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LETTERATURA FRANCESE PRIMA LEZIONE

Nel 1624 inizia la reggenza del cardinale Richelieu in Francia, sotto Luigi XIII. Inizia un
accentramento di potere a livello politico, detto assolutismo, e grazie alle politiche
iniziate dal cardinale, la Francia diventa uno stato coeso.
Nel 1600, la centralità e il potere del re non erano affatto indiscussi, tanto che
poteva facilmente essere spodestato dai nobili. Questi nobili erano riuniti sotto il
nome di NOBILTA’ DI SPADA (Noblesse d’epèe).
Per eliminare questa vecchia nobiltà, che era nociva per un re in quanto non
rispettavano le sue imposizioni, il potere non era centralizzato e di conseguenza non
permettevano l’unità del paese, fin da Henri IV si cominciò a pensare ad una
soluzione, ritrovata nella vendita di cariche nobiliari a quei borghesi che potessero
permettersele: si diede inizio alla NOBILTA’ DI TOGA, o Noblesse de Robe, che
donava incarichi nobiliari tramite la vendita di questi stessi ai borghesi.
Fu un piano mirato a far vedere il re(e i suoi successori, in quanto carica ereditaria)
come colui che ha dato importanza ai borghesi, al quale quindi essere fedele. Con
Louis XII e Richelieu inizia la centralizzazione del potere, aiutata in parte
dall’abolizione dei DUELLI nel 1632, in quanto l’unico a cui rivolgersi per risolvere
problemi legati alla giustizia era proprio il re.
Sempre grazie a Richelieu, abbiamo un accentramento culturale grazie alla creazione
dell’Acadèmie Française nel 1635.
Essa trattava riflessioni sulla letteratura, e in caso di dibattiti importanti ci si riferiva
a lei, e il suo giudizio divenne ed è uno dei più importanti nel mondo estetico e
morale. Nel 1694 verrà pubblicato il primo dizionario, che rappresenterà anche
accentramento linguistico, fissando le prime norme ortografiche.
Il teatro fu uno dei primi “media”, ovvero diffusione di influenze del tempo, e
Richelieu cercò di utilizzarli per aumentare il prestigio della figura del re.
Nel 1644, dopo la morte di Richelieu e Louis XIII, sale come reggente Mazzarino, un
cardinale italiano.
Essendo lui considerato inferiore rispetto a Richelieu, che era un cardinale francese,
si ritrova coinvolto in una rivolta della Noblesse d’Epèe, nobili che imbracciarono le
armi. Questo movimento rivoluzionario prese il nome di FRONDA, che iniziò a
combattere dal 1648 fino al 1652 circa, anno in cui venne sconfitta.
Ci troviamo in un periodo di relativa pace sociale, nel quale finalmente possono
prosperare i Saloni, luoghi di ritrovo principalmente dei nobili, nei quali poter
discutere di politica, letteratura, arte, tutto ciò che concernesse la vita intellettuale.

PERIODO BAROCCO

Inizia il periodo del regno di Louis XIV, parliamo del periodo che va dal 1661.
Sappiamo che il periodo barocco è famoso per lo sfarzo, l’esagerazione, in qualsiasi
ambito possibile ed immaginabile, e alcuni dei capisaldi della corrente sfarzesca li
troviamo proprio grazie al Re Sole.
Egli invita il Bernini presso la sua corte per lavorare al Louvre di Parigi, cosa che non
accadrà, perché si ritroverà a scolpire dei busti proprio per il monarca!
Lui lavorava molto sulla prospettiva, preferiva avere una visione d’insieme sulla sua
opera, infatti chiedeva di muoversi al re, e si muoveva lui tutt’intorno.
Gli chiesero perché egli non stesse mai fermo, e la sua risposta fu:
“Un uomo non è mai cosi simile a se stesso come quando è in movimento”,
potremmo definirla una massima che dona lo spunto per uno dei principi del
barocco: il “bello” lo si ritrova nel movimento, lo statico viene sopraffatto dal
dinamismo, e si ragiona in senso contrario alla linearità del classico antico.
Altri princìpi estetici sono: la sorpresa, poiché la vita non è scontata, ci possiamo
riferire alla morte di un personaggio che non è realmente morto in un testo
letterario; collegato allo sfarzo, abbiamo la concezione di splendore, in rivalsa
all’angosciosa visione verso la morte.
Secondo la stessa visione del movimento, anche in ambito letterario possiamo avere
questo fenomeno, con l’inizio di una vicenda “In Medias Res”, ovvero durante un
evento o stesso durante il climax della stessa storia, che ci obbliga a dover passare
avanti e indietro nella storia causando, appunto, il movimento, attraverso fenomeni
di Analessi (detto anche Flashback in ambito cinematografico) e Prolessi
(anticipazione di un concetto che verrà).
In ambito letterario in questo periodo, si ragiona secondo la struttura di un testo, e
non lo stile: non c’è ricerca di lessico, figure retoriche specifiche, ma sulla struttura
da dare al testo, ovvero prolessi, analessi, testo in medias res e via dicendo.
I romanzi barocchi sono davvero immensi, e ciò è dovuto proprio alle strutture date
loro: ci sono innumerevoli storie secondarie, piene di peripezie, moltissimi nuclei e
molteplicità dei centri narrativi separati e tanti personaggi. E’ l’esatta incarnazione
del concetto fondamentale del teatro barocco: l’esagerazione.

