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FILOSOFIA

PARMENIDE
Il fondatore della scuola eleatica è Parmenide. Nato ad Elea e vissuto tra il 550 e il 450 a.C., scrisse un’opera
in versi chiamata Sulla natura nella quale espone il proprio pensiero filosofico. I toni inspirati e oracolari
presenti nel testo caratterizzano quell’indissolubile unione tra poesia e filosofia.
Parmenide era un filosofo pluralista, colui che crede che l'Essere è costituito da una pluralità di elementi che
lo fondano in quanto sostanze di esso, e non da un elemento unico, e ha una concezione ideologica delle
cose: infatti si allontanerà dal popolo.

IL SENTIERO DELLA VERITÀ


Secondo Parmenide, di fronte all’uomo si aprono due vie:
· il sentiero della verità, basato sulla ragione, che ci porta a conoscere l’essere vero;
· il sentiero dell’opinione, basato sui sensi, che ci porta a conoscere l’essere apparente.
Il filosofo deve prendere la prima via, però non sappiamo cosa si potrà scoprire percorrendo questa strada.
Parmenide risponde che la ragione ci dice fondamentalmente una cosa: l’essere è e non può non essere,
mentre il non essere non è e non può essere. In sintesi, tutto ciò che è può essere/esistere, mentre tutto ciò
che non è non può essere/esistere. Se si pensa, si pensa all’essere, tutto ciò che non è non può essere pensato,
poiché non si può pensare al nulla. La tesi di Parmenide “l’essere è; il nulla non è” presuppone la validità di
due principi che verranno teorizzati e codificati successivamente: il principio dell’identità, per il quale ogni
cosa è sé stessa, e il principio di non-contraddizione, per il quale è impossibile che una stessa cosa sia e nello
stesso tempo non sia ciò che è.
Con Parmenide il termine essere diventa un sostantivo neutro che allude a un concetto astratto. Questo grazie
all’articolo determinativo (in greco to), per esempio “il bello”, “il giusto”, ecc. Con l’espressione l’essente
(to on) o l’essere (to éinai), Parmenide si riferisce alla realtà in generale. Con Parmenide si avvia quel ramo
fondamentale della filosofia, chiamato ontologia, cioè “discorso sull’essere”, ovvero lo studio dell’essere
nelle sue caratteristiche universali.

IL MONDO DELL’ESSERE E DELLA RAGIONE


Dalla tesi secondo cui il non essere non esiste, Parmenide ricava una serie di attributi dell'essere vero,
autentico:
• L'essere è ingenerato e imperituro, perché se nascesse o perisse, implicherebbe il non essere;
• Di conseguenza l'essere è eterno. Esso è un presente eterno, a cui non compete né l’era né il sarà, ma
soltanto l’è;
• L'essere è immobile e immutabile, perché se si muovesse o mutasse implicherebbe di nuovo il non
essere;
• L'essere quindi è unico e omogeneo, perché se fosse molteplice o in sé differenziato implicherebbe degli
“intervalli” di non essere;
• Infine, l'essere è finito poiché la finezza è sinonimo di compiutezza e perfezione che Parmenide
rappresenta con l'immagine della sfera, la figura geometrica perfetta.
A questo punto appare evidente come Parmenide abbia definito gli attributi filosofici di un essere
ontologicamente perfetto. In tutti i suoi aspetti, l'essere parmenideo si configura come una realtà
necessaria, ossia come qualcosa che non può non essere o essere diverso da come. Per esprimere questa
necessità dell'essere, Parmenide ricorre ai concetti di “giustizia” e di “destino”. La giustizia è necessaria
poiché garantisce che tutto ciò che è creato non venga distrutto, mentre il destino ha fatto sì che ha
incatenato l'essere e che non rimanga intero ed immobile. Per alcuni interpreti l'essere parmenideo è una
realtà metafisica o teologica, per altri una realtà fisica e corporea, per altri ancora una costruzione logico-
grammaticale.
Aldilà delle varie possibili interpretazioni, e certo che è un tale essere possiede tutte quelle determinazioni
che in seguito saranno riferite all'assoluto, cioè finito coincide con l’infinito.

IL MONDO DELL'APPARENZA E DELL’OPINIONE


Parmenide deve affrontare il problema di come vada inteso il mondo in cui viviamo, cioè quella zona
della realtà che presenta attributi diametralmente opposti a quelli dell'essere vero, essendo generata,
peritura, temporale, mutevole e molteplice.
Il filosofo di Elea afferma che il nostro mondo implica il non essere e dunque è pura apparenza o
illusione.
Il filosofo, dopo aver parlato della verità, ovvero alla descrizione dell'essere autentico, espone l'opinione,
una spiegazione verosimile del mondo dell'esperienza sensibile e dell'apparenza. Questa consiste in una
teoria fondamentalmente dualistica, secondo la quale il mondo sarebbe generato e governato da due
principi opposti e in perenne contrasto tra loro: la luce e la notte.

