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PROTEO BERGAMO

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Medicina e salute di genere

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(dal 4 ottobre al 31 dicembre 2021)

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Responsabile scientifico dott.ssa Patrizia Fistesmaire

L02a
Verso la diversità di genere e
l’inclusione in medicina: falsi miti e
soluzioni
Da THE LANCET 9 febbraio 2919
traduzione italiana e adattamento a cura di Mara D’Arcangelo (PROTEO)
Verso la diversità di genere e l’inclusione in ambito medico: miti e soluzioni

Di Sonia K Kang, Sarah Kaplan

La presenza di donne in ambito scientifico e medico ha visto un lento incremento nel corso
degli scorsi decenni. Tuttavia l’aumento della percentuale di donne e di diversità di genere non ha
trovato corrispondenza in un aumento delle pratiche di inclusione di genere. Nonostante i numeri
crescenti le donne incontrano ancora pregiudizi e discriminazioni rispetto agli uomini in questi
campi. Dal trattamento ricevuto all’università e al lavoro, alle modalità di assunzione, al compenso,
alle valutazioni e alle promozioni. Pregiudizi individuali e sistemici creano degli ambienti poco acco-
glienti per le donne, specialmente per quelle che appartengono anche ad altri gruppi tradizional-
mente svalutati (per es. donne di colore). Questa analisi è il risultato di decenni di ricerche nel campo
del management e discipline affini per identificare cinque miti che continuano a perpetuare pregiu-
dizi di genere e cinque strategie che permettono di migliorare non solo il numero di donne impe-
gnate in campo medico, ma anche le loro esperienze di vita, le loro aspirazioni, le loro attitudini e
comportamenti per dar vita a interventi più comprensivi che vadano ad affrontare cambiamenti
strategici e sistemici.

Introduzione
Il 2017 è stato l’anno in cui per la prima volta nella storia il numero di donne iscritte alle scuole
di medicina statunitensi ha superato quello degli uomini. Nel momento in cui questo storico gruppo
di donne studentesse di medicina entra all’interno del personale medico che tipo di ambiente in-
contra? Nonostante i numeri da record di donne che si impegnano nei campi di scienza, tecnologia,
ingegneria, matematica e medicina, le donne continuano essere in una posizione di svantaggio, a
subire discriminazioni, violenza di genere nella propria vita privata e professionale, una realtà che
troppo spesso si amplifica nel caso di donne di colore, o appartenente a classi socioeconomiche
basse, o in età avanzata, o di donne che non si identificano come eterosessuali, o sono disabili, o
appartengono a gruppi tradizionalmente svalutati. In ambito medico queste iniquità si manifestano
giornalmente attraverso episodi di sessismo, che include battute sessiste in classe, aggressioni ses-
suali da parte di medici, dei professori o dei pazienti; lettere di raccomandazioni meno incisive per
le domande alle scuole di medicina; salari inferiori rispetto ai colleghi uomini, indirizzamento verso
aree della medicina meno remunerative come la medicina di base; oltre che una più bassa probabi-
lità di essere interpellata con il titolo della propria professione rispetto al collega uomo. Se è vero
che assistiamo a un progressivo aumento dei numeri di donne, manca invece un aumento di diver-
sità di genere che sia un vero progresso verso il miglioramento del senso di appartenenza e inclu-
sione delle donne nell’ambiente lavorativo.
Lo scollamento tra diversità e inclusione è un ostacolo non solo in ambito medico. L’incapacità
di vedere il problema al di là del mero numero di donne in un determinato campo accade in diversi
ambiti professionali e accademici. In questa analisi mostriamo una panoramica derivante da decenni
di ricerca sul tema della diversità e dell’inclusione nei campi del management e delle discipline affi-
liate tra cui la psicologia, la sociologia e l’economia per proporre strategie che migliorino non sol-
tanto la quantità di donne in ambito medico, ma anche le loro esperienze di vita, le aspirazioni, le
opportunità di successo. Riconosciamo che gran parte del lavoro svolto è stato fatto in Europa e in
nord America e quindi potrebbe non essere applicabile ad altri contesti. Inoltre ogni intervento per
essere efficace dovrebbe essere adattato non solo alle culture e alle leggi di un Paese, ma anche alle
specifiche organizzazioni e dipartimenti in cui questi interventi devono essere fatti. Di conseguenza
le soluzioni proposte in questa analisi non possono essere considerate princìpi generali fissi e indi-
scutibili, ma piuttosto come suggestioni di partenza per creare programmi di cambiamento ad hoc.
1
Iniziamo con lo sfatare cinque miti che si incontrano facilmente quando vengono esaminate le pra-
tiche di diversità e inclusione e concludiamo presentando cinque soluzioni supportate da un lavoro
di ricerca che mirano a portare avanti il concetto di equità di genere.