SECONDA LEZIONE
Una categoria di romanzi prevalente nel 1600, è il romanzo pastorale, tipologia di
romanzi rappresentanti dei veri e propri pastori, la più importante è “L’Astrèe” di
Honorè d’Urfè ma sotto una forma idilliaca, ovvero pastori colti, che non si
sporcano, non puzzano, e sembrano quasi aristocratici travestiti da pastori.
Ragionano sulla filosofia, sull’amore(qui si inizia a ragionare sul sentimento
amoroso).
Qui troviamo, proprio come punto focale del barocco, ben 45 storie secondarie (è
bella la molteplicità, ciò che è ricco).
Altra tipologia letteraria è il romanzo prezioso, che vede la sua massima espressione
in Mademoiselle de Scudèry (da notare che non si chiama madame, quindi non è
sposata, perché uno dei capisaldi delle preziose era l’emancipazione e la volontà di
ottenere più diritti, e questo era impossibile essendo impegnati in un matrimonio.
A lei dobbiamo una serie di circa 15 volumi chiamati Clèlie histoire romaine,
collocata a partire da poco dopo la Fronda.
Il romanzo prezioso, come quello pastorale, esclude scene di bassa quotidianità,
quali descrizioni di pranzi, vestiari, etc.
Nel 1500 c’è la completa descrizione della realtà, a partire da quella intellettuale
fino a quella più infima, che tratta di sterco e orina, con Gargantua e Pantagruel,
tutto ciò con la letteratura “alta”, mentre dal 1600 tutti questi futili dettagli vengono
eliminati dalla letteratura.
La società, evolvendosi, modifica il suo gusto e certe realtà sono disdicevoli per un
romanzo. Tutte queste realtà vengono riportate in un romanzo pseudo-realista,
scritte per suscitare il riso.
Nel XVII secolo, si affermano e si espandono i saloni, luoghi di ritrovo per
intellettuali. Chi ne possedeva uno era solito invitare altri intellettuali nella sua
camera da letto, prevalentemente era costituito da donne, in quanto il preziosismo
era effettivamente di prevalenza femminile.
Nell’hotel di Rambouillet, il sabato, riceveva nella sua stanza per conversare.
Nel 1652, M.lle de Scudèry aprì un proprio salone, più borghese, ove non si
precludevano i borghesi, ma erano aperti a tutti.
La Ruelle era la corridoio tra il letto e il muro, dove si posizionavano le persone per
comunicare.
In questa circostanza, non erano mai da dimenticare le Bien-sceances, ovvero regole
di comportamento che non dovevano scioccare il sentire, dovere morale.
Queste bien-sceances erano la diretta proiezione della cosiddetta Honneteté: non si
parla di onestà morale, cioè di non rubare, ma ha a che vedere coi modi coi quali un
uomo si rapporta con gli altri. Un Honnetet homme e una honnete femme sono
persone discrete nel rapporto con gli altri, ad esempio: la propria opinione non deve
prevalere ne essere imposta, ma deve essere proposta e discussa.
L’uomo nel salone deve sapere un po’ di tutto, poiché una discussione potrebbe
portare anche a giochi di ruolo che riguardavano qualsiasi ambito (parlare solo in
rime, con verso alessandrino, etc…)
Da evitare la pedanteria, ovvero citare in continuazione autori e opere cosi da voler
brillare rispetto agli altri.
Un Honnetet homme cerca sempre di brillare, ma paradossalmente, anche se siamo
nel barocco, si vuole brillare con naturalezza, senza essere saccenti.
Infatti, il personaggio di Clèlie, ambientata nell’antica Roma, propone la sua
opinione di amico, e spiega cosa vuol dire avere un cuore tenero (tendre),
chiedendo però di giudicare la sua idea.
Tutt’oggi, la politesse tipica del tempo, in Francia, è rimasta.
La “Tendresse” è un’amicizia con sentimento duraturo, con un accenno di
galanteria, quindi un punto tra amicizia e il gioco della seduzione. Questo
sentimento ispira alla civiltà, e a guardare a se stessi e agli altri.
La tendresse non è da tutti, solo i nobili di cuore possono averla e raggiungerla.
L’amico tenero è una specie di amante, di un amore idealizzato, sublimato ed
epurato dai comportamenti erotici.
“La tendresse inspire ceux qui ne sont capables.“, la tenerezza ispira coloro che ne
sono capaci, nobili di cuore e sufficientemente sensibili, inclini alle virtù, che
sentono davvero i sentimenti di amicizia.
Un tenero amico riesce a mettere davanti a se il bene di un amico, essendo talmente
empatico da preferire aiutare un amico che divertirsi con gli altri.
Mademoiselle de Scudèrie analizza questo sentimento di amore “razionalizzato”.
TERZA LEZIONE
Spezzando la storia principale con storie secondarie, si agisce direttamente sulla
struttura della narrazione, creando una struttura polinarrativa: fu mantenuta infatti
questa struttura narrativa barocca, ma i contenuti cambiano radicalmente.
Dunque, la tendresse è l’ideale d’amore per le preziose, e il tendre ami è l’uomo
dall’animo nobile.
Le protagoniste del preziosismo, sono proprio le donne, anche se non manca una
presenza maschile.
Il Preziosismo è un movimento culturale con implicazioni sulle riflessioni d’amore,
sulla letteratura, sull’arte, e sul modo di essere, ma soprattutto sul ruolo della
donna nella società. La donna in questo periodo era vista unicamente come
creatrice di prole, di discendenza, ed era considerata inferiore al genere maschile.
Una considerazione ancora più bassa la avevano se impegnate in un matrimonio, nel
quale erano viste praticamente come oggetti e come inutili.
Per questo, M.lle de Scudéry non volle sposarsi, per mantenere una sua libertà e
cercare di emanciparsi e di far emancipare il genere femminile.
In questo periodo, la cultura cresce vertiginosamente: creazione di più opere
letterarie, creazione di neologismi, nascita di sempre più saloni raffinati, dove nasce
un nuovo modello, nuovo stile anche linguistico, dove l’honnetet homme e
l’honnete femme possono sviluppare la loro mente e le loro capacità.
La galanteria è fondamentale, legata al gioco della seduzione che l’amore cortese
idealizzato richiedeva.
Le preziose vogliono se tirer du prix, ovvero darsi del valore e non uniformarsi con
tutte le altre donne, vogliono libertà di scelta (infatti il tendre ami viene scelto
proprio da loro) e vogliono uscire dal comunitario.
Un autore loro contemporaneo, Molière, scrisse dei testi contro le preziose,
chiamandole “ridicole” e criticandole come donne che studiavano.
Troviamo grande raffinatezza e biensceances sul piano della lingua: molte perifrasi,
ad esempio per definire un concetto semplice come un pezzo di pane si dice
“soutien de la vie”, ovvero sostegno della vita, oppure le palpebre sono le tende
della vista ecc…
C’è la nascita anche di nuovi termini: Neologismi, come incontestable, anonyme,
enthousiasme… sono termini con suffissi specifici, utilizzati dalle preziose poiché
risultavano avere suoni morbidi, leggeri come -able, -ment.
Si utilizza molto il superlativo, dovuto all’esagerazione che si vuole dare ad un
concetto, legato allo stile barocco.
M.lle de Scudéry ha disegnato una cartina, che faceva parte di uno dei giochi di
ruolo che si facevano nei Saloni, chiamata “Carte de Tendre”.
C’erano pagine e pagine di dibattiti avvenuti realmente, relativi a questo gioco di
ruolo, sull’amore e le sue sfaccettature.
In questa cartina immaginaria c’è la rappresentazione di tutto ciò che può esserci tra
un uomo ed una donna, a partire dalla “ville de Nouvelle Amitiè”, ovvero la prima
conoscenza, dalla quale si può arrivare alla città di “Tendre” in 3 modi diversi:
Tendre sur l’Inclination: il cammino più difficile da seguire, cioè l’innamoramento.
La strada è rappresentata da un fiume, sul quale non ci si può fermare, ed il rischio
di questo fiume è che sfocia nel “mare pericoloso”, nella Mer Dangereuse, e se si
riesce ad approdare a terra, si arriva nelle “terre sconosciute”, la terre enconnu,
dove non si sa cosa potrebbe accadere.
Tendre sur l’Estime: è il cammino basato sulla stima verso l’ami, e si divide in molti
villaggi, quali Grand Esprit, cioè grande intelligenza; Jolie Vers; cioè capacità di
espressione attraverso parole gentili; Billet Galant, ovvero galanteria esplicita; Billet
Doux, sempre più intimità, con un’escalation di sentimenti fino a giungere dopo un
tempo indefinito, a Tendre-sur-Estime. Ciò non preclude il cambiare completamente
strada, andare verso il villaggio della negligenza, disuguaglianza, superficialità, per
giungere infine al “Lago dell’Indifferenza”.
Tendre sur Reconnaissance: giungere a Tendre secondo la riconoscenza, la
gratitudine. Il percorso si fonda su disposizione per l’altra, sottomissione, sapersi
mettere al servizio, assiduità nella presenza, pronto a muoversi per il benessere
della persona, premura, rendere servizio, sensibilità, tenerezza, obbedienza, piena
fiducia reciproca e sulla base di questi sentimenti sviluppatisi, si giunge a
riconoscenza, gratitudine e quindi a Tendre-sur-Reconnaissance.
Oltre al primo percorso, che si svolge in pochissimo tempo, gli altri due si svolgono
durante il passare degli anni.
La cartina di Tendre è una metafora topografica, che è il disegno del percorso
razionale dell’amore.
L’inclination non è solo attrazione fisica, ma passione travolgente, e non ha bisogno
di villaggi per cui passare: Tendre-sur-Inclination basta da sola.