ESSERE, PENSIERO E LINGUAGGIO


Parmenide fonda l'intera sua dottrina sull'affermazione che l'essere si può pensare e dire, mentre il non
essere non si può né pensare né dire. Questo significa che per lui la sfera dell'essere e quella del pensiero
formano un tutt'uno con quella linguistica: ontologia, logica e linguaggio risultano pertanto
indissolubilmente connessi. L'ontologia parmenidea nasce proprio dalla considerazione dei significati
della parola è, l'unica che afferma anche l'esistenza di un contenuto nella mente.
Questa identificazione senza residui tra l'essere, il pensiero e il linguaggio fa pensare a una concezione
naturalistica del linguaggio stesso, secondo cui esso non può che riflettere la realtà mentre ciò che non è
reale non è passibile di alcuna formulazione verbale. Il filosofo aggiunge che la molteplicità a nomi
contraddittori, che in qualche modo niente amo all'esistenza: le molteplici cose del mondo a cui gli uomini
hanno attribuito un nome sono in realtà cose insussistenti, suoni a cui non corrisponde nulla di reale. In
questo senso il linguaggio appare come una costruzione umana artificiosa, una convenzione priva di spessore
ontologico. Questo significa che Parmenide è perfettamente in grado di distinguere il piano dell'essere da
quello del linguaggio e che in ultima analisi sceglie di far dipendere la realtà del linguaggio da quella del
pensiero.

LA PROBLEMATICA “TERZA VIA“ DI PARMENIDE


Le vie prospettate da Parmenide sono tre:
• La via dell'assoluta verità, che dice soltanto l’essere (dei filosofi);
• La via dell'opinione ingannevole, che dice anche il non essere (uomo comune);
• la via dell'opinione plausibile, che offre una spiegazione verosimile della realtà percepita con i sensi
(verosomiglianza).
Lo storico Giovanni Reale osservò che le tradizionali cosmogonie erano state costruite facendo leva sulla
dinamica degli opposti, e di questi uno era stato concepito come positivo e come essere, l’altro come
negativo e come non essere. Secondo Parmemide l'errore sta nel non aver capito che gli opposti devono
pensarsi come inclusi nella superiore unità dell'essere: gli opposti sono ambedue “essere”. E così
Parmenide tenta una deduzione dei fenomeni partendo dalla coppia di opposti “luce” e “notte”, ma
proclamando che con nessuno dei due c'è il nulla, ossia che entrambi sono essere.
L’unico discorso filosoficamente fondato è quello della verità in quanto la doxa, anche se plausibile, rimane
pur sempre doxa, ovvero un discorso privo del valore di verità incontrovertibile, dal momento che ha per
oggetto la vera apparenza sensibile.

ZENONE
Zenone di Elea fu scolaro e amico di Parmemide. Lui morì sotto tortura per aver cospirato contro un
tiranno.

LA DIFESA DI PARMEMIDE
Il pensiero di Zenone è una sorta di “rinforzo” della filosofia parmenidea.
Il metodo utilizzato da genoma è detto riduzione all'assurdo e consiste nell'ammettere in via di ipotesi
l'affermazione dell'avversario per ricavarne conseguenze paradossali, che la confutano. Zenone assume
ipoteticamente che la realtà sia molteplice e mutevole, per poi dimostrare logicamente l'assurdità di queste
ipotesi.

GLI ARGOMENTI CONTRO LA PLURALITÀ


Contro l'idea della pluralità delle cose, Zenone osserva che il loro numero sarebbe un tempo finito e
infinito: finito perché esse non potrebbero essere né più né meno di quante sono; infinito perché nello
spazio che separa due cose ce ne sarebbe sempre una terza.
E si arriva ad una contraddizione se si ammette che ogni cosa è costituita da molte unità: se queste unità
non hanno grandezza anche le cose da essere composte non avranno grandezza; se invece le unità hanno
una certa grandezza allora le cose avranno grandezza infinita in quanto composte da infinite unità.
GLI ARGOMENTI CONTRO IL MOVIMENTO
Il primo argomento contro il movimento è detto “dello stadio”: non si può arrivare all'estremità di uno
stadio partendo dall'estremità opposta; ma non è possibile percorrere in un tempo finito infinite parti di
spazio.
Il secondo argomento è detto di “Achille e della tartaruga”. Una tartaruga che parta con un passo di
vantaggio rispetto al “piè veloce”. Achille non sarà mai raggiunto da quest'ultimo. Prima di riuscire a
raggiungerla l'eroe dovrà arrivare alla posizione occupata precedentemente dalla tartaruga che nel
frattempo si sarà spostata sia pure di pochissimo: pertanto la distanza tra Achille e la tartaruga non si
ridurrà mai a zero.
Il terzo argomento di Zenone contro il movimento è quello detto “della freccia”. Una freccia che ci appaia
in movimento e in realtà immobile e sta in un determinato istante occupa uno spazio determinato pari
alla sua lunghezza il che significa che è ferma; ma poiché il tempo in cui essa si muove è fatto di molteplici
istanti, per ognuno di questi istanti la freccia sarà immobile.
Il presupposto concettuale di questo argomento, secondo Aristotele, è l'inverso del presupposto del
secondo, in quanto consiste nella tesi dell'esistenza di istanti indivisibili e anche in questo caso il
movimento risulta impossibile.
Il quarto argomento è quello “delle masse nello stadio”. Esso afferma che in uno stadio, un punto mobile
si sposta con una certa velocità e simultaneamente una velocità doppia, a seconda che sia rapportato a un
punto immobile oppure a un punto che si muove. Supponiamo che tre treni si trovino su binari paralleli e
che due di essi corrono entrambi alla velocità di 100 km/h, ma in direzioni opposte, mentre il terzo sia
immobile. Ora la velocità del treno apparirà di 100 km/h se rapportata a quella del treno che è immobile,
ma di 200 km/h se rapportata a quella del treno che si muove in senso opposto.
L'argomento delle masse nello stadio ha indotto alcuni studiosi ad affermare che Zenone a
inconsapevolmente anticipato la teoria della relatività. Ma con questo radicale differenza: ciò che per
Einstein è realtà per Zenone è invece un assurdo gioco, un paradosso che testimonia l'impensabilità dal
punto di vista della ragione, del nostro mondo sensibile, confermando la tesi parmenidea della sua
illusorietà.
Zenone non fa che supportare indirettamente la tesi del maestro, secondo cui l'essere vero e logico non è
quello in cui viviamo.

