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Ma cosa significa, davvero, che la cultura è appresa?

LEZIONE 03 del 08/10/2021

Il titolo di questa lezione avrebbe dovuto originariamente essere "La cultura come
immaginazione" ma le cose da dire prima di arrivare lì erano troppe, per cui ho
ripiegato su una espansione della lezione precedente, dove dicevamo che la cultura
è appresa, chiedendoci ancora una volta un po' meglio: "CHE VUOL DIRE CHE È
APPRESA?"

Siamo ripartiti dalla fragilità della trasmissione culturale, che non potendo farsi forza
sulla codificazione genetica deve affidarsi all'insegnamento e all'apprendimento,
ponendo il problema terribile della "trasmissione intergenerazionale". Per questo
siamo partiti da un video che racconta la storia dell'uso della bicicletta in Olanda, e
abbiamo scoperto che gli olandesi non hanno le due ruote a pedali "nel DNA" (ma
guarda un po'!) e hanno invece appreso questo stile di mobilità in seguito alla
modernizzazione (automobili che aumentavano i morti in bici) e alla crisi energetica
dei primi anni settanta (che ha suscitato una nostalgia collettiva per gli spazi urbani
"prima dell'auto"). E' stata questa specifica combinazione di mutamento
tecnologico e mutamento culturale in atto a produrre una vera "cultura della bici"
in Olanda, ma la conclusione che dobbiamo trarne è solo in parte confortante, dato
che - come vedremo nella quinta lezione - il fatto che non ci siano automatismi
biologici nella trasmissione culturale rende quella trasmissione non solo soggetta più
rapidamente a mutazioni (da cui la flessibilità) ma anche a costante rischio di
oblio (da cui la fragilità). Se gli olandesi non sapranno resistere alla tendenza ad
accettare veicoli elettrici nei loro centri storici, è molto probabile che l'uso delle bici
cali progressivamente.

Per continuare però a comprendere meglio come la scoperta della "cultura animale"
abbia mutato la nostra idea di uomo, ci siamo soffermati (dal minuto 15:20 circa)
sul saggio di CLIFFORD GEERTZ "L'impatto del concetto di cultura sul concetto
di uomo". Il saggio combatte la concezione "stratigrafica" dell'uomo tipica
dell'Illuminismo, con una base biologica che attiverebbe un'inclinazione
psicologica che si accorderebbe in strutture sociali, cariche di elementi
simbolici. A questa concezione stratigrafica dobbiamo invece contrapporre una
visione in cui natura e cultura sono inestricabilmente intrecciate e si determinano
l'una con l'altra.
Per comprendere questo passaggio, sempre leggendo Geertz, abbiamo lavorato a
lungo sulla lateralizzazione emisferica e su come la nostra manualità animale
abbia progressivamente ceduto il passo all'apprendimento e alla trasmissione
culturale (il racconto – dal minuto 45:45 al minuto 56:30 – della produzione di
pietre lavorate, che gli ominidi sapevano fare probabilmente in modo naturale
(sapere innato) e che con la lateralizzazione emisferica poco alla volta è diventata
una capacità appresa culturalmente).

Il punto forte del saggio di Geertz è che IMPARARE per gli umani è
INDISPENSABILE (dal minuto 1:02:09).

Con una successione di digressioni, abbiamo comunque completato la lettura di


Geertz – L’impatto al minuto 1:08:10 e abbiamo quindi ripreso il tema generale di
come avvenga questa trasmissione/apprendimento, discutendo delle due
opposizioni principali, vale a dire FORMALE/INFORMALE e
LINGUISTICO/CORPOREO.

A questo punto, proprio per ragionare sulle forme del sapere informale, dal minuto
1:14:30 abbiamo riassunto alcuni punti dell’analisi che PIERRE BOURDIEU ha
dedicato al concetto di DISTINZIONE (La distinzione. Critica sociale del gusto 1979)
per ragionare assieme come i nostri gusti siano molto determinati da nostro capitale
economico e dal nostro capitale culturale. (Nella cartella studenti, potete trovare
una sintesi di quel modello di Bourdieu che ho scritto molti anni fa).

Abbiamo quindi finito con un piccolo test su MentiMeterer per comprendere come
questi gusti siano condivisi proprio dalle persone che appartengono alla nostra
stessa "porzione di classe", che cioè si collocano nella stessa zona del campo
sociale dove ci collochiamo noi per distinguerci dagli altri attraverso il "mi piace" e il
"mi fa schifo".

