PARMENIDE
Il fondatore della scuola eleatica è Parmenide. Nato ad Elea e vissuto tra il 550 e il 450 a.C., scrisse un’opera
in versi chiamata Sulla natura nella quale espone il proprio pensiero filosofico. I toni inspirati e oracolari
presenti nel testo caratterizzano quell’indissolubile unione tra poesia e filosofia.
Parmenide era un filosofo pluralista, colui che crede che l'Essere è costituito da una pluralità di elementi che
lo fondano in quanto sostanze di esso, e non da un elemento unico, e ha una concezione ideologica delle
cose: infatti si allontanerà dal popolo.
ZENONE
Zenone di Elea fu scolaro e amico di Parmemide. Lui morì sotto tortura per aver cospirato contro un
tiranno.
LA DIFESA DI PARMEMIDE
Il pensiero di Zenone è una sorta di “rinforzo” della filosofia parmenidea.
Il metodo utilizzato da genoma è detto riduzione all'assurdo e consiste nell'ammettere in via di ipotesi
l'affermazione dell'avversario per ricavarne conseguenze paradossali, che la confutano. Zenone assume
ipoteticamente che la realtà sia molteplice e mutevole, per poi dimostrare logicamente l'assurdità di queste
ipotesi.
DEMOCRITO E L’ATONISMO
Democrito è un post-socratico, in quanto è contemporaneo non soltanto di Socrate, ma anche di Platone.
Tant'è vero che la sua riflessione, sebbene sia dominata dal problema della natura, si mostra aperta anche ai
problemi della morale, della storia e del linguaggio, manifestando una tendenza enciclopedica che riflette
la nuova cultura.
Maestro di Democrito è Leucippo di Mileto. Quest'ultimo è stato discepolo degli eleati, ma in seguito ha
fondato una propria scuola ad Abdera e ha scritto una Grande cosmologia.
LA FIGURA DI DEMOCRITO
Democrito nasce ad Abdera intorno al 460-459 a.C. Lui era di famiglia ricca e ad un certo punto ha
rinunciato a una parte dei suoi averi per dedicarsi esclusivamente agli studi e ai viaggi. Democrito inoltre
soggiornò anche ad Atene egli ebbe modo di venire a contatto con la cultura sofistico-socratica. Sembra
che Democrito abbia incarnato la figura del sapiente completamente assorto nella speculazione. A
Democrito sono attribuiti molti scritti, tra i quali una Piccola cosmologia e i saggi Sulla natura, Sulle forme
degli atomi e Sulle parole.
L’EREDITÀ ELEATICA
Anche nel pensiero di Democrito rivive la distinzione eleatica tra apparenza e realtà. Il filosofo ritiene che
l'occhio del filosofo debba cercare di raggiungere la realtà autentica delle cose, conscio del fatto che la
verità dimora nel profondo.
Come già in Parmenide, questa convinzione si traduce nell'opposizione tra la conoscenza sensibile, detta
“oscura”, e la conoscenza razionale, detta “genuina”: mentre i sensi si limitano a vagare sulla superficie
delle cose, la ragione riesce accogliere l'essere vero del mondo, gli atomi che lo costituiscono e loro
movimento.
Mentre negli eleati, la sensazione e il pensiero rimangono divisi in due territori non comunicanti, in
Democrito sensibilità e intelletto si trovano in un rapporto di reciproca continuità e implicanza. La
conoscenza:
• Parte dalla constatazione delle cose e dei fenomeni attraverso i sensi;
• Si sviluppa mediante un'autonoma elaborazione intellettuale logica dei dati sensibili;
• Perviene a una teoria in grado di spiegare ciò che i sensi si limitano a mostrare.
L’ETÀ CLASSICA
ATENE E IL GOVERNO DEL POPOLO
Nel V secolo a.C. ad Atene non comanda un uomo solo ma comanda il popolo: le parole che Euripide
attribuisce a Teseo sono testimonianza di quella forma avanzata di democrazie che la città raggiunge con
Pericle.
