“Il richiamo di Cthulhu”, capitolo terzo, La follia che viene
dal mare. Newton-Compton editore.
Poi, spinti dalla curiosità, avevano proseguito la
navigazione sullo yacht catturato, sotto il comando di Johansen. Ad un tratto avevano avvistato una grande colonna di pietra che emergeva dal mare e, a 47° 9' di Lat. Sud e 126° 43' Long. Ovest, si erano imbattuti in un’isola ricoperta di fango, di melma e di mura ciclopiche e muschiose, la quale altro non era che l’incarnazione tangibile del supremo terrore della terra: la città-sepolcro di R’lyeh, edificata innumerevoli eoni prima da quegli enormi, disgustosi esseri discesi dalle stelle oscure. Lì giacciono Cthulhu e le sue orde, nascosti in caverne verdi e melmose da dove, dopo cicli incalcolabili, hanno infine trasmesso i loro pensieri che hanno diffuso la paura nei sogni degli uomini sensibili e hanno ordinato imperiosamente ai fedeli di accorrere sin lì in un pellegrinaggio di liberazione e restaurazione. Tutto questo Johansen non lo sospettava, ma Dio solo sa se lui, subito dopo, non vide abbastanza! Credo che solo la cima della montagna, quell’orrenda cittadella coronata dal monolito in cui il Grande Cthulhu fu sepolto, emergesse dalle acque. Quando penso alla vastità di ciò che incombe laggiù, vorrei uccidermi subito. Johansen ed i suoi uomini furono intimoriti dalla maestà cosmica di quella stillante Babilonia edificata da antichi demoni, e dovettero sospettare, senza alcuna cognizione, che non appartenesse né al nostro né a nessun altro pianeta sano. Il timore reverenziale che provarono davanti alle dimensioni incredibili dei blocchi di pietra verdastri, all’altezza vertiginosa del grande monolito intagliato, e davanti all’identità stupefacente delle statue colossali e dei bassorilievi con la strana statuetta trovata nello scrigno dell’Alert, lo si avverte acutamente in ogni rigo della spaventata descrizione dell’ufficiale. Senza sapere che cosa sia il Futurismo, Johansen vi si avvicinò molto quando parlò della città; infatti, invece di descrivere una struttura definita o un edificio, egli si sofferma solo sulle impressioni generali di vasti angoli e superfici di pietra, superfici troppo grandi per appartenere a qualcosa di adatto a questa terra, e rese empie da figure orribili e geroglifici. Riferisco il suo discorso sugli angoli, perché mi fa pensare a qualcosa che Wilcox mi aveva detto dei suoi sogni spaventosi. Aveva detto che la geometria della città del sogno era anormale, non euclidea, e disgustosamente memore di sfere e dimensioni diverse dalle nostre. E un marinaio illetterato aveva provato la stessa cosa nel guardare quella terribile realtà. Johansen ed i suoi uomini sbarcarono su un pendio fangoso di quella mostruosa acropoli, e si arrampicarono con difficoltà lungo i blocchi titanici e melmosi che non potevano assolutamente essere dei gradini per esseri umani. Perfino il sole sembrava distorto se visto attraverso il miasma polarizzante che fluiva da quella corruzione intrisa di mare. E ansia e minaccia si celavano maligne dietro quegli angoli inafferrabili di roccia scolpita, dove uno sguardo più approfondito poteva scorgere una concavità laddove prima aveva visto solo una convessità. Qualcosa di molto simile alla paura aveva assalito tutti gli esploratori, e questo prima ancora che vedessero altro oltre alle rocce, al limo e alle alghe. Ognuno avrebbe voluto scappare, se non fosse stato per il timore di essere disprezzato dagli altri, e fu solo con l’angoscia nel cuore che essi cercarono poi – invano, come si rivelò – qualche ricordo da portare via. Fu Rodriguez, il portoghese, che si arrampicò fino ai piedi del monolito e gridò di aver trovato qualcosa. Gli altri lo seguirono, e guardarono con curiosità l’immensa porta scolpita con il bassorilievo dell’ormai familiare piovradrago. Era – diceva Johansen – simile ad un grande portone; e tutti capirono che si trattava di una porta a causa degli architravi ornati, della soglia e degli stipiti, sebbene non riuscissero a decidere se fosse inserita nella roccia di piatto o obliquamente. Come avrebbe detto Wilcox, la geometria di quel luogo era tutta errata. Non si poteva essere certi che il mare e la terra fossero orizzontali: di conseguenza, la posizione relativa di ogni altra cosa sembrava fantasmagoricamente variabile. Briden spinse la pietra in molti punti senza alcun risultato. Poi Donovan la tastò delicatamente lungo i bordi, premendo un punto dopo l’altro, mano a mano che avanzava. Si arrampicò interminabilmente lungo la grottesca modanatura di pietra – cioè, si può affermare che si arrampicava, se si ammette che la porta non era orizzontale – e gli uomini si chiesero come potesse esistere nell’universo una porta così vasta. Poi, lentamente e con delicatezza, la parte superiore del pannello cominciò a cedere verso l’interno; e videro che si bilanciava. Donovan scivolò, o in qualche modo si spinse lungo lo stipite, e raggiunse i suoi compagni, e tutti guardarono lo strano retrocedere del portale dalle mostruose incisioni. In quella fantasia di distorsioni prismatiche, il battente si muoveva anormalmente in senso diagonale, cosicché tutte le regole della materia e della prospettiva sembravano sconvolte. L’apertura era buia, di un’oscurità quasi tangibile. Quelle tenebre avevano veramente una qualità concreta; infatti, oscurarono parti delle pareti interne che avrebbero dovuto essere illuminate e, simili a fumo, uscirono dalla loro prigione millenaria, oscurando visibilmente il sole mentre si allontanavano nel cielo, rimpicciolito e incupito, su ali membranose. L’odore che si alzò dalle profondità appena scoperte era intollerabile, e infine ad Hawkins, che aveva l’udito fine, parve di sentire un rumore strisciante e minaccioso provenire dalle tenebre. Tutti si misero in ascolto, e stavano ancora ascoltando, quando la Cosa apparve con passo pesante e, a tentoni, infilò la sua immensità verde e gelatinosa attraverso la buia soglia, uscendo nella fetida aria esterna di quella velenosa città di follia. La mano del povero Johansen aveva quasi ceduto mentre descriveva questa scena. Dei sei uomini che non raggiunsero mai la nave, egli riteneva che due fossero morti di paura in quell’istante maledetto. La Cosa è indescrivibile: non esiste una lingua per simili abissi di follia urlante e antichissima, per simili contraddizioni soprannaturali della materia, della forza e dell’ordine cosmico. Una montagna che camminava o barcollava. Dio! Non c’era da meravigliarsi che dall’altra parte della terra un grande architetto fosse impazzito, e il povero Wilcox fosse stato colto telepaticamente dal delirio, in quell’istante. La Cosa che aveva ispirato gli idoli, quel figlio verde e nauseabondo delle stelle, si era destato per reclamare ciò che era suo. Le stelle erano tornate nelle giuste configurazioni, e quello che un Culto millenario non era riuscito a fare di proposito, un gruppo di marinai innocenti l’aveva fatto per caso. Dopo bilioni di anni, il Grande Cthulhu era di nuovo libero, ed esultava per la gioia.