Appunti 3° lezione

Che cosa vuol dire che è appresa la cultura?

Più ci si appoggia al sapere trasmesso e più si può ridurre il numero di figli.


Sulla fragilità c’è un video: https://www.youtube.com/watch?
v=XuBdf9jYj7o&ab_channel=BicycleDutch
Questa generazione nati negli anni ‘50 che si sono formati negli anni ‘70 e che
adesso stanno andando in pensione, hanno bisogno di trasmettere questa
conoscenza. Questa fragilità costitutiva del sapere dipende dal suo modo di
trasmissione, dipende dal fatto che è appreso.

Il sapere è appreso in vari modi:

- FORMALE
- INFORMALE
- LINGUISTICO
- CORPOREO
- CULTURA ALTA
- CULTURA BASSA

Saggio: “L’impatto del concetto di cultura sul concetto di uomo” di Clifford Geertz. Il
saggio è molto importante perché si confronta con quello che stava succedendo in
quegli anni, si iniziava a rendersi conto che la cultura non era un prodotto che l’uomo
aveva inventato ma era la causa della produzione dell’umanità. Non è che prima è
arrivato l’uomo sapiens sapiens e poi ha cominciato a fare la cultura. No. C’era stato
milioni di anni prima l’Homo habilis, l’homo erectus, in tutta la linea evolutiva. Per
diversi milioni di anni abbiamo convissuto con un’altra specie di Neanderthal, perché
Neandertal era un uomo ma di un’altra specie, cosa che nessuno di noi ha memoria.
Come tra i felini esistono i leoni, le tigri e i gatti, così c’è stato un periodo in cui più di
una specie umana conviveva sul pianeta.

Neanderthal parlava, aveva un sistema simbolico complesso, Neanderthal è


probabile che avesse una qualche forma di credenza religiosa.

E quindi questo saggio dice se prendiamo questo concetto di cultura come sapere
appreso e trasmesso alle generazioni successive e incorporato, che conseguenze
ha sul concetto di uomo? Conseguenze enormi perché la cultura come oggetto di
studio nasce proprio per testare l’idea che sia possibile concepire, come facevano gli
illuministi, una natura umana privata di quei vestiti culturali. L’uomo è per natura x
(ad esempio malvagio), e poi la società lo riveste di abiti culturali. è una condizione
stratigrafica dice Geertz, possiede una base biologica che darebbe vita ad uno strato
psicologico che produrrebbe un effetto, un’interazione sociale che si proietterebbe in
un universo simbolico culturale. Come una torta a strati: la cultura nella visione
simbolica sarebbe la glassa, una specie di copertura che terrebbe al massimo
compattata assieme questa natura umana fatta di componente biologica, psicologica
(derivata direttamente da quella biologica - il cervello dipende dall’interazione con
l’ambiente, esempio dei tassisti).

Non è vero che c’è una base biologica che produce, a seconda di come è impostata,
un certo tipo di “software”. C’è una costante retroazione tra l’appartenere per
esempio a certi gruppi sociali e sviluppare certe pratiche di interazione, certi caratteri
che non sono caratteri solo perché uno ha un certo modo di vedere ma uno ha
anche un certo modo di collegare i neuroni del cervello e di collegare certe parti del
cervello a certe parti del corpo.

Siamo dentro a questo mezzo ambiente che chiamiamo cultura in cui il più delle
volte non ci accorgiamo, ci passa davanti agli occhi senza che lo cogliamo ma lavora
sul nostro corpo, sulla nostra psiche, sulla nostra organizzazione sociale e sulla
nostra organizzazione simbolica. Alla concezione stratigrafica (tipica dell’illuminismo)
dobbiamo invece contrapporre la concezione romantica di questo impasto tra uomo
e natura, tra uomo e ambiente.

L’autore fa l’esempio di un brano storico che descrive l’illuminismo: “ Lo scenario in


tempi e luoghi diversi è alterato, gli attori cambiano le vesti e l’aspetto ma i loro moti
interiori sorgono dagli stessi desideri e passioni umane e producono i loro effetti
nelle vicissitudini dei regni e dei popoli.”

