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TEORIA E ANALISI

DEL CINEMA E
DELL’AUDIOVISIVO

Prof. M. Barboni

DAL CLASSICO AL POSTMODERNO AL GLOBAL
Teoria e analisi delle forme lmiche
1. Susanna e le strutture formali della classicità
L’analisi di “Susanna” si basa sulle teorie di Bordwell e Bellour (due critici del cinema) che
introducono alcuni elementi riguardo la classicità in rapporto sia alle dinamiche del genere, la
screwball comedy, sia a quelle autoriali. Hawks, più di tutti, si presta ad un’analisi più classica, così
com’è la sua autorialità.

- ELEMENTI DI BASE

Le basi della scrittura classica si fondano su un’omogeneità tra logica narrativa e logica della messa
in scena basata a sua volta sul rapporto di causa-effetto, cioè: così come ogni azione è causata da
quella che la precede ed è la causa di ciò che la segue, anche la ripresa, la macchina da presa e le
inquadrature seguono lo stesso principio. I casi più ovvi riguardano i movimenti di macchina:
all’inquadratura d’apertura (establishing shot) segue un’inquadratura che riprende il profilmico più
da vicino dalla stessa angolazione. Lo spazio diegetico non è accompagnato da dialoghi (prima
sequenza di Susanna), mentre l’avvicinamento della macchina da presa ai personaggi segnala
l’inizio di una conversazione. Il movimento di macchina è motivato da un movimento di un
personaggio: sono i suoi desideri e i suoi ostacoli che costituiscono lo scheletro del racconto
classico. Il desiderio forte del personaggio è un elemento centrale del film classico e discrimina la
modernità, caratterizzata da un desiderio debole.

Negli anni ’40, con il noir e il melodramma comincia la corrosione dell’unità del personaggio
classico in cui l’azione traduce il desiderio. Il personaggio classico degli anni ‘30 è un soggetto
senza inconscio, al contrario di quelli del noir, che traducono in azioni i loro desideri e sono
dominati da un grande inconscio che non riescono a comprendere e da un desiderio che non
riescono a direzionare. Emergono modalità della messa in scena che codificano la scissione del
soggetto e il lavoro dell’inconscio: si può interpretare lo stile del melodramma. Secondo Bordwell
questi cambiamenti sono secondari in quanto riguardano la tecnica, ma non il sistema narrativo che
rimane costante.

- IL MONDO DI HAWKS

La struttura di base da cui dipende il meccanismo del cinema si basa sulla dialettica, ovvero
sull’opposizione tra elementi semantici e tecnico-formali. Il potere di seduzione del cinema classico
si fonda sulla capacità del meccanismo narrativo di oscurare sia le operazioni sintattiche sia
semantiche. Il testo classico evidenzia la presenza di un autore implicito e presenta un movimento
che attiva una lettura dominante. Susanna è un esempio di convergenza tra scrittura classica e
autorialità, una struttura che è stata cambiata dal sonoro. L’autorialità di Hawks risiede nel rapporto
tra il mondo del film d’avventura e il suo opposto (screwball comedy) che mostra le tensioni che
sottendono i drammi d’azione. Infantilismo e inversione dei ruoli sessuali sono aspetti significativi
in Susanna, con la donna che incute timore sull’uomo.
Il campo semantico del mondo di Hawks si evidenzia sin dall’entrata in scena di Susan (Katherine
Hepburn) che sconvolge la vita troppo seria di David (Cary Grant), paleontologo alla ricerca
dell’ultimo osso dello scheletro di un brontosauro e sta per sposare la sua aiutante Miss Swallow.
fi

Il contrasto tra serietà e divertimento traduce il conflitto maschio-femmina e costituisce il contenuto


manifesto dell’opposizione tra sublimazione del desiderio e sessualità. David è asessuato e dedito al

lavoro, mentre Susan esprime l’energia e la sessualità. Questa opposizione è data anche dal
contrasto tra osso e leopardo che hanno precise funzioni simboliche. L’osso, legato a David, rinvia
alla morte, il leopardo di Susan è vita. Ma l’osso è anche il pene, è la rimozione della libido, mentre
il leopardo è la libera espressione.

Il film si prende gioco di David, le umiliazioni e la trasformazione della donna in campagna ideale
mostrano come il film si ponga nella posizione del personaggio femminile. L’idea secondo cui la
donna è vista come rischio per l’identità dell’uomo va vista non in senso machista, ma nel senso di
gender difference. Il cinema di Hawks è contraddittorio nella rappresentazione dell’identità. Nei
film d’avventura, gli ideali del gruppo maschile definiscono l’identità dell’uomo e la donna è vista
come pericolo per la loro sopravvivenza. Il soggetto femminile è guardato con negatività ed escluso
dalla comunità o può essere accettato se segue le regole. Il sentimento d’amicizia maschile, quindi,
appare più importante del rapporto d’amore eterosessuale. Nella commedia abbiamo una situazione
rovesciata: il soggetto maschile è riflessivo e meno avventuroso. Quello femminile lo contagia con
la propria carica e lo piega al proprio desiderio. In Susanna lo spostamento verso il punto di vista
della donna avviene nella breve sequenza in cui lei accompagna David a casa in automobile, dopo
la prima giornata trascorsa insieme. L’episodio della discussione tra David e la fidanzata nel museo
e l’incontro tra lui e Susan al campo da golf mette in scena la dicotomia latente tra staticità e
movimento.

- LA DIALETTICA COME FORMA SIMBOLICA

Le prime due sequenze in cui il personaggio maschile interagisce con due diverse figure femminili
rappresentano l’intreccio e quindi il movimento del film. Troviamo qui il presupposto fondamentale
del cinema classico: una macchina che ha messo in scena, indipendentemente dalle differenze di
periodo, genere e autore, non solo la diversità maschile- femminile, ma anche il modello discorsivo
dominante della cultura occidentale, il dualismo.

Thomas Schatz divide i generi hollywoodiani in:


- genres of order (western, gangster, detective) in un contesto in cui manca l’ordine sociale
- genres of integration (musical, melodramma) che promuovono l’integrazione della coppia in un
contesto sociale stabile. Susanna rientra in questo gruppo.

Vernet fa un’analisi in cui definisce le caratteristiche del primo gruppo: rileva come l’inizio del noir
si fondi su uno scarto tra il primo e il secondo movimento: mentre il primo movimento (mise en
place) definisce le relazioni tra i personaggi e una tipologia dei personaggi stessi (facendo delle
ipotesi sullo sviluppo narrativo), il secondo movimento fa piombare lo spettatore in un vero e
proprio vuoto, lo spettatore si trova bloccato. Lo sviluppo dovrà spiegare la distanza che li separa e
il finale mostrerà l’uno prevalere sull’altro: la soluzione dell’enigma è una remise en place.
Dunque, i diversi generi presentano tutti un dispositivo narrativo che prevede ad inizio film un
rapporto conflittuale tra due momenti o due episodi. Questo dispositivo è un elemento strutturale
del racconto classico. I primi due movimenti di Susanna presentano un’alternanza tra staticità e
movimento, legati a due diverse figure femminili e a due opposti modi di essere. L’intreccio
mostrerà come il protagonista maschile non possa che necessariamente scegliere Susan.


La prima sequenza rispetta tutte le regole della scrittura classica, soprattutto l’unità dello spazio e il
posizionamento dei personaggi al suo interno: spazio ben definito. L’illuminazione, i costumi e il
posizionamento delle figure non cambiano da un’inquadratura all’altra. Inoltre, mostra come con
l’avvento del sonoro il dialogo sia ben improntato nella logica narrativa classica. Presenta anche i
tratti distintivi della coppia iniziale David/Alice, il completamento del brontosauro e la ricerca di
fondi per il museo.

La scena è suddivisa in 22 inquadrature ed è ambientata in una grande sala. Ruota attorno ai


dialoghi di tre personaggi: David il paleontologo, Alice la sua assistente/fidanzata e un anziano
professore, probabilmente maestro di David. L’inquadratura d’apertura (establishing shot) arriva
con la terza inquadratura: un mezzo campo lungo è dominato da uno scheletro dell’enorme
brontosauro con accanto una figura umana seduta a qualche metro da terra, in atteggiamento
pensoso. Al centro della stanza ci sono la fidanzata e il prof. Questo è un incipit che mostra tutti gli
elementi del sistema classico che ha evidenziato Bordwell.

David è presentato distaccato, disinteressato e lontano dal mondo dell’azione. Lontano dagli altri ci
viene presentato nella postura de “Il pensatore” di Rodin. Ma subito il plot lavorativo si lega ad una
linea romantica: il professore, infatti, annuncia il matrimonio tra i due. Quest’argomento permette di
mostrare il rapporto tra David e Alice: la donna ha funzione di controllo sul fidanzato, a cui chiede
una rimozione di desiderio ed eccessivo impegno nel lavoro. L’aspetto più importante è la
rappresentazione dello spazio e il modo in cui l’interazione spazio-personaggio definisce l’identità
dei soggetti, in particolare del rapporto maschio/femmina. La dimensione spaziale è l’artefice del
senso del film classico. Lo spazio è unitario e in ordine, ma è anche uno spazio relazionale che
include o esclude i soggetti ponendoli in rapporto di estraneità l’un l’altro. Marca, quindi, differenza
e desiderio. Questo elemento troverà la sua forma definitiva soprattutto tra il personaggio di Susan
opposto a quello di Alice.

La rappresentazione dello spazio è legata alla composizione formale delle singole inquadrature e il
loro concatenamento. L’inquadratura classica pone al centro il corpo umano secondo una
disposizione a T. Il concatenamento delle inquadrature e il posizionamento della mdp e il montaggio
seguono due regole: assicurare una continuità grafica e una spaziale. Continuità spaziale e logica
narrativa sono cardini della scrittura classica. Lo scopo è quello di dare una rappresentazione
unitaria dello spazio e di rendere chiaro il posizionamento di personaggi ed oggetti.

Il cambiamento di posizionamento della mdp è motivato dal racconto: l’inizio di un dialogo vede
sempre l’avvicinarsi della mdp, ma il cambiamento di inquadratura è naturale.

Questi procedimenti sono evidenti nella prima sequenza di Susanna. L’inquadratura di Grant
incorniciato dalla coda dell’animale, combinata col movimento immotivato del carrello, enfatizza la
funzione della figura maschile rendendola il centro narrativo. Hawks è attento alla continuità
spaziale. Il suo spettatore conosce ciò che vede e non deve immaginare nulla perché tutto gli viene
mostrato. Le prime 9 inquadrature sono una matrice che ritornerà costantemente con variazioni non
sostanziali da un punto di vista linguistico ma sostanziali nel contenuto (luoghi, eventi, dialoghi).
Queste variazioni costruiscono le relazioni intersoggettive e le dinamiche tra i personaggi.

La relazione tra Alice e David si fa via via sempre più fredda con il trascorrere del dialogo: la messa
in scena spinge il senso del film in direzione opposta. La forma del film suggerisce che il racconto è
iniziato con una falsa pista: capiamo sin da subito che la compagna iniziale verrà sostituita da una
ideale e che quel matrimonio non si farà mai. Nel dialogo tra Alice e David i due sono distanti e la

scena finisce con la scesa del protagonista dall’impalcatura. Poi si alternano piani del professore e
two-shots della coppia; viene evidenziato l’eccessivo legame che ha la donna con il suo lavoro e il
privo interesse per sessualità e divertimento. Il lavoro registico dà indicazioni significative: Alice ha
nel dialogo il ruolo più importante, ma l’immagine le dà già una posizione secondaria. Il two-shot è
usato per esprimere intensità e sentimento, ma qui però la funzione è rovesciata. L’immagine
contraddice la dimensione verbale: se Alice conduce il dialogo e sembrerebbe la vita e l’agenda del
fidanzato, è David ad essere il fulcro dell’immagine. La presenza nell’inquadratura del professore
contribuisce a dare un’atmosfera di freddezza tra la coppia, in contrasto con ciò che l’imminente
matrimonio potrebbe far credere.

La scena successiva rappresenta un movimento opposto: l’aria aperta e il dinamismo si


sostituiscono con il grigiore serioso della staticità del museo. Qui il movimento diviene
protagonista. Anche i dialoghi contribuiscono al dinamismo, anzi viene raddoppiato: i due parlano
in modo veloce così che una sensazione di energia invada immagine e suono. Susan, a differenza di
Alice, viene subito centrata. Non ci sono differenze di ripresa e il personaggio femminile e maschile
sono sullo stesso piano. Unica differenza: è Susan a condurre l’azione e David cerca di tenerle testa.

L’incontro David/Susan si muove su entrambe le linee narrative. La donna diventa per il


protagonista un’alternativa sentimentale, ma rischia di scombinare i suoi piani professionali: David
interrompe la partita a golf con Peabody per ritornare in possesso della sua auto scambiata con
Susan.

Nella successiva sequenza, Susan sabota il matrimonio di David. Dopo varie vicende David cerca di
allontanarla perché la vede come fonte di guai. La messa in scena ci fa capire che l’unione dei due
diventa inevitabile e che si forma secondo i parametri di Susan: divertimento, dinamismo e
desiderio.

La logica narrativa classica poggia su una retorica di base alla quale ogni evento viene anticipato
prima che esso si verifichi. Abbiamo una relazione tra evento e stile: lo stile di un evento è la causa
di un evento futuro. A questo si collega l’inizio di Susanna: il modo di ripresa di Alice anticipa la
sua futura esclusione dalla vita di David. L’inevitabilità dell’unione tra Susan e David trapela nella
breve sequenza relativa alla fine della loro prima serata. Si tratta di una scena breve e banale sia dal
punto di vista narrativo che di ripresa; è un dialogo dopo che David scende dall’auto della donna. È
composta da 11 inquadrature e il campo/controcampo è dominante nella scena. David saluta Susan
informandola che l’indomani si deve sposare, con la terza inquadratura inizia il campo/controcampo
ed è tramite questo sistema che si costituisce la coppia, l’identità del maschile, del femminile e del
loro rapporto.

