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Un accademico impaziente

Studi in onore di Glauco Sanga

a cura di
Gianluca Ligi, Giovanni Pedrini, Franca Tamisari

Edizioni dell’Orso
Alessandria
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Copyright by Edizioni dell’Orso s.r.l.
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(francesca.cattina@gmail.com)

Grafica della copertina a cura di Paolo Ferrero


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compresa la fotocopia, anche a uso interno e didattico. L’illecito sarà penalmente persegui-
bile a norma dell’art. 171 della Legge n. 633 del 22.04.41

ISBN 978-88-6274-878-0
Fotografia di Anna Sanga.
Indice

PresentazioneXIII

Sezione di Antropologia culturale

Gianfranco Bonesso
Migrazioni, culture e pensiero delle istituzioni3

Valentina Bonifacio
Da cacciatori-raccoglitori a operai: sul lavoro in fabbrica della po-
polazione indigena di Puerto Casado, Paraguay15

Nadia Breda
Sassi, acque ed umani. Contributo dell’etnografia ad un’etica post-­
umana  29

Donatella Cozzi
Mostra la lingua! Ovvero idee, immagini e problemi intorno alla rea-
lizzazione di una mostra sulla lingua friulana per il Centenario della
Società Filologica Friulana (2019)41

Sabina Crippa
Classificazione del reale e tradizioni normative. Incontro tra discipli-
ne: etnolinguistica e storia delle religioni53

Sergio Dalla Bernardina


La sindrome di Jean de Florette (ai margini del «folklore progressivo»)65

Dario Di Rosa
L’antropologia degli ufficiali coloniali nel Territorio di Papua, 1908-
1945. Un ritratto di gruppo75

Gianni Dore
Linguistica e etiopistica. Le lettere di Leo Reinisch a Carlo Conti
Rossini (1894-1914)89
XXVIII INDICE

Enrico Giorgis
Una schedatura pericolosa101

Giovanni Kezich
In cerca della Giubiana, in cerca del Ginée: i roghi sacrificali di fine
gennaio  105

Gianluca Ligi
La renna in Lapponia: ecologia, mitologia, magia125

Alessandro Minelli
I nomi degli animali e gli animali senza nome139

Giovanni Pedrini
Gli spiriti liberi delle steppe. Società nomadi e pastorali in Asia
Centrale  151

Gianfranca Ranisio
I mestieri tradizionali dell’artigianato napoletano: tra arte e tecnica,
linguaggi settoriali ed espressività popolare171

Francesco Remotti
Antropo-poiesi e comportamento mimetico183

Paolo Scarpi
Nel labirinto della rete: percorsi vegetariani ovvero ricette verso la
perfezione  195

Elisabetta Silvestrini
Gustavo Cottino. Una vita da impresario e imbonitore205

Italo Sordi
Il mulino delle vecchie. Divagazioni su un tema carnevalesco215

Franca Tamisari
Sentire la legge. Le canzoni yolngu della Terra di Arnhem nordorien-
tale, Australia233

Francesco Vallerani
Acque sorgive tra valori ambientali e idrofilia: il caso del fiume Sile
nel Veneto Centrale247

Pier Paolo Viazzo


Tre fasi nella storia dell’antropologia alpina261
INDICE XXIX

Sezione di Linguistica

Fabio Aprea – Patrizia Bertini Malgarini – Ugo Vignuzzi


Il Lazio (esclusa Roma) nella “Guida gastronomica d’Italia” del
T.C.I. (1931) 277

Serenella Baggio
Alternative al questionario. Inchieste nei campi di prigionia della
prima guerra mondiale291

Emanuele Banfi
Semantizzazioni della nozione di ‘enigma’: tra Occidente greco-lati-
no ed Estremo Oriente sino-giapponese305

Attilio Bartoli Langeli – Giacomo Bertonati


Due, non una. Le lettere di Ghezo Griffoli a Vanni Salimbeni (1310 e
1314)  313

Sandro Bianconi
«Svizzero o Italiano come si vuole». Aree linguistiche e confini politici345

Giovanni Bonfadini
Nasalizzazione e denasalizzazione vocalica nei dialetti del Garda
orientale 361

Rita Caprini
Il nome taciuto377

Franco Crevatin
Note di lettura: 1. Una stele d’epoca tarda 2. Un unguento sacro383

