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NICCOLO’ CUSANO

il platonismo rinascimentale si espresse soprattutto nell’Accademia fiorentina. Ma già in


precedenza aveva risuonato una voce platonica: quella di Niccolò Cusano.
Nikolaus Chrypffs, detto “Cusano” dal paese di origine, nacque nel 1401, studiò in Germania e a
Padova, fu cardinale e vescovo di Bressanone e morì a Todi nel 1464. Durante un viaggio in Grecia
familiarizzò con i pensatori e i teologi greci più influenti del tempo ed entrò in più diretto rapporto
con la filosofia antica. la sua opera principale è “la dotta ignoranza”.
l’argomento principale della “dotta ignoranza” è la conoscenza, la quale è possibile, soltanto
quando c’è “proporzione” tra ciò che già si conosce e ciò che si vuole conoscere. Quando si cerca
di conoscere non si ha alcuna proporzione con ciò che già si conosce, allora non resta che
proclamare la propria ignoranza, che in questa cosa sarà un’ignoranza dotta, cioè consapevole e
fondata su buoni motivi. Questo è il caso della conoscenza di Dio, il quale è infinito: tra l’infinito e
il finito che è conosciuto dall’uomo non c’è proporzione; quindi, l’uomo potrà indefinitamente
avvicinarsi alla verità e all’essere infinito di Dio, ma non potrà mai raggiungerli del tutto. La
conoscenza umana non coinciderà mai con la verità assoluta, cioè con Dio.
Dal principio della <dotta ignoranza> Cusano deriva, da un lato, una sorta di visione mistica di dio,
che egli concepisce come COINCIDENTIA OPPOSITORUM, cioè come unità e conciliazione di tutte le
determinazioni opposte della realtà. Dall’altro, Cusano deriva una nuova concezione del mondo
fisico, che prelude a quella di Keplero, Copernico, Galilei. Egli nega che una parte del mondo,
quella celeste, possieda una perfezione assoluta e sia quindi ingenerabile e incorruttibile, poiché
rifiuta l’idea aristotelica della separazione tra sostanza celeste e sostanza terrestre, composta dai
quattro elementi (Aria, Fuoco, Terra, Acqua). Tutte le parti del mondo hanno, lo stesso valore, ma
nessuna raggiunge la perfezione che è propria di Dio. Inoltre, il mondo non ha un centro e una
circonferenza, giacché altrimenti fuori di questa circonferenza esisterebbe un altro spazio, vuoto
di realtà, mentre il mondo comprende tutto lo spazio e tutta la realtà. Il mondo ha il centro
dappertutto e la circonferenza in nessun luogo.
<Il mondo è privo di confini.>
Non essendoci alcun centro, la terra non è al centro del mondo; si muove in modo circolare,
sebbene non di una circolarità perfetta. Il mondo è una <nobile stella>; un’altra Stella è il Sole, che
ha la stessa composizione della Terra. E nelle altre stelle possono esserci abitanti più o meno simili
a quelli della terra. I movimenti che si verificano sulla terra hanno lo scopo di salvaguardare e
garantire l’ordine e l’unità del tutto.
Cusano riprende anche la teoria dell’ IMPETUS, per spiegare il movimento dei cieli e dei proiettili.
Tale teoria negava il principio aristotelico secondo il quale il motore deve accompagnare il mobile
nella sua traiettoria e riconosceva invece così quel principio di Inerzia, che sarà uno dei
fondamenti della meccanica moderna.
FICINO
Ficino fu il maggior esponente del pensiero Platonico del Rinascimento.
Nato a Figline, in Val d’Arno, il 19 ottobre 1433 e morto il 3 ottobre 1499, Ficino tradusse in latino i
dialoghi di Platone, le Enneadi di Plotino e altre opere. Scrisse 12 libri di Epistole, che sono in realtà
saggi e opuscoli, e una Teologia Platonica.
Ficino fu anche il fondatore dell’Accademia platonica fiorentina. I seguaci dell’Accademia
ritenevano che la dottrina di Platone derivasse da quella di Mosè e che anzi risalisse ancora più
indietro nel tempo. Essi intesero il ritorno al platonismo come il ritorno alla più antica sapienza
religiosa del genere umano.
Nel pensiero di Platone, Ficino individua il fondamento di una stretta unione tra filosofia e
religione, che egli afferma di voler ripristinare allo scopo di rinnovare l’uomo e il mondo.
