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BIOCHIMICA lezione 22/11

▪ GLUCONEOGENESI (processo anabolico)

Vengono definite tre reazioni della glicolisi catalizzate da enzimi regolatori, caratterizzate da
un deltaG ampiamente esoergonico in condizioni reali.
In questa tabella vengono messe a confronto le variazioni di energia libera in condizioni
standard e in condizioni reali per un tipo cellulare dove avviene la glicolisi (eritrociti).
Se si tiene conto delle concentrazioni reali dei diversi intermedi della glicolisi otteniamo i
valori di deltaG dell’ultima colonna: la prima reazione è catalizzata dall’enzima esochinasi, la
terza è catalizzata dall’enzima fosfofruttochinasi1, e l’ultima reazione catalizzata dal
piruvatochinasi, accompagnate da un deltaG ampiamente negativo.
Solo queste reazioni hanno visto, nel corso dell’evoluzione, i propri enzimi avere un
comportamento regolatorio: nella loro struttura vi è al meno un dominio in grado di legare
un effettore (positivo o negativo) che tendono a mantenere l’omeostasi.
In particolare si ricorda l’effetto che l’ATP ha sulla terza reazione catalizzata dall’enzima
fosfofruttochinasi1 e sull’ultima reazione andando ad inibire gli enzimi e quindi a rallentare la
glicolisi; al contrario l’ADP e l’AMP insieme al fosfato
sono effettori allosterici positivi, mentre NADH e citrato
sono effettori negativi.
Inoltre, queste reazioni sono irreversibili, perché il
deltaG ampiamente esoergonico può essere difficilmente
portato ad un valore positivo (che consentirebbe che la
reazione avvenisse in senso opposto quando la
concentrazione del substrato e dei prodotti varia).
Per le altre reazioni in tabella, il deltaG è molto piccolo
vicino allo zero: vuol dire che sono reazioni reversibili
che possono avvenire in entrambe le direzioni al variare
delle concentrazioni dei reagenti e dei prodotti.
Lo studio della gluconeogenesi si dedica soprattutto alla
caratterizzazioni di quelle reazioni che bypassano le
reazioni irreversibili della glicolisi. Per tutte le altre
reazioni si farà riferimenti agli stessi enzimi e reazioni
descritti dalla glicolisi.
In questa immagine vi sono le tre reazioni (o bypass) che permettono di ripercorrere a ritroso la
via glicolitica ( indicate con le frecce gialle).
Mentre nella glicolisi la trasformazione del fosfoenolpiruato in piruvato catalizzata dall’enzima
piruvato chinasi avviene in un’unica reazione (come indicato dalla freccia grigia a destra); la
trasformazione inversa del piruvato in fosfoenolpiruvato richiede un certo numero di reazioni.

