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INTRODUZIONE

Peter Sloterdijk (Karlsruhe, 1947) è una delle principali figure contemporanee della filosofia
tedesca, scrittore prolifico e poliedrico, riesce nel compito di offrire immagini filosofiche e spunti
originali e di spessore. La sua opera, che in Germania ha richiamato l’attenzione del grande
pubblico fin dal primo volume, la Critica della ragione cinica (Kritik der zynischen Vernunft,
1983), viene definita come uno dei più importanti eventi filosofici del momento, ma arrivata in
Italia trova soltanto un’accoglienza tiepida. Già con la pubblicazione di questo testo Sloterdijk si
distacca dal paradigma accademico consueto, non avendo inoltre mai investito incarichi ufficiali
nell’università tedesca. È però attualmente rettore e professore all’Istituto di desing di Karlsruhe,
uno dei principali centri artistici e filosofici del Sud della Germania. La sua presenza mediatica è
stata scandita dal 2002 al 2012 dal ruolo di conduttore televisivo del programma Das
philosophische Quartett, dove ha invitato e intervistato periodicamente le maggiori personalità
filosofiche del momento.
Cresciuto nella miscela del panorama accademico tedesco delle scienze della cultura
(Kulturwissenschaften)1, il pensiero di Sloterdijk è volutamente anti-sistemico, strutturato in modo
da essere flessibile per evitare stantie contrapposizioni. Le scienze della cultura sono campi di
studio che si pongono l’obiettivo di affrontare la complessità del nostro tempo non tanto rifacendosi
a studi specialistici attorno a determinati autori o problematiche, ma rintracciando un tema urgente
ed utilizzando materiale di diversa natura per indagarlo. Dall’arte cinematografica alla letteratura,
dalla cultura pop alle scienze alla filosofia occidentale e orientale. È tipico dello scienziato della
cultura scrivere utilizzando le diverse, a volte ritenute inconsuete nel campo filosofico, possibilità
narrative e mediatiche offerte dai parametri testuali. Questo è vero in particolare per Sloterdijk, che
al linguaggio filosofico affianca una terminologia creativa, spesso definita provocatoria o caustica,
composta per buona parte da neologismi e revisioni concettuali che trasformano completamente il
senso, come nel caso del dialogo dell’autore con l’opera e la terminologia heideggeriane e
nietzschiane. Grazie a questo tipo di prosa, egli offre alla filosofia una certa vitalità e creatività
capaci di creare nuovi paradigmi per la complessità contemporanea.
Sloterdijk parla di cultural theory e di psicoantropologia, di Antropotecnica e di estetica,
conciliando il tutto in modo omogeneo, permettendo alla filosofia ed alla teoria dei media di
combinarsi, restituendo al lettore, anche non-specialista, la sensazione di aver afferrato il problema.
Il filosofo preferisce parlare dividendo lo svolgimento del suo discorso in molteplici excursus
1
Si rimanda al sito http://www.studiculturali.it/ per una panoramica dei vari settori culturali.
attingendo alla letteratura e alle diverse forme d’arte figurativa. Quest’ultima non è intesa come
qualcosa di omogeneo e fondato, condizione non più realizzabile nella nostra epoca, ma come ciò in
cui può ritrovarsi un atteggiamento auto-analizzante per il lettore «che non si lasci intrappolare nella
“vorace transitività dell’azione produttiva e del pensiero rappresentativo” e dia mostra di sapersi
convertire in una prassi esemplarmente decentrata e oblativa». 2 Sloterdijk sostiene che in ambito
estetico «l’opera d’arte può ancora dire qualcosa perfino a noi, che abbiamo disertato la forma,
perché essa, in maniera del tutto palese, non fa propria l’intenzione di opprimerci».3
All’interno della sua produzione, l’opera più importante, sicuramente la più lunga, che sarà
il fulcro della nostra analisi, è la cosiddetta trilogia Sfere (Sphären), i cui volumi sono
rispettivamente intitolati Bolle (Blasen, 1998), Globi (Globen, 1999) e Schiume (Schäume, 2004). Si
tratta di una trilogia in cui viene ricostruita la storia umana, a partire dal Pleistocene fino ad oggi,
attraverso la questione delle immagini del mondo e della antropotecnica spaziale. I titoli dei volumi
mostrano fin dall’inizio un’attenta sensibilità per le immagini materiali.4 La matrice dell’immagine
è il fondamento del pensiero con cui Sloterdijk sviluppa il suo discorso.
Sloterdijk attinge in diversi modi e tempi a tutta l’esperienza umana e non, contraddistinta,
nel suo aspetto essenziale e più accademico, da una ripresa ed estensione del volume heideggeriano
Essere e Tempo. Sloterdijk quindi si preoccupa prima di tutto di fondare un Essere e Spazio, e di
farlo non solo attingendo alla filosofia, ma anche, ad esempio, alla psico-ontologia di Jung. 5 Il suo
scopo risulta nella presentazione di una filosofia alla ricerca di un fondamento archetipico comune a
tutti gli uomini, valido per tutta la storia dell’Homo Sapiens, intesa come storia degli spazi onto-
tecnici, dai primi sussulti di vita dell’embrione nell’utero materno ai grandi eventi cosmologici,
trasformatori dei luoghi umani ed ora proiettati contro il grande Altro.
Il filosofo di Karlsruhe introduce la sferologia (Sphärologie): lo studio di tutta l’esistenza
umana, (pre-)individuale e collettiva, intesa come forma. Nella sferologia vengono distinte tre aree
di studio, una per ogni volume. La microsferologia (Mikrosphärologie) è lo sviluppo degli spazi
dell’intimità e dell’interiorità, chiamati bolle, ricercati a partire dall’unità originaria (embrione-
grembo materno). Sloterdijk si concentra qui brevemente sul noggetto (Nobjekte), una nuova classe
ontologica di oggetti introdotta dal collega Thomas Macho, per indicare il rapporto mediale e
bipolare che interessa il soggetto non ancora formatosi. Una relazione che va oltre le possibilità di
osservazione fenomenologiche, esplorata attraverso la mistica e la psicologia prenatale, che offre la
2
P. Montanari, Prefazione in P. Sloterdijk, L’Imperativo estetico. Scritti sull’arte, tr. it. di S. Falone, Raffaello Cortina,
Milano, 2017, p. XVII.
3
P. Sloterdijk, Devi cambiare la tua vita, tr. it. di S. Franchini, Raffaello Cortina, Milano, 2010, p. 25.
4
Sulla questione dell’immagine in Sloterdijk, cfr. T. Ariemma, Immagini e Corpi: da Deleuze a Sloterdijk, Aracne, Roma,
2005.
5
Termine con cui Sloterdijk definisce la psicanalisi junghiana. Cfr. P. Sloterdijk, Cosa è successo nel XX secolo?, tr. it. di
M. A. Massimello, Bollati Boringhieri, Torino, 2017, p. 122.
struttura originaria su cui si modellerà poi la costituzione psichica dell’individuo e la sua esistenza
nel mondo.
La macrosferologia (Makrosphärologie) riguarda invece l’espansione dell’unità uterina,
attraverso la tecnica, nello spazio esterno. Le macrosfere risultano quindi delle protezioni
simboliche atte a difendersi dallo spaesante, dal mondo esterno, tratteggiato secondo il modello
heideggeriano. Ne sono simboli le antiche mitologie, la costruzione di città e cinta murarie, o anche
le sfere celesti della metafisica filosofica e teologica d’occidente. Per Sloterdijk quest’ultime sono
delle fenomenologie particolari riconducibili ad una singola sfera uterina, trasformata di volta in
volta nel corso della Storia grazie alla sua proiezione spaziale e alle progressivamente acquisite
capacità antropoteniche.
Infine la sferologia plurale (Plurale Sphärologie), fenomeno osservabile a partire dalla
rivoluzione cosmologica rinascimentale, poi caratteristico dell’epoca post-nietzschiana, che si
configura come la scomposizione delle macrosfere metafisiche in microsfere locali a seguito del
ridimensionamento di senso delle macrosfere religiose e geopolitiche. Il risultato è un
rovesciamento delle singole bolle in schiume, agglomerati di realtà locali individuali e collettive,
comunicanti attraverso rapporti liquidi di scambi simbolici, appartenenti ognuna a visioni del
mondo isolate ed incapaci di autentica comunicazione.