Cinque miti sulla diversità e sull’inclusione


Le politiche e pratiche di diversità e inclusione sono sempre più comuni nelle varie organizza-
zioni. Trovare un’organizzazione o un’istituzione che non abbia una dichiarazione scritta che sotto-
linei l’impegno preso per garantire la diversità all’interno della stessa è ormai cosa rara, e bilioni di
dollari vengono utilizzati ogni anno per aumentare la rappresentanza di donne e di minoranze all’in-
terno di organizzazioni, aziende, istituzioni. Per dar vita a cambiamenti duraturi e per evitare che
l’attuale attenzione sul tema della diversità e dell’inclusione diventi solo un’altra inefficace moda
passeggera è importante assicurarsi che gli sforzi intrapresi si basino su dati scientifici e non su miti
e credenze che invece rischiano di perpetuare il problema che vorrebbero risolvere. I cinque
miti discussi in questa analisi sono spesso legati tra loro o in conflitto tra loro, ma rappresentano i
pregiudizi più comuni (ma inaccurati) che le persone hanno su come si possa raggiungere la
diversità e l’inclusione.

Mito n° 1: sono gli altri ad avere pregiudizi, non io


Il primo mito da sfatare è l’idea che l’avere pregiudizi sia un problema che riguarda solo poche
persone: per esempio i razzisti, i sessisti e in generale i bigotti. Tuttavia le ricerche sul cervello umano
e su come interagisce e ricava senso rispetto a quello che lo circonda mostrano che non solo tutti
noi abbiamo pregiudizi, ma anche che i pregiudizi sono necessari per sopravvivere. I bias 1 cognitivi
e le interpretazioni sono scorciatoie che ci permettono di interagire in maniera significativa con per-
sone, oggetti e compiti senza esasperare le nostre risorse e capacità di attenzione nel decifrare ogni
singolo segnale sensoriale. Ogni qualvolta si incontra una persona, per esempio, il cervello si impe-
gna in una serie di calcoli per interpretare la rilevanza di quella persona per te inserendola all’interno
di una determinata categoria sociale. I primi calcoli automatici che il nostro cervello mette in atto
riguardano l’età, l’etnia e il genere. A causa di questo primato percettivo, la categoria “genere” ha
cominciato a influenzare il nostro modo di vedere il mondo; è un bias implicito o inconscio che fa da
base alla creazione di stereotipi, aspettative e norme sociali. La categorizzazione sociale è una parte
inevitabile della nostra esperienza percettiva, al punto che gli stereotipi che assumiamo nei con-
fronti dei diversi gruppi sociali vanno ad alterare la nostra percezione dei, e la nostra reazione ai,
membri individuali del gruppo. Inoltre quando si tratta di svalutare il contributo di donne all’interno
di strutture prettamente mascolinizzate, le donne possono essere tanto prevenute quanto gli uo-
mini, a dimostrazione del fatto che persone con identità di genere diverse possono comunque per-
petrare pregiudizi di genere all’interno delle organizzazioni. Rifiutare l’idea che siano solo alcune
persone ad avere pregiudizi è un primo passo cruciale verso l’impegno personale nei confronti del
problema della discriminazione e quindi del possibile cambiamento.

