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IL PLURALISMO CULTURALE (pag. 95-108) Le società Occidentali contemporanei non sono del tutto omogenee.

La diversa distribuzione
sociale della conoscenza e la diversità d i valori e norme sociali viene chiamata pluralismo culturale. Anche nel passato delle società-stato
agricole esisteva una forte differenziazione culturale, ma con caratteristiche profondamente diverse dal pluralismo moderno. La cultura era
segmentata orizzontalmente. Grazie alla sua staticità era possibile stabilire tra la popolazione, nette divisioni di stato, di casta, di gruppo e
mantenerle senza creare tensioni e conflitti. Con la società industriale che è una società intrinsecamente mobile e instabile, sono le grandi
correnti della mobilità che lavorano contro il mantenimento di rigidi steccati orizzontali che diventano sempre meno giustificabili e tollerabili.
Nelle società industriali vengono rafforzate le linee divisorie tra nazioni mentre quelle tra classi sono più flessibili e permeabili. Se è stato
possibile identificare cultura con nazione è perché il nazionalismo del XIX secolo è, sostanzialmente, l'imposizione generale di una cultura
superiore a una società in cui in precedenza culture inferiori dominavano la vita della maggioranza, e in alcuni casi della totalità, della
popolazione. Ciò che ha creato l'idea di omogeneità culturale all'interno di una nazione è la diffusione generalizzata di una lingua codificata
per precise esigenze di comunicazione. Alla complessa struttura di gruppi locali si sostituisce una cultura che si differenzia secondo linee
diverse nonché orizzontali segmentate, ma che attraversano le persone e i gruppi. Questa differenziazione culturale è legata a una società
industrializzata, in cui esiste un'alta mobilità geografica e sociale. Possiamo parlare di complessità sociale. L'aumento del numero della varietà
degli elementi del sistema e la moltiplicazione delle relazioni di interdipendenza sono elementi tipici della complessità sociale. Se Durkheim
aveva messo in relazione la crescita della complessità sociale con l'emergere sempre più forte della personalità individuale, Simmel osserva
che nelle società premoderne l'individuo era legato dalla nascita a un numero limitato di gruppi, ciascuno dei quali comprendeva quello di
scala inferiore. L'individuo viveva entro un sistema di cerchie sociali concentriche: una cerchia sociale rimandava quasi inevitabilmente
all'altra, quindi l'individuo non usciva mai dal proprio mondo. Con la complessità sociale, queste sfere perdono la loro concentricità, il loro
asse e si giustappongono le une agli altri. L'individuo si trova a partecipare contemporaneamente a più gruppi che possono avere uno scarso
rapporto reciproco. La possibilità di individualizzazione, secondo Simmel, è tanto più alta quanto più la persona è caratterizzata in modo
determinato dal fatto di trovarsi al punto di incrocio delle due cerchie. Il termine pluralismo identifica in definitiva due aspetti caratteristici
della cultura moderna: il primo è la coesistenza di diversi sistemi simbolici, i quali sono solo scarsamente correlati l'uno all'altro; il secondo è
costituito dalla specifica situazione dell'individuo che ha portato a pensare che la scelta tra valori diversi e contraddittori sia un aspetto
irrinunciabile della propria dell’altrui libertà. Il pluralismo è anche un’ideale della società moderna. La condizione di pluralismo culturale
impone una riconsiderazione critica del rapporto della cultura con la tradizione e con la condivisione, che devono essere considerate come
ipotesi da indagare empiricamente.
CULTURA E SUBCULTURE La subcultura è un concetto per rappresentare la differenziazione culturale delle società industriali moderne. Il
prefisso sub descrive la cultura di un gruppo come subalterna, subordinata rispetto alla cultura nella sua interezza della società più ampia,
dunque come una sorta di nicchia o ambito delimitato. I gruppi studiati come subculture sono perlopiù definite dagli altri e da sè stessi come
devianti, in gradi e forme diversi rispetto ai fini alle norme della società, ad esempio le subculture delinquenti costituiscono uno dei principali
oggetti di studio dell'analisi subculturale e sono definite criminali. La subcultura si basa su differenze di classe, di etnia, di età o semplicemente
geografiche. Una subcultura è un settore ben delimitato di una cultura che l'ingloba, rispetto alla quale non è autonoma pur
differenziandosene in termini sociali e simbolici. Per Cohen, vengono acquisite solo per interazione con quanti già condividono incarna nel
pensiero e nell'azione il modello culturale. Ci deve essere un sistema di interazioni a livello microsociale che esprime specifici modelli culturali.
La subcultura presenta aspetti di coesione e densità dei legami che l'avvicinano all'idea di comunità. Una subcultura si distingue dalla
comunità per il fatto che mentre quest'ultima fa riferimento a una rete di relazioni sociali stabili che comprende rapporti di vicinato, di cui la
famiglia è la parte costituente, la subcultura è un gruppo meno stabile nel tempo, separato dalle relazioni familiari. Con lo studio sulle bande
giovanili che popolano i quartieri della malavita dei centri urbani si esplicita il concetto di subcultura. La ricerca fornisce un ritratto della
subcultura delinquente sia dal punto di vista sociale sia da quello dei suoi contenuti culturali. Essa conserva il suo essere gratuita maligna e
distruttiva: è gratuita in quanto il furto non è motivato da considerazioni razionali, ma si ruba per ottenere riconoscimento e per evitare
l'isolamento. L'astio, il disprezzo e lo scherno sono rivolti verso i rappresentanti delle istituzioni. La banda non si specializza in una specifica
attività criminale come avviene nelle organizzazioni di adulti, ma si esplica in un'ampia gamma di vandalismi. L'autore critica una spiegazione
in termini di disposizioni innate individuali e sostiene che le forme subculturali emergono dall'interazione tra attori sociali che hanno problemi
simili di adattamento sociale. Si tratta dunque di una strategia collettiva di soluzione dei problemi che si forma in un processo di esplorazione
reciproca di elaborazione combinata. La gang femminile, invece, è spesso vista come un rifugio da precedenti abusi sessuali in famiglia.
L'interesse dell'Università di Birmingham durante gli anni 70, si sposta sulle subculture giovanili che sviluppano modi di espressione
spettacolari come i mods, i teds, i punks e gli skinheads. Le subculture giovanili analizzate hanno una precisa e chiara collocazione di classe,
appartengono sempre alla classe operaia. Si mette tuttavia in luce, il loro aspetto transitorio e la loro posizione ambivalente rispetto alla
collocazione di classe. Rappresentano infatti una sorta di mediazione tra l'identità definita in termini di classe della cultura familiare e il
mondo commercializzato della cultura di massa. Hall e Jefferson sottolineano che la subcultura è una soluzione di compromesso tra l'esigenza
di essere autonomi e differenti dei genitori e quella di mantenere l'identificazione con questi e il loro sostegno. Le subculture giovanili
adottano tratti e caratteri della cultura d'origine, ad esempio l'enfasi sulla territorialità è una valorizzazione della mascolinità. In particolare,
la subcultura costruisce la sua specifica identità attraverso l'uso di oggetti, la predilezione per un certo tipo di musica, un peculiare tipo di
abbigliamento, di pettinatura e di presentazione di sé. Lo stile è un modo di comunicare agli altri la propria identità, un metodo per mettere
ordine nelle proprie idee, sulla società e sul proprio ruolo in essa. Le subculture hanno una base economica della società affluente. Gli oggetti
di consumo costituiscono solo il materiale grezzo in base a cui i gruppi giovanili in maniera creativa costruiscono attraverso una sorta di
bricolage culturale, uno stile che assegna loro un significato. Altre subculture giovanili vanno menzionate per la loro rilevanza e diffusione,
ad esempio la subcultura hip-hop. I suoi caratteri distintivi sono uno specifico stile musicale, la musica rap e la breakdance, una danza
acrobatica, i graffiti writing, disegni effettuati con tecniche originali sui muri dell'arredo urbano e lo stile di abbigliamento che usa abiti casual,
pantaloni larghi e scarpe da ginnastica. La subcultura trap degli anni 2000 è nata negli ambienti degli spacciatori americani, da qui deriva il
nome trap. La subcultura hipster nasce nel XXI secolo, ed è formata da giovani bianchi istruiti, appartenenti al ceto medio alto, residenti in
aree urbane gentrificate. Enfatizzano come i gruppi spettacolari degli anni 70, lo stile unico e l'autenticità. Esibiscono un atteggiamento snob,
ricercato e deliberatamente demodé, con abiti vintage, occhiali con spesse montature, lunghe barbe, baffoni curati. Le subculture sono quasi
sempre espressioni della vita urbana contemporanea dove trovano risorse e spazi interattivi adatti a crescere e riprodursi. Non a caso alcuni
studi hanno chiamato le molteplici subculture presenti nelle metropoli, culture urbane. Le ricerche sulle subculture tendono a fornire
un'immagine segmentata della complessità culturale della società contemporanea. La cultura di una società o meglio di una città appare
formata dall'aggregazione di subculture locali, ognuna delle quali produce una variante subordinata, costituita da valori e norme omogenei,
radicata in altrettante reti di relazioni sociali, etniche, generazionali, dai confini sufficientemente delimitati da costituire gruppi sociali distinti.
CULTURA ALTA, CULTURA POPOLARE, CULTURA DI MASSA La necessità di distinguere tra cultura alta e cultura popolare nasce dalla netta
separazione tra la società del passato e la società attuale. Nelle società preindustriali premoderne a una cultura alta si affianca una cultura
costituita da costumi e tradizioni locali, radicata nella vita quotidiana dei mestieri, nei rituali e nelle feste di una popolazione, che è ancora
in gran parte integrata entro una comunità. Il passaggio alla società industriale con la creazione di una produzione industriale di massa,
l'urbanizzazione crescente produrrebbe degli effetti negativi sulla cultura popolare. Quest'ultima subirebbe una metamorfosi totale in
direzione di una degenerazione e scadimento. La cultura di massa è la cultura popolare che è prodotta dalle tecniche industriali di produzione
di massa e che è venduta al fine di ottenere un profitto al pubblico di massa dei consumatori. La nozione di cultura di massa ha un carattere
descrittivo e insieme valutativo: da un lato descrive le caratteristiche che la cultura assume quando emerge un nuovo ordine della società, la
società di massa. Dall'altro, è una cultura degradata rispetto a un modello ideale di cultura elevata propria dei ceti intellettuali. La scuola di
Francoforte analizza e critica l'industria culturale basata sui mezzi di comunicazione di massa, a cui si attribuisce un ruolo di manipolazione,
di omologazione culturale. L'unidirezionalità dei messaggi, la produzione orientata alla vendita e al consumo standardizzano la cultura, la
riducono a merce e la trasformano in una semicultura, ovvero una cultura frammentata che si acquisisce per il prestigio che può procurare,
ma che non ha più alcun rapporto con l'esperienza. Se i messaggi hanno una certa uniformità, ciò non significa che siano recepiti in maniera
uniforme dagli individui. Il pubblico dei mass media non è un pubblico atomizzato, disorganizzato come si assume quando si parla di massa.
I messaggi vengono recepiti in maniera selettiva dagli individui. L’influenza esercitata dai mezzi di comunicazione di massa avviene in maniera
indiretta attraverso il leader d'opinione. Anche l'idea di una cultura di massa qualitativamente omologata verso il basso, presuppone una
netta distinzione tra una cultura alta e una cultura popolare e non risponde all’esigenza sempre di analizzare i reciproci e persistenti rapporti
tra cultura alta e cultura popolare. La cultura popolare era estremamente diversificata, il popolo non possedeva una cultura omogenea.