La prerogativa dell’immagine è particolarmente rilevante dato che Sloterdijk, Heidegger e


Nietzsche, parlano e raccontano con immagini non nel senso di metafore o allegorie, ma di realtà
effettive che formano tecnicamente l’esperienza del mondo del soggetto. L’immagine è
incorporazione del reale, nella propria interiorità come nel mondo esterno.

Lo psichismo umano si definisce sulla base della priorità delle rappresentazioni per immagini,
che, caricate di una forte affettività, si propongono immediatamente come artefici del suo
rapporto con il mondo.6

L’autore non ritiene che l’opera d’arte abbia solo valore individuale, patologico o
biografico, ma sia in grado di svelare i mutamenti culturali di un’intera epoca. L’immaginario,
come analizzato ed utilizzato da Sloterdijk, fornisce una chiave di lettura per leggere l’evoluzione
della psiche collettiva nella Storia, ciò che Sloterdijk chiama in diverse istanze psicostoria.

Nel primo capitolo dal titolo Ontologia: l’uomo senza mondo, si intraprenderà un’analisi
parziale della filosofia del XX secolo a partire dall’evento della morte di Dio in Nietzsche, letto
6
J. J. Wunenburger, Filosofia delle immagini, tr. it. di S. Arecco, Einaudi, Torino, p. 94.
attraverso Sloterdijk come fine della simbologia metafisica immunizzante cristiana nei confronti del
gigantesco spazio esterno heideggeriano. L’immaginario dell’epoca è contraddistinto dal fenomeno
del mostruoso, dove non è possibile abitare. Il denominatore della ricerca è segnato dal tentativo,
comune a Sloterdijk, Heidegger e Nietzsche di trovare un modo per recuperare il senso della propria
esistenza nel mondo. Lo scopo di questo percorso è di inquadrare il bisogno culturale che ha
ispirato l’opera sloterdijkiana, e il significato che essa copre con la sua sferologia nel quadro
psicostorico dell’occidente.
Nel secondo capitolo intitolato [[???]], ci si concentrerà sulla ripresa che Sloterdijk opera
della sfera come forma tecnica-immunizzante, prelevata dal linguaggio simbolico, artistico e
religioso, per poter offrire tra la fine secolo scorso e l’inizio del XXI secolo una risposta al
problema dello spaesante heideggeriano. Similmente alla rotondità con cui il soggetto circoscrive il
proprio ambiente, la sfera viene estratta come archetipo in grado di racchiudere e definire lo spazio,
interiore ed esteriore. Per l’autore le qualità protettive simboliche della sfera vengono ad essere una
diretta concettualizzazione della funzione protettiva del simbolo rotondo, così come esso sorge dalla
profondità inconscia. L’uomo riceve l’impressione del rotondo a partire da reminiscenze inconsce
prenatali. Dall’esperienza dell’utero materna si ricava la forma originaria per organizzare l’abitare
umano.
Sloterdijk riprende questa corrispondenza analizzando l’aspetto del transfert, ovvero
l’animazione del mondo dovuta a contenuti psicologici interiori; L’essere umano, per costruire le
proprie dimore, fino ad arrivare alle grandi città e ai grandi sistemi metafisici, proietta ed espande di
volta in volta la sfera materna e le proto-relazioni avute al suo interno. Questo processo è
evidenziato nell’analisi che Sloterdijk fa delle culture antiche e dell’uomo nel periodo che intercorre
tra il Neolitico e il sorgere della filosofia platonica. In quest’epoca pre-metafisica, l’uomo vive
seguendo il mito in un eterno ciclo di nascita e morte dal grembo materno. Infine, nella costruzione
delle grandi megalopoli antiche, si ritroverà un’organizzazione urbana su cui viene proiettata la
simbologia della Grande Madre.

CAPITOLO I
ONTOLOGIA:
L’UOMO SENZA MONDO

Fig. 1 – V. Kandinskij, Alcuni cerchi, 1926. Immagine tratta dalla copertina all’edizione italiana
di P. Sloterdijk, Cosa è successo nel XX secolo?, cit.