Mito n° 2: il modo più efficace di controllare i pregiudizi è controllare come le persone pensano
La maggior parte degli sforzi messi a punto all’interno delle organizzazioni per minimizzare i
pregiudizi si è focalizzata sul controllo o il tentativo di eradicare i pregiudizi che esistono nelle nostre
teste. Gli allenamenti relativi ai bias impliciti sono un esempio calzante. Fare test per individuare

1
Il bias è una forma di distorsione della valutazione causata dal pregiudizio. La mappa mentale di una persona pre-
senta bias laddove è condizionata da concetti preesistenti non necessariamente connessi tra loro da legami logici e
validi. [da Wikipedia]
2
bias impliciti tramite il Implicit Association Test (IAT) è diventato una pratica molto comune e diffusa
insieme all’allenamento sulle diversità. Nonostante i milioni di dollari investiti per somministrare
questo test e allenare le persone ad agire senza pregiudizi, sono scarsi i dati scientifici che ne dimo-
strano la validità. Spesso questi allenamenti alla diversità (specialmente se estemporanei e senza
altri interventi a livello sistemico) hanno fatto scaturire conseguenze inattese e controproducenti.
Si è visto come tali allenamenti siano associati a una ridotta diversità all’interno dell’organizzazione,
un comportamento peggiore nei confronti dei colleghi appartenenti a minoranze e la creazione di
un’illusione di trasparenza che non permette a chi denuncia di essere stato discriminato di essere
preso sul serio. Istruire le persone a evitare l’utilizzo di stereotipi può paradossalmente portare
all’aumento dell’utilizzo di questi stereotipi; così come i tentativi di aumentare la consapevolezza
nei confronti della diffusione degli stereotipi può paradossalmente normalizzare lo stereotipo e la
discriminazione. Eradicare questi pregiudizi umani innati è difficile se non impossibile. Nonostante
educare le persone all’esistenza di questi bias e a come riconoscerli sia un primo importante passo,
è necessario andare oltre e creare sistemi e ambienti in cui i pregiudizi e le credenze fallaci abbiano
meno spazio per insorgere o non abbiano possibilità di degenerare in discriminazioni.

Mito n° 3: la sotto-rappresentanza delle donne è un problema di mancanza di competenze


La rappresentanza di donne all’interno di vari campi scientifico-tecnologici e in ambito medico
sta lentamente crescendo con percentuali diverse a seconda del settore e della nazione. Se analiz-
ziamo le ricerche sullo sviluppo e la psicologia del bambino notiamo come le bambine hanno per-
formance uguali o migliori dei bambini nelle materie scientifiche e affermano di essere interessate
a perseguire delle carriere in questi ambiti. Il vero problema è rappresentato dalla pressione sociale
che spinge le donne a non perseguire questi intenti iniziali. Le ricerche mostrano come la discrimi-
nazione nei confronti delle donne esiste a ogni stadio della vita professionale, dalla selezione, alle
raccomandazioni, alla valutazione, alla promozione, alla formazione fino al salario. Queste discrimi-
nazioni sono spesso esacerbate nei confronti delle donne di colore o nei confronti di coloro che
hanno altre identità intersezionali tradizionalmente svalutate. Alle donne è conferito meno rispetto
e uno status inferiore, esperiscono una maggiore ostilità e aggressioni sul posto di lavoro, sono pu-
nite in modo spropositato rispetto all’entità dei loro errori, e si fanno carico di più elevate quantità
di lavoro invisibile e privo di compenso, specialmente a livello psicologico ed emotivo. Spesso si
afferma che le donne scelgono di rinunciare a certi tipi di carriera e accettare ruoli ridimensionati a
causa della maternità. Tuttavia le ricerche suggeriscono come gli effetti di questo “svantaggio” do-
vuto alla maternità siano strutturali a dinamiche di carattere discriminatorio. Inoltre se la questione
della maternità spiegasse per intero la sotto-rappresentanza delle donne negli ambiti scientifici e in
medicina, allora non si osserverebbe anche una sotto-rappresentanza di uomini di colore, cosa che
invece osserviamo. Quindi non è una questione di mancanza di competenze delle donne in ambito
medico-scientifico, ma si tratta piuttosto di un insieme di fattori socio-culturali che le spingono a
lasciare le strade intraprese.

