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NODI CHE ANNODANO I MONDI E VESTONO

L’INVISIBILE
Premessa.
“Una condotta razionale di vita è impossibile. L’intelligenza non fornisce regola. E
allora ho compreso ciò che forse si nasconde nel mito della Caduta. Mi ha
abbacinato lo sguardo dell’anima, come un lampo quello del corpo, il terribile e
autentico significato di quella tentazione per la quale Adamo si era cibato
dall’Albero della vita detto della Scienza”. [i] Così scrive Pessoa nel suo: “Pagine
esoteriche”.
Mangiare il frutto del bene e del male è uscire dall’indifferenziato, dall’Eden, dal
sacro, per entrare nel profano.
Il sacro, come spiega bene Umberto Galimberti, è confusione di tutti i codici; è il
luogo della contaminazione dei contrari; è il luogo dei molti registri e della
polivalenza dei significati.
In questo senso il sacro è il luogo degli archetipi, dei miti, dei simboli.
Ercole, per proporre un esempio significativo, nel suo peregrinare tra i miti dello
zodiaco, nel suo processo di individuazione, è l’archetipo dell’essere umano che
cerca se stesso e il senso della vita.
Peregrinare tra i miti, gli archetipi, i simboli è abitare il sacro e il sacro non si
affronta con la ragione, ma con la contemplazione, cum templum, con lo sguardo
rivolto al cielo, con la theoria, che è sguardo al teatro dell’immaginale.
Peregrinare tra i miti è esercitare le facoltà dell’anima: l’immagine che contempla
l’immaginale; la piccola immagine che contempla la Grande Imago.
Approssimarsi al sacro è avvicinarsi alla smarginazione, all’oscillazione dei
significati, dove albergano la follia, il genio, la creatività. Il sacro è il luogo dove
dimora il nostro daimon.
Il rituale è la mitologia resa vivente. La mitologia resa vivente è l’abitare la follia, ma
il rituale la contiene, impedendo che la smarginazione diventi emarginazione e
facendo in modo che si accomodi nell’immaginazione.
Il dare il luogo al sacro, nella ritualità, rende sacerdoti, ossia coloro che conducono
al sacro e che sanno stare e nel sacro e nel profano, camminando sulla
smarginazione senza essere emarginati, ossia senza avere più un margine, ma
ammettendo la smarginazione e accogliendola come luogo del sacro.
Cos’è il cammino sul pavimento a scacchi, tra il bianco e il nero, se non il
peregrinare sulla smarginazione senza farsi smarginare?
Quando Pessoa dice che l’intelligenza non fornisce regole è per il motivo che
l’intelligenza è intuizione, appercezione, immediatezza. E’ l’intelligenza che,
abitando l’immaginazione, sapendo camminare sulla smarginazione, approda al
sacro.
Non a caso gli Egizi chiamavano Sia l’intelligenza suprema, quella che nell’essere
umano abita nel cuore e che si immagina, si fa immagine nella Grande Imago.
“Quanto c’è di più alto in questo mondo parla, che lo si voglia o meno – scrive
Pessoa – un linguaggio simbolico, capito da pochi come la vera chiave ermetica,
l’intelligenza, e dai più come l’istinto che bisogna capire, cioè con l’intuizione”. [ii]
Il concetto di intelligenza riguardante l’anima necessita di un approfondimento, in
quanto l’anima è immagine, corpo di luce, che ospita l’essenza intelligente.
Nel testo: “La rivelazione di Ermete Trismegisto”, nella parte “Definizioni” si legge
che “l’anima è una sostanza immortale, eterna, intellettiva, avendo come oggetto
della conoscenza il suo discorso meditativo” e che “l’anima si colma di intelletto”,
ma anche che “non ogni anima ha un intelletto”.
E qui il testo di Ermete Trismegisto introduce il motivo per il quale l’anima si
incorpora.
“L’anima [è ordinata] a divenire nel mondo, ma l’intelletto [è] superiore al mondo”.
Così l’anima, spiegano le Definizioni, “entra nel corpo (per necessità) e vede con gli
occhi dell’intelletto”, il quale “entra nell’anima secondo natura”.
Il motivo per il quale l’anima necessita di incarnarsi, transitando nel mondo,