“Cosa abbiamo fatto, rilasciando questa Terra dal suo Sole? Dov’è essa presa adesso? Dove siamo
noi stessi presi? Lontani da tutti i soli? Non stiamo incessantemente precipitando? All’indietro, di
lato, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non vaghiamo come attraverso un
infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non fa freddo? Non si sta facendo notte, sempre
più notte?”7
F. Nietzsche, La Gaia Scienza, §125.
I. La fine dei sistemi simbolici di Dio e del Cosmo.
Nella sua introduzione al primo volume di Sfere, Bolle (Blasen, 1998) Sloterdijk cita il
passo in apertura dall’opera nietzschiana 8 per introdurre l’intera area d’azione che verrà a svolgersi
nei tre volumi sferologici. La riflessione dell’autore sullo spazio deriva anzitutto dalla problematica
nietzschiana della morte di Dio e dal tentativo heideggeriano di risanare l’incontro con il mostruoso
a cui l’umanità è stata esposta a partire dal secolo scorso. L’obiettivo è offrire una visione guida per
7
F. Nietzsche, La Gaia Scienza e Idilli di Messina, a cura di G. Colli, tr. it. di F. Masini, Adelphi, Milano, 1977, p. 163.
8
Cfr. P. Sloterdijk, Sfere I. Bolle, tr. it. di G. Bonaiuti, Raffaello Cortina, Milano, 2014, p. 20.
quella che Sloterdijk definisce l’epoca postmetafisica, appunto l’età del mondo che inizia in
Occidente con Nietzsche. Ciò risulta nel carattere del mostruoso, verso cui vengono svolti tra
filosofia e poesia tentativi immaginali per recuperare un rapporto mediatore con la realtà esterna.
Si fanno impellenti fin dall’inizio del Novecento diversi mutamenti nello spirito occidentale, tutti
confluiti nell’esperienza filosofico-poetica di Nietzsche e correlati tra loro: la trasformazione della
metafisica, la morte del Dio cristiano e la sua trasvalutazione e la flebilità della terra intesa come
elemento naturale e dimora umana. La necessità di introdurre l’esposizione sferologica con
Nietzsche risiede nel fatto che per Sloterdijk il filosofo tedesco è l’evento che porta nella filosofia
una «serietà estetica»9, soglia finale per il Moderno, oltre il quale non è più possibile pensare
l’esistenza se non includendola nell’immediatezza di un vivere patico. Nietzsche «sembra ergersi
all’ingresso del XX secolo (in quanto secolo propriamente psicologico) come la statua di un
guardiano dall’aspetto monumentale»10, per cui ogni esperienza filosofica per Sloterdijk d’ora in poi
andrà considerata nella sua accezione estetica e psico-ontologica, attingendo propriamente dalla vita
come Leben. «L’immaginale, a differenza dell’immaginario, troppo legato alle finzioni, designa un
insieme di immagini cariche di valori affettivi (positivi o negativi) che vivono come
rappresentazioni indipendenti dal soggetto e si impongono ad esso come semi-oggetti, e che si
lasciano interiorizzare mediante processi di sensibilità onirica». 11 In Nietzsche, la natura del
pensiero trova compimento nella parola mito-logica, spostando l’asse per la comprensione
filosofico-estetica in una dimensione non esauribile nel discorso dialogico e sistematico
Ed è proprio questo ritorno all’antico che Sloterdijk riprende, perché è attraverso la morte di
Dio che si materializza nella Storia un problema capace di creare una voragine nel tempo presente.
Egli è colui che torna all’Antichità per riscoprirla non in quanto epoca storica, ma in quanto
modalità, ricercando la sospensione narrativa del tempo «su cui poggia la cultura cristiana, sia che
quest’ultimo [tempo] venga presentato come accelerazione finale di natura apocalittica o come
paziente pellegrinaggio nel mondo».12

9
P. Sloterdijk, Caratteri Filosofici, tr. it. di L. Guzzardi, Raffaello Cortina, Milano, 2011, p. 100.
10
P. Sloterdijk, Caratteri Filosofici, cit., p. 100. Per secolo propriamente psicologico, Sloterdijk intende il ‘900 come il
secolo in cui da Nietzsche in poi, e attraverso la psicologia e la psicanalisi, si è ripreso con diverse accezioni il discorso
sull’anima (Seele) e sulla psyché.
11
Cfr. J.-J. Wunenburger, La vita delle immagini, cit., p. 135
12
P. Sloterdijk, Devi cambiare la tua vita, tr. it. di S. Franchini, Raffaello Cortina, Milano, 2010, p. 41.
Fig. 2 – La Terra al centro delle sfere celesti in G.
de Metz, L’Image du monde, copia del XIII secolo,
Bibliotéque nationale de France.

Sloterdijk condivide la chiamata a lasciare sovrastoricamente il tempo presente per volgersi


al di fuori del campo religioso-metafisico, una dinamica che contraddistingue filosoficamente il
passaggio che per Karl Löwith avviene fra l’Idealismo tedesco e Nietzsche. 13 Come è noto, il
problema della trasvalutazione del vecchio ordinamento del mondo viene a coincidere in Nietzsche
nell’Anticristo. Maledizione del cristianesimo (Der Antichrist. Fluch auf das Christentum, 1895), in
cui uno dei perni attorno a cui ruota l’azione è il fatto che il cristianesimo si è così assolutizzato
nelle culture locali da filtrare ogni nuova nascita divina: «quasi duemila anni e non un solo nuovo
dio!».14 Il cristianesimo ha agito con la propria immagine del mondo da collettore dell’immaginario
psichico, racchiudendo nella sfera del proprio immaginario ogni sviluppo autoctono locale 15
(Fig. 2).
Con la crisi della Modernità, avviene un rovesciamento repentino, una svolta in cui l’Intero-
Tutto stesso si capovolge (kehrt sich das Ganze um)16, utilizzando la terminologia heideggeriana;
letteralmente un ripiegarsi su di sé di tutta la consapevolezza e mondità umane, che ne stravolgono
l’immagine del mondo (Weltbild) e l’essere-nel-mondo (In-der-Welt-Sein). Heidegger,
introducendo la questione nel suo saggio L’epoca dell’immagine del mondo (Die Zeit des
Weltbildes, 1938), spiega che «con essa intendiamo il mondo stesso, l’ente nella sua totalità così

13
Cfr. K. Löwith, Da Hegel a Nietzsche, tr. it. di G. Colli, Einaudi, Torino, 2000, p. 301. Il nostro scopo esula dalla
confutazione dell’argomento, che ci limitiamo qui a suggerire.
14
F. Nietzsche, L’Anticristo. Maledizione del Cristianesimo, tr. it. di F. Masini, §19, Adelphi, Milano, 1977, p. 23.
15
Cfr. C. G. Jung, Letters. Vol. I, tr. ing. di R. F. C. Hull, Princeton University Press, Princeton, 1973, pp. 39-40.
16
M. Heidegger, Lettera sull’umanismo, a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano, 1995, p. 52.
come ci si impone nelle sue condizioni e misure». 17 Si tratta dell’insieme di storia e natura contenuti
nel mondo, che formano il gigante, ossia l’insieme psichico di ciò che in una data epoca e spazio è
conosciuto e sconosciuto.

