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Capitolo 1

Difficoltà a stabilire una cronologia.

Calls e Cries coesistevano con forme assai più evolute, come le ballate (nel meridione), i folk song
negroamericani (di cui si stabilisce l’età in base alla maggiore o minore africanità).
Il processo di acculturazione dei neri negli Stati Uniti, specialmente quelli viventi nelle zone di cultura
protestante, fu molto rapido. Questo perché i bianchi più poveri, tra cui tantissimi immigrati europei,
vivevano quasi nelle stesse condizioni della popolazione di colore e in assoluta promiscuità con essa.

I Calls (Richiami)
Servivano per comunicare messaggi di ogni genere:

A. Per chiamare la gente fuori dai campi


B. Per invitarla ad andare al lavoro
C. Per attirare la presenza di qualcuno a distanza
D. Per segnalare la propria presenza

Altri nomi con cui erano noti:

A. in Alabama “Whoops”, altrove “Hollers”


B. Se erano tipici dei piantatori di cotone venivano chiamati Cotton Field Hollers
C. Quelli dei piantatori di granturco erano detti Cornfield Hollers

I Cries (Grida o Lamenti)


Erano una manifestazione espressiva, la vocalizzazione di qualche emozione:

A. Esuberanza
B. Malinconia

Potevano consistere in un hoh—hoh strascicato e abbellito da un’ornamentazione assai complicata,


impossibile da annotare sul rigo musicale.
Altri nomi: Negro Jodling e Carolina Yell

Work Song: Canti collettivi di lavoro. Alcuni risalgono agli anni della schiavitù (o hanno gli archetipi nei
canti degli schiavi).
Sono canti di:

A. Contadini
B. Lavoratori delle ferrovie
C. Scaricatori di porto
D. Taglialegna
E. Pescatori
F. Galeotti

Carattere fortemente africano. Il canto di lavoro è infatti una parte integrante e importante del patrimonio
musicale e sociale dell’Africa occidentale, ancora oggi.
Le loro melodie apparivano ai primi ascoltatori e cronisti dell’epoca (1830) straordinariamente selvagge e
strane.

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Alternanza di solisti e coro, quindi i Work Song presentano una struttura antifonale.
In realtà quando l’alternanza avviene tra un solista e il coro sarebbe più giusto indicare la struttura come
responsoriale; l’alternanza tra due gruppi numericamente paritetici (due cori) si dice invece antifonale.
Generalizzando, nel jazz, si parla sempre di meccanismi antifonali.

Gli argomenti dei Work Song:

A. Protesta
B. Critica sociale
C. Episodi di vita vissuta
D. Lavoro
E. Personaggi mitici
F. Persone note a chi canta
G. Donne
H. Futura libertà

Strettamente connessi con il ritmo del lavoro, col quale sono in sincronia, hanno la funzione di aiutare a
coordinare i movimenti e contribuiscono ad alleviare la fatica.
Il ruolo del protagonista è riservato al cantante guida (o leader) che racconta la storia al gruppo.
Quest’ultimo gli risponde in coro, all’unisono oppure all’ottava, secondo diversi schemi.
In un vecchio testo, dedicato agli “Slave song of the United States” (Canti degli schiavi degli Stati Uniti),
si osserva che queste canzoni sembrano spesso cantate con un lieve ritardo sul tempo della battuta.
C’è già quella tendenza alla sincope che ritroveremo in tutta la musica afroamericana moderna, retaggio
riconoscibile della concezione poliritmica della musica africana.

Le Ballate

Sono canzoni complesse e lunghe, composte da molte strofe, talvolta tratte da work song, dei quali hanno
perso l’antica funzione.
Altre derivano dalle ballate scozzesi e irlandesi, che i neri ascoltarono dai loro padroni bianchi.
Tra le più famose ricordiamo:

A. “Ol’ Riley”, storia del vecchio Riley, un detenuto di colore che appena ricevuta la notizia della
morte della moglie decide di scappare dal penitenziario in cui era recluso. Rattler è il nome del cane
lanciato sulle sue tracce dalle guardie per ritrovarlo.

