Perché
non è la cultura, quel che ci fa umani, ma la nostra
consapevolezza di avere una cultura
Lezione di apertura del modulo A di Antropologia culturale 2021/22, tenuta il 4
ottobre 2021.
Abbiamo iniziato, finalmente! E' tuttora un bel casotto gestire Teams, Zoom e le
presenze, ma ce la faremo, lo sento dall’attenzione delle studentesse e degli
studenti, dall’interesse che travalica la questione burocratica di “fare l’esame” ed
esprime una bella e genuina passione per la conoscenza.
Una volta introdotta la vulnerabilità radicale del vivente, che deve accettare la
propria permeabilità per partecipare dell'Essere, abbiamo cominciato a definire la
CULTURA come SAPERE APPRESO. In prima istanza, l'abbiamo contrapposto al
SAPERE INNATO e abbiamo definito quindi la
Abbiamo quindi iniziato a portare alcuni esempi di CULTURA ANIMALE, vale a dire
di sapere appreso e trasmesso nel mondo animale (gli scimpanzé di JANE
GOODALL; i babbuini di ROBERT SAPOLSKY; l'orso M49).
Una volta chiarito che il sapere appreso (la cultura, cioè) non è una prerogativa o
appannaggio esclusivo degli umani, ci siamo dunque chiesti cosa allora costituisca
la specificità del sapere culturale umano, e con l'aiuto di GERARD EDELMAN
(Seconda natura), l'abbiamo individuata in due qualità:
Abbiamo concluso introducendo quello che sarà uno dei temi della prossima lezione,
vale a dire la persistente differenza tra sapere innato e sapere appreso. Anche se
cioè il sapere appreso tende rapidamente a incorporarsi, a diventare profondamente
nostro (pensate a come sia difficile lasciare i movimenti del muscolo linguale e della
bocca che associamo al nostro modo "spontaneo" di parlare, quando dobbiamo ad
esempio imparare una seconda lingua in età adulta), il sapere appreso si differenzia
da quello innato per la sua enorme rapidità di mutamento e per la sua fragilità di
manutenzione, come vedremo iniziando a raccontare l'apologo del millepiedi e
della formica. A mercoledì 6 ottobre!
Breve lettura di un saggio “ L’impatto del concetto di cultura sul concetto di uomo”.
“Come ci ricorda Rita Levi Montalcini, noi siamo animali incompleti, noi viviamo in una
lacuna di informazioni. Tra quello che ci dice il nostro corpo e quello che dobbiamo sapere
per funzionare, c’è un vuoto che dobbiamo riempire noi stessi, e lo riempiamo con le
informazioni (o disinformazioni), fornite dalla nostra cultura.” Pag. 94.
Potremmo definire la cultura come quel tentativo di colmare quella lacuna. La cultura è un
sapere e un saper fare un tipo di sapere. La cultura è un sapere in quanto appreso.
Se c’è il sapere totale degli esseri umani (da respirare a scrivere in sanscrito ad es) e lo
chiamiamo sapere totale. Se gli togliamo il sapere innato (cioè quello che sappiamo fare ma
che non abbiamo imparato, ce lo abbiamo già al momento della nascita), resta il sapere
appreso che è esattamente la cultura.
La cultura fa di tutto per farci dimenticare che l’abbiamo imparata, ma sappiamo da qualche
parte che le cose che sappiamo in parte le abbiamo apprese.
La cultura ci fa sentire come nostro qualcosa, anche se l’abbiamo appreso perché scava
sotto, non è un apprendimento formale. La cultura è un processo di apprendimento che
tende ad entrare molto in profondità nel nostro corpo fisiologicamente, al punto da farlo
sentire parte di noi. Uno potrebbe fare l’errore di pensare agli animali come “sapere innato” e
esseri umani “sapere appreso” ma è errato! Gli animali hanno forme anche complesse di
sapere appreso (più guardiamo a scale complesse dell’evoluzione è interessante scoprire
che c’è una cultura animale, c’è un sapere appreso). Gli animali sono in grado di imparare e
di trasmettere il sapere appreso (vedi video scimpanzé).