secondo le Definizioni è che “l’anima quando è fuori dal corpo non ha né qualità né
quantità. Trovandosi nel corpo assume quantità e qualità”. L’incorporazione pare
essere, pertanto, modalità necessaria affinché il corpo di luce si colmi di intelletto.
Il motivo, dunque, sta nel fatto che “ogni anima prima di entrare nel corpo è senza
intelletto; e l’intelletto si congiunge ad essa nel corpo, e così, in seguito viene
all’esistenza un’anima intelligente”.
Acquisire l’intelletto significa, per l’anima, poter entrare in collegamento con
l’Intelligenza e apportare la sua esperienza di anima intelligenza all’Intelligenza,
essendo da questa distinta, ma non separata.
“L’anima entrata nel corpo – aggiungono le Definizioni – dovrebbe acquistare
l’intelletto; quelle che non acquista l’intelletto [ne] esce come [vi] è entrata”.
Acquistare l’intelletto significa saper stare nel mondo e saper abitare il sacro. Detto
in altri termini, significa non riconoscersi solo come Io, ma anche come Sé, perché
intelletto, come capacità di intendere e di volere, deriva da intus, dentro e anche da
inter, fra e da legere, dal significato di raccogliere e scegliere. L’intelletto raccoglie e
sceglie entro i m ondi e fra i mondi.
La ritualità, se stiamo a quanto sin qui detto, è il teatro nel quale è possibile il
sacerdozio, ossia la conduzione al sacro, camminando sulla smarginazione senza
che lo smarginare ci emargini.
Tutti i riti antichi avevano questo scopo: andare oltre, smarginare, senza rimanere
emarginati; abitare il mondo e abitare il sacro.
Nodi che annodano l’invisibile
In coerenza con quanto sin qui detto, i nodi d’amore (tema principale della nostra
riflessione) sono simboli carichi di relazione con il sacro.
Uno dei possibili significati del nodo è che l’annodamento, ossia la tessitura veste
l’invisibile
L’azione della tessitura (tayt), secondo il principio egizio che ci riporta all’analogia
del verbo, del sostantivo e dell’aggettivo, è anche il tessuto.
Il Neter femminile Renenunet offre una bandella (striscia di tessuto), essendo essa
stessa la bandella, al Neter Amon, Mn (nascosto) la cui parte femminile e
manifestante è Amonet.
Renenunet rivolge ad Amon le seguenti parole: “Parole dette da (Ren n) unet,
Signora di … Tu ricevi questa tua bella (bendella), tu, ricevi questo tuo tessuto mâr,
tu ricevi questo tuo tessuto menkhebet. Tu appartieni a lei, tu sei perfetto in lei, in
questo suo nome dei quattro tessuti-menkhebet. Essa si unisce a te in questo suo
nome di stoffa-idmi”. Amon appare ad Amonet, il suo aspetto femminile; è compiuto
in lei ed è unito a lei.
La vestizione con una tessitura-tessuto è un rivestire l’invisibile (il nascosto)
rendendolo visibile; è un legare l’imponderabile a una materia ponderabile: uno
spirito ad un corpo.
La vestizione è manifestazione.
In termini generali possiamo dire, usando una metafora, che l’incorporazione è un
vestire lo spirito di pelle; è il tessere attorno allo spirito un corpo.
L’anima tesse il corpo
Fulcanelli scrive: “La nostra anima non è forse il ragno che tesse il nostro corpo?” [iii]
L’essere umano non è concepibile come un reticolo di poteri dell’anima che si serve
del corpo come sostegno?
L’anima, pertanto, si propone come corpo di luce, come campo elettromagnetico
che racchiude la nostra essenza, la nostra porzione di intelligenza suprema che
deve per riconoscersi porsi di fronte a sé, annodarsi nel corpo, incorporare
l’intelletto e rendersi definitivamente intelligenza individua, distinta, ma non
separata dal Tutto.
Nella descrizione di Ermete Trismegisto sembra di assistere alla costruzione del
corpo di luce, chiamato ad ospitare l’essenza intelligente Sia nel suo dinamico
divenire Hu.
La tradizione egizia ci consegna alcuni nodi di grande interesse sui quali non mi
soffermo e che meriterebbero una trattazione approfondita:l’Ank, come nodo della
vita o il tjt, il nodo di Iside, punto di convergenza tra l’umano e il divino.

