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**In geofisica i terremoti (dal latino: terrae motus, che vuol dire "movimento della terra"), detti anche

sismi
o scosse telluriche (dal latino Tellus, dea romana della Terra), sono vibrazioni o assestamenti improvvisi
della crosta terrestre, provocati dallo spostamento improvviso di una massa rocciosa nel sottosuolo.
Tale spostamento è generato dalle forze di natura tettonica che agiscono costantemente all'interno della
crosta terrestre provocando la liberazione di energia in una zona interna della Terra detta ipocentro,
tipicamente localizzato al di sopra di fratture preesistenti della crosta dette faglie; a partire dalla frattura
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creatasi una serie di onde elastiche, dette "onde sismiche", si propaga in tutte le direzioni dall'ipocentro,
dando vita al fenomeno osservato in superficie. Il luogo della superficie terrestre posto sulla verticale
dell'ipocentro si chiama epicentro ed è generalmente quello più interessato dal fenomeno. La branca della
geofisica che studia questi fenomeni è la sismologia. Quasi tutti i terremoti che avvengono sulla superficie
terrestre sono concentrati in zone ben precise, ossia in prossimità dei confini tra due placche tettoniche dove
il contatto è costituito da faglie: queste sono infatti le aree tettonicamente attive, ossia dove le placche si
muovono più o meno "sfregando" o "cozzando" le une rispetto alle altre, generando così i terremoti
d'interplacca. Più raramente i terremoti avvengono lontano dalle zone di confine tra placche, per
riassestamenti tettonici. Terremoti localizzati e di minor intensità sono registrabili in aree vulcaniche per
effetto del movimento di masse magmatiche in profondità.**
** Secondo il modello della tettonica delle placche il movimento delle placche è lento, costante e
impercettibile (se non con strumenti appositi), e modella e distorce le rocce sia in superficie che nel
sottosuolo. Tuttavia in alcuni momenti e in alcune aree, a causa delle forze interne (pressioni, tensioni e
attriti) tra le masse rocciose, tali modellamenti si arrestano e la superficie coinvolta accumula tensione ed
energia per decine o centinaia di anni fino a che, al raggiungimento del carico di rottura, l'energia accumulata
è sufficiente a superare le forze resistenti causando l'improvviso e repentino spostamento della massa
rocciosa coinvolta. Tale movimento improvviso, che in pochi secondi rilascia energia accumulata per
decine o centinaia di anni, genera così le onde sismiche e il terremoto associato. PP

Alcuni terremoti si manifestano o sono preceduti da sciami sismici (foreshocks) più o meno lunghi e
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intensi, caratterizzati da più terremoti ripetuti nel tempo e particolarmente circoscritti in una determinata
area, altri invece si manifestano subito e improvvisamente con una o più scosse principali (main shock);
un'altra forma sono le sequenze sismiche, caratterizzate ciascuna da più terremoti sprigionati in successione
ravvicinata e non circoscritti in una determinata zona.[1] I terremoti di maggiore magnitudo sono di solito
accompagnati da eventi secondari (non necessariamente meno distruttivi) che seguono la scossa principale e
si definiscono repliche (aftershocks, spesso definite erroneamente scosse di assestamento). **
PP
** La disposizione delle zone sismiche risulta localizzata in massima parte lungo i margini tra le zolle
tettoniche (es. cintura di fuoco) e in particolare lungo le fosse abissali (zone di subduzione), dove lo
sprofondamento della crosta oceanica al di sotto di altre porzioni di crosta terrestre porta alla fusione per
attrito di parte della zona rocciosa di contatto, oppure lungo le dorsali oceaniche dove il magma del mantello
terrestre risale in superficie attraverso le fratture della crosta oceanica e una volta solidificato va a "saldare"
le placche stesse; i terremoti lungo le dorsali sono dunque l'effetto della rottura repentina di queste saldature
MARCO al raggiungimento di un certo livello di stress meccanico. In queste zone i fenomeni sismici sono spesso
associati anche al vulcanismo per la concomitanza delle forze tettoniche in gioco e per questo motivo le
eruzioni vulcaniche sono spesso precedute da terremoti. Si presume dunque che la dislocazione delle placche
sia il meccanismo scatenante dei terremoti. Causa secondaria è il movimento magmatico all'interno di un
vulcano, che può essere indice di una imminente eruzione assieme al caratteristico tremore. In rarissimi casi,
terremoti sono stati associati all'accumulo di grandi masse d'acqua nei bacini delle dighe, come per la diga di
Kariba in Zambia, Africa, e con l'iniezione o estrazione di fluidi dalla crosta terrestre (Arsenale delle
Montagne Rocciose). Tali terremoti avvengono perché la resistenza della crosta terrestre può essere
modificata dalla pressione del fluido. PP