Andrea Fassò
Note filologiche389

Giorgio Graffi
Linguistica marrista, linguistica marxista e linguistica materialista401

Maria Lieber – Christoph Oliver Mayer


Alla scoperta di un caso particolare di transfer culturale: Martin Lu-
tero e la circolazione delle sue idee in Italia e in Francia415

Marco Mancini
Capitoli di grafemica altomedioevale: l’onomastica alfabetica e i
trattati de litteris 425
XXX INDICE

Ilaria Micheli
La tradizione orale come campo di ricerca utile allo studio della sto-
ria, della lingua e della cultura dei cacciatori raccoglitori. Un caso
di studio africano495

Giovanni Ruffino
Il lessico venatorio in Sicilia. Proposte per un vocabolario-atlante509

Andrea Scala
A proposito di un processo specifico della morfologia gergale: la de-
rivazione di nomi mediante il suffisso -oso523

Domenico Silvestri
Primissime forme di scritture brevi: dai pittogrammi “metonimici”
protosumerici alle scritture plurilingui ittite535

Tullio Telmon
Il pesce vaffanculo, dalla realtà alla leggenda e ritorno545

John Trumper
Menta and Mentha aquatica L.: a possible solution to a long-term
problem  559

Edward Fowler Tuttle


Contro la deriva: Grammatiche complesse in comunità chiuse573

Sezione di Storia e Archeologia

Paolo Biagi – Renato Nisbet


Archeologia della pastorizia dei Vlah di Samarina (Macedonia Occi-
dentale, Grecia)581

Michele Cangiani
Il «posto dell’economia» nella società: note sul metodo comparativo595

Alessandro Casellato
Tra la terra e il web. Piccola etnografia dei nostri studenti607

Stefano Gasparri
Ratchis Hidebohrit: duca, re, monaco (e santo)619
INDICE XXXI

Mario Isnenghi
‘Una concezione mitica di se stessi’. Ripassando i classici con il
“Corriere della Sera”631

Gherardo Ortalli
Per un’antropologia del barattiere. La prospettiva padovana641

Giorgio Politi
Cremona (in)fedelissima. Possibili motivazioni d’una scelta di fede649
PAOLO BIAGI – RENATO NISBET
(Università Ca’ Foscari Venezia)

Archeologia della pastorizia dei Vlah di Samarina


(Macedonia Occidentale, Grecia)

1. Introduzione

Oltre mezzo secolo fa l’incontro di Eric Higgs, uno degli eminenti archeologi britan-
nici del secondo dopoguerra, con alcune comunità Vlah dell’Epiro «contribuì non poco
a sollevare l’interesse dei preistorici per la pastorizia transumante» (Halstead 1991, 62)
e fu l’occasione per inaugurare nuovi indirizzi nell’indagine archeologica territoriale
(site catchment analysis) (Higgs e Vita-Finzi 1966). Successivamente numerosi inter-
venti di etnoarcheologia sono stati condotti in questa regione, anche in un contesto so-
praregionale (Nandris 1985, 1990, 1991; Sivignon 1968; Chang e Tourtellotte 1993).
Nel quadro articolato del pastoralismo della Grecia in generale (Gkoltsiou 2011;
Hadjigeorgiou 2011), i Vlah hanno sempre giocato un ruolo importante sia da un
punto di vista storico (Koukoudis 2003; Curta 2016) sia da quello della specificità
dei territori di loro precipuo interesse, le montagne in particolare e, fra queste, la
catena del Pindo (Stuart 1868; Chang 1999).
In questo lavoro vengono presi in esame alcuni aspetti del pastoralismo (vedi
Cribb 1991: 17) delle comunità Vlah (o Vlach o Aromani) dei dintorni di Samarina,
la cui origine è tuttora molto discussa, per quanto riguarda sia la loro provenienza,
sia la cronologia dei primi insediamenti, come del resto è in tutti i Balcani meridio-
nali (Balamaci 1991; Nandriş 1994; Ljupco 2009; Motta 2011; Kocój 2016).
Samarina è un villaggio molto isolato nelle montagne del Pindo settentrionale,
ubicato a 1450 m di altezza, circondato da montagne che raggiungono i 2600 m
(Smolikas) (Wace e Thompson 1914). Tra il XVIII e il XIX secolo fu un centro di
notevole attività culturale, con un famosa scuola di pittura, tre chiese e un mona-
stero (Koukoudis 2003). I versanti sono stati intensamente utilizzati per la pasto-
rizia, e da lungo tempo disseminati di strutture stagionali (in greco: stani) per la
stabulazione, la mungitura e il ricovero dei pastori. Oggi le più antiche di queste
strutture tendono a scomparire, sostituite da altre costruite per le medesime finalità
ma con tecniche e materiali molto differenti. Chang e Tourtellotte (1993: 255)
hanno individuato nelle concessioni di fondi per lo sviluppo economico in Grecia,
a partire dal 1982, una delle cause che hanno determinato la perdita dell’identità
architettonica tradizionale degli stani, a vantaggio delle strutture odierne, che si
giovano di abbeveratoi in cemento, ricoveri (mandri) anch’essi in cemento, recinti
con alti muri in cemento per ammassare gli animali al momento del loro trasporto
in pianura per mezzo di autocarri. Le nostre osservazioni mostrano che, anche
582 PAOLO BIAGI – RENATO NISBET

