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Capita troppo spesso che, malgrado un reale interesse per la qualità percepita dai pazienti,
laddove questi dati sono raccolti restino sconosciuti a chi lavora sul campo a stretto contatto
con i pazienti o poco utilizzati e discussi criticamente e che la loro utilizzabilità possa essere
pregiudicata dal livello di analisi spesso focalizzata sulle organizzazioni a livello macro,
anziché sulle unità elementari di erogazione dell’assistenza. Fino a quando il professionista
non riuscirà ad indossare “gli occhiali del paziente” non riuscirà ad offrire un’assistenza che
sia davvero di qualità.
• Indagini sui servizi di ricovero ospedaliero, ambulatoriale, del pronto soccorso, dei
servizi per la salute mentale e materna[a];
• Indagini sull’assistenza erogata dai medici di famiglia[b];
• Indagini rivolte ai pazienti oncologici[c];
• Rilevazione dei patient reported outcome, con cui si misurano gli outcome percepiti di
quattro procedure chirurgiche elettive (sostituzione dell’anca e del ginocchio, chirurgia
delle vene varicose e ernia inguinale), alle quali se ne aggiungeranno delle altre nei
prossimi mesi[d];
• Friends and Family Test (FFT)[e].
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Qualità percepita dai pazienti. A cosa servono i dati? | 2
Il Friends and Family Test (FFT) è l’ultima di una serie di iniziative, forse ancora poco
noto oltre manica. È diventato obbligatorio nel 2013 per tutti gli ospedali e i servizi che
erogano cure materne, e prevede la somministrazione a tutti i pazienti, e non ad un
campione come in buona parte degli esempi citati nel Box 1, di una domanda semplice, che
misura quello che tutti noi chiameremmo il “passaparola”: “Quanto saresti disposto a
consigliare il nostro servizio ad amici o parenti nel caso in cui avessero bisogno di cure o
trattamenti simili?”. Ai pazienti è chiesto inoltre di commentare, in uno spazio apposito, la
propria esperienza con il servizio. Il paziente risponde compilando una cartolina postale, un
questionario ad hoc o questionari più ampi già somministrati dalle strutture nei quali è stato
integrato il FFT. Le metodologie di rilevazione sono dunque molteplici e scelte a discrezione
dal provider. Il programma sarà ben presto esteso, infatti dal 2015, a chiunque accederà ad
uno qualsiasi dei servizi sanitari erogati dall’NHS sarà chiesto di compilare una versione
leggermente modificata del FFT. Sebbene questa grande attenzione all’esperienza che i
pazienti hanno con i servizi sanitari renda merito all’NHS, Coulter e colleghi, sono molto
preoccupati che tale attenzione possa essere vana nel momento in cui il grande
lavoro speso nella raccolta dei dati non trovi poi un seguito in termini di utilizzo
degli stessi per migliorare la qualità dell’assistenza, come chiaramente comunica il
titolo del loro ultimo articolo pubblicato su BMJ: “Collecting data on patient experience is
not enough: they must be used to improve care”[1]. Se questo titolo può inizialmente
risultare provocatorio per un Paese che per anni ha tenuto accesi i riflettori sui pazienti,
promuovendone la partecipazione, anche attraverso le stesse indagini, la lettura
approfondita dell’articolo apre invece una serie di riflessioni molto utili per tutti, inglesi e
non. Viviamo in un’epoca in cui il valore delle informazioni può essere a volte inestimabile, e
la corsa alla raccolta dei dati è per le aziende produttrici di beni e servizi indispensabile per
conoscere i propri consumatori, e quelli potenziali, al fine di rendere disponibili sul mercato
prodotti/soluzioni in grado di soddisfare sempre più i loro bisogni, mantenendo o
guadagnando quote di mercato. In sanità conoscere i livelli di soddisfazione e l’esperienza
dei pazienti è da tempo considerato un modo per misurare la qualità dell’assistenza, lo
stesso Donabedian[2] definiva più di trent’anni fa la soddisfazione dei pazienti, insieme allo
stato di salute, un outcome dell’assistenza e quindi una declinazione del concetto
multidimensionale della qualità. Eppure capita ancora troppo spesso, non solo in
Inghilterra, che, malgrado un reale interesse per la qualità percepita dai pazienti,
laddove questi dati sono raccolti, restino sconosciuti a chi lavora sul campo a
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Qualità percepita dai pazienti. A cosa servono i dati? | 3
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imprintig operativo. Lavorare al fianco dei professionisti e sperimentare con loro diverse
soluzioni di raccolta e utilizzo dei dati può rappresentare infatti una soluzione efficace al
problema. Un esempio a cui tendono lo sguardo gli inglesi è l’Agency for Healthcare
Research and Quality statunitense che dal 1995 porta avanti il programma Consumer
Assessment of Healthcare Providers and Systems (CAHPS) e che dopo un primo decennio
dedicato a sviluppare le metodologie e gli strumenti di reporting, negli ultimi anni sta
dedicando enfasi al processo di utilizzo dei dati come base per il miglioramento della
qualità. Cosa ci insegna questa esperienza? A chi apprezza ancora poco o per niente il
valore dei feedback dei pazienti la scuola inglese fa sapere che sicuramente che non è più
possibile farne a meno, se davvero l’obiettivo dei servizi sanitari deve essere quello di
rispondere appieno ai bisogni dei pazienti/utenti. Non ha alcun valore un’assistenza che si
dichiari patient-centered se poi l’esperienza dei pazienti è tutt’altro che positiva. Per i
pochi che dedicano risorse umane ed economiche alla conduzione di survey, il
messaggio è chiaro: la raccolta dei feedback produce valore in termini di
miglioramento della qualità se frutto di una strategia condivisa tra policymaker,
manager e professionisti, se condotte sistematicamente e secondo metodo, e
soprattutto se i risultati sono messi a disposizione e discussi con chi lavora sul
campo. Fino a quando il professionista non riuscirà ad indossare “gli occhiali del
paziente” non riuscirà ad offrire un’assistenza che sia davvero di qualità, e di
conseguenza ad essere pienamente soddisfatto del proprio lavoro. Anna Maria
Murante. Scuola Superiore S. Anna, Laboratorio Management e Sanità. Pisa. Bibliografia
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