DEMOCRITO E L’ATONISMO
Democrito è un post-socratico, in quanto è contemporaneo non soltanto di Socrate, ma anche di Platone.
Tant'è vero che la sua riflessione, sebbene sia dominata dal problema della natura, si mostra aperta anche ai
problemi della morale, della storia e del linguaggio, manifestando una tendenza enciclopedica che riflette
la nuova cultura.
Maestro di Democrito è Leucippo di Mileto. Quest'ultimo è stato discepolo degli eleati, ma in seguito ha
fondato una propria scuola ad Abdera e ha scritto una Grande cosmologia.

LA FIGURA DI DEMOCRITO
Democrito nasce ad Abdera intorno al 460-459 a.C. Lui era di famiglia ricca e ad un certo punto ha
rinunciato a una parte dei suoi averi per dedicarsi esclusivamente agli studi e ai viaggi. Democrito inoltre
soggiornò anche ad Atene egli ebbe modo di venire a contatto con la cultura sofistico-socratica. Sembra
che Democrito abbia incarnato la figura del sapiente completamente assorto nella speculazione. A
Democrito sono attribuiti molti scritti, tra i quali una Piccola cosmologia e i saggi Sulla natura, Sulle forme
degli atomi e Sulle parole.

L’EREDITÀ ELEATICA
Anche nel pensiero di Democrito rivive la distinzione eleatica tra apparenza e realtà. Il filosofo ritiene che
l'occhio del filosofo debba cercare di raggiungere la realtà autentica delle cose, conscio del fatto che la
verità dimora nel profondo.
Come già in Parmenide, questa convinzione si traduce nell'opposizione tra la conoscenza sensibile, detta
“oscura”, e la conoscenza razionale, detta “genuina”: mentre i sensi si limitano a vagare sulla superficie
delle cose, la ragione riesce accogliere l'essere vero del mondo, gli atomi che lo costituiscono e loro
movimento.
Mentre negli eleati, la sensazione e il pensiero rimangono divisi in due territori non comunicanti, in
Democrito sensibilità e intelletto si trovano in un rapporto di reciproca continuità e implicanza. La
conoscenza:
• Parte dalla constatazione delle cose e dei fenomeni attraverso i sensi;
• Si sviluppa mediante un'autonoma elaborazione intellettuale logica dei dati sensibili;
• Perviene a una teoria in grado di spiegare ciò che i sensi si limitano a mostrare.

L’ETÀ CLASSICA
ATENE E IL GOVERNO DEL POPOLO
Nel V secolo a.C. ad Atene non comanda un uomo solo ma comanda il popolo: le parole che Euripide
attribuisce a Teseo sono testimonianza di quella forma avanzata di democrazie che la città raggiunge con
Pericle.
Il termine democrazia significa letteralmente governo del popolo e indica una forma di partecipazione dei
cittadini alla gestione del potere e alle decisioni pubbliche. Ad Atene i più importanti organi di governi
erano due:
• L'assemblea popolare, a cui avevano diritto di partecipare tutti i cittadini maschi maggiorenni,
approvava le leggi che regolavano i vari aspetti della vita della città, nominava gli arconti e gli strateghi
ed esercitava il potere giudiziario;
• Il consiglio dei cinquecento, composto da 50 rappresentanti per ognuna delle 10 tribù dell’attica,
proponeva le misure che poi erano messe al voto nell’assemblea alle cariche pubbliche si accedeva in
due modi: mediante sorteggio nel caso delle mansioni per le quali non era necessario un alto livello di
specializzazione, e mediante elezione per l'incarichi più rilevanti.

IL PRINCIPIO DELL’ISONOMIA
Secondo il sistema voluto da Pericle, tutti i cittadini ateniesi che sedevano nell'assemblea popolare e nei
tribunali ricevevano una retribuzione. Questo permetteva a chiunque di impegnarsi nell'esperienza
politica.
L'isonomia è l'uguaglianza dei diritti, o meglio dell'uguaglianza di fronte alla legge.