1. Il piruvato viene fatto entrare all’interno della matrice mitocondriale, dove l’enzima
carbossilasi lo trasforma in ossalacetato. Si passa da un composto a 3 atomi di carbonio ad
uno con 4 atomi di carbonio, dove l’atomo di C in più viene fornito dalla CO2 in un
meccanismo che consuma ATP.
2. Dall’ossalacetato si ottiene il malato, in una reazione catalizzata dall’enzima malato
deidrogenasi (nel ciclo di krebs avviene in direzione contraria perché l’ossalacetato viene
continuamente consumato dalla reazione della citrato sintasi).
3. Il malato (formatosi all’inerno dei mitocondri) esce dai mitocondri e entra nel citoplasma
(dove avviene la gluconeogenesi), dove viene convertito in ossalacetato, in una reazione
catalizzata da un secondo isoenzima malato deidrogenasi. Ma mentre nei mitocondri (dove
abbonda l’NADH per le reazioni del ciclo di krebs) viene formato il malato, qui il malato
viene riconvertito in ossalacetato con la differenza che vi è formazione di NADH. Lo scopo è
quello di portare equivalenti riducenti dalla membrana mitocondriale al citosol.
4. L’NADH è fondamentale nella gluconeogenesi perché c’è una reazione che impiega NAD o
NADH a seconda che la reazioni sia diretta o inversa. L’ossalacetato viene poi convertito in
fosfoenolpiruvato; anche qui da un intermedio a 4 atomi di C, formatosi precedentemente
ad opera di una carbossilasi, si ritorna ad avere un composto a 3 atomi di carbonio, in una
reazione in cui interviene un nucleotide trifosfato (GTP) e si perde la molecola di anidride
carbonica (precedentemente legata per fornire un atomo di C).
Il sistema per cui viene legato 1C che entra come anidride carbonica per poi uscire sempre come
anidride carbonica, è stato escogitato per creare dei substrati per formare un composto a 3 atomi
di carbonio, che non è facile raggiungere se non si avesse l’intermedio a 4 atomi di carbonio.
Il modo in cui si viene a formare il piruvato può essere legato a diversi sistemi: il piruvato si può
ottenere anche all’interno dei mitocondri dalla degradazione di alcuni amminoacidi o per
transaminazione della lamìna). In alcuni tessuti (come nel muscolo), dove è disponibile una
grande quantità di piruvato spesso in eccesso rispetto alla capacità metabolica di respirazione,
viene utilizzato come elemento per la transaminazione : molti amminoacidi, nel corso del turnover,
conferiscono il gruppo amminico al piruvato anziché al chetoglutarato da cui si ricavava
glutammato. Dal piruvato si ottiene, invece, l’alanina, che potrà arrivare nei mitocondri nei tessuti
specializzati per la gluconeogenesi ed essere transaminata all’interno dei mitocondri per dare
piruvato.
La piruvato carbossilasi è un enzima presente nel mitocondrio degli eucarioti che catalizza la
reazione irreversibile di carbossilazione del piruvato per la formazione di ossalacetato. È un enzima
che richiede, come cofattore, la biotina, legata covalentemente alla struttura dell’enzima
attraverso un residuo di lisina. Il meccanismo di reazione ipotizzato prevede due tappe: nella
prima tappa si forma un sistema enzima-biotina, con la formazione di una carbossibiotina legata
all'enzima. La seconda tappa prevede il trasferimento del carbossile dalla biotina al piruvato per la
formazione dell'ossalacetato.

Dopo la formazione dell’ossalacetato nel citoplasma, si ha la trasformazione


dell’ossalacetato dalla fosfoenolpiruvato cabossichinasi (un enzima che toglie l’atomo di
carbonio che era stato aggiunto al piruvato dalla carbossilasi) portando alla formazione del
fosfoenolpiruvato. In questa reazione è coinvolto il GTP, che on si idrolizza ma reagisce
direttamente con gli altri substrati (in questo caso si ha un attacco nucleofilico al fosfato
gamma del GTP, dove si formerà una struttura intermedia di tipo enolica ).
In alcuni tessuti l’enzima fosfoenolpiruvato carbossi chinasi è mitocodriale; qui la gluconeogenesi è
caratterizzata dal lattato come substrato di partenza. In presenza di acido lattico, l’enzima lattato
deidrogenasi può produrre piruvato; nella direzione del piruvato si viene a formare NADH nel
citosol; dunque non è più necessario che l’ossalacetato venga convertito in malato per portare alla
formazione di NADH.