dove si è mantenuta l’originale organizzazione degli spazi, si tende sempre più a


far uso di tettoie e paratie di zinco e plastica, sempre meno di strutture in legno e
in pietra. Per queste ragioni è sembrato utile investigare alcuni degli aspetti tradi-
zionali della pastorizia locale.
Più precisamente sono stati presi in considerazione alcuni aspetti del pascolamen-
to, la struttura, ubicazione e funzione di quelli che sono generalmente ritenuti i più
antichi stazzi (kutarǔ) in pietra noti nella regione di cui restano attualmente disponi-
bili per lo studio pochi esemplari in buone condizioni, quattro in particolare (Fig. 1).
Questi sono dislocati nelle presenti località: 1) Armaki, 2) Umbrela, nelle immediate
vicinanze di Kirkuri (Fig. 2, n. 1), 3) Renda e 4) Avgo (Fig. 2, n. 2).
Essi presentano caratteristiche simili, ed in particolare:

– la posizione al riparo di affioramenti di calcare,


– la poca visibilità salendo dal basso,
– la forma circolare o leggermente ovoide,
– la presenza di due aperture nel recinto, una principale per l’entrata del gregge,
detta ushe, ed una più stretta, mai in asse con la precedente, da cui venivano fatte
uscire le pecore, subito all’esterno della quale veniva praticata la mungitura (arugă).

Tuttavia si sono osservate delle tecniche costruttive, delle strutture visibili e delle
dimensioni leggermente variabili (Tabella 1). Inoltre, mentre due dei suddetti stazzi
sono ben conservati (Umbrela e Avgo), degli altri due, uno è ancora in uso, ed è
stato in parte ricostruito con materiali moderni, quali cemento, pietra, malta, lamie-
ra e legno (Armaki), il secondo è stato per metà demolito, forse in occasione della
costruzione di altre strutture in pietra approntate durante il corso della guerra civile,
visibili tutt’intorno (Renda).
Wace e Thompson, descrivono in dettaglio le attività nello stazzo e al suo intorno
osservate circa un secolo fa (Wace e Thompson, 1914, 78). Le stesse sono state poi
riassunte da V. Patrizi, grazie anche ad una intervista fatta al pastore Yannis di Sa-
marina durante lo studio da lei condotto nel 2005 (Patrizi 2004-2005), in cui descrive
con cura anche le attività di mungitura ed i prodotti caseari che venivano confeziona-
ti sino ad una quarantina di anni fa circa, consistenti principalmente nella produzione
di formaggio kash kaval (Wace e Thompson 1914, 79), ora sostituito principalmente
da kefalotyri e più ancora feta.

2. I siti odierni, stazzi e pastorizia attuale

L’uso consuetudinario dei pascoli, nel XIX secolo e certamente in epoche pre-
cedenti, era legato a tradizioni familiari con distribuzione territoriale. Ad esempio,
i pastori di Samarina, «conducendo immense greggi», terminata la stagione estiva,
partivano in direzione di Kastoria; quelli di Avdella e Perivoli scendevano verso la
piana di Grevena (Pouqueville 1826, 391).
ARCHEOLOGIA DELLA PASTORIZIA DEI VLAH DI SAMARINA 583