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** I terremoti si verificano su fratture o spaccature della crosta terrestre note come faglie sismiche, laddove
cioè si accumula lo stress meccanico indotto dai movimenti tettonici. I confini tra placche tettoniche non
sono infatti definiti da una semplice rottura o discontinuità, ma questa spesso si manifesta attraverso un
sistema di più fratture, che possono essere indipendenti tra loro ed anche parallele per alcuni tratti, che
rappresentano appunto le faglie. Esistono diversi tipi di faglie suddivise a seconda del movimento relativo
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delle porzioni tettoniche adiacenti alla frattura stessa e dell'angolo del piano di faglia. Il processo di
formazione e sviluppo della faglia, nonché dei terremoti stessi, è noto come fagliazione e può essere studiato
attraverso tecniche di analisi proprie della meccanica della frattura.
L'intensità di un sisma dipende dalla quantità di energia accumulata nel punto di rottura che dipende a sua
volta in generale dal tipo di rocce coinvolte nel processo di accumulo, cioè dal loro carico di rottura, dal
tipo di sollecitazione o stress interno e dal tipo di faglia. ** PP

Onde di compressione o longitudinali (P)


** Le onde longitudinali fanno oscillare le particelle della roccia nella stessa direzione di propagazione
dell'onda. Esse generano quindi "compressioni" e “rarefazioni" successive in cui si propagano. La velocità di
propagazione dipende dalle caratteristiche elastiche del materiale e dalla sua densità; in genere però
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viaggiano a una velocità compresa tra i 4 e gli 8 km/s. Poiché le onde P si propagano più rapidamente, sono
anche le prime (P = Primarie) a raggiungere i sismometri, e quindi ad essere registrate dai sismografi. Queste
onde sismiche attraversano longitudinalmente tutti i tipi di materia: solidi, liquidi e gas. **

Onde di taglio o trasversali (S)


** Le onde S, ovvero onde "secondarie", si propagano solo nei solidi perpendicolarmente alla loro direzione
di propagazione (onde di taglio). Esse sono più lente delle onde P, viaggiando nella crosta terrestre con una
RENATO velocità fra 2 e 4 km/s. Le onde S non possono propagarsi attraverso i fluidi e i gas perché questi non
oppongono resistenza al taglio. A differenza delle onde P, le onde S non causano variazioni di volume. **

Onde superficiali (R e L)
** Le onde superficiali, a differenza di ciò che si potrebbe pensare, non si manifestano nell'epicentro, ma
solo ad una certa distanza da questo. Tali onde sono il frutto del combinarsi delle onde P e delle onde S, e
sono perciò molto complesse. Le onde superficiali sono quelle che provocano i maggiori danni.
Le onde di Raleigh, dette anche onde R, muovono le particelle secondo orbite ellittiche in un piano verticale
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lungo la direzione di propagazione, come avviene per le onde in acqua.
Le onde di Love, dette anche onde L, muovono invece le particelle trasversalmente alla direzione di
propagazione (come le onde S), ma solo sul piano orizzontale.
Tutte le onde sismiche sono soggette ad attenuazione con la distanza in funzione delle caratteristiche del
mezzo di propagazione. PP

