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L02a
Verso la diversità di genere e
l’inclusione in medicina: falsi miti e
soluzioni
Da THE LANCET 9 febbraio 2919
traduzione italiana e adattamento a cura di Mara D’Arcangelo (PROTEO)
Verso la diversità di genere e l’inclusione in ambito medico: miti e soluzioni
La presenza di donne in ambito scientifico e medico ha visto un lento incremento nel corso
degli scorsi decenni. Tuttavia l’aumento della percentuale di donne e di diversità di genere non ha
trovato corrispondenza in un aumento delle pratiche di inclusione di genere. Nonostante i numeri
crescenti le donne incontrano ancora pregiudizi e discriminazioni rispetto agli uomini in questi
campi. Dal trattamento ricevuto all’università e al lavoro, alle modalità di assunzione, al compenso,
alle valutazioni e alle promozioni. Pregiudizi individuali e sistemici creano degli ambienti poco acco-
glienti per le donne, specialmente per quelle che appartengono anche ad altri gruppi tradizional-
mente svalutati (per es. donne di colore). Questa analisi è il risultato di decenni di ricerche nel campo
del management e discipline affini per identificare cinque miti che continuano a perpetuare pregiu-
dizi di genere e cinque strategie che permettono di migliorare non solo il numero di donne impe-
gnate in campo medico, ma anche le loro esperienze di vita, le loro aspirazioni, le loro attitudini e
comportamenti per dar vita a interventi più comprensivi che vadano ad affrontare cambiamenti
strategici e sistemici.
Introduzione
Il 2017 è stato l’anno in cui per la prima volta nella storia il numero di donne iscritte alle scuole
di medicina statunitensi ha superato quello degli uomini. Nel momento in cui questo storico gruppo
di donne studentesse di medicina entra all’interno del personale medico che tipo di ambiente in-
contra? Nonostante i numeri da record di donne che si impegnano nei campi di scienza, tecnologia,
ingegneria, matematica e medicina, le donne continuano essere in una posizione di svantaggio, a
subire discriminazioni, violenza di genere nella propria vita privata e professionale, una realtà che
troppo spesso si amplifica nel caso di donne di colore, o appartenente a classi socioeconomiche
basse, o in età avanzata, o di donne che non si identificano come eterosessuali, o sono disabili, o
appartengono a gruppi tradizionalmente svalutati. In ambito medico queste iniquità si manifestano
giornalmente attraverso episodi di sessismo, che include battute sessiste in classe, aggressioni ses-
suali da parte di medici, dei professori o dei pazienti; lettere di raccomandazioni meno incisive per
le domande alle scuole di medicina; salari inferiori rispetto ai colleghi uomini, indirizzamento verso
aree della medicina meno remunerative come la medicina di base; oltre che una più bassa probabi-
lità di essere interpellata con il titolo della propria professione rispetto al collega uomo. Se è vero
che assistiamo a un progressivo aumento dei numeri di donne, manca invece un aumento di diver-
sità di genere che sia un vero progresso verso il miglioramento del senso di appartenenza e inclu-
sione delle donne nell’ambiente lavorativo.
Lo scollamento tra diversità e inclusione è un ostacolo non solo in ambito medico. L’incapacità
di vedere il problema al di là del mero numero di donne in un determinato campo accade in diversi
ambiti professionali e accademici. In questa analisi mostriamo una panoramica derivante da decenni
di ricerca sul tema della diversità e dell’inclusione nei campi del management e delle discipline affi-
liate tra cui la psicologia, la sociologia e l’economia per proporre strategie che migliorino non sol-
tanto la quantità di donne in ambito medico, ma anche le loro esperienze di vita, le aspirazioni, le
opportunità di successo. Riconosciamo che gran parte del lavoro svolto è stato fatto in Europa e in
nord America e quindi potrebbe non essere applicabile ad altri contesti. Inoltre ogni intervento per
essere efficace dovrebbe essere adattato non solo alle culture e alle leggi di un Paese, ma anche alle
specifiche organizzazioni e dipartimenti in cui questi interventi devono essere fatti. Di conseguenza
le soluzioni proposte in questa analisi non possono essere considerate princìpi generali fissi e indi-
scutibili, ma piuttosto come suggestioni di partenza per creare programmi di cambiamento ad hoc.