QUARTA LEZIONE
Il giansenismo (Jansenisme) è una corrente teologica molto importante in Francia
dei primi decenni del 1600. Il teologo e vescovo Jansen, nel 1639 scrive Augustinus,
cioè la storia della vera dottrina di sant’Agostino.
Nel convento di Port-Royal si riunivano i giansenisti e tutti coloro che volevano
approcciare il giansenismo. Questa corrente, sulla cultura del 1600 ha un grande
influsso, e quindi lo ha anche sulla stessa letteratura.
Questa dottrina nasce dal cristianesimo, e tutti i protestanti sono detti “Ugonotti”.
Questa dottrina vuole che l’uomo si avvicini a Dio con le sue sole forze, e nasce in
rivalsa ai Gesuiti, al loro lassismo e alla casistica dei peccati(la pena e la gravità dei
peccati varia da uomo a uomo: essendo legati al potere, la punizione era molto
minore per i nobili e molto maggiore per i borghesi). Per questo motivo, la casistica
era considerata eccessiva libertà nel perdono dei peccati.
I Giansenisti non si ribellano all’autorità del papa, la rispettano, ma vengono
condannati come eretici da esso, all’epoca papa Innocenzo X nel 1653, e nel 1710 il
re Louis XIV rade al suolo il convento di Port Royal, anche se gli ultimi anni del suo
regime sono all’insegna del giansenismo puro, essendo sua moglie M.me de
Maintenant una giansenista.
Secondo i giansenisti, l’inizio della vita di stenti dell’uomo fu causata da Eva e dal
morso alla mela, e la venuta di Cristo in terra fu la seconda possibilità che Dio diede
agli uomini, per ricreare un legame divino.
Da qui e dallo studio di sant’Agostino, abbiamo il concetto di Grazia Efficace sia per
giansenisti che per gesuiti: secondo i Giansenisti, non tutti potevano giungere alla
grazia, ma c’erano solo dei prescelti al mondo che potevano aspirare alla salvezza, e
non si poteva sperare di salvarsi attraverso le opere buone, poiché venivano viste
come atti di Amour Propre, ovvero qualsiasi azione, fatta col migliore degli intenti,
nasconde sempre una parte di egoismo che punta alla salvezza, quindi a se stessi, di
conseguenza è visto come peccato. Si svela la vera natura dell’uomo, la corruzione
dell’essere umano. La grazia è indipendente dai meriti.
Secondo i Gesuiti, invece, la grazia può essere conquistata vivendo una vita
meritevole, devota. L’esatto opposto della concezione giansenista.
La grazia giansenista è irresistibile, ovvero che chi ha compiuto nefandezze nella
vita, sentirà il peso dei suoi peccati, la grazia di Dio tocca il suo cuore e in qualche
modo cercherà di redimersi. Allo stesso modo, una persona che ha sempre vissuto
una vita meritevole non ha la sicurezza di salvarsi: davanti a Dio non esiste il libero
arbitrio, non si può resistergli ne conquistarlo.
Il giansenismo, dunque, nega le virtù dell’uomo.

QUINTA LEZIONE
Nel 1658, Desmaret de Saint Sorlin scrisse il trattato «Délices de l’esprit », ovvero
tutte le delizie dello spirito quali conoscenza, arte, reputazione.
Le virtù terrene possono essere un punto di partenza con affinamento delle qualità
morali. Nell’amor cortese, l’amore verso una donna, epurati da qualsiasi scoria
terrena, è capace di far ascendere l’animo a Dio, e questo stesso amore, come
l’amore per arte, conoscenza e reputazione, è il riflesso imperfetto dell’amore di
Dio, corrotto dal peccato originale.
La concezione ottimista dell’amore imperfetto consiste nell’avvicinarsi a Dio man
mano che si epura la passione dal peccato originale (anche se ritorneremo sempre al
concetto di amour propre giansenista, cioè che qualsiasi azione positiva ha un
risvolto negativo ed egoistico).
La Rouchefoucauld era uno scrittore e filosofo francese, che tra il 1664 e il 1678 ha
scritto numerose massime, cioè frasi che venivano riportate all’inizio dei libri.
La sua prima massima riguarda proprio questo concetto giansenista: “Non è sempre
per valore e castità che gli uomini sono valorosi e le donne caste”
Una persona coraggiosa che fa un’azione altrettanto valorosa, non è detto che abbia
come mobil o motif il coraggio, cosi come la castità non ha come ragione ultima la
castità in se.
Altre delle sue massime, sono: ”l’amour propre est l’un des plus grands flatteurs”,
ovvero l’egoismo è il peggior consigliere, o adulatore;
”La passion fait souvent un fou du plus habile homme, et rend souvent les plus
sots habiles”, significa che la passione offusca la lucidità, l’uomo è oscuro a se stesso
e la sua anima diventa un labirinto senza uscita a causa della cecità portata dalle
passioni.
I giansenisti abbracciavano una massima di Pascal, affermante che l’uomo fosse un
mostro incomprensibile, quindi una visione negativa.
‘ì+
Al contrario, le preziose avevano una visione parecchio positiva dell’uomo, basti
pensare al concetto di “tendre ami”.

Madame de Lafayette
Madame de Lafayette era una scrittrice aristocratica, nata nel 1634, che ha scritto
una delle opere più famose del suo periodo, la Princesse de Cléves.
Lei non firmava quasi mai le sue opere, sia perché le donne non potevano, a quei
tempi, brillare e spiccare per intelligenza, e poi non andava a genio che una donna
scrivesse romanzi, anche se questo genere di nicchia, smetterà di esserlo a partire
dall’800. Il genere come l’epopea era più alto.
Lei scrive anche Zayde, la storia di un principe francese, Consalve, che in una
crociata si innamora di Zayde, una musulmana. Essendosi basata sull’Astrée di
Honoré d’Urfé, su M.lle de Scudéry e la sua Clélie, ella narra in 10 volumi tutto ciò
che può accadere tra due persone sconosciute, che non parlano la stessa lingua e la
loro passione amorosa.
Il gusto letterario sta cambiando: adesso si necessita di storie brevi, quindi la
narrazione barocca viene messa da parte; si cerca sempre più attualità, cercando di
non descrivere realtà fittizie; ci si distacca dall’esotico, quindi narrazione di paesi
come Asia e Africa; c’è un moto estetico contro il romanzesco, fatto di meraviglioso,
si rigetta l’inverosimiglianza.
Il nuovo gusto è sensibile alla verosimiglianza, e preferiscono la scrittura di novelle.
Il nuovo gusto è quello dell’estetica classica, che si sviluppa e si elabora dopo la
metà del 1600.
Quando la Reggia di Versailles fu inaugurata, una settimana di festa riempì il palazzo,
e Molière (commedie) e Racine (tragedie) rappresentarono alcune delle loro opere.
La strada per il classicismo, comunque, è ancora lontana.
L’estetica classica, al contrario del Barocco, ha come principio la semplicità, l’ordine,
la misura, razionalità delle forme lineari.
Nel romanzo c’è un solo racconto, un solo intrigo, una sola storia principale, con
rafforzamento del nucleo narrativo, dunque linearità, con ordine cronologico
definito, e definitiva esclusione della metamorfosi, ovvero elementi fantastici e
meravigliosi.
Romanzo Classico
Brevità e semplicità narrativa, con grande introspezione, analisi dei sentimenti e
della concezione negativa dell’amore, ed è un romanzo che raccoglieva l’analisi
psicologica dell’Astrée e quella del sentimento delle preziose; troviamo, soprattutto
nella Princesse de Cléves, dove la protagonista interiorizza gli ostacoli quale la morte
del marito per causa sua: lei provava stima ma non amore verso suo marito, ma la
stima non basta più, dunque suo marito è morto di dispiacere.