La scala Mercalli trae origine dalla semplice scala Rossi-Forel, composta di 10 gradi, derivando poi il nome
da Giuseppe Mercalli, sismologo e vulcanologo famoso in tutto il mondo. Venne riveduta e aggiornata nel
1883 e nel 1902, anno in cui Mercalli la espose alla comunità scientifica.
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Nello stesso 1902 la Scala Mercalli di 10 gradi venne espansa a 12 gradi dal fisico italiano Adolfo Cancani.
Essa fu in seguito completamente riscritta dal geofisico tedesco August Heinrich Sieberg e divenne nota
come scala Mercalli-Cancani-Sieberg, abbreviata con MCS e detta brevemente Scala Mercalli.**
PP

**Mentre la scala Mercalli valuta l'intensità del sisma basandosi sui danni generati dal terremoto e su
valutazioni soggettive, la magnitudo Richter tende a quantificare l'energia sprigionata dal fenomeno sismico
su base puramente strumentale. La magnitudo Richter è stata definita per non dipendere dalle tecniche
costruttive in uso nella regione colpita.
Sviluppata nel 1935 da Charles Richter in collaborazione con Beno Gutenberg, entrambi del California
Institute of Technology, la scala era stata originariamente studiata solo per essere usata in una particolare
area della California e solo su sismogrammi registrati da un particolare modello di sismografo, quello a
torsione di Wood-Anderson.
Richter usò inizialmente valori arrotondati al più vicino quarto di magnitudo, ma in seguito si usarono i
decimi di magnitudo. L'ispirazione per questa tecnica fu la scala delle magnitudini (apparente e assoluta)
usata in astronomia per descrivere la luminosità delle stelle e di altri oggetti celesti.
Nella definizione data da Richter, la magnitudo di qualsiasi terremoto è data dal logaritmo in base dieci del
massimo spostamento della traccia rispetto allo zero, espresso in micrometri, in un sismografo a torsione di
Wood-Anderson calibrato in maniera standard, se l'evento si fosse verificato a una distanza epicentrale di
100 km.

MARCO Richter scelse arbitrariamente una magnitudo zero per un terremoto che mostri uno spostamento massimo
PP
di un micrometro (1/1000 di mm) sul sismografo di Wood-Anderson, se posto a 100 km di distanza
dall'epicentro del terremoto, cioè più debole di quanto si potesse registrare all'epoca. Questa scelta
permetteva di evitare i numeri negativi, perlomeno con gli strumenti dell'epoca. La scala Richter però
concettualmente non ha alcun limite inferiore o superiore e i sismografi moderni, più sensibili, registrano
normalmente terremoti con magnitudo negative.

Il problema maggiore della scala Richter è che i valori sono solo debolmente correlati con le caratteristiche
fisiche della causa dei terremoti. Inoltre, vi è un effetto di saturazione verso le magnitudini 8,3-8,5, dovuto
alla legge di scala dello spettro dei terremoti, a causa del quale i tradizionali metodi di magnitudine danno lo
stesso valore per eventi che sono chiaramente differenti. All'inizio del XXI secolo, la maggior parte dei
sismologi considera le tradizionali scale di magnitudini obsolete[1] e le ha rimpiazzate con una misura
chiamata momento sismico, più direttamente relazionata con i parametri fisici del terremoto. Nel 1979 il
sismologo Hiroo Kanamori, anch'egli del California Institute of Technology, propose la Moment Magnitude
Scale (MW), grazie alla quale è possibile esprimere il momento sismico in termini simili alle precedenti
scale di magnitudo.**

Magnitudo e intensità
**La magnitudo (detta anche magnitudine o livello) si definisce come il rapporto tra la grandezza in esame e
una grandezza campione a essa omogenea, misurato su scala logaritmica. Si noti come nel rapporto, essendo
le grandezze in questione omogenee, la loro unità di misura si elida e perda quindi importanza ai fini della

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misurazione stessa. Essa non va dunque confusa con l'intensità, ovvero il rapporto tra potenza e superficie di
applicazione, in quanto la magnitudo è espressa con un numero puro (adimensionale), che non ha dunque
nessuna unità di misura.