Nonostante l’elevato numero di greggi, l’uso dei pascoli non sembra aver mai rap-
presentato un problema giuridico di tipo privato: secondo Sivignon (1968, 15) «il posto
non manca, e ognuno è libero di insediarsi dove preferisce», anche se, per tradizione,
ogni famiglia ha un suo pascolo abituale. Forse questa può essere una ragione del fatto
che, nel corso di una quasi ventennale esplorazione delle montagne attorno a Sama-
rina, non abbiamo mai trovato chiari segni di limiti di proprietà, sotto forma di cippi,
pietre di confine, o massi isolati o allineati, così frequenti, ad esempio, nei pascoli delle
Alpi. Testimonianza di un uso degli alti versanti assai più frequente, ma difficilmente
riscontrabile in contesti archeologici, sono le profonde incisioni praticate nelle cortec-
ce dei pini (soprattutto P. leucodermis) allo scopo di estrarne la resina (Caković et al.
2017); o semplicemente per incidere qualche nome, talvolta accompagnato da date che
possono risalire ai tempi della guerra civile (1946-1949) o agli anni immediatamente
successivi che furono particolarmente difficili per i Vlah del Pindo (Winnifrith 1987,
146; 1995, 53). In un solo caso, finora, si è trovato un petroglifo: un nome di persona,
senza data, inciso con punta metallica sottile, in stretta prossimità con una sorgente, sul
versante occidentale di Kirkuri. Fonti orali riferiscono dell’utilizzo dei grandi tronchi
di pini, abbattuti dal vento, come riparo temporaneo; ed anche del sapiente uso di certe
specie legnose (bosso, frassino) per foggiare il manico del caratteristico bastone Vlach
(glitsa) o il collare delle pecore (Nandris 2011, 3-4).

3. La documentazione archeologica

L’archeologia della regione di Samarina, delle cui origini in realtà nulla sappia-
mo, sino all’inizio dello scorso secolo si limitava a congetture relative alla prima
fondazione della città che la tradizione orale tramanda aver avuto luogo nel XV
secolo (Wace e Thompson 1914, 147), anche se a quei tempi le stesse tradizioni con-
cordano sull’esistenza di un primo insediamento costruito non esattamente nell’area
in cui è ubicato quello attuale (Wace e Thompson 1914, 145). Oggi la situazione è
ben diversa e le prospezioni archeologiche condotte negli ultimi 15 anni confermano
la ricchezza di insediamenti e località archeologiche di diverso tipo ed età nella zona,
a partire dal Paleolitico medio in poi (Efstratiou et al. 2006; Biagi et al. 2016).
Ritrovamenti preistorici a parte, reperti di età storica riguardano frammenti cera-
mici di varia tipologia lungo gli spartiacque che circondano la valle del Samarinio-
tikos. Di questi, particolare importanza presentano pochi reperti fittili, fra cui uno
con motivi ad incisioni parallele ondeggianti subito sotto l’orlo, rinvenuto in super-
ficie nella sella che separa il Monte Gurguliu dal Bogdani, a 2141 m di altezza, rife-
ribili and un momento di frequentazione del passo in un periodo del IX secolo AD
(Rosser 2005). Altri ritrovamenti della stessa cronologia consistono in un focolare
portato alla luce durante lo scavo condotto lungo lo spartiacque di Delichmet a Sam-
5, a 1814m di altezza (Efstratiou 2008, Figg. 24 e 31), da cui proviene anche un’an-
sa bifora, radiodatato alla prima metà del IX secolo AD (DEM-1917/OxA-16222:
1129±26 BP, 922±32 cal AD e DEM-1918/OxA-16223: 1127±25 BP, 924±32 cal
584 PAOLO BIAGI – RENATO NISBET

AD). Entrambi i dati confermano attività antropica in questo periodo degli anni bui
sulle montagne intorno a Samarina. Informazioni di età di non molto posteriore ri-
guardano altre piccole fovee di focolare datate fra il X e il XIII secolo AD e, più re-
centi ancora, ritrovamenti di acciarini e pietre da fuoco nella zona (Biagi et al. 2015).