Princesse de Cléves
Ci troviamo nella corte di Enrico II, circa nella metà del 1500. Madame de Lafayette
sceglie quest’epoca e questa corte per un motivo preciso: è la prima corte raffinata
della storia, grazie a Francesco I, vecchio re e padre di Enrico II, che venne in Italia e
portò da qui la cultura italiana in Francia. La scrittrice viveva e frequentava la corte
di Louis XIV, una delle corti più raffinate della storia, ma non potendo parlare di
quella, si affidò alla descrizione di quella più adatta.
Le prime due parole dell’opera sono “Magnificence”, che ci rimanda al concetto
barocco, e “Galanterie” che ci rimanda al preziosismo.
La raffinatezza, vaghezza e idealizzazione sono rimaste: non vediamo mai la
descrizione di una scena di banchetto.
Troviamo anche la figura del Prince Galant, colui che conosce il buon costume e le
buone maniere, le biensceances.

SESTA LEZIONE
Il romanzo si apre all’insegna di idealizzazione preziosa e di stupore, alla corte di
Henri II. Egli organizzava sempre battute di caccia, tornei sportivi e simili. Il fatto che
il re riesca a svolgere tutte queste attività e che riesca ad eccellere in tutte, è
ammirevole (nel testo francese troviamo il termine “admirablement”, che ci riporta
all’armonia della scelta di parola delle preziose).
Il re cercava il “divertissement”, parola di derivazione pascaliana, che indica tutta
quella parte di mondanità dedita alla distrazione, al divertimento, che non fa
pensare alle vere domande da porsi. Siamo in ambito estetico barocco, e accanto
alle preziose c’è la meditazione giansenista.
Notiamo la presenza di una ripetizione, ricorrente molto spesso nel testo, ovvero del
“paraitre”, ovvero del sembrare, ci troviamo nel campo semantico dell’apparenza:
la realtà esterna è ben diversa da quella “reale”.
Un esempio di apparenza, sono le corti di quel tempo, nello specifico quella di Henri
II, la prima a raffinarsi, e la prima nella quale si voleva brillare, splendere, essere
ottimi cortigiani.
Madame de Lafayette ha scelto come incipit della sua opera il regno di sfarzo e la
corte raffinata, mentre la fine della sua opera è ambientata dopo la morte di Henri
II, durante la guerra di religione: si inizia con il divertimento, si finisce con la
tragedia.
Fu una scelta ponderata, in quanto questo passaggio simboleggiava l’evoluzione
tragica del personaggio, con la morte prematura del re.
A corte, si recitava un ruolo, si appariva, che era ben diverso dall’essere.
Per esempio, la Duchesse de Valentinois si adornava come una ragazzina, quando
era molto anziana per quel tempo.
Nel testo ricorre anche molto spesso la tautologia, cioè la ripetizione continua di
termini legati alla grandezza e alla magnificenza, oltre che anche il plaisir.
Legato al piacere, troviamo il concetto di divertissement: la regina, Caterina de’
Medici faceva parte di questo mondo, dedito a piacere, ricchezza e lusso.
Inoltre, leggendo questi tipi di termini, ci riconduciamo alla sensibilità barocca e
all’idealizzazione preziosa.
Tutto sembra perfetto, magnifico, ma solo in apparenza: la regina “semblait souffrit
sans peine”, sembrava non soffrisse per il fatto che il re omaggiasse solamente
l’amante, la duchesse, ma in realtà lei deve sopportare tutto questo.
La visione del mondo prezioso, dunque, rimane in Mme de Lafayette, ma rimane
sottoforma di finzione, di apparenza, anche se è un mondo magnifico in se.
La madre della protagonista, Madame de Chartres, cercherà di educare al meglio,
dopo la morte del marito, la figlia, la futura princesse de Cléves.
Cerca di darle più virtù possibili, cerca di costruire il suo essere morale, coltiva la sua
intelligenza. Lei fu una delle poche madri a parlare di amore alla figlia: le raccontava
accezioni negative e positive del sentimento, grazie alla sua finezza psicologica.
“I pericoli dell’amore sono vari: poca sincerità, inganni, infedeltà, ma c’è anche la
tranquillità che può trovare una donna nell’amore, legata all’elevarsi della virtù
sposando un uomo facoltoso (questo vuol dire “avoir de la naissance”)
La concezione dell’amore di Mme de Chartres è la concezione preziosa basata su
Tendre-sur-Estime, cioè sulla pura stima reciproca, anche se l’honnetet homme che
lei aveva in mente era merce molto rara.
La madre avvisa la figlia sul possibile malheur domestic, cioè cosa potrebbe causare
avere un rapporto al di fuori dell’uomo con cui si è rapportati.
La virtù, nella donna, assicura tranquillità, e non felicità, cioè ciò a cui si aspira oggi.
La felicità, nel matrimonio cinquecentesco non era assicurata: era sufficiente la
tranquillità. Non bisogna leggere questo testo con una visione del XXI secolo, ma
riflettendo pensando al 1500.
Il matrimonio per amore non esisteva, era una questione politica, di continuare la
discendenza per l’uomo, e di trovare tranquillità e virtù per la donna.
La madre della princesse de Cléves la mette in guardia sulla difficoltà nel mantenere
la virtù, e che l’unico modo per farlo è estrema diffidenza in se stessi e nel provare
attaccamento e amare il marito, con amore corrisposto: qui risiede il concetto di
Bonheur.
Nel nuovo stile, c’è l’interiorizzazione del romanzesco: le avventure sono
psicologiche, nella mente dei protagonisti, non più visibili.
Madame de Chartres ha una concezione dei sentimenti prettamente giansenista:
pensa che la passione ti trascina, non può essere razionalizzata e quindi va evitata:
bisogna avere “Extreme dèfiance” nelle passioni.
Una volta a corte, Mademoiselle de Chartres(futura madame de Cléves) nota che
molti principi le danno attenzione. Ragionando in senso virtuoso e politico, sia la
madre che la figlia scelgono come consorte per la futura principessa, Monsieur de
Cléves. Una volta fidanzati, egli era felice con lei, ma non del tutto contento. Lui
notò che i suoi sentimenti non erano ricambiati e non andavano oltre la stima per
lui: non poteva ingannarsi di essere ancora felice. Le biensceances vogliono che la
ragazza dimostri da subito pudore e modestia, e il loro rapporto era proprio così.
SETTIMA LEZIONE
Mademoiselle de Chartres non ha i sintomi dell’amore: chagrin, impatience,
inquietude (dolore, impazienza, inquietudine).
Lui la accusa di essersi sposata solamente per privilegio, e entrambi si lamentano,
ma la ragazza non può fare molto, in quanto le biensceances non lo permettono.
Il principe non ragiona sull’aspetto esteriore di M.lle de Chartres, ma su quello
interiore: lui afferma che sarebbe contento delle apparenze della fidanzata, se solo
ci fosse qualcosa sotto. La ragazza risponde sempre con “ciò che io faccio”, ma mai
con “ciò che io provo”, la ragazza non è interdetta dal fare qualcosa dalle
bienscéances, ma sono proprio quelle bienscéances a farle fare qualcosa.
Per la donna, la presenza del prince de Cléves non dona nulla ne di positivo ne di
negativo, è totalmente indifferente.
Oltre a tutto il mondo dell’apparenza, c’è anche il mondo dell’introspezione, ovvero
della riflessione: durante tutta l’opera ci sono 11 momenti in cui la principessa,
quando è con qualcuno, ha un soliloquio interiore, una presa di coscienza, e ci sono
11 rallentamenti della trama, nei quali si allontana sempre di più dalla corte.
Il concetto di inclinazione ritorna: il principe dice di non suscitare più, nella
fidanzata, nessuna inclinazione. Era vero, M.lle de Chartres non provava nulla, ma in
quella situazione non sapeva cosa fare, pensando fosse al di sopra della sua
conoscenza.
Questo è detto romanzo di formazione, ovvero un romanzo nel quale, una figura
giovane si trova ad affrontare esperienze che lo faranno crescere.
In effetti, M.lle de Cléves non ha mai conosciuto il vero amore, e difficilmente lo
conoscerà, ma riesce a capire tutte le parti negative in amore che la mamma le
raccontò. Riuscirà infine a trovare quella agognata tranquillità solamente ponendo
fine alla sua vita.
L’incontro con l’amore è distruttivo per il soggetto, ci si trova nel “rèpos”, nel riposo,
ben distante dalla serenità.
Inizia la peripezia quando la ormai Princesse de Cléves conosce il Duca di Nemours,
un uomo brillante, colto, seduttore, fondamentalmente un libertino. E’ amore a
prima vista tra i due.
Il duca appartiene solamente al mondo “dell’apparire”, vive il sentimento amoroso
con gentilezza, ma leggerezza. E’ un uomo che conosce la corte ed è conosciuto. Egli
si innamora con un’inclinazione violenta, inizia a corteggiarla, dimenticandosi di
tutte le sue donne. La madre della princesse si ammala, sul letto di morte dice alla
figlia: ”Il pericolo che vi lascio e il bisogno che avete di me aumentano il mio
dispiacere nell’abbandonarci”
Qui troviamo una costruzione testuale paratattica, ovvero unicamente frasi singole,
tutte coordinate l’una con l’altra, per far capire l’importanza della scena.
La madre che per esempio rivela alla figlia di sapere della sua inclinazione verso il
duca, è un momento clou: lei dice alla figlia che ci vuole forza per non cadere in un
precipizio, e che ormai è sposata e non deve lasciare il marito. La madre non vuole
che la figlia perda virtù, reputazione e onore dopo tutto lo sforzo passato.
Una donna senza onore, ha perso tutto in quell’epoca.
La madre “maledice” la figlia, dicendole che se altre ragioni rispetto al dovere
(parola con cui terminerà il testo) dovessero portarla laddove ella non vuole, quindi
al tradimento, allora spera che la princesse cada come tutte le altre donne, e che lei
muoia prima di vedere la figlia fare tale gesto.
C’è la volontà di rendere più fluido il testo, ciò avviene con descrizioni molto
indeterminate, ma varie, del periodo storico: sappiamo dove e quando,
storicamente, è collocata la storia, ma mai una data precisa, mai un mese o un
giorno: questa vaghezza era nelle corde stilistiche delle preziose.
C’era, anche nel non dover tradire il proprio uomo, una visione elevata e idealizzata:
non essere come le altre, uscire dal comunitario di tutte le altre donne. La madre fa
della fedeltà della figlia una questione di dignità.