RENATO Le scale come la Rossi-Forel e la Mercalli sono usate invece per descrivere gli effetti del terremoto,
osservabili sulla superficie terrestre, i quali dipendono dalle condizioni locali (presenza e tipo di costruzioni,
distanza dall'epicentro, andamento del basamento roccioso, e natura e spessore della coltre superficiale su cui
poggiano gli edifici, ecc.). Per esempio, un terremoto di uguale magnitudo può avere effetti diversi se
avviene in pieno deserto (dove può non essere avvertito da nessuno), oppure in un centro abitato (dove può
provocare danni e vittime).

Eventi con magnitudo di 4,5 o superiore sono abbastanza forti da essere registrati dai sismografi di tutto il
mondo. I terremoti più potenti registrati sono di magnitudo 8 o 9 e avvengono con frequenza di circa uno
all'anno. Il più grande mai registrato si verificò il 22 maggio 1960 in Cile ed ebbe una magnitudo MW di
9,5.**

** La scala di magnitudo del momento sismico[1] (conosciuta anche con l'acronimo inglese MMS, da PP
moment magnitude scale, nel linguaggio giornalistico spesso chiamata semplicemente magnitudo
momento) è utilizzata dai sismologi per misurare le dimensioni dei terremoti in termini di energia liberata.
[2] La magnitudo si basa sul momento sismico del terremoto, che è uguale alla rigidità della Terra
moltiplicata per il momento medio di spostamento della faglia e la dimensione dell'area dislocata.[3]
La scala fu sviluppata negli anni settanta come aggiornamento della scala Richter introdotta negli anni trenta.
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Anche se la formulazione è diversa, la nuova scala mantiene un continuum di valori simile a quello della
scala Richter. La scala MMS è attualmente diventata il metodo standard per la misura dei moderni terremoti
da parte dell'United States Geological Survey.[4]
Nei resoconti stampa sui terremoti, spesso le due scale vengono confuse e i valori indicati come misurati
sulla scala Richter.** PP

** Gli eventi sismici del Centro Italia del 2016, del 2017 e 2018, definiti dall'INGV sequenza sismica
Amatrice-Norcia-Visso,[14] hanno avuto inizio ad agosto con epicentri situati tra l'alta valle del Tronto, i
Monti Sibillini, i Monti della Laga e i Monti dell'Alto Aterno.

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La prima forte scossa si è avuta il 24 agosto 2016, ore 3.36 e ha avuto una magnitudo di 6.0, con epicentro
situato lungo la Valle del Tronto, tra i comuni di Accumoli (RI) e Arquata del Tronto (AP).[15] Due potenti
repliche sono avvenute il 26 ottobre 2016 con epicentri al confine umbro-marchigiano, tra i comuni della
Provincia di Macerata di Visso, Ussita e Castelsantangelo sul Nera. (la prima scossa alle 19.11 con
magnitudo 5.4 e la seconda alle 21.18 con magnitudo 5.9). Il 30 ottobre 2016 è stata registrata la scossa più
forte, di magnitudo momento 6.5 con epicentro tra i comuni di Norcia e Preci, in Provincia di Perugia.[16] Il
18 gennaio 2017 è avvenuta una nuova sequenza di quattro forti scosse di magnitudo superiore a 5, con
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massima pari a 5.5,[17] ed epicentri localizzati tra i comuni aquilani di Montereale, Capitignano e
Cagnano Amiterno. PP
ANALISI ONDA
Le osservazioni e le analisi preliminari elaborate dall'INGV attraverso rilevazioni sismologiche, geodetiche e
geologiche e sulla scorta delle informazioni scientifiche dei processi sismogenetici e della storicità sismica
dell'area hanno permesso una prima interpretazione dell'evento.[31]
In particolare emerge chiaramente l'orientamento NNO-SSE della struttura sismogenetica, che si
estenderebbe in maniera congrua con l'orientamento della catena appenninica, per circa 25–30 km di
lunghezza e per circa 10–12 km di larghezza tra i comuni di Norcia e Amatrice, interessando una fascia
crostale che si estende dalla superficie alla profondità di 10 km.[31]**
**L'area sismogenetica, sempre secondo le osservazioni dell'INGV, sarebbe caratterizzata dalla presenza di
diversi segmenti di faglia con elevata complessità strutturale. La scossa principale avrebbe causato una
rottura di un segmento di faglia orientato in direzione NNO-SSE e immergente verso SO. La rottura generata
in corrispondenza della città di Accumoli sembrerebbe essersi propagata in direzioni opposte verso Amatrice
(direzione S-SE) e verso Norcia (direzione N-NE). Non sarebbe ancora chiaro se esista continuità tra le due
parti di faglia, ovvero se la rottura abbia interessato due segmenti distinti e tra loro separati. L'analisi della
sismicità nel settore a NO (in corrispondenza dei comuni di Accumoli e Norcia) parrebbe confermare
l'ipotesi dell'attivazione di diversi segmenti di faglia come conseguenza dell'evento sismico principale.[31]

