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05/02/22, 23:15 Cento anni di Bauhaus - INARCH Piemonte

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CENTO ANNI DI BAUHAUS


PROGETTI
Inserito da Riccardo Bedrone | 16 Set 2019 |
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Nel 2019 si festeggia il centesimo anniversario della


fondazione della Staatliches Bauhaus, più nota
semplicemente come Bauhaus, una delle più importanti scuole Nome
superiori di istruzione tecnico-artistica della storia. Fondata nel
1919 a Weimar, in Germania, da Walter Gropius, secondo i criteri
dell’allora nascente Movimento Moderno, era ispirata a un
Cognome
radicale ripensamento del binomio arte e tecnica applicato
all’architettura e al design: l’arte in funzione della tecnica, in una
visione più funzionale e razionale. Il termine “Bauhaus” era stato
ideato dal fondatore della scuola e si riferiva alla parola MI ISCRIVO
“Bauhütte”, che nel medioevo indicava la loggia dei muratori.

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La Germania, che ne fu la culla ma ne impose poi la forzata CATEGORIE


chiusura, ha preparato per l’avvenimento un ricchissimo
programma di iniziative celebrative, a riparazione di una delle ARCHITETTURA
tante nefandezze compiute dal nazismo con la sua soppressione
e la diaspora cui costrinse il suo eccezionale corpo docente. - Premi
Tante anche quelle diffuse per il mondo, in qualche modo
contrassegnate dallo stesso interrogativo: qual è l’eredità FORMAZIONE
culturale e politica del Bauhaus?

IDEE@
«Il Bauhaus ha avuto un’enorme influenza sull’architettura e il MAGAZINE
design di tutto il XX secolo. Molti dei suoi protagonisti sfuggono al
regime nazista emigrando negli Stati Uniti ove continuano per -
decenni a insegnare e a progettare. Pensiamo a Walter Gropius a Architettura nel
cinema
Harvard e a Ludwig Mies van der Rohe a Chicago. Potremmo
arrivare a sostenere che l’architettura americana contemporanea e
una parte significativa del cosiddetto International Style non - Gocce

esisterebbero, o comunque sarebbero stati molto diversi, senza


questo trapianto. E difatti, a partire dagli Stati Uniti alla fine degli - Mattoncini

anni settanta, il post-modernismo si auto-proclamerà un movimento


di rivolta “autoctona” contro uno stile di derivazione tedesca» - Occhio
all'Architettura
afferma Marco Romanelli, architetto, progettista e critico. Ma
quella “americana” è solo la parte più conosciuta e più fascinosa
dell’eredità architettonica Bauhaus, mentre meno nota è un’altra - Pensieri &
Parole
eredità del movimento, segnata dagli sviluppi dell’edilizia
operaia, in particolare nella Germania dell’Est.
- Piccolo
dizionario di
Si pensa spesso che il Bauhaus sia soprattutto sinonimo di architettese
moderno, ma questa interpretazione è estremamente riduttiva.
Così come oggi il concetto di modernità è diventato vago – con - Progetti
contorni ideologicamente, geograficamente e temporalmente
sempre più discussi e indefinibili – anche il Bauhaus ci appare SOLLECITAZION
come qualcosa di diverso. Non era chiuso o monolitico, era I
piuttosto un insieme di programmi in competizione e reattivi,
quindi in continuo cambiamento. C’è stato il Bauhaus più - IN/Arch
conosciuto, quello che propugnava “arte e tecnologia: una nuova Nazionale
unità” per una produzione industriale di massa finalizzata a una
nuova era delle macchine. Ma era una delle versioni di SOSTENIBILITA'
un’iniziativa partita nel tumultuoso primo dopoguerra come
progetto utopistico e progressista, che cercava di intrecciare arti
e mestieri di ispirazione medievale, paragonata da Lyonel
Feininger a una “cattedrale del socialismo” (Aric Chen ne scrive
su Abitare).