La differenza fra il percorso di destra e quello di sinistra sta nella quantità di NADH presente nel
citosol: in particolare, il rapporto NAD/NADH regola le deidrogenasi; quando c’è molto NADH nel
citosol a causa dell’abbondanza dell’acido lattico, non si ha la reazione della malato deidrogenasi.
Nel corso dell’evoluzione, i sistemi di regolazione trascrizionale hanno fatto in modo di esprimere
un isoenzima della fosfoenolpiruvato carbossichinasi nei mitocondri, e da questi potrà passare nel
citosol dove servirà come substrato per le successive reazioni della gluconeogenesi.
Il primo enzima impiegato nella seconda fase della glicolisi è la gliceraldeide 3-fosfato
deidrogenasi; le deidrogenasi sono enzimi che catalizzano il trasferimento del potere riducente da
una molecola riducente che si ossida, ad un'altra molecola che si riduce (reazione redox). I
substrati di tale enzima sono NAD (nicotidammide adenin dinucleotide) e FAD (flavin adenin
dinucleotide).
In questo step la deidrogenasi catalizza la conversione della gliceraldeide 3-fosfato in 1,3-
bisfosfoglicerato: sullo stesso sito catalitico, viene ossidato il gruppo aldeidico a carbossilico con
conseguente riduzione del NAD+ a NADH e, in seguito, il gruppo carbossilico è in grado di formare
con un ortofosfato, un legame anidridico. Il primo processo è molto esoergonico (libera energia)
mentre il secondo è molto endoergonico (richiede energia); se non ci fosse il sito catalitico, la
reazione globale non avverrebbe: si verificherebbe la prima reazione con liberazione di energia
che si disperderebbe come calore e che, quindi, non sarebbe utilizzabile per formare il legame
anidridico. Dopo la formazione dell'1,3-bisfosfoglicerato, l'enzima riassume la sua struttura di
partenza ed è già pronto per agire su un nuovo substrato.
La deidrogenazione del 1,3-bisfosfoglicerato porta alla formazione della gliceraldeide-3-fosfato.
Quando non viene consumata la gliceraldeide 3 fosfato per la via ossidativa, ma al contrario viene
formata a partire dall’1,3-bifosfoglicerato, si verrà a formare il didrossiacetone fosfato;
La gliceraldeide-3-fosfato viene isomerizzata, per mezzo dell'enzima triosofosfato isomerasi, nello
zucchero Diidrossiacetone fosfato.
La condensazione tra gliceraldeide 3 fosfato e diidrossiacetone fosfato porta alla formazione dello
zucchero fruttosio-1,6-bisfosfato, attraverso l’enzima aldoasi.
L'idrolisi del gruppo fosforico legato al carbonio numero 1 del fruttosio-1,6-bisfosfato, che viene
rilasciato sotto forma di fosfato inorganico, porta alla formazione di fruttosio-6-fosfato, grazie
all’enzima fruttosio 1,6-bifosfatasi. Questo passaggio è di fondamentale importanza per l'intero
ciclo in quanto è una vera e propria "valvola" di controllo. Sull'enzima fruttosio-1,6-bisfosfatasi
agiscono diversi modulatori che possono essere raggruppati in modulatori enzimatici del fruttosio-
1,6-bisfosfatasi e, in via più specifica, modulatori ormonali della glicolisi/gluconeogenesi.
Il fruttosio-6-fosfato viene isomerizzato, per mezzo
dell'enzima fosfoglucoisomerasi, a glucosio-6-fosfato.
Il glucosio 6-fosfato, nell'ultima reazione della
gluconeogenesi, viene idrolizzato dall'enzima glucosio-
6-fosfatasi a glucosio. Il fosfato inorganico presente
nel carbonio numero 6 viene ceduto all'ambiente
endocellulare.
La molecola di glucosio sintetizzata è la tappa finale
della gluconeogenesi ed è, in altre parole, una
biomolecola glucidica sintetizzata da precursori non
glucidici.
Nella cellula, il glucosio 6 fosfato può essere utilizzato
attraverso la formazione di un altro intermedio: il glucosio
1-fosfato, che poi può essere immagazzinato come
glicogeno.
Nell’immagine, è possibile notare un confronto fra le due attivita della fosfofruttochinasi1 (a sinistra) che
funge da enzima glicolitico (irreversibile) e trasforma il fruttosio 6-fosfato in fruttosio 1.6-bifosfato e
impiega ATP, rispetto all’enzima fruttosio bisfosfatasi1 (specifico della gluconeogenesi) che trasforma il
fruttosio 1,6-bifosfato in fruttosio 6-fosfato. Questi due enzimi sono regolati in modo diverso ma sono
interdipendenti: ciò significa che allo scopo che siano contemporaneamente attive la via catabolica
(glicolisi) e la via anabolica (gluconeogenesi) i segnali di regolazione fanno in modo che quando una delle
due vie è attia, l’altra sia inattiva, e viceversa.