LA NASCITA DELLA POLITICA


Proprio il dialogo fra Teseo (che difende il governo democratico ateniese) e l'araldo Tebano (che sostiene
le ragioni dei sistemi monarchici, ovvero del governo di uno solo), rappresenta uno dei più antichi dibattiti
sull'origine e sulla natura del potere.
I greci furono i primi a cercare di dare un fondamento razionale al diritto di comandare e al dovere di
obbedire, sostituendo la ragione della forza con la forza della ragione.
L'età classica segna in questo senso la nascita della politica, intesa come il nuovo paradigma del mondo
occidentale: alla morale eroica, subentra un'antica della convivenza all'interno della città: alla legge del più
forte tipica dell'aristocrazia si sostituisce la ricerca di una mediazione razionale nella comunità cittadina.
Lo storico della filosofia Mario Vegetti osservò che la Grecia è caratterizzata da alcuni “vuoti” o
“assenze”:
• L'assenza di una monarchia dinastica, con la con conseguente impossibilità di una trasmissione certa e
garantita del potere;
• L'assenza di un'autorità religiosa, i greci non hanno una casta sacerdotale che possa consacrare o
investire dall'alto i sovrani e governanti;
• L'assenza di un libro sacro, cioè di uno o più testi ritenuti ispirati dalla divinità, sui quali si possa
fondare l'esercizio del potere.
In questo vuoto di autorità e tradizione politica e religiosa nascono le poleis, le città-stato ovvero le
piccole unità amministrative indipendenti in cui era organizzato il popolo greco.

POLITICA E LOGOS
Per guidare la vita delle Polis e per legittimare i propri governanti, il cittadino di Atene si affida
all'argomentazione razionale: il potere può essere conteso fra parti o gruppi sociali contrapposti, ma ciò
deve accadere all'interno di uno spazio politico, cioè secondo regole condivise e fissate dal logos, ovvero
dal discorso e dalla ragione.
Tra la politica e il logos filosofico esiste dunque un legame inscindibile: l'arte politica consiste
essenzialmente nel dare e ricevere ragione e la ragione greca prende coscienza di sé, delle sue regole, dei
suoi limiti e della sua efficacia grazie alla sua funzione politica. Aristotele darà una duplice definizione
dell'essere umano come “animale razionale” e come “animale politico”.
I SOFISTI

LA CONSIDERAZIONE DEI SOFISTI NELLA STORIA


Nella Grecia arcaica il termine sofista era sinonimo di saggio e alludeva a un uomo esperto e dotato di
una vasta cultura generale. Con questo nome si indicavano ad esempio i sette savi e Pitagora.
Nel V secolo a.C. cominciano invece a essere chiamati sofisti quegli intellettuali che della loro sapienza
arrivano a fare una professione, insegnandola dietro compenso: alla mentalità aristocratica cioè appare
scandaloso tanto che lo storico Senofonte bollò i sofisti come “prostituti della cultura”.
Ma saranno soprattutto Platone e Aristotele a demonizzare culturalmente i sofisti, giudicandoli falsi
sapienti interessati al successo e al denaro più che alla verità. L'enorme influenza esercitata da Platone ed
Aristotele ha fatto sì che nel mondo greco i sofisti fossero definitivamente marchiati come pseudo-filosofi e
che lo stesso termine sofista diventasse sinonimo di “cavillatore in malafede” o di “maestro di
ragionamenti capziosi”.
Oggi l'aggettivo sofistico equivale a falso, artificioso, truccato. Però gli studiosi contemporanei si sono
mostrati più obiettivi e favorevoli a una rivalutazione del movimento dei sofisti e della sua importanza
storica e filosofica.

IL CONTESTO IN CUI NASCE LA SOFISTICA


I sofisti spostano il centro della speculazione dalla natura all'essere umano. E focalizzano la loro
attenzione sulla politica, sulle leggi, sulla religione, sulla lingua, sull'educazione divenendo così filosofi
dell'uomo e della città. Questo spostamento dell'asse della filosofia si spiega con la sfiducia nella ricerca
naturalistica, che all'epoca aveva ormai battuto tutte le strade allora possibili.
A determinare la nuova direzione dell'indagine filosofica e anche il mutato contesto storico-politico
dell'Atene del V secolo a.C. Dal punto di vista sociale, i cambiamenti più importanti di questo periodo sono
la crisi dell'aristocrazia, l'accresciuta potenza del ceto medio cittadino, l'espandersi dei traffici e dei
commerci, il raffinarsi delle tecniche e soprattutto l’avvento della democrazia.