B. “Here, Rattler, Here”, altra versione della storia.; Rattler è il cane delle guardie carcerarie lanciato
sulle tracce del fuggiasco. “Ol’ Rattler”, è un ulteriore titolo attribuito alla stessa ballata.

C. “Frankie and Albert”, oppure “Frankie and Johnny” (nelle più di trecento versioni conosciute del
brano il secondo nome è spesso variato), che si ispirava a un fatto di cronaca del passato rimasto
memorabile. Si racconta la storia di Frankie, donna di colore buona e servizievole, che tradita
dall’amante Albert lo uccide. Nonostante avesse chiesto disperatamente perdono alla madre
dell’uomo, la donna alla fine viene arrestata e giustiziata sulla sedia elettrica.

D. “John Henry”: la patetica storia di un operaio afroamericano che muore per lo sforzo durante il
lavoro, per dimostrare di avere più resistenza di una scavatrice meccanica.

E. “Midnight Special”: dedicata al treno di mezzanotte, un mito che rappresentava il sogno della
libertà per gli schiavi, che sognavano di essere portati lontano, in realtà una metafora.

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Al di sopra della linea Mason-Dixon poco si sapeva delle vicende del popolo nero.
La linea prendeva il nome dai due cartografi Charles Mason e Jeremiah Dixon, incaricati dal governo
americano di disegnare la mappa della nazione, e indicava una sorta di confine puramente astratto che
separava gli stati del Sud da quelli del Nord.
La regione al di sotto di questa linea veniva chiamata “Dixie-Land”, cioè la terra del Dixie.

Circa l’origine della parola Dixie esistono almeno tre ipotesi:

A. “Dixie’s Land” fu il nome inventato da alcuni schiavi neri mandati a Charleston da Joan Dixie, per
indicare l’antico podere del loro padrone.
B. “Dixie Land” era un altro modo di chiamare la Dixie Line, la linea Mason-Dixon
C. Dixie era l’americanizzazione della parola “Dix”, stampata sulle banconote da dieci dollari di New
Orleans.

Oggi il termine Dixieland viene generalmente usato per indicare tutto il jazz tradizionale, mentre in origine
indicava solo quello suonato dai musicisti bianchi del sud.
Lo stile nero sviluppatosi negli stati meridionali veniva invece chiamato “New Orleans”.

Nel 1860 c’erano 4 milioni e mezzo di immigrati di colore e 3 milioni e 900mila vivevano nella
Confederazione degli stati del sud, quelli schiavisti.

Anche al nord la considerazione del nero era bassissima; esso veniva considerato:

A. Poco più che un animale


B. Barbaro
C. Ridicolo
D. Infantile
E. Incolto ma felice

Soltanto gli abolizionisti non riconoscevano quest’ultima generalizzazione, che addormentava e pacificava le
coscienze.

Comunque già a partire dalla pubblicazione de “La capanna dello zio Tom” (1850), di Harriet Beecher
Stowe, che commosse milioni di lettori anche in epoca recente, si poteva riscontrare una certa curiosità
da parte dei bianchi per le vicende di questo popolo che:

A. Cantava melodie strane e selvagge


B. Parlava un dialetto incomprensibile
C. Non sapeva leggere ne scrivere
D. Suscitava curiosità e stimolava l’immaginazione degli americani.

Negli spettacoli del Minstrel show, detto anche minstrelsy, che iniziarono dal 1840 a nord della linea
Mason-Dixon, si ebbe un ampio panorama delle credenze e dei pregiudizi esistenti presso le popolazioni
settentrionali nei confronti di questi uomini venuti letteralmente da un altro mondo.

Nonostante i primi interpreti di questo genere di spettacoli fossero bianchi, nella musica dei minstrel si
sentiva riecheggiare l’influenza dei canti di lavoro degli schiavi e soprattutto degli spiritual, che avevano già
una forma ben definita.
Il minstrel show o “negro minstrel” fu tuttavia, forse per pura coincidenza, lo spettacolo che lasciò
intravedere l’inizio di un piccolo miglioramento della condizione dei neri.
Miglioramento che non era ancora libertà, ma l’inizio delle rivendicazioni e della lotta per l’emancipazione
degli schiavi di origine africana (anni 1840-1850).