Anche nei modi di ripresa Susan rappresenta il centro: è ripresa frontalmente mentre David è
ripreso in modo obliquo, lei è ben illuminata, mentre lui è nella penombra. La dimensione sonora
entra in un rapporto di competizione con l’immagine in quanto si stabilisce una dualità tra la
presenza e l’assenza della parola, tra parola e gesto, questa opposizione è legata alla retorica del
corpo. Il rapporto parola corpo è un elemento cardine e conduce al centro semantico del film.
Susan, all’annuncio del matrimonio di David, reagisce con una risata fragorosa, cominciando così a
prendersi gioco dell’uomo. David decide di andare da solo da Peabody (l’uomo della donazione)
per evitare ulteriori disguidi e la donna offesa gli chiede: “Senza di me?”. Questo costituisce il
perno, è stupefacente come un episodio così insignificante nasconda una costruzione tanto
articolata. Susan si prende gioco della dignità del personaggio maschile, del matrimonio e dello
status sociale di intellettuale dell’uomo, quindi la sua semplice frase riflette la sfida di gender dove
la fidanzata iniziale deve essere sostituita alla fine del racconto da quella ideale. La seconda parte
dell’episodio è occupata da David che dice di sperare di non vedere più la donna, saluta, si volta e
cade a terra e Susan è ripresa in controcampo divertita, con un’espressione che esplicita la gestualità
del viso. Poi lui si alza e se ne va, ma Susan non si dà per vinta. Iniziata come dialogo, la sequenza
termina portando in primo piano la gestualità: gestualità e silenzio sono in sintonia con il riso di
Susan.

-I LUOGHI

Risulterà impossibile per David liberarsi di Susan, che diventerà l’agente dell’azione. La dialettica è
la forma simbolica del film classico: David riceve prima la telefonata di Alice, poi quella di Susan.
La donna gli chiede aiuto perché non sa come portare il leopardo nella villa della zia. Le due donne
sono riprese nel comune atto di parlare al telefono, sedute al tavolo, ma è l’abbigliamento a
differenziarle e a decidere del senso. Alice incarna l’ordine, il lavoro e la noia; con l’abito lungo
Susan incarna l’upper middle class, il divertimento, mentre l’entrata in scena del leopardo ne
sottolinea la follia. La struttura binaria del film investe anche i luoghi del racconto. Il racconto
classico è un percorso, un viaggio. In Susanna la dicotomia è tra la metropoli, New York, e la
campagna del Connecticut. La dualità città/campagna ingloba molte opposizioni; la città è associata
a David, al lavoro, alla ragione, all’osso. La campagna è legata a Susan quindi al divertimento, al
desiderio, al leopardo. Si tratta quindi del conflitto del cinema classico tra Legge e Desiderio: la
struttura del cinema hollywoodiano è sempre legata alla traiettoria edipica e alle fasi della
formazione dell’io. Trascinato in un luogo dove le regole vengono meno, la virilità dell’uomo viene
messa in questione: prima veste abiti femminili, poi cerca l’osso, abbandona la sua rigidità. Il film
raggiunge livelli di pazzia, solo l’arrivo di Alice riporta un po’ d’ordine. Il finale vede nel museo
l’incontro tra David e Susan: lei entra nel laboratorio con la notizia che la zia avrebbe donato al
museo un milione di dollari, ma nel tentativo di raggiungere David sull’impalcatura fa andare il
brontosauro in mille pezzi. L’unione è sancita da un abbraccio finale nel disordine e nel
divertimento.

2. Oltre il classico. Melodramma, spettacolo e sensazione in


Come le foglie al vento
- LE TEORIE SUL MELODRAMMA

Nell’ambito delle teorie sul cinema classico americano emerse dall’inizio degli anni ’70 circa il
melodramma, come genere ma anche come modo, è stato con poche eccezioni centrale nella
definizione della “classicità”. Si è progressivamente consolidata l’idea che “classico” e
“melodrammatico” siano antitetici, tanto che il modo di articolare il rapporto tra essi ha
sostanzialmente definito lo statuto delle proposte critico-teoriche più avanzate sul cinema
“classico”.

A fine anni ’80 il panorama critico americano pullula di voci contrarie a teorie “forti” sul film
classico, in particolare quelle espresse a metà decennio da Bordwell in Narration in the Fiction
Film (1986) e nel volume a sei mani The Classical Hollywood Cinema uscito l’anno precedente.
Un contributo importante in questo senso è costituito dall’intervento di Rick Altman che apre il
numero di « The South Atlantic Quarterly » su Film and Tv Theory Today, interrogando gli sviluppi
della teoria del film classico e cercando di spiegare le forme e le ragioni che ne hanno reso possibile
l’emergenza. « Per Bazin il termine implica maturità, armonia, equilibrio perfetto, forma ideale.
Nell’uso che fa Bordwell, il termine classico indica armonia, unità, tradizione, capacità di seguire le
regole, standardizzazione e controllo ». Le definizioni si basano sulle teorie letterarie francesi del
XVII Secolo. Second Altman è del tutto insufficiente spigare il cinema hollywoodiano, è anche un
esempio di come molti dei paradigmi teorici che fanno impalcatura ai Film Studies si siano formati
ricorrendo al discorso letterario. Se si fosse guardato in modo più sistematico al rapporto col teatro
popolare, in particolare con il melodramma, lo statuto delle teorie sul cinema classico sarebbe
profondamente diverso e più adeguato al proprio oggetto di studio.

Altman critica l’idea che la classicità sia il controllo delle tensioni e delle forze caotiche in una
forma ordinata e armonica, e ciò impoverisce il modello classico. Propone in alternativa di vedere il
film classico come un testo a focalizzazione duale: da un lato esso segue la forma aristotelica di
causa-effetto ed è incentrato sulla traiettoria di un personaggio, dall’altro perpetua gli scopi del
teatro popolare, in quanto la « spettacolarità e una varietà di emozioni forti sono
necessarie » al film hollywoodiano.

Il film classico mostra la compresenza di spettacolo e racconto: il primo livello attiva un’esperienza
legata alla visione e alla sensorialità, il secondo attiva un processo cognitivo riconducibile alla
parola. Il rapporto tra single (classico) e dual focus non è definito una volta per tutte, ma va visto
nelle sue diverse attualizzazioni.

Riguardo Casablanca, Altman afferma che tutti i momenti di più alto impatto emotivo del film
esprimono il conflitto tra interesse personale e nazionale, un tema più mitico che storico, più
melodrammatico che classico. Questa dualità va legata allo studio dei generi che, dietro « le loro
caratteristiche classiche di superficie » hanno inscritte «tradizioni melodrammatiche diverse». La
tradizione melodrammatica sembra sovrastare quella classica nel cinema degli anni quaranta e
cinquanta (rispetto agli anni ‘30) quando, da un lato entra in crisi la logica narrativa, dall’altro
diventano fondamentali i processi di spettacolarizzazione dell’immagine e la messa in scena di
emozioni forti, tipiche delle forme popolari di intrattenimento.

Ma cosa si intende con il termine melodramma?

La messa in scena di conflitti di ambientazione domestica e familiare o legati alla maternità, ma


anche film in cui domina l’azione, l’avventura e l’eccitazione; non si trattava di generi “femminili”
e del woman’s film ma di film di guerra, d’avventura, horror e thriller, generi solitamente
considerati “maschili”.

Il melodramma sensazionale (anni dieci) è visto da Singer come un’espressione


dell’iperstimolazione cui è sottoposto il soggetto nella moderna metropoli. Popolato di incidenti,
movimenti continui, suspense, fughe e inseguimenti, incendi e allagamenti, il melodramma
sensazionale è da un lato la versione cinematografica aggiornata del melodramma teatrale
vittoriano, dall’altro la versione estetica della quotidianità urbana, fatta di eccessive stimolazioni
sensoriali. Nella città moderna la vita diventa più intensamente fisica e l’attenzione visiva e auditiva
si deve plasmare secondo nuove necessità. Nelle riviste popolari illustrate la metropoli è
rappresentata come luogo del pericolo: dal terrore per il traffico, il tram elettrico e l’automobile, la
vita metropolitana si configura come un assalto continuo al corpo dell’individuo. In questi film
dominano i tratti maschili, non quelli femminili: in luogo di emozioni e complessità psicologiche vi
è azione e violenza fisica. In questi film la componente attrazionale domina su quella narrativa così
come il ricorso all’episodicità, alle coincidenze e all’implausibilità rappresentano una sfida all’unità
diegetica e allo sviluppo logico dell’azione.

Secondo Singer, si può parlare di melodramma ogniqualvolta un testo presenta una qualsiasi
combinazione di alcuni dei suoi cinque elementi costitutivi: pathos, intensità emotiva,
polarizzazione morale, struttura narrativa non classica, sensazionalismo. Mentre il melodramma
hollywoodiano attiva i primi due tratti, escludendo la dicotomia morale, il melodramma d’azione
spesso ribalta la formula privilegiando la polarizzazione morale, ma escludendo il pathos.

Nel melodramma emotivo il conflitto è più interno al corpo dei protagonisti: il corpo, come
nell’isteria, diventa il luogo in cui il senso viene inscritto. Il corpo melodrammatico, afferma Peter
Brooks, trasforma « l’affetto psichico in significato somatico » diventando così un testo da
decifrare. Che si tratti del corpo femminile iperstimolato o mascolinizzato della moderna metropoli
di cui si occupa Singer, il melodramma e i suoi sottogeneri sono un body genre, per parafrasare il
titolo di un altro famoso intervento della stessa Williams. Il corpo diviene il locus dell’iscrizione
dell’identità, che è negli anni ’50, il risultato di pratiche sessuali e sessuate.
Siamo in un regime che attribuisce al sesso « il potere dell’autodefinizione individuale ».
Nel dopoguerra il sesso diventa un segno di identità, la fonte della vera natura dell’individuo.
Solo nel melodramma, attraverso un’ aesthetics of embodiment, i significati più importanti sono
inscritti sul o col corpo.

Written on the Wind è un testo esemplare, in relazione diretta con forme melodrammatiche del
passato, quanto di leggere la centralità del corpo in questo genere attraverso un processo di
storicizzazione e riorientamento di teorie sul melodramma e forme melodrammatiche precedenti. La
scrittura della pulsione/sensazione testimonia un fondamentale cambiamento rispetto al cinema
classico degli anni trenta. Come il noir, il melodramma degli anni cinquanta rappresenta un mondo
di rappresentazione in cui torna a dominare l’immagine, la visione rispetto alla parola.

Tutte le scoperte tecnologiche del periodo sembrano avere una funzione di questo tipo: la diffusione
dei formati panoramici, in particolare il Cinemascope e il Technicolor, aumenta il lato
spettacolare/sensazionale dell’immagine, poi il suono stereofonico e i grandi movimenti di




macchina, come le riprese dall’elicottero così l’immagine audiovisiva oltre ad essere più
spettacolare, è anche più autonoma rispetto al linguaggio verbale.

Alla spettacolarità dell’immagine si aggiunge il sensazionalismo dei contenuti: nel dopoguerra si


afferma l’adult lm, di cui il family melodramma costituisce il corpus più significativo. Come ha
sostenuto Klinger, l’adult lm è il prodotto di una specifica congiuntura fra trend produttivi e valori
socio-culturali riguardanti la sessualità che si afferma negli anni successivi alla fine della Seconda
guerra mondiale. Esso presenta situazioni narrative adatte a persone mature offrendo « una serie
impressionante di argomenti sensazionalistici, tra cui disfunzioni psicologiche, rapporti
prematrimoniali, adulterio, frigidità, omosessualità, ninfomania, sterilità, nascite illegittime,
alcolismo, lotte familiari, violenza e abuso di droghe ».

- COME FOGLIE AL VENTO

Rispetto al cinema degli anni trenta cambia il rapporto tra spazio e personaggio.
La figura umana appare ora controllata dallo spazio, secondo strategie che provvedono a inglobare
o a imbrigliare il corpo umano.
La perduta autonomia del soggetto è espressa in modo ancora più significativo da un lavoro visivo
che tende a imbrigliare il corpo, a frapporre ostacoli materiali alla sua azione. In molti episodi il
corpo è circondato da una miriade di oggetti quotidiani che sembrano bloccarne il movimento:
l’inquadratura melodrammatica è caratterizzata da un eccesso nel profilmico che, rispetto alla
classicità, è fortemente popolato. La profondità di campo è un elemento necessario a quest’effetto in
quanto dà piena visibilità agli interni pieni di oggetti e arredi di ogni tipo.

Alcuni elementi hanno una funzione più significativa di altri: in Come le foglie al vento, le griglie o
le intelaiature di porte e finestre vengono usate nei momenti di maggiore distacco e difficoltà tra i
personaggi stessi. La griglia si carica di effetti più forti grazie all’uso combinato del chiaroscuro o
di filtri colorati. Il personaggio di Lauren Bacall è più volte ripreso dietro l’intelaiatura di una
finestra, nella sequenza iniziale, poi ripetuta nell’ultima parte del film, la donna è inquadrata nella
penombra, dietro la finestra, mentre guarda il marito tornare. Lo sguardo introspettivo, ovvero l’atto
tramite cui un personaggio, ripreso nei pressi di una finestra, guarda nel vuoto o è assorto a pensare,
è un’immagine piuttosto diffusa negli anni cinquanta: si tratta di una configurazione che segnala la
perdita del potere conoscitivo della vista e l’emergenza del pensiero.