DEMOCRAZIA, PAROLA E INSEGNAMENTO


Della mutata atmosfera socio-politica ateniese e documento eloquente la famosa “orazione funebre” che,
secondo la testimonianza dello storico ateniese Tucidide, viene pronunciata da Pericle a un anno dall'inizio
della guerra del Peloponneso, in onore dei concittadini caduti in battaglia.
La democrazia rappresenta il presupposto genetico e lo spazio operativo entro cui storicamente si muove
la corrente dei sofisti, i quali offrono agli ateniesi uno strumento per esercitare al meglio i loro diritti di
cittadini: l'arte della parola. Come osservato il filosofo Ludovico Geymonat “ vivere attivamente in
democrazia significa partecipare ad assemblee, prendervi la parola, far valere con efficace discorso la
propria opinione framezzo alle altre opinioni; e perciò saper pesare le varie accezioni e sfumature dei
vocaboli, avere nell'orecchio le più felici espressioni dei poeti, riuscire a disporre i periodi in ordine che
incateni l'attenzione, accenda le fantasie e susciti i consensi. Significa, insomma, possedere quel
complesso di cognizioni grammaticali, lessicali, sintattiche, stilistiche, letterarie che costituisce l’arte
dell’eloquenza”.
A queste nuove esigenze rispondono dunque i sofisti, i quali si ritenevano sapienti nel senso antico del
termine, cioè nel senso di abili nell'attività tipicamente umana del vivere insieme, capaci di avere la
meglio nelle competizioni civili. I sofisti si propongono di insegnare, dietro pagamento, al futuro ceto
dirigente ateniese: le loro lezioni si concentrano dunque su discipline formali come la grammatica o la
retorica.

I CARATTERI DELLA SOFISTICA


La sofistica è stata definita come una sorta di Illuminismo greco. Illuminismo è un grande movimento
culturale che ebbe come principio ispiratore l'uso libero e spregiudicato della ragione in ogni ambito. Lo
strumento dell'Illuminismo settecentesco fu infatti la critica: una critica radicale e chi aveva la pretesa di
svincolare l'umanità da ogni pregiudizio.
La sofistica presentava un carattere analogo, poiché i suoi esponenti criticarono esplicitamente i miti e le
credenze tradizionali, per sostituirli con nozioni razionali. In questo senso la funzione della sofistica fu
simile a quella di movimenti analoghi presenti in tutte le maggiori civiltà e cosiddette nella liberazione
critica del passato e il nome della ragione.
I sofisti riconoscono inoltre il valore formativo del sapere e per primi ampliano il concetto di “Paideia”
identificandolo con la nozione occidentale di cultura. Quest'ultima viene intesa non come un insieme di
conoscenze specialistiche, ma come la formazione globale dell'individuo nell'ambito del popolo e del
contesto sociale a cui appartiene. Con i sofisti il problema educativo viene dunque portato in primo piano
sulla base della convinzione che la virtù non sia una qualità che si acquisisce per facilità ma derivi dal
sapere, il quale si può conquistare attraverso lo studio.
In virtù della loro stessa professione, i sofisti si fanno inoltre portatori di istanze panelleniche
cosmopolitiche, che contribuiscono a un allargamento della mente greca e antica in genere, perlopiù
particolaristica e nazionalistica. Parallelamente, essi hanno chiara conoscenza della molteplicità dei
costumi umani e sanno rinunciare alla dogmatica assolutizzazione dei modi di vita vigenti nelle loro città.
I sofisti non costituirono una scuola compatta di pensatori, poiché sostennero dottrine distinte e talora
opposte. Per orientarsi è bene distinguere tre celebri maestri della prima generazione. I più importanti
furono Protagora e Gorgia.

PROTAGORA
Nato ad Abdera intorno al 490 a.C., Protagora si formò sotto l'influenza del pensiero di Eraclito. Insegnò
in numerose città e soggiornò più volte ad Atene dove per le sue idee spregiudicate per quanto riguarda la
religione gli crearono opposizioni e che gli costarono una pubblica accusa di empietà. Tra le sue opere
ricordiamo i Ragionamenti demolitori e le Antilogie.

LA DOTTRINA DELL’UOMO-MISURA
La tesi fondamentale di Protagora è: “l'uomo è misura di tutte le cose, delle cose che sono in quanto
sono, delle cose che non sono in quanto non sono”.
Questa affermazione significa che l'essere umano è il metro, cioè il soggetto e il criterio di giudizio, della
realtà o irrealtà delle cose, del loro modo di essere e del loro significato.
Una prima interpretazione intende per “uomo” l'individuo singolo e per “cose” di oggetti percepiti
attraverso i sensi. In questo caso la tesi di Protagora alluderebbe al fatto che le cose appaiono diversamente
a seconda di chi le percepisce, nonché del suo stato fisico e psichico. Si potrebbe dire: tante teste e tante
situazioni, tante misure. Quindi ciò che appare a me può essere diverso da ciò che appare ad un altro
individuo, per esempio io mi focalizzo su un aspetto di un paesaggio ma un’altra persona si focalizza su un
altro.
Un'altra interpretazione attribuisce alla parola “uomo” il significato universale di “umanità”, o “natura
umana”, e alla parola “cose” il significato di “realtà in generale”. Da questo punto di vista, la tesi di
Protagora vorrebbe dire che l'individui giudicano la realtà tramite parametri comuni, tipici della specie
razionale alla quale appartengono. Quindi questa interpretazione contraddice la prima perché dice che
l’uomo appartiene a un gruppo sociale di appartenenza quindi ha dei parametri comuni.
Secondo una terza interpretazione l'uomo del frammento Protagoreo sarebbe invece la comunità o la
civiltà a cui l'individuo appartiene, e le cose sarebbero soprattutto i valori o gli ideali che ne stanno alla
base. In altre parole, Protagora intenderebbe dire che ognuno valuta le cose secondo la mentalità del
gruppo sociale al quale appartiene.
Questi tipi fondamentali di lettura sono insufficienti se presi singolarmente e risultano veri soltanto se
combinati insieme. Infatti l'uomo Protagoreo è misura delle cose a vari “livelli” della propria umanità:
in primo luogo come singolo, poi come comunità o civiltà, infine come specie. Egli giudica le cose a
seconda della propria specifica conformazione psicofisica, a seconda dei parametri della società in cui
vive e a seconda della specie alla quale appartiene.
Le cose di cui parla Protagora non sono soltanto gli oggetti fisici, ma anche i valori, i progetti di vita e, al
limite, la realtà tutta: da questo punto di vista, l'essere umano è misura non soltanto delle cose che si
percepiscono, ma di tutto ciò con cui entra in rapporto.
La posizione di Protagora è dunque una forma di:
• Umanismo, in quanto ciò che si afferma o si nega intorno alla realtà presuppone sempre l'essere umano
come soggetto del discorso o baricentro del giudizio, cioè come criterio, regola o metro di
valutazione;
• Fenomenismo, in quanto noi non abbiamo mai a che fare con la realtà in sé stessa, ma soltanto con
fenomeni, ossia con la realtà quale appare a noi;
• Relativismo conoscitivo e morale, in quanto non esiste una verità assoluta, non esistono principi etici
assoluti, ma ogni verità o ideale o modello di comportamento è relativo a chi giudica e alla situazione
in cui si trova. Quindi non esiste il modello morale uguale per tutti, ma che noi facciamo un giudizio in
base al momento contingente che stiamo vivendo e in base a ciò che viviamo che molte volte lo
condividiamo con chi ci sta vicino che in quel momento quel tipo di comportamento non ci piace. Quindi il
tipo di comportamento fa riferimento al relativismo, cioè il momento contingente che noi stiamo
vivendo e sopratutto la capacità nostra decisionale.