Seconda parte
La madre è dunque morta, ci troviamo in un’aria di grande lutto, il duca di Nemours
si presenta per le condoglianze, ma con le sue parole lascia trasparire interesse per
la principessa. Lui le parla di attachement, ovvero creare un rapporto intimo, che lei
dovrebbe rifiutare, essendo ormai sposata. Ma lei era in un forte dubbio, dovrebbe
rispondergli per fermarlo, ma credeva anche di non dover dire nulla. Era inevitabile
che ci fosse, tra i due, qualcosa di intellegibile, proprio come le aveva fatto notare
M.me la Dauphine (Maria Stuarda), sua confidente.
Troviamo l’area semantica della parvenza, che ci fa capire che la princesse non è una
persona risoluta, e quella del dovere che abbiamo visto in precedenza, che si
protrarrà per tutto il testo, fino all’ultimo concetto: lei non mancherà mai al dovere
verso suo marito, nemmeno dopo che egli è morto, anche se è costantemente
pervasa da dubbi, ed avrebbe possibile via libera per fare ciò che voleva con il duca
de Nemours.
L’entrainement è la passione che lei stessa prova per lui: effettivamente lei vede
qualcosa nel duca, come galanteria, serietà, ma sa di non dover tradire, per dovere
morale suo marito.
Questa sola parte della storia è esattamente opposta con la struttura barocca,
avvengono poche cose e la protagonista è bloccata da un ostacolo mentale, la
contraddizione tra il fare e il dovere morale. Questa incertezza porta alla perdita
della tranquillità iniziale e tanto voluta.
Il matrimonio di cui si narra la vicenda è uno dei tanti senza amore, ma solo per
aumentare la propria virtù e per convenienza. Il matrimonio per vero amore lo si ha
solo a partire dall’800.
Il sentore di insicurezza che vediamo nella princesse è la passione che umilia il
soggetto, concezione giansenista della passione che rende l’anima un labirinto fitto
dal quale è impossibile uscirne.

OTTAVA LEZIONE
Lei sembrava star male per la recente morte della madre, ma in realtà stava male
per via dei suoi sentimenti verso il duca de Nemours, verso il quale credeva di
provare indifferenza, invece era esattamente l’opposto.
Si presenta proprio ora uno dei momenti in cui ella si ritira per pensare da sola.
L’amore umilia l’intelligenza, porta a fare cose che non si vogliono fare, e questi
momenti di autoanalisi sono come una tortura, in quanto l’intelligenza resta
nell’uomo per capire quanto ha sbagliato.
Parecchie volte la princesse fa azioni senza volerlo, non essendo padrona delle
proprie azioni, proprio a causa della passione che la guida: una volta rinsavita, si
guarda indietro e critica ciò che ha fatto.
Sono tutti a casa della princesse, in un momento propizio il duca, anch’esso
presente, vede un cofanetto di grande valore con all’interno un ritratto della
principessa, e lo ruba. La princesse lo vede, vorrebbe fermarlo ma non denuncia
l’accaduto, poiché si scoprirebbe che il duca è interessato a lei.

Il marito pensa ad un amante, poiché solamente un amante, e anche ricco, ruba un


ritratto e non il cofanetto di valore. La princesse sembra far finta di nulla, ma la
narratrice, M.me de Lafayette, fa notare come lei sia felice di lasciargli il ritratto e di
insabbiare tutto.
Il duca ha capito che la princesse lo avesse scoperto, quindi le si avvicina
sussurrandole di non dirlo a nessuno, facendo intendere di volere complicità.
Ormai la princesse si dirige sempre di più verso Tendre-sur-Inclination, gli ostacoli
esteriori non sono più sufficienti a bloccare le sue pulsioni, che tanto sono forti da
non riuscire più a controllare la sua espressività facciale.
La questione d’Inghilterra non poteva più separarli, e l’unico ostacolo effettivo che
potesse salvare M.me de Cléves è il suo matrimonio: è costretta ad allontanarsi dalla
corte, per non fare l’errore più grande, cioè mostrare al duca la sua inclinazione.
Troviamo un ennesimo campo semantico, quello della difesa: nessun ostacolo puoò
più “difenderla” dal duca di Nemours, e in più l’amore in generale era un nemico
contro il quale la sua difesa era molto debole; l’amore aggredisce l’individuo, e
abbiamo una visione negativa dell’amore, al contrario del preziosismo.
Ci viene presentato lo zio della Princesse, cioè monsieur de Chartre, un libertino che
vive storie d’amore a destra e a manca. Dalla sua tasca, mentre stava camminando,
cade una lettera, che trova la princesse: prima di leggere la lettera, pensando fosse
per il duca di Nemours, prova un dolore che non ha mai provato prima, e dopo
averla letta quel sentimento si riconferma ancora più forte: la gelosia. In quella
lettera, capisce (e fraintende) di amare un uomo perfido e libertino, e comprende di
star maltrattando colui con il quale è sposata.
Lei sta molto male, ma non sa di star così a causa della gelosia; legge e rilegge la
lettera, capendo solamente che lei sta venendo tradita da lui come molte altre
donne.
Lei, quando entra nei sentimenti, sbaglia: è doloroso analizzarsi, entrare nei
sentimenti, ci raccontiamo sempre qualcosa per farci stare meglio, e poi entriamo in
un labirinto dal quale è impossibile uscirne.
Terza parte
Il principe, uomo di mondo, vedendo la sua amata stare male, capisce che
l’inclinazione verso di lui c’è, ed è parecchio forte, dunque lui è contento di ciò.