Sirk combina in modo del tutto particolare l’inserimento nel profilmico di particolari oggetti con
modalità della ripresa, in particolare del lavoro di mise en cadre: l’inquadratura nell’inquadratura
tramite l’uso di uno specchio, particolarmente efficace. Vi è un vero e proprio lavoro affinché lo
specchio e l’immagine che esso rifletto rientrino nell’inquadratura, spesso perfettamente centrati.
Nello specchio sono riflesse le figure di Kyle e Marylee, i due fratelli Hadley, nell’episodio che
precede la morte del padre.

La scena in cui Maylee si spoglia ballando al ritmo sfrenato di un brano jazz, notiamo il corpo del
personaggio imbrigliato tra gli oggetti d’arredo della stanza, poi il modo di inquadrare, che
privilegia angolazioni sghembe, inquadrature fuori fuoco e non centrate, con una manipolazione
prospettica e visiva del corpo umano che diventa un oggetto informe, energia libera in movimento.
Sino alla caduta del padre sulle scale, il recupero del sensazionalismo, del thrill tipico del
melodramma muto e teatrale, ancora imbevuto dell’attrazionalità primitiva, in cui si dava spazio a
sensazioni breve e intense. Per Lea Jacobs, nella situazione, che è un principio formale opposto
all’azione, si allenta l’azione narrativa, mentre i personaggi incontrano circostanze nuove e il
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fi


pubblico vive una tensione drammatica potenziata, dove un improvviso snodo degli eventi lascia i
personaggi in un impasse o dilemma e chiede loro di reagire prontamente= è una scena di
particolare intensità in cui senza motivazioni narrative vengono a incontrarsi e scontrarsi pulsioni e
desideri contrastanti che solo casualmente si trovano vicini. La mancanza della classica motivazione
narrativa rende il conflitto impossibile da risolvere e perciò la situazione è antitetica all’azione
classica.

Nella scena della morte del padre il tratto della situazionalità è in parte mascherato dal montaggio
alternato tra il padre, prima nello studio poi sulle scale, e la figlia nella propria stanza. Il montaggio
avvicina due personaggi che si evitano continuamente e che quasi non sono consapevoli l’uno della
presenza dell’altro: la relazione viene creata solo formalmente, ma così facendo l’intensità emotiva
aumenta perché sembra che il ballo sfrenato di Marylee causi la morte del padre. Il ritmo del
montaggio aumenta in modo frenetico, quasi a mimare il ritmo della danza della Hadley, mentre il
volume della musica è così elevato da invadere la casa e con ogni inquadratura far rendere
impossibile allo spettatore di udire la caduta del padre mentre rotola giù dalle scale, producendo
così un effetto spettatoriale non privo di interesse. Mentre Mitch e Lucy corrono a soccorrere il
padre, avendo quindi sentito la caduta, il volume della musica impedisce a Marylee di sentire e di
rendersi conto della tragedia. Il testo impone allo spettatore di identificarsi parzialmente con
Marylee, mentre al contempo gli impedisce di identificarsi con Mitch e Lucy, che non sentono la
musica ma la caduta.

Possiamo affermare che gli elementi attrazionali del cinema primitivo identificati da Tom Gunning
sono presenti anche nei momenti più melodrammatici del film: impulso narrativo debole, esibizione
teatrale in luogo di assorbimento narrativo, dominio del visivo sul narrativo.
La convergenza tra la natura del melodrammatico e dell’attrazionale riguarda sia l’estetica che
l’esperienza spettatoriale e dunque permette un’ipotesi di lavoro che può investire i diversi sapere
del cinema. Al tempo stesso, lavorare sulla dualità attrazione-racconto in relazione a specificità di
genere, periodo, autore, permette di concepire il “classico” come una pluralità di strategie e
pratiche.


3. Moderno/Postmoderno: Elementi per una teoria
Lyotard ha proposto una teoria dei modi narrativi secondo cui la specificità dei tre paradigmi
identificati, classico, moderno e postmoderno, dipenderebbe da un diverso rapporto tra narrazione e
conoscenza. Il rapporto si costruisce sulle modalità con cui si relazionano narrato, narratore e
narratario. Nella narrazione classica l'atto narrativo deve essere reso invisibile affinché la
conoscenza si insinui nell'oggettività della descrizione anonima. Narratore e narratario sono pure
conseguenze dominate dal referente/narrato. Nella narrazione moderna l'istanza privilegiata è quella
dell'emittente e la legittimazione della conoscenza si riferisce ad una capacità soggettiva di
conoscere o volere. Il soggetto del racconto è lo scopo stesso del racconto in quanto la narrazione
serve a produrre una forte conoscenza soggettiva. Questo aspetto differenzia, ma anche avvicina il
moderno al classico, in quanto entrambi eleggono un'istanza del racconto a istanza metanarrativa: in
questo senso, narrare significa in qualche modo essere svincolati dall'atto enunciativo. Differenza
della narrazione postmoderna: nel postmoderno nessuna istanza domina metanarrativamente le altre
poiché tutte sono implicate nel discorso. Nessuna istanza è esterna alla narrazione.

- MODERNITÀ, STILE, AUTORE

Nel saggio, Il cinema moderno e la narratività, Metz avanza delle ipotesi teoriche tra gli anni
Cinquanta e Sessanta sul “cinema moderno”. Interviene nel dibattito critico nel tentativo di definire
la natura della nuova forma filmica in rapporto al cinema classico. Mette in gioco numerosi
elementi, in particolare, la difficoltà principale sembra derivare dal voler coniugare l'analisi del
fenomeno in generale con quella di autori, film e dispositivi particolari. Il desiderio di
sistematizzare è un tratto imprescindibile della natura del teorico francese. Ma l'oggetto non si
lascia né modellare né ridurre a teoria. Il saggio mi sembra implicitamente suggerire che il cinema
moderno può essere definito in termini di codicità solo a un livello molto alto di astrazione, ovvero
rinunciando a rendere conto dello stile. Proprio perché la modernità cinematografica si configura
come una pluralità di stili autoriali la loro riduzione a codice svilisce la forza dei procedimenti
stilistici. Metz si pone come primo obiettivo quello di contrastare l'idea, a suo avviso piuttosto
consolidato, che il cinema moderno sia antinarrativo. In secondo luogo, il cinema si sarebbe liberato
dalle regole. Metz afferma che il cinema moderno è più narrativo di quello classico in quanto ha
ampliato sia l'immaginario che le tecniche narrative. La seconda questione è l'assenza di regole, può
essere pensata solo se si crede nel suo opposto, “un insieme di prescrizioni derivanti da un'estetica
normativa”. In realtà, secondo Metz, il cinema mostra un certo numero di configurazioni strutturali
che sono leggi di fatto, esse stesse in continua evoluzione nella loro particolarità. La cosiddetta
“sintassi cinematografica”, dunque si rinnova e si arricchisce attraverso la sparizione momentanea
di alcune figure, la loro variazione e maggiore duttilità. L'argomento cui Metz dà maggior spazi,
riguarda la possibilità/impossibilità di dare una definizione generale delle diverse esperienze del
moderno.

È facile definire il moderno come un superamento del classico, appare più problematico
comprendere i caratteri di questo superamento. Metz passa in rassegna una serie di proposte
dimostrando come ciascuna di esse valga solo per pochi film o autori: dal “cinema
dell'improvvisazione” (Godard) al “cinema della sdrammatizzazione” (Antonioni), dal cinema del
“realismo” al “cinema regolato”, il cinema moderno appare come un coacervo di pratiche
accomunate solo dal fatto di rompere le regole classiche. Da un punto di vista comunicativo gli
esempi più significativi, ci descrivono tutti i personaggi e i racconti deboli o relativizzati. In
secondo luogo, se guardiamo alle modalità della messa in scena, a come viene costruito il rapporto

tra filmico e profilmico, le microanalisi di Metz fanno emergere come costante la compresenza di
due atteggiamenti antitetici: da un lato un impulso realista, teso alla rivelazione di un certo tipo di
verità, verità infinitamente difficile da definire, ma che si localizza istintivamente. D’altro canto, è
riscontrabile un altrettanto frequente impulso metalinguistico. La comunanza di tali atteggiamenti,
in autori assai diversi, non nasconde il fatto che, le differenze tra autore e autore sono in primo
luogo stilistiche. La questione dello stile in generale, e degli stili autoriali è uno degli argomenti che
l'intervento di Metz suggeriva e che doveva porre ai margini. Si può guardare al cinema moderno
d'autore come ad un fenomeno a più facce: da un lato, vi sono tratti ricorrenti e che accomunano i
diversi autori, dall'altro le peculiarità di ciascun regista rendono necessaria una mappatura più
dettagliata che non mortifichi troppo le singole individualità.

- SOGGETTIVITÀ, STILE

Si può pensare al cinema d'autore teoricamente, considerandolo una sorta di genere. Il


denominatore comune è l'interesse a narrare l'io, la soggettività: l'io moderno ha assunto forme
diverse, dall'io razionale all'io chiaroscurale sin alle varie forme di io scisso che trovano nel
modello freudiano la formulazione ultima. Il cinema d'autore moderno, ha eletto la crisi del
soggetto a tema privilegiato, presentando ossessivamente racconti di introspezione narcisistica da
parte dell'io a capire sé e il mondo. A fronte di questo nucleo comune, ambientazioni e strategie
stilistico-retoriche sono fortemente variegate. Non solo i diversi autori presentano soggettività
variamente articolate, ma essi stessi si pongono in rapporto diverso rispetto ai propri personaggi.
Bordwell ha offerto le suggestioni più utili per pensare al rapporto tra cinema moderno d'autore,
stile e soggettività. Bordwell parte dall'idea che il cinema d'autore sia una pratica filmica specifica
che possiede un'esistenza storica bene definita, una serie di convenzioni formali e delle implicite
procedure spettatoriali. Nonostante i dispositivi stilistici e i motivi tematici possano variare da
regista a regista, la funzione complessiva dello stile e delle tematiche rimane costante.

Diversamente dal cinema classico il cinema d'autore privilegia il personaggio all'intreccio.


Il racconto è irto di ellissi e le relazioni di cause-effetto sono fortemente allentate. Il film d'autore
vuole dare un giudizio sulla vita moderna e sulla condizione umana: il protagonista deve, ammettere
a sé stesso che sta vivendo una crisi esistenziale. L'enfasi sul personaggio è accompagnata da
dispositivi formali e iconici adatti ad esprimere gli stati mentali e umorali dell'io. L'autore diventa
una componente formale, l'intelligenza che controlla e presiede alla costruzione del film per la
nostra comprensione. I tratti formali dell'autore danno forma a uno stile autoriale coerente.

Lo stile e l'autore diventano gli elementi con cui lo spettatore si identifica. Nel cinema d'arte
moderno, l'autore è istanza del racconto che si erge a figura metanarrativa tramite il proprio stile
personale. Ciò che veniamo a conoscere è la visione/interpretazione del soggetto autoriale. Decisivo
è il rapporto autore/personaggio. Il personaggio è inizialmente l'alter ego dell'autore, l'ossessività
con cui si narrano crisi e fallimenti, desideri incerti e mutevoli è il segno che l'autore ha più di un
elemento in comune coi propri personaggi. I film raccontano sia la crisi che la presa di coscienza
della debolezza dell'io: questa traiettoria si conclude normalmente con l'affermazione, da parte
dell'autore, del suo maggiore grado di consapevolezza. Le dinamiche di identificazione e
distanziazione tra autore e personaggio sono costruite proprio dallo stile che interviene in modo
decisivo a definire la specificità di ogni singolo autore rispetto agli altri. Ne Il gattopardo di
Visconti (1963), benché il rapporto autore/personaggio sia di grande complicità, il film è
organizzato e controllato da Visconti a tutti i livelli. L'istanza autoriale permea ogni scelta dando al
film una tessitura altamente autoriflessiva. Significative nella configurazione del profilmico: dalle
scelte di arredi e oggetti sino alle citazioni pittoriche. Il gattopardo esprime il mondo culturale e


artistico del regista. Per Visconti la comprensione del mondo non può che avvenire attraverso il
filtro dell'arte e della cultura. La possibilità di pensare teoricamente il cinema d'autore passa
attraverso la costituzione di un corpus concettuale capace di andare oltre la personalità del singolo
autore, alla ricerca anche di ciò che accomuna i diversi autori. La questione del soggetto e
dell'identità è un valido punto di partenza, proprio perché è uno dei grandi temi della modernità.

- POSTMODERNO, DISCORSO, INDETERMINAZIONE

Concepito come istanza esterna al racconto, con capacità conoscitive e riflessive ben superiori a
quelle del suo personaggio, l'autore dell'art cinema ha le caratteristiche dell'autore moderno, la cui
funzione è anche quella di criticare e negare il mondo rappresentato. Secondo Jameson è proprio la
distanza critica a venire meno col postmoderno. Col postmoderno si perde la funzione egemonica
dell'autore come ultimo garante della verità per lo spettatore. Tale perdita trascina con sé altri
mutamenti. Tre fenomeni di particolare interesse. Il primo e più generale cambiamento riguarda, per
riprendere il paradigma lyotardiano, l'assenza di istanze metanarrative. Testo, autore e spettatore
diventano posizionalità discorsive e nessuna di esse può avanzare pretese di dominio, pertanto il
senso è il prodotto delle relazioni tra le tre diverse istanze. Esempio cinema di Chantal Akerman e
in particolare il film Je, tu, il, elle. Da questa macro-tendenza discendono almeno altre due
prospettive: da un lato l'immagine può assumere uno statuto indeterminato dall'altro l'esperienza
spettatoriale diventa soprattutto fisica, sensoriale, affettiva. Akerman ha sin dall'inizio posto la
questione dello spettatore al centro delle sue riflessioni.