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Iniziamo con lo sfatare cinque miti che si incontrano facilmente quando vengono esaminate le pra-
tiche di diversità e inclusione e concludiamo presentando cinque soluzioni supportate da un lavoro
di ricerca che mirano a portare avanti il concetto di equità di genere.
Mito n° 2: il modo più efficace di controllare i pregiudizi è controllare come le persone pensano
La maggior parte degli sforzi messi a punto all’interno delle organizzazioni per minimizzare i
pregiudizi si è focalizzata sul controllo o il tentativo di eradicare i pregiudizi che esistono nelle nostre
teste. Gli allenamenti relativi ai bias impliciti sono un esempio calzante. Fare test per individuare
1
Il bias è una forma di distorsione della valutazione causata dal pregiudizio. La mappa mentale di una persona pre-
senta bias laddove è condizionata da concetti preesistenti non necessariamente connessi tra loro da legami logici e
validi. [da Wikipedia]
2
bias impliciti tramite il Implicit Association Test (IAT) è diventato una pratica molto comune e diffusa
insieme all’allenamento sulle diversità. Nonostante i milioni di dollari investiti per somministrare
questo test e allenare le persone ad agire senza pregiudizi, sono scarsi i dati scientifici che ne dimo-
strano la validità. Spesso questi allenamenti alla diversità (specialmente se estemporanei e senza
altri interventi a livello sistemico) hanno fatto scaturire conseguenze inattese e controproducenti.
Si è visto come tali allenamenti siano associati a una ridotta diversità all’interno dell’organizzazione,
un comportamento peggiore nei confronti dei colleghi appartenenti a minoranze e la creazione di
un’illusione di trasparenza che non permette a chi denuncia di essere stato discriminato di essere
preso sul serio. Istruire le persone a evitare l’utilizzo di stereotipi può paradossalmente portare
all’aumento dell’utilizzo di questi stereotipi; così come i tentativi di aumentare la consapevolezza
nei confronti della diffusione degli stereotipi può paradossalmente normalizzare lo stereotipo e la
discriminazione. Eradicare questi pregiudizi umani innati è difficile se non impossibile. Nonostante
educare le persone all’esistenza di questi bias e a come riconoscerli sia un primo importante passo,
è necessario andare oltre e creare sistemi e ambienti in cui i pregiudizi e le credenze fallaci abbiano
meno spazio per insorgere o non abbiano possibilità di degenerare in discriminazioni.
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Dovremmo anche riconoscere che non potremo conquistare uno stato di equità e uguaglianza
all’interno delle organizzazioni se non ci sarà un tale processo anche all’interno della vita delle per-
sone fuori dal contesto lavorativo. Le inuguaglianze strutturali delle nostre società devono cam-
biare. Gli interventi che andiamo ora a elencare si focalizzano su un solo aspetto del processo di
conquista della parità di genere in medicina, ma si tratta proprio dell’aspetto su cui la maggior parte
dei professionisti della medicina può avere controllo.