L’AMP (segnale di attivazione per l’enzima fosfofruttochinasi1) e il fruttosio 2,6-bisfosfato (attivatore della
fosfofruttochinasi1 nella glicolisi e disattivatore della gluconeogenesi) sono due elementi regolatori che
agiscono in senso opposto. Questo fa sì che quando aumenta la concentrazione del fruttosio 6-fosfato
tende ad aumentare quella del fruttosio 2,6-bisfosfato, che a sua volta attiva la glicolisi e
contemporanemente inattiva la gluconeogenesi.

Nel grafico viene mostrato ciò che accade all’aumentare della concentrazione del fruttosio 6-fosfato: si
viene a produrre una maggiore quantità di fruttosio 2,6-bisfosfato e in presenza di quest’ultimo l’attività
della fosfofruttochinasi1 (indicata in termini percentuali sull’asse delle y) aumenta (come indicato dalla
curva rossa; mentre quando non è presente il fruttosio 2,6-bisfosfato (attivatore allosterico) l’attività di
trasformazione del fruttosio 6-fosfato in fruttosio 2,6-bisfosfato risulta essere depresse e si raggiunge
un’attività significativa solo ad alte concentrazioni del substrato (il fruttosio 6-fosfato).
Per la bisfosfatasi1, si osserva la stessa cosa, ma al contrario. La sua attività (indicata in termini
percentuali sull’asse delle ordinate) in presenza del fruttosio 2,6-bisfosfato (che funge da inibitore)
è molto più bassa a parità di concentrazione del substrato (fruttosio 1,6-bisfosfato) rispetto al caso
in cui è assente il fruttosio 2,6-bisfosfato. In particolare, l’inibitore non è presente quando la
concentrazione del fruttosio 6-fosfato è molto limitata, dal momento che esso è il suo precursore.
La sintesi del fruttosio 2,6-bisfosfato avviene ad opera della fosfofruttochinasi2 (PFK-2) e andrà ad
attivare la glicolisi e ad inattivare la gluconeogenesi. Anche in questo caso si ha la possibilità di
ritornare al composto iniziale : il fruttosio 6-fosfato, attraverso una fosfatasi, la fruttosio
bisfosfatasi2 (FBPase-2). A seconda di come vengono attivati o inattivati i due enzimi, si avraà
una maggiore oo minore concentrazione del fruttosio 2,6-bisfosfato. Dunque, rappresenta un altro
livello di controllo della glicoli e della gluconeogenesi, che avviene attraverso una fosforilazione; si
ha un enzima che possiede due domini: uno chinasico e uno fosfatasico. Nella forma defosforilata
è attivo il dominio chinasico ed è inattivo quello fosfatasico. Quando viene attivata la chinasi che è
dipendente dall’AMP ciclico, dipendente a sua volta dai segnali extracellulari (come il glucagone),
si avrà la fosforilazione dell’enzima. Nella forma fosforilata, invece, la fosfatasi è attiva mentre la
chinasi è inattiva.
Dunque, attraverso un unico evento di fosforilazione, avendo un enzima bifunzionale (che
possiede due domini catalitici ella stessa struttura), si agisce contemporaneamente sia sulla
chinasi che sulla fosfatasi; ma mentre uno è attivo, l’altro è inattivo: ciò significa che i due enzimi
non saranno mai contemporaneamente attivi.