Il termine democrazia significa letteralmente governo del popolo e indica una forma di partecipazione dei
cittadini alla gestione del potere e alle decisioni pubbliche. Ad Atene i più importanti organi di governi
erano due:
• L'assemblea popolare, a cui avevano diritto di partecipare tutti i cittadini maschi maggiorenni,
approvava le leggi che regolavano i vari aspetti della vita della città, nominava gli arconti e gli strateghi
ed esercitava il potere giudiziario;
• Il consiglio dei cinquecento, composto da 50 rappresentanti per ognuna delle 10 tribù dell’attica,
proponeva le misure che poi erano messe al voto nell’assemblea alle cariche pubbliche si accedeva in
due modi: mediante sorteggio nel caso delle mansioni per le quali non era necessario un alto livello di
specializzazione, e mediante elezione per l'incarichi più rilevanti.
IL PRINCIPIO DELL’ISONOMIA
Secondo il sistema voluto da Pericle, tutti i cittadini ateniesi che sedevano nell'assemblea popolare e nei
tribunali ricevevano una retribuzione. Questo permetteva a chiunque di impegnarsi nell'esperienza
politica.
L'isonomia è l'uguaglianza dei diritti, o meglio dell'uguaglianza di fronte alla legge.
POLITICA E LOGOS
Per guidare la vita delle Polis e per legittimare i propri governanti, il cittadino di Atene si affida
all'argomentazione razionale: il potere può essere conteso fra parti o gruppi sociali contrapposti, ma ciò
deve accadere all'interno di uno spazio politico, cioè secondo regole condivise e fissate dal logos, ovvero
dal discorso e dalla ragione.
Tra la politica e il logos filosofico esiste dunque un legame inscindibile: l'arte politica consiste
essenzialmente nel dare e ricevere ragione e la ragione greca prende coscienza di sé, delle sue regole, dei
suoi limiti e della sua efficacia grazie alla sua funzione politica. Aristotele darà una duplice definizione
dell'essere umano come “animale razionale” e come “animale politico”.
I SOFISTI
PROTAGORA
Nato ad Abdera intorno al 490 a.C., Protagora si formò sotto l'influenza del pensiero di Eraclito. Insegnò
in numerose città e soggiornò più volte ad Atene dove per le sue idee spregiudicate per quanto riguarda la
religione gli crearono opposizioni e che gli costarono una pubblica accusa di empietà. Tra le sue opere
ricordiamo i Ragionamenti demolitori e le Antilogie.
LA DOTTRINA DELL’UOMO-MISURA
La tesi fondamentale di Protagora è: “l'uomo è misura di tutte le cose, delle cose che sono in quanto
sono, delle cose che non sono in quanto non sono”.
Questa affermazione significa che l'essere umano è il metro, cioè il soggetto e il criterio di giudizio, della
realtà o irrealtà delle cose, del loro modo di essere e del loro significato.
Una prima interpretazione intende per “uomo” l'individuo singolo e per “cose” di oggetti percepiti
attraverso i sensi. In questo caso la tesi di Protagora alluderebbe al fatto che le cose appaiono diversamente
a seconda di chi le percepisce, nonché del suo stato fisico e psichico. Si potrebbe dire: tante teste e tante
situazioni, tante misure. Quindi ciò che appare a me può essere diverso da ciò che appare ad un altro
individuo, per esempio io mi focalizzo su un aspetto di un paesaggio ma un’altra persona si focalizza su un
altro.
Un'altra interpretazione attribuisce alla parola “uomo” il significato universale di “umanità”, o “natura
umana”, e alla parola “cose” il significato di “realtà in generale”. Da questo punto di vista, la tesi di
Protagora vorrebbe dire che l'individui giudicano la realtà tramite parametri comuni, tipici della specie
razionale alla quale appartengono. Quindi questa interpretazione contraddice la prima perché dice che
l’uomo appartiene a un gruppo sociale di appartenenza quindi ha dei parametri comuni.
Secondo una terza interpretazione l'uomo del frammento Protagoreo sarebbe invece la comunità o la
civiltà a cui l'individuo appartiene, e le cose sarebbero soprattutto i valori o gli ideali che ne stanno alla
base. In altre parole, Protagora intenderebbe dire che ognuno valuta le cose secondo la mentalità del
gruppo sociale al quale appartiene.