Il gigante è invece ciò attraverso cui il quantitativo si costituisce in una sua propria qualità,
divenendo in tal modo un modo eminente del grande. Ogni epoca storica è non solo di
grandezza diversa rispetto alle altre, ma porta sempre con sé un suo preciso concetto di
grandezza.18

La diversità della grandezza di ogni epoca storica indica per Heidegger il limite della
cosmologia e della consapevolezza del reale che ogni epoca ha stabilito come sua propria visione
del mondo. Quando il gigante viene portato a capovolgersi in qualità dalla sua quantificazione
infinita, ecco che il gigante si rovescia, trasformandosi nell’indefinito e nell’incalcolabile; facendo
da velo alla rappresentazione di ciò che non è ancora noto, oscurando la nostra coscienza.
Finché morfologicamente Dio veniva rappresentato all’interno di una misura simbolica,
seppur immensa, limitata all’icona della sfera, come è avvenuto fino al Rinascimento, Egli
adempiva perfettamente alla sua funzione sferopoietica, di protezione e definizione del mondo
conosciuto. In questo il fattore immaginale di Dio per Sloterdijk è principalmente da considerarsi
nella sua accezione di estensione spaziale. Oltre la sfera divina «il margine più esterno di Dio, o
piuttosto, di quel che c’è al di là del suo margine, è un anello fatto pressocché di nulla o di un nulla
assoluto».19 Dio come sfera che anima lo spazio garantiva l’ordine immaginale all’interno del quale
l’umanità poteva sentirsi al sicuro. Ma «nel momento in cui alla sfera viene conferito l’attributo
dell’infinito, essa muore per la sovratensione nel non chiaro».20
Quando la rappresentazione o il contenuto psichico vengono estremizzati verso una
particolare polarità, in questo caso l’infinito, l’enantiodromia (in pischiatria: il manifestarsi,
specialmente in successione temporale, del principio inconscio opposto) «si verifica quasi
universalmente là dove una direttiva completamente unilaterale domina la vita cosciente» 21. In
termini immaginali vuol dire che nel momento in cui la sfera di Dio viene espansa oltre ogni limite,
questa ricade sotto il suo stesso peso, come un palloncino che viene gonfiato fino ad esplodere.
Ecco che la costruzione metafisica medievale crolla, l’umanità viene esposta al gigantesco
heideggeriano sotto forma di pluralità di mondi infiniti. E dato che l’immagine archetipica di Dio

17
M. Heidegger, L’epoca dell’immagine del mondo, in Sentieri Interrotti, tr. it. di P. Chiodi, La Nuova Italia, Firenze,
1968, p. 87.
18
Ibidem, p. 100.
19
P. Sloterdijk, Sfere II. Globi, tr. it. di S. Rodeschini, Raffaello Cortina, Milano, 2014, p. 453.
20
Ivi, p. 116.
21
C. G. Jung, Dizionario di psicologia analitica, tr. it. di C. L. Musatti – L. Aurigemma, Bollati Boringhieri, Torino, 1977.
Cfr. anche U. Galimberti, Dizionario di Psicologia, UTET, Roma, p. 634.
era la misura della cosmologia cristiana occidentale, la sua attività coinvolse tutta l’immagine
veteroeuropea del mondo.
Nel §125 del terzo libro de La Gaia Scienza (Fröhliche Wissenschaft, 1889), L’uomo
invasato (Der tolle Mensch), la figura col lanternino, annuncia che Dio, la massima sfera che
rivestiva con la sua presenza metafisica la cosmologia del cielo tardo medievale, è caduta. A causa
di questo evento sorge la sua domanda, “Non alita su di noi lo spazio vuoto?”, che per l’europeo
d’inizio secolo è un cataclisma invisibile. L’invasato ammonisce profeticamente che non è ancora il
suo tempo, e che lo spaesante e mostruoso evento (diess ungeheure Ereigniss)22 deve ancora
giungere alle orecchie della Belle Époque. Assorbito dallo spazio urbano della città moderna, dalle
possibilità fornite delle esplorazioni marittime, con annesse conquiste coloniali, l’uomo moderno
non poteva ancora sapere in cosa consisteva lo spaesamento e la mostruosità della morte di Dio.
La Terra, come immagine, elemento fondante e corpo celeste, si perde nei meandri
caratteristici di uno spazio esterno in cui non possono sorgere più immagini del mondo che possano
mediare l’esistenza del soggetto moderno nella propria dimensione spaziale con ciò che è altro da
sé, sempre in qualche forma sconosciuto. Sloterdijk, recuperando Nietzsche, evidenzia la mancanza
di un centro spaziale necessario al Dasein per orientarsi; cosa sarà della massa globalizzata la cui
superficie materiale costituisce l’unica realtà, su cui l’uomo moderno si è adagiato come
fondamento per la propria esistenza? Sarà possibile definire il mondo attraverso altre immagini, per
proteggere l’umano?
Il mostruoso si rivela per Sloterdijk nel momento in cui la realtà non è più animata, ma anzi,
a seguito della forsennata invasione tecnica già professata da Heidegger e da Sloterdijk ripresa, il
dis-velamento del mondo nella modernità «si vede dal fatto che mostrare, svelare, esprimere sotto
forma di linguaggio sono stati presi in carico da un’offensiva sistematica contro la dea Lete».23
Nel suo capitolo L’anima del mondo in agonia ovvero l’emergere del sistema immunitario in Sfere,
Schiume (Schäume, 2004), Sloterdijk spiega come a partire dal XX secolo si renda evidente il
problema dell’ambiente che viene a sostituire la possibilità olistica per ogni essere umano di porsi
in circostanze onnicomprensive nei confronti di un esterno ignoto. Le scoperte scientifiche, la
perdita di potere delle icone, il terrore, sono tutti processi esplicitanti, rendono cioè le società e gli
individui vulnerabili esponendo all’esterno l’esistenza umana. Inizia così il processo chiave del
secolo scorso, «rendere il sistema immunitario esplicito» 24, cioè realizzare che non si può più
includere se stessi in una metafisica formale che garantisca della mia esistenza, ma di volta in volta