La chinasi avrà l’effetto di stimolare la glicolisi attraverso una maggiore concentrazione del
fruttosio 2,6-bisfosfato; contemporaneamente il fruttosio 2,6-bisfosfato va ad inibire la
gluconeogenesi, essendo un inibitore allosterico della bisfosfatasi1.
Viceversa, nello strato fosforilato, diminuendo la concentrazione del fruttosio 2,6-bisfosfato, la
glicolisi risulta inibita perché perde il suo attivatore, ma verrà stimolata la gluconeogenesi perché
non c’è più l’inibitore della bisfosfatasi1.
APPROFONDIMENTO: gli ormoni (Come altre molecole segnale) sono esclusivamente
extracellulari: dunque non c’è alcuna possibilità che il glucagone regoli direttamente
l’attività di una chinasi, che avviene sempre attraverso messaggeri secondari; uno di questi
è l’AMP ciclico.
UDP glucosio
L'uridina difosfoglucosio (UDP glucosio) è una molecola ad alta energia che prende parte
alla sintesi del glicogeno: è il donatore di un glucosio nella reazione di sintesi della catena,
catalizzata dalla glicogenosintasi. Essa si forma attraverso una reazione di sostituzione
nucleofilica: il glucosio 6-fosfato porta l’attacco nucleofilico al nucleotide trifosfato. Si
otterrà pirofosfato e il glucosio legato al nucleotide difosfato. Nel caso dell’UTP si ottiene
l’UDP-glucosio. Il pirofosfato è subito oggetto di idrolisi da parte della pirofosfatasi
inorganica, da cui si otterranno due molecole di fosfato.

L’UDP glucosio è il mattone per la sintesi di uno dei polimeri del glucosio, in particolare del glicogeno, che
rappresenta una delle principali riserve di zucchero nell’organismo (abbondante nel fegato e nella fibra
muscolare ) : la reazione prevede una reazione di sostituzione nucleofilica, in cui una porzione del
nucleotide che precedentemente ha reagito con il glucosio rappresenta il gruppo uscente, mentre il gruppo
entrante è rappresentato dall’ossigeno legato al C4 del glucosio che portando attacco nucleofilico al C1,
porterà alla formazione di un legame fra due monomeri di glucosio. Questo legame è del tipo alfa 1-4.