Il nodo di Iside, in quanto punto di convergenza tra l’umano e il divino ci apre


gli occhi su una possibile spiegazione del significato del nodo d’amore.
Va detto, prima di procedere, che: "I riti di una civiltà – come scrive Campbell -
riproducono i miti a essa sottostanti. Si potrebbe definire, come ho fatto, il rituale
come la possibilità di partecipare direttamente al mito. Il rito mette in atto una
situazione mitica; partecipando al rito, si partecipa direttamente al mito". [iv] E
aggiunge: "Ciò che il mito fa per noi è mostrare il trascendente oltre il campo
fenomenico". [v]
Ma i miti non sorgono a caso, essi sono strettamente connessi con la scienza.
“I miti – scrive infatti Carlo Rovelli – si nutrono di scienza e la scienza si nutre di
miti”. [vi]
Ed ecco che mirabilmente la poesia e la scienza si toccano nel darci della
spiegazioni del simbolo del “Nodo d’amore”

                                
          Infinito             Nastro di Möbius
Una spiegazione possibile e di grande momento la troviamo, infatti, nel testo: “Gli
immaginari in geometria” del russo Pavel A. Florenskij, teologo, sacerdote
ortodosso, filosofo, matematico e scienziato che nel 1933 fu mandato nei campi di
lavoro forzato e quattro anni dopo fucilato per le sue teorie.
Pavel A. Florenskij applica le sue teorie matematiche alla peregrinazione di Dante
tra l’Inferno e il Paradiso.
Dante e Virgilio passano per la natural burella capovolgendosi.
Io levai li occhi e credetti vedere
Lucifero com'io l'avea lasciato,
e vidili le gambe in sù tenere;
e s'io divenni allora travagliato,
la gente grossa il pensi, che non vede
qual è quel punto ch'io avea passato.
CantoXXXIV Inferno
Pavel A. Florenskij nota che Dante e Virgilio procedono mantenendo sempre la
stessa posizione verticale, “tenendo la testa verso il punto di partenza del loro
viaggio, cioè l’Italia, e i piedi verso il centro della Terra. Tuttavia, quando i poeti
raggiungono approssimativamente la cintola di Lucifero, entrambi si capovolgono
improvvisamente, con i piedi verso la superficie della Terra, da dove erano entrati
nel mondo sotterraneo, e la testa rivolta nella direzione opposta”. [vii]
La gente grossa, dice Pavel A. Florenskij, non vede il punto che Dante aveva
passato perché pensa in modo euclideo. Rimane il fatto che quando Dante termina il
viaggio si ritrova a Firenze, “senza - osserva Florenskij – esservi definitivamente
tornato indietro”. [viii]
“Così – continua Florenskij – avendo proceduto tutto il tempo in linea retta ed
essendosi capovolto una sola volta lungo la strada, il poeta ritorna nello stesso
punto da cui era partito e nella stessa posizione in cui si ritrovava quando l’aveva
lasciato. Se per strada non si fosse capovolto sarebbe quindi arrivato al luogo di
partenza a testa in giù. Ma questo significa che la superficie su cui Dante avanza è
tale che un movimento in linea retta lungo di essa, con un solo capovolgimento di
posizione, si traduce in un ritorno al punto iniziale in posizione eretta; mentre un
movimento in linea retta senza inversioni di posizione riporta il corpo al punto
iniziale in posizione capovolta. Diventa ovvio – scrive a questo punto Florenskij –
che questa superficie è 1) una superficie di Riemann, poiché contiene linee chiuse,
e 2) è unilaterale, poiché la perpendicolare, quando si muove lungo di essa, si
capovolge”. [ix]
Dante conclude Florenskij non si muove secondo le regole della geometria euclidea,
ma secondo quelle della geometria ellittica.

Un approfondimento dell’interpretazione che ci ha fornito Florenskij è possibile se


ci accostiamo a un poeta come Fernando Pessoa.
“Nella sua forma a S (che, se si considera chiusa, è un 8, se coricata, è il simbolo
dell’infinito ∞), il Serpente comprende due spazi, che circonda e trascende. (il primo
spazio è il mondo inferiore, il secondo il mondo superiore). In un’altra
raffigurazione, quella del Serpente in cerchio che si morde la coda, viene riprodotta
non con la S, di cui la lettera è segno, ma il cerchio, simbolo della terra e del mondo,
così come lo conosciamo. Nella sua forma a S il Serpente si sottrae alle due Realtà
e scompare dai mondi e dagli Universi. L’illusione – prosegue Pessoa – è la
sostanza del mondo ed è tale, secondo la Regola, tanto nel mondo superiore quanto
nel mondo inferiore, tanto nell’occulto quanto nel manifesto. Così, quando
fuggiamo dal mondo inferiore perché è illusorio, il mondo superiore, in cui ci
rifugiamo, non è meno illusorio; è illusorio in un altro modo, il proprio. Solo il
Serpente, contornando gli infiniti aperti – o i cerchi «incompleti» dei due mondi -
sfugge all’illusione e conosce il principio di verità”. [x]
Pessoa, nella sua spiegazione, si spinge oltre, consegnandoci una chiave di
comprensione ulteriore.
Il movimento del Serpente “a destra, nell’ordine inferiore delle cose e degli esseri,
avviene solo perché possa aver luogo a sinistra nell’ordine superiore”. [xi]
Il Serpente è identificato nei simboli della S e della O “nella sua azione di delimitare
il mondo”.[xii]
Possiamo tradurre il messaggio in due modi: in riferimento all’Egitto dove S (Sia) è
l’Intelligenza suprema e O è il “verbo”, Hu; oppure in riferimento alle aree del
cervello, dove destra è il muoversi in base alla razionalità (comandata dall’emisfero
sinistro) e la sinistra è il movimento dell’intelligenza (comandato dall’emisfero
destro). Il Cobra posizionato sulla fronte è S, il terzo occhio della “vista” superiore.
Da un poeta passiamo a un grande psicologo e un grande fisico. In Jung e Pauli, Il
carteggio originale: l’incontro tra Psiche e Materia (Moretti & Vitali), Pauli parla del
Sé come “nucleo radioattivo”, specificando che “radioattivo” è impiegato come
“sincronicità”.
“La realtà dell’inconscio collettivo […] rappresenta uno strato dello psichico in cui
le differenze di coscienza individuale sono più o meno cancellate”. [xiii]
Siamo in presenza della smarginazione. Siamo nel campo del sacro.
“Quando un contenuto psichico supera la soglia della coscienza, i fenomeni
marginali sincronistici svaniscono. Spazio e tempo assumono il loro consueto
carattere assoluto e la coscienza torna ad essere isolata nella sua soggettività”. [xiv]
Nel centro tra il fisico e lo psichico, tra conscio e inconscio, è posto il Sé (lapis,
mediator, vinculum, ligamentum elementarum).
La rappresentazione è quella di due fogli che si annodano al centro.