NONA LEZIONE
Anche se nella Princesse de Cléves ci troviamo in un periodo storico dove la linearità
strutturale è fondamentale, nell’opera ci sono 4 storie secondarie, raccontate da 4
persone diverse. La storia di Madame de Valentinois, cioè di Diane de Poitiers,
amante del re Enrico II, che Madame de Chartres, madre della protagonista,
racconta a quest'ultima; la storia di Sancerre, Estouteville e Madame de Tournon,
che il signor de Cleves racconta alla moglie; la storia di Anna di Boulen, madre di
Elisabetta I d'Inghilterra, che la regina delfina, cioè Maria Stuart, moglie del delfino
Francesco II, racconta alla protagonista; la storia degli amori del vidame di Chartres,
che quest'ultimo racconta al suo amico duca di Nemours.
la storia di Diane de Poitiers, amante del re, introduce il concetto dell’assurdità della
passione amorosa, poiché lei non era giovane, senza passione e fedeltà, ma il re la
amava lo stesso, più di Caterina De’ Medici.
La sincerità è un valore per preziose, come lo è per la princesse, ma le bienscéances
non la permettevano liberamente, non si poteva affrontare l’argomento con tanta
leggerezza, ma M.me de Lafayette sa di voler fare qualcosa di non convenzionale,
dunque fa confessare tutto al prince de Cléves. Ella fa quest’azione in un momento
in cui non è padrona delle sue azioni, e chiede al marito di portarla via dalla corte.
Egli, tanta la gelosia, si ammala. La confessione è una scena chiave del romanzo.
Per molto lei accantona l’idea della confessione, questo fa parte del suo essere
smarrita.
C’è solo una volta in cui il duca e la princesse sono da soli, ed era per riscrivere la
lettera a monsieur de Chartres. Il duca ha effettivamente chiesto aiuto al marito
della princesse, e lui ha accettato con serenità, quindi possono stare in intimità e in
tranquillità per la prima volta.
Dopo aver mandato la lettera, M.me de Cléves resta da sola, pensando alle
sensazioni provate la sera prima, e ripensa alla mole di odio provata verso il duca al
momento del fraintendimento. In questo momento sentiamo un altro monologo
interiore, nel quale si rimprovera come un crimine per aver mostrato al duca i suoi
veri sentimenti.
Non si riconosce più, agisce senza aver controllo di se stessa: visione giansenista
della passione.
E’ il momento di un esame di coscienza per capire dove ha sbagliato, e ogni volta
che attua questa pratica, è come se si svegliasse da un sogno e si stupisse.
Al momento della confessione al marito, il duca di Nemours assiste segretamente, e
nel momento in cui lei dice di essersi innamorata di un altro uomo, il duca spera di
essere lui, mentre il principe vive una tragedia.
Sappiamo che il marito sarà gelosissimo, ma riesce comunque ad ottenere da lui
l’isolamento dal duca, anche se quest’ultimo riuscirà comunque a spiare la
princesse.
Notte dei nastri: il duca spia la princesse, mentre lei contempla il quadro della
vittoria del duca de Nemours, e nel frattempo intreccia dei nastri coi colori della
casata di quest’ultimo.
Il principe viene a sapere che il duca è entrato nel padiglione della casa dove
risiedeva la principessa, e pensando che lei lo abbia definitivamente tradito, prima si
ammala, poi muore, dicendole che dopo la sua morte, lei poteva finalmente sposare
il duca.
Lo stato d’animo della princesse era oltre il limite della ragione: il fatto che suo
marito la amasse tanto, ed è morto per colpa sua non le usciva dalla testa. Qui,
stranamente, interviene il narratore. Quando lo fa però non dice mai più di quanto
lo stesso personaggio abbia capito di se stesso, ma stavolta è ben diverso: lei si
rimprovera di non essersi innamorata, la voce narrante invece la assolve, poiché
afferma che alle passioni non si può comandare.
Essa prende l’impegno di restare fedele al marito morto, dunque finalmente
l’ostacolo era stato interiorizzato, non era più esterno, e non poteva essere valicato.
Visti i sensi di colpa, credeva di essere guarita dalla passione che aveva provato per
il duca, ma era tutta parvenza: i dolori erano molti e si confondevano tra di loro.
Vediamo il dolore per non poter sposare il duca, il dolore per aver fatto soffrire e
morire il marito, e il dolore per aver fatto ciò che la madre aveva sperato lei non
facesse, oltre che per la sua morte ovviamente. La madre e il marito sono due
personaggi fondamentali, poiché hanno cercato di bloccare le passioni della
princesse, ma hanno fallito e sono morti provandoci. Entrambi le hanno detto la
cattiveria delle passioni, quindi avevano un carattere prescrittivo
Uno dei suoi dolori più grandi, effettivamente, è l’impossibilità di trovare la felicità.
La princesse, effettivamente, non aveva colpe, avendo fatto solo ciò che riteneva
giusto, e ritorniamo continuamente al giansenismo e alla predestinazione, poiché lei
era predestinata a cadere succube delle passioni, anche se ha fatto di tutto per
evitarlo.
C’è un’ultima volta in cui il duca e la princesse si parlano, ed è unicamente per dirgli
che non si sposeranno mai, e per dargli le motivazioni: il senso di colpa per la morte
del marito, e l’impossibilità di trovare un amore costante nel tempo, e ricorda che il
marito l’ha amata continuamente perché il suo amore non era corrisposto (l’idea di
amore non corrisposto che resta vivo verrà analizzato anche da Marcel Proust)
Il duca, a paragone con la princesse, era privo di virtù, e a rafforzare l’idea di amore
non duraturo, sposare un uomo leggero nel sentimento come lui non era sicuro per
la propria persona.