All’interno della realtà, Ficino distingue cinque gradi di perfezione decrescenti: Dio, l’Angelo,
l’Anima, la Qualità e il Corpo (o la materia). In quanto essenza intermedia tra la parte intellegibile
e quella sensibile dell’universo, l’Anima si trova nel mezzo sia nel percorso di ascesa dal corpo a
Dio, sia discendendo da Dio al corpo. Essa è dunque il nodo vivente della creazione.
La funzione mediatrice dell’anima si esplica attraverso l’Amore, che è la forza che unisce
armonicamente tra loro le diverse parti della creazione. In virtù dell’amore, l’universo tende a Dio
ed esce gradualmente dal Caos. In virtù dell’amore Dio si prende cura del mondo, lo ordina e gli dà
vita.
Le due dottrine fondamentali di Ficino, quella dell’anima mediatrice e quella dell’amore,
costituiscono gli aspetti originali del platonismo rinascimentale. Ficino si serve dello schema
platonico per sottolineare la funzione centrale dell’uomo. Il centro della speculazione platonica di
Ficino, così come per Cusano, è l’uomo nella sua funzione mediatrice, e quindi l’amore come
giustificazione e atto di questa funzione. L’uomo è situato in una posizione sua propria, che fa di lui
un elemento indispensabile dell’ordine e dell’unità dinamica dell’essere.
Questo continua ad avere la sua origine e la sua perfezione in Dio, ma trova la sua vera unità
vivente e autogiustificantesi nell’uomo e nell’amore che lo lega a Dio e di cui Dio lo ricambia. È
parte essenziale del platonismo il concetto dei limiti dell’uomo, che costituiscono l’originalità della
natura umana e il fondamento del suo valore e della sua libertà.
PICO DELLA MIRANDOLA
Nato il 24 febbraio 1463 e morto a Firenze il 17 novembre 1494.
La riflessione filosofica di Pico, diversamente da Cusano e di Ficino, cercò di conciliare e di
sintetizzare le dottrine più diverse: dalla sapienza orientale alla filosofia greca, al pensiero
medievale, alle conoscenze magiche e cabalistiche (Dottrina ebraica diretta all'interpretazione
simbolica del senso intimo e segreto della Bibbia).
Questo desiderio di sintesi universale del sapere, si manifestò nell’iniziativa di Pico della Mirandola
di bandire a Roma una grande discussione tra dotti su 900 tesi che gli parevano racchiudere i
capisaldi della sapienza universale. La discussione tuttavia, non poté tenersi, in quanto alcune tesi
furono giudicate eretiche, ma Pico pubblicò un’Apologia di quelle stesse tesi e una raccolta di
Conclusioni da esse derivate. L’orazione DE HOMINIS DIGNITATE avrebbe dovuto essere il discorso
inaugurale della disputa.
L’orazione DE HOMINIS DIGNITATE verte intorno a quella superiorità dell’uomo sulle altre creature,
e ipotizza che per l’uomo, non fosse rimasto disponibile nessuno dei beni distribuiti alle altre
creature e che pertanto Dio avesse stabilito che a lui fosse comune tutto ciò che era stato
singolarmente assegnato a quelle. Con ciò Pico intende affermare che l’essere umano non ha né
un posto determinato, né un aspetto proprio, né una prerogativa sua, e questo fa sì che egli stesso
possa scegliere e fare suoi il posto, l’aspetto e la prerogativa che desidera. L’uomo non è né
celeste né terreno, né immortale né mortale: può “degenerare” nelle cose inferiori e può, se
vuole, “rigenerarsi” nelle cose superiori.
Questa “rigenerazione” può avvenire solo attraverso il ritorno alla sapienza originaria (che si è
dispersa e moltiplicata nelle varie dottrine religiose e filosofiche). Gli obbiettivi che la speculazione
di Pico si propone sono: la Pace, l’Unione e l’Amicizia tra gli uomini.
Questi obbiettivi sono raggiungibili solo se gli uomini riescono a fondere in un tutto armonico gli
elementi apparentemente eterogenei del loro sapere e delle loro credenze religiose. Così Pico
dedica l’HEPTALUS a dimostrare l’accordo tra il racconto biblico della creazione e il platonismo, e
l’Ente e l’Uno a dimostrare l’accordo tra Platone e Aristotele.