Che cosa sarebbe la cultura? Nient’altro che un diverso palcoscenico e l’attore


umano può recitare diverse parti ma quando è nel camerino, si toglie il trucco. Il
problema è che in antropologia non c’è il camerino, non c’è un posto dove possiamo
accedere chiamandoci fuori dalla nostra specifica condizione umana. Non è che se
io non parlassi il toscano parlerei l’italiano standard; se nessuno mi avesse
insegnato a parlare, sarei stato un essere umano con delle enormi limitazioni. Se
ognuno di noi non apprendesse quella cosa specifica, Geertz dice “la cosa
incredibile degli esseri umani è che hanno la possibilità di diventare un sacco di cose
ma pur avendo un sacco di possibilità finiamo per vivere una sola vita”. Quello che è
interessante è capire come ci incastriamo lì dentro.

Quindi la cultura fa questo lavoro: di entrare in profondità nel nostro corpo e ci fa


umani. Questa immagine che l’uomo sarebbe una specie di attore naturale che entra
ed esce da vari palcoscenici, se la togli non resta niente. Il guaio con questo tipo di
concezione è che: “l’immagine di una natura umana costante indipendente da luogo,
tempo e circostanze, dagli studi e dalle professioni, dalle mode passeggere e dalle
opinioni temporanee è un’illusione e ciò che l’uomo è può intrecciarsi talmente con il
luogo in cui si trova, con la sua identità locale e con le sue credenze, da diventarne
inseparabile.L’antropologia moderna è salda nella convinzione che uomini non
modificati dalle usanze di luoghi particolari, non esistono, non sono mai esistiti e,
cosa assai importante, non potrebbero esistere per la natura stessa del caso. Non
può esistere un retroscena dove si può andare a gettare un’occhiata agli attori come
persone vere che si aggirano con i loro abiti di strada estraniati dalla loro professione
mentre esibiscono con franchezza priva di artifici i loro spontanei desideri e le loro
sincere passioni. Possono cambiare la parte, lo stile di recitazione ma stanno
sempre recitando. C’è un’interazione tra quello che noi siamo fisicamente e quello
che viviamo socialmente e culturalmente, è importante farci ricordare che noi non
siamo semplicemente quello che vogliamo essere. Questa recita non è
un’improvvisazione. Abbiamo dei canovacci quantomeno quando non abbiamo
proprio tutta la sceneggiatura scritta. Pensiamo alla costruzione della mascolinità e
della femminilità. Se è vero che si impara a essere maschi e si imparano alcune
azioni che corrispondono a quello che in alcune società abbiamo imparato a
considerare tipicamente maschili, si imparano a gestire alcune azioni e sentimenti e
stati d’animo che in quella società c’è stato detto che corrispondono al tipicamente
femminile. Due conseguenze ci sono: questo non ci deve far credere che quella
costruzione sia totalmente costrutta e soprattutto non ci deve far credere che altre
forme di identità sessuali o di genere siano invece più spontanee. Quello che siamo
in parte lo impariamo. Se ad un bambino entro i tre anni non gli si insegna a
camminare non camminerà mai. è innato che sia bipede? Sì, ma questo essere
innato va socialmente attivato perché non siamo animali in grado di svilupparci
singolarmente, individualmente, autonomamente. Siamo animali sociali. Quindi la
cultura è questa disposizione entro cui ci infiliamo e dentro cui in un certo senso ci
adattiamo, cominciamo ad un certo punto a sentirci a nostro agio, il più delle volte ci
si abitua.

“Coltivare l’idea che la diversità di usanze nello spazio e nel tempo non è solo
questione di costumi e di apparenza, di scenari e di maschere, vuol dire credere
anche che l’umanità è tanto varia nella sua essenza, tanto lo è nella sua
espressione.”

L’umanità tu la puoi rintracciare nelle differenze non sotto le differenze. è la


differenza che fa la differenza. Quello che ci rende umani è proprio questa costante
necessità di ancorarci a modelli appresi.
La cultura è una cosa che appartiene al mondo naturale. Apprendere e trasmettere
questo sapere è una cosa che il vivente fa da sempre, non incorporarlo
biologicamente e trasmetterlo con il DNA.

Se noi pensiamo di individuare la cultura umana, universalmente umana,


individuando delle universali culturali (il matrimonio, la religione..), è vero che posso
fare questo lavoro, ma cosa posso dire? è talmente varia la risposta a questa
domanda generale che è “gli esseri umani hanno bisogno di un senso ulteriore”
rispetto a quello che sarebbe la realtà oggettiva del mondo. Tutto questo è vero, ma
questa non è una spiegazione. è un’apertura di ricerca, poi come questo senso sia
declinato (buddismo, cristianesimo, islam etc…) questo lo posso capire lì per lì
cercando di capire qual è il senso che quella cultura dà a questo livello ulteriore, che
può essere il più variegato. L’antropologia cerca di vedere le grandi questioni
(religione ad esempio) declinate nel culto di una piccola comunità locale, quindi la
specificità. Non è vero che la scienza funziona con la capacità di individuare queste
regole generali (pensiamo ai metalli radioattivi) sono delle vere e proprie stranezze,
eccezioni ma se non li avessimo studiati a fondo, ci saremmo persi un sacco di cose
importantissime per capire come funziona l’universo.