Rispetto alla tendenza a vedere la cultura delle classi inferiori come una mera imitazione di quelle delle classi più elevate, in una discesa verso
il fondo della scala sociale, si mette in luce l'esistenza di un'interazione tra le due che presentano confini molto flessibili. Inoltre, a mettere
in comunicazione cultura dotta e cultura popolare esisteva un gruppo di persone che fungevano da intermediari, persone semistruite, come
i tipografi avventizi. Il carattere diversificato della cultura popolare e gli intrecci esistenti tra questa e la cultura alta sono emersi anche dagli
studi dei sociologi che hanno cominciato a sottoporre a critica l'applicabilità del concetto di cultura di massa alla società industriale moderna
e hanno visto in tale concetto l'espressione di un atteggiamento elitario, tipico di intellettuali appartenenti alla classe media superiore. Le
definizioni stesse di cultura alta e cultura popolare non sono stabili ma cambiano nel tempo: ciò che sembra tipico di una cultura alta può
diventare gradualmente patrimonio della cultura popolare e viceversa. I nuovi studi sulla cultura popolare non solo hanno criticato l'uso del
concetto di cultura di massa ma hanno messo in luce i rapporti reciproci e le trasformazioni nei due sensi, di ascesa e discesa. I prodotti
culturali costituiscono una forma della cultura che è stata anche chiamata cultura documentata: esistono sia come artefatti sia perché
eseguiti o mostrati a un pubblico di spettatori. Gli studi sociologici più recenti mettono in luce che tra l'industria culturale e i molteplici
pubblici che recepiscono e consumano i suoi prodotti si instaura un rapporto interattivo, in cui riceventi svolgono un ruolo ben più attivo e
creativo di quanto si supponesse in passato. I significati dei prodotti dipendono in gran parte dal contesto della loro fruizione. (pag. 108)
DIFFERENZIAZIONE CULTURALE E SUBCULTURE La società è un’entità immaginata (Mills), un sistema differenziato. Il sapere sociologico può
programmare molti aspetti della vita sociale. ES. Nike utilizza una cultura sportiva riguardante grandi sport di massa, come il calcio. Esiste
una cultura del calcio, fatta di valori, norme, pratiche. Ma esistono delle subculture, che possiamo chiamare nicchie di consumo, sono ambiti
culturali meno intercettati, che hanno al loro interno un linguaggio e una coesione differenti. Ad esempio, la subcultura degli skateboard
avrà regole diverso rispetto ad un’altra cultura sportiva delimitata. In alcuni luoghi, la cultura degli skateboarder è associata ad atti di
criminalità. Nike ha compreso quella porzione di consumatori. La differenziazione è uno dei grandi processi dell’evoluzione sociale. È
un’incessante diversificazione. Nel corso del tempo, ogni società tende a presentare al suo interno eterogeneità, sulla base di caratteri
socialmente e culturalmente rilevabili. La differenziazione sociale avviene in maniera diacronica, le parti della società acquisiscono termini
diversi in base a simboli, culture, norme. Oggi, le società occidentali non sono omogenee, ma differenziate. Ad esempio, lo Stato Europeo
nasce dall’unificazione di stati molto diverso (etnia, lingua, religione, classe sociale, conoscenze, valori, tradizioni, norme sociali). Secondo il
sociologo Luciano Gallino, nel corso della differenziazione, le parti della società acquisiscono identità distinte, particolari. Il Nazionalismo è
la pretesa dell’egemonia culturale di uno Stato. Oggi, invece, prevale il pluralismo. Questa diversità è una sfida per i ricercatori che vogliono
capire come i gruppi sociali hanno differenti caratteristiche, come mutano nel tempo e perché assumono un atteggiamento sfuggente. Nel
mondo dei consumi, la differenziazione è fondamentale. ES. Non sempre un oggetto di marca definisce la nostra identità, ognuno può
adottare stili di consumi diversi, ad esempio in base alla variazione del reddito.
CULTURA E CLASSI SOCIALI (109-116) Molti autori distinguono le culture urbane, prodotte dall'industria culturale centrale, il cui pubblico è
ancora stratificato per classe, e le culture periferiche in cui la classe sembra aver perso importanza. Questa distinzione riguarda
specificamente i prodotti dell'industria culturale verso cui si esprimono le preferenze o i gusti culturali dei consumatori.
CLASSE E COSCIENZA DI CLASSE SECONDO KARL MARX Le società complesse sono caratterizzate da una stratificazione sociale molto
articolata e diversificata, ossia da una struttura sistematica di disuguaglianze economiche e sociali. Queste disuguaglianze vengono
generalmente riassunte con il nome di classi. Basta ricordare il sistema indù delle caste che divide l'insieme della società in molti gruppi
ereditari distinti. I ranghi sociali non sono definiti da elementi economici, ma rituali e religiosi, per cui la gerarchia sociale si definisce in base
alla contrapposizione puro/impuro. Anche il sistema dei ceti degli Stati feudali aveva una struttura di disuguaglianza molto rigida. Era la
nascita, il ceto a cui si apparteneva per nascita e non la ricchezza, a classificare le persone. Tutte queste strutture tradizionali di disuguaglianza
avevano una caratteristica comune: si sono sviluppati ampi e sofisticati sistemi di legittimazione religiosa dell'ordine e della gerarchia sociale.
La rivoluzione inglese e quella francese fanno emergere nuovi valori legati all'idea che tutti gli esseri umani nascono uguali. Entrano in campo
teorie e dottrine filosofiche che, oltre a rovesciare la tesi della naturalità della disuguaglianza, cominciano a domandarsi la ragione del
permanere di situazioni di subordinazione e di disuguaglianza. Le classi sociali sono al centro dell'opera di Karl Marx. Esse hanno un
fondamento eminentemente economico, in quanto dipendono dalle forme di proprietà e di controllo che caratterizzano le relazioni di
produzione. Per Marx, nella società capitalistica vi sono due classi principali: la borghesia proprietaria dei mezzi di produzione, e il proletariato
che possiede solo la propria forza lavoro. Nei suoi lavori storici egli è molto attento a cogliere le sfumature e le articolazioni all'interno della
stessa classe. Si chiede se l'esistenza oggettiva della classe è di per sé sufficiente a mobilitare gli individui che a essa appartengono, a farne
cioè un attore sociale collettivo. Le classi sono potenzialmente dei soggetti collettivi. Marx infatti distingue tra classe in sé e classe perse. La
prima indica la collocazione oggettiva delle persone all'interno di rapporti di produzione; mentre la seconda fa riferimento alla dimensione
soggettiva, ossia alla presa di coscienza degli individui di appartenere solo a una comunità e di avere interessi e finalità comuni. Solo il
passaggio dalla classe in sé alla classe per sè avrebbe costituito un attore sociale in senso proprio, un'identità collettiva. Gli uomini entrano
in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, i rapporti di produzione, che corrispondono a un determinato grado di
sviluppo delle loro forze produttive materiali. L’insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società. Il
modo di produzione della vita materiale condiziona il processo sociale, politico e spirituale della vita. L'essere sociale degli uomini determina
la loro coscienza. In questo brano sono contenute due affermazioni diverse: la prima sostiene che c'è una base o struttura economica che
determina una sovrastruttura politica e giuridica e specifiche forme di coscienza sociale. Questo assunto è stato spesso interpretato come
una sorta di determinismo economico, per cui la sovrastruttura è costituita dalla conoscenza e dalla cultura di una società, altro non sarebbe
che un riflesso dei rapporti economici sottostanti. La seconda, riprendendo la critica all'idealismo che riduce la realtà a un prodotto della
coscienza, sostiene che vi sia uno stretto rapporto di condizionamento tra essere sociale e coscienza. Attraverso la pratica, soprattutto la
pratica lavorativa, Marx suggerisce che può emergere la coscienza a livello di classe. Si rilevano due meccanismi: l'omogeneità interna a una
classe, cioè la riduzione di differenziazioni di lingua e religione dovuti ad esempio i processi migratori; e la concentrazione delle forze
produttive nello stesso luogo, in grandi stabilimenti, che facilitano la comunicazione. Il fattore sociale fondamentale della formazione della
coscienza diventa la centralità/marginalità del sistema produttivo e l'isolamento di gruppo.
CLASSI E CETI SECONDO WEBER: LA CULTURA DEGLI IMPRENDITORI CAPITALISTI Mentre in Marx le classi si collocano all'interno di rapporti
di produzione, per Weber il luogo privilegiato entro cui si costituiscono è il mercato. Collins mette in evidenza che oltre al rapporto tra
proprietari e non proprietari, ve ne sono altri due altrettanto importanti nel generare conflitti di classe: si tratta del rapporto tra creditori e
debitori e di quello tra venditori e compratori. Weber usa oltre la classe, una seconda categoria di stratificazione: i ceti. Mentre le classi
rimangono legate alla sfera economica, i ceti sono situati nella sfera della cultura. Sono comunità di individui che hanno in comune uno stesso
stile di vita, una stessa concezione del mondo, uguali gusti e preferenze. Weber chiarisce che la situazione di ceto può fondarsi su una
situazione di classe, ma non è sufficiente che esista una classe perché si formi automaticamente un ceto. Gli individui appartengono allo
stesso ceto in quanto ciò che li unifica è una stessa condotta di vita, creata dalla medesima socializzazione educativa. Il ceto manifesta una
tendenza alla chiusura sociale e tende all'appropriazione monopolistica di risorse e possibilità. Il carattere principale del ceto è dunque il
prestigio sociale, la distinzione e lo status sociale che consente di ottenere i propri membri. Per Weber, esiste un rapporto stretto tra classe
e ceto. Se una classe sociale vuole diventare dominante in termini di potere deve organizzarsi come ceto. Questo si può realizzare attraverso
la cultura, che si esprime nell'assunzione di regole, norme, modi di pensare e di comportarsi. Weber apre quindi la strada a un'analisi delle
differenze culturali che nascono dall'intersezione di diversi tipi di capitale e che si esplicano in modelli omogenei di stili di vita. Weber mostra
come certi orientamenti religiosi diventano comprensibili a un osservatore esterno, se riportati allo stato sociale che ne è stato storicamente
il principale portatore, considerando quindi il tipo di relazioni, di esperienze e di disposizioni a esso soggiacenti. Un orientamento religioso
mistico tipico delle religioni orientali è connesso alla presenza dominante di strati intellettuali elevati, dediti alla penetrazione puramente
concettuale del mondo e del suo senso, un gruppo sociale. Quando si forma un forte strato ierocratico, ossia un gruppo di individui dediti
alla cura professionale del culto delle anime, esso tenderà a regolamentare la ricerca individuale della salvezza e a sottoporla al suo diretto
controllo. Gli strati guerrieri cavallereschi risultavano estranei a qualsiasi atteggiamento mistico, ma nello stesso tempo erano incapaci di
dominarlo con mezzi nazionalistici. Anche lo strato dei contadini, la cui esistenza economica era specificamente legata alla natura e al ciclo
naturale degli eventi, non era incline a un orientamento razionalistico, ma manifestava un'affinità con una religiosità di tipo magico.
L'esistenza economica degli Stati borghesi si fonda sul lavoro più continuativo rispetto a carattere stagionale del lavoro agricolo, fondato
proprio sul calcolo e sul dominio tecnico della natura. Ne deriva una particolare affinità con una religiosità capace di prospettare una
regolamentazione etica e attiva della vita nel mondo, come il cristianesimo. Weber si sofferma sulla descrizione di una specifica cultura di
classe: quella dei moderni imprenditori capitalisti. Il punto di partenza consiste proprio nell'identificazione empirica di una configurazione
culturale radicalmente nuova che chiama spirito del capitalismo. La classe portatrice di questo nuovo ethos è la media borghesia industriale.
(109-116)
STRATIFICAZIONE SOCIALE E CULTURA NELLA RICERCA SOCIOLOGICA CONTEMPORANEA (117) Thompson ha posto l'accento sul fatto che
la classe non è un'entità astratta, ma un insieme di relazioni. La coscienza di classe è il modo di fare esperienza di queste relazioni, per cui le
classi non possono essere identificate separatamente dalla coscienza che se ne ha. Thompson si concentra sulla creazione di una comunità.
Egli rintraccia le origini della classe operaia fortemente organizzata e autoconsapevole, del periodo industriale, nelle tradizioni locali del XVIII
secolo. Oggi, è forse sempre più difficile riconoscere il rapporto tra classe operaia e cultura così stretto da formare delle vere proprie
comunità, ossia raggruppamenti di persone che vivono nello stesso quartiere, e abbiano le stesse reti di vicinato. Non bisogna tuttavia
confondere la scomparsa di questi caratteri con la loro minore visibilità sociale. Questo graduale slittamento verso uno spazio privato non
ha modificato alcuni tratti tradizionali della cultura. Anche se i confini di classe sono più mobili e permeabili, non per questo è venuto meno
il carattere di classe di molti orientamenti culturali. Una ricerca comparata sulla cultura culinaria delle maggiori società dell'Europa e dell'Asia
mostra che essa è sempre stata associata alle gerarchie sociali. La forma estrema di questa differenziazione si trova nell'attribuzione di cibi
specifici a specifici ruoli, uffici o classi. Nell'antico Egitto esisteva un divario enorme tra la dieta frugale dei contadini, che consisteva di datteri,
vegetali e pesce, e la cucina elaborata dalle classi dirigenti che non riguardava solo la quantità, ma la qualità, la complessità e gli ingredienti
impiegati. Cambiamenti rilevanti ebbero luogo anche in relazione al cambiamento della stratificazione sociale inglese, in particolare con
l'espansione della classe media. L'uso di libri stampati, di ricettario di manuali di comportamento domestico ha aiutato la classe media a
rompere l'organizzazione gerarchica della cucina. Le ricerche condotte da Berstein negli anni 70 si confrontano con la questione del rapporto
tra ordini simbolici e struttura sociale. Nel mondo attuale il sistema di classe ha influenzato la distribuzione sociale della conoscenza. Solo
una piccola parte della popolazione arriva fino a livello di metalinguaggi di controllo e innovazione. Ci sono quindi due ordini di significati
differenti: uno universalistico, in cui principi operazioni sono resi espliciti; e uno particolaristico, quando i principi e le operazioni rimangono,
impliciti. Attraverso la socializzazione, i bambini appartenenti a famiglie di classe operaia acquisiscono un codice ristretto che realizza
significati dipendenti dal contesto, non esplicitati e basati su ruoli comunalizzati. I figli di classe media assumono un codice elaborato che si
basa su ruoli individualizzati, su significati resi espliciti e indipendenti dal contesto. Tuttavia, nelle società industriali complesse, l'esperienza
e la competenza linguistica dei bambini di classe operaia è sistematicamente sottovalutata e disprezzata, specialmente nell'ambito scolastico.