Per quanto riguarda l’Astrologia, Pico assume un atteggiamento di riserva. Pico ammette che
l’Astrologia matematica o speculativa, che si preoccupa di determinare le leggi matematiche
dell’universo, ma rigetta l’astrologia giudiziale o divinatrice, che pretende di prevedere dal corso
e dalla natura degli astri le vicende della vita umana. Se questa seconda specie di astrologia
rispondesse a verità, l’uomo non sarebbe libero, perché ogni sua decisione dipenderebbe dagli
astri. L’uomo non può dipendere dai corpi celesti.
L’UMANISMO E IL PACIFISMO DI ERASMO DA ROTTERDAM
l’aspetto filologico-umanistico della riforma religiosa è rappresentato dalla figura di Erasmo da
Rotterdam.
Nato a Rotterdam nel 1466, Erasmo fu il più famoso umanista della sua epoca. Fu prete e si laureò
in teologia presso l’università di Torino, ma il compito che riconobbe come proprio fu quello di
scrittore e di filologo. Preparò l’edizione di alcuni padri della Chiesa (tra i quali Agostino) e lavorò a
un testo critico del Nuovo testamento, che tradusse dal greco a latino. Nella lotta religiosa
provocata dalla riforma luterana, scelse di rimanere neutrale, attirando così, nei suoi confronti, sia
da parte dei protestanti, sia dai cattolici. Morì a Basilea nel 1536.
L’opera più famosa di Erasmo è <l’Elogio della pazzia>. In quest’opera Erasmo adopera la satira e il
sarcasmo per mettere a nudo la decadenza morale della società del suo tempo, specialmente della
Chiesa. La Pazzia è l’illusione, l’incoscienza, l’ignoranza contenta di sé, in breve la menzogna o
l’impostura di cui la vita singola e associata dell’uomo si copre per nascondere la sua cruda realtà.
Negli scritti di Erasmo sono già presenti tutti i temi della polemica protestante contro la Chiesa e il
Papato. Nel Manuale del milite cristiano, il filosofo contrappone alla cultura teologica, che forma il
teologo, la fede religiosa, che forma il soldato di Cristo. L’arma principale del “milite cristiano” è
costituita dalla lettura e dall’interpretazione della Bibbia, che custodisce il messaggio originario di
Cristo.
Allo studio della bibbia Erasmo dedicò la maggior parte della propria attività di filologo.
Affrontando la stesura del testo critico del Nuovo Testamento, nell’introduzione dichiarò che le
Scritture dovevano essere intese da tutti.
La rinascita che soltanto la parola di Cristo può determinare è contrapposta da Erasmo alla
sapienza teologica, che è necessaria per acquisire abilità nelle dispute, ma che non è sufficiente
per una fede e una carità autentiche. Perciò Erasmo rivolge il proprio interesse, anche agli scritti
dei padri della Chiesa, la cui dottrina gli sembra ispirarsi direttamente alle fonti cristiane, ma
ripudia la speculazione scolastica, ritenendo che abbia finito per smarrire, il senso originario del
cristianesimo.
In modo analogo, all'esteriorità dei riti, Erasmo contrappone il progetto originario di Cristo, che
invita all'autentica carità. Erasmo chiarisce quello che sarà il concetto fondamentale della riforma
protestante: il rinnovamento della coscienza cristiana mediante il ritorno alle fonti del
cristianesimo. ma il suo compito si ferma qui. in quanto umanista abituato a muoversi nel mondo
dei dotti, egli avversa i tentativi di servirsi della religione per agitare forze politiche e sociali.
quando nel 1519 Lutero indirizza una lettera chiedendogli di pronunciarsi pubblicamente in favore
della riforma, egli, pur approvando gran parte dei princìpi, si rifiuta di seguirlo ed incoraggiarlo
nella sua opera rivoluzionaria.
nel 1524, Erasmo attacca apertamente i pensatori riformati sul problema del libero arbitrio.
Nell'opera <De libro arbitrio> rivendica, la libertà dell'uomo di scegliere di salvarsi (o di dannarsi),
vedendo nella grazia divina sono la causa principale della salvezza e nella libertà dell'uomo alla
causa secondaria. la salvezza sarebbe così frutto della collaborazione tra l'uomo e Dio. Mentre
Lutero si pone decisamente sul terreno della pura fede religiosa, Erasmo parla ancora come un
umanista filosofo, difendendo quella libertà senza la quale la dignità dell'uomo non ha più senso.