RENATO Già dalla mattina del 24 agosto, a seguito dei primi rilievi sul territorio condotti da INGV, sono state
scoperte e cartografate alcune fratture superficiali (effetti cosismici) che mostrano una continuità per almeno
1,8 km sul versante del Monte Vettore.[32] Il massimo della deformazione cosismica parrebbe essere
riscontrato nei pressi di Accumoli.
L'andamento delle repliche, secondo quanto riportato nel primo documento di analisi sismologica dell'INGV,
parrebbe dimostrare l'attivazione del segmento di faglia del Monte Vettore e di diverse strutture antitetiche
immergenti verso NE, con interessamento del sistema di faglie dei Monti della Laga, già attivato durante la
sequenza del terremoto dell'Aquila del 2009.[31]
Secondo i dati elaborati da INGV, ottenuti anche tramite rilevazioni satellitari, lo spostamento della faglia
alle 03:36 del 24 agosto avrebbe causato, a livello di superficie, un abbassamento del terreno di 15–20 cm,
lungo un'ampia fascia di territorio allungata e parallela alla direzione della faglia.[33] Sui due lati di rottura
del piano di faglia lo scorrimento dei due lembi di crosta terrestre, secondo le rilevazioni effettuate e i
modelli 3D elaborati da INGV, sarebbe compreso tra 0 e 1,3 metri.[34]** PP

**Da sempre i costruttori hanno cercato sistemi idonei per difendersi dai terremoti. Sembra che già i greci
in alcuni antichi templi avessero interposto tra il terreno e le fondazioni del tempio degli strati di materiale
idoneo a far "scivolare" la costruzione rispetto al terreno in caso di terremoto. È un dato di fatto che molte
antiche costruzioni sono sopravvissute a diversi terremoti distruttivi.
I principi dell'isolamento sismico hanno quindi origini immemorabili ma solo con l'utilizzo dei moderni
metodi di calcolo e con la diffusione dei computer si è potuta dimostrare e quantificare sia numericamente