Lo spettatore deve essere un vero altro rispetto all'immagine anziché essere assorbito dalla storia,
trasportato dentro il film, deve rimanere di fronte allo schermo e vivere il tempo della visione nel
suo flusso, non dimenticare mai sé stesso e la propria condizione. L'atteggiamento di Akerman nei
confronti del materiale filmico è totalmente diverso: rifiuta di guardarlo a distanza, dal di fuori,
come in un rapporto tra soggetto e oggetto, ma iscrive sé stessa materialmente, con il copro e con la
voce, nel film. Non è semplicemente l'attrice dei suoi film. Nei film più radicali la soggettività della
regista è divisa, scissa, assume posizionalità diverse: può essere davanti alla mdp, oltre che dietro,
nel tradizionale spazio del regista oppure può fare sentire solo la sua voce e rimanere fuoricampo.
Oppure può essere una voce che rimane extradiegetiva.

Akerman rompe la separazione tra istanze narrative e costruisce una rete di relazioni tra referente,
emittente e destinatario tipicamente postmoderna. L'inizio di Je, tu, il, elle è in tal senso indicativo.
I primi piani del film mostrano il processo tramite cui viene stabilito un contatto tra il profilmico e
lo spettatore: questo ha luogo attraverso una diversa disposizione spaiale degli oggetti e tramite
l'iscrizione dello sguardo. Il rapporto film/spettatore è mostrato come un atto cosciente di cui
vediamo il processo di formazione in cui due soggetti sono chiamati a occupare ruoli e luoghi
specifici. Un secondo importante elemento riguarda la natura del soggetto autoriale. Tra immagine e
suono non vi è una corrispondenza esatta: la voce racconta di fatti che non vediamo. Questa
differenza rende conto dello scarto temporale tra la dimensione verbale e quella visiva: il racconto
al passato della voice over appare come un ricordo dell'esperienza vissuta dal regista. Ma Chantal
occupa anche una terza posizione, quella tradizionale dietro la mdp. In pochi istanti nelle prime tre
inquadrature del film configura un autore scisso in luoghi e momenti diversi. Questo gioco marca la
costruzione di una rete di rapporti tra diegesi, autore, spettatore così che l'esistenza è pensabile solo
come rapporto dell'una con le altre. A fronte del tipico procedimento moderno di investigare il
rapporto realtà/finzione, il cinema postmoderno dichiara di non credere a questa dicotomia.
L'immagine postmoderna è dominata dall'indeterminazione e l'impossibilità di stabilire cosa sia
reale e cosa sia immaginato/sognato può spingersi sino alla creazione di mondi paralleli.

Il cinema di Lynch è, a tale proposito, uno degli esempi più radicali. Mulholland Drive mette in
discussione i normali meccanismi di visione e comprensione dello spettacolo filmico: lo spettatore
ha bisogno almeno di una seconda visione per capire con precisione il rapporto tra le due parti del
film. La prima parte costituisce il sogno di Diane di diventare una star del cinema, mentre la
seconda rappresenta la realtà del fallimento e della disillusione della protagonista. La chiave di
lettura non è data dal film, il meccanismo narrativo non viene spiegato. Vi sono alcuni elementi
incoerenti non spiegabili dal rapporto sogno/realtà e una sequenza dello statuto incerto, con una
valenza più metaforica che diegetica. A questo punto, la chiarezza quasi cristallina del film
comincia a vacillare.

Non vi è mai la sensazione di passare da una condizione indeterminata alla certezza: la supposta
realtà non ha alcuna parvenza di verità è indeterminata tanto quanto il sogno. L'esperienza che
domina, dall'inizio alla fine, è quella della sospensione e dell'incertezza ontologica. Tale statuto è
dovuto alla scelta di presentare il sogno, non la realtà come prima condizione. Lynch pone il sogno
come termine di riferimento. In secondo luogo, le due realtà, la psichica e la fenomenica, possono
essere chiaramente differenziate solo se vengono presentate in modo conflittuale. Qui vengono
posto una di fianco all'altra. Più che essere mondi opposti finiscono per essere mondi paralleli.
Lynch sovverte i cardini della narrazione moderna. Per l'autore postmoderno la produzione del
senso passa attraverso la consapevolezza di dati meccanismi: enunciativi, narrativi, intertestuali. In
questo processo è però fondamentale che lo spettatore raggiunga un simile grado di riflessività.

All'identificazione con l'autore il postmoderno sostituisce quella con i processi di costruzione del
testo, di cui l'autore costituisce solo una delle istanze.

4. Il cinema d’autore italiano degli anni sessanta (e oltre): classico,


moderno, postmoderno
- PER UNA TEORIA DEL CINEMA D’AUTORE

Gli anni sessanta sono spesso considerati, insieme agli anni venti, il decennio più innovativo della
storia del cinema. Nel periodo che va dal 1945 al 1970 circa, nessun altro cinema nazionale,
nemmeno quello francese, ha prodotto una quantità di film e di tendenze stilistiche importanti che
risulti paragonabile a quella prodotta dal cinema italiano. Il cinema d’autore di questo periodo è
insomma una manifestazione specifica di una tendenza più ampia, inaugurata all’inizio del
Novecento.

Lyotard ha proposto una teoria dei «modi narrativi» che prevede tre paradigmi distinti: il classico, il
moderno e postmoderno. Secondo la sua visione, la specificità di ciascun paradigma dipende da una
diversa relazione tra narrazione e conoscenza, basata sui modi in cui le tre istanze di narrato,
narratore e narratorio si connettono le une con le altre. La classicità privilegia il referente (narrato)
rispetto all’emittente (narratore) e al destinatario (narratario). Nel classico, il narratore e il narratario
sono «mere contingenze relative alla verità del narrato». Al contrario, nel moderno l’istanza del
narratore a risultare privilegiata rispetto al referente e al destinatario.

Gli studi italiani hanno teso a contrapporre il cinema d’autore e il cinema di genere: un’opposizone
radicata in una distinzione netta tra le sfere dell’arte e dell’intrattenimento. Gli studi sull’autore
hanno investigato lo status artistico dei singoli registi in termini di stile e poetica.
Al di là delle differenze stilistiche, la maggior parte dei registi del cinema d’autore di questo
periodo mostra preoccupazioni notevolmente simili: al punto tale che si potrebbe parlare del cinema
d’autore nei termini di un vero e proprio genere.

Il cinema moderno d’autore si occupa primariamente di soggetti deboli, di crisi esistenziali e di


trame narcisistiche e introspettive. Il contesto sociale, così come le strategie stilistiche e retoriche,
variano in modo significativo da regista a regista. Bordwell ha proposto una teoria del cinema
d’autore moderno secondo dove il cinema d’autore sia una pratica filmica specifica «che possiede
un’esistenza storica ben definita, una serie di convenzioni formali e delle implicite procedure
spettatoriali». Il cinema d’autore è per Bordwell un fenomeno internazionale che emerge dopo la
Seconda guerra mondiale. Uno degli scopi di Bordwell è «mostrare che per quanto i dispositivi
stilistici e i motivi tematici possano variare da regista a regista, la funzione complessiva dello stile e
delle tematiche rimane costante». Al contrario della narrazione classica, il cinema d’autore
privilegia il personaggio rispetto alla trama: questa è infatti molto lacunosa, e la logica di causa-
effetto finisce dunque per sfaldarsi. Il film d’autore vuole esprimere giudizio sulla vita moderna e
sulla condizione umana. Il protagonista dell’art cinema deve ammettere a sé stesso/a che sta
affrontando una crisi di portata esistenziale.

- VISCONTI, AUTORE POPOLARE

Quando uscì Rocco e i suoi fratelli (1960), il critico marxista Guido Aristarco, il più fiero
sostenitore di Visconti, affermò che il successo del film confermava ciò che egli aveva «sempre
creduto», ovvero che il regista era «l’autore più tipicamente classico del cinema italiano del
dopoguerra».
In un articolo di Christian Metz, Il cinema moderno e la narratività, scritto nel 1966, nell’analisi
ampia del cinema moderno nei primi anni sessanta, Visconti viene menzionato una volta sola


insieme ad altri, e liquidato semplicemente come «uomo di teatro»: il suo cinema non viene mai
discusso e non si cita neanche uno dei suoi film. Né c’è in verità da sorprendersi di tale esclusione,
visto che lo stile e la messa in scena di Visconti, e tutto il complesso del suo progetto estetico non
sembrano condividere nessuno degli elementi di quello che Metz definisce cinema moderno. Per
Metz, il cinema moderno è rappresentato al meglio dalla sdrammatizzazione di Antonioni (cinema
degli spazi morti), dal cinema d’improvvisazione di Godard e dalla dizione regolata di Resnais.

La posizione di Visconti rispetto alla classicità e alla modernità non è però così facile da
determinare, è evidente che la sua opera non può essere inscritta all’interno della categoria del
cinema classico. Visconti ha una natura duale, perché combina storie e tempi intellettualmente
stimolanti con formule di genere i cui stili visivi sono spettacolari. Per di più, l’impatto emotivo del
melodramma risulta opposto alla presunta modalità riflessiva e intellettuale dell’arte alta.

Visconti può far filtrare la propria visione personale tramite l’identificazione col suo protagonista,
come avviene nel caso del Principe in Il Gattopardo (1963), dove svolge una funzione primaria sia
la narrazione che il personaggio e l’autore, che sono aspetti fondamentali del cinema moderno.

Ciascun film negozia diversamente la posizione duale del cineasta, e dunque gli stili visivi, le
modalità narrative, l’interpellazione spettatoriale e la visione autoriale vengono attivati seguendo di
volta in volta i parametri diversi. Visconti si affida al melodramma, ed è certamente a questo che si
deve la popolarità di cui godette il film. Attraverso la traiettoria della famiglia Parondi, il film
racconta la possibile alleanza tra il proletariato del Nord e la classe contadina meridionale sotto
l’egemonia del proletariato, allo scopo non solo di costruire una base di massa per l’azione politica,
ma anche di esercitare una pressione che faccia saltare l’alleanza tra capitale industriale
settentrionale e proprietà terriera meridionale.

Nel narrare la traiettoria della famiglia Parondi, Visconti è riuscito a fondere, in modo efficace, il
fenomeno sociale della migrazione meridionale verso il Nord Urbano e industriale che ha
caratterizzato l’Italia degli anni cinquanta, con le convenzioni del melodramma, e in particolare con
il sottogenere del melodramma familiare.

- ANTONIONI, L’AUTORE MODERNO PER L’ECCELLENZA

L’avventura e il deserto rosso costituiscono degli esempi paradigmatici di cinema moderno nel
contesto dell’autorialità italiana ed europea. La modernità di Antonioni consiste nella combinazione
di uno stile di ripresa assai distinto – un modo particolare di inquadrare i personaggi in relazione
allo spazio – e di un formato narrativo specifico, che privilegia nessi deboli di causa-effetto.
La sua scelta di narrare traiettorie femminili, tale aspetto risulta importante poiché condiziona in
particolare la relazione tra autore e personaggio.
Antonioni valorizza i gesti a scapito dell’azione: i gesti comprendono una serie di attività
(camminare, dormire, aspettare) insignificanti o solo marginalmente informate dall’intenzionalità.

L’uso dei gesti è connesso alla condizione psichica dei personaggi: i protagonisti di Antonioni
agiscono senza una motivazione chiara e dunque mancano di profondità psicologica. Uno dei gesti
più comuni è quello della passeggiata, assai frequente dove i protagonisti di Antonioni camminano
o gironzolano senza un obiettivo specifico. In l’avventura, i personaggi si muovono in modo casuale
perfino mentre compiono un’azione precisa come quella di cercare Anna sull’isola deerta.



In eclisse (1962), Vittoria viene seguita dalla mdp mentre si muove tra i viali quasi vuoti del
quartiere EUR o nelle affollate stradine del centro di Roma dove vive sua madre.

Nella scena d’apertura de Il Deserto Rosso, Giuliana arriva al luogo di lavoro del marito
camminando insieme al figlio, passeggia in mezzo a scarti industriali, e infine si ferma a mangiare

voracemente un panino. Troviamo episodi affini in tutti i film della tetralogia di Antonioni.
Queste passeggiate terminano spesso con momenti di mera attesa e sono filmate in congiunzione
con lo sguardo del personaggio.
L’apparato cinematografico è fondato infatti una sua pluralità di sguardi che possono sia convergere
che divergere gli uni con gli altri. Nell’ambito del cinema narrativo possiamo individuare tre
sguardi specifici: quello della mdp, quello del proiettore e quello diegetico dei personaggi sullo
schermo. La fusione di questi tre sguardi permette l’attivazione di una visione spettatoriale
fortemente identificativa. Se la messa in scena propone un divario tra lo sguardo della mdp e lo
sguardo diegetico – il punto di vista dell’autore e quello del personaggio – l’identificazione si
rompe. Senz’altro caratterizza il cinema d’autore degli anni sessanta nella sua interezza.

Il particolare di Antonioni è fondato sullo scarto tra lo sguardo della mdp/dell’autore e lo sguardo
del personaggio. Se da una parte l’identificazione ne risulta compromessa, al tempo stesso in tale
scarto risiede anche il nocciolo della peculiare politica etica e affettiva del cinema di Antoioni.
La mdp di Antonioni spesso approccia i corpi umani da una certa distanza, attraverso movimenti di
macchina prolungati che creano una sorta di danza o coreografia, circondando e accarezzando i
personaggi. L’atteggiamento di Antonioni nei confronti del corpo dell’attore/performer è in accordo
con tutta una serie di pratiche artistiche del tempo, tra le quali di particolare rilevanza risultano gli
happening e i primi film di Warhol. Negli happening gli attori compiono gesti quotidiani come
camminare, sedersi o rimanere all’in piedi. I corpi si muovono come se fossero emotivamente vuoti.
Trattati come oggetti materiali, superfici, e sembrano mancare di tratti umani.