Mito n° 4: promuovere la diversità sfavorisce la meritocrazia


Una delle principali affermazioni che viene portata avanti da chi rifiuta le pratiche rivolte a
favorire l’inclusione della diversità è che l’organizzazione deve essere meritocratica. La tesi è che se
le donne fossero qualificate al pari degli uomini, sarebbero ugualmente assunte e promosse e che
qualsiasi iniziativa volta ad aggiustare il disequilibrio di genere andrebbe a compromettere la qualità
totale dell’organizzazione. Tuttavia numerose ricerche mostrano come le nostre così dette merito-
crazie non sono affatto così meritocratiche. Diversi studi sottolineano che l’essere donna è di per sé
un fattore che porta a una svalutazione della candidata: nell’esame di curricula identici in cui
3
differisce solo il nome, un “Brian” ha più possibilità di essere assunto di una “Karen”; lo stesso suc-
cede nell’analisi dei business plan delle start-up in cui cambia solo la voce narrante del video di
presentazione del progetto: una voce maschile viene valutata il doppio rispetto a una voce femmi-
nile e di conseguenza il progetto si presenta come più degno di investimenti. Le candidate al dotto-
rato devono essere 2,5 volte più produttive della media dei candidati maschi per essere selezionate.
Quindi, a ben vedere, bias impliciti sembra che permettano all’attuale sistema meritocratico di igno-
rare molte donne competenti e altri validi membri di minoranze.

Mito n° 5: dobbiamo aggiustare le donne


Molti progetti volti a affrontare l’ineguaglianza di genere all’interno delle organizzazioni si fo-
calizzano su ciò che viene chiamato l’“aggiustare le donne”, insegnando loro alcune competenze
come mettersi in gioco, negoziare meglio, stare dritte, adottare posture che indicano una posizione
di potere, parlare di più durante le riunioni e essere più assertive, solo per citarne alcune. Nono-
stante non si possa generalizzare molte di queste soluzioni sono esse stesse basate su pregiudizi: si
cerca di insegnare alle donne ad agire “da uomini” perché le azioni degli uomini sono valutate meglio
e sono percepite come l’unico modo corretto per avere successo. Ciò viene trascurato è che questo
approccio non è altro che l’altra faccia di ciò di cui le donne spesso fanno esperienza quando si
trovano ad avere a che fare con questi comportamenti. Donne competenti con potere d’azione
spesso si ritrovano a essere accusate di violare le aspettative di donna “accogliente” e “carina nei
modi”. Le ricerche mostrano anche come le donne vengano redarguite più severamente degli uo-
mini per i loro errori o fallimenti e che, a loro volta, questi effetti negativi possono avere un’influenza
nefasta sulla percezione di altre colleghe donne. In conclusione tutti i tentativi di “aggiustare le
donne” continueranno a essere controproducenti all’interno di un sistema che è intrinsecamente
fazioso.

Cinque soluzioni per conquistare l’uguaglianza di genere in ambito medico


Andiamo ora a prendere in esame una serie di suggestioni basate su ricerche nel campo del
management per migliorare l’esperienza professionale delle donne in campo medico. Questa ricerca
mostra come intervenire a livello del singolo individuo sia difficile, forse impossibile e che i tentativi
di alterare il comportamento degli individui non sembrano essere stati efficaci in mancanza di una
strategia sistemica. L’introduzione e l’applicazione di stereotipi e di altri pregiudizi è più frequente
durante periodi di stress (per es. quando si ha poco tempo, quando si ha un’alta richiesta di proces-
sare informazioni, quando si è sotto pressione). Di conseguenza non c’è terreno migliore per il pro-
liferare di bias dell’ambito medico, dove le richieste sono elevate, le risorse a disposizione possono
essere poche, e la pressione di dover prendere la decisione giusta in poco tempo travolgente. In
queste condizioni il cambiamento individuale deve essere integrato all’interno di una struttura
creata per permettere un progresso effettivo. Le ricerche gestionali sulla professione medica hanno
mostrato come i medici operanti spesso interpretano male o trascurano importanti segnali nei mo-
menti di crisi, a supporto dell’idea che educare a riconoscere i bias e cercare di controllare i pregiu-
dizi non è sufficiente. Sappiamo inoltre che delle linee guida comportamentali possono essere stru-
menti efficaci per i medici e per gli altri operatori sanitari per superare abitudini e bias. Di conse-
guenza riteniamo che il campo medico sia particolarmente adatto a interventi che mirino a un cam-
biamento di tipo sistemico basato sull’equità e evidenziamo cinque potenziali soluzioni in questo
contesto. Queste soluzioni sono un punto di partenza per rinnovare e potenziare strategie esistenti
che prendano in considerazione i bisogni e i limiti dei diversi contesti (nazionali, regionali, dei reparti,
delle organizzazioni).

