della crescita. Molto probabilmente per effetto
(1) del recupero rispetto agli USA, (2) dell’influenza delle economie di
scala (in parte legate all’aumento del reddito), (3) per la migliore
allocazione dei fattori (assorbimento di disoccupazione nascosta).
 Il reddito per occupato in Europa nel 1960 è ancora il 59% degli USA:
resta ampio spazio per lo sviluppo della domanda. La convergenza dei
redditi cresce negli anni 1960. Li giustifica lo scarto di produttività
assoluta.
 La produttività USA resta superiore: forse per diversità di gestione e
fattori istituzionali?
Il rallentamento della produttività negli anni 1980
secondo Manuel Castells
 “Estendendo il proprio raggio d’azione globale, integrando i mercati e
massimizzando i vantaggi comparati di localizzazione, il capitale, i capitalisti e
le imprese capitaliste hanno incrementato notevolmente la propria redditività,
in particolare negli anni Novanta, ripristinando le precondizioni per
l’investimento da cui l’economia capitalista dipende. Questa ricapitalizzazione
del capitale può in parte spiegare l’evoluzione disomogenea della
produttività. Per tutti gli anni Ottanta si assistette al massiccio investimento
nell’infrastruttura delle informazioni/comunicazioni, che permise il movimento
accoppiato di liberalizzazione dei mercati e globalizzazione del capitale. Le
imprese e le industrie colpite in modo diretto da quella straordinaria
trasformazione (come i settori della microelettronica, dei microcomputer,
delle telecomunicazioni e della finanza) registrarono un’impennata nella
produttività e nella redditività. Intorno a questo nucleo duro formato dalle
nuove imprese capitaliste globali e dalle loro sussidiarie, gli altri strati di
aziende e di industrie o vennero integrati nel nuovo sistema tecnologico,
oppure gradualmente scomparvero. Pertanto è possibile che il lento
movimento della produttività nelle economie nazionali nasconda tendenze
contraddittorie, costituite dall’aumento esplosivo della produttività nelle
industrie leader, dal declino delle imprese obsolete, dalla stabilità delle
attività terziarie a bassa produttività”. [La nascita della società in rete, pp.
103-4]
Europa occidentale e USA: convergenza di
produttività e Pil pro capite, 1950-1998

Pil pro capite Pil per ora di lavoro


incremento annuale medio composto
  1950-73 1973-98 1950-73 1973-98
Francia 4,1 1,6 5,0 2,5
Germania 5,0 1,6 5,9 2,4
Italia 5,0 2,1 5,8 2,3
UK 2,4 1,8 3,1 2,2
12 paesi dell'Europa occid. 3,9 1,8 4,8 2,3
Irlanda 3,0 4,0 4,3 4,1
Spagna 5,8 2,0 6,4 2,9

USA 2,5 2,0 2,8 1,5


Europa occidentale e USA: convergenza di
produttività e Pil pro capite, 1950-1998

Pil pro capite Pil per ora di lavoro

Indice rispetto a USA = 100

  1950 1973 1998 1950 1973 1998

Francia 55 79 72 46 76 98

Germania 41 72 65 32 62 77

Italia 37 64 65 35 67 81

UK 72 73 68 63 67 79

12 paesi dell'Europa occid. 52 73 72 44 68 83

Irlanda 36 41 67 29 41 78

Spagna 25 52 52 21 46 64

Fonte: Angus Maddison, The World Economy, Paris, OECD, 2006, p. 132,
Europa occidentale e USA: convergenza di
produttività e Pil pro capite, 1950-1998
Occupazione in % popolazione Ore di lavoro per unità pop.

  1950 1973 1998 1950 1973 1998


Francia 47,0 41,1 38,6 905 728 580
Germania 42,0 44,9 44,0 974 811 670
Italia 40,1 41,5 42,3 800 669 637
UK 44,5 44,6 45,8 871 753 682
12 paesi dell'Europa occid. 43,4 43,3 43,5 904 750 657
Irlanda 41,1 34,7 40,6 925 698 672
Spagna 41,8 37,4 34,0 921 805 648
USA 40,5 41,0 49,1 756 704 791
Fonte: Angus Maddison, The World Economy, Paris, OECD, 2006, p. 132,
Disoccupazione nei paesi OCSE, 1950-1993 in %
della popolazione attiva
1950-1973 1974-1983 1984-1993

Austria 2,6 2,3 3,5

Belgio 3,0 8,2 9,6

Danimarca 2,6 7,6 7,8

Finlandia 1,7 4,7 7,0

Francia 2,0 5,7 10,0

Germania 2,5 4,1 6,2

Italia 5,5 7,2 11,1

Olanda 2,2 7,3 8,9

Norvegia 1,9 2,1 4,1

Svezia 1,8 2,3 3,2

Svizzera 0,0 0,4 1,0

UK 2,8 7,0 9,6

Media 2,4 4,9 6,8

Grecia 4,6 3,2 7,6

Irlanda 5,2 8,8 16,1

Portogallo 2,4 6,5 6,1

Spagna 2,9 9,1 19,0

Australia 2,1 5,9 8,4

Canada 4,7 8,1 9,6

USA 4,6 7,4 6,4

Giappone 1,6 2,1 7,8


Indice dei prezzi al consumo nei paesi OCSE, 1950-1993 [media
annuale dei tassi di crescita composti]

1950-1973 1974-1983 1984-1993

Austria 4,6 6,0 3,1

Belgio 2,9 8,1 3,0

Danimarca 4,8 10,7 3,7

Finlandia 5,6 10,5 4,7

Francia 5,0 11,2 3,6

Germania 2,7 4,9 2,3

Italia 3,9 16,7 6,4

Olanda 4,1 6,5 1,8

Norvegia 4,8 9,7 5,1

Svezia 4,7 10,2 6,3

Svizzera 3,0 4,3 3,2

UK 4,6 13,5 5,2

Media 4,2 9,4 4,0

Grecia 3,7 18,8 17,5

Irlanda 4,3 15,7 3,8

Portogallo 3,2 22,6 13,2

Spagna 4,6 16,4 6,9

Australia 4,6 11,3 5,6

Canada 2,8 9,4 4,0

USA 2,7 8,2 3,8

Giappone 5,2 7,6 1,7

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