4. L’ambiente pastorale

L’archeologia di un sito pastorale, come può essere uno stani con i suoi spazi
specializzati e le sue strutture in pietra o in legno, presuppone la conservazione nel
tempo di materiali non deperibili che possano essere studiati e confrontati con situa-
zioni attuali. Allo stesso modo l’attività pastorale presuppone l’esistenza di pascoli,
che nell’area che qui ci interessa si trovano spesso al disopra della linea delle foreste
e comunque oltre i 1500 m. Esistono naturalmente molte definizioni di “pascolo”, a
seconda dell’accezione che si vuole dare al termine: economica, ecologica, botanica,
zootecnica ecc. Intendendo studiare questo problema da un punto di vista paleoeco-
logico, si deve anzitutto osservare che il protrarsi nei secoli di attività pastorali sul
territorio montano si riflette inevitabilmente nella riorganizzazione degli ecosistemi
vegetali. Ad una prima fase pioniera, che consiste nella creazione (mediante taglio o
fuoco degli alberi) di ampi spazi atti al pascolamento, segue la formazione di asso-
ciazioni erbacee a Graminacee e Leguminose che caratterizzano i pascoli migliori;
con l’intensificarsi del pascolamento intervengono modifiche nella composizione
erbacea (compaiono specie nitrofile) e nel suolo. Sui versanti del Pindo l’accelerata
erosione si manifesta in processi di soliflusso dei pendii, nello scoprimento delle
radici degli alberi e, infine, nell’instabilità delle piante su versanti scoscesi.
Tutte queste fasi lasciano tracce nell’archivio biologico, ed in particolare nei dia-
grammi pollinici, nei quali il concetto di “indicatori antropici” si è ormai ampiamen-
te affermato (Behre 1981). Pollini di erbe associate alle aree pascolate in montagna
(come la piantaggine, i romici, le artemisie, i cardi, e in generale molti membri delle
famiglie delle Composite e delle Chenopodiacee) sono spesso presenti nei diagram-
mi pollinici e generalmente interpretati come sicura presenza di attività pastorale
locale. Ad esse spesso si associa la vegetazione nitrofila (ortiche, romice alpino) e
quella di pendii asciutti (erica, ginepro).
Vi sono poi indicatori dell’uso intensivo del fuoco. La presenza di ginepri, arbusti
che sono uccisi dal fuoco, può indicare che la pratica locale del debbio, o dell’in-
cendio del bosco non viene più esercitata da tempo; mentre vi sono certe felci (la
felce aquilina, ad esempio) che sono favorite dal passaggio del fuoco, e colonizzano
rapidamente i versanti da poco incendiati.
Un altro molto noto indicatore di pastorizia si trova nell’utilizzo degli alberi da
foraggio. Questo ha lasciato evidenti tracce nella regione attorno a Grevena, nell’o-
rizzonte vegetazionale delle querce. Nelle montagne intorno a Samarina l’unica spe-
cie che potrebbe dare foglie da foraggio è il faggio; ma, dato il fatto che i pastori
scendono in pianura poco dopo la metà ottobre, questa pratica non sembra utilizzata.
ARCHEOLOGIA DELLA PASTORIZIA DEI VLAH DI SAMARINA 585