IL RELATIVISMO MORALE E CULTURALE


Il relativismo dei sofisti distrugge sia l'idea di una verità unica, sia quella di un unico sistema di valori
validi per tutti e per sempre. Questo aspetto emerge anche in uno scritto anonimo intitolato Ragionamenti
doppi.
In tale opera ci si propone di dimostrare che di una qualunque cosa si può dire che è buona o cattiva, bella o
brutta, giusta o ingiusta. Lo scritto viene presentato dal suo autore come una summa dell'insegnamento
sofistico: "Ragionamenti doppi intorno al bene e al male. Alcuni dicono che altro è il bene, altro è il male;
altri invece che sono la stessa cosa; la quale per alcuni sarebbe bene, per altri male; e per lo stesso
individuo sarebbe ora bene, ora male. Per esempio la malattia per i malati è un male, ma per i medici è un
bene. Ancora la morte per chi muore è un male, ma per l'impresario di pompe funebri e per i becchini è un
bene. Infine se l’agricoltura da abbondante raccolto, è un bene per l'agricoltori, ma per i commercianti è un
male.
Protagora spiega nelle Antologie le tesi e antitesi, ugualmente difendibili, su una serie di argomenti.
La seconda parte dei Ragionamenti doppi contiene l'esposizione di quello che oggi si chiama relativismo
culturale, cioè il riconoscimento del fatto che le diverse civiltà umane esprimono culture diverse: non
soltanto conoscenze, ma anche usi, costumi e valori differenti.
Quindi realismo significa che relativamente ha quel tipo di cultura, tutto è lecito. Quindi il modo di
pensare, la cultura predominante fa in modo che determinati tipi di comportamento possono essere
validi o non validi secondo i parametri a cui noi facciamo riferimento. In questo caso la società culturale
di riferimento. Per esempio per alcune ragazze è chiaro che avere rapporti sessuali prima del matrimonio è
normale. Per i traci le fanciulle possono tatuarsi un comportamento di bellezza, per gli altri popoli questo
tatuaggio è una pena che si deve imporre. Quindi questo ci spiega come, a seconda della società in cui si
vive, il modo di comportarsi cambia. I Massaggeti pensano che i genitori devono essere seppelliti nel
corpo dei loro figli. Quindi squarciano il corpo dei propri genitori e poi li mangiano.
I greci invece vedono questo atto come un infamia.