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Dovremmo anche riconoscere che non potremo conquistare uno stato di equità e uguaglianza
all’interno delle organizzazioni se non ci sarà un tale processo anche all’interno della vita delle per-
sone fuori dal contesto lavorativo. Le inuguaglianze strutturali delle nostre società devono cam-
biare. Gli interventi che andiamo ora a elencare si focalizzano su un solo aspetto del processo di
conquista della parità di genere in medicina, ma si tratta proprio dell’aspetto su cui la maggior parte
dei professionisti della medicina può avere controllo.

Soluzione 1: considerare la parità di genere come una sfida per l’innovazione


L’approccio generale di un percorso verso la parità di genere e verso il concetto di diversità
trova spesso le proprie radici all’interno di valori e attitudini. Per giustificare l’esigenza di una parità
tra i generi spesso si fa ricorso ai così detti business case2, focalizzandosi su come la parità, la diver-
sità e l’inclusione siano economicamente produttive, invece di concepirle semplicemente come la
cosa giusta da fare. Invece di agire per trovare soluzioni pratiche questo tipo di discussioni sulla
parità di genere arrivano a un punto morto quando si cerca di definire la natura del problema e si
cerca di determinare se sia necessario risolverlo o meno. Inoltre questo tipo di frammentazione del
discorso rischia di avere esiti infruttuosi. Per progredire nella conquista di una parità di genere, do-
vremmo discutere se e perché la parità non debba sussistere.
Partendo da qui, all’interno di contesti dove ciò è possibile (per. es partendo da contesti dove
persino il riconoscere che la parità di genere sia un diritto umano essenziale risulta una sfida ancora
aperta), possiamo rivolgere i nostri sforzi verso l’innovazione e la sperimentazione. Come per qual-
siasi altra iniziativa all’interno di un’organizzazione la parità di genere deve essere perseguita con
una prospettiva aperta e un metodo scientifico oltre che con la volontà di sperimentare e calibrare
i risultati. Dato che la sfida di raggiungere una parità di genere è complessa e multifaccettata, oc-
corre essere pronti alla possibilità di fallire e di dover pertanto cambiare tattica; occorre anche ope-
rare con trasparenza e riportate i dati suggeriti dai tentativi effettuati in modo tale da non abbassare
le aspettative rispetto alla riuscita degli obiettivi di cambiamento preposti. Le soluzioni più promet-
tenti sono forse quelle relative a cambiamenti comportamentali e sistemici che si concentrano sulla
creazione del clima giusto per l’innestarsi del cambiamento, un approccio ampiamente supportato
dalla così detta “teoria della spintarella” (l’idea di identificare modalità facili ed economiche per
cambiare i comportamenti delle persone strutturando le loro scelte), invece di focalizzarsi sul cam-
biamento di attitudini e valori individuali. Le culture del lavoro inclusivo sono quelle che creano un
ambiente sociale positivo per le persone appartenenti a tutti i generi e le identità e può essere col-
tivato attraverso alcune pratiche quali la rappresentanza di donne e persone non binarie nei ruoli di
potere, utilizzando foto gender-inclusive e i pronomi necessari nelle comunicazioni ufficiali dell’or-
ganizzazione oltre che adottando partiche di valutazione anonime che minimizzino la possibilità di
bias eliminando indizi quali i nomi e i pronomi. Detto ciò non ci sono soluzioni pronte all’uso e un
cambiamento reale si avrà solo dopo numerose sperimentazioni, un impegno costante, coraggio e
determinazione. Inoltre così come dovremmo pensare a delle soluzioni per raggiungere la parità tra
i generi, dovremmo anche aggiornare la nostra idea di genere ed espanderla al di là della tradizio-
nale concezione binaria maschile e femminile, così da includere un ventaglio di possibilità identitarie
sempre più ampio.