Questi tipi fondamentali di lettura sono insufficienti se presi singolarmente e risultano veri soltanto se
combinati insieme. Infatti l'uomo Protagoreo è misura delle cose a vari “livelli” della propria umanità:
in primo luogo come singolo, poi come comunità o civiltà, infine come specie. Egli giudica le cose a
seconda della propria specifica conformazione psicofisica, a seconda dei parametri della società in cui
vive e a seconda della specie alla quale appartiene.
Le cose di cui parla Protagora non sono soltanto gli oggetti fisici, ma anche i valori, i progetti di vita e, al
limite, la realtà tutta: da questo punto di vista, l'essere umano è misura non soltanto delle cose che si
percepiscono, ma di tutto ciò con cui entra in rapporto.
La posizione di Protagora è dunque una forma di:
• Umanismo, in quanto ciò che si afferma o si nega intorno alla realtà presuppone sempre l'essere umano
come soggetto del discorso o baricentro del giudizio, cioè come criterio, regola o metro di
valutazione;
• Fenomenismo, in quanto noi non abbiamo mai a che fare con la realtà in sé stessa, ma soltanto con
fenomeni, ossia con la realtà quale appare a noi;
• Relativismo conoscitivo e morale, in quanto non esiste una verità assoluta, non esistono principi etici
assoluti, ma ogni verità o ideale o modello di comportamento è relativo a chi giudica e alla situazione
in cui si trova. Quindi non esiste il modello morale uguale per tutti, ma che noi facciamo un giudizio in
base al momento contingente che stiamo vivendo e in base a ciò che viviamo che molte volte lo
condividiamo con chi ci sta vicino che in quel momento quel tipo di comportamento non ci piace. Quindi il
tipo di comportamento fa riferimento al relativismo, cioè il momento contingente che noi stiamo
vivendo e sopratutto la capacità nostra decisionale.
GORGIA
Gorgia, rispetto a Protagora, presenta una dottrina più negativa per quanto riguarda le possibilità conoscitive
e pratiche dell’essere umano.
Gorgia nacque verso il 485 a.C. a Lentini e probabilmente morì a Larissa intorno al 380 a.C.
Ad Atene pronunciò un celebre discorso in onore dei soldati ateniesi caduti durante la guerra del
Peloponneso (Epitaffio). Tra le sue opere ricordiamo Sul non essere (o Sulla natura) e l’Encomia e Elena.
L’IMPENSABILITÀ E L’INESPRIMIBILITÀ DELL’ESSERE
Nell'opera Sul non essere, Gorgia espone le tre tesi fondamentali su cui si basa la sua dottrina:
• Nulla esiste;
• Se anche qualcosa esistesse, non sarebbe conoscibile per gli essere umani;
• Se anche fosse conoscibile, sarebbe incomunicabile.
Quindi nulla esiste e, ammesso che qualcosa esistesse, all’uomo non potrebbe essere conoscibile e, nel caso
l’uomo riuscisse a conoscere, non potrebbe esprimerlo attraverso la parola, quindi sarebbe incomunicabile.
1. L’essere può essere e può non essere, però se ci fosse non potrebbe essere che eterno, generato o eterno e
generato insieme. Se è eterno non ha nessun principio, se non ha principi o non può esistere e se non
esiste, non può esistere in nessun luogo. Non può essere generato perché, se l’essere fosse nato sarebbe
stato generato dall’essere o dal non essere.
2. Non è vero che tutte le cose che sono pensate esistono, automaticamente non esistono. Ammesso che le
cose pensate esistono, non è detto che quando noi lo pensiamo non lo trasformiamo nel vero pensiero
elaborato perché, attraverso l’arte della parola, lo andiamo a modificare.
3. Le cose esistenti sono visibili per mezzo della vista e udibili per mezzo dell'udito e si possono esprimere
attraverso la parola. Quindi la conoscenza sensibile non è la conoscenza universale, ma è universale,
fallace e ingannevole
Per ciascuna delle tesi che intende dimostrare, Gorgia parte da un'ipotesi contraria e l'assume
momentaneamente come vera; quindi l'analizza per metterne in evidenza tutti i possibili significati e le
relative conseguenze, e far vedere che ognuna di esse porta una contraddizione.