Per comprendere meglio la figura di Erasmo, è fondamentale tenere conto della sua difesa
appassionata della pace. Nell’ <l’Oratio de pace et discordia>, Erasmo descrive la sciagura della
guerra con accenti accorati. ma l'opera erasmiana più famosa in questo senso è il <Lamento della
pace>, In cui è la pace stessa a dolersi per essere stata “rigettata e annientata da tutte le nazioni”
che a denunciare l'assurdità e gli orrori della guerra. per Erasmo la guerra rappresenta un oltraggio
alla ragione umana e alle virtù che essa indica all'uomo. in questa prospettiva la pace non è
semplicemente assenza di guerra, ma esercizio di virtù morale.
IL RITORNO ALLE ORIGINI STORICHE
MACHIAVELLI
Il progetto di un ritorno della società alle sue origini storiche trova concretizzazione in Niccolò
Machiavelli, che ti dico la propria vita al tentativo di realizzare una comunità politica italiana
attraverso un ritorno alle origini della storia d'Italia. il principe (composto nel 1513 ma pubblicato
solo nel 1532, postumo) e i discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, mostrano proprio quell'unità
di giudizio storico e di giudizio politico che costituisce la caratteristica fondamentale di Machiavelli
e che fa di lui il primo scrittore politico dell'età moderna.
nei discorsi Machiavelli afferma che il solo modo in cui le comunità possono rinnovarsi, è quello di
ridursi verso i loro principi: tutte le fasi originarie, presentano aspetti positivi, guardando ai quali le
comunità possono recuperare la loro vitalità primitiva. nell'antica Roma spesso furono le sconfitte
a fare in modo che gli uomini ritornassero alle forme originarie della loro convivenza. allo stesso
modo, stella nazione italiana vuole riacquistare unità e libertà, deve ritornare alle proprie origini,
che Machiavelli individua nella Roma repubblicana.
per fare questo, in primo luogo è indispensabile riconoscere l’autentico significato di quel periodo
storico e trarne correttamente tutto l'insegnamento che esso può dare; in secondo luogo, è
necessario riconoscere le condizioni e gli strumenti attraverso i quali, è possibile realizzare il
ritorno a quel periodo originario. di quei due caratteri principali che contraddistinguono la
riflessione di Machiavelli: la ricerca dell’oggettività storica e il realismo politico, Che impone di
considerare la realtà politica e sociale del proprio tempo nella sua verità effettuale, al fine di
comprendere i reali meccanismi e riuscire a trasformarli.
rinunciando dunque a vagheggiamenti di repubbliche e stati ideali, Machiavelli analizza con
disincanto e realismo la realtà storiche e sociali in cui vive, la quale, per uscire dal disordine dalla
servitù politica, a suo avviso non ha altro modo che organizzarsi in un Principato guidato da un
uomo capace di unificare e riordinare l'intera nazione italiana. se vuole riuscire nei suoi disegni, il
principe deve fare i suoi calcoli considerando sempre il caso peggiore possibile: deve perciò
presupporre che tutti gli uomini siano cattivi. devi imparare a poter essere non buono, e a usare
questa capacità secondo la necessità. in altri termini, il compito del politico ha una sua moralità
immanente, che non sempre coincide con la moralità del cittadino privato. esiste quindi una virtù
politica che non ha nulla a che vedere con le virtù cristianamente intese, ma che riecheggia
piuttosto l'antico concetto greco di aretè. Machiavelli ritiene tuttavia che il male eventualmente i
commessi dal principe debba sempre immediatamente tradursi nel bene collettivo, cioè nell’utile
dei sudditi.
Machiavelli si rifiuta di ritenere che le cose del mondo siano governate dalla fortuna o da Dio in
modo che gli uomini non possano correggerle o portarvi rimedio: se così fosse, la libertà dell'uomo
sarebbe nulla e l'unico atteggiamento possibile sarebbe quello di lasciarsi governare dalla sorte. La
fortuna è arbitra solo dalla metà delle Nazioni umane e lascia governare gli uomini l'altra metà. La
fortuna rivela la sua potenza soprattutto dove manca un'ordinata virtù che possa resisterle. l'uomo
può porsi alla fortuna prestando attenzione alla propria storia e saldando al passato l'avvenire.
Secondo Machiavelli, l'umanità può riuscire a dominare la fortuna solo se non si abbandona gli
eventi, traendo dal passato mi ammaestramenti per l'avvenire.