Egli riprende comunque i propri personaggi, specialmente le protagoniste femminili, mentre


camminano, dormono o aspettano. Antonioni offre una forte critica alla messa in scena
cinematografica della psiche e delle dinamiche psicologiche, l’interesse di Antonioni si rivolge a un
diverso livello d’esperienza del soggetto: a ciò che viene prima della rappresentazione.

I suoi film rappresentano una transizione da un cinema del desiderio a un cinema d’effetto, nel
senso attribuito a questi termini da Lévinas: egli ha elaborato una teoria del rapporto Io/Altro
assolutamente originale, che può aiutarci a definire la relazione tra autore e personaggio.
Parte dal presupposto che l’Altro sia irriducibile al Sé. L’Altro non può essere infatti definito, nei
termini di una categoria, come avviene invece nel pensiero strutturalista o poststrutturalista: non
può insomma essere ridotto a un concetto. La differenza radicale dell’Altro si ancora al corpo, ed
egli fa riferimento al manifestarsi di questa alterità con il termine di VOLTO. Il VOLTO stesso non
è un’idea, ma la concreta presenza dell’Altro, di cui mostra l’assoluta singolarità.

Sempre in Antonioni, la mdp coglie la verità materiale e corporea di Monica Vitti durante momenti
di pura attesa, oppure mentre mangia, cammina o dorme. La mdp indugia a lungo sul corpo
dell’attrice, e il protrarsi dell’inquadratura ha lo scopo di rivelare ogni piccolo dettaglio del suo viso
e tutti i micro-gesti e movimenti del suo corpo. Particolarmente interessanti sono i casi in cui la
camminata della donna si conclude con la protagonista appoggiata a un muro spoglio: in questi
momenti il personaggio sembra quasi cercare una superficie neutra che possa far da sfondo al suo
ritratto, e la visibilità dei lineamenti di Vitti ne risulta esaltata. La dimensione etico-affettiva di




queste immagini è dovuta a tre fattori correlati: la distanza della mdp, la sua mobilità, e la durata
dell’inquadratura. La mdp non è voyeuristica né lontana né lontana, la sua distanza va dal campo
medio al primo piano. I movimenti sono lenti e semicircolari: essi tendono ad accerchiare i corpi,
come carezzandoli, oppure precedono lo spostamento del personaggio. Antonioni evita
espressamente i carrelli in avanti, il regista lascia più spesso che siano i personaggi a muoversi
verso la mdp, anziché il contrario: per certi versi, l’opposizione tra questi tue tipi di movimento
sembra tradurre in termini cinematografici l’opposizione di Lévinas tra possedere (desiderio) e
accarezzare (affetto).

In Avventura, i molti episodi etico-affettivi sono riconducibili a tre modalità diverse: in primo luogo
ci sono momenti di attesa, in cui Claudia si muove nello spazio aspettando qualcuno, oppure dove la
donna attende Sandro nella piazza del paese siciliano mentre egli entra in un negozio a chiedere di
Anna. Questo momento risulta particolarmente rivelatorio in quanto la mdp compie un complesso
movimento che termina su Claudia appoggiata a un muro: Antonioni gioca con la dialettica tra stasi
e movimento. In secondo luogo, il film è punteggiato da movimenti a vuoto, come nel lungo
episodio sull’isola. Pur se sono alla ricerca di Anna, i personaggi sembrano vagare nel vuoto.

In terzo luogo, lunghe inquadrature del corpo della protagonista distesa, o a letto mentre dorme, in
cui la sospensione dell’azione è assai accentuata. L’episodio che precede il finale, quando Claudia,
ospite nella villa degli amici, va a letto, mentre Sandro scende per partecipare alla festa: proprio
come in Sleep di Warhol la camera si sofferma a riprendere i micro-gesti della donna a letto.

In deserto rosso, Antonioni usa il teleobiettivo per sfocare lo sfondo e mantenere a fuoco solo il
personaggio di Giuliana. Questo effetto è accresciuto da un uso congeniale del colore cappotto
verde della scena iniziale. Controllando il rapporto tra fuoco e fuori fuoco – ovvero tra spazio e
personaggio – la mdp sottolinea la presenza fisica di Giuliana. I suoi lineamenti fini e leggermente
truccati si stagliano in ancor maggiore evidenza rispetto allo sfondo del paesaggio inquinato, e la
scelta risulta assai significativa, visto che l’intero film racconta la condizione psichica instabile del
protagonista.

- FELLINI, DALL’OPERA MONDO ALL’OPERA SÉ

Fellini è infatti un autore meno sperimentale di Antonioni in termini di narrazione e messa in scena,
ma anche più moderno di Visconti. L’esempio paradigmatico nella narrazione moderna dello scacco
soggettivo, visto che Fellini fa della crisi dell’ “io” il tema portante sia de La dolce vita che di 81⁄2.
Entrambi si concentrano infatti sulla crisi del soggetto, ma la rappresentano in modi opposti.

La dolce vita può essere descritto nei termini di Moretti come «opera mondo» ovvero forme
dell’epica moderna. Nell’epica, il mondo costituisce una totalità inseparabile dall’individualità. Al
contrario, il 81⁄2 il sé e il mondo sono separati. Il film radicalizza la prospettiva soggettiva e
rappresenta il mondo interamente tramite il filtro della psiche del protagonista.
I due film sono nettamente differenti in termini di immaginario, modalità narrative e stile visivo. Ne
La dolce vita, Marcello è infatti un personaggio melanconico. Incapace di realizzare il proprio
desiderio di diventare scrittore, deve accontentarsi di un impiego meno degno: è un giornalista che
segue la vita notturna e gli eventi culturali romani per conto di un popolare quotidiano, avvalendosi
della complicità di alcuni paparazzi.

Come Antonioni, Fellini ritrae la vacuità della vita delle classi agiate. Borghesi e aristocratici, artisti
e gente dello spettacolo passano il proprio tempo a non far niente, o semplicemente a divertirsi.



La Dolce vita sottolinea la dimensione cosmopolita dell’Italia, enfatizzando l’atmosfera
internazionale di una Roma piena di persone che parlano lingue diverse. Mostra una convergenza
particolare tra la crisi dell’eroe, la passività del personaggio e la messa in scena di Roma come
spettacolo. Marcello cammina giorno e notte per le strade della città, muovendosi dal suo
appartamento alla redazione del giornale, dai bar di via Veneto ai luoghi dove si svolgono gli eventi
spettacolari di cui fa la cronaca, fino alle feste di amici e conoscenti. La città di Roma è filmata
nella sua stupefacente bellezza notturna, soprattutto nell’episodio più famoso, quello del bagno di
Anita Ekberg nella Fontana di Trevi. In questo e altri episodi, l’uso della profondità di campo,
insieme all’impiego di un’illuminazione contrastata, è essenziale al regime spettacolare.

Se Roma è uno spettacolo per lo sguardo di Marcello, l’immagine è a sua volta uno spettacolo per
lo spettatore del film. La dolce vita è innanzitutto un film sulla spettacolarizzazione della vita
moderna. Tutto può essere trasformato in spettacolo e gli eventi sono importanti solo in quanto
vengono trasformati dai media in qualcosa che fa notizia.
Qualsiasi aspetto della vita sociale può diventare spettacolo: dagli eventi più ovvi, come la bellezza
femminile, a quelli meno evidenti, come la religione. Quando Marcello guarda Sylvia fare il bagno
nella Fontana di Trevi, il film ricorre a uno dei codici di base del cinema classico, quello dello
sguardo maschile sul corpo femminile sexy. Si tratta di un teorizzato nel famoso saggio del 1975
Piacere visivo e cinema narrativo di Laura Mulvey. La messa in scena della bellezza di Ekberg è
talmente eccessiva che essa potrebbe mettere in questione il codice stesso su cui si fonda.

Nel cinema classico lo sguardo voyeuristico maschile controlla il corpo femminile, mentre
attraverso l’azione egli controlla e plasma la diegesi, mentre nel cinema moderno l’uomo perde il
controllo dello spazio e della diegesi.
81⁄2 affronta la crisi del protagonista, che è infatti personale e artistica. Guido continua a posporre
l’inizio delle riprese del suo nuovo film curandosi in una lussuosa stazione terminale, dove sperare
di trovare qualche ispirazione per il film e un po’ di pace nella sua vita personale. Tutti gli chiedo
spiegazioni o pretendono decisioni da parte sua. Questo livello concreto dell’esperienza si mischia
all’intensa vita psichica di Guido, ivi comprese le sue memorie d’infanzia e i suoi sogni.
Alla conferenza stampa la vita reale prende però il sopravvento, e Guido non vede altra soluzione se
non di rinunciare a realizzare il film. Il finale sulla spiaggia suggerisce però la possibilità di un esito
diverso: Guido si uscire a tutte le persone che ha incontrato nell’arco del film in un girotondo
intorno alla pista di un circo, a cui partecipa anche Guido bambino, che suona lo zufolo e conduce
all’interno della pista un gruppo di clown musicisti e un cane.

Questo finale sintetizza i due diversi livelli della vita del personaggio, la realtà e l’immaginazione. I
due registri non sono però opposti, perché le fantasie di Guido sono tanto pervasive da influenzare
anche la sua vita reale. Fellini ha elaborato tutta una serie di scelte stilistico-formali atte a
deformare la realtà, mentre da una prospettiva diegetica possiamo distinguere facilmente la realtà
dell’immaginazione, da un punto visivo della realtà non appare invece molto diversa
dall’immaginazione, essendo filtrata tramite la psiche di Guido e risultandone perciò deformata.

La messa in scena di 81⁄2 è caratterizzata dall’uso della profondità di campo, l’impiego di


un’illuminazione e di movimenti di macchina espressivi e così via, il cui scopo è quello di alterare il
campo visivo. Lo spettatore prova talvolta una sensazione di capogiro a causa dei molti movimenti
di macchina e dell’ininterrotto variare di ambientazione e personaggi, che entrano ed escono
costantemente dall’inquadratura. E quando alla fine la realtà e il sogno, l’infanzia e la vita adulta si
mischiano in un frangente temporale immaginario, anche lo spettatore è indotto a pensare, insieme a



Guido, che la creazione artistica, come la vita, debba essere fondamentalmente inclusiva e non
selettiva.

- DALL’AUTORE MODERNO ALL’AUTORE POSTMODERNO

Blow-Up può essere visto come la prima tappa nella transazione del cinema d’autore italiano dal
moderno al postmoderno. Tale trasformazione riguarda alcuni dei principali registi del cinema degli
anni sessanta, così come alcune figure della generazione successiva.
L’opposizione tra fotografia e cinema attiva un complesso apparato teorico riguardante la relazione
tra finzione e realtà. L’immagine postmoderna è definita infatti da un certo grado di
indeterminazione a causa del quale risulta impossibile separare chiaramente la realtà della finzione ,
dal sogno o dalla fantasia. Il concetto di simulacro di Baudrillard, la realtà risulta così mediata da
finire per scomparire, sostituita da immagini o segni: nel senso di qualcosa di sottostante o
originale, non esiste più. La posizione di Antonioni appare piuttosto radicale, soprattutto per la metà
degli anni sessanta. In Blow-Up solo l’apparato fotografico è in grado di catturare l’evento reale,
ossia l’omicidio del parco. Né l’occhio umano né l’occhio della cinepresa possono cogliere ciò che
realmente avvenuto. L’occhio della macchina fotografica e il processo fotochimico
dell’ingrandimento sono invece in grado di registrare l’assassino con la pistola nascosto dietro gli
alberi e il cadavere che giace nell’erba. In una curiosa e significativa inversione, l’immagine
precede e preclude la realtà: sono le fotografie sviluppate e ingrandite dal protagonista che nessuno
aveva visto avere luogo.

Rispetto a quello di Antonioni, il postmoderno di Fellini è di natura nettamente diversa. Nel


complesso, la transizione dal moderno al postmoderno può avvenire, nel contesto del cinema
d’autore, a livelli diversi. Si assiste alla scomparsa della figura dell’autore moderno come Maestro,
come demiurgo onnipotente. Secondo Kováks, questa morte dell’autore viene rappresentata assai
bene da Fellini nei suoi film più tardi. In Prova D’Orchestra (1978), oltre all’ovvia allusione
politica, il tema principale riguarda la possibilità della creazione artistica in una situazione in cui la
volontà centripeta dell’autore non riesce a prelevare. Nel film infatti diventa a un certo punto
impossibile per il direttore d’orchestra far in modo che i musicisti rispettino la peculiarità della sua
visione autoriale.

Nel cinema postmoderno l’autore diventa un ruolo da recitare all’interno della narrazione. E Fellini
risulta ancora una volta pioniere: si pensi alla sua auto-interpolazione come attore/protagonista in
Block-notes di un regista (1968), I clowns (1970), Roma (1972) e Intervista (1987).
Nell’ambito del cinema contemporaneo, il miglior esempio di autore postmoderno è rappresentato
da Nanni Moretti, che adotta una strategia consueta nel cinema d’avanguardia, di recitare in prima
persona il ruolo principale dei propri film, e in questo modo sovverte lo status dell’autore moderno.
In cinque dei suoi primi sei film, da Io sono un autarchico (1976) fino a Palombella rossa (1989),
Moretti interpreta il proprio alter ego Michelle Apicella. Moretti recita se stesso, è stato a lungo un
luogo comune della critica cinematografica italiana, dovuta al fatto che Apicella è un giovane
intellettuale radicale proprio come lo stesso regista. La presenza di Moretti davanti alla mdp
sovverte l’opposizione tra finzione e realtà e sottende un’idea postmoderna di soggettività. Egli
inscrive sé stesso nel testo in modo tale che non risulti più possibile collocarsi al di fuori della
narrazione. Come ha sostenuto Lyotard, nel modo di rappresentazione postmoderno tutte le
differenti posizioni soggettive risultano co-implicate, e nessuna di esse può rivendicare un
privilegio metanarrativo. Nanni Moretti non è semplicemente l’autore-regista dei suoi film, è il
personaggio funzionale Michele Apicella, e Michele è imitazione del vero Nanni.