Il diverso rendimento scolastico dei bambini è in gran parte legato a sensibili differenze di classe nell'uso del linguaggio, familiarità con
differenti codici linguistici, e tocca il problema teorico della struttura fondamentale del processo di socializzazione. (pag. 117)
SOCIALIZZAZIONE (cap. 7) Comunicazione e socializzazione sono processi che si compenetrano, ma non si sovrappongono. Attraverso la
comunicazione, le rappresentazioni culturali si diffondono selettivamente perlopiù intenzionalmente e in maniera discontinua. Con la
socializzazione, la cultura viene trasmessa da una generazione all’altra, non solo attraverso processi comunicativi e messaggi espliciti, ma
anche in modo non intenzionale attraverso l’esempio, la vita in comune, l’adattamento. È attraverso la socializzazione che si costruisce
l’identità del singolo e diversi aspetti della cultura diventano per lui significativi. Il processo di socializzazione si prospetta come uno scambio
intergenerazionale di modelli culturali. Il processo interpella una pluralità di soggetti che interagiscono nel percorso di crescita dell’individuo,
disegnando percorsi di socializzazione composita. Si configura come un processo istituzionale in cui le famiglie e la scuola si intrecciano con
altre agenzie della socializzazione informale. Infine, ha importanti conseguenze sul processo di formazione dell’identità della personalità
dell’individuo. Il processo si caratterizza principalmente come apprendimento e appropriazione interiore dei significati e delle regole più
generali che caratterizzano una società. Il processo di socializzazione si caratterizza anche come adattamento a varie strutture e relazioni
nuove in cui l’individuo si viene a trovare innanzitutto nell’infanzia, ma che prosegue anche oltre nel corso dell’adolescenza. Il processo di
socializzazione è attraversato da istanze apparentemente contrapposte: da un lato vi è una forte spinta all’integrazione; dall’altra parte deve
porre le basi per l’individuazione del soggetto, che riguarda lo sviluppo della personalità. La socializzazione è un processo che accompagna
tutto il corso di vita dell’individuo; spesso egli è consapevole di tale processo e agisce in modo attivo, ma spesso è uno spettatore che viene
coinvolto poco alla volta e a sua insaputa. Quando si fa riferimento ai processi di acquisizione delle competenze di base, si usa l’espressione
socializzazione primaria. Questa fase caratterizza l’infanzia e ha luogo prevalentemente nella famiglia. Si parla di socializzazione secondaria
per il periodo successivo in cui si apprendono ruoli specializzati, legati principalmente alla scuola, al mondo del lavoro e all’acquisizione piena
della cittadinanza. (fine cap. 7) La differenziazione sociale può essere intesa come un aumento di complessità. Le società semplici, lineari
sono quelle non differenziate. Può essere di tipo verticale o orizzontale. Verticale: aumento di livelli di autorità, potere, ricchezza:
stratificazione (pag. 117 sciolla, 117 parziale). Orizzontale: le differenze sono inevitabilmente connesse tra loro. Il pluralismo culturale è la
coesistenza all’interno dello stesso sistema sociale di più sistemi simbolici non correlati tra loro. La pluralità di scelte e opzioni coesiste, il
pluralismo è considerato una ricchezza perché permette la libertà di scelta. Se il destino è stato già scelto, invece, non c’è modo di agire o
scegliere. Il pluralismo non ha inizio né fine, è un processo continuo. Molti autori, come quelli della scuola di Francoforte, avevano ipotizzato
che l’uomo, grazie ai consumi di massa, si sarebbe disumanizzato, sarebbe diventato privo della libertà di scelta. In realtà, la società di massa
ha generato una pluralità di soggetti, che si moltiplica all’infinito. Lo stile di vita comprende gusti, scelte degli hobby, nel mangiare, nelle
abitudini (habitus). Gli stili di vita sono permeabili, convivono nella società. I parametri tradizionali (classe sociale, reddito, età) non sono più
stati sufficienti per spiegare la differenziazione. ES. Due persone della stessa età, vivendo in uno stesso ambiente culturale, potrebbero
condurre due stili di vita completamente opposti. Questi parametri, quindi, non sono funzionali allo studio e alla spiegazione della società.
Non ci danno un identikit dell’individuo, del gruppo. Fabris parla di nuovi parametri: siti valoriali, appartenenti ad un nuovo tipo di
consumatore, che definiscono stili di vita omogenei o non omogenei tra loro. Oggi, anche all’interno di uno stesso individuo esiste una
pluralità di identità, di stili di vita, che danno luogo a scelte apparentemente contrastanti. Questo nuovo consumatore non procede in modo
lineare, per questo è difficile studiare il target, che è imprevedibile. La non linearità è una caratteristica della società complessa, differenziata.
Il fisico russo Ilya Prigagine individua gli aspetti di indeterminazione e imprevedibilità nella teoria della biforcazione. Il termine subcultura
nasce dalla differenziazione. Lo studio delle subculture nasce nella scuola di Chicago; secondo gli studiosi esistono culture omogenee al loro
interno, strettamente relazionate tra loro, diverse dalle altre. Il loro metodo anche oggi è funzionale, si usa un’osservazione partecipante, si
entra a far parte della subcultura. Le subculture sono subordinate, ma non inferiori. Coehn le studia come culture devianti rispetto alle norme
che rendono tale una società, le considera criminali. Nike nasce come un’azienda di scarpe da corsa per mezzifondisti, negli anni 70. Intorno
agli anni 80, percepisce un cambiamento nel mondo dello sport. La cultura sportiva passa da maschilista (sport: sacrificio, sudore) a
femminista (sport: fitness, svago, estetica). Quindi, Nike inaugura una linea per le donne. Nike si rende conto che quella porzione di cultura
sportiva poteva essere rivolta anche ad un altro tipo di pubblico. L’attività del ciclismo ha assunto diversi significati: ad esempio, ora si usa
per spinning (salute, benessere) o al posto dell’auto (contro l’inquinamento ambientale). Nelle grandi città americane e italiane, gli
skateboarders sono visti come disturbatori, criminali, mentre Nike dimostra nei suoi spot come sport di serie A vengano intesi in modo
completamente diverso, per questo esiste una cultura dominante (che comprende sport tipo golf, tennis, corsa). Attraverso lo sport, Nike
dimostra di aver conosciuto e compreso lo stato d’animo, la situazione di emarginazione della subcultura skateboard. In questo modo, Nike
conquista una nicchia di mercato, allarga la propria base di consumatori e il suo portafoglio, e comprende lo sport come una grande cultura.
Le culture del consumo sono fondamentali per i mercati. All’interno dei mercati esistono sempre delle subculture, non sfruttate da alcune
aziende. Scoprirle rappresenta una grandissima opportunità per gli esperti di marketing, che potrebbero diventare creatori, partecipare,
intervenire a livello produttivo. Il mercato può influenzare una subcultura, offrendo possibilità nuove, e viceversa. La subcultura Harley
Davidson vede individui affermarsi come motociclisti, che conducono uno stesso stile di vita. In Italia, ci sono ma non sono affermati come
élite, come in America. In America, sono considerati devianti, alcune volte si comportano illegalmente. Attorno all’oggetto moto, ruotano
diversi settori del consumo (es. turismo o abbigliamento). Capire questa subcultura può essere fondamentale per le aziende per fare scelte
di marketing. In America, questa subcultura stava andando in rovina, ma il fondatore riuscì a rinnovare l’azienda, rilanciando il motociclismo.
Alcuni agenti del cambiamento sono stati la crescita del mercato, la maggiore familiarità con il pubblico, una maggiore concorrenza, più tipi
di motociclisti, più mode, e l’invecchiamento del motociclista medio. Subcultura è un termine che appare tra gli anni 30 e 40. Conoscere una
subcultura può essere importante per conoscere una sezione di una cultura dominante, con caratteristiche utili per capire il linguaggio, gli
usi, gli oggetti, i simboli, i codici, gli stili di vita, i modi di porsi, gli atteggiamenti nei confronti degli altri. Secondo Luciano Gallino, se
consideriamo la cultura come dominante possiamo considerare la subcultura un sottoinsieme che contiene elementi culturali materiali e
immateriali. Immateriali: norme, valori e credenze. Materiali: oggetti, pratiche di consumo, modi di essere. Ad esempio, il valore immateriale
anarchia-ribellione sviluppa l’elemento materiale movimento no mask. È possibile che un grande brand come Nike riesca a capire
inaspettatamente dalle previsioni che esistono gruppi che amano il loro prodotto, ma lo usano in modo diverso, originale. Ad esempio, la
marca Cinelli ha capito di essere una marca di culto anche nel mondo dell’arte, del design o del ciclismo urbano. Alcuni fenomeni emergenti
spontanei possono essere sfruttati per arrivare ad una nicchia di mercato, offrendo prodotti e possibilità di accogliere una community. La
subcultura può nascere in una determinata categoria, anche un’azienda con le sue credenza e valori può essere considerata subcultura. Ma
può esserlo anche una cultura deviante, come la malavita. I membri di una subcultura condividono alcuni tratti essenziali della dominante.
La subcultura è differenziata, specializzata, ha funzioni diverse. La subcultura è una forma di opposizione alla cultura dominante. Un esempio
evidente è la subcultura criminale: opposizione reale. L’opposizione simbolica riguarda, invece, credenze, valori e norme diverse. Quando i
tratti culturali sono radicalmente opposti alla dominante si parla di controcultura. Le subculture non sono eterne, ma variano di pari passo
con la società. Alcune subculture, che un tempo erano nicchie marginali, diventano dominanti o parti della cultura dominante. ES. Negli anni
70, nasce la subcultura ecologica, che oggi è diventata una cultura dominante. I provos erano anarchici provocatori, che negli anni 70 in
Olanda, andavano in giro con delle bici bianche, le lasciavano per la città, rivendicando i diritti dei ciclisti, in questo modo riuscirono ad influire
sulle politiche della città. Le subculture presentano gli stessi caratteri di densità sociale, coesione di una comunità o cultura più ampia.
Kroeber e Linton sono i primi ad affrontare il tema delle subculture. A volte, è stato associato il concetto di subcultura ad un concetto di
cultura deviante, in modo errato. Nel 1936, Linton scrive “Lo studio dell’uomo”, in cui spiega che la cultura nella sua interezza è un
agglomerato di subculture. Gli antropologi studiavano le società primitive. Mentre gli etnologi descrivevano tribù e nazionalità, come origini
delle culture, la cultura dominante è formata da subculture, che trasmesse nei gruppi, compongono una società completa. La cultura non è
un aggregato stabile, ma interagisce al suo interno, contribuendo alla formazione della grande cultura generale. Nel 1955, Cohen scrive “La
cultura della banda”, definendo la subcultura una devianza. È un’accezione riduttiva, perché la subcultura non sempre si ribella in modo
criminale alla cultura dominante. La subcultura è una forma di adattamento elaborata da soggetti emarginati per far fronte ad una serie di
problemi, per sopravvivere. Secondo Cohen, questi gruppi adottano queste forme per sopravvivere economicamente, per avere più prestigio
o autostima, questo vale ad esempio per le persone con reddito basso, che vivono le stesse esperienze. La funzione della subcultura è anche
controllare le interferenze degli altri gruppi; i gruppi vogliono procurarsi i beni preferiti senza rischi né sensi di colpa, e sanno che gli altri
membri del gruppo saranno solidali nei loro confronti (es. alcol, sesso, droga, legati alla criminalità). La subcultura può scomparire o evolversi,
perché condivide l’evoluzione della società e della cultura dominante. Spesso rappresenta una reazione ad una cultura dominante. Per far
parte della subcultura, le norme, i valori e le credenze devono essere assorbite nella mente dei soggetti, in ogni momento dell’esistenza, in
modo continuato. Si potrebbe scambiare una tendenza nascente o un movimento per una subcultura. La subcultura, però, deve avere
caratteristiche ricorrenti, regolari che ci fanno pensare ad un sistema (anche in ambiti geografici diversi). Devono esistere alcuni fattori: 1.