Saggio critico Jean Rousset


Madame de Lafayette ha trasformato le tecniche narrative, distaccandosi dalla
tradizione creata e coltivata da Honoré D’Urfè e M.lle de Scudéry.
Nel rapporto con la realtà e nel rinnovamento delle forme romanzesche, ci si
accorge che ci stiamo allontanando dall’idea di romanzo come finzione, e ci
avviciniamo ad un genere come “novella” o “storia”.
Madame de Lafayette voleva che la Princesse de Cléves fosse interpretata non come
romanzo, ma come perfetta imitazione di storia, di vita, quindi intendere l’opera
come “memorie”. Questo nuovo romanzo va concepito con una relazione storica, al
contrario del vecchio, con le sue “avventure favolose”. Il romanziere riempie un
quadro storico, conosciuto o studiato, con discorsi privati, moti intimi, movimenti
nelle passioni.
Diciamo che ci avviciniamo ad un realismo che però si inserisce in un’estetica
idealistica. M.me de Lafayette, dal nulla, inventa i suoi eroi principali, e ricorre alla
storia raramente e solo per fini artistici.
Il successo di M.me de Lafayette è dovuto dalla realtà dello sfondo storico, cioè le
allusioni alla corte di Louis XIV per esempio, che arricchiscono e vanno a braccetto
con la storia principale. Potremmo nominare la passione del re verso la duchessa di
Valentinois, o la passione segreta della regina per il visdomino. Vediamo dunque i
temi ricorrenti, nel testo, di passione segreto e gelosia.
M.me de Lafayette vuole spezzare appositamente la trama principale raccontando di
personaggi secondari, per farci cambiare prospettiva, da interno a esterno, dal
dialogo interiore della Princesse al comportamento dei personaggi esterni.
Il passaggio da dentro a fuori, da esteriore a interiore, simula ciò che effettivamente
vive la protagonista: spesso svolge azioni senza rendersene conto, e solo in seguito
rinsavisce, e questo stesso effetto viene fatto provare al lettore.
Avviene quando la princesse confessa l’innamoramento al marito: abbiamo un
accenno di vita reale, e un rapido ritorno all’interiorità della donna, che è ritornata
in se e non riesce a capire perché e come ha fatto ciò che ha fatto.
Quindi viviamo in prima persona l’effetto deleterio della passione, che fa dire e cose
che non si volevano, fa fare e dire cose di cui ci si pente una volta rivissute.
La conoscenza che si ha di se stessi, relativa alla passione, è molto confusa.
L’autrice afferma attraverso i suoi romanzi che non si entra nel profondo del proprio
cuore, poiché solo gli altri possono comprenderci meglio di noi, avendo noi stessi dei
blocchi che ci accecano, ci illudono.
Molti uomini d’intelletto come Racine, La Rouchefoucauld, Pascal, affermavano che
l’uomo non si può conoscere chiaramente, ma solo Dio lo conosce, poiché lo
sguardo di Dio è l’unico oggettivo e perfetto.
M.me de Lafayette fa interpretare il ruolo di una donna che cerca, inutilmente, di
conoscere a fondo se stessa, e che agisce in un semi sonnambulismo dal quale si
risveglia bruscamente ogni volta. Questo è il significato dell’alternanza di scene in
società e in solitudine subito dopo.
Infatti tutte le azioni che la princesse fa, non sono volontarie, ma “non si accorge di
starle facendo”.
Madame de Cléves scopre dentro di se un mostro, che la porta dall’ignoranza
iniziale al malessere finale, e al non voler ricominciare una vita dopo la morte del
marito a causa di quel mostro, la passione, che si è impadronito di lei e non fa più
vivere.
Secondo M.me de Lafayette, l’amore è un maleficio, che costringe i malaugurati ad
autodistruggersi a causa sua.
Infatti, al termine dell’opera, c’è come una descrizione di un’estinzione, poiché la
coppia è ormai cessata di esistere.
La conclusione che M.me de Cléves si aspetta dal suo incontro col duca di Nemours,
è quella che appare ne i Désordres de l’amour di M.me de Villedieu, ovvero i due
protagonisti si sposano, ma dopo poco si separano, perché il nuovo sposo cessa di
amare la moglie, quindi fondamentalmente cosa, il duca di Nemours, probabilmente
avrebbe fatto anche con la princesse.

L’impossibile contatto
Il ruolo de duca di Nemours è sempre stato quello di spettatore, in quasi tutte le
scene in cui appaiono i due. Anche mentre lei confessa tutto al marito, lui è presente
e sta ascoltando. La princesse rifiuta qualsiasi tentativo di colloquio, quindi il suo
unico modo per ammirarla è rubare un suo ritratto, oppure, nella casa dov’ella era
rinchiusa per evitare il duca, sbirciarla dalla finestra affittando una casa nelle sue
vicinanze. Ella più fuggiva dal duca, più egli le era vicino a sua insaputa.
Per il duca, vedere la sua amante senza che lei se ne accorga, sapendo i sentimenti
che quest’ultima nascondeva, era una goduria che nessun altro amante ha mai
potuto provare.
Proprio per questo, sia la notte dei nastri sia la confessione della princesse sono
due eventi simmetrici: in entrambi, il duca era segretamente presente.
La notte dei nastri, in cui M.me de Cléves si confessa ad un quadro, era il momento
più vicino ad una notte nuziale per il duca, anche se la contempla da una finestra. In
M.me de Lafayette la comunicazione avviene solo a distanza e per vie indirette.
Lo stesso accadde con Zaide, due esseri che si amano non possono comunicare
perché non parlano la stessa lingua, quindi per capire se sono amati, sono costretti a
spiare gesti e parole senza senso. La passione separa coloro che si amano, rendendo
la comunicazione diretta infattibile, e infine la comunicazione impossibile.

Le “digressioni”
Un fatto che ha attirato molte critiche sono delle interruzioni, volute ovviamente,
della narrazione principale: 4 storie secondarie, che i critici del tempo preferiscono
chiamare unicamente digressioni, che distolgono l’attenzione dall’azione principale.
Questo è un punto sul quale il gusto è particolarmente cambiato. Da narrazioni in
10 volumi che eliminavano la storia principale a critiche per un numero minimo e di
breve durata di storie marginali.
I critici hanno messo a confronto La Princesse de Cléves con Zaide, e hanno notato
qualcosa: la storia di Zaide, cosi come voleva il gusto della prima metà del secolo,
iniziava da metà, in modo tale da concedere movimento all’opera e poter spiegare
tutta la vicenda antecedente. Le storie secondarie immettevano personaggi nuovi e
principali, ed era così che voleva l’epopea, il genere considerato fratello maggiore
del romanzo. Invece, nella Princesse de Cléves, le storie secondarie narrano di
personaggi già conosciuti e secondari, quindi a paragone risultano quasi inutili.
Madame de Lafayette non obbedisce più ai canoni di scrittura, alle regole dell’arte
del suo periodo, poiché non siamo di fronte ad un romanzo, ne poema epico ne
tragedia, ma davanti ad una storia continua.
Critico degli anni 80 del 1600, Du Plaisir, ha dato una distinzione chiara dal vecchio
al nuovo romanzo. Affermava che un romanzo è più breve, poiché le storie
secondarie venivano tagliate, e un romanzo lineare fa concepire le idee dell’autore
più chiaramente, riuscendo anche a distinguerne i pensieri. I punti di vista non si
mescolano più, la confusione del lettore si riduce drasticamente.
Grazie a queste importanti riflessioni, capiamo non solo che con questo nuovo tipo
di racconto otteniamo linearità e chiarezza, ma che distaccandoci dall’epopea e dal
romanzo precedente, distinguiamo anche lo sviluppo nel tempo di una passione e
ne comprendiamo il metodo dai procedimenti di concentrazione della tragedia
contemporanea.
Vediamo una straordinaria coerenza nelle parole di M.me de Lafayette: mettendo a
paragone Clélie con Zaide, e quindi anche con la Princesse de Cléves, notiamo che
per M.lle de Scudéry, amare era sinonimo di conoscere, cioè per amare qualcosa va
conosciuto a fondo, un amore nato dal nulla non è per niente duraturo. Mentre per
Lafayette, amore e conoscenza sono due opposti, uno non necessita l’altro: l’amore
è irrazionale. Infatti, Consalve viene tradito dalla donna che conosce bene, e si
innamora di una sconosciuta, quindi la sua stessa teoria era stata confutata.
Questa storia di Consalve è raccontata da lui stesso, si sostituisce al narratore,
presentando eventi passati, autobiografici. Il narratore, presentando il suo passato,
si comporta come soggetto dal sapere limitato e da narratore onnisciente che
conosce già tutto. Anche se esiste una certa confusione tra percezione del presente
e del passato: Consalve raccontava del tradimento della sua donna e dei suoi amici
come se egli sapesse tutto, ma in realtà li ignorava, non sapeva nulla.
A questa confusione M.me de Lafayette pone rimedio, essendolo stata anche lei, a
suo tempo. Ha dato al lettore una chiave di lettura non solo per capire i personaggi,
ma per saperne di più di quanto loro stessi non sappiano.