“Uno dei fatti più significativi è che noi tutti cominciamo con l’equipaggiamento
naturale adatto per vivere mille tipi di vita ma finiamo per averne vissuta una sola.
L’uomo ha bisogno di queste fonti simboliche di illuminazione per trovare la sua
strada nel mondo perché quelle di tipo non simbolico (quelle genetiche) inserite nel
suo corpo culturalmente gettano una luce troppo soffusa” è come se la luce che ti fa
capire quella stanza è accesa da fonti simboliche, da fonti apprese. Noi non abbiamo
una luce sufficiente incorporata per capire che cosa fare nel mondo.

Pag. 92 spiegazione sintetica: visto quelle scimmie che schiacciavano le noci con i
sassi? Per cominciare ad avere un lavoro un po’ più raffinato, l’ideale è che tu abbia
una pietra da lavorare nella mano e un’altra pietra di lavoro nell’altra. Per produrre
queste pietre che già l’homo Abilis faceva (parliamo di un milione e mezzo di anni fa,
molto prima di imparare a parlare) quello era un sapere letteralmente incorporato. Ci
sono teorie su cui si sta lavorando oggi che dicono che come gli uccelli sanno fare il
nido e lo sanno fare geneticamente (è un sapere incorporato in grandissima parte),
così l’Homo Habilis è probabile che sapesse lavorare con lo stesso modo, con la
stessa immediatezza, cioè aveva la disposizione genetica. Come i castori che sanno
fare delle dighe impressionanti, perché la fonte della loro informazione è biologica.
Quindi noi siamo stati per una fase animali di questo tipo. Ma cosa succede? che
questo sapere biologico ha cominciato ad incrociarsi con il nostro cervello. Se tu sai
fare biologicamente un’amigdala (cioè una pietra), arriva un momento in cui tu sei
più efficiente e la tua pietra ti da un vantaggio evolutivo. Se tu crei una pietra più
efficiente caccerai di più, mangerai di più, ti riprodurrai di più. Quindi se uno la sa
fare peggio di te una pietra, competitivamente è svantaggiato, evolutivamente è
svantaggiato, avrà meno possibilità di riprodursi.
Com’è che può avvenire questo miglioramento della performance della produzione?
Il cervello comincia a modificarsi, è una retroazione sulle cose che fai.

“Tra il modello culturale, il corpo e il cervello fu creato un effettivo sistema di


retroazione in cui ciascuno foggiava il progresso dell’altro, un sistema in cui
l’interazione tra l’uso crescente degli attrezzi, la mutante anatomia della mano e
l’espansione della rappresentazione del pollice sulla corteccia cerebrale è soltanto
uno degli esempi più vistosi. Sottomettendosi alla guida di programmi mediati
simbolicamente per produrre manufatti, organizzare la vita sociale o esprimere
emozioni, l’uomo determinò anche se inconsciamente, le fasi culminanti del suo
destino biologico. Letteralmente, anche senza saperlo, creò se stesso.”

A forza di lavorare, alcuni di questi ominidi hann o cominciato ad avere un cervello


che iniziava a specializzarsi: la parte destra più pensata olisticamente con
informazioni di tipo parallelo, e la parte sinistra più pensata analiticamente con
informazioni di tipo sequenziale, che è esattamente quello che ti serve per fare delle
pietre efficienti. Ma nel momento in cui la fai più efficiente ti sei fregato da solo
perché sei uscito dalla biologia. Se tu hai imparato a scheggiare bene, cerchi di
prendere la tua prole e glielo insegni. Quindi il cucciolo ha una disposizione biologica
ma è sempre meno competente naturalmente e sempre di più intrappolato nella
cultura e nella trasmissione del sapere. E l’antropologia culturale studia questo
passaggio.

“A un certo particolare stadio della sua storia filogenetica, un cambiamento genetico


di qualche tipo lo mise in grado di produrre e tramandare la cultura e da quel
momento la sua forma di risposta adattativa alle pressioni ambientali fu quasi
esclusivamente culturale invece che genetica.”