Un certo numero di persone, un gruppo con stessa posizione sociale, e stesse problematiche di adattamento. 2. Interazione e coesione tra
individui. 3. Discrepanza, frattura, contrasto tra soggetti e totalità del sistema sociale. È forte il concetto di devianza, crimine, diversità,
rispetto alla cultura mainstream. Critical Mass (massa critica): è un raduno di bici. I ciclisti urbani nelle grandi metropoli sfruttano la forza
della massa per invadere le strade e rivendicare una mobilità più sostenibile, quindi creano un flash mob attraverso la pedalata, un
appuntamento settimanale. Nasce a San Francisco e arriva fino a Milano. Il movimento è una subcultura, infatti non c’è un leader, non ci
sono regole, ma si condividono valori, linguaggio, e relazioni sociali. Il movimento dei provos nasce negli anni 70, e riesce nel tempo a
trasformarsi per raggiungere degli obiettivi, riguardo un tema che era allora sconosciuto. Negli anni 70, all’università di Birmingham si
studiano le subculture giovanili, erano gruppi composti da ragazzi figli di operai. Nasce l’esigenza di comunicare tra questa subcultura
giovanile e la cultura dei prodotti, del mercato rispetto alla massa. Questa sezione rappresenta un mercato promettente. Lo stesso tema
viene ripreso dagli inglesi Hall e Jefferson, secondo cui la subcultura rappresenta un nesso tra la cultura familiare, da cui ci si vuole allontanare,
ma allo stesso tempo la necessità di ricevere il sostegno economico o emotivo della famiglia, con cui ci si vuole identificare. Qui, è evidente
l’incontro-scontro con la famiglia nelle subculture. Quindi, la subcultura è anche legata a oggetti materiali, di consumo, generi musicali, stili.
Nel 1937, Hebdige studia alcune subculture inglesi, come i teddy boys, i punk e i rasta, alcune delle quali sopravvivono ancor’oggi. Queste
subculture attingono a dei modelli massificati della cultura giovanile, nonostante il loro bisogno di distinguersi. Gli oggetti esprimono
significati di determinate culture. Il consumatore è colui che si appropria dei codici della cultura mainstream e li ricollega in modo originale.
I punk si vestono di nero, hanno creste colorate, borchie, piercing, ascoltano i Clash e i Sex Pistols. I punk a bestia, sono in seguito
un’evoluzione della subcultura punk. Condividono l’anarchismo, l’uso di droghe, la musica elettronica, tipica dei rave party, la musica reggae,
la passione per certi strumenti musicali, vivono di microcriminalità, soprattutto spaccio: per questo aspetto, rispecchiano i tratti devianti di
cui parla Cohen. La subcultura dei teddy boys nasce a Londra alla fine degli anni 40: hanno un forte legame con il rock’n roll, è una generazione
inquieta sviluppatasi dopo la seconda guerra mondiale, i ragazzi sono attratti dal bello, si ispirano al dandy, all’aristocratico inglese, e sono
ribelli al margine. Come studia il francese Cova, nel 1997, nell’epoca moderna esistono vere e proprie tribù del consumo, che hanno delle
affinità con le subculture. I beni, le marche, i prodotti, gli oggetti sono i legami che tengono unita una comunità, una tribù. Ad esempio, gli
Harley Davidson condividono l’amore per la natura, l’irritazione verso le regole e il formalismo, e la passione per le moto.
SIGNIFICATO CULTURALE DEI BENI DI CONSUMO (pag. 217) Ne “La teoria della classe agiata”, Veblen sviluppa nello stesso tempo un’analisi
lucida e una critica stringente della società americana di fine Ottocento. Le attività economiche nella società moderna non hanno motivazioni
meramente utilitaristiche. Il consumo rappresenta una fonte di prestigio e di reputazione sociale. La classe agiata che non svolge un lavoro
produttivo, ricerca il possesso di ricchezza, lo esibisce e realizza un consumo vistoso di beni, ossia un consumo di cose superflue, in una sorta
di competizione di distinzione antagonistica. La classe agiata, proponendo il suo comportamento di spesa, il suo consumo vistoso, come
canone di onorabilità e rispettabilità legittimato socialmente, provoca l’imitazione delle classi inferiori che lo seguono come modello ideale
di vita. Veblen, dunque, individua la molla del consumo nel confronto antagonistico che ci spinge a superare quelli con i quali usiamo
classificarci. (pag. 217) Quando consumiamo beni, soddisfiamo un bisogno materiale, ma quel prodotto può anche rappresentare uno stile,
una marca, un significato diverso, sociale. Il consumatore non è mosso solo da logiche economiche ma consuma anche dei significati, che
possono essere sociali. Veblen, economista, studia le società americane, ed è il primo sociologo a studiare i consumi, come elementi sociali.
I consumi sono l’agire sociale dotato di senso. Prima di Veblen, parlare di abbigliamento, hobby, arredamento, oggetti quotidiani, era
considerato non degno di uno scienziato, di un esperto perché si tratta di elementi banali. Nel libro “Theory of Leisure Class”, Veblen distingue
una classe agiata, caratterizzata dalla passione per l’ozio e il tempo libero. Nella società statunitense di fine 800, gli individui consideravano
la reputazione e la stima come determinate dalla ricchezza. Quindi, i consumi dipendevano dalle classi sociali, dalle possibilità economiche.
Questa classe dimostra di non aver bisogno di lavorare, ha risorse economiche, ha tempo libero, appartiene ad una classe alta. La società era
piramidale, la classe agiata era al vertice perché aveva un ruolo dominante ed era oggetto di emulazione/imitazione. Il metodo di Veblen
attinge dall’osservazione diretta del quotidiano. L’indagine è influenzata dall’antropologia culturale, perché alcuni nostri atteggiamenti sono
indicatori di status. Al contrario di Marx, Veblen vuole osservare le piccole cose. In passato, i fatti privati, intimi, familiari non erano
considerati. Prima di Veblen, il comportamento del consumatore era razionale, mirato alla massimizzazione dell’utile e alla soddisfazione dei
bisogni. Con Veblen, l’agire di consumo indica distinzioni e analogie, posizione sociale e prestigio. Mentre Marx fa coincidere le istituzioni
con la struttura, Veblen le colloca su un piano sovrastrutturale. Le classi mostrano la loro posizione sociale, attraverso scelte di consumo. Si
parla di dimensione culturale di consumi, e come conseguenza proprietà e ricchezza diventano ostentazione e competizione. Il concetto di
classe di Veblen è particolare; non si parla di capitalisti, classe lavoratrice, imprenditoriale, ma il concetto è legato all’occupazione. La società
è composta da classi nobili (con occupazioni improduttive) e ignobili (occupazioni produttive). Le occupazioni improduttive sono quelle dei
non lavoratori, che non producono rendita. La classe ignobile lavora e produce. Le occupazioni improduttive sono, per esempio, le corse dei
cavalli, lo studio delle lingue morte, la caccia, la pesca, lo sport non professionistico, tutti indici di possesso di ricchezza e onore. Le occupazioni
produttive sono considerate degradanti, perché bisogna lavorare. All’origine del desiderio di proprietà c’è il bisogno di emulare la ricchezza
altrui per ottenere ammirazione. L’istituzione della proprietà privata è interpretata come lotta per i messi di sussistenza ma la visione di
Veblen va al di là. Si può superare il primo strato della sussistenza economica, si tratta anche di una competizione per accrescere le comodità
delle condizioni di vita. Alla base, c’è il principio di emulazione che determina il desiderio di imitare le classi superiori (ozio, agiatezza, non
lavoro). La proprietà diventa la base di una reputazione. Veblen parla di agiatezza vistosa con spreco di tempo: collezionismo, acquisto di
beni, servizio di servitù, ostentazione di un tempo infinito a propria disposizione. Il tempo è speso in questo modo per un senso di non
necessità di lavorare e come segno della possibilità. L’astensione dal lavoro è segno di buona reputazione. Raramente un uomo di alta classe
sociale si sporca le mani, perché ripugna ogni forma di lavoro. Occupazioni onorevoli: sacerdozio, militare, governo, amministrazione beni,
studio, buone maniere, conoscenze dell’ultima moda. Si dividono in 4 gruppi: governo, guerra, pratiche religiose, sport. Il prestigio si ha anche
quando si possono mantenere persone che non producono: servitù. Il loro lavoro non è umiliante (dama di compagnia, maggiordomo, una
specie di corte). Anche se non produca, la società agiata è formata da un gruppo compatto. Acquistare è sinonimo di ostentare, esibire, e
con il lusso superfluo, ostentativo si ottiene rispettabilità e stima sociale. Anche oggi, parliamo di simboli di status, differenti dai vebleniani,
ma che ne riprendono alcuni tratti. Ad esempio, oggi l’acquisto di un iPhone è espressione di un significato culturale maggiore rispetto a
quello materiale. Mentre, la classe agiata è scomparsa, il consumo “vistoso” è aumentato o è presente. Gli aspetti rappresentano la nostra
identità. Oggi si parla di democratizzazione del lusso, un lusso accessibile, ma non indicatore di prestigio sociale. Il significato dei beni è
diventato identificativo culturale del consumo superfluo. L’onore è dato dallo spreco. Il valore estetico degli oggetti è legato al valore
economico. La società che utilizza un consumo vistoso non ha un’esigenza imperativa. La società rurale mantiene la reputazione senza
ostentare, risparmiando, con piccole comodità domestiche, private. Il risultato è che i ricchi in città hanno una necessità, spendono di più. La
popolazione rurale non ha obblighi, si sacrifica di meno, vive in minor ristrettezza. Il meccanismo emulativo che parte dall’upper class, alla
middle class, alla working class è il meccanismo del trickle down (indicato come base delle mode). Le scelte di consumo sono interdipendenti,
si determina un flusso di pratiche di consumo. Per Alberoni, il modello di Veblen non è applicabile al contesto europeo. Secondo altri, questo
tipo di consumo è associabile ad una ridotta élite della società, che sta scomparendo. Nel 2017, Elisabetta Currid-Halkett scrive “Una somma
di piccole cose”. Secondo il suo pensiero, non esiste una classe agiata, ma aspirazionale, i beni di lusso sono accessibili, perché il consumo
ostentativo si è democratizzato. Le élite sociali non possono distinguersi con qualsiasi tipo di bene, ma solo con beni di alto valore (culturale,
sostenibile, viaggi, istruzione). Veblen è attuale perché parlare di status symbols: oggetti e pratiche di consumo come indicatori di posizione
sociale. Oggi, il quadro di status è relativamente accessibile, ed esiste ancora un’élite ostentativa. La diversità sta nella non imitazione, non
emulazione da parte delle classi sociali inferiori attuali.