Lo scritto di gorgia è stato interpretato alla stregua di una radicale affermazione di nichilismo filosofico
oppure come un semplice scherzo, un pezzo di bravura retorica attraverso il quale l'autore si sarebbe burlato
dei filosofi precedenti.
Quando Gorgia sostiene che nulla esiste (prima tesi), non intende far sparire, con una sorta di gioco di
prestigio, la realtà testimoniata dai nostri sensi, bensì negare la possibilità di una sua concettualizzazione
filosofica. Gorgia intende probabilmente negare la pensabilità logica e il valore ontologico dell'essere in
generale, quella struttura metafisica di cui i vari pensatori preso fissi erano andati alla ricerca: la natura oltre i
fenomeni, il principio originario e oltre le cose.
Tenere poiché l'essere non è pensabile (seconda tesi), Gorgia afferma che, se anche una tale realtà esistesse,
noi non la potremmo conoscere in quanto, per conoscerla, dovremmo presupporre che la nostra mente sia
una fotografia esatta di ciò che esiste. Ma così non è. Infatti, noi pensiamo spesso cose inesistenti, e questo
significa che il pensiero non rispecchia necessariamente la realtà, o che la realtà non si rispecchia
necessariamente nel pensiero. “pensiero = essere”.
Quando afferma che, se anche la realtà fosse conoscibile, non sarebbe comunque spiegabile con parole (terza
tesi), Gorgia suggerisce che il linguaggio è altra cosa rispetto alla realtà e non possiede un'adeguata capacità
rivelativa nei suoi confronti.
SCETTICISMO
Secondo Gorgia uno un'entità o non esiste (prima tesi), o è inconoscibile (seconda tesi), o è inesprimibile
(terza tesi).
• La prima affermazione costituisce una negazione radicale dell'essere (nichilismo) o una professione di
ateismo;
• Le altre due affermazioni si mantengono invece esplicitamente su un piano di scetticismo o agnosticismo,
rispettivamente metafisico o teologico, in quanto sono assimilabili alla prospettiva secondo cui l'essere
umano non ha strumenti adeguati né per affermare né per negare l'esistenza dell'essere o di Dio.
In verità anche la prima tesi finisce per collocarsi nell'ambito dello scetticismo poiché in fondo vuol dire che
l'essere non esiste per noi, cioè non risulta umanamente e filosoficamente afferrabile. Il messaggio più
profondo di Gorgia sembra essere lo scetticismo metafisico, cioè la persuasione dell'importanza umana a
parlare dell'essere e delle strutture ultime del reale. Gorgia esprime la sua completa sfiducia nelle possibilità
conoscitive della nostra mente, soprattutto quando, andando oltre l'esperienza, essa pretende di accedere a
qualche assoluto metafisico. In Gorgia troviamo dunque la prima messa in discussione della metafisica da
parte del pensiero occidentale.
Gorgia tende a investire anche il pensiero e linguaggio, i quali perdono il loro valore di strumenti di verità.
Per Gorgia se nulla è vero, cioè dimostrabile come tale, allora tutto è falso. Mentre in Protagora abbiamo
ancora un criterio di verità ossia l'utile, in Gorgia non troviamo più alcun criterio. L'unica cosa che conta è la
potenza della parola, intesa come forza ammaliatrice che permette di dominare gli stati d'animo in quanto
riesce a calmare la paura e ad eliminare il dolore, a suscitare la gioia e ad aumentare la pietà.
Secondo Gorgia la vita si basa su un principio di irrazionalità perché dice che nella vita l'uomo tende a usare
una serie di menzogne, una serie di inganni quindi delle giustificazioni. Molte volte, infatti, per trovare delle
giustificazioni, inganna se stesso e inganna anche gli altri per cui la natura dell'uomo è una natura
ingannevole.
Un esempio è Elena (moglie di Menelao) di Troia, il personaggio omerico considerato la causa della guerra
di Troia. Gorgia rovescia il ruolo di Elena dicendo che Elena non ha nessuna colpa sei stata rapita perché la
sua volontà è stata superata dal destino. Precisamente dalla dea dell'amore che aveva già deciso che lei
dovesse innamorarsi di Paride.
Quindi lui ci fa vedere la fragilità di Elena difendendola, ritenendola una donna innocente incapace di poter
cambiare il proprio destino. Le fa un encomio.