22
F. Nietzsche, La gaia scienza, cit., p. 163.
23
P. Sloterdijk, Sfere I, cit., p. 213.
24
P. Sloterdijk, Sfere III, cit., p. 183.
bisogna ritrovare le immagini psichiche per riaffermare se stessi: «è questo ciò che viene introdotto
dall’epoca delle immagini scelte del mondo e delle immagini scelte di sé».25
All’interno del secondo volume di Sfere, Globi (Globen, 1999), Sloterdijk si sofferma, già
dal titolo del suo breve Excursus 5. Sul senso della frase mai pronunciata: la sfera è morta, sul
significato a scoppio ritardato che ha avuto l’inabissamento della sfera di Dio nella storia
dell’occidente, e in particolare nell’episodio appena riportato nella Gaia Scienza. L’uomo invasato
nietzschiano ha ritrovato su di sé l’angoscia, fenomeno che Heidegger caratterizza nel suo Essere e
Tempo (Sein und Zeit, 1927) come preludio di un’apertura allo spaesamento: «nell’angoscia ci si
sente “spaesati”. Qui trova espressione la indeterminatezza tipica di ciò dinanzi a cui l’Esserci si
sente nell’angoscia: il nulla e l’in-nessun-luogo».26 L’angoscia si scatena in un primo momento di
fronte alla realizzazione che il luogo in cui sono è indeterminato e indeterminabile, in termini
moderni, che non ci se ne può fare un’immagine. La modernità per Nietzsche non ha permesso il
rafforzamento dell’interiorità psichica, limitandosi a costruire sovrastrutture e sistemi metafisici di
superficie, che se anche offrivano riparo immediato, non potevano rafforzare la costituzione
psichica del soggetto.27
Per Sloterdijk è proprio nell’interiorità di Nietzsche, ripescata attraverso il simbolo
diogenico dell’uomo con la lanterna, che si consuma la presa di coscienza di uno spazio globale
esposto all’indefinitezza dell’ignoto. In un mondo senza Dio e il trascendente, vengono a mancare
le immagini mediatrici del rapporto tra il soggetto e il mondo esterno.

Sopra e sotto diventano impossibili da distinguere, ciò che sembrava appartenere all’aldilà viene
riassorbito in un ulteriore aldiqua; [...] Si apre un’iper-immanenza sconcertante, nella quale i
discorsi tradizionali sulle trascendenze hanno perso il loro legame con l’andamento del mondo;
[...] Nello spazio iper-immanente domina un intreccio sovraeccitato di dispiegamento della
forza e giri a vuoto.28

L’uomo con la lanterna invece metabolizza la fine di un’immagine del mondo che da
Copernico a Bruno aveva smantellato ogni sfera angelica:

Nel suo stato di sovraeccitazione [l’invasato] fa esperienza del trauma della nascita del Pianeta
esposto, come se fosse il suo; avverte la caduta della Terra da quegli involucri immaginari che
l’avevano protetta all’interno della totalità divina per un periodo di durata millenaria; [...] vive
la mancanza di un rifugio nella forma di una nuda esistenza, come un esser-ci tratto fuori di sé e
fuori dagli involucri.29

25
Ivi, p. 184.
26
M. Heidegger, Essere e Tempo, a cura di F. Volpi, tr. it. di P. Chiodi, Longanesi, Milano, 2015, p. 230.
27
Cfr. F. Nietzche, Sull’utilità e il danno della storia per la vita, tr. it. di S. Giametta, Adelphi, Milano, 1973, p. 32.
28
P. Sloterdijk, Dopo Dio, tr. it. di S. Rodeschini, Raffaello Cortina, Milano, 2018, p. 303.
29
P. Sloterdijk, Sfere II, cit., p. 536.
Questo comporta una rottura della forma teocentrica medievale, che collassa sul soggetto
senza più la garanzia di una provvidenza efficace. La tensione del crollo degli involucri cosmologici
immaginari costringe la psiche dell’uomo a rimediare alla scomparsa delle immagini esterne con le
sue sole forze, «l’immagine del mondo medievale si è sgretolata, e l’autorità metafisica che la
governava si sta dissipando velocemente, solo per ricomparire nell’uomo». 30 Psicodinamicamente,
la disanimazione del mondo preme sulla debole psiche dell’uomo civilizzato, costringendolo a farsi
carico della creazione di nuove forme simboliche per mediare la sua esistenza nel mondo.
Secondo Sloterdijk esiste un filone diretto che lega questa problematica a partire
dall’Illuminismo:

I membri delle civiltà moderne, per molte ragioni, non capiscono bene per quale motivo
debbano continuare a compiere l’operazione metafisica di base dell’umanità passata, ovvero il
raddoppiamento (Verdoppellung) del mondo in “questo mondo” e nel suo aldilà, come se il
processo dell’Illuminismo non avesse mai avuto luogo. Che cos’è, infatti, l’Illuminismo se non
una progressiva eliminazione dell’aldilà, che comincia con la riforma platonica del cielo e
l’illuminazione buddhista del Nirvana e finisce con l’introversione della psicologia del profondo
delle “proiezioni” metafisiche?31

Finché l’uomo poteva vivere una Natura animata da vita psichica, la coscienza non aveva da
temere la nullità e la vuotezza di senso di una realtà ad essa esterna. Il soggetto cioè non era esterno
al mondo o separato da esso, viveva in un tuttuno con la propria dimensione spaziale. Nell’annuncio
dell’uomo nietzschiano, Sloterdijk è concorde nell’affermare che «dopo l’attentato scientifico al
cerchio di protezione [di Dio], anche la magia personale della geometria è spacciata. Gli uomini
sono ormai immanenti soltanto all’esterno».32 È nel momento in cui le proiezioni vengono ritirate
dall’indagine illuminista che per Sloterdijk, crolla completamente la sfera di Dio; il mondo è
demagificato. La collaboratrice di Jung, Marie-Louise von Franz, concentrandosi sul problema
dell’animazione dello spazio da parte delle proiezioni psichiche, scrive:

Dov’era però la psiche, l’Anima mundi (definita da Jung inconscio collettivo o psiche
oggettiva)? Per lo più la sua esistenza fu semplicemente negata, e ciò che rimaneva era l’Io
conscio, sul quale l’Io dei diversi pensatori elaborava le sue teorie: Cartesio lo identifica con la
funzione-pensiero (cogito, ergo sum), altri (Spinoza-Hegel) con l’intuizione. 33

La perdita dell’anima del mondo equivale per Sloterdijk all’emergere del mostruoso; dopo
Dio, o dopo il Cosmo, l’autore lamenta la condizione per cui inizia l’affannosa ricerca ontologica di
un nuovo modo di sopravvivere al mondo.