Moretti rimane fuori campo, e viceversa quando si trova di fronte alla cinepresa, sta recitando una
parte. L’”io” di Moretti è dunque rifratto in tre diverse posizioni soggettive: la persona vera, per
così dire “irraggiungibile”; l’attore/personaggio di finzione; il regista.

Il suo cinema è in verità ossessionato dal discorso dell’identità, e può essere compreso al meglio nei
termini di una convergenza di tratti moderni e postmoderni. Il girovagare del protagonista attesta la
crisi dell’azione e l’emergenza del personaggio come spettatore, che abbiamo visto essere
caratteristica di gran parte del cinema moderno. In Caro Diario (1993) Moretti gira per le strade di
Roma in sella alla sua Vespa in una sorta di remake dei vagabondaggi antonioniani.

La presenza stessa del regista davanti alla cinepresa e il costante slittamento tra le diverse posizioni
soggettive che ne consegue connotano il suo cinema come postmoderno.

5. Prima della rivoluzione e modernità: stile, classe, gender


Prima della Rivoluzione (1964) esce alla fine del periodo d'oro della Nouvelle Vague (1959-1964),

in Italia è recensito in modo negativo e rimane pressoché invisibile mentre in Francia è sostenuto ed
osannato dai "Cahiers". In questo lungometraggio, Bertolucci è influenzato in particolar modo da
Godard, soprattutto in relazione ad alcune innovazioni come l'uso del jump cut, riprese
documentaristiche della città, oppure la variazione di toni e registri, dal comico al serio tragico, o
ancora la contrapposizione dialettica come struttura formale del film stesso, in particolare tra
immagine e suono: tutti elementi compositivi tipici del primo Godard. Ma ci sono alcuni aspetti che
differenziano il film dalla pratica godardiana: in effetti questo è sia un film politico che un film
girato politicamente. Il legame di Fabrizio con il passato definisce la forte componente nostalgica
del personaggio, e in questo tratto si coglie anche la relazione con La Certosa di Parma di Stendhal.

Il film è teso verso il passato e la tradizione ed è un Bildungsroman, cioè un racconto di formazione


che narra il passaggio all'età adulta del protagonista e del BILDUNGSROMAN ottocentesco il film
conserva molti tratti: infatti il romanzo europeo dell'800 è la forma simbolica della modernità che
vede la gioventù come il periodo più significativo dell'esistenza: il soggetto moderno attraversa lo
spazio sociale con il viaggio, l’avventura, lo smarrimento, per trovare un suo posto, stabile o meno.

Questa mobilità, tratto moderno imprescindibile, sviluppa un’interiorità irrequieta e insoddisfatta, e


si possono sviluppare due tipi di intreccio: da un lato il romanzo familiare inglese, in cui il
matrimonio costituisce l’atto definitorio per eccellenza; dall’altro il romanzo dell’adulterio, dove
c’è accento sull’instabilità. Questo film sembra fondere i tratti dei due tipi di intreccio in uno: il
matrimonio appare come la negazione della libertà e l’irrequietezza rimane dunque il tratto primario
del personaggio: la rinuncia alla libertà e l'accettazione dei codici di comportamento della classe di
appartenenza conducono Fabrizio a una vera infelicità.

- RAPPORTI DI CLASSE E RELAZIONI DI GENERE

Fabrizio è un giovane sui 20 anni della media borghesia di Parma fidanzato con Clelia, figlia della
ricca borghesia cittadina. Come ogni famiglia altolocata del nord, la famiglia di Clelia ha un palco
per la stagione operistica. Fabrizio è iscritto al Partito Comunista e ha in Cesare, il principale punto
di riferimento ideologico, una sorta di padre simbolico. Il film è il tentativo fallito del protagonista
di uscire dalla propria classe di appartenenza e di dedicarsi alla rivoluzione. Il film narra l’ultima
ribellione del protagonista prima della sua integrazione sociale attraverso il matrimonio con Clelia,
atto con cui si conclude il film stesso. Il film si apre sotto il segno di una grande irrequietezza, con
una scissione tra voce e immagine che caratterizzerà molte scene del film. Viene poi raccontato
l’incontro tra Fabrizio e Agostino, amico colto dal mal di vivere, a cui Fabrizio consiglia di
iscriversi al partito. In occasione della vigilia di Pasqua arriva per le festività Gina, la zia del
protagonista, che mostra subito una forte emotività e una vivace positività. Il giorno successivo

Agostino muore annegato e Fabrizio rimane turbato dall’accaduto. L’arrivo di Gina lo distoglie dal
dolore e gli dà una carica inaspettata. Segue poi l’innamoramento dei due, ma la storia non ha
futuro: dopo le feste Gina riparte per Milano. Un’ellissi temporale ci porta alla fine dell’estate
all’ultima conversazione ideologica tra Fabrizio e Cesare.

La parte finale del film è dedicata alla ripresa del rapporto con Clelia e sottolinea la falsa e
superficiale realtà dei rapporti (Fabrizio-Clelia) e i veri sentimenti (Fabrizio- Gina). Nell’ultimo atto
assistiamo al matrimonio di Fabrizio e Clelia e la mdp, invece di soffermarsi su di lui (che viene

mostrato solo di nuca e mai mostrato), si sofferma sulle emozioni di Gina (mostrando l’opposizione
delle due donne) e l’ultima inquadratura riprende la donna ancora in lacrime.

Nonostante le tematiche e la traiettoria narrativa del film siano riconducibili al Bildungsroman, ciò
che manca a Fabrizio è il tratto fondante della Bildung moderna e cioè il dinamismo e la
trasformazione. Esso ha acquisito con la nascita la condizione di borghese, ma Fabrizio non riesce a
trasformare questa sua condizione sociale che egli ha ereditato dalla nascita. Il matrimonio giunge
quindi come imposizione di classe che Fabrizio è troppo debole per rifiutare. L’essere borghese è
una condizione statica, da cui il soggetto maschile non sa uscire. È per questo che il racconto perde
il tratto della trasformazione e si presenta sotto quello della circolarità. L’inizio del film, con la voce
di lui, corrisponde in realtà alla fine: così negli eventi che saranno mostrati c’è già il peso del LO
STILE E LA MESSA IN SCENA.

fallimento di Fabrizio, che la voce di commento iniziale dichiara in modo esplicito.


applica Bertolucci è quella di indicare sin da subito che il regista non dà chance al suo
protagonista.

Il cinema d’autore di quegli anni ha eletto la CRISI DEL SOGGETTO a tema privilegiato
(incapacità da parte dell’io di capire sé e il mondo). Ma di particolare interesse è il rapportarsi
dell’autore con il soggetto della diegesi. Infatti, diversamente dal cinema classico, il cinema
d’autore privilegia il personaggio all’intreccio. Il personaggio viene esibito a scapito dell’azione.
Ma inizialmente esso è l’alter ego dell’autore: l’ossessività con cui si narrano crisi e fallimenti è il

segno che l’autore ha più di un elemento comune con il personaggio. Successivamente si passa
dall’IDENTIFICAZIONE alla DISTANZIAZIONE.

Così come le opere del modernismo letterario il film d’autore vuole dare un giudizio sulla vita
moderna e sulla condizione umana: i film raccontano sia la crisi che la presa di coscienza della
debolezza dell’io. L’essere protagonista di Fabrizio non è mai messo in discussione ma la mdp ha
un occhio di riguardo anche per Gina, che viene più volte mostrata sola, in tutta la sua emotività.
L’autore rappresenta quindi una donna, che oltre ad essere nevrotica ed emotiva è anche una
persona coraggiosa, perché lei al contrario di Fabrizio ha rischiato il fallimento e la solitudine pur di
uscire dalla noia borghese in cui è cresciuta.

Il coraggio di Gina, che non ha timore di lasciare le sue origini si contrappone alla “dolcezza del
vivere” di F. Per questo possiamo leggere il finale in questo modo: mentre Fabrizio viene
inquadrato velocemente di nuca, come se l’autore volesse disfarsi del suo protagonista, a Gina
vengono riservati numerosi primi piani. Il finale rappresenta dunque il momento di massima
distanza tra l’autore e il suo alter ego.

Altro elemento di interesse è che Cesare non partecipi al matrimonio dell’amico. Durante la scena
del matrimonio viene infatti mostrato in montaggio alternato Cesare che è in classe con i suoi alunni
(forse la loro amicizia è finita dopo che Fabrizio ha abbandonato il sogno della rivoluzione). Ma il
vero interesse dell’episodio sta nel montaggio: Bertolucci riesce infatti a mettere a confronto due
momenti, due personaggi e le loro scelte, Fabrizio cede alle facili lusinghe borghesi, Cesare mostra
la forza del suo impegno sociale e educativo, mostrando che la trasformazione è possibile per i
proletari (Cesare alla fine verrà inquadrato così come Gina, mentre Fabrizio verrà ignorato).

Il film mostra un uso cosciente del linguaggio cinematografico e un posizionamento chiaro nel
panorama del cinema europeo del periodo: Metz, ne “Il Cinema moderno e la narratività”, dava
un’ipotesi sullo statuto narrativo e rappresentativo del cinema d’autore (a cavallo tra gli anni 50-60)
in cui il cinema moderno appare come un insieme di pratiche accomunate solo dal fatto di rompere
le regole classiche. Nonostante alcune differenze autoriali, alcuni elementi appaiono comuni alla
gran parte dei personaggi come ad esempio: i personaggi o i racconti deboli o relativizzati e la
compresenza di un impulso realista (che Metz considera come una delle conquiste più preziose del
moderno: verità di un atteggiamento, verità di un’inflessione di voce), e di uno metalinguistico. E
proprio questo binomio REALISMO/METALINGUISMO è il moderno cinematografico. Il film è
autobiografico ma il regista ha bisogno di distanziarsi e lo fa con una serie di espedienti come
rimandi, citazioni, soluzioni linguistiche stranianti (come ad esempio dissolvenze sbagliate, uso del
fuoricampo).

Vi sono alcuni procedimenti che però sembrano essere usati in maniera cosciente, anche se manca

un rigore formale, funzionali ad un preciso progetto estetico: e questi procedimenti sono l’uso del
montaggio e del sonoro: il film è costruito attorno ad un’alternanza di JUMP CUT e PIANO
SEQUENZA, mentre a livello sonoro c’è opposizione tra musica extra-diegetica e dialogo e tra
dialogo e voilunghi verbali, dei monologhi.

Sia nell’incontro tra Fabrizio e Agostino che in quello fra Fabrizio e Gina in automobile, due
segmenti in Piano sequenza sono seguiti da Jump Cut: questa alternanza fa sì che ci sia un netto
cambiamento di registro perché il montaggio in jump cut rivela un atteggiamento scherzoso, mentre
il PS un atteggiamento serio e severo. La scena dell’innamoramento è forse il momento più bello
del film. Vediamo inquadrature del centro affollato di Parma, con i due protagonisti mescolati alla
folla mentre si cercano. Il montaggio discontinuo della scena segue il modello già utilizzato
precedentemente del jump cut. L’immagine è poi accompagnata da una canzone che è Ricordati di
Gino Paoli. Il montaggio discontinuo, con la presenza della musica e l’assenza del linguaggio
verbale vengono quindi associati al gioco, allo scherzo e quindi all’innamoramento e alla passione.
Proprio perché legato alla sfera emotiva, il jump cut è più spesso impiegato in relazione a Gina che
agli altri personaggi. È chiaro invece che il binomio pianosequenza-linguaggio è riconducibile a una
dimensione opposta: alla vita adulta, alla ragione. Infatti, a mano a mano che il rapporto tra Gina e
Fabrizio si incrina, la dimensione parlata del film si fa più frequente (e anche i PS): dialoghi,
conversazioni e monologhi li troveremo sempre più spesso come nel discorso fatto da Puck su come
abbia perduto le terre ereditate dal padre. Puck ammette di non aver mai lavorato non per mancanza
di volontà, ma per incapacità. Egli è uomo del passato che subisce passivamente i cambiamenti
storici. In Puck riconosciamo la stessa condizione del protagonista: Puck e Fabrizio sono membri di
due classi diversi ma entrambi residuali, cioè non riescono a cambiare la loro condizione. Fabrizio
reagisce con rabbia al discorso di Puck ma poi alla fine egli riconosce che la propria condizione è
del tutto simile. Nell’ultima inquadratura dell’episodio, il PS si trasforma in un freeze-frame: il
movimento viene congelato e il sonoro interrotto e parte una voice over di Fabrizio che ammette
che nelle parole di Puck egli poteva riconoscere il suo futuro prossimo. In questo episodio come in
altri del film “Il conflitto dei suoni” dichiara chiaramente il progetto formale e il senso del film e
ogni volta che l’unità tra voce e corpo viene interrotta, attraverso l’introduzione della voice over, il
film abbandona il registro narrativo per entrare nel metalinguistico, e in questi frangenti sembra
palesarsi la figura autoriale.
6. Postmoderno e nuova spettatorialità
- QUALE POSTMODERNO?

