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South Stream, l'occasione persa del


gas italiano
Autore Andrea Muratore

4-6 minuti

Quando, nel giugno 2007, il colosso del gas russo Gazprom e


l’Eni firmarono il primo memorandum d’intesa per la costruzione
del gasdotto South Stream, potenzialmente in grado di portare il
cane a sei zampe nel cuore della Siberia e l’azienda chiave della
politica energetica di Mosca nella distribuzione nel nostro Paese,
la strategia energetica nazionale avrebbe potuto svoltare
definitivamente.

Tali aspettative, avviate dai confronti tra Romano Prodi, allora


presidente del Consiglio, e Vladimir Putin, ebbero un’ulteriore
spinta dal ritorno al governo di Silvio Berlusconi, che dal 2008 in
avanti impostò una visione strategica fortemente interessata a
coniugare gli interessi politici ed economici di Mosca e Roma.

South Stream, che presto evolse in un progetto europeo con


l’ingresso di Bulgaria, Serbia, Ungheria, Slovenia, Croazia e
Austria, avrebbe rivoluzionato il posizionamento energetico del
Paese a cavallo tra Europa e Mediterraneo, ma fu seppellito dalle
turbolenze politiche che dal 2014 in avanti hanno sconvolto
l’Europa orientale. In cui, sotto pressione degli Stati Uniti guidati
da Barack Obama, l’Italia seguì il resto d’Europa nell’adesione al

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contenimento economico e strategico anti russo. Abdicando al


progetto South Stream, sospeso dapprima in Bulgaria per poi
essere cestinato dalla stessa Russia. Con una vittima eccellente,
l’italiana Saipem che si è vista cancellare, d’un tratto, i contratti già
assegnati per 2,4 miliardi di euro.

Nei giorni in cui il gasdotto TurkStream, alternativa individuata dal


Cremlino, diviene pienamente operativa e in cui
tra trivelle sospese, incertezza sui gasdotti mediterranei e inazione
politica le manovre italiane sul gas naturale risultano timide,
confuse e prive di strategia l’amarezza per quei giorni sorge
spontanea. Tanto da accomunare, nel rimpianto, due
commentatori posti agli antipodi dello spettro politico-informativo.

Alberto Negri fa notare: “Perché come Paese contiamo poco o


niente? Una delle risposte è venuta questa settimana nella stretta
di mano tra Putin ed Erdogan all’inaugurazione del Turkish
Stream, il simbolo del fallimento della nostra politica estera nel
Mediterraneo e in Libia. […] Peccato che alla Germania in questi
anni sia stato consentito di raddoppiare il North Stream con Mosca
e alla Turchia, riottoso membro della Nato, di raggiungere accordi
con Putin nel gas e persino negli armamenti”.

L’Italia non ha saputo esercitare sovranità, nel corso dei passati


governi, in materia di politica energetica, e ora si ritrova in una
situazione precaria: marginale nella nuova partita gasiera
del Mediterraneo, dipendente da approvvigionamenti esterni e
schiacciata nella guerra fredda del gas che divide gli arrembanti
Stati Uniti dalla coriacea Russia, salda nella difesa delle sue
pipeline, e tagliata fuori dall’hub europeo del gas che si va
consolidando nella Germania di Angela Merkel.

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La sovranità politica è uno stato di fatto, non un’ideologia o un


feticcio: compito dei governi e dei decisori è esercitarla tenendo
conto di vincoli, condizionamenti e, soprattutto, interessi vitali di un
Paese. In materia energetica l’Italia ha compiuto un triplice
autogol: esternalizzando le responsabilità per la decisione delle
fonti privilegiate al Vecchio Continente, non definendo una seria
politica sugli approvvigionamenti in una fase di rinvigorimento
dell’offerta internazionale e non riuscendo a mediare tra pulsioni
ideologiche (la russofobia nel caso delle sanzioni a Mosca,
l’ambientalismo per lo stop alle trivellazioni) e scelte pragmatiche e
ragionevoli che la politica energetica per necessità impone.

Alle radici di tutto, il silenzioso via libera all’affossamento di South


Stream. Un progetto riconosciuto in maniera bipartisan come
strategico per il Paese che l’Italia, al contrario della Germania
merkeliana, ha accettato di abbandonare senza colpo ferire. Il cui
abbandono ha aperto la strada a una serie di incertezze culminate
nella stretta di mano tra Erdogan e Putin: certificazione definitiva
del fatto che il cuore pulsante del gas euromediterraneo non sarà
in Italia.

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