30
C. G. Jung, Civiltà in transizione.., cit.
31
P. Sloterdijk, Dopo Dio, cit., p. 260.
32
P. Sloterdijk, Sfere II, cit., p. 537.
33
M. L. von Franz, Psiche e Materia, tr. it. di G. A. Vitolo, Bollati Boringhieri, Torino, 1992, p. 122.
Senza un polo trascendente dove ritirarci, risultiamo inseriti nel Mondo Mostruoso. [...] Se non
c’è un Dio costituente, trascendente, solidale con gli uomini, che abbia per noi un qualche piano
particolare, allora il mondo – nel quale siamo e del quale siamo – è un ipermostro che prende
tempo e spazio per portare avanti la propria creazione. 34

Tuttavia vivere nel mostruoso non significa essere automaticamente privi della carica
immaginale delle immagini psichiche. Sloterdijk riconosce che «in tutte le culture evolute
sopravvivono quote residue di immagini del mondo animistiche»35. La capacità immaginativa
dell’uomo permette allora di restaurare un legame psichico con il mondo attraverso l’esposizione di
un senso mitico. Wunenburger riprende nel suo capitolo Il gioco cosmico, «l’immaginario,
attraverso la condotta mitica o il risveglio della fantasticheria, ad esempio, può rappresentare il
medium ineguagliabile per collegare il soggetto al mondo».36 Grazie alle immagini psichiche,
l’uomo può ritrovare un senso al suo essere-nel-mondo. Le tracce delle immagini archetipiche
creano nuovi miti, portano con sé l’affezione psichica e il livello di progresso che l’uomo ha
raggiunto nel ristabilire un legame psicontologico con il reale.

Nel paragrafo intitolato Sull’orizzonte dell’Infinito (Im Horizont des Unendlichen), Nietzsche
riprende, con una tipica immagine della Modernità, lo spirito post-cristiano rovesciatosi nelle
esplorazioni marittime:

Abbiamo abbandonato (verlassen) la Terra e ci siamo imbarcati (gegangen) sulla nave! […]
Abbiamo tagliato i ponti alle nostre spalle – e non è tutto: abbiamo tagliato la terra (Land) dietro
di noi. Ebbene, navicella! Guardati innanzi! Ai tuoi fianchi c’è l’oceano: è vero, non sempre
muggisce, talvolta la sua distesa è come seta e oro e fantastica visione di bontà. Ma verranno
momenti in cui saprai che è infinito e che non c’è niente di più spaventevole dell’infinito. Oh,
quel misero uccello che si è sentito libero e urta ora nelle pareti di questa gabbia! Guai se ti
coglie la nostalgia della terra, come se là ci fosse stata più libertà – e non esiste più “terra”
alcuna!37

Per Sloterdijk questo movimento nautico riprende il parallelo tra spedizione marittima
dell’epoca moderna e ricerca della verità inconscia:

L’“epoca delle scoperte” comprende l’insieme di pratiche attraverso le quali l’ignoto si


trasforma in noto, l’irrapresentato in rappresentato. [...] comprende, di conseguenza, le
campagne di globalizzazione terrestre condotte da quei pionieri che volevano mettere delle
immagini al posto di quelle che fino ad allora erano non-immagini. 38
34
P. Sloterdijk, Dopo Dio, cit., p. 304.
35
Ivi, p. 300.
36
J. J. Wunenburger, La vita delle immagini, cit., p. 115.
37
F. Nietzsche, La Gaia Scienza, cit., p. 162.
38
P. Sloterdijk, Sfere II, cit., p. 838.
Con ciascuna di queste immagini, gli esploratori riportavano a casa la prova che non esisteva
niente di esterno al loro mondo, e che quindi il gigantesco e il mostruoso potevano essere domati.39
È qui che Heidegger recupera dall’Antigone di Sofocle l’Ungeheure, lo spaesante e mostruoso così
come tradusse Hölderlin, perché è allo stesso tempo vasto e indefinito, che è anche inquietante e
dalle molte pieghe, molteplice, come il caos. Volendo brevemente constatare il mostruoso in
Sloterdijk, ed in Heidegger, si è visto che essi considerano il mondo mostruoso perché disanimato.
La disanimazione che crea un mondo oggettivato (si pensi ancora all’epoca delle esplorazioni
marittime, e tutto ciò è connesso, come prima globalizzazione spaziale) per cui l’inquietante indica
ciò che non è ordinario, e di conseguenza chi vi transita è spaesato. Cioè il mondo è inquietante e
mostruoso non soltanto perché le sue proiezioni sono ritirate, ma anche perché non è possibile
ritrovarvi un luogo delimitato e accogliente dove dimorare.
Sloterdijk, in un commento informale riportato da Antonio Lucci, dice: «In fondo tutta la
filosofia del ’900 cos’è, se non questa oscillazione tra la perdita del padre e la sua ricerca?». 40 Dove
la perdita del padre non è soltanto ripresa simbolicamente e teologicamente nel tramonto di Dio;
l’archetipo del Padre consiste nella perdita di un elemento regolatore con l’altrove, una tradizione,
una legge, che faccia da ponte tra l’interno della propria dimensione familiare e il mondo esterno. Il
Padre divino, in quanto metafora, archetipo, simbolo, incorpora tutto il sistema di valori propri del
suo tempo, per cui la crisi del secolo breve si compie pienamente nel segno della transitorietà di un
centro macrostorico che non è più presente.

II. I nuovi modi di abitare attraverso una metafisica tecnica.


Dopo Nietzsche, Sloterdijk vede la nascita di una nuova visione del mondo con il
riferimento a motivi immaginali che raccontano della perdita di Dio. Abbiamo visto che la morte di
Dio per «designa in primo luogo una tragedia morfologica – l’annientamento della sfera
dell’immunità che dà soddisfazione a livello immaginario». 41 Senza il contenitore divino,
l’immaginale occidentale non offre più protezione, dando origine alle fenomenologie del diluvio,
dell’abisso etc.... Ma in questo frangente, continua Sloterdijk, l’archetipo divino non è
semplicemente scomparso dalla psiche collettiva. L’immagine della sfera divina si è trasformata,
rendendosi più mostruosa e ostile, «adesso Dio diviene ciò che non è chiaro, ciò che non è simile,

39
Ivi, p. 839.
40
Cit. in A. Lucci, Per un’acrobatica del pensiero, Aracne, Torino, 2015, p. 23.
41
P. Sloterdijk, Sfere II, cit., p. 115.
senza forma – per la facoltà immaginativa umana un mostro, un non-contenitore, un buco assoluto e
un non motivo»42 (Fig. 3).