2
Un business case descrive il ragionamento su cui si basa l’avvio di un progetto o di un'attività. Spesso viene presen-
tato in forma di documento scritto e ben strutturato, ma talvolta può prendere la forma di una presentazione o di un
semplice accordo verbale. La logica del business case è che ogni volta che si consumano risorse economiche, materiali
o immateriali, ciò dovrebbe avvenire in supporto di una specifica necessità aziendale. [da Wikipedia]
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Soluzione 2: cambiare le regole istituzionali
Le norme sono modelli convenzionali di comportamento che sono considerati accettabili
all’interno di un gruppo. Le persone appartenenti alle più disparate identità di genere faticano ad
adeguarsi a queste norme di genere (per es: ci si aspetta che le donne siano gentili e accomodanti;
ci si aspetta che gli uomini siano competenti e forti). Queste norme sociali hanno una potente in-
fluenza sul nostro comportamento. Il risultato è che le donne vengono indirizzate a specialità di
medicina più comuni (per es medicina di famiglia) e gli uomini vengano invece indirizzati verso spe-
cialità di medicina “d’azione” (per es chirurgia). Nel tempo queste regole hanno effetti importanti
in altri ambiti oltre a quello comportamentale. Dato che la medicina di famiglia per esempio è sem-
pre più in mano a medici donne, il divario retributivo tra i medici di base e quelli con altre specialità
è cresciuto considerevolmente. Fortunatamente le teorie sull’influenza sociale delle norme sugge-
risce che se tutti all’interno di un’organizzazione sembrano dare valore alla diversità, noi stessi ci
sentiamo più stimolati ad agire secondo lo stesso principio. Al contrario se attitudini pregiudizievoli
o l’attivazione di comportamenti discriminatori (come nell’ambito della così detta cultura chirurgica
dell’uomo di ferro) divengono normativi e normalizzati, questo tipo di pratiche saranno integrate
all’interno dell’ambiente sociale. Ovviamente grande impatto in questo senso l’hanno i leader
dell’organizzazione: il comportamento di coloro che stanno ai vertici ha un’importante influenza sui
sottoposti, quindi attraverso le modalità di comunicazione scelte e il proprio comportamento coloro
che hanno posizioni di potere devono mostrare un impegno in prima persona nell’inclusione della
diversità.
Soluzione 3: creare una cultura nella quale le persone si sentano responsabili del cambiamento
Una delle ragioni principali per cui i programmi di formazione sulla diversità si dimostrano
spesso fallimentari è che cercano di mettere in discussione il senso di autonomia, di autodetermi-
nazione e di controllo delle persone. Così come l’umanità è intrinsecamente portata a creare bias,
siamo anche intrinsecamente portati a ricercare l’autonomia e quindi tendiamo a rifuggire tutte le
iniziative che sentiamo come forzate. Le persone reagiscono negativamente alla percezione di co-
strizioni e programmi di formazione coercitivi possono avere esiti nefasti e rendere le organizzazioni
meno inclusive. I tre programmi di formazione più comune degli ultimi 30 anni hanno portato a una
diminuzione della rappresentanza di donne bianche, nere e ispaniche così come a una diminuzione
della rappresentanza di uomini e donne asiatici. Risultati migliori invece sono stati ottenuti da pro-
grammi di formazione che investivano sul bisogno di autonomia delle persone, che incentivavano i
contatti tra i diversi gruppi, incoraggiavano l’impegno personale e includevano tutti i membri dell’or-
ganizzazione invece che solo quelli che erano parte del gruppo a cui era rivolto l’intervento. Coin-
volgere le persone in maniera significativa nel cambiamento dell’organizzazione può favorire un’at-
titudine più propositiva e positiva nei confronti del processo di inclusione.
Conclusioni
I risultati delle ricerche disponibili sono chiari: decenni di politiche e bilioni di dollari spesi per
tentare di cambiare i singoli individui non sono riusciti a portare una parità di genere. Abbiamo fatto
dei progressi (anche se non omogenei all’interno dei diversi Paesi e dei diversi ambiti lavorativi) per
quanto riguarda il numero delle donne che entrano e lavorano in ambito medico, ma il vero pro-
gresso e l’inclusione rimangono obiettivi sfuggevoli. Comprendendo meglio come funzionano i bias
cognitivi e sfatando i miti che ci hanno zavorrato per molto tempo, possiamo rivolgere la nostra
attenzione e le nostre risorse verso interventi strutturali e sistemici che hanno più possibilità di ri-
velarsi vincenti.
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