RAPPORTO TRA PRATICHE DI CONSUMO E SOCIETÀ Ne “La distinzione” Bourdieu delinea il rapporto tra classe sociale e cultura, basandosi
su una vasta indagine empirica condotta in Francia. Egli non definisce le classi in termini di relazioni con i mezzi di produzione, ma in termini
più generali e multidimensionali. Egli identifica tre diverse forme di capitale: il capitale economico che denota il livello di risorse materiali; il
capitale sociale, costituito dalle reti di relazioni sociali in cui sono inseriti gli individui; il capitale culturale, costituito sia dal grado di istruzione
e di conoscenze personali sia dalle conoscenze e competenze accumulate attraverso la socializzazione familiare. Bourdieu tiene conto del
modo in cui si combinano i diversi tipi di capitale, ossia delle dimensioni complessive del capitale. Egli concentra la propria analisi non sulle
dottrine o sulle ideologie esplicite, ma sui gusti che considera come vere proprie pratiche culturali, come comportamenti che incorporano la
cultura della società. È attraverso i gusti che nelle società capitalistiche contemporanee si combatte quotidianamente una lotta da parte delle
classi superiori per distinguersi dalle altre e per affermare il proprio sistema di classificazione sociale. Il gusto trasforma le cose, gli oggetti di
consumo in segni distinti e distintivi. L'autore mostra attraverso l'indagine statistica l'esistenza di una netta diversificazione di classe dei
consumi in una molteplicità di ambiti. È possibile dividere ogni campo secondo due assi che identificano le quattro possibili combinazioni di
capitale culturale e capitale economico. All'interno di queste aree si dispongono i diversi tipi di consumo. Ne risulta un sistema strutturale di
opposizioni che evidenzia l’esistenza di un'articolazione in sottosistemi, ognuno dei quali presenta delle gerarchie omologhe. Si ritrovano
nello spazio dei consumi alimentari, attitudini e tendenze che ritroviamo anche in campi apparentemente molto distanti come quello dell'arte
pittorica, della letteratura, della musica e delle buone maniere. Alla valorizzazione della forma delle classi superiori si contrappone la
valorizzazione della sostanza delle classi popolari. Nella sua lotta per consolidare il proprio dominio, la borghesia trova un alleato naturale
nella nuova piccola borghesia, costituita da tutte quelle occupazioni che riguardano il settore delle vendite e del marketing. Questa piccola
borghesia rincorre il modello culturale della borghesia, collaborando con quest'ultima, attraverso le scelte di consumo. Paul Dimaggio ha
cercato di misurare il capitale culturale degli studenti delle scuole superiori e di verificarne l'impatto sul successo scolastico. Coinvolgimenti
in differenti forme di attività culturali mostrano di essere fortemente correlate tra loro e di costruire elementi di una cultura di status
relativamente coerente. Peterson e Simimkus mostrano che i gusti musicali hanno una netta impronta di classe: i gruppi occupazionali di
livello superiore preferiscono la musica classica, quelli collocati in basso preferiscono la musica country e western. L'analisi weberiana sulla
cultura del capitalismo moderno ha stimolato un intero filone di ricerche che si sono occupati soprattutto dell'importanza del ruolo del valore
del successo nella cultura della società industriale contemporanea. McClelland definisce la società industriale contemporanea The Achieving
Society, in quanto ritrova nella sua cultura il valore dominante dell’achievement, ossia l'aspirazione al successo in competizione con
qualsivoglia modello di eccellenza. La cultura delle società industriale di massa presenta però delle ambivalenze. Numerosi altri studi hanno
messo in luce che gli strati inferiori manifestano propri i valori centrati sul tempo libero, sull’affettività, e su quello che è stato chiamato
valore dell’affilitation: valore di solidarietà. Un noto studio empirico di Ely Chinoy, compiuto fra gli operai di una fabbrica di automobili
americana, ha rilevato il meccanismo sociale psicologico attraverso cui tale compensazione culturale potrebbe operare. Questo meccanismo
che si avvicina alla razionalizzazione potrebbe rendere compatibili nella cultura collettiva americana valori come la cura familiare, la
solidarietà e l'aspirazione a una pienezza affettiva con quelli dominanti centrati sul successo. Ronald Inglehart ha sostenuto la tesi che una
rivoluzione silenziosa ha sostituito, dagli anni 50 a oggi, i valori materialisti dominanti, basati sul successo, il reddito, la stabilità economica e
l'ordine sociale, con valori post-materialisti, basati sulla difesa della natura, della qualità della vita, della partecipazione politica, della libertà
di parola. Sembra essersi verificato addirittura un rovesciamento del rapporto tra orientamenti di valore e stratificazione sociale. Inglehart,
ricollegandosi a tutta una serie di ricerche empiriche sugli effetti di coorte, suggerisce che sia all'opera una dinamica generazionale dovuta
cioè alla peculiarità di generazioni nuove, entrate sulla scena a partire dal secondo dopo guerra, cresciuto in un periodo di pace e di
benessere. (pag. 120-127) Scrivendo “La Distinzione”, Pierre Bourdieu ha influenzato le ricerche di mercato. Introduce concetti fondamentali,
ad esempio il capitale culturale o l’habitus. Muore nel 2002, quindi è nostro contemporaneo. Il libro è una rivoluzione per le pratiche di
consumo. Il gusto individuale, come l’apprezzamento per la musica, per la moda o per il cibo, è sempre frutto di una costruzione sociale e di
strategie, di differenziazione di agenti in una società per il potere o per il capitale, non economico (Marx), ma anche di natura culturale,
relazionale, simbolica. Il libro descrive e racconta una poderosa ricerca svolta tra anni 60 e 70. Analizza le scelte degli individui in fatto di
consumo per conferire loro un’identità all’interno di un gruppo sociale. La ricerca analizza una mole impressionante di dati (ricerca
campionaria). La ricerca viene svolta tra 1963 e 1968, nel contesto francese, la società è analizzata anche nel contesto di differenziazione tra
città. È un’analisi minuziosa. Ricostruisce le dinamiche della società stratificata. È una survey, un’indagine campionaria, composta di
questionari, interviste, fonti statistiche secondarie, interviste qualitative. Bourdieu analizza 692 soggetti di Parigi, di Lille e di una piccola città
di provincia. Poi, tra 1967 e 1968, intervista anche altre persone, arrivando fino a 1217. Bourdieu analizza la cultura familiare, il cibo preferito,
il genere musicale più ascoltato, le scelte politiche, per capire il gusto estetico, il tipo di piacere e bello per ogni individuo. Il gusto è
socialmente determinato. L’obiettivo è esaminare il rapporto tra classi di consumo e classi sociali, capire i meccanismi della differenziazione,
che interpreta il gusto come un’arma sociale. Le diversità sono associate ai modi di vivere, agli stili, al gusto, influenzati da famiglia, istruzione
e capitale economico (reddito). Bourdieu ricostruisce una sorta di mappa. Il gusto individuale nasce dalla propria, personale e intima
preferenza, ma ha anche una radice sociale. Ciò che sembra casuale e spontaneo nasce in realtà da una precisa tessitura sociale o dalle
intersezioni tra i capitali (economico, sociale e culturale) che descrivono dei territori in cui i gruppi combattono. Per questo, Bourdieu
definisce la sociologia uno sport da combattimento, infatti i gruppi sociali sono in competizione per conquistare il capitale. Così, il gusto
individuale corrisponde ad un gusto collettivo, di classe. Bourdieu analizza la professione dei genitori, i brani musicali; si inscrive in una logica
di campo. Osserva come un antropologo, attraverso l’osservazione etnologa, esamina i dati Istat della Francia, realizza interviste, questionari,
misura atteggiamenti, crea categorie sociali e frazioni di classi. Nella sua mappa, ogni gruppo ha la sua posizione ed è in conflitto con tutti gli
altri gruppi per quell’unico capitale. Tratta anche il tema della dominazione. In questo caso, si tratta di una dominazione di una classe su
un’altra. La mappa sembra un vero e proprio campo di battaglia. Bourdieu identifica due assi cartesiani: 1. Capitale economico. 2. Capitale
culturale. Si crea, quindi, una distinzione tra gli intellettuali (con molto capitale culturale e poco economico), i ricchi di famiglia (con molto
capitale sia culturale sia economico), gli arricchiti (con poco capitale culturale e molto economico) e i proletari (con poco capitale sia culturale
sia economico). Ad esempio, è probabile che i proletari lottino per progredire la loro collocazione sociale. Gli intellettuali sono una frazione
dominata della classe dominata. Gli arricchiti sono una frazione dominante della classe dominante. Ogni gruppo preferisce un certo genere
cinematografico, musicale, certi autori, un certo tipo di arte. Il gusto è qualcosa di astratto, culturalmente mediato. Bourdieu fa capire quali
gusti e scelte caratterizzano i vari agenti. Anche se si tratta di un’analisi nel particolare (Francia, tra anni 60 e 70), ci permette di capire anche
la società contemporanea e il fenomeno delle subculture. Bourdieu prevede anche una mobilità degli agenti. Per questo, egli considera che
la mappa possa essere applicato in modo universale, a qualsiasi contesto. Bourdieu parla di società, non la intende come un sistema, né
come una realtà a sé stante, piuttosto è fatta di relazioni occupate tra soggetti nello spazio. La differenza è data dalla distribuzione. Bourdieu
utilizza alcuni concetti, considerati fondamentali ancor’oggi: 1. Spazio sociale: è una mappa, formata da spazi definiti, limitati, autonomi, ma
sempre in relazione tra loro. 2. Campo: è l’arena, lo spazio di gioco, in cui gli individui consumano, attuano strategie di competizione e
interagiscono. È un campo di forze. I campi sono territori omogenei, caratterizzati da schemi comuni di percezione del mondo, dei linguaggi,
delle tecniche, della storia. Il campo si definisce, chiarendo le poste in gioco e gli interessi specifici. Ad esempio, il filosofo è indifferente alle
questioni essenziali per il geografo. Anche qui si torna al concetto di dominio: le strategie possono essere di alleanza, conflitto o cooperazione.
Gli agenti si confrontano sulla base delle risorse che hanno e della posizione che occupano. 3. Il capitale è un insieme di conoscenze. Il capitale
economico di Marx non viene rifiutato da Bourdieu, ma ne individua anche altri tipi: economico, culturale e sociale. Si tratta di un insieme di
risorse sociali che determinano l’identità degli agenti sociali, le risorse sono sempre scarse, per questo entra in gioco la mobilità sociale; è la
lotta a muovere la società. Il capitale economico dipende dal reddito, dalla professione ed è il più facilmente valutabile. Il capitale culturale
è più astratto, quindi meno valutabile, può essere acquisito grazie agli studi o all’educazione familiare. Infatti, anche i genitori possono fare
un lavoro pedagogico a riguardo. Il capitale culturale può tradursi in capitale economico, ad esempio un’istruzione universitaria può permette
di avere una professione ben retribuita. Il capitale sociale misura la quantità e la qualità delle relazioni sociali dell’individuo. È attuale, ad
esempio oggi una fitta rete di amici su Facebook è sinonimo di un elevato capitale sociale. Il capitale simbolico rappresenta una riduzione dei
tre capitali, è difficile da valutare, e racchiude tutto in un capitale dei capitali, che determina una mobilità e una posizione. Le differenti
combinazioni tra capitali determinano le identità degli agenti.
HABITUS (pag. 221) Bourdieu riprende la prospettiva di Veblen sulla funzione di distinzione sociale dei gusti. Considera il consumo vistoso
come un obiettivo coscientemente ricercato dalle classi superiori per mantenere alte le barriere con le altre classi. Bourdieu, con il concetto
di habitus, accentua decisamente l’aspetto di disposizione inconscia interiorizzata di un gruppo sociale. L’habitus è inteso come sistema di
disposizioni durevoli e trasferibili, come inclinazione a percepire, pensare e fare in una certa maniera, interiorizzate in modo incosciente da
ciascun individuo. Ha un carattere individuale. Con la nozione di habitus, nozione mediatrice tra struttura oggettiva e soggettività, Bourdieu
intende evitare la critica di meccanicismo deterministico, elaborando l’idea che l’habitus sia il prodotto della struttura di classe, sia principio
relativamente autonomo di organizzazione delle pratiche della loro percezione. È il principio unificatore di tutte le scelte pratiche sociali
realizzate da un attore sociale, dalla scelta dell’arredo domestico a quella di come vestirsi e di cosa mangiare. La totalità di tali pratiche
costituisce uno stile di vita, un insieme unitario di preferenze distintive. L’habitus trasforma le cose e i beni materiali che acquistiamo sul
mercato e consumiamo in segni che hanno un significato sia per il consumatore sia per gli altri membri della società. (pag. 221) Il concetto di
habitus di Bourdieu non è inventato da lui stesso. Già in filosofia se ne parla. Bourdieu ne parla in relazione con la posizione sociale di un
individuo e con la prevedibilità di certi atteggiamenti e scelte di consumo. Il concetto di habitus rappresenta l’intersezione tra spazio nella
mappa e stile di vita (gusti individuali e scelte). Quindi, Bourdieu dimostra che la regolarità dipende dalla posizione degli individui nello spazio
sociale. L’habitus di fatto non ha materia, è un sistema di disposizioni interiorizzate dall’individuo, è un’attitudine inconscia, ma non è un
automatismo. È qualcosa che mettiamo in pratica, perché abbiamo metabolizzato princìpi e strutture sociali alla base del mondo. È un
prodotto culturale di strutture sociali interiorizzate. L’individuo non sa di collocarsi in una posizione. Sono incorporate. Sembra qualcosa di
estremamente soggettivo e privato. In realtà, chi condivide la stessa posizione sociale può condividere lo stesso habitus, evolvendosi così in
un habitus di classe. In seguito, Bourdieu ritorna su questo concetto, utilizzando un linguaggio ispirato alla psicanalisi, ne parla usando il
termine libido. Freud ne parla come di uno spirito sessuale, mentre Jung lo intende come spinta o energia vitale, tensione o desiderio di
qualcosa. Per Bourdieu, non è automatico, ma neanche un calcolo. È una sorta di storia, incorporata nelle nostre abitudini. Nel testo “Il senso
pratico”, i condizionamenti associati ad una posizione sociale, economica e culturale producono habitus, che sono sistemi di disposizioni
durevoli, perché durano per tutta la nostra esistenza, e trasponibili, perché sono modificabili e trasferibili, sono strutture strutturate, o
interiorizzate, come strutture strutturanti, ovvero che ci spingono verso certe scelte. L’habitus è frutto del libero arbitrio, ma incosciente.