L'UTILE COME CRITERIO DI SCELTA


Il relativismo conoscitivo e morale dei sofisti poteva condurre alla tesi dell'ideale eloquenza di tutte le
opinioni, cioè da alla dottrina secondo cui tutto è vero. Questo significa forse che lo sbocco naturale della
meditazione Protagora fosse una forma di soggettivismo anarchico? Niente affatto perché Protagora
nonostante tutto riconosceva l'esistenza di un principio di scelta.
Quindi ci dice che è vero che un determinato tipo di comportamento è corrispettivo alla società che
rappresenta, però è sempre poi una forma di soggettivismo anarchico. Cioè l’uomo può liberamente
scegliere che tipo di comportamento adottare. Quindi l’uomo ha la libertà di scelta che potrebbe essere
una scelta relativa perché la verità assoluta non esiste però l’uomo può sottrarsi da quel tipo di
comportamento.
Protagora affermava che esiste comunque un criterio al quale l'essere umano può attenersi: il principio
“debole” dell'utilità privata e pubblica. In altre parole, se non si può accogliere una dottrina o una nuova
credenza sulla base di verità certe o di valori indiscutibili, si può decidere di farlo perché quella
credenza e quel comportamento si rivelano come i più utili per sé e per la propria comunità.
Un individuo, quando agisce, deve saper giudicare ciò che è utile per se stesso portando avanti il bene
secondo propria utilità per fare in modo che a comunità di appartenenza utilizzi quelle leggi morali perché
e da cui possa usufruirne in una utilità privata. BOH, NO HO CAPITO
L'utile, inteso come il bene del singolo e della comunità, diviene così lo strumento di verifica delle stesse
teorie. Protagora sostituisce una concezione umanistico-storicistica, secondo cui la verità e ciò che viene
umanamente verificato come giovevole, ossia ciò che si è dimostrato storicamente, socialmente utile
all'individuo, alla comunità e alla specie. Ciò significa che il filosofo non arriva negare qualsiasi criterio di
verità, ma soltanto un criterio assoluto. E il fatto che Protagora rifiuti una razionalità forte non esclude
l'accettazione da parte sua di una razionalità debole. Quindi bisogna utilizzare l’utile. Ciò che è utile a se
stesse, alla propria comunità e alla propria specie.
I sofisti erano bravi nell’arte della retorica, del parlare. Tant’è vero che iniziarono ad insegnare, a
pagamento, ai potenti come utilizzare la parola per fare discorsi. Questo era importante perché nelle
assemblee cittadine, bisognava avere il consenso del popolo e, grazie alla parola, facevano vedere il bianco
nero e il nero bianco. Quindi noi oggi li paragoniamo agli avvocati che, per far si che il proprio cliente sia
assolto, facevano dei giri di parole e riuscivano a capovolgere la situazione. Infatti, molte volte, i sofisti nelle
assemblee cittadine, si rendevano conto che ciò che dicevano non corrispondevano alla vera verità, ma
cambiavano quel modo di far ragionare gli altri attraverso un’utilità privata quindi come se andassero a
camuffare la verità.
Il sofista per Protagora si presenta soprattutto come propagandista dell'utile, come un intellettuale che tenta
di modificare le opinioni in base al principio dell'utilità. In questo senso Protagora diceva di rendere migliore
il discorso peggiore, ossia di trasformare l'opinione meno utile e più dannosa in un'opinione più utile e
proficua.
I sofisti rischiavano di legittimare soltanto l'utile dei potenti, trasformandosi in propagandisti delle classi
dominanti.

GORGIA
Gorgia, rispetto a Protagora, presenta una dottrina più negativa per quanto riguarda le possibilità conoscitive
e pratiche dell’essere umano.
Gorgia nacque verso il 485 a.C. a Lentini e probabilmente morì a Larissa intorno al 380 a.C.
Ad Atene pronunciò un celebre discorso in onore dei soldati ateniesi caduti durante la guerra del
Peloponneso (Epitaffio). Tra le sue opere ricordiamo Sul non essere (o Sulla natura) e l’Encomia e Elena.
L’IMPENSABILITÀ E L’INESPRIMIBILITÀ DELL’ESSERE
Nell'opera Sul non essere, Gorgia espone le tre tesi fondamentali su cui si basa la sua dottrina:
• Nulla esiste;
• Se anche qualcosa esistesse, non sarebbe conoscibile per gli essere umani;
• Se anche fosse conoscibile, sarebbe incomunicabile.
Quindi nulla esiste e, ammesso che qualcosa esistesse, all’uomo non potrebbe essere conoscibile e, nel caso
l’uomo riuscisse a conoscere, non potrebbe esprimerlo attraverso la parola, quindi sarebbe incomunicabile.
1. L’essere può essere e può non essere, però se ci fosse non potrebbe essere che eterno, generato o eterno e
generato insieme. Se è eterno non ha nessun principio, se non ha principi o non può esistere e se non
esiste, non può esistere in nessun luogo. Non può essere generato perché, se l’essere fosse nato sarebbe
stato generato dall’essere o dal non essere.
2. Non è vero che tutte le cose che sono pensate esistono, automaticamente non esistono. Ammesso che le
cose pensate esistono, non è detto che quando noi lo pensiamo non lo trasformiamo nel vero pensiero
elaborato perché, attraverso l’arte della parola, lo andiamo a modificare.
3. Le cose esistenti sono visibili per mezzo della vista e udibili per mezzo dell'udito e si possono esprimere
attraverso la parola. Quindi la conoscenza sensibile non è la conoscenza universale, ma è universale,
fallace e ingannevole
Per ciascuna delle tesi che intende dimostrare, Gorgia parte da un'ipotesi contraria e l'assume
momentaneamente come vera; quindi l'analizza per metterne in evidenza tutti i possibili significati e le
relative conseguenze, e far vedere che ognuna di esse porta una contraddizione.