Un sapere che era prevalentemente biologico e che per ragioni di ordine biofisico
inizia la lateralizzazione inizia a consentire un’accuratezza maggiore nel fare le cose
biologicamente. Quella accuratezza a quel punto non è trasmissibile biologicamente,
è trasmissibile culturalmente. C’è questa costante retroazione tra corpo e cultura
perché un bambino che abbia avuto un adulto che gli abbia insegnato precisamente
quella tecnica, lui la aggancia alla sua nuova dotazione fisiologica e la può
ulteriormente perfezionare. Siamo disposti come animali a imparare a quel punto ed
è fatta. Dal momento in cui tu inizi ad attivare questo meccanismo, non pensi più alla
pietra ma dici “io mi ricordo quando mio padre e mia madre mi ha insegnato quella
cosa e quando sarò vecchio potrò insegnarlo ai miei nipoti” Passato, presente,
futuro, io, Edelman, la seconda natura, la coscienza della coscienza. La coscienza
della coscienza viene da scheggiare pietra, ma non da questo e basta, scheggiando
pietre e tenendo ad un certo punto, un pezzettino di insegnamento e lì c'è stata la
scintilla. Non ci può essere nessuna concezione stratigrafica perché l’impatto del
concetto di uomo sul concetto di cultura è devastante per le scienze sociali, per chi
ha saputo coglierlo? Perché ti dà proprio il senso di una trasformazione.

“Per fornire le informazioni addizionali necessarie per poter agire fummo obbligati
successivamente a basarci sempre di più sulle fonti culturali, il fondo accumulato di
simboli significanti. Questi simboli non sono semplici espressioni, strumentalità o
corrispettivi della nostra esistenza biologica, psicologica e sociale. (Ne sono i
prerequisiti). Senza uomini certamente non c’è cultura, allo stesso modo e, cosa più
importante, senza cultura non ci sarebbero stati gli uomini.”

E questo ci fa radicalmente incompleti, siamo dipendenti (concetto di fragilità).


Questa fragilità non è soltanto individuale, è sociale, è superabile soltanto
socialmente.

“Diventare umani è diventare individui e noi lo diventiamo sotto la guida di modelli


culturali, sistemi di significato creati storicamente nei cui termini noi diamo forma,
ordine, scopo ed elezione alla nostra vita. E i modelli culturali coinvolti non sono
generali ma specifici. (Lo stile naturale è quello del castoro ma il castoro rimane lì;
noi che siamo imperfetti vulnerabili abbiamo bisogno di farci entrare qualcosa e
quello che ci entra è dato dalla storia dell'ambiente in cui viviamo) è quel modello
culturale che ci completa come umani ma non è un modello generale è quel modello
che ci fa umani in quel modo, non c’è un modo generale di essere umani ma sempre
specifico.

L’altra caratteristica è che l’apprendimento è indispensabile: alla gran parte degli


animali puoi anche non insegnargli nulla, alla fine ce la fa a sopravvivere, invece per
noi umani questo apprendimento è il fulcro di quello che siamo. Noi l’istinto ce lo
costruiamo, siamo in grado grazie alla flessibilità cerebrale che abbiamo visto che
dipende dall’evoluzione della specie; abbiamo questo cervello talmente plastico che
poi crea delle connessioni neuronali talmente radicate, imparate che diventano
nostre.

“Noi siamo animali incompleti o non finiti che si completano e si perfezionano


attraverso la cultura, attraverso forme di cultura estremamente particolari. Ancor più
decisiva è la sua estrema dipendenza da un certo tipo di sapere: il raggiungimento di
concetti, l’apprendimento e l’applicazione di sistemi specifici di significato simbolico.”

Gli uomini costruiscono dighe o rifugi, localizzano il cibo etc...sotto la guida di


istituzioni codificate in diagrammi di flusso e schemi, costumi di caccia, sistemi
morali e giudizi estetici: strutture morali che modellano talenti informi.

Alcune cose sono controllate intrinsecamente, per tutti gli intenti e scopi: non
abbiamo bisogno di un orientamento culturale per imparare a respirare. Altre cose
sono in gran parte culturali. Quasi tutta la complessità umana è racchiusa
nell’interazione tra queste due cose. La nostra capacità di parlare sicuramente è
innata, la nostra capacità di parlare l’inglese è sicuramente culturale.

L’impatto del concetto di cultura sul concetto di uomo sta a significare che quando la
cultura è vista come una serie di espedienti simbolici per controllare il
comportamento, di fonti di informazioni extra somatiche, la cultura fornisce il legame
tra quello che gli uomini sono intrinsecamente capaci di diventare e ciò che in effetti
sono divenuti, nella loro specificità.