La rotazione del punto centrale, o nucleo radioattivo, consente il passaggio dal


piano fisico al piano psichico e dal conscio all’inconscio e viceversa.
Se uniamo le due estremità dei nastri, torniamo al concetto del nastro di Möbius, al
simbolo dell’infinito e al concetto di nodo d’amore.
In Psicologia e alchimia, Jung scrive essere il Sé un centro, un “concetto che va
inteso come totalità della psiche. Il Sé non è soltanto il punto centrale, ma anche
l’estesione che comprende la coscienza e l’inconscio; è il centro di questa totalità,
come l’Io è il centro della coscienza”.
“Il Sé – aggiunge Jung – è unione dei contrari. […]. Il Sé è paradossalità assoluta,
poiché rappresenta sotto ogni riguardo tesi e antitesi e contemporaneamente
sintesi. […]. Senza esperienza dei contrari non esiste esperienza della totalità e
dunque nemmeno possibilità di accesso interiore alle figure sacre”.
Per concludere questa riflessione, è interessante appuntare la nostra attenzione su
due nodi che riguardano l’astrologia: il Nodo Nord e il Nodo Sud.
Non è mia intenzione approfondire l’argomento, in quanto sono totalmente digiuno
di conoscenze astrologiche, ma lo indico come elemento di possibile interesse per
chi abbia l’opportunità di approfondirlo.
L’interesse deriva soprattutto dalle implicanze reincarnative dell’anima.
L’anima, secondo i testi attribuiti a Ermete Trismegisto acquisisce l’intelligenza
grazie all’incarnazione.
Potremmo dire, in altro modo, che il corpo di luce attraverso l’esperienza
dell’incarnazione, ossia del porsi del nucleo essenziale ospitato dal corpo di luce di
fronte a sé nell’esperienza incarnativa, acquisisce coscienza di sé.
Il tema dei nodi lunari introducendo la reincarnazione ci propone un ulteriore
elemento di riflessione, ossia che l’anima giunge nel corpo come tabula rasa alla
prima incarnazione, mentre nelle successive porta con sé le esperienze precedenti,
sia pure occultate dal passaggio nel Lete, ossia nell’acqua della dimenticanza.
Nel Tema Natale generalmente viene indicato il Nodo Lunare Nord, a cui
corrisponde un Nodo Lunare Sud diametralmente opposto (ovvero negli stessi gradi
del segno opposto): la loro è un’opposizione implicita, in quanto il loro asse viene
considerato il percorso evolutivo karmico dell’attuale incarnazione della persona.
Come anime infatti “arriviamo” dal Nodo Sud e siamo chiamati ad evolvere in
ragione delle nostre precedenti esperienze. La reincarnazione è una nuova
esperienza evolutiva.
Il Nodo Sud si riferisce quindi conoscenze profondamente radicate nella nostra
anima, nella memoria animica e il Segno e la Casa in cui si trova, così come
un’eventuale congiunzione con un pianeta, possono darci indicazioni importanti
sulle esperienze pregresse.
Il Nodo Nord, ad esso opposto, rappresenta invece l’esperienza che dobbiamo fare
e quello che
abbiamo lasciato in sospeso nella vita precedente.
Il Nodo Nord rappresenta il cammino da percorrere con la consapevolezza che porta
al conseguimento di una nuova tappa evolutiva.
Quanto sin qui esposto non è che una piccola parte di quanto il simbolo del nodo e,
in particolare, del nodo d’amore, suggerisce alla nostra comprensione.
Come tutti i simboli anche questo invita a contattare l’ulteriore, ciò che non siè
mostrato e che potrebbe mostrarsi.
 

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