Non c’è un direttore d’orchestra. Ma siamo sicuri che l’habitus non sia condizionato dal mercato? Chi studia marketing sa che è rilevante
studiare la cultura e gli habitus. L’habitus è plasmato dalla collocazione sociale e plasma le nostre scelte, generando la relazione tra posizione
e stile di vita. Modella i nostri gusti, i nostri giudizi. È un’inclinazione inconscia a fare, pensare, percepire in un certo modo. Non esiste un
habitus individuale, che non abbia anche un carattere collettivo. L’habitus è una libido socialmente costitutiva e incosciente. È un motore
interno. È il prodotto di una traiettoria sociale specifica. Gli habitus non sono sempre identici, ma più sono vicini alle posizioni sociali, più
sono evidenti analogie marcate, elementi ricorrenti. L’habitus è il minimo comun denominatore o principio unificatore delle scelte
dell’individuo. C’è una logica nelle nostre decisioni, unite da un fattore. La totalità delle scelte costituisce lo stile di vita, un insieme unitario
di preferenze, che manifestano la nostra intensione espressiva, la nostra identità. Lo stile di vita raggruppa delle persone in base alle scelte,
pratiche di consumo, modi di vivere, preferenze nel tempo libero. I raggruppamenti sociali (stili di vita) trovano la loro legittimazione nella
necessità dell’uomo di libertà di scelta, senza condizionamenti. Oggi, gli stili di vita sono utili nel marketing. Costruire delle mappe sociali è
fondamentale. Nel 2003, Gianpaolo Fabris svolge un’indagine simile a quella di Bourdieu e crea una mappa della società italiana, con quattro
punti nell’asse cartesiano: privato e sociale, e apertura e chiusura. Una maggiore propensione al privato e una maggiore apertura al nuovo
producono: l’antiproibizionismo, il consumismo, l’interesse per la moda, l’interesse per l’apparenza, l’emergenza tempo o la semplificazione
della vita. Nel quadrante che va verso l’apertura e il sociale, troviamo il cosmopolitismo, il liberalismo sessuale e il multiculturalismo. La
chiusura verso il nuovo comprende la paura della violenza, la centralità della famiglia, il comunitarismo. In questa mappa, il privato indica la
cultura orientata all’egoismo, all’individualismo, mentre il sociale indica la cultura solidarista, collettiva. Apertura è intesa nei confronti del
nuovo, della modernità, del cambiamento. Chiusura è la cultura di stampo arcaico, tradizionale. Di conseguenza, viene creata un’iconografia
della mappa, dove si delineano diversi gruppi sociali: 1. Cultura tradizionale. Nel discorso della pubblicità, il mercato non dovrebbe
dimenticare i valori di un determinato gruppo. In un’occasione, Barilla ha dichiarato di rivolgersi solo a famiglie tradizionali, scatenando un
dibattito. A seguito di questa gaffe, Barilla decide di realizzare uno spot pubblicitario, con Sophia Loren, in cui vengono rappresentate diverse
scene e situazioni non propriamente tradizionali, coinvolgendo anche la comunità LGBT. La società italiana è cambiata, e Barilla ha compreso
che doveva puntare sull’accettazione della diversità, e che mostrare un’opinione del genere sarebbe stato controproducente. 2. Cultura
civica: il consumo è intriso di valori sociali differenti: coinvolgimento sociale, aiuto degli altri, volontariato, pragmatismo del consumo,
influenza della religione cattolica, si agisce in prima persona. 3. Cultura postmaterialista: interesse per la cultura e la conoscenza,
ambientalismo, parità dei ruoli, laicità, impegno, ecologia.4. Cultura affluente: è la più consumista, maggiore interesse per le nuove
tecnologie, etica del piacere, culto di sé, interesse per la moda, attenzione per il fitness. 5. Nuova frontiera: rischio, LGBT, laicismo, flessibilità
Negli anni, il cambiamento è evidente. Si può descrivere una traiettoria dal 1979 al 2003. Il cambiamento è repentino. Ad esempio, tra il 1989
e il 1990 la traiettoria cambia radicalmente e dalla chiusura e dal sociale, si indirizza verso l’apertura e il privato.
RUMORS È un tema di grande attualità. Si tratta di un termine entrato a far parte di recente del linguaggio sociologico. È un tema vicino alle
fake news, ha a che fare con il comportamento di diffusione di informazioni in gruppi o microgruppi. Il rumor è un’informazione non ufficiale
che arriva e che si espande, si diffonde come un virus, in maniera epidemiologica, si trasmette di bocca in bocca, si ingigantisce e a volte
l’informazione viene distorta. Attraverso questa catena, il conenuto muta le sue caratteristiche originali. Il lavoro “Rumors” di Kapferer,
pubblicato negli anni 70, si intitolava in lingua originale “Le voci che corrono”. Il rumor non ha un equivalente in italiano, ma si può fare
riferimento a dicerie, leggende metropolitane, chiacchiere, indiscrezioni, pettegolezzi, gossip, ma nessuna di queste definizioni si identifica
completamente con il concetto di rumor. È diffuso in ambiti commerciali. Ad esempio, in prossimità di nuovi lanci, Apple propaga dei rumors
sui prodotti. Esiste addirittura una Apple Rumor Community ufficiale, che mette in atto delle discussioni riguardo quella novità. In ambiti
finanziari, i rumors sono molto potenti, basta una voce per far crollare o salire delle quotazioni in borsa. È diffuso anche in ambito televisivo,
ad esempio nel mondo del calcio. Anche se non sono informazioni non ufficiali e non verificate, possono muovere diversi campi, possono
rovinare reputazioni. Ad esempio, Mia Martini si è suicidata a causa di alcuni rumors negativi che avevano rovinato la sua reputazione. Il
rumor uccide, infama, distrugge. Alcune parole chiave, associate al rumor sono: BUZZ (rumor in ambito digitale), che se manipolato può
diventare una strategia di marketing, il buzz positivo può essere indotto volontariamente da un’aziendal. WORD of MOUTH (passaparola),
WORD of MOUSE (passaparola digitale). CORPORATE REPUTATION (reputazione di un’azienda). Il termine internazionale “rumor” deriva dal
latino, con il significato di voce. Dato che il contenuto subisce delle distorsioni, in base alla lunghezza della catena, è più corretto parlare di
rumors. Il rumor è un comportamento collettivo di diffusione della news, dev’esserci un gran numero di informazioni, dev’essere un tema
rilevante, di interesse globale, attuale, che costituisce spesso un avviso di cambiamento o pericolo, che può mettere in disordine l’ordine
delle cose. Il gossip, al contrario, è circoscritto a pochissime persone. Il pettegolezzo, di solito, riguarda una persona, che non ha autorizzato
la diffusione della news, quindi ne è la vittima. Con il rumor si parla di un argomento impersonale (terremoti, inflazione) e si riferisce ad una
persona sola, qualcuno di importante, associato ad un interesse collettivo. Dato che il rumor è caratterizzato dallo snowball effect, il gossip,
crescendo, può diventare rumor. Più persone partecipano alla diffusione, più si tratta di rumor. Alcuni anni fa, si diffuse un rumor riguardo
l’imminente distruzione di Roma per un terremoto. La comunità cinese romana del quartiere esquilino assunse un aspetto macabro perché
molti chiusero i negozi, scapparono dalla città. Il rumor è sempre una notizia non verificata, che circola velocemente. Diventa fake news
quando viene validata come falsa. Bordio e di Fonzio sostengono che i rumors nascono dal sistema di ambiguità, un contesto in cui le persone
non capiscono cosa succede e il rumor prende la forma di shared sensemaking, ovvero qualcosa che crea senso e viene condiviso per gestire
l’incertezza. I contesti di incertezza di solito sono quelli in cui si verifica un cambiamento: la dissonanza cognitiva si crea quando l’individuo
deve scegliere tra due parti completamente dissonanti, e dato che si crea uno stato di incertezza-sofferenza, le persone scelgono e cercano
di scioglierla, convincendosi di aver fatto la scelta giusta. ES. Nella scelta di un’auto, si è indecisi tra una Renault e una Fiat. Naturalmente,
l’individuo cerca informazioni che confermano la nostra scelta come la migliore. La dissonanza ci caratterizza in molti ambiti. Nel contesto
dei rumor, ascoltiamo o diffondiamo un rumor per trovare un senso a qualcosa di incerto. Dal punto di vista sociologico, il rumor è un
comportamento collettivo, un comportamento sociale più o meno spontaneo, indotto o stimolato, che molti individui manifestano
contemporaneamente in presenza di stessi stimoli o situazioni, anche se distanti. Il termine viene anche contenuto nel vocabolario di
sociologia di Luciano Gallino. Il rumor, senza possibilità di distinguere tra vero e falso, può costituire da solo un comportamento collettivo di
diffusione oppure può generare un sistema di informazioni per individui coinvolti nel comportamento collettivo in situazioni di panico. Il
rumor riesce a mobilitare le persone, non le lascia indifferenti. Rispetto alla leggenda metropolitana, il rumor è meno longevo. Ad esempio,
la notizia per cui Roma sarebbe stata distrutta da un terremoto il 1° maggio 2011, era diventata una leggenda metropolitana nonostante gli
scienziati avevano chiarito l’impossibilità di prevedere un terremoto. Nel lavoro “La rumeur d’Orleans” del 1969, Marin osserva un fenomeno
avvenuto a Orleans: si diffonde la voce secondo cui le ragazze dai camerini dei negozi venivano rapite e vendute come schiave. Questa storia
continua a circolare nel tempo, diventa quindi una leggenda metropolitana. Marin ha una sua teoria. Egli analizza le voci, dice che i rumor
nascono nei luoghi di incubazione: classi femminili di collegi religiosi o licei, in cui le ragazze isolate sono portate a creare fantasie sessuali
derivate dall’assenza di relazioni contro l’altro stesso e spesso da esperienze personali. Anche a scuola, nei momenti ricreativi, nelle aziende,
nelle organizzazioni i rumor creano un circuito di informazioni invisibile, incontrollabile. Si crea parallelamente ad un flusso di comunicazione
ufficiale. Nel Medioevo il luogo di nascita dei rumor era la chiesa; oggi può essere la politica. Un’altra famosa leggenda metropolitana è quella
sulla presenza di alligatori nelle fogne di New York Se i rumors nascono in contesti di incertezza, ci si chiede se il problema sia il sovraccarico
di informazioni (overload informatico) o la mancanza di informazioni. Oggi, probabilmente, si tratta di un overload. Durante il lockdown sono
fioriti diversi rumors, che poi sono stati validati come fake news. In quel periodo c’era proprio la necessità di capire cosa stava succedendo
perché era un momento di incertezza. I contenuti essenziali di un rumor sono: la fonte non ufficiale, il processo di diffusione o a catena, e il
contenuto attuale. Il tema del rumor viene studiato agli inizi del 900, nell’ambito della psicologia della testimonianza. Il rumor è, infatti, la
testimonianza di una testimonianza, in un processo a catena quasi infinito, che ha a che fare con la psicologia giuridica. Stern aveva messo a
punto un protocollo per capire come una testimonianza subisse dei cambiamenti a causa di un rumor. Nelle aule universitarie, faceva entrare
improvvisamente un personaggio strano, che diceva qualche frase e se ne andava. Il professore poi chiedeva agli studenti di raccontare che
cosa avevano visto. Di fronte allo stesso avvenimento, ognuno aveva percepito elementi diversi. Quindi, Stern dimostra come i testimoni di
un fatto non siano mai credibili, perché è insito nei processi cognitivi dell’uomo, una tendenza naturale a livellare, affinare l’informazione ed
evidenziare alcuni aspetti rispetto ad altri, producendo una distorsione della realtà. Entrano in gioco le nostre paure, la nostra esperienza, il
contesto. Nell’esercitazione in aula, svolta dalla prof. Minestroni, sono risultate evidenti diverse fasi nella diffusione del messaggio: leveling,
sharpening, sostituzione di parole, mantenimento dei dettagli considerati rilevanti, assimilation, il rumor diventa stabile, distorsione,
interviene una discontinuità nella catena, fino ad arrivare ad una distorsione totale, per cui il messaggio ha perso il suo significato iniziale. È
importante capire come si generano i rumors perché le aziende potrebbero prevenirne la diffusione. Ad esempio, la prof fa lezione a distanza
perché non sta bene. È una situazione ambigua di incertezza. Questo processo di elaborazione della comunicazione può generare un rumor.