Diventare umani è diventare individui e noi lo diventiamo sotto la guida di modelli


culturali, sistemi di significato creati storicamente, nei cui termini noi diamo forma,
ordine, scopo e direzione nella nostra vita. E i modelli culturali non sono generali ma
specifici. L’uomo non deve essere definito soltanto in base alle sue capacità innate,
come cercò di fare l’illuminismo, né solo in base ai suoi effettivi comportamenti,
come cerca di fare gran parte della scienza contemporanea, ma piuttosto partendo
dal legame tra di essi, dal modo in cui le prime si trasformano nei secondi, le sue
potenzialità generiche si realizzano nelle sue imprese specifiche.

Dobbiamo in breve scendere nei particolari, oltre le etichette fuorvianti, oltre i tipi
metafisici, oltre le vuote somiglianze, per cogliere appieno il carattere essenziale non
solo delle varie culture, ma dei vari tipi di individui entro ogni cultura, se vogliamo
incontrare l’umanità faccia a faccia.”
Dire che la cultura è appresa tuttavia, significa molto poco. La prima differenza che
facciamo è tra: formale e informale che si incrocia con linguistico/corporeo

- formale: tutto ciò che è appreso in un contesto in cui è chiaro chi insegna, chi
impara e che cosa viene insegnato. Quando c’è un contesto riconoscibile: si
sa chi insegna, si sa chi apprende ed è anche abbastanza chiaro il contenuto
dell’insegnamento. L’esempio più clamoroso è la scuola e tutto il sistema
educativo che è fatto apposta per consentire questo apprendimento in
maniera formale
- linguistico/formale: la lezione universitaria
- linguistico/informale: l’apprendimento degli usi (Gigi D’Alessio),
l’apprendimento dei gusti, dei giudizi che diamo (l’apprendimento passa molto
spesso dal giudizio, sento in giro un mi piace, non mi piace e imparo quello
che è bello e che non è bello, cioè ho un modello di riferimento e lo acquisisco
come apprendimento)
- corporeo/formale: è la scuola di calcio, la scuola di danza. Primariamente si
impara a muoversi nello spazio in certi modi appresi in maniera strutturata
- corporeo/informale: espressioni facciali che hanno una base biologica molto
forte, ma riguarda anche tutti i modi di camminare, le posture

Pierre Bourdier nel 1979 pubblica una ricerca che aveva cominciato addirittura negli
anni ‘60 in Francia sui gusti estetici in generale, in cui scopre che il gusto legittimo
riguarda quello che si apprende formalmente (letteratura: Dante, Petrarca,
Boccaccio), il gusto in via di legittimazione che sono alcuni aspetti del sapere
estetico nuovi (il cinema rispetto al teatro) oppure che sono di maggior spessore
culturale (Fabrizio De André). Nel gusto legittimo ci sta Mozart, Bach etc...i grandi
nomi, nel gusto in via di legittimazione ci potrebbe stare Franco Battiato anche; poi
c’è il gusto libero che riguarda tutte le cose che sono apprese informalmente come i
gusti alimentari, l’abbigliamento, l’arredamento.
Queste tre tipologie dipendono dal capitale complessivo acquisito ed ereditato. Il
capitale complessivo è il capitale economico (soldi) e capitale culturale (titolo di
studio) acquisito (ho un dottorato di ricerca e tot. soldi in banca in questo momento).
Il capitale ereditato che vuol dire (il titolo di studio di tuo padre e i soldi della tua
famiglia). Il gusto dipende in maniera preponderante dal capitale acquisito quanto
più è legittimo, quanto più si parla di Mozart, di Bach di Leonardo da Vinci
etc..quanto più è trasmesso in modo formale, tanto più il tuo capitale complessivo
(quanti soldi guadagni e che titolo di studio hai) determineranno il tuo gusto.Quanto
più si scende verso il gusto in via di legittimazione o libero, tanto più diventano
determinanti anche le forme di capitale ereditato cioè la famiglia da cui proviene.

Quindi ci collochiamo in questo spazio, in queste porzioni di classe attraverso la


distinzione. Cioè noi tendiamo ad identificarci in una di queste porzioni dello spazio
sociale e a distinguerci chiaramente (a noi Gigi d’Alessio non ci piace!). Guardate in
base al titolo di studio, a cosa vi piace etc, dove vi collocate.

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