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da Ivan Illich, Nella vigna del testo, 1994

Una comunità di borbottanti


Per Ugo di San vittore la lettura è un’attività motoria in senso corporeo. Secondo una tradizione vecchia di
millecinquecento anni, alla voce delle pagine fa eco la risonanza delle labbra e della lingua in movimento. Le orecchie
del lettore sono tese, e si sforzano di afferrare ciò che la bocca del lettore enuncia. In tal modo la sequenza di lettere si
traduce direttamente i movimenti corporei e informa impulsi nervosi. Le righe sono un tracciato sonoro captato dalla
bocca e pronunciato dal lettore per il proprio orecchio. Leggendo, la pagina viene letteralmente incarnata, incorporata.
Il lettore moderno concepisce la pagina come una lastra che segna d'inchiostro la mente, e la mente come uno schermo
sul quale la pagina viene proiettata per poi eventualmente svanire appena la si volti. Per il lettore del mondo
monastico, cui Ugo si rivolge, il leggere è un'attività assai meno fantasmagorica e molto più carnale: egli comprende
le righe seguendone il tempo, le ricorda ritrovandone il ritmo e le pensa come cose che si mettono in bocca e si
masticano. Non c'è da stupirsi che in varie fonti i monasteri dei tempi precedenti all'università ci sembrino dimore di
gente che non fa che borbottare e sgranocchiare.
Ad esempio Pietro il venerabile, il dotto abate che governa Cluny, è solito trascorrere la notte seduto sul letto a
ruminare instancabilmente le scritture rigirandosele in bocca. Per Gregorio magno la Sacra Scrittura è ora cibo, ora
bevanda.
In questo periodo il monaco che legge-medita viene spesso paragonato a una mucca che rimastica il suo bolo. San
Bernardo per esempio esorta i confratelli così: “siate animali puri, ruminanti, perché avvenga ciò che è scritto: un
tesoro prezioso sta nella bocca del savio”. Queste testimonianze del passato possono sconcertare un lettore oculare,
per il quale il riverbero della lettura orale su tutti i sensi è un'esperienza sconosciuta. Inoltre il lessico relativo ai sapori
agli odori si è impoverito e disseccato.
La pagina come vigna e giardino
Quando legge, Ugo fa un racconto: raccoglie i chicchi dalle righe. Egli sa che per Plinio la parola pagina può riferirsi a
dei filari di viti uniti assieme. Le righe nella pagina sono i vimini di un graticcio che sostiene le viti. Quando raccoglie
il frutto dai fogli di pergamena, le voci delle pagine gli escono dalla bocca, come mormorio sommesso se sono
destinate al suo orecchio, recto tono se si sta rivolgendo alla comunità dei monaci. […] Non stupisce che per tutta
l'antichità la lettura sia stata considerata un vigoroso esercizio fisico; i medici dell'età ellenistica la prescrivevano in
alternativa al gioco della palla o altre candidate. Leggere presupponeva che si fosse in buone condizioni fisiche; i
deboli e gli infermi non erano tenuti a leggere con la lingua. […]
La lectio come modo di vivere
Per il monaco come per il retore o il sofista dell'età classica la lettura impegna tutto il corpo. Per il monaco però la
lettura non è una semplice attività ma un modo di vivere. Qualunque cosa egli faccia conformemente alla sua regola
monastica, la lettura continua. Questa regola, stabilita da San Benedetto, dividela giornata in due attività considerate di
pari importanza: ora et labora. Sette volte al giorno la piccola comunità del monastero ideale si riunisce in chiesa…
Negli intervalli quando il monaco accudisce il bestiame o lavora la terra, fa il burro o cesella, la recitazione collettiva
si tramuta in un borbottio sommesso in cui ognuno ripete i versetti che preferisce. Questi versetti sono la via del suo
pellegrinaggio verso il cielo, sia quando prega sia quando lavora. La lettura impregna i suoi giorni le sue notti.
Questo impegno ininterrotto nella lettura è di origine ebraica, rabbinica, come il canto fermo che àncora i versetti nel
cuore. Il desiderio di vivere con il libro fa anch'esso parte del misticismo ebraico. Il pio ebreo, dopo il rito nella
sinagoga durante il quale ha ascoltato i brani della Torah e dei Profeti, mentre siede sulla soglia di casa o sorveglia la
merce che ha esposto al mercato, continua umilmente a biascicare passi di quelle letture. Lo stesso fa il rabbino,
assaporandole al punto che esse “gli sembrano dolci come al bambino il latte materno”.
[…]Il processo per cui il testo scritto della scrittura diviene parte integrante della vita di un monaco è tipicamente
ebraico, non greco. L'antichità classica non aveva alcun libro che si potesse mangiare. Né i greci e romani erano gente
da libro. Nessun libro era – o poteva essere – al centro del modo di vita classico, com'è per gli ebrei, i cristiani e
musulmani. Durante il primo millennio cristiano la memorizzazione di questo libro unico se effettuata con un
procedimento che era tutto diverso dalla costruzione dei palazzi della memoria. Il libro veniva ingerito e digerito
grazie alla diligente attenzione prestata agli impulsi nervosi psicomotori associati alle frasi che si imparavano. Ancora
oggi nelle scuole coraniche e in quelle ebraiche gli allievi siedono sul pavimento con un libro aperto sulle ginocchia;
ogni ragazzo declama cantilenando i suoi versetti, spesso contemporaneamente a una dozzina di compagni, ciascuno
dei quali recita un versetto differente. Mentre leggono, muovono il corpo dalle anche in su, dondolando il tronco
dolcemente avanti e indietro. Il dondolio e la recitazione continuano come in una trance, anche quando lo studente
chiude gli occhi oppure guarda le pareti della moschea. I movimenti del corpo rievocano quelli degli organi della
parola a cui si sono accompagnati. In maniera rituale questi allievi applicano tutte le loro membra a incorporare i
versetti.

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