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Il minstrel show sta al teatro musicale americano come la commedia dell’arte sta alla rivista e al varietà
italiano.
Le trame erano canovacci tradizionali e i personaggi ricorrenti diventarono delle maschere, più praticamente
delle figure comiche, o “macchiette”, dalle quali non si poteva prescindere.
Ogni volta quegli spettacoli si ripetevano quasi identici, come fosse un rituale.
Anche per il minstrel show ci fu una lenta evoluzione che portò a una cristallizzazione della forma.
Magari cambiavano i contenuti musicali, come vedremo, ma la struttura dello spettacolo rimase da un certo
punto in poi immutata.

All’inizio non c’erano costumi di scena e gli attori si vestivano come capitava, di loro inventiva, magari con
stracci, dovendo parodiare l’abbigliamento degli schiavi.
Avevano già però il volto dipinto di nero e suonavano il banjo per accompagnarsi nelle canzoni.

L’idea di annerirsi la faccia pare sia venuta a un tedesco trapiantato negli Stati Uniti, Johann Gottlieb
Graupner, che nel 1799 cantò la canzone “The Gay Negro Boy” in un teatro di Boston.
Il personaggio del negro boy divenne subito adottato dai circhi e presentato nei teatri di varietà d’America.
Gli attori erano bianchi truccati da neri, e presero il nome di “black face entertainers”.

Nel fare questa caricatura dei neri del sud (che loro non conoscevano direttamente) c’era un misto d’affetto e
di derisione.
I black face entertainers cantavano le “coon song” (coon = nomignolo dispregiativo dato ai neri,
abbreviazione di raccoon, procione o orsetto lavatore, piccolo plantigrado dal musetto scuro).
Queste canzoni presentano un’influenza dei primi suoni afroamericani sui compositori bianchi.
Un esempio di questi song è “Zip Coon”, di Bob Farrell.
La diretta discendenza dalla musica irlandese, così agile e articolata, con le sue danze allegre e spensierate è
evidente, ma nello sviluppo del brano si aggiunge un’influenza afroamericana, precisamente nel bridge, con
l’uso sistematico delle sincopi.

Una delle più famose fu sicuramente “Jump Jim Crow”, scritta dall’irlandese Thomas “Daddy” Rice, che
introdusse il personaggio di Jim Crow.
Jim Crow è un vecchio stalliere negro ingenuo e un po’ presuntuoso che cerca di darsi un contegno imitando
i bianchi.
Questo atteggiarsi, dal camminare al vestire, lo fa risultare comico, al limite del grottesco.
E’ a tutti gli effetti un perdente, perché i suoi sforzi peggiorano la situazione.

Vincente invece è il personaggio di Jim Brown, il nero colto, che ha cultura ed esperienza di vita, il quale
ammonisce spesso lo stolto fratello.
Jim Brown sa suonare, cantare e suscita l’ammirazione dei bianchi.

Addirittura Thomas Jefferson, il terzo Presidente degli Stati Uniti, considerato uno dei padri fondatori della
Nazione, in carica per due mandati dal 1801 al 1809, segnalò in una sua relazione lo straordinario talento dei
neri, affermando: “Nella musica sono generalmente più dotati dei bianchi”.

Ma il personaggio classico, quello più comico, è Sambo:

A. un nero infantile e tonto


B. perennemente sorridente in modo stupido
C. servile
D. comicamente ossequioso nei confronti dei bianchi

Sambo diventerà un altro nomignolo usato per indicare dispregiativamente gli afroamericani.

In effetti gli schiavisti avevano ridotto (come veri aguzzini) la massa nera ad uno stato mentale infantile,
passivo, che nutriva quasi un senso di ammirazione per i padroni. Gli schiavi finirono per credere che i
bianchi appartenessero a una razza oggettivamente superiore.

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Comunque sia, personaggi come Nat Turner (capo di una famosa rivolta scoppiata nel 1831) testimoniano
che il fuoco covava sotto la cenere: i neri erano sì buoni, ma accumulavano una quantità di rabbia non ancora
smaltita.

(N.B. questa può essere una delle ragioni per cui il musicista afroamericano solitamente non si distingue per
il recupero di stili passati; tranne rari casi, l’eccezione è rappresentata dal trombettista Winton Marsalis, non
si volta ma indietro, sembra non essere attratto dal proprio passato).