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Mentre il primo Bauhaus era immerso in una spiritualità


“liberatoria”, ben rappresentato da Johannes Itten, il teorico del
colore, istruttore mistico e seguace del mazdeismo e dei suoi
esercizi di respirazione di gruppo e digiuni. Era questo il vero il
Bauhaus o era quello dell’espressionismo pittorico di Kandinsky,
oppure quello dell’universalità tipografica del “Sans Serif” di
Herbert Bayer, o ancora quello del funzionalismo scientifico di
Hannes Meyer, che contrastò vigorosamente la deriva estetica
che riteneva stesse pericolosamente orientando la scuola verso
uno stile Bauhaus? D’altra parte non si impedì di indirizzare gli
studenti verso la progettazione di prodotti commerciali,
compresa – tra tutti gli oggetti non moderni ed estetici – una
collezione di tappezzerie oggi diventata famosa.

È stato Ludwig Mies van der Rohe, ultimo direttore del Bauhaus
dopo il fondatore Walter Gropius e l’intermezzo di Hannes
Meyer, ad affermare che «Il Bauhaus non era un’istituzione con
un chiaro programma, ma un’idea». In altre parole il Bauhaus è
stato un modello. E, a un secolo ormai dalla sua fondazione,
continua, in effetti, a essere considerato «il più famoso
esperimento nel campo della educazione artistica che si sia
compiuto nell’epoca moderna» ci ricorda Alberto Cassani nel suo
saggio “La ricezione del Bauhaus in Italia”. Il quale è dell’opinione
che, nonostante la sua breve durata (meno di quindici anni), il
Bauhaus si è caricato di un’aura mitica, dovuta soprattutto al
libro-capolavoro di Giulio Carlo Argan “Walter Gropius e la
Bauhaus” del 1951, testo non per nulla apprezzatissimo dallo
stesso Gropius.

Cosa accade in Italia, dopo il libro di Argan, rispetto


all’interpretazione del Bauhaus? Non molto fino ai cosiddetti
«ruggenti» – almeno nel campo della storia dell’architettura –
anni settanta, che furono quelli della «critica all’ideologia» nei
confronti del Bauhaus, così come di tutto il cosiddetto
«movimento moderno». Critica sviluppata con due introduzioni
da Francesco Dal Co – il maggior studioso dell’ideologia del
Bauhaus – al libro di Hans Maria Wingler “Das Bauhaus 1919-
1933” e alla traduzione italiana del volume Marcel Franciscono
“Walter Gropius and the creation of the Bauhaus in Weimar”. Nel
1973, d’altro canto, uscirono anche la traduzione italiana del
testo di Barbara Miller Lane “Architecture and politics in
Germany: 1918–1945” e il ben conosciuto “Metropolis. Saggi sulla
grande città di Sombart, Endell, Scheffler e Simmel”, del “filosofo
dell’architettura” Massimo Cacciari.
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Per tornare all’eredità del Bauhaus, come non riferirsi ad aspetti


preminenti della vita contemporanea come la moda, la grafica, la
pubblicità, il design, la fotografia, il teatro, per rintracciarvi
l’impronta della sua enorme influenza?

Il manufatto artigianale stesso è oggi un fenomeno “di moda”,


spesso peraltro dovuto ad uno pseudo-artigianato che rischia di
svalutare l’importanza della produzione industriale. Il Bauhaus, al
contrario, aveva cercato innanzitutto di metter in pratica il motto
“imparare facendo”, alternando studio pratico e studio teorico e
poi promuovendo l’unità tra arti pure e arti applicate nello stesso
luogo, sotto l’egida dell’architettura: insegnando quindi con pari
dignità pittura e falegnameria, scultura e tessitura, in una
concezione realmente interdisciplinare.

Dalla tuta di David Bowie in “Ziggy Stardust” ai mobili da


assemblare di Ikea che arredano i nostri salotti di casa: sono vari
gli elementi dell’estetica del Bauhaus che sono entrati a far parte
del nostro immaginario. “Al di là del movimento, è il modo di
sperimentare con colori e geometrie del Bauhaus che tendiamo
a riconoscere e apprezzare tutt’oggi, non da ultimo per il fatto di
essere citato con regolarità nelle collezioni in passerella”, scrive
Emily Chan su Vogue del 26 marzo 2019. Concetti chiave del
Bauhaus erano il funzionalismo e la semplicità delle forme. “Il
primo Bauhaus era di matrice espressionista. In seguito iniziò a
sposare un’estetica sempre più funzionale, riducendo tutto al
minimo essenziale”. Questi principi delle linee pulite hanno
ispirato alcuni degli stilisti più influenti degli anni ’60, tra cui
André Courrèges, Mary Quant e la minimalista per eccellenza, Jil
Sander.