Presenza e assenza dell’autore


Un merito che va fatto all’autore, è il suo non intervento, o come lo chiamava De
Plaisir “disinteresse” dell’autore nel testo. Secondo questo critico, l’autore deve
limitarsi a far agire i personaggi dietro le quinte, senza dare opinioni personali su
alcuno di essi, a loro non spetta essere giudici. Ovviamente un occhio attento
comprende che De Plaisir vuole salvaguardare la libertà di visione del lettore,
rispetto ad un intervento fuori luogo di uno scrittore. Questo era anche una
prerogativa del nuovo romanzo, cioè dare per realmente accaduti i fatti raccontati in
un romanzo, senza commenti o inserimenti personali.
Anche nell’uso di alcune forme sintattiche, nella scelta di parole, De Plaisir non
concepiva eccezioni di alcun tipo. L’autore rischia, anche in questo modo, di uscire
allo scoperto, di interferire.
La mancanza dell’autore nell’opera si trasforma nella volontà del “muro tutto nudo”
di Flaubert, una linearità testuale perfetta.
Questa occultazione dell’autore serve anche a distaccarsi dalla vecchia novella, che
narrava di miracoli, avvenimenti sorprendenti, etc.
Qui c’è un problema per M.me de Lafayette: se si deve restare lontani dai propri
personaggi e dal proprio racconto, quindi vederlo solo dall’esterno, come si racconta
l’interno di un carattere? Le sfaccettature di quest’ultimo? Numerose soluzioni si
presentavano, e quella più adottata era donare al protagonista un confidente che ci
narrasse le emozioni del personaggio. Ma l’autrice si rende il lavoro più difficile,
cercando espedienti migliori e dandosi il potere del romanziere: fa chiudere in un
velo la protagonista, durante un momento di introspezione, e solo terze parti
interessate alle passioni del personaggio possono vedere il cuore di quest’ultimo, e
anche se il cuore è metaforicamente coperto, grazie a questo espediente possiamo
vedere limpidamente all’interno: questo perché la narratrice è l’intermediario
migliore. Grazie a lei conosciamo ciò che la protagonista non sa e si sforza di
nascondere, come il dolore dato dalla gelosia (è proprio la narratrice a farci capire
che la confusione è data da ciò).
Questo continuo dissociarsi e nascondere i suoi sentimenti, porta l’autrice a dover
agire al posto del personaggio.
Nel libro, però, appare molto spesso la volontà della scrittrice di comparire nei
momenti più intimi dell’eroina, in cui si confronta con se stessa.
Questi soliloqui sono diversi da quelli del romanzo moderno, cioè vediamo solo
pensieri che spuntano nell’immediato, e un rimuginarci su continuo.
La passione porta solamente disorganizzazione nella madame de Cléves, e lo
vediamo nei gesti, rossori, espressività non controllata, silenzi in compagnia.
Dunque nel romanzo vediamo alternarsi atti a contatto con altre persone e momenti
di riflessione personale, soliloqui. L’autrice cerca di andare sempre più in la con
l’introspezione, volendo comunque rimanere nell’anonimato, e riparandosi in un
certo senso dietro la nostra eroina.
Per nascondersi al meglio dietro un personaggio, la narratrice è costretta ad
utilizzare la tecnica del racconto in prima persona, non molto utilizzata durante la
sua epoca, ma riuscendo a mantenere un anonimato nella parte più recondita della
sua coscienza.
Madame de Lafayette, combinando rapporto impersonale col soliloquio allo stile
indiretto, crea un connubio perfetto di prima e terza persona, relazione e analisi,
presenza e assenza dell’autore.
La scrittrice è stata capace di rendere sensibile all’autore un abisso quale era il
cuore, tutto tramite la sua nuova scrittura.

DECIMA LEZIONE
Il regno di Louis XIV è all’insegna dello splendore, ed essendo molto giovane vive
proteggendo il pensiero libertino, non solo sul piano erotico. E’ qualcosa che vede
luce alla fine del XVII secolo, una corrente di pensiero che mette in dubbio
l’esistenza di Dio. Qui nasce il termine di spirito libero, Esprit libre, per liberarsi dal
dogma della chiesa e dalle imposizioni di quest’ultima.
Tutto questo durante gli inizi del suo regno, ma verso la fine, risulta essere
esattamente il contrario: con il giansenismo, c’è un ripiegamento della corte.
Nel 1685 Louis XIV ritratta l’Editto di Nantes del 1598, con il quale aveva posto fine
alla persecuzione degli ugonotti e aveva permesso una crescita economica e
culturale. Quella stessa crescita, quasi 100 anni dopo vedrà un’inversione, visto che
la ritrattazione dell’editto rifiuta la presenza dei protestanti ugonotti e immette una
nuova tensione politica e sociale. I protestanti iniziano ad emigrare, e questa
migrazione priva la Francia di cultura, alfabetizzazione (gli ugonotti erano i più
alfabetizzati) e fonte di denaro, in quanto essi lavoravano ed erano una grande
quantità, oltre che permettere scambi economici con l’estero grazie alla loro cultura.
Montesquieu nasce 4 anni dopo la ritrattazione, nel 1689.
A causa della moglie, che era giansenista, Louis XIV caccia i comédiens italiens,
alcuni tra i più grandi attori della sua corte, in quanto il giansenismo denigrava il
teatro (veniva visto come allontanamento da Dio).
La corte dunque, da che era centro di svago, ora è molto più cupa, devota, ci si
diverte molto meno.
Durante le molte guerre che egli ha intrapreso, parecchio denaro è stato speso e
quindi perso, e la guerra per la successione spagnola portò alla grande crisi
(recessione economica).
La vita intellettuale si sposta, dalle corti alle città, nei cafè e nei salon. In tal modo,
anche i borghesi sono capaci di dare il loro contributo alla cultura, grazie alla
circolazione di idee. Quindi ora c’è apertura al rinnovamento culturale, che si
chiamerà ILLUMINISMO (les lumières), che nasce quindi nelle città e non a corte.
In Inghilterra in questo periodo nascono due correnti filosofiche: Scetticismo e
Razionalismo.
Lo scetticismo è una corrente di pensiero che si pone di non accettare mai di credere
in qualcosa imposto da un’autorità, dunque ai dogmi.
Il razionalismo invece è una corrente basata sull’analisi, confronti coi fatti e scoperte
scientifiche. Grazie a Newton e la sua scoperta della legge di gravità, si dirama anche
l’Empirismo. Non ci si basa più sui dogmi, dunque fatti imposti presi per veritieri.
L’empirismo fonda una base di pensiero, un atteggiamento razionale costruito su
ipotesi e analisi. L’empirismo, come detto in precedenza, si ramifica a sua volta nello
scetticismo.
Dall’Inghilterra i francesi hanno preso spunto per scrivere un’enciclopedia, opera
onnicomprensiva. Alla fine del 600 quindi si usa lo spirito critico per analizzare degli
elementi.
Il pensiero di Cartesio, in più, forma l’idea della coscienza umana intrinseca al
soggetto (cogito ergo sum).
Si rimette in discussione l’intera autorità dogmatica