Un modo per impedirne il crescere è chiarire agli studenti cosa sta accadendo. Il rumor si trasmette nel corpo sociale attraverso il passaparola,
in modalità epidemiologica, diffusione a catena e ingrandimento (snowball effect). Durante il processo di rumor, tendiamo allo sharpening
(enfasi per elementi rilevanti per noi). Il messaggio subisce accentuazioni o distorsioni. Viene studiato in origine con rispetto alla psicologia
della testimonianza. La nostra memoria è strutturalmente selettiva, per cui possiamo perdere parti dell’informazione o ricordarne altri in
modo distorto. Il contenuto del rumor deve sempre essere una notizia oggettivamente interessante per tutti (es. pandemia). Lo psicologo
Stern aveva dimostrato come la nostra percezione della realtà può essere distorta, realizzando un protocollo sperimentale nel 1902. Altri
autori sono Allpoer e Postman, che hanno studiato il morale dei militari, mediante la circolazione di rumors. Il fumetto “Cicero’s cat” di Bud
Fisher rappresenta bene il processo del rumor: si aggiungono dettagli, si rilevano alcuni elementi, si esagerano dei dettagli, si crea una paura
e si generano azioni incontrollate. Come riportava lo stesso fumetto, “niente esagera come l’esagerazione stessa”. Il processo del rumor
attraversa diverse fasi: - Leveling: livellamento. Consiste nell’eliminazione, taglio di dettagli, non consoni al proprio modo di pensare, di
essere. Il processo di levelin è più breve, conciso e comprensibile, poiché vengono eliminati i dettagli inutili. Così, la mente risparmia energie.
Avviene nelle prime fasi di elaborazione. Il numero di dettagli conservati, quindi, diminuisce man mano che la catena si allunga. A un certo
punto la situazione si stabilizza e il numero di dettagli ricordati rimane lo stesso. - Sharpening: matita appuntita. Si dà maggiore enfasi ai
dettagli, connessi alla nostra percezione, personalità, volontà, desiderio, aspettativa. È un’affilatura. Si dà più importanza ai dettagli per noi
rilevanti. Il temporal sharpening è la tendenza umana a descrivere l’informazione al presente perché collocarla nel passato sarebbe più
dispendioso. Lo sharpen movement avviene quando consideriamo l’elemento principale del nostro campo visuale come in movimento,
nonostante sia statico. - Assimilation: i temi più rilevanti per noi vengono posti al centro dell’informazione. L’assimilation risponde ai
meccanismi della memoria selettiva, per cui ricordiamo solo alcune parti. La memoria non contiene mai tutti gli elementi, è insito nella nostra
natura ricordare le particolarità che si avvicinano a noi, si fondono con i nostri processi emozionali, individuali. È per questo che i testimoni
di un crimine non sono sempre credibili, in quanto al cambiare dei processi emozionali, cambiano anche le loro testimonianze. La nostra
componente individuale filtra il messaggio. Sono tutti meccanismi dell’agire cognitivo umano, hanno a che fare con il processo di formazione
dell’informazione, ma anche nei nostri processi di studio. Permettono un’ottimizzazione della comprensione, evitando la dispersione di
elementi fondamentali. Allport e Postman, psicologi, nel 1940, e Shibutani, sociologo, nel 1965, individuano due leggi fondamentali nella
nascita del rumor: l’importanza e l’ambiguità. Più un’informazione è priva di riscontri o riferimenti, più è importante ed è in grado di
sconvolgere l’ordine delle cose, più il rumor si diffonderà velocemente e con più forza. Un network, una community, un social possono essere
terreni adatti alla nascita di rumors. In questi casi, spesso, ci si trova davanti ad un rumor source identification problem, per cui non sempre
si riesce a rintracciare la fonte dell’informazione. Il rumor tende a proliferarsi dove i canali di informativi falliscono. Ad esempio, all’interno
di un dipartimento universitario si crea il canale ufficiale di comunicazione, che non risponde alle richieste, creando l’ambiguità. Le persone
cercano di colmare il deficit di chiarezza mediante il rumor. Anche Shakespeare parla di rumor in “King John”, con riferimento alle paure
personali. Il rumor produce cambiamenti in ambiti aziendali. ES. La Procter&Gamble è un’azienda produttore di beni di largo consumo. Per
anni, il logo ha raffigurato il profilo di un uomo barbuto su uno sfondo di stelle. Il logo è diventato oggetto di rumors, quando è stato associato
a satanismo, messaggi subliminali, e si pensava che l’azienda finanziasse il Ku Klux Klan. L’azienda fu costretta a cambiare il logo a causa dei
rumors e anche per fattori estetici. I rumors si verificano ogni qualvolta viene minacciato l’ordine sociale (cambiamenti ambientali come
terremoti o pandemie, situazioni di crisi o cambiamento come elezioni o crisi di governo, tensione collettiva o eventi inaspettati). Sono
sempre situazioni di cambiamento e disordine.
SENSEMAKING, FRAMING E SENSO COMUNE Sensemaking vuol dire costruzione di senso. Il rumors si genera in contesti di alta ambiguità,
di sovraccarico informatico, o di mancanza di informazioni. Qui, nasce la necessità naturale degli individui di spiegare gli eventi, di trovare un
senso, è un bisogno insito nell’uomo. Nasce in contesti imprevedibili, importanti per le conseguenze che si possono produrre nella vita di un
individuo o di un gruppo. Tanto più una notizia è importante nelle vite delle persone, tanto più è ambigua, tanto più sussistono in maniera
evidente queste condizioni, più possiamo parlare di rumors a tutti gli effetti. Nel 2011 si diffonde il rumor riguardo Roma, secondo cui sarebbe
stata distrutta da un terremoto. Il rumor si è confermato come un’informazione rilevante, non verificata, in circolazione nel corpo sociale, in
una comunità, in una società, che si sviluppa in contesti di ambiguità e permette alle persone di dare un senso e gestire la minaccia. Il
sensemaking è una necessità condivisa, collettiva di dare significati a eventi apparentemente incomprensibili. In realtà, non c’è nulla di
incomprensibile se collochiamo l’evento in un quadro di riferimento, in una cornice, il frame. La notizia incomprensibile che porta con sé la
minaccia dell’evento è caotica, per cui occorre fuggire. Il panico di origine catastrofica è una conseguenza in termini di azione di una notizia
condivisa dal gruppo. Spot pubblicitario del giornale inglese “The Guardian” del 1986, ha vinto molti premi. Mostra un ragazzo
presumibilmente uno skinhead, che corre verso un passante e lo sta raggiungendo di spalle. Forse sta scappando da qualcosa, ha commesso
un atto di vandalismo, sta per compiere un’azione criminale (stereotipo skinhead soggetto deviante), forse è in ritardo. Ogni interpretazione
può essere vera. Ognuna si basa su un frame, uno schema di riferimento che cerca di sciogliere l’ambiguità, utilizzando un sapere, un senso
comune, dei luoghi comuni, delle proprie esperienze, per riconoscere l’avvenimento. Nella seconda parte del video, la persona aggredisce il
passante cercando di portargli via la borsa, rispecchia lo stereotipo iniziale. Un’altra interpretazione è che la persona si stia riprendendo la
borsa, che il passante gli ha rubato. Questa interpretazione prevede una sospensione del giudizio. Oppure, lo skinhead semplicemente rimane
sorpreso quando il passante si svolta. Ogni interpretazione è data da uno schema interpretativo, un filtro capace di decodificare la realtà.
Questo filtro si basa su una serie di conoscenze individuali (storia personale), fatti di cronaca recenti, informazioni a livello collettivo.
Nell’ultima parte, il ragazzo salva il passante che stava per essere travolto da un crollo. La campagna comunica un beneficio, un attributo
consistente del giornale, che prende in considerazione non soltanto dei punti di vista limitati, ma cerca di dare uno sguardo globale alla
realtà. È una campagna pubblicitaria ben riuscita. Il giornale vuole dimostrare di essere libero, indipendente, capace di guardare alla realtà
senza pregiudizi e posizioni prese. Lo spot è utile per capire il framing. Le cornici interpretative servono a dare un senso a ciò che accade.
Ogni risposta poteva essere plausibile, era intellegibile secondo un certo contesto. Gli individui di fronte a un evento spesso hanno la
necessità impellente di attribuire un senso a ciò che accade, in fretta. Di fronte ad una scena da una parte incomprensibile e dall’altra piena
di spunti, si può essere influenzati da pregiudizi, stereotipi, cornici di riferimento, significati prestrutturati, giudizi o visioni della realtà che
dipendono da più fattori, individuali o collettivi. Si tratta di un repertorio memorizzato inconsciamente, individuale o sociale, che a volte
subisce modifiche nei significati. Il frame è una chiave di lettura della realtà costituita da interpretazioni. Il pregiudizio può entrare in gioco
in un frame, ma non è l’unico elemento interveniente. Esistono infiniti schemi interpretativi, come infinite esperienze, infiniti repertori. Si
può dire che a livello microsociale, ogni subcultura, ogni ideologia fornisce dei repertori inesauribili di schemi interpretativi differenti da
quelli di altre subculture. È possibile che se poniamo due soggetti di diversa subcultura davanti allo stesso evento, perveniamo a diverse
interpretazioni. Quindi, ogni gruppo possiede un proprio schema. La selezione è una scelta sia individuale, sia sociale. Nel 1978, Luciano
Gallino, dice che il criterio di selezione di uno schema interpretativo dipende dallo stato di collettività in cui si vive, dal suo stato psicofisico,
dalle sue precedenti esperienze e da avvenimenti di varia natura accaduti anteriormente che possono collegarsi all’evento preso in
considerazione. Il frame è diverso dal punto di vista, che è puramente ed esclusivamente individuale. Il sistema dei frame può essere letto
anche in maniera passiva. È quello che fa la pubblicità, ci condiziona tramite certi schemi. Mentre pregiudizi e stereotipi si applicano in
qualsiasi momento all’identità sociale, gli schemi interpretativi emergono in situazioni ambigue, per cui servono cornici più complesse di
interpretazione. Gli individui costruiscono il significato e condividono delle cornici. Questo processo consente di condividere insieme dei
significati, una realtà complessa e incerta, al fine di agire in modo condiviso, sensato. Quindi è un processo collettivo e culturale. A volte, le
nostre cornici non sono in grado di restituire la complessità e imprevedibilità della realtà. Il frame è una cornice dell’esperienza. Ervine
Goffman studia il frame, un modello basato sulle esperienze, anche trasmesse dalla famiglia. Può permanere a lungo e generare conseguenze
negative. L’inspiegato non è inspiegabile, ciò che in un contesto non è chiaro, lo sarà in un altro contesto. I frame non sono schemi rigidi e
fissi. A volte, sono difficili da sradicare, perché rappresentano delle nostre strade interpretative, che conosciamo e utilizziamo da sempre. La
comunicazione può farci capire che un contesto differente riesce a far leggere la realtà in modo differente. I media enfatizzano certi eventi,
certi aspetti piuttosto che altri perché si concentra su precisi significati. Ad esempio, la scelta di raccontare per prime le notizie negative, di
morti o cronaca nera, al telegiornale. Il modo in cui si narra un evento può orientare le persone a leggere l’evento dallo stesso punto di vista
del narratore, avvalendosi del linguaggio e dei frame. La tecnica del framing è simile a quella della persuasione e della retorica, le metafore,
le storie, i miti, gli slogan. Esiste un filo rosso dei comportamenti collettivi e delle attribuzioni di significati che gli individui conferiscono alla
realtà. I frames incorniciano e danno senso alla realtà che ci circonda, vengono utilizzati per la funzione di sensemaking. I frames sono quadri
di riferimento già strutturati che aiutano la percezione e interpretazione degli eventi. Sono comun filtro. In alcuni casi, sono condivisi oppure
hanno a che fare con la storia individuale del soggetto. Il senso comune è un sapere incorporato, un fondo di conoscenza comune, utile per
comunicare, è ciò che viene dato per scontato in una comunità. È implicito, inconscio, è un metodo di semplificazione della realtà. È un sapere
condiviso intersoggettivamente. È una conoscenza ordinaria, quotidiana, banale. Gli elementi fuori dal senso comune provocano
estraniamento dalla realtà. La maggior parte delle nostre azioni, dei nostri pensieri si basano su questo senso comune. In altre culture, ci
sono usanze, abitudini, rituali diversi rispetto ai nostri. Il senso comune riduce la complessità. È un sistema culturale, un insieme di elementi
di quadri di pensiero (frame), rappresentazioni del mondo, schemi percettivi, convenzioni quotidiane, significati di azioni individuali e
collettive. È un sapere che abbiamo inglobato implicitamente e inconsapevolmente nel corso del tempo. I bambini lo apprendono man mano
che crescono, hanno filtri comuni della realtà. Video danza della pioggia: la danza della pioggia è considerata illogica, non il motivo dell’evento
pioggia. La società Occidentale razionale, basata sul progresso e sulla scienza, ha incorporato il ragionamento induttivo di Mill. Da un fatto
singolare che si ripete, si possono formulare regole generali, dopo aver provato scientificamente. Secondo l’induzione, ciò che è vero nel
micro lo è anche nel macro, ciò che è vero per una porzione di persone, lo è per tutti. Il ragionamento induttivo è l’opposto del pensiero
magico. Il senso comune è un insieme di categorie e nozioni generali (causa ed effetto dimostrabili scientificamente), di rappresentazioni e
di percezioni. Esempi di senso comune: a lezione il docente non si esprime cantando; il cameriere e il consumatore condividono il concetto
di ordine. Nel 1967, con Garfinkel, etnometodologia e sociologia si intrecciano. Il senso comune è un accordo silenzioso su ciò che gli individui
intendono. Nei Promessi Sposi, Alessandro Manzoni ne parla dicendo: il buon senso c’era ma se ne stava nascosto per paura del senso
comune. Il buon senso implica una capacità di giudicare rettamente o risolvere situazioni con un apporto critico individuale. È una capacità
naturale istintiva umana. Il senso comune è ciò che la gente sente e condivide senza riflettere. I modi in cui noi ci rappresentiamo gli altri
possono essere condivisi, ma non è detto che ci sia una neutralità di giudizio. Il senso comune non contiene un giudizio. Mette in atto la
sospensione del giudizio (epoquè). Video Too Quick to Judge: il ragazzo cerca di parlare con la ragazza. Secondo il senso comune, la ragazza
forse lo ignora perché non è interessata a lui. In realtà, la ragazza è sorda. Il senso comune dovrebbe essere una lettura neutra della realtà,
ma contiene anche elementi di giudizio, pregiudizi, stereotipi. Gli stereotipi hanno una funzione descrittiva, ma anche normativa. Sono modi
di rappresentarsi gli altri che contengono delle opinioni. È sempre una semplificazione, un’opinione generalizzata di cosa è giusto e cosa no.
È un frame. La schematizzazione in categorie si basa sull’accentuare le somiglianze e le differenze rispetto a noi stessi, alla nostra identità.
Secondo Tajfel e Turner l’uso dello stereotipo rafforza la propria identità, la protegge, consolida un’immagine positiva di se stessi o del proprio
gruppo. Nel libro “Human groups and social categories” del 1981, Tajfel chiarisce che gli stereotipi sono generalizzati se vengono condivisi e
diventano patrimonio degli individui. Si evita un processo di elaborazione cognitiva. Si risparmia con la semplificazione e categorizzazione.
Diventano stereotipi sociali se condivisi da grandi masse di persone all’interno di gruppi o istituzioni sociali. Molte persone operano un
risparmio comune che si traduce in una semplice etichetta, inconsciamente. Gli stereotipi sono condensati di giudizi. Producono stigma ed
etichette.
INTERAZIONISMO SIMBOLICO Goffman studia i frame, il senso comune, le rappresentazioni della realtà, gli stereotipi. Si interessa in
particolare all’interazionismo simbolico. È figlio della scuola di Chicago. Si dedica al concetto di stigma, connesso al concetto di devianza, nel
trattato “Stigma: Spoiled Identity”, riconducibile al pensiero di Durkheim. A partire da Durkheim, e poi con l’interazionismo simbolico di
Goffman, la coscienza collettiva, i comportamenti collettivi, iniziano ad essere compresi come il frutto di comportamenti, percezioni e valori
individuali. Possiamo parlare per la prima volta di culto dell’individuo. I comportamenti collettivi diventano centrali nelle società moderne,
tanto che si parla di uno studio dei comportamenti individuali microsociali. La sociologia parte dal micro per arrivare al macro. L’individuo
diventa il centro degli studi di Goffman. Lo studia come un attore sociale, e lo colloca in alcune azioni sociali, che chiama rituali. Nel testo
“The Presentation of Self in Everyday Life”, crea un parallelismo tra attori sociali e attori teatrali, che talvolta diventano spettatori. Il concetto
di “self” indica il sé, presentato agli altri. Parliamo di maschere, facciate, ciò che noi mostriamo in pubblico, e ciò che lasciamo nel retroscena.
Questo andirivieni caratterizza questa visione drammaturgica della società. Si tratta di una visione molto attuale: nei social network siamo
sia attori che spettatori. In un altro testo, analizza il comportamento delle persone in microgruppi. Goffman è pirandelliano. Pirandello
drammatizza, mette in scena ciò che Goffman descrive come comportamenti della società. Siamo tutti dei performer che mostriamo certe
maschere secondo delle convenzioni sociali. L’interazionismo simbolico si sviluppa nel 1900 nella scuola di Chicago. L'interazionismo
simbolico studia le dinamiche di gruppo, l'interazione faccia a faccia. Anche aspetti banali, quotidiani vengono studiati alla luce dell'unicità
del singolo individuo, che non è mai totalmente distintiva. Il modello drammaturgico comprende il concetto di presentation of self, quando
si parla di metterci la faccia. La faccia diventa espressione di noi stessi e diventa un sistema di significati. La faccia è una facciata, una
maschera. Per Goffman, esiste un palcoscenico, una ribalta e un backstage. Esiste un luogo in cui il self si presenta condizionato da norme e
ruoli. Mentre nel backstage, ci permettiamo di comportarci in maniera non conforme a certi ruoli e regole. Nello studio delle interazioni,
Goffman studia dei microrituali, prendendo spunto dallo studio delle religioni di Durkheim. Il rituale è il modo in cui ci relazioniamo agli altri.
Possono essere formali, ad esempio una lezione, un esame, una cerimonia; o informali, ad esempio un aperitivo, in cui più persone
condividono un’esperienza, dei simboli. Tutti i rituali sono legati alla condivisione dello stesso focus, lo stesso elemento centrale
dell'attenzione. Esistono anche i simboli di appartenenza. Ci sono rituali del consumo, della vita familiare, del saluto. I microrituali hanno a
che fare con le convenzioni sociali, con il senso comune. Rispetto ai rituali sacri, sono meno formalizzati, non ci sono norme scritte, ma esiste
un sapere condiviso, ad esempio l'aperitivo si svolge in un determinato orario, e non ci si veste eleganti, è diverso da un esame perché non
si presenta la carta d'identità. I rituali sono culturalmente situati, variano, come il senso comune, gli studi di Goffman si rifanno alla società
americana, ma nello studio del self egli generalizza, parlando di modalità di interazione ricorrenti, che possiamo ritrovare identiche in più
culture e momenti. Lo studio ha perlopiù valenza generale, infatti è attuale nella ricerca sui social network. I microrituali sono momenti della
vita quotidiana, in cui esiste un codice morale, di condotta, riconosciuto in maniera implicita dei partecipanti. È una sorta di patto condiviso,
che comprende ad esempio le norme collegate alla prossemica. Ad esempio, in Inghilterra, le persone sono infastidite da troppo strette o
baci; in Italia, è educazione e gentilezza mostrare interesse in modo fisico. Il Covid sta cambiando questi tipi di interazione, ma non in modo
definitivo. Lo stigma è un marchio, un segno distintivo che indica una differenza, una devianza, rispetto al resto della società, o rispetto alla
conformità delle buone regole della società. Si arriva ad una stigmatizzazione di individui o di collettivi oppure all'attribuzione di un marchio
di disonore. Lo stigma nasce quando un gruppo si allontana dalle regole implicite della società. Esiste una devianza da queste norme, per cui
l'individuo viene emarginato dalla società, non contiene di per sé una concezione negativa. L'elemento è semplicemente di diversità. Ma per
Goffman, è un attributo profondamente screditante, è come un'etichetta. Il contesto in cui viene applicata l'etichetta è il vero elemento di
differenza. È la società infatti, a dividere in categorie, secondo criteri o segni. Ognuno possiede due ordini di identità: la prima sociale virtuale
è la facciata/maschera/self/la versione di sè approvata dalla società, è il ruolo sociale che assumiamo in pubblico. Ad esempio, il ruolo di
medico, professore o studente. La seconda è l'identità sociale attuale: è un'identità personale, privata, che si manifesta quando non siamo
soggetti al giudizio pubblico, è il nostro se essenziale. Quindi, per Goffman, le due identità convivono nell'individuo, nessuno di noi è mai
soltanto una cosa sola. Anche l'homeless beve, fuma, ma alla luce del sole, fa le stesse cose di un rispettabile politico, medico, ma in pubblico.
Ci viene imposto di tenere separate le due identità. Le tipizzazioni sono schemi di classificazione che si creano dall'esperienza personale, fatta
di interazioni problemi da risolvere. Rimangono sempre uguali. I frame invece, danno senso a una realtà, ci fanno comprendere ciò che
altrimenti sarebbe incomprensibile, quindi possono variare da situazione a situazione. Il senso comune ci porta ad accettare la realtà per
quella che è, senza fare troppe domande, sospendendo il dubbio (epochè). Se non ci comportassimo così, ci ritroveremmo in un disagio e
scopriremmo la vera costruzione della società.
LA MEMORIA COLLETTIVA (pag. 171 sciolla) Halbwachs riprende e approfondisce l’analisi delle rappresentazioni collettive, e sostiene che la
fissazione dei ricordi è mediata da categorie a priori, da quadri che hanno un’origine sociale, che dipendono dall’appartenenza un gruppo e
dal fatto di condividere con altri la stessa esperienza. La memoria di ciascuno è interamente una costruzione sociale, nel senso che è il punto
di intersezione di più flussi collettivi di memoria. La memoria opera non attraverso la conservazione, ma attraverso la ricostruzione e
selezione del passato in funzione del presente. Le cerimonie e i rituali pubblici che vengono celebrati periodicamente, servono per rinnovare
la partecipazione dei cittadini e rinforzare i legami sociali. La memoria è un insieme dinamico, la cui coerenza è parziale, ricostruita di volta
in volta, formata da un sedimento oggettivato nello spazio dall’esperienza accumulata da un gruppo, all’esterno degli individui. Il discorso
pubblico ha un ruolo centrale, inteso come un’arena in cui versioni contrastanti dello stesso evento possono essere articolate e composte.
(pag. 171) Durkheim è il primo che parte dallo studio di fatti individuali, privati (suicidio) per dare un’interpretazione sociale collettiva. Questi
valori individualistici intrisi di psicologia, aiutano a comprendere le società moderne. Queste motivazioni singolari non sono atomistiche,
frammentate, ma fanno parte di un collettivo. La memoria collettiva contiene in sé i frame, quadri di pensiero, visioni del mondo,
rappresentazioni di spazio, tempo, persone, modi di classificare il mondo. È un vero e proprio processo culturale. La memoria collettiva può
appartenere a una subcultura, e dipendere da fattori storici individuali. Halwachs studia la memoria collettiva. È formata da eventi che hanno
modificato le epoche, da trend, mode. James (1890): la memoria è strutturalmente selettiva. Gli individui necessitano di operare un risparmio
di energie cognitive, per questo ricordiamo solo alcune cose. La memoria ci ricorda i valori sociali (olocausto: libertà). Per stabilire quali ricordi
mantenere, si usano i frame, gli schemi, nella memoria collettiva. Non è mai neutra, imparziale. La memoria collettiva è anche una volontà
di ricordare in modo selettivo, che riguarda una comunità, attraverso tecniche di framing, ad esempio una commemorazione, una narrazione
degli eventi durante rituali pubblici. I ricordi, anche quelli più personali, sono alla base delle rappresentazioni collettive. I riti collettivi
rinnovano la partecipazione e rinforzano i legami sociali. Tutti i prodotti culturali (film e libri) possono contribuire alla memoria collettiva. In un’azienda,
se tutti i dipendenti conoscono la storia, diversi eventi dell’azienda, hanno una memoria collettiva che rinforza legami e valori anche all’interno della
comunità, e all’esterno quando si comunica con il pubblico, spiegando cosa c’è dietro a certi prodotti. Ogni organizzazione ha una memoria collettiva. Non
è un magazzino di ricordi, ma un processo attivo di selezione, è un punto di intersezione di più flussi collettivi di memoria (genitori, amici, società).

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