Il Bauhaus tedesco ha anche coltivato il design come innovazione


orientata alla qualità e aperta al mondo, che soddisfa la
domanda di un pubblico di acquirenti di opere multiple,
complementi d’arredo ed oggetti attento a bellezza, artigianalità,
razionalità e soddisfazione del bisogno. Il termine «design»
indica, infatti, attività di ricerca-ideazione-progettazione,
finalizzate alla realizzazione di un prodotto. Nel tempo, il
concetto, l’approccio e gli strumenti dell’industrial design si sono
articolati in svariati settori: la progettazione grafica e
comunicazione visiva, l’auto, l’arredamento …

Anche il “graphic design” inteso come lo intendiamo oggi, prima


del Bauhaus si potrebbe dire che non esistesse ancora. È infatti
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grazie alla scuola di Dessau che si è iniziato a comprendere che


non basta riempire una pagina di immagini e testi, ma che anche
la costruzione del suo layout gioca un ruolo centrale
nell’impartire il messaggio finale. È alla sua scuola che dobbiamo
il letterforms moderno e l’utilizzo del colore espressivo. Non
avremmo il “Futura”, l’“Helvetica” e i “Sans serif” in generale senza
il lavoro di Bayer (che nel 1928 lasciò il Bauhaus per diventare
direttore artistico dell’ufficio berlinese di Vogue) sui font e chissà
quando ci saremmo resi conto del potenziale della fotografia
nella pubblicità senza il lavoro di Moholy-Nagy (Shape Beyond
Graphic, 20 aprile 2016).

In questo senso è doveroso il richiamo dei legami del Bauhaus


con il design e l’architettura italiani, soprattutto dei riflessi del
primo sull’espressione contemporanea della sua identità creativa
nel mondo. Ciò è stato possibile a partire dai padri del design e
italiano: Magistretti, Viganò, Sottsass, Zanuso, Castiglioni …: nati
nel decennio che seguì la Grande Guerra, attivi a Milano e
dintorni dalla seconda metà degli anni quaranta del XX secolo e
artefici di una traduzione italiana del Bauhaus tedesco.

Negli anni del “miracolo economico”, infatti, l’Italia ha conosciuto


una serie di innovazioni che hanno cambiato la vita collettiva,
coinvolgendo la dimensione domestica, la mobilità, le
comunicazioni, la moda. È stata importatrice di idee e di
tecnologia – per via del ritardo in cui si trovava alla fine del
secondo conflitto mondiale – ma anche protagonista economico-
industriale e culturale, avviando la straordinaria stagione del
design italiano, strategico fattore di successo per la rinascita
economico-intellettuale del Paese.

Come non rivolgere, per questo, un ringraziamento


riconoscente anche al Bauhaus?

Nella foto il furgone itinerante per la celebrazione nel mondo del


centenario

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– 1° EDIZIONE prezzo di Hollywood”

CIRCA L'AUTORE

Riccardo Bedrone
Già Professore associato di Urbanistica
presso il Politecnico di Torino, dove ha
svolto gli insegnamenti di “Evoluzione
del pensiero urbanistico” e dell’Atelier “Il
progetto urbanistico”. Docente anche ai
Master del COREP-Politecnico di Torino.
È stato Presidente del Consiglio
dell’Ordine degli Architetti di Torino tra
il 1996 e il 2013 e, inoltre, Presidente
della Federazione regionale degli Ordini
degli Architetti. Ha presieduto la
sezione italiana dell’UIA (Unione
internazionale degli architetti) dal 2005
al 2008 ed è stato Presidente del
Comitato organizzatore del XXIII
Congresso mondiale di architettura
dell’UIA (Torino 2008). Membro del
Comitato Scientifico di IN/Arch
Piemonte.

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