Attraverso un ulteriore molecola di UDP glucosio potremo legare all’estremità non riducente del glucosio
altre molecole di glucosio; l’enzima che catalizza la formazione del polimero di glucosio per la sintesi del
glicogeno viene chiamato glicogeno sintasi, che è in grado di legare nuove molecole di glucosio solo ad una
catena di glicogeno preesistente che deve avere non meno di 4 molecole di glucosio già legate.
Per poter generare l’innesco è necessario l’enzima glicogenina: nella tasca catalitica vi è un
residuo di tirosina (che possiede un gruppo -OH nella catena
laterale) che porta all’attacco della prima molecola di glucosio
(prelevato dall’UDP-glucosio, attraverso un meccanismo di
sostituzione nucleofila con gruppo uscente UDP.
Cosi facendo si crea il primo anello, ovvero la prima molecola di
glucosio nella tasca dell’enzima. Questa reazione viene catalizzata
dall’enzima proteina tirosina glicosil transferasi, che agisce
specificamente nel legare il primo zucchero con attività “proteina
tirosina”, perché la tirosina è il punto di attacco, “glicosil
transferasi” poiché viene legato covalentemente un anello di
glucosio.
A questo punto può legarsi la glicogeno sintasi, che prendendo
UDP glucosio , andrà ad allungare la catena. Ad un certo punto
quando la catena comincia ad allungarsi, si vengono a formare
delle ramificazioni, dovute all’attività dell’enzima ramificante, che
stacca l’ultimo pezzo di una catena (quando è abbastanza lunga)
e lo riattacca più avanti.
Ogni estremità non riducente verrà, in maniera indipendente e
parallela, polimerizzata. Man mano che le catene si allungano,
produrranno a loro volta altre catene. Il risultato è quello di
ottenere un polimero altamente modificato.
Le estremità non riducenti vengono chiamate così perché non è
presente il carbonio anomerico, che è legato alla capacità di ossidare (per definizione dunque è
riducente). Dal momento che la polimerizzazione ha luogo dall’estremità non riducente, attraverso
l’enzima ramificante, si ottengono due estremità non riducenti, e quindi si avranno due catene che
si allungano fin tanto che non raggiungeranno unna dimensione tale da far sì che l’enzima
ramificante ne stacchi un pezzo andando a creare un ulteriore ramificazione.
La depolimerizzazione del glicogeno avviene attraverso l’enzima fosforilasi, regolato mediante
fosforilazione. Attraverso una fosfatasi: la fosforilasi a fosfatasi, si ottiene la forma defosforilata
della fosforilasi a, che è meno attiva (la fosforilasi b).
L’enzima glicogeno sintasi è regolato in modo interdipendente con la fosforilasi. Benché si tratti di
due enzimi distinti, quando sono defosforilati, la forma della sintasi defosforilasi risulta attiva,
quella della fosforilasi è inattiva; e viceversa quando vengono fosforilati, la glicogeno sintasi è
inattiva e la fosforilasi è attiva. Di conseguenza, quando questi due enzimi vengono fosforilati e
defosforilati contemporaneamente, si avrà la regolazione interdipendente della sintesi del
glicogeno e la sua degradazione ad opera della glicogeno fosforilasi.
Malgrado il fatto che le due proteine che fosforilano e defosforilano la glicogeno sintasi e la
glicogeno fosforilasi siano diverse (proteina chinasi e fosforilasi b chinasi), sono a loro volta
legate ad un sistema di attivazione comune, che permette di attivarle contemporaneamente,
attraverso l’attivazione, da parte di un segnale extracellulare, di un’altra chinasi.

• REGOLAZIONE GLICOGENO FOSFORILASI


Il punto che garantisce l’interdipendenza della regolazione della sintesi del glicogeno rispetto alla sua
degradazione è la proteina chinasi: quando si hanno più proteine che devono essere regolate in modo
interdipendente occorre che almeno uno degli elementi a monte debba essere comune in modo che
possano essere contemporaneamente attivate rispondendo a messaggeri extracellulari, come gli ormoni.

Nel muscolo, il glicogeno è una riserva di energia per l’attività, ed infatti la sua degradazione avviene
solamente durante la contrazione muscolare, e non interessa i muscoli che non lavorano. E’ stimolata
dall’adrenalina, e regolata da effettori allosterici sia positivi che negativi, rispettivamente AMP e ione calcio
(Ca2+), e ATP e glucosio-6-fosfato.
L’adrenalina (il segnale) si lega ad un recettore attivando, attraverso una proteina G, l’enzima
adenilato ciclasi che sintetizza l’AMP ciclico partendo dall’ATP; questo attiva la proteina
chinasi, prima inattiva, che fosforila la fosforilasi chinasi attivandola; a sua volta, quest’ultima
fosforila la fosforilasi portando alla formazione dell’enzima attivo che degrada il glicogeno
strappando dall’estremità non riducente un atomo di glucosio per volta.
La glicogeno sintasi, a partire dall’UDP glucosio, attacca una unità di glucosio per volta, mentre la
fosforilasi, al contrario, a partire dal glucosio, da ogni estremità non riducente strappa una
molecola di glucosio 1-fosfato.
Attraverso questa successione di eventi a cascata si verifica un’amplificazione del segnale
facendo in modo che il glicogeno possa essere degradato rapidamente mettendo a disposizione
glucosio che andrà nella via glicolitica per fornire energia.