Se la divinità viene repressa e sparisce dalle forme visibili, non spariranno i bisogni umani che
l’avevano formulata nella notte dei tempi. Riapparirà però in forme inconsce, quindi inattese,
spesso degenerate o malate.43

Fig. 3 – M. Ernst, L'Angel du foyer, collezione privata, 1937.

Continua imperterrita la realtà, simbolica e non, della marea di sangue che si riversa sul mondo.
Con parole analoghe a quelle di Sloterdijk, Jung scrive: «quando il Dio invecchia, diventa ombra,
nonsenso, e decade».44

Fig. 4 – P. Lastman, Giona e la Balena, Museum Kunstpalast, 1621.

42
Ivi, p. 116.
43
L. Zoja, Psiche, cit., p. 79.
44
C. G. Jung, Il Libro Rosso, cit., p. 50.
L’immagine di Dio ora si perde nelle raffigurazioni delle forze elementari che scuotono il
mondo, il suo inabissamento riporta alla coscienza grandi mostri animali (Fig. 4).
L’imago Dei, essendo legata indissolubilmente al senso del Sé nell’uomo, nel caso in cui sia avvolta
da una qualche indefinitezza, causa una dolorosa influenza sull’inconscio umano. Questa azione è
ancora più incisiva nel caso di archetipi collettivi come Dio.

«Caos significa innanzi tutto lo sbadiglio, uno spacco che si spalanca, l’aperto, già prima
aprentesi, in cui tutto è inghiottito».45 Il caos è il meramente confuso, il più antico rispetto a ciò che
lo precede, e allo stesso tempo il più nuovo rispetto a ciò che ne segue. Di fronte a questo apparente
paradosso, si erge la necessità di una legge: «come possono stare insieme chaos e nomos (legge)?»,
chiede Heidegger.46 Ecco perché Sloterdijk parla di un Dio mostruoso. Riordinare la topologia
mondiale significa ridefinire la visione del mondo in cui Dio è degradato nelle sue parti simboliche,
ossia integrare un nuovo grande spazio globale al livello della coscienza. «[…] la balena, in quanto
abitatrice del mare, è in genere il simbolo dell’inconscio divoratore».47
Viene descritta una fenomenologia dell’inghiottimento del mondo e dell’uomo da parte di forze
(animali) inconsce che degradano man mano dalle immagini antropomorfe del ventre e utero
materni. Sloterdijk descrive questo nuovo ordinamento nel suo volume Schiume come

esplicitazione dello spazio aereo mediante il terrore del gas, dell’aviazione, dell’air design e
dell’air conditioning – questo complesso costituisce la quintessenza delle procedure [...] che,
nella loro somma politica, producono quel che si definisce “la supremazia aerea” o “il controllo
dello spazio nella terza dimensione”.48

La trasformazione dell’immagine del mondo globale si arricchisce del nuovo elemento aereo,
simboleggiato dalle realissime conquiste tecniche nell’aeronautica (e non solo, ovviamente). Il
mondo che prima era composto solo da spazialità orizzontali, e che aveva relegato la dimensione
verticale alla metafisica, adesso integra nella sua sfera anche il cielo e il pensiero atmosferico.
Chiaramente tale avvenimento non riguarda solo l’evoluzione della sfera tecnica, ma si ripercuote
nella psiche collettiva in guisa di un fenomeno immaginale, simbolico.
La sfera aerea si manifesta nelle telecomunicazioni delle onde radio, dei satelliti e di internet
come un nuovo spirito divino, al punto che Marshall McLuhan, ripreso da Sloterdijk 49, affermerà:
«La simultaneità elettrica dei movimenti delle informazioni produce la sfera complessiva e

45
M. Heidegger, La poesia di Hölderlin, tr. it. di. L. Amoroso, Adelphi, Milano, 1988, p. 77.
46
Ivi, p. 76.
47
C. G. Jung, Tipi psicologici, cit., p. 292.
48
P. Sloterdijk, Sfere III, cit., p. 476.
49
P. Sloterdijk, Sfere III, tr. it. di S. Rodeschini, Raffaello Cortina, Milano, 2015, p. 14.
oscillante dello spazio uditivo, il cui centro è ovunque e la cui estensione non è in nessun luogo» 50,
citando il parallelo assunto rinascimentale ripreso da Niccolò Cusano per cui «Dio è una sfera il cui
centro è ovunque e la circonferenza in nessun luogo» 51. Sostituendo al Dio cristiano la rete
telematica, definita da Sloterdijk nuova anima del mondo nell’età della tecnica. l’autore vede in ciò
una rinnovata metafisica tecnica dal carattere teologico:

La modernità consegue la verticalità in modo completamente diverso rispetto all’epoca


metafisica del mondo. Lo sguardo dall’esterno non si ottiene con la trascendenza dell’anima
verso il sovraterreno, ma con la facoltà immaginativa tecnico-fisica, aero- e astronautica. [...] Le
moderne idee di volo sostituiscono quelle antiche e medievali di “elevazione”; l’aeroporto-Terra
(da cui si decolla e su cui si atterra) ha sostituito la divina assunzione in cielo della Terra. 52

Ossia, attraverso la tecnica, l’uomo moderno si rapporta al divino attraverso fenomenologie


tecnologiche che hanno in parte sostituito la vecchia simbologia angelica e trascendente.
Risuona il passo Sullo Spirito di Gravità dello Zarathustra di Nietzsche, «colui che un giorno
insegnerà il volo agli uomini, avrà spostato tutte le pietre di confine».53 Attraverso le possibilità
tecniche, l’essere umano non è più legato alla terra e può ascendere ad una nuova visione universale
del mondo, che inevitabilmente retroagisce sulla sua psiche. In questo senso Sloterdijk parla del XX
secolo come del secolo della passione antigravitazionale54, e della sua opera sferologica, soprattutto
nel terzo volume, come del tentativo di alleggerire e contrastare la pesantezza delle ontologie
precedenti, che hanno visto l’uomo come essere manchevole e costretto al suolo.55
Mentre per Heidegger tutto ciò che travalica il sicuro perimetro della terra travalica il mondo,
quindi sfocia nella profondità angosciante dell’essere-senza-mondo, per Sloterdijk, nell’epoca
dell’aria, il mostruoso si estende. Nei primi lanci di sonde spaziali ad opera dell’aeronautica
americana (o a partire da uno qualunque delle migliaia di avvenimenti tecnicamente sconvolgenti
che si sono susseguiti senza sosta dagli anni del dopo guerra) che permettono di ottenere,
letteralmente, punto archimedeo al di fuori del mondo globalizzato, troviamo il compimento del
processo di entificazione del mondo, già iniziato, come ricorda l’autore, a partire dalla rivoluzione
copernicana e dall’epoca delle esplorazioni navali.