A nostra conoscenza, l’unico diagramma pollinico ottenuto nelle montagne attor-


no a Samarina è stato il prodotto di una tesi di dottorato (Chester 1988). Il carotag-
gio, effettuato in un piccolo bacino lacustre (stagionale) lungo le pendici meridionali
del monte Gomara, a circa 1730 m, copre una storia ambientale piuttosto recente,
compresa tra il 1340 cal BC e il 700 AD.
I sedimenti del piccolo bacino contengono, nei loro livelli inferiori (1340-1110
cal BC) una notevole quantità di microcarboni, che possono indicare frequenti in-
cendi boschivi su scala non strettamente locale; un secondo picco di microcarboni si
trova verso la metà del primo millennio BC, e successivamente, ad intervalli, durante
il terzo, il quinto e il settimo secolo AD. Queste osservazioni, assieme alle variazioni
nel contesto vegetazionale locale osservabili nel profilo pollinico, furono interpretate
come evidenza di due periodi principali legati alla pastorizia locale, un primo tra il
1340 e il 480 cal BC, un secondo tra il 330 e l’VIII secolo AD.
La serie di datazioni radiocarboniche ottenute da 18 degli 86 pozzetti con carbo-
ni, presenti nelle ondulazioni moreniche antiche riconosciute 800-1500 m a NW di
Samarina, forniscono un quadro assai diverso. Si tratta di insiemi di carboni visibili
sulla superficie del terreno con forme circolari, aventi un diametro solitamente infe-
riore al metro; oppure su profili lungo erosioni, sotto forma di depressioni convesse
irregolari, profonde tra i 50 e i 100 cm., una delle quali è stata oggetto di scavo nel
2014. Le analisi, condotte sui campioni, hanno dimostrato che, nella quasi totalità,
si tratta di insiemi monospecifici da attribuire a Pinus nigra, con due sole eccezioni
(Pinus heldreichi e Juniperus sp.). La tipologia di queste forme, la loro dispersione
su una superficie di alcuni ettari, le caratteristiche del sedimento inglobante, forte-
mente arrossato per combustione, l’assenza di cultura materiale associata (litica o
ceramica) le fanno interpretare come ceppi di alberi o arbusti (nel caso di ginepri)
bruciati probabilmente come conseguenza di attività legate alla pastorizia, allo scopo
di ottenere o estendere le superfici a pascolo.
Le datazioni ottenute mostrano che la deforestazione della zona ebbe luogo in
diversi periodi intervallati fra loro da momenti in cui non vi è sinora documentazione
di attività antropica di questo tipo. Un primo inizio si riscontra alla fine del Neolitico
(GrA-69500), per continuare poi in modo più consistente durante l’età del Bronzo
recente e finale (GrA-69565/GrA-69504), venire poi riattivata durante l’età del Ferro
(GrA-65340/GrA-61781) e continuare ancora, dopo un’interruzione di 4-5 secoli,
intorno all’anno 0 fino al XVII secolo AD (GrA-59656/GrA-61778). Fino a che
punto l’ultimo gruppo di risultati sia da attribuire ad attività Vlah è difficile sapere;
resta il fatto che questa è stata più o meno continua per almeno 1600 anni, durante
molti dei quali i Vlah interferirono per certo in modo pesante sul territorio, per mo-
tivi legati appunto al pascolamento ed anche alla costruzione delle loro strutture sia
abitative, principalmente, sia pastorali.
A questo riguardo va ricordata la presenza di una struttura complessa con pozzetti
ricchi di frustoli di carbone (quasi esclusivamente pino nero, molto raro il faggio;
insolitamente elevata quantità di rametti spesso in connessione fra di loro), buche di
palo inclinate convergenti ed una zona scottata dal fuoco, anche se completamente
586 PAOLO BIAGI – RENATO NISBET

priva di resti di cultura materiale, subito a sud dell’area di maggiore concentrazione


delle depressioni con carboni di cui sopra (Efstratiou 2008, Fig. 15). Un campione di
carbone vegetale raccolto da un pozzetto è stato radiodatato (GrA-34388: 1655±35
BP, 383±38 cal AD). Questo indica attività antropica, alquanto effimera e certamen-
te non stanziale, durante la seconda metà o la fine del III secolo AD.
Va sottolineato inoltre che l’intensità dei danni apportati all’abitato stesso di Sa-
marina dalla deforestazione inappropriata e incontrollata praticata dai Vlah alla fine
dell’Ottocento nel bosco di K’urista, alle falde del Gurguliu, è descritta anche da
Wace e Thompson (1914, 45).

5. Discussione

Alla luce della documentazione raccolta nel Pindo settentrionale, e soprattutto


nell’alto bacino del Samariniotikos, tra i 1500 e i 2400 m, è possibile formulare
alcune ipotesi circa la presenza e l’attività umana in questa regione nella tarda
preistoria. Nessun dato concreto autorizza a sostenere l’esistenza preistorica di
qualche forma di transumanza nomade in senso stretto, mentre è possibile che la
pastorizia su scala locale fosse una delle risorse economiche dei più o meno pic-
coli insediamenti dell’età del Bronzo riconosciuti nel punto più elevato del Monte
Anitsa/Sam-29 (1715m, GrA-51015: 3095±35 BP, 1368±42 cal BC: Efstratiou,
2008, 27), lungo lo spartiacque a Delichmet/Sam-8 (1818m, GrA-27092: 3220±40
BP, 1493±39 cal BC e GrA-2900±40 BP, 1103±69 cal BC: Efstratiou et al. 2006:
426); e sul fondovalle ad Aghios Athanasios (1112m, GrA-61779: 3070±40 BP,
1345±49 cal BC)1. È interessante rilevare che i tre insediamenti furono abitati
durante la seconda metà del II millennio BC, vale a dire in un periodo avanzato
dell’età del Bronzo, e non prima.
Naturalmente nessun dato archeologico permette di collegare gli insediamen-
ti d’alta quota citati che, probabilmente, in seguito alla loro posizione topografica
culminale che favoriva il controllo di tutto il territorio circostante (vedasi Sam-29)
avevano carattere non permanente, alle attività dei Vlah che, secondo alcuni autori,
penetrarono in questa regione solo verso la fine del I millennio AD (Halstead 1987,
81 con bibliografia); e neppure ad un’economia di pastorizia transumante a largo
raggio. Al contrario, le numerose date radiocarboniche ottenute nelle immediate
prossimità di Samarina (Fig. 1, n. 2; Fig. 3) indicano che gli interventi antropici sulla
vegetazione locale, una millenaria foresta di conifere, furono graduali e molto diluiti
nel tempo, sviluppandosi, in modo relativamente discontinuo, almeno dalla seconda
metà del II millennio BC al XVI secolo AD, coprendo un intervallo cronologico
complessivo di oltre 4000 anni.