▪ STRUTTURE POLIMERICHE COSTITUITE DA ZUCCHERI

Le strutture mostrate nell’immagine sono strutture polimeriche modificate di zuccheri canonici:


hanno la stessa struttura di base del glucosio ma presentano delle modifiche.
▪ Ad esempio la differenza fra la struttura della glucosammina ( 2^struttura nella prima fila)
e quella del glucosio a sinistra è data dalla presenza del gruppo amminico (indicato in rosso). A
partire dalla beta-D-Glucosammina si può ottenere l’ N-acetil-beta-D-Glucosammina che è dato
dalla presenza del gruppo acetile legato allo zucchero dall’atomo di azoto. Esistono poi delle forme
modificate della glucosammina o dell’ N-acetil-beta-D-Glucosammina che presentano un gruppo R
costituito da tre atomi di carbonio con funzionalità carbossilica: il primo zucchero viene chiamato
acido muramico e il secondo acido N-acetil-muramico.

Oltre al glucosio, esistono altri zuccheri con strutture modificate come il galattosio costituito dal gruppo
amminico legato al carbonio 2 formando la galattosammina; stesso ragionamento vale per lo zucchero
mannosio nella mannosammina.

Il glucosio può essere ossidato al carbonio 1 e al carbonio 6 e la forma ossidata presenta un gruppo
carbossilico al carbonio 6 nel glucoronato e al carbonio 1 nel gluconato; queste sono forme ossidate
ottenute da reazioni di ossidazione del glucosio. Se nel gluconato si ha il legame del gruppo carbossilico a
un atomo di ossigeno con un legame di tipo estere, si ottiene un lattone.

• I LEGAMI CHE SI FORMANO TRA GLI ZUCCHERI


.
Nella struttura del glicogeno, tra una molecola di glucosio e l’altra si formano dei legami alfa 1-4, dove
alfa individua la posizione dell’ossigeno rispetto al piano dell’anello del ciclo del glicogeno; se si vanno a
legare il monomero alfa-D-glucosio e il monomero beta-D-glucosio otteniamo un disaccaride secondo una
reazione di condensazione e il legame che si viene a formare tra la struttura alfa e quella beta è un legame
1-4 . Questo disaccaride viene chiamato MALTOSIO (famoso poiché è uno dei componenti del malto).

▪ Nel caso del LATTOSIO si ha il legame del beta-galattopyranosil (molecola di galattosio)


con la forma del beta-glucopyranosio tramite un legame 1-4 che si può sintetizare nella forma
Gal(beta1-4)Glc.
▪ Nel caso del SACCAROSIO si ha un’unità di fruttosio con la forma del alfa-D-
glucopyranoside tramite un legame 2-1 che si può sintetizzare nella forma Fru(beta2-1alfa)Glc :
beta perchè l’atomo anomerico del fruttosio è in configurazione beta e 1alfa perché il carbonio 1 del
glucosio viene bloccato nella conformazione alfa. Esso è lo zucchero da cucina.
▪ Nel caso dell’ultimo composto disaccaride, il TREALOSIO presente in molti microrganismi,
esso è immediatamente utilizzabile poiché basta scindere il legame alfa1-1alfa per ottenere subito le
molecole di glucosio disponibili alla glicolisi. Inoltre regolando la concentrazione di trealosio si può
regolare l’osmolarità: in presenza di situazioni isosmotiche o iposmotiche il microrganismo reagisce
demolendo o producendo trealosio. Il trealosio è relativamente stabile e rappresenta quindi un
“soluto compatibile” con condizioni di iper o ipo osmocità.