L’INTERESSE PER IL MONDO NATURALE


La rinascita dell’uomo, che è l’annuncio e la speranza del Rinascimento, è la rinascita dell’uomo nel
mondo. L’uomo si comprende come parte del mondo: se ne distingue per rivendicare la propria
originalità, ma al contempo si radica in esso e lo riconosce come il proprio dominio. Il tema
dell’uomo come “natura media” - posta “al centro” dell’universo, a metà strada tra le creature
inferiori e quelle superiori- accomuna tutti gli umanisti, platonici, aristotelici e maghi, ed esprime
la consapevolezza di essere inseriti nel mondo in modo essenziale e di avere la possibilità di
servirsi della propria posizione privilegiata, per fare del mondo il proprio regno.
Nel Rinascimento lo studio del mondo naturale non appare più come la fuga dell’uomo di fronte
alla propria interiorità, o come una distrazione dalla meditazione sul proprio destino. L’indagine
naturale comincia ad essere considerata come uno strumento indispensabile per la realizzazione
dei fini umani nel mondo. Nell’indagine naturale si distinguono due aspetti: la magia e la filosofia
della natura.
La magia rinascimentale è caratterizzata da due presupposti:
1. Il riconoscimento della animazione della natura, concepita come mossa da forze
intrinsecamente simili a quelle che agiscono nell’uomo, coordinate e armonizzate da
un’universale “simpatia”.
2. La convinzione che l’uomo possa penetrare di colpo, nei più riposti recessi della natura e
riuscire a dominare le forze con lusinghe e incantesimi.
La magia va in cerca di formule e di procedimenti miracolosi, che consentano di accedere ai più
oscuri misteri naturali ed acquisire un potere illimitato su tutte le forze vitali.
La filosofia naturale abbandona il secondo presupposto. La natura è pur sempre vista come una
totalità vivente, ma la si considera retta da propri princìpi. Si rinuncia alla chimerica pretesa di
penetrare d’assalto nei misteri naturali, anzi si nega l’esistenza di tali miracoli: le forze naturale si
rivelano all’esperienza umana, occorre solo riconoscerle e assecondarle. La filosofia della natura
arriva così a rompere i ponti con la magia e con l’aristotelismo, e si propone di interpretare la
natura con la natura.

GIORDANO BRUNO
Nacque nel 1548 a Nola, in Campania. A circa 15 anni entrò nel chiostro domenicano di Napoli,
dove per le sue qualità eccezionali di memoria e di ingegno crebbe come un ragazzo prodigio. Ma
a 18 anni i primi dubbi sulla verità della religione cristiana lo posero in urto con l’ambiente
ecclesiastico e dieci anni dopo fu costretto a riparare prima a Ginevra, poi a Tolosa e infine a Parigi.
Qui pubblicò, nel 1582, la commedia il Candelaio e il suo primo scritto filosofico, Le ombre delle
idee, dedicato al re Enrico III di Francia. E qui ottenne i suoi primi successi come maestro dell’arte
lulliana della memoria.
Da Parigi, nel 1583, Bruno passò in Inghilterra, dove insegnò a Oxford e fu in relazione con la corte
elisabettiana. A questo periodo appartengono i cosiddetti “dialoghi italiani” e anche alcuni scritti
latini, che terminò però in seguito.
Ritornato a Parigi, si scontrò con l’ostilità degli ambienti aristotelici. Si trasferì allora in Germania e
qui insegnò a Marburgo, a Wittenberg e a Francoforte sul Meno, dove concluse i poemi latini.
Intorno al 1590 accolse l’invito del patrizio veneziano Giovanni Mocenigo, che si aspettava di
essere istruito nell’arte magica, e si recò a Venezia, credendosi al sicuro sotta ka protezione della
Repubblica. Ma, denunciato dallo stesso Mocenigo, il 23 maggio 1592 venne arrestato
dall’Inquisizione di Venezia per sospetto di Eresia. Bruno si sottomise e riscorse alla dottrina della
doppia verità, propria dell’averroismo. Ma nel 1593 fu trasferito all’inquisizione di Roma. Qui
rimase in carcere sette anni e rifiutò i ripetuti inviti a ritrattare le sue dottrine, affermando di non
aver nulla da smentire. Il 17 febbraio 1600, in Campo dei Fiori, fu arso vivo.

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