Lo scritto di gorgia è stato interpretato alla stregua di una radicale affermazione di nichilismo filosofico
oppure come un semplice scherzo, un pezzo di bravura retorica attraverso il quale l'autore si sarebbe burlato
dei filosofi precedenti.
Quando Gorgia sostiene che nulla esiste (prima tesi), non intende far sparire, con una sorta di gioco di
prestigio, la realtà testimoniata dai nostri sensi, bensì negare la possibilità di una sua concettualizzazione
filosofica. Gorgia intende probabilmente negare la pensabilità logica e il valore ontologico dell'essere in
generale, quella struttura metafisica di cui i vari pensatori preso fissi erano andati alla ricerca: la natura oltre i
fenomeni, il principio originario e oltre le cose.
Tenere poiché l'essere non è pensabile (seconda tesi), Gorgia afferma che, se anche una tale realtà esistesse,
noi non la potremmo conoscere in quanto, per conoscerla, dovremmo presupporre che la nostra mente sia
una fotografia esatta di ciò che esiste. Ma così non è. Infatti, noi pensiamo spesso cose inesistenti, e questo
significa che il pensiero non rispecchia necessariamente la realtà, o che la realtà non si rispecchia
necessariamente nel pensiero. “pensiero = essere”.
Quando afferma che, se anche la realtà fosse conoscibile, non sarebbe comunque spiegabile con parole (terza
tesi), Gorgia suggerisce che il linguaggio è altra cosa rispetto alla realtà e non possiede un'adeguata capacità
rivelativa nei suoi confronti.

SCETTICISMO
Secondo Gorgia uno un'entità o non esiste (prima tesi), o è inconoscibile (seconda tesi), o è inesprimibile
(terza tesi).
• La prima affermazione costituisce una negazione radicale dell'essere (nichilismo) o una professione di
ateismo;
• Le altre due affermazioni si mantengono invece esplicitamente su un piano di scetticismo o agnosticismo,
rispettivamente metafisico o teologico, in quanto sono assimilabili alla prospettiva secondo cui l'essere
umano non ha strumenti adeguati né per affermare né per negare l'esistenza dell'essere o di Dio.
In verità anche la prima tesi finisce per collocarsi nell'ambito dello scetticismo poiché in fondo vuol dire che
l'essere non esiste per noi, cioè non risulta umanamente e filosoficamente afferrabile. Il messaggio più
profondo di Gorgia sembra essere lo scetticismo metafisico, cioè la persuasione dell'importanza umana a
parlare dell'essere e delle strutture ultime del reale. Gorgia esprime la sua completa sfiducia nelle possibilità
conoscitive della nostra mente, soprattutto quando, andando oltre l'esperienza, essa pretende di accedere a
qualche assoluto metafisico. In Gorgia troviamo dunque la prima messa in discussione della metafisica da
parte del pensiero occidentale.
Gorgia tende a investire anche il pensiero e linguaggio, i quali perdono il loro valore di strumenti di verità.
Per Gorgia se nulla è vero, cioè dimostrabile come tale, allora tutto è falso. Mentre in Protagora abbiamo
ancora un criterio di verità ossia l'utile, in Gorgia non troviamo più alcun criterio. L'unica cosa che conta è la
potenza della parola, intesa come forza ammaliatrice che permette di dominare gli stati d'animo in quanto
riesce a calmare la paura e ad eliminare il dolore, a suscitare la gioia e ad aumentare la pietà.

LA VISIONE TRAGICA DELLA VITA


Un altro aspetto importante del pensiero gorgiano è la concezione tragica del reale. Gorgia sembra ritenere
che l'esistenza sia qualcosa di fondamentalmente il razionale e misterioso. Egli è convinto che le azioni
dell'uomini non siano rette dalla logica e dalla verità, bensì dalle circostanze, dalla menzogna, dalle passioni
e da un ignoto destino, il quale fa sì che l'individui si rivelino sempre, a uno sguardo profondo, determinati e
incolpevoli.
Questo è il probabile significato esistenziale del famoso encomio di Elena, un testo in cui il filosofo prende
le difese di Elena, il personaggio omerico spesso considerato la causa della guerra di Troia. Per Gorgia Elena
e senza colpa, perché la sua volontà fu solo giocata soggiogata e soverchiata da una di queste forze, a cui la
sua psiche non poteva in alcun modo resistere. In realtà esso manifesta significati più profondi e può venir
letto come consapevolezza della fragilità e della nullità umane e come espressione di quel sentimento tragico
dell'esistenza che Gorgia condivide con i tragediografi greci della sua epoca dei quali egli studiò e commentò
le opere più famose.

Secondo Gorgia la vita si basa su un principio di irrazionalità perché dice che nella vita l'uomo tende a usare
una serie di menzogne, una serie di inganni quindi delle giustificazioni. Molte volte, infatti, per trovare delle
giustificazioni, inganna se stesso e inganna anche gli altri per cui la natura dell'uomo è una natura
ingannevole.
Un esempio è Elena (moglie di Menelao) di Troia, il personaggio omerico considerato la causa della guerra
di Troia. Gorgia rovescia il ruolo di Elena dicendo che Elena non ha nessuna colpa sei stata rapita perché la
sua volontà è stata superata dal destino. Precisamente dalla dea dell'amore che aveva già deciso che lei
dovesse innamorarsi di Paride.
Quindi lui ci fa vedere la fragilità di Elena difendendola, ritenendola una donna innocente incapace di poter
cambiare il proprio destino. Le fa un encomio.

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