Le compagnie di Minstrel show più importanti storicamente furono:

A. I Virginia Minstrels, organizzati da Dan Emmett, uno dei primi grandi compositori bianchi
dell’epoca pre-jazzistica.
La sua canzone più famosa fu “Dixie”, una marcetta scritta nel 1859; nonostante l’autore fosse del
nord, il brano era talmente orecchiabile ed evocativa da diventare l’inno dei sudisti durante la Guerra
di Secessione. La compagnia guidata da Dan Emmett effettuò anche una tournèe in Europa

B. I Christy Minstrels, costituiti da Edwin Christy.


Quest’ultimo organizzò lo spettacolo così in grande, con uno sfarzo incredibile di costumi e di
comparse, da tracciare un solco indelebile nel genere e dopo di lui non fu possibile tornare alla
semplicità: lo standard da lui stabilito divenne un classico. Negli spettacoli dei Christy Minstrel
apparivano delle figure femminili ma erano attori uomini travestiti, seguendo una prassi gia diffusa
nel teatro serio di qualche lustro prima.

I costumi prevedevano:

A. una giacca blu, tagliata dietro “a coda di rondine”


B. un cappello a cilindro bianco
C. il bastone da passeggio
D. dei pantaloni a righe
E. la faccia annerita dal un tappo di sughero bruciato

Lo spettacolo iniziava così:


Entravano gli attori e si disponevano seduti in semicerchio:

A. al centro si posizionava il middle-man, detto anche Mr. Interlocutor


B. alle due estremità gli end-men, gli attori che intervenivano più spesso di tutti, alzandosi e venendo in
proscenio
C. in mezzo gli altri, che avevano ruoli minori

Qualcuno teneva pronto un banjo sulle ginocchia.

Gli end-men, che si chiamavano Mr. Tambo e Mr. Bones, eseguivano scenette e parodie.
La prima parte si concludeva con la passerella finale, il Walk around, una camminata curiosa:

A. gli attori procedevano stando con la schiena piegata all’indietro


B. avevano un’andatura danzante ma rigida ed impacciata, come se non sapessero camminare
normalmente

Considerando che i primi interpreti del Minstrel erano bianchi con la faccia annerita, i cosiddetti “black face
entertainer”, si può dire che inconsapevolmente prendessero in giro i neri senza accorgersi che essi
facevano il verso proprio a loro, poiché quel goffo ballo degli schiavi era in realtà la caricatura della postura
troppo eretta e rigida dei padroni.

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Quindi nel Minstrel show si può dire che i bianchi prendessero in giro i neri che prendevano in giro i bianchi.

A metà dell’Ottocento si affermò l’americano di origine irlandese Stephen Colin Foster, un fondatore della
moderna canzone popolare.
Scrisse moltissimi motivi di successo, tra cui la celebre “Oh, Susannah”, una delle prime canzoni popolari
con una struttura AABA.
Precedentemente era ricorrente lo schema AABB, come testimoniano i due esempi sopracitati, per cui
l’innovazione di Foster rappresentò un’evoluzione della forma canzone.
Il compositore fece di questa innovazione il suo marchio di fabbrica, infatti la utilizzò anche nella ballata o
canzone sentimentale “Old Folks at Home”, conosciuta anche come “Swanee River”.
La stessa struttura AABA si osserva in un’altra sua melodia rimasta immortale, la magnifica “My Old
Kentucky Home”.

Tutte le compagnie, anche i Christy Minstrels, usarono le canzoni di Foster, che ebbe una vita intensa e
avventurosa. A lui il destino riservò vari rivolgimenti di fortuna: nonostante avesse guadagnato molto con la
sua attività di compositore, morì poverissimo a circa quarant’anni.
Le sue canzoni però sopravvissero alla sua epoca e dopo molti anni arrivò un tardivo riconoscimento della
sua arte: soltanto nel 1926 la città natale Pittsburgh, in Pennsylvania, gli dedicò un monumento alla memoria.