Nonostante sia da tempo accettata l’ipotesi che ci siano vari post-modernismo e che post-moderno
sia un termine usato con declinazioni assai diverse in svariati campi, persiste il desiderio di
definirlo. Ma le definizioni restano difficili. Per alcuni l’individuazione della fase post-moderna di
un’arte non può che risultare dal rapporto con la sua epoca moderna. La linea di Jameson va in
direzione opposta. Mentre l’idea di dominante culturale ha permesso a Jameson di applicare ad altri
settori la formulazione emersa in architettura il pastiche è stato eletto a stile e registro dominante
del post-moderno. Tuttavia, è difficile vedere nel cinema moderno il correlativo cinematografico
dell’architettura modernista razionalista a cui si ribellerebbe. Secondo Caroll la partita tra moderno
e postmoderno si giocherebbe all’interno dell’avanguardia. Il razionalismo formale dell’architettura
modernista trova riscontro nel minimalismo. All’essenzialismo formale del minimalismo, gli artisti
reagiscono reintroducendo contenuti culturali, sarebbe questo passaggio a segnare l’emergere del
post-moderno, una sorta di pop art politicizzata nel cinema, l’esperienza del film strutturale
rappresenta il correlato filmico del minimalismo. Come nelle arti visive il potenziale trasgressivo
giunge necessariamente ad uno stallo. Dopo l’estrazione, il cinema sperimentale deve reintrodurre
un grado minimo di racconto. Così si spiegano le varie forme avanguardisti che negli anni 70. Per
Caroll sono il cinema punk, gli psicodrammi a rappresentare il postmoderno cinematografico.
Anche Turim si interroga sul rapporto tra moderno e postmoderno. Per lui la difficoltà di definire il
ce over. Le due opzioni di montaggio Jump cut (discontinuo)/pianosequenza sono riconducibili al
binomio metalinguismo/realismo e ciò emerge quando sono usati in contrapposizione: il Jump Cut è
accompagnato da musica, mentre il Pianosequenza da discorsi post-moderno deriva dalla difficoltà
di localizzare definire il moderno. Turim sostiene la necessità di allargare la nozione di modernità
includendovi non solo film d’autore ma anche film più facilmente accessibili. È necessario ridurre
la differenza tra arte e cultura popolare. Non sempre mantenersi entro i confini di un’arte specifica
costituisce il metodo di analisi migliore.

- POSTMODERNO E NUOVA SPETTATORIALITÀ

Uno degli elementi originali del pensiero di Jameson è stato quello di delineare in modo efficace la
relazione di omogeneità tra l’esperienza del soggetto nell’epoca della post-modernità e le forme
artistiche culturali dello stesso periodo. Dunque, anche il passaggio dall’espressione alla
performance investirebbe entrambi campi. Egli non mostra alcuna fiducia nei cambiamenti che
descrive, la nozione di identità come performance apre spiragli di emancipazione che la modalità
espressiva, fondata sulle dicotomie interno esterno, essenza apparenza, inconscio conscio teneva
necessariamente chiusi. In il cinema postmoderno Jullier ha offerto una delle proposte più articolate
e originali sull’argomento. Per lo studioso il post-moderno di cui Star Wars costituirebbe il primo
esempio, sarebbe caratterizzato da una peculiare esperienza spettatoriale attivato da precisi tratti
espressivo formali visivi e sonori, a loro volta legati innovazioni tecnologiche. Trasformano la mdp
da testimone invisibile secondo modalità antropomorfiche a testimone invisibile secondo modalità
antropomorfiche a testimone invisibile al di fuori dell’umano.

Da un lato dunque, un cinema centrato sul personaggio, dall’altro un cinema centrato sullo
spettatore. Il film concerto sollecita fisicamente lo spettatore e il termine stesso indica il ruolo del
sonoro. Il Dolby Surround trasforma l’esperienza di visione in un bagno di sensazioni. In questa
situazione la funzione narrativa del film passa in secondo piano, così come i processi di
identificazione. Tra schermo e spettatore non vi sarebbe più comunicazione, ma fusione. Per Jullier

la nuova modalità spettatoriale viene resa possibile anche da una serie di figure dell’immersione,
ovvero particolari movimenti di macchina. Privi di scopi narrativi si presentano spesso come
“movimento puro”. Il travelling in avanti è la figura più ricorrente di questa tendenza. Come l’inizio
e il finale di Guerre Stellari. Alla visione come conoscenza si sostituisce un’esperienza dello
sguardo.

Per Jullier la nuova spettatorialità è più vicina all’eccitazione che alla tradizionale esperienza
cinematografica. Shaviro fa l’analisi di Strange Days. Secondo lui la sensibilità postmoderna è
comprensibile se si distingue tra affetto ed emozione. Strange Days, è un film paradigmatico, la sua
costruzione formale delle sequenza SQUID mostra all’opera questa precisa modalità affettiva del
soggetto. Lo vediamo nella prima sequenza. Pur essendo completamente legati all’inquadratura, il
fatto di non vedere mai il protagonista dello sguardo rende la sequenza totalmente impersonale.
L’assenza del controcampo impedisce che l’identificazione con la mdp si aggiunga quella col
personaggio. Lo spettatore viene trascinato con forza dentro l’azione. Questo vivere materialmente
l’azione costituisce secondo Shaviro, un regime divisione preso oggettivo, affettivo e non cognitivo.
L’affetto che l’azione attiva è un’entità libera, pronta ad essere rivissuta da chiunque. Ma la visione
SQUID è solo uno dei regimi del film. Vi è una seconda modalità dello sguardo che comprende
sequenze in cui la MDP si muove libera da ogni ancoraggio all’occhio umano, ma senza diventare
oggettiva. In questi casi la mdp non è né soggettiva né oggettiva.

- OLTRE LA FISICITÀ: PER UNA SPETTATORIALITÀ DUALE

Le affinità teoriche che accomunano i diversi interventi trovano riscontro anche a livello di analisi
della messa in scena. Il movimento di macchina ha un ruolo essenziale. Il movimento con scarse
motivazioni diegetiche e virtuosistico fino a diventare ossessivo. Forse si è stati solerti a vedere solo
le innovazioni. In effetti se l’esperienza fisica e immediata dell’immagine appare come un elemento
imprescindibile, nel cinema narrativo essa non cancella ma si alterna a quella emotivo
identificatoria. Per esempio, Star Wars, presenta molti episodi esclusivamente narrativi. È come nel
film più classico, il film di Lucas ha una struttura edipica. L’inquadratura è centrata sul
personaggio. I movimenti di macchina sono diegetica mente motivati e contribuiscono,
all’identificazione spettatoriale. Il film presenta un’alternanza costante tra forme dell’immersione e
forme narrative. Mentre nell’analisi di Shaviro di Strange Days, con la distinzione tra i due regimi
divisione sembra già suggerire, l’applicabilità dello stesso concetto il film di Bigelow, è difficile
non vedere la stessa dinamica anche in Psyco. In Hitchcock l’esperienza viscerale della paura e del
brivido si alterna al desiderio di conoscenza e all’identificazione. L’ipotesi della dualità
dell’esperienza spettatoriale non è limitata al cinema di intrattenimento. Il cinema sperimentale di
Akerman per esempio, sembra muoversi costantemente tra il regime della fisicità e sensorialità da
un lato, e quello intellettuale dall’altro sia nel caso in cui si alternano fruizione fisica ed emotiva,
che quando si intrecciano percezione sensoriale ed intellettuale, la dualità dell’esperienza
spettatoriale come tratto caratterizzante il cinema postmoderno. Questa dualità può essere la
specificità cinematografica di quella frammentazione della soggettività e dell’esperienza di cui si è
parlato a proposito della condizione postmoderna.

7. Le forme del cinema contemporaneo: postmoderno, postclassico,


global
- DAL POSTMODERNO AL POSTCLASSICO: SOVRAPPOSIZIONI E DIVERGENZE
TRA CONCETTI PROBLEMATICI

Negli ultimi quindici-vent’anni la definizione sui modi di rappresentazione del cinema


contemporaneo si è sviluppato attorno a due concetti e forme: il film postclassico e il puzzle film (o
mind-game film). Il film postclassico definisce una forma filmica particolare diffusa ampiamente
soprattutto nella produzione statunitense, ma non solo. Il concetto di puzzle film invece si riferisce
invece a un genere innovativo contraddistinto da storie e psicologie complesse fortemente
destrutturate che emerge nel contesto americano metà circa negli anni novanta. Per alcuni studiosi,
il mind-game film può rientrare nella più ampia categoria di film postclassico, ma questa
sovrapposizione non è scontata. Il puzzle film non ha una identità formale univoca: può essere
postmoderno o postclassico a seconda del film.

Da un punto di vista critico-teorico la nozione di postclassicità è venuta a sostituire quella di


postmodernità: mentre negli anni ottanta e novanta si teorizzava cosa fosse il cinema/fil
postmoderno, dal Duemila circa la questione del postclassico è diventata centrale nel pensiero
critico. Alcuni autori discutono il film postclassico in modo assai simile a quanto altri facevano
qualche anno prima parlando di cinema postmoderno e mentre la riflessione sul postmoderno si
sviluppa in reale al moderno, il modello di confronto del postclassico è il classico. Ma se il discorso
sul postmoderno viene elaborato primariamente in contesti extra-cinematografici, al punto che il
cinema rimane piuttosto marginale, il pensiero critico sul postclassico viene elaborato
esclusivamente in relazione al cinema e, il più precisamente, al cinema americano. Dagli anni dieci
del Novecento sino ad oggi, si è giocato esclusivamente nell’ambito del rapporto e/o alternanza tra
classico e post-classico.

- POSTMODERNO, POSTCLASSICO E MIND-GAME FILM

Il confronto tra postmoderno e postclassico può essere riconfigurato in relazione al mind-game lm


e più in generale a quel corpus di film con “narrazione complessa” che da metà anni novanta circa si
diffondono nel contesto americano e globale. La nozione di narrazione complessa è un termine
ampio e include una tipologia di forme narrative che, in modi diversi, decostruiscono la logica
causale e razionale della classicità. Sono film sul tempo, in cui la temporalità della storia è talmente
trasforma dall’intreccio da essere di difficile decifrazione. Allo spettatore è dunque chiesto di
ricomporre, come in un puzzle, la storia, di dipanare l’enigma proposto. Anche se non mancano film
che anticipano lo scenario attuale: si pensi ai film di Buñuel e di Resnais, dove la destrutturazione
del racconto è più radicale e va vista in relazione al panorama mediale attuale, ovvero la diffusione
del computer, delle tecnologie digitali e della rete. I termini «database narrative» e «modular
narrative» fanno riferimento a racconti costruiti per blocchi autonomi e che si possono comporre
come in una struttura modulare. La narrazione imiterebbe la navigazione in rete che mette
fortemente in crisi la linearità basata sul rapporto causa-effetto.
In Modular Narratives in Contemporary Cinema, Allan Cameron ha raggruppato i racconti
modulari in una tipologia ampia in cui troviamo la narrazione anacronica (anachronic narrative) e il
racconto dai sentieri che si biforcano (forking-path narrative).

Mullholland Drive rappresenta un caso paradigmatico di narrazione anacronica. Il senso di


indeterminazione prodotto dal film di Lynch, la difficoltà ad accettare pienamente l’opposizione tra


fi
sogno e realtà - dove la prima e più lunga parte costituisce il sogno di Diane, la seconda la “realtà”
– è dovuta al fatto che l’autore inverte l’ordine diegetico abituale e il rapporto tra narrazione
primaria e secondaria. Il film inizia con la narrazione primaria che andrà ad occupare la gran parte
della diegesi. I passaggi ad altre temporalità o a dimensioni diverse dalla “realtà” vengono non solo
segnalati attraverso figure retoriche o espedienti particolari, ma rappresentano anche episodi
limitati. In Mullholland assistiamo a un rovesciamento radicale di queste prerogative: il film inizia e
prosegue per circa tre quinti con quello che si rivelerà essere il sogno di Diane. Si tratta di un
racconto con una logica narrativa comprensibile, cui si aggiungono elementi surreali e grotteschi, in
linea con lo stile lynchano, ma che in modo narra la traiettoria delle due protagoniste, lo sviluppo
della loro relazione e il mondo del cinema a Hollywood. Nulla o quasi fa pensare che sia un sogno;
senza dubbio l’autore non rivela mai il “vero” statuto dell’immagine.

Per lo spettatore il sogno è la narrazione primaria anche perché la realtà presente è costituita da
poche inquadrature e la gran parte di questa realtà è narrata in flashback. Così anche lo spettatore
accetta razionalmente il rapporto tra sogno e realtà, l’esperienza di visione lo pone in uno stato di
indeterminazione, di incertezza rispetto a tale rapporto. Affettivamente rimane legato a Betty
piuttosto che a Diane, alla carica vitale, la generosità, la bravura che contraddistinguono sia la sua
vita privata che quella professionale nel sogno. In Betty si è attivato un processo di identificazione.
Mullholland si conferma come un film postmoderno, oltre ad essere un film dalla narrazione
complessa e un mind-game lm.

Il racconto dai sentieri che si biforcano, novella di Borges, rappresenta un altro caso significativo di
narrazione complessa. Questa forma presenta versioni alternative della stessa storia mostrando
come un cambiamento minimo in uno o più eventi può cambiare radicalmente il destino dei
personaggi. Come vediamo in Lola Rennt (Lola corre, 1998), film paradigmatico di forking-path
narrative dalla grande fortuna critica, l’ultima versione può essere positiva e produrre il salvataggio
del personaggio. Nel film la protagonista riceve una telefonata dal fidanzato Manni che ha perso
100 mila marchi di proprietà del gangster per cui lavora. L’uomo ha pochi minuti per trovare la
somma e salvare la pelle. Nel terzo modulo Lola vince una grossa somma di denaro al casinò e
Manni ritrova i soldi perduti; così i due potranno restituire il debito e iniziare una nuova vita con i
soldi vinti da Lola. Nelle due versioni precedenti l’esito era negativo: nella prima moriva Lola, nella
seconda Manni. Anche in questo caso di narrazione complessa la manipolazione del tempo definisce
la costruzione dell’intreccio. Pochi istanti di differenza cambiano la configurazione degli eventi e
questa forma mette in crisi la costruzione causale e univoca e fa emergere le infinite potenzialità e
possibilità dei destini individuale. In Puzzle Film. Complex Storytelling in Contemporary Cinema,
Warren Buckland e Thomas Elsaesser (e altri), propongono i concetti di puzzle lm e di mind-game
lm per parlare di narrazioni filmiche complesse in modi non distanti da Cameron. Negli ultimi
dieci anni questa indagine è continuata grazie anche al successo di film particolare (Memento,
Inception).
Nell’introduzione a Puzzle Film Buckland pone il suo progetto in relazione alle riflessioni di
Bordwell rovesciandone la tesi. La maggior parte dei puzzle lms non sono riconducibili alla
classicità, ma sono costituiti da personaggi non-classici che compiono azioni non-classiche. Il
puzzle film è un modo di rappresentazione e di esperienza postclassico non delimitato da mimesi.