• I POLISACCARIDI

La maggior parte dei carboidrati che si ritrovano in natura sono polimeri ad alto peso
molecolare chiamati polisaccaridi.
• I polisaccaridi possono essere suddivisi in due classi: omopolisaccaridi ed
eteropolisaccaridi; nel primo caso sono costituiti da un unico tipo di zucchero (ad
esempio il glicogeno che è un omopolisaccaride ramificato); i secondi possono essere
ramificati o non ramificati.
Gli eteropolisaccaridi non ramificati, in genere sono costituiti dalla successione di due
diversi monomeri; mentre negli zuccheri eteropolisaccaridi ramificati non è detto si osservi
la ripetizione di una struttura di base: essi sono spesso caratteristici di alcune delle proteine
della membrana plasmatica dei batteri creando delle strutture caratteristiche.
Negli animali, il glicogeno è la principale fonte di riserva di carboidrati; esso viene
accumulato soprattutto nel fegato e nel muscolo scheletrico ed è un omopolimero
ramificato costituito da molecole di glucosio tenute insieme da legami a-(1,4) e a-(1,6) nei
punti di ramificazione (8- 12 residui). Costituisce una struttura molto compatta (granuli) che
permette l’accumulo di grandi quantità di energia in un piccolo volume, in forma insolubile.

La struttura alfa 1-4 produce nello spazio tridimensionale un angolo quasi retto tra i due
anelli di uno zucchero esoso. La geometria del legame alfa 1-4 produce una struttura
tridimensionale in una catena lunga di molecole di glucosio legate alfa 1-4 di tipo
elicoidale. Questa elica è idrofilica : nella sua cavità e nelle interazioni che si stabiliscono ci
sono molte molecole di acqua. ( nei granuli di glicogeno si ha una quantità di acqua che in
peso è circa 4 volte maggiore del peso delle strutture saccaridiche che costituiscono quei
granuli.
Quando il carbonio viene immagazzinato in un polimero costituito da zuccheri,
contemporaneamente si raccoglie una grande quantità di acqua. E’ stato calcolato che se
immagazzinassimo carbonio non sottoforma di acidi grassi che sono idrofobici ma
sottoforma di glicogeno, il nostro peso corporeo sarebbe circa 3 volte superiore. Ciò è
determinante dal punto di vista dell’evoluzione, poiché a parità di atomi di carbonio non
solo viene ricavata meno energia, ma c’è anche lo svantaggio di trascinare una grande
quantità di acqua.
La struttura ramificata del glicogeno è comune ad una delle forme ramificate dell’amido:
l’amilopectina; quanto più è ramificato il polimero tanto maggiore è la mobilizzazione
dello zucchero a partire dal glicogeno quando un segnale extracellulare porta alla
liberazione di un numero elevato di molecole di glucosio.
Inoltre, dal punto di vista dell’osmolarità, mettendo insieme tanti monomeri di zucchero, la presenza dello
zucchero nella cellula incide poco poiché quelle molecole di zucchero aumentano la concentrazione
osmolare e quindi incidono sull’equilibrio osmotico fra il citoplasma e l’ambiente esterno della cellula.

Se i monomeri di glucosio sono legati da legami beta 1-4 si dispongono in modo lineare formando una
fibra. Questa struttura è caratteristica della cellulosa, che è un polimero come il glicogeno costituito da
glucosio, con l’unica differenza nel legame che è beta 1-4. Queste fibre lineari possono poi legarsi fra loro
per formare una fibra che spesso ha una funzione strutturale e di sostegno (in particolare le cellule vegetali
possono essere circondate dalla parete cellulare che è una struttura di cellulosa che previene il turgore
cellulare dovuto all’osmosi e altri fenomeni meccanici)

La chitina è il derivato degli amminozuccheri più importante. E’ un polisaccaride costituito da 2 unità


acetammido-2-desossiglucosio unite con legami beta 1-4, in maniera analoga a quella riscontrata nella
cellulosa; infatti essa può essere fatta derivare dalla cellulosa con sostituzione del gruppo -OH del C2 con il
gruppo acetammidico . Ciò lo rende resistente meccanicamente e alla degradazione enzimatica. Le estese
catene di chitina sono generalmente aggregate in lamine e unite da legami a idrogeno e le varie modalità
di aggregazione di queste lamine determinano tre forme cristalline della chitina. Essa è il principale
costituente dell’esoscheletro degli artropodi e dei rivestimenti cuticolari di altri invertebrati; nei vertebrati è
assente

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