Il satellite Lunar Orbiter I, lanciato il 10 agosto del 1966 con lo scopo di riprendere la superficie
lunare per studiarne possibili punti di atterraggio per le missioni Apollo, riporta alla base la prima
fotografia mai scattata del nostro pianeta dallo spazio (Fig.5).
50
M. McLuhan, Wohin steuert die Welt?, Europa, Toronto-Wien, 1978, p.81.
51
P. Sloterdijk, Sfere II, cit., p. 427.
52
P. Sloterdijk, Sfere II, cit., p. 751.
53
F. Nietzsche, Così parlò..., cit., p. 234.
54
Cfr. P. Sloterdijk, Che cosa è successo nel XX secolo?, tr. it. di M. A. Massimello, Bollati Boringhieri, Torino, 2016, p.
84.
55
Cfr. P. Sloterdijk, Sfere III, cit., p. 637. Similmente, l’antigravitazione riprende la verticalità che si svolge nella
dinamica dell’esercizio e dell’ascesi come pratica di vita.
Fig. 5 – Lunar Orbiter I, Prima immagine della Terra vista dalla
Luna, Archivio digitale NASA, 23 agosto 1966.

L’uomo ora può vedere il globo terracqueo come qualsiasi altro oggetto mondano; «[...] non
esiste più “terra” alcuna!»56, lamentava Nietzsche. Lo spazio esterno si fa per la filosofia di
Sloterdijk manifestazione fisica e immagine tangibile dalla possibilità tecnica che racchiude la
nostra esistenza. Pure nota Sloterdijk, sono lontani i giorni in cui le stelle erano il placido velo della
Vergine57, che ricopre con un manto rasserenante i limiti del cielo. Nell’intervista rilasciata allo
Spiegel nel settembre dello stesso anno del lancio della sonda americana, a proposito della
fotografia dal satellite, Heidegger commenta:

Non so se Lei sia spaventato, in ogni caso io lo sono stato quando ho visto le fotografie della
Terra scattate dalla Luna. Non c’è bisogno della bomba atomica. Lo sradicamento dell’uomo
dalla Terra è già in atto. Tutto ciò che resta è una questione puramente tecnica. Non è più la
Terra quella su cui l’uomo oggi vive.58

La prima immagine del pianeta terrestre riduce la mondità a semplice fenomeno variabile
della realtà universale. La sfera terrestre non è altro che un globo minacciato e inghiottito
dall’oscurità, su cui l’uomo non può addirittura più permettersi di dimorare. Così si compie la
demondizzazione nell’epoca dell’aria. Questa nuova verticalità per la filosofia heideggeriana fa
paura, sembra tradursi in un richiamo all’impotenza esistenziale. Qui invece Sloterdijk trova qui i
nuovi germi di una metafisica trasfigurata:

56
F. Nietzsche, La gaia scienza, cit., p. 125.
57
Cfr. P. Sloterdijk, Sfere II, cit., p. 886; «Sul versante di bordo, la religione cristiana fornì impulso e rifugio sotto
l’onnipresente egida della figura protettiva della Vergine Maria, quella regina maris, [...] la grande madre del
navigatore, colei che salva e intercede in caso di pericolo di vita e di naufragio».
58
M. Heidegger, Ormai solo un Dio ci può salvare, tr. it di A. Marini, Guanda, Parma, 2011, p. 134.
Il viaggio spaziale ha trovato la soluzione più elegante all’annoso problema della metafisica:
scioglie l’enigma della discontinuità ontologica tra il Sopra e il Sotto, ponendo un continuum tra
l’essere-nel-mondo-1 e l’essere-nel-mondo-2. 59

Esaminiamo brevemente queste nuove diciture. Scopertasi la volta celeste, abbandonata dalla
vecchia immagine cosmologica di Dio, Sloterdijk conviene che il Dasein non può essere più inteso
come relegato a un solo mondo, non può cioè continuare a realizzarsi esclusivamente sulla
superficie del nostro pianeta. Contemporaneamente la metafisica tradizionale non è più un altrove
trascendentale, ma uno spazio aereo (ma anche virtuale, mediatico, informatico) navigabile con i
mezzi della tecnica. Ciò che prima era segnato da un’esistenza ultraterrena nel dualismo corpo-
anima identificato come metafisico, ora è possibilità d’immanenza posta nell’ambiente mediatico-
spaziale. Con un colpo di mano appena accennato, presentato solo ora nel suo pensiero, Sloterdijk
getta in questa breve riflessione sulla possibilità di esistere in spazi virtuali attraverso i mezzi
informatici.60
Se l’essere-nel-mondo si è ampliato su altri fronti, è necessario trovare una coordinata
immaginale-simbolica che definisca la nostra presenza. Per Sloterdijk, risanare il nostro Dasein vuol
dire ripercorrere l’origine dell’uomo partendo dalle immagini della nostra interiorità, in cui si
ritrova la prima sfera che tutti abitiamo, l’utero materno, la realtà primigenia che ricerchiamo nei
nostri insediamenti architettonici e nelle nostre visioni del mondo.

59
P. Sloterdijk, Cosa è successo nel XX secolo?, cit., p. 146.
60
Sloterdijk non sviluppa ulteriormente questa posizione, non specificando se la dualità dell’Esserci-1 e dell’Esserci-2
vada intesa come una dualità compiuta in sé tra Terra e spazio extraterrestre, o come una numerazione
potenzialmente espandibile di altri Esser-ci (per esempio Esserci-3, Esserci-4, etc.) in base ad ogni singolo habitat,
reale o virtuale.

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