2
Un business case descrive il ragionamento su cui si basa l’avvio di un progetto o di un'attività. Spesso viene presen-
tato in forma di documento scritto e ben strutturato, ma talvolta può prendere la forma di una presentazione o di un
semplice accordo verbale. La logica del business case è che ogni volta che si consumano risorse economiche, materiali
o immateriali, ciò dovrebbe avvenire in supporto di una specifica necessità aziendale. [da Wikipedia]
5
Soluzione 2: cambiare le regole istituzionali
Le norme sono modelli convenzionali di comportamento che sono considerati accettabili
all’interno di un gruppo. Le persone appartenenti alle più disparate identità di genere faticano ad
adeguarsi a queste norme di genere (per es: ci si aspetta che le donne siano gentili e accomodanti;
ci si aspetta che gli uomini siano competenti e forti). Queste norme sociali hanno una potente in-
fluenza sul nostro comportamento. Il risultato è che le donne vengono indirizzate a specialità di
medicina più comuni (per es medicina di famiglia) e gli uomini vengano invece indirizzati verso spe-
cialità di medicina “d’azione” (per es chirurgia). Nel tempo queste regole hanno effetti importanti
in altri ambiti oltre a quello comportamentale. Dato che la medicina di famiglia per esempio è sem-
pre più in mano a medici donne, il divario retributivo tra i medici di base e quelli con altre specialità
è cresciuto considerevolmente. Fortunatamente le teorie sull’influenza sociale delle norme sugge-
risce che se tutti all’interno di un’organizzazione sembrano dare valore alla diversità, noi stessi ci
sentiamo più stimolati ad agire secondo lo stesso principio. Al contrario se attitudini pregiudizievoli
o l’attivazione di comportamenti discriminatori (come nell’ambito della così detta cultura chirurgica
dell’uomo di ferro) divengono normativi e normalizzati, questo tipo di pratiche saranno integrate
all’interno dell’ambiente sociale. Ovviamente grande impatto in questo senso l’hanno i leader
dell’organizzazione: il comportamento di coloro che stanno ai vertici ha un’importante influenza sui
sottoposti, quindi attraverso le modalità di comunicazione scelte e il proprio comportamento coloro
che hanno posizioni di potere devono mostrare un impegno in prima persona nell’inclusione della
diversità.

Soluzione 3: creare una cultura nella quale le persone si sentano responsabili del cambiamento
Una delle ragioni principali per cui i programmi di formazione sulla diversità si dimostrano
spesso fallimentari è che cercano di mettere in discussione il senso di autonomia, di autodetermi-
nazione e di controllo delle persone. Così come l’umanità è intrinsecamente portata a creare bias,
siamo anche intrinsecamente portati a ricercare l’autonomia e quindi tendiamo a rifuggire tutte le
iniziative che sentiamo come forzate. Le persone reagiscono negativamente alla percezione di co-
strizioni e programmi di formazione coercitivi possono avere esiti nefasti e rendere le organizzazioni
meno inclusive. I tre programmi di formazione più comune degli ultimi 30 anni hanno portato a una
diminuzione della rappresentanza di donne bianche, nere e ispaniche così come a una diminuzione
della rappresentanza di uomini e donne asiatici. Risultati migliori invece sono stati ottenuti da pro-
grammi di formazione che investivano sul bisogno di autonomia delle persone, che incentivavano i
contatti tra i diversi gruppi, incoraggiavano l’impegno personale e includevano tutti i membri dell’or-
ganizzazione invece che solo quelli che erano parte del gruppo a cui era rivolto l’intervento. Coin-
volgere le persone in maniera significativa nel cambiamento dell’organizzazione può favorire un’at-
titudine più propositiva e positiva nei confronti del processo di inclusione.