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che sperimentalmente la loro efficacia e sono così iniziate le prime applicazioni a partire dalla fine degli anni
settanta del XX secolo.
L'uso dei dispositivi moderni atti ad isolare la struttura dal terremoto è nato inizialmente nel campo
dell'ingegneria dei ponti. Infatti fin dagli anni sessanta del XX secolo si faceva uso in diversi paesi del
mondo di apparecchi di appoggio in neoprene armato o in acciaio-teflon, di dispositivi oleodinamici per
dissipare energia e assorbire le forze di frenatura, ecc. I primi viadotti italiani in zona sismica, dotati di
dispositivi antisismici, sono stati costruiti negli anni settanta. Dal campo dei ponti l'impiego si è poi
rapidamente esteso anche all'edilizia in generale[1].
Un forte impulso all'utilizzo di questa innovativa tecnica o strategia di ingegneria sismica si è avuto a seguito
del violento terremoto di Kobe in Giappone nel 1995, terremoto che provocò oltre 6.000 vittime e 300.000
persone sfollate. Subito dopo il terremoto, i cittadini e gli specialisti persero ogni fiducia sulla sbandierata
capacità di prevedere i terremoti e sulle tecniche di costruzione antisismiche. Per contro, tale evento
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disastroso mise in evidenza l'ottima risposta degli edifici dotati di isolatori sismici alla base rispetto alle
strutture antisismiche tradizionali a 'base fissa'. Infatti, a differenza di quelle antisismiche convenzionali, le
strutture isolate superarono indenni il terremoto.
Da dati recenti (2009) risulta che nel mondo esistono già oltre 10.000 edifici dotati di isolamento sismico
realizzati soprattutto in Giappone dopo il terremoto di Kobe.

Interponendo gli isolatori tra le fondazioni e le strutture in elevazione si disaccoppiano le frequenze del
sisma dalle frequenze della struttura in elevazione e si evita così l'insorgere di fenomeni di risonanza. Per
ottenere questo risultato il sistema di isolamento deve essere progettato in modo tale che la struttura isolata
abbia un periodo (inverso della frequenza) proprio fondamentale superiore ai 2,0 - 2,5 sec e almeno triplo
rispetto al periodo proprio della stessa struttura non isolata. In questo modo la struttura isolata si comporta
durante il sisma quasi come un corpo rigido che tende a rimanere fermo rispetto alle vibrazioni del terreno.
Oltre alla riduzione delle forze orizzontali per effetto dell'aumento del periodo fondamentale (e quindi delle
sollecitazioni interne alla struttura) si può avere anche una ulteriore riduzione delle forze se il sistema di
isolamento è caratterizzato pure da alti valori di smorzamento relativo.**
**Utilizzando gli isolatori sismici si progetta una struttura che rimane in campo elastico anche durante i
terremoti più violenti e conserva integre le capacità dissipative di energia offerte dalla duttilità. Questa
MARCO tecnica coinvolge la protezione dal sisma nella sua globalità: non solo si prevede che l'edificio non debba
crollare (salvare vite umane), ma si preservano intatte le strutture, i tamponamenti, gli impianti, ecc.
L'efficacia di questi dispositivi è confermata da numerose ricerche e sperimentazioni in scala reale su tavola
vibrante.

Si possono considerare tre categorie di isolatori e diversi tipi per ogni categoria. I diversi dispositivi possono
essere anche utilizzati in modo complementare nella stessa struttura:

Isolatori elastomerici. Hanno una elevata rigidezza verticale e una bassa rigidezza orizzontale che consente
di portare il periodo proprio della struttura isolata fuori dal campo delle frequenze dei terremoti. Ne esistono
di diversi tipi:

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i più semplici e i più collaudati sono quelli realizzati in elastomero (a basso o ad alto smorzamento) armato
con lamierini metallici;
esistono anche isolatori elastomerici che hanno inserito al loro interno un blocco di piombo che consente
un'ulteriore capacità dissipativa di energia;
- Isolatori a scorrimento. Consentono di limitare ad un valore prefissato (molto basso) la forza totale
orizzontale di natura dinamica che sollecita la struttura durante il sisma (taglio totale alla base).
MARCO Anche di questa famiglia ne esistono di diversi tipi: PP
- Isolatori a scorrimento (acciaio-teflon) su superfici piane ad attrito radente con o senza
lubrificazione; questi isolatori necessitano di un sistema elastico di ricentramento dopo il sisma e
possono essere associati ad isolatori elastici elastomerici che assolvono tale funzione;
- Isolatori a pendolo scorrevole, semplice, doppio o triplo, sempre a scorrimento (acciaio-teflon) come PP
i precedenti ma lo scorrimento avviene su superfici sferiche il che consente l'autocentramento della
struttura dopo il sisma;
- Isolatori metallici a rotolamento. Consentono di isolare anche strutture leggere e flessibili sfruttando PP
il basso valore dell'attrito volvente. Esistono già numerose applicazioni in Giappone mediante
isolatori metallici a ricircolo di sfere o su rulli.**
PP
**L'evidenza sperimentale suggerisce che un forte sisma non genera necessariamente un maremoto ed allo
stesso tempo sismi della stessa magnitudo non generano necessariamente movimenti della massa d'acqua
della medesima intensità: l'occorrenza del maremoto dipende infatti dalle modalità con cui si modifica/altera
il fondale oceanico nei dintorni della faglia, cioè dal tipo di scorrimento della crosta oceanica in
corrispondenza della frattura tra placche tettoniche.
Alcuni maremoti possono innescarsi anche se l'epicentro del sisma non è localizzato al di sotto della
superficie oceanica bensì nell'entroterra costiero a pochi chilometri dalla costa: generalmente ciò avviene con
terremoti di intensità elevata o catastrofica, in grado di produrre comunque grandi spostamenti d'acqua anche
ad una certa distanza dal mare per semplice propagazione delle onde sismiche dall'entroterra verso la
superficie d'acqua o per il moto dell'intera placca.
Lo spostamento d'acqua prodotto si propaga progressivamente in superficie creando onde superficiali molto
lunghe (aventi cioè una lunghezza d'onda tipicamente di qualche centinaia di chilometri) e quindi di lungo
periodo (qualche decina di minuti) in condizioni di mare aperto. Per confronto le normali onde marine hanno
lunghezze d'onda di pochi metri e un periodo di solo qualche secondo, mentre le onde di tempesta hanno
lunghezze al massimo 150 m e periodo di una decina di secondi: la lunghezza, l'estensione e il periodo delle
onde di un maremoto sono quindi molto superiori a quelle delle comuni onde marine, da cui il nome di onda
lunga, mentre solo l'altezza dei due tipi di onda può essere paragonabile tra loro. Inoltre nelle comuni onde
marine solo il volume d'acqua degli strati superficiali dell'oceano è direttamente mosso dal vento, mentre nel
maremoto il fenomeno dell'onda coinvolge l'intera colonna d'acqua, dal fondale alla superficie.
In virtù di ciò la pericolosità e la devastazione generata da un'onda di tsunami non dipende quindi dalla sua
ampiezza sulla superficie marina, quanto dal volume globale di massa d'acqua interessata dal fenomeno, in
quanto trattasi di onda molto estesa in profondità. Per questo motivo la massa d'acqua coinvolta in un'onda di
tsunami è enormemente maggiore di una qualunque onda di tempesta. Quest'onda può essere semplificata
come fenomeno composto da un inviluppo di onde; la lunghezza d'onda di decine di chilometri si riduce
notevolmente nei pressi della costa, dove la riduzione della profondità del fondale non permette più
l'"accomodamento" del volume d'acqua lungo un'onda con ampiezza ridotta: in altre parole il mantenimento
del moto dell'onda e del volume di acqua coinvolto produce una forte crescita in altezza dell'onda, che non
viene in alcun modo fermata dalla linea di costa o da eventuali barriere artificiali, progettate sulle dimensioni
delle onde di tempesta, riversandosi pesantemente nell'entroterra costiero.
La forza distruttiva di un maremoto è proporzionale al volume d'acqua sollevato e dunque un terremoto
avvenuto in pieno oceano può essere estremamente pericoloso per le zone costiere limitrofe se in grado di

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sollevare e spostare tutta l'acqua presente al di sopra del fondale marino anche solo di pochi centimetri. Per
questo motivo, a parità di magnitudo, terremoti sottomarini che si originano al di sotto di superfici d'acqua
profonde, al limite nei pressi di fosse oceaniche, generano tsunami più devastanti rispetto a sismi che si
originano sotto superfici marine meno profonde[2].

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