1
  Le date presentate in questi capitoli sono state calibrate utilizzando il programma CalPal, www.
calpal-online.de.
ARCHEOLOGIA DELLA PASTORIZIA DEI VLAH DI SAMARINA 587

Ringraziamenti

Il presente lavoro è stato possibile grazie ai fondi dell’Università Ca’ Foscari di


Venezia per gli scavi e le ricerche archeologiche del 2017, nel quadro delle attività
condotte dal Grevena Project condiretto da P. Biagi (Università Ca’ Foscari di Vene-
zia) e N. Efstratiou (Università Aristotele di Salonicco). Gli autori ringraziano inoltre
il Prof. F. Curta (Università della Florida, USA), per tutte le informazioni riguardanti
le ceramiche e gli altri reperti del IX secolo AD rinvenuti nel territorio di Grevena.

Bibliografia

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lenic Diaspora», 11, 9-36.
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Biagi P., Nisbet R., Starnini E., Efstratiou N., Michniak R., 2016, Where Mountains and
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Biagi P., Starnini E., Efstratiou N., 2015, Gunflints from Greece: a few specimens from
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British and French empires. Occasional newsletter from an informal working group»,
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590 PAOLO BIAGI – RENATO NISBET

Fig. 1 – Ubicazione degli stazzi in pietra presi in considerazione nel presente lavoro: 1)
Armaki, 2) Umbrela, 3) Renda, 4) Avgo (1); distribuzione dei pozzetti con carboni rilevati
nell’area morenica posta a NW di Samarina: strutture non datate (punto nero), strutture datate
(punto bianco) (2) (disegni di R. Nisbet).
ARCHEOLOGIA DELLA PASTORIZIA DEI VLAH DI SAMARINA 591

Fig. 2 – Gli stazzi di Umbrela (1) e Avgo (2) (fotografie di R. Nisbet riprese dal drone nel
2017).
592 PAOLO BIAGI – RENATO NISBET

Fig. 3 – Plot delle datazioni radiometriche calibrate ottenute dalle strutture con carboni ri-
levate nell’area morenica subito a NW di Samarina. I trattini obliqui indicano le principali
interruzioni nella cronologia dell’attività di deforestazione in base ai risultati radiocarbonici
sinora ottenuti (OxCal plot di T. Fantuzzi).
ARCHEOLOGIA DELLA PASTORIZIA DEI VLAH DI SAMARINA 593

Altezza Diametro Diametro Spessore Altezza Entrata Uscita


Nome Coordinate Altro
(m) N-S (m) E-W (m) muro (m) muro (m) (m) (m)
40°07’44.2N
Umbrela 1799 8,90 9,00 0,90 0,80 W: 1,20 ? No
21°01’19.7E
40°06’38.7N 50%
Renda 1692 11,20 10,00 1,15 0,70 S: ? ?
21°02’32.5E distrutto
40°07’29.1N Riattato/
Armaki 1643 9,60 10,00 0,80 0,60 S: ? W: 0,40
21°00’45.2E utilizzato
40°06’30.6N NNE:
Avgo 1454 12,70 11,80 1,20 1,10 S: 0,40 No
21°06’11.5E 1,80

Tab. 1 – Caratteristiche degli stazzi in pietra presi in considerazione per questo lavoro.

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