Soluzione 4: implementare linee guida comportamentali e piani d’azione


Spesso si fa fatica a tradurre i propri obiettivi in azioni. A questo problema si può rimediare
attraverso un tipo di pianificazione chiamata “implementazione delle intenzioni”, la quale connette
situazioni di prevedibile difficoltà a risposte che mirano a degli obiettivi predeterminati (per es:
“ogni volta che si presenta la situazione x, introdurrò la risposta y che mi porta al tale obiettivo”).
Questo tipo di sistema è già piuttosto diffuso in ambiente medico (per es: il tal sistema di codici
collega specifiche situazioni ad altrettanto specifiche risposte). Per progredire verso l’obiettivo di
una parità di genere un suggerimento può essere quello di dare maggiore enfasi a linee guida com-
portamentali piuttosto che attitudinali in modo tale da promuovere diversità e inclusione. Per esem-
pio, consideriamo ciò che potrebbe succedere se un ospedale decidesse di combattere i pregiudizi
6
di genere nella fase di reclutamento di un nuovo operatore medico. Un primo passo potrebbe essere
quello di delineare in maniera chiara l’obiettivo e la motivazione che porta al voler raggiungere tale
obiettivo. Qui è dove si fermano la maggior parte dei programmi di promozione della diversità. Le
persone rimangono quindi con una serie astratta di valori e obiettivi, ma senza alcun piano di azione
per raggiungerli né tantomeno indicazioni su come il progresso debba essere misurato e il traguardo
identificato, passaggi essenziali di un planning efficace. Talvolta alcuni obiettivi o affermazioni
astratte si sono dimostrati fallimentari e hanno finito per danneggiare l’organizzazione invece di
agevolarla.
Per passare da piani astratti all’azione e evitare conseguenze non volute, le organizzazioni de-
vono tracciare i passaggi chiari e specifici che verranno intrapresi per mettere in atto i propri valori
e obiettivi e specificare gli indicatori che saranno usati per misurare il successo oltre a prendere in
considerazione i possibili ostacoli che si possono interporre al cambiamento comportamentale del
singolo individuo. Nel caso del/la candidato/a medico alcune di queste linee guida potrebbero com-
prendere: assicurarsi che almeno un terzo del comitato che si occupa della selezione del personale
siano donne, con l’obiettivo che si possa essere in una situazione di totale parità all’interno del co-
mitato nei successivi tre anni; assicurarsi che vengano utilizzate solo domande standardizzate e col-
loqui aventi la medesima struttura, usando come indicatore di successo il significativo aumento sta-
tistico dell’assunzione di donne nei tre anni successivi. Senza linee guida comportamentali specifi-
che che modellino le pratiche, diversità e inclusione non riescono a concretizzarsi in azioni ma ri-
mangono solo nel campo astratto dei valori e degli obiettivi.

Soluzione 5: rendere l’organizzazione affidabile per promuovere il cambiamento


Così come il cambiamento individuale deve essere integrato all’interno di strutture organizza-
tive di supporto, anche gli sforzi dell’organizzazione devono essere integrati all’interno di sistemi
più ampi che supportino e monitorino il progresso verso gli obiettivi di diversità e inclusione. Linee
guida che aiutino a rendere affidabili individui, gruppi e organizzazioni e indirizzarli al cambiamento
possono avere un ruolo importante nel misurare e tracciare il progresso nella direzione di importanti
obiettivi e segnalare l’importanza dell’iniziativa intrapresa. La massima che dice che “ciò che è mi-
surato è già per metà fatto” può essere applicata alle iniziative volte a promuovere la diversità così
come a tutte le altre iniziative che un’organizzazione vuole intraprendere. Senza un’azione traspa-
rente e la rilevazione dei dati è difficile monitorare se tempo e risorse sono impiegate in modo effi-
ciente o vengono solo sprecate. Tuttavia per evitare contraccolpi relativi alla minaccia dell’autono-
mia individuale, l’affidabilità dell’organizzazione deve essere costruita empaticamente e ammettere
la possibilità di un fallimento. Fallire è parte del processo di sperimentazione e imparare dagli errori
ci permette di raffinare, ridisegnare e ritestare. Integrare le iniziative dell’organizzazione con piani
di azione promossi da comitati volti a promuovere la diversità hanno mostrato di essere efficaci nel
promuovere e sostenere la diversità a lungo termine.

Conclusioni
I risultati delle ricerche disponibili sono chiari: decenni di politiche e bilioni di dollari spesi per
tentare di cambiare i singoli individui non sono riusciti a portare una parità di genere. Abbiamo fatto
dei progressi (anche se non omogenei all’interno dei diversi Paesi e dei diversi ambiti lavorativi) per
quanto riguarda il numero delle donne che entrano e lavorano in ambito medico, ma il vero pro-
gresso e l’inclusione rimangono obiettivi sfuggevoli. Comprendendo meglio come funzionano i bias
cognitivi e sfatando i miti che ci hanno zavorrato per molto tempo, possiamo rivolgere la nostra
attenzione e le nostre risorse verso interventi strutturali e sistemici che hanno più possibilità di ri-
velarsi vincenti.
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