La seconda caratteristica della cultura è che è un sapere che deve essere trasmesso. Se è
soltanto appreso si perde, un sapere è culturale quando viene trasmesso inter-
generazionalmente. La cultura non è la conseguenza della nostra umanità ma è la
premessa. Noi siamo umani come ci sentiamo oggi perché eravamo già animali culturali in
grado di apprendere e trasmettere questo sapere ma, su questa base, si sono attivati delle
retroazioni positive che hanno provocato una serie di mutamenti fisici, psicologici e mentali
che ci hanno fatto diventare quello che siamo.
Cultura è anche imparare comportamenti sociali, è anche essere aggressivi, tolleranti,
impazienti. Anche queste cose si possono imparare e gli animali hanno sicuramente una
cultura anche in questo senso.
Un libro che merita di essere letto è di Robert Sapolski “Perché alle zebre non viene
l’ulcera?). L’autore è un primatologo (un esperto di babbuini). Nel libro spiega molto bene i
meccanismi neurofisiologici dello stress. Una zebra se inseguita da un leone, ha una serie di
attivatori ormonali potentissimi però scatena una serie di attivatori che servono alla zebra
per tentare di sopravvivere. ma quanto dura questa tempesta ormonale? Un paio di minuti
perché o il leone riesce a prendere la zebra e mangiarla oppure la zebra riesce a scappare e
a quel punto tutti i livelli ormonali tornano alla normalità.
Noi esseri umani, abbiamo il mutuo da pagare che ti fa tenere quello stesso identico livello di
stress fisiologico per vent’anni, ecco perché abbiamo l’ulcera.
In un altro libro racconta dei babbuini. I babbuini sono famosi per essere particolarmente
aggressivi, particolarmente gerarchici. “I babbuini della savana hanno acquisito un
temperamento aggressivo come difesa contro i predatori e la loro aggressività non può
essere accesa e spenta come un interruttore perché è parte integrante della personalità di
queste scimmie, così profondamente radicata che li rende aggressori potenziali in
qualunque situazione.”
E l’autore fa vedere che questa aggressività non è così connaturata.E parliamo del punto
forte del rapporto tra genetica e ambiente.
Nel gruppo di babbuini che lui stava studiando, lì vicino c’era una specie di resort per turisti e
quindi si era accumulata molta spazzatura. I maschi andavano lì a prendere la spazzatura,
facendo una specie di discarica dove buttavano anche delle carcasse di bovini macellati con
la tubercolosi. Per noi la tubercolosi è una malattia molto lenta, per i babbuini pare che in
pochi giorni muoiano. L’autore se ne va da quel luogo e torna un paio d’anni dopo con la
moglie, vuole farle vedere quel luogo e si accorge che c’è stato un cambiamento sociale
incredibile. I maschi che andavano a prendere la roba nella discarica, erano i maschi alfa, i
più aggressivi ed erano morti tutti. Quelli più pacifici sono rimasti nel gruppo. Quindi si
vedeva che c’era una specie di calo generale dell’aggressività nel gruppo, ma la cosa
interessante è che questo calo dell’aggressività ha portato due maschi adulti a spulciarsi e
altri maschi di altri gruppi che arrivano nel nuovo gruppo a un anno e mezzo o due anni
(quindi già formati caratterialmente), una volta arrivati nel gruppo tendono ad acquisire
questo spirito pacifico al punto che le femmine li accolgono sessualmente molto prima dei 15
mesi come negli altri casi. Anche dopo due soli mesi. Quindi si attivano dei comportamenti
molto meno competitivi e aggressivi e vengono trasmessi. Esattamente questa è cultura.
La vita, in particolar modo quella degli umani, è interazione tra ambiente e genetica. C’è una
parola chiave che è epigenetica. Epigenetica è una scienza che cerca di studiare proprio
come l’ambiente attivi o disattivi particolari disponibilità genetiche. Due fratelli gemelli topi
assolutamente identici, a seconda di come è nutrita la madre, possono sviluppare malattie
che sembrano genetiche o no. A seconda di come si nutre la madre, si attiva o disattiva un
gene che genera l’obesità. Due fratelli gemelli che a seconda di come è stata nutrita fa dei
figli che le assomigliano molto o che sono malati di questa malattia genetica che però si
attiva o disattiva a seconda dell’alimentazione della madre.
La cultura è l’acquisizione di modelli di comportamento che sono adattivi in certi contesti e
che non necessariamente sono scritti in toto nel patrimonio genetico.