Per Elsaesser, il mind-game lm rappresenta una forma paradigmatica della contemporaneità, un


dispositivo che al tempo stesso riflette e nutre la formazione dei soggetti e il loro rapporto con i
media. L’autore da due declinazioni di mind-game lm rispetto a puzzle lm: da un lato sono film in
cui si gioca (game) col personaggio o più stesso con lo spettatore, nascondendo informazioni o
fi

fi
fi
fi
fi
fi
fi
inserendo contenuti e oggetti enigmatici interpretabili solo dopo aver scoperto il codice. Dall’altro
si tratta di opere in cui il personaggio principale è in una condizione mentale estrema, instabile o
patologica (mind). Molti mind-game lms esplorano questioni ontologiche ed epistemologiche sulla
mente umana, la conoscenza, la realtà. E sono il sintomo di nuove modalità di spettatorialità.

I personaggi dei mind-game lm vivono una crisi di identità, hanno disordini della personalità e
patologie mentali specifiche: paranoia, schizofrenia e amnesia. Ma oltre a narrare crisi di identità e
patologie mentali, questi film indagano problemi epistemologici e dubbi ontologici (su altri mondi,
e altre menti) e sviluppano una riflessione sulla coscienza umana, la mente, il cervello, realtà
multiple o mondi possibili.

Il cinema mostra il pensiero a venire, svela che c’è qualcosa che non può essere pensato. Mette in
scena la possibilità di pensare, di credere al rapporto tra io e mondo: per Deleuze tale rapporto non è
dato, ma va costruito in assenza di certezze.
Nel mind-game lm è solitamente presente solo la condizione patologica: lo spettatore è posto in
una posizione di sconforto, poiché non può non condividere il punto di vista del personaggio
principale. Il protagonista di Memento, opera chiave del genere, è il prototipo del personaggio senza
memoria. Leonard vuole riacquistare la memoria per vendicare la morte della moglie. Ma se
consideriamo l’amnesia una patologia produttiva in realtà capiamo come “dimenticare” sia
preferibile a “ricordare”. Leonard scrive sul suo corpo le azioni da compiere – per sopperire al fatto
che dimentica – e così diventa un soggetto che “si programma”. L’eroe privo di memoria è
programmabile come un’arma e come essa può essere usato.

In ultima analisi, lo studioso Walter Benjamin aveva interpretato il cinema. Se il nuovo medium a
inizio Novecento era una palestra per i sensi, insegnava allo spettatore ad affrontare gli shock della
modernità, il mind-game lm (e la nuova serialità televisiva) insegna nuove abilità cognitive, allena
a interagire con sistemi automatici di sorveglianza e controllo.

In altri interventi Elsaesser interpreta Pulp Fiction come un film sul trauma della mascolinità
bianca: in crisi con le figure paterne tradizionali, l’uomo bianco si rivolge ai padri putativi di colore,
con tutte le complesse dinamiche che ne conseguono. Indubbiamente la “crisi della mascolinità” è
un aspetto primario del mind-game lm. Il mind-game lm ha un rapporto di filiazione con il noir
degli anni quaranta e cinquanta, proprio per il connubio particolare tra struttura narrativa anacronica
e crisi della mascolinità.

- IL «GLOBAL FILM» E LE NUOVE GEOGRAFIE DEL CINEMA

Con la formula global lm si tratta di un ciclo di film in cui gli spazi e gli ambienti mostrati e/o
rappresentati restituiscono l’idea del pianeta come totalità, entità unitaria e percorribile nella sua
interezza. Tuttavia, è la sua modalità “geografica” che lo caratterizza, la differenza rispetto alle altre
categorie del cinema contemporaneo. Esso si riferisce a un cinema mainstream globale, pensato per
essere fruito in modo omogeneo dal pubblico di tutto il pianeta. Questa nozione di global considera
il modo di produzione: le multinazionali dell’intrattenimento creano prodotti che non hanno confini,
sono adattabili a pubblici molto diversificati, e hanno anche un alto potenziale crossmediale.

Il global lm si riferisce anche alla diffusione globale di un genere o di una corrente inizialmente
legata a un cinema nazione specifico. È parte di una tendenza più ampia della produzione
cinematografica contemporanea che ha trascinato con sé anche una ridefinizione di concetti e
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paradigmi critico-teorici. La globalizzazione ha prodotto una trasformazione nella concezione


geografica del pianeta e dello statuto del soggetto in questo nuovo scenario.

Mobilità, circolazione, flusso e attraversamento sono tra i concetti più diffusi per descrivere sia le
vite dei soggetti che la produzione culturale contemporanee.
Flusso di capitali, persone, immagini e tecnologie spesso possono creare un nuovo ordine di
instabilità nella vite dei soggetti, ma anche possibilità nuove ed emancipatorie. Globalizzazione e
nuove mobilità hanno prodotto una crisi di concetti e dinamiche secolari quali quello di Stato-
nazione e identità nazionale. Il nuovo scenario geografico ha ridefinito la produzione filmica
attraverso due concetti oramai istituzionali: transnational cinema e world cinema.

La condizione transnazionale del cinema può riguardare per esempio l’identità di un regista o le
condizioni produttive di un film. Nel primo caso si tratta di registi diasporici o formatisi in un paese
diverso da quello di provenienza (registi o registe arabe che solitamente frequentano scuole di
cinema francesi). Nel secondo caso parliamo della produzione, emblematico è il cinema d’autore o
indipendente europeo. Questa forma è anche un modo di produzione specifico: si tratta quasi
sempre di co-produzioni che coinvolgono diversi paesi europei e il finanziamento di Eurimages. La
sinergia tra co-produzioni, politiche di finanziamento particolari, premi e festival ha contribuito a
dare a questa forma cinematografica una vera e propria identità europea. Will Higbee e Song Hwee
Lim hanno affermato che l’attraversamento dei confini è la ragion d’essere sia del cinema
transnazionale che del suo studio, e che qualsiasi attività di attraversamento dei confini è
necessariamente carica di dinamiche di potere. Perciò nell’esaminare tutte le attività
cinematografiche che hanno a che fare con l’attraversamento dei confini l’approccio transazionale è
anche sempre attento a questioni postcoloniali, politiche e di potere e a come queste possono a loro
volta scoprire nuove forme di pratiche neocoloniali nei generi popolari o nelle estetiche autoriali.

Il concetto di world cinema ha elementi di convergenza con il transnazionale, ma anche di forte


specificità. È un modo diverso per declinare la centralità del discorso geografico nel rapporto tra
cinema e globalizzazione. Secondo la riflessione di Lùcia Nagib in Toward a Positive De nition of
World Cinema, ha lamentato la problematicità dell’uso di questo concetto in ambito anglofono,
dove per world cinema si è inteso il cinema non-hollywoodiano. Anche se la definizione è nata con
l’intento di valorizzare il world cinema, è rimasto un concetto negativo, che continua a reiterare
l’idea di Hollywood come norme. Nagib propone un concetto positivo non-binario secondo cui il
world cinema non ha centro, ma è un processo globale. Il world cinema è circolazione.

È un modo di guardare alla storia del cinema. Come la Nouvelle Vague degli anni sessanta il world
cinema è fatto di ondate di film e movimenti che creano una geografia flessibile.

Nel global lm il racconto si sviluppa in spazi geografici molteplici e lontani tra loro. L’azione si
sposta in continuazione da un contesto all’altro, dando luogo a un dinamismo estremo: velocità,
cambiamento, spostamento sono le sensazioni che questo tipo di racconto trasmette allo spettatore.
Le riprese di luoghi molteplici attorno al globo assicurano una forte spettacolarità. Spesso le
location scelte sono famose capitali – di cui ci vengono mostrate icone conosciute – ma anche
contesti naturali estremi; la tendenza è di mescolare città occidentali e orientali, paesi avanzati ed
emergenti. Alcuni degli esempi più significativi sono i film di spionaggio: Spy Game (Tony Scott,
2001), Syriana (2005) e la famosa trilogia di Jason Bourne, in particolare il secondo e il terzo
episodio, The Bourne Supremacy (2004) e The Bourne Ultimatum (2007) di Paul Greengrass. Di
Greengrass ricordiamo Green Zone (2010), che come i due Bourne vede Matt Damon nel ruolo di
protagonista. Il Global Film fa leva sulla vocazione turistica del cinema primitivo: trasporta lo
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spettatore in luoghi sconosciuti e irraggiungibili sfruttando la fascinazione per luoghi immaginati
ma non vissuti. È la frenesia del visibile che anima la cultura della modernità tra Otto e Novecento e
che un secolo dopo la globalizzazione riattiva con un nuovo vigore.

In An Aesthetic of Astonishment (1989), Tom Gunning ha sostenuto che le nuove vedute cittadine
generate dall’urbanizzazione, la crescita della società dei consumi e il suo rapporto con la cultura
visuale, l’esplorazione coloniale di nuovo popoli e territori provocarono nella società dell’epoca un
forte desiderio di consumare il mondo tramite le immagini. Il global lm rinnova questo
atteggiamento in modo significativo: diversamente dal cinema primitivo e dalle sinfonie urbane
degli anni venti, in cui oggetto del piacere scopico è un luogo specifico o una città particolare, qui è
il mondo intero a entrare in un unico film. La sceneggiatura non può comprendere letteralmente il
mondo intero, ma l’abbondanza dei luoghi presentati e percorsi dal protagonista, in deroga a ogni
regola di verosimiglianza, dà appunto l’idea del globo come totalità. Paradigmatici sono i film su
Jason Bourne, che condividono anche alcuni tratti del mind-game lm: il personaggio è senza
memoria e vive una crisi di identità. Ognuno degli episodi narra della ricerca di Bourne su sé stesso,
su come la CIA lo abbia istruito, programmato e usato per i propri fini e su perché ora cerchi di
ucciderlo. Bourne è una condizione post-traumatica incurabile e i suoi skills psichici risultano
debilitati e potenziati al tempo stesso rispetto a un soggetto “normale”

Se il genere spionistico appare come quello più frequentato dal global lm, a questa categoria
appartiene anche un grande film d’autore come Babel (2006) di Alejandro Gonzáles Iñárritu. Non è
semplicemente un film «self-consciously “global» o critico verso le politiche dell’attraversamento
dei confini, ma mette in scena una teoria della globalizzazione dimostrando come sia impossibile
rimanere al di fuori delle sue dinamiche.

Giacomo Marramao, in una sua riflessione in Passaggio a Occidente. Filoso a e globalizzazione


con una considerazione di Paul Valery che sembra uscita dalla penna di un filosofo della nostra era
globale: il sistema delle cause che governa il destino di ognuno di noi, estendendosi ormai alla
totalità del globo, lo fa a ogni scossa riecheggiare tutto quanto.

In Babel, un fucile giapponese donato a un pastore marocchino ferisce una turista americana,
mentre a San Diego, nella casa della coppia, una nanny messicana illegale mette a repentaglio la
vita dei bambini che accudisce per assistere al matrimonio del figlio. È un film globale “teorico”
perché mostra come un evento locale abbia ripercussioni globali e come i media contribuiscano alla
diffusione planetaria egli eventi. La frammentazione narrativa risponde alla necessità di
differenziare e collegale al tempo stesso luoghi e culture diverse.

Il film intreccia storie e linee narrative molteplici e racconta le tensioni tra locale e globale
attraverso la messa in scena di dinamiche familiari. Ogni famiglia è connotata culturalmente in
modo forte. Ma il peso specifico di ogni paese e cultura e sorti di popoli e individui non è lo stesso.
Ovvero, ogni attraversamento di confini è inserito in dinamiche di potere che differenziano i
soggetti l’uno dall’altro in modo deciso. Mentre la coppia alto-borghese in crisi può muoversi
liberamente all’estero, sperando con un viaggio esotico di risolvere i problemi matrimoniali, la
nanny rimasta a casa ad accudire i figli della coppia non può attraversare il confine per andare al
matrimonio del figlio. Dovendo trovare un espediente illegale, metterà in pericolo la vita dei
bambini e la propria. È chiaro che il soggetto e la cultura statunitensi hanno un valore più alto: la
notizia del ferimento della turista americana (Cate Blanchett) spopola nelle News solo a causa della
nazionalità della donna e della location – un paese arabo – in cui il ferimento avviene. Il film di
Iñárritu smaschera i rapporti di forza del pianeta e sembra posizionarsi empaticamente dalla parte
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del Global South, o almeno dei poveri messicani che con il loro lavoro arricchiscono gli Stati Uniti.
Iñárritu incarna alla perfezione le nuove dinamiche geografiche della produzione cinematografica,
mostra la circolazione e il flusso di capitali, soggetti e cose ha trasformato i vecchi rapporti binari, e
oggi posizioni critiche verso lo status quo si sovrappongono a strategie di cooptazione. Babel critica
l’imperialismo americano, ma deve servirsi delle sue stesse pratiche per compiere questa
operazione.

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