Uno dei rari artisti neri fu William Lane, detto Juba Lane, citato anche dallo scrittore Charles Dickens nelle
“American Notes” del 1842.
Fu il primo artista afroamericano a esibirsi spesso in Europa, tanto spesso che gli capitò di morire mentre era
in tournèe in Inghilterra.

Spesso gli artisti del Minstrel, nel periodo di maggiore popolarità, si esibivano sui battelli che attraversavano
il Mississippi, i cosiddetti Show Boat.
Questi erano grosse imbarcazioni a vapore, che trasportavano turisti o viaggiatori, a bordo delle quali c’erano
orchestrine che suonavano, ospitando varie attrazioni lungo il percorso, tra cui ballerini, musicisti, cantanti e
attori del minstrel show.
Tra i nuovi numeri c’erano le “tap dance”, balli figurati progenitori del più moderno “tip tap”, esploso negli
anni Trenta del Novecento.

Alla fine della Guerra di Secessione, nel 1865, finalmente anche i primi neri poterono intraprendere la
carriera di performer, logicamente interpretando proprio sè stessi nel ruolo di black face entertainer.

Paradossalmente la nuova condizione di uomini liberi, come già visto, creò tali scompensi agli ex-schiavi che
spesso nelle canzoni il vecchio sud veniva cantato come un paradiso perduto.

E’ il caso della ballata tradizionale “Carry Me Back To Old Virginny” che il compositore e artista
afroamericano di minstrel James Bland riadattò nel 1878. Anche se la melodia già esisteva, la sua versione
divenne quella più celebre; James A. Bland fu autore assai prolifico e scrisse almeno 700 folk song originali.

Negli ultimi decenni dell’Ottocento apparve il Cake walk, un ballo ispirato alla passerella finale (il walk
around) dei primi minstrels.

Fu la prima danza di matrice afroamericana a diventare molto popolare.

Ben presto divenne di moda e si diffuse tra i bianchi; soprattutto le classi più abbienti lo trovavano assai
divertente ed elettrizzante, tanto da ballarlo nelle proprie feste.

Inoltre il cake walk alla fine dell’Ottocento fu associato al nascente genere del ragtime e la sua fortuna durò
parecchi decenni.

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Poi all’inizio del Novecento fu lanciato in tutto il mondo dai ballerini Bert Williams e George Walker. che
furono le ultime due stelle nere del mintrel show.

Unione di musica, danza, comicità, il minstrel show è da ricordare come:

A. uno spettacolo senza pretese


B. un intrattenimento che incontrò subito il favore della gente
C. una fonte di lavoro per artisti di tutte le razze
D. una forma di spettacolo che introdusse tempestivamente i nuovi generi musicali creati dagli
afroamericani, rendendoli familiari al pubblico.
E. sicuramente fece da incubatrice a numerosi artisti di talento, contribuendo così a creare le condizioni
per la nascita del jazz.

CANTI PATRIOTTICI E MARCE MILITARI

La Guerra di Secessione, detta anche Guerra Civile Americana, fu combattuta dal 12 aprile del 1861 al 9
aprile del 1865 tra gli Stati Uniti d’America (quelli del nord) e gli Stati Confederati d’America, che si
trovavano a sud della linea Mason-Dixon.

In risposta all’elezione di Abraham Lincoln come Presidente degli Stati Uniti d’America, undici Stati del sud
dichiararono la loro secessione e formarono la Confederazione degli Stati d’America.

Dopo quattro anni di combattimenti il sud si arrese e la schiavitù fu abolita in tutta la Nazione.
Gli anni di guerra portarono un contributo a livello musicale, con la creazione di inni a tema patriottico ed
anche adattamenti di brani già esistenti; è il caso di “Maryland, My Maryland”, scritta nel 1853 da Julia
Ward Howe.
Il brano è oggi conosciuto con ben tre titoli, attribuiti nel periodo della Guerra Civile:

A. Glory. Glory Alleluiah


B. John Brown’s Body
C. The Battle Hymn Of Republic

Altrettanto famosa divenne la canzone patriottica “When Johnny Comes Marching Home”, scritta nel
1863 dal direttore bandistico irlandese Patrick Gilmore; la melodia ha un’incredibile carica incitativa e fu
ripresa dopo circa settant’anni dall’orchestra di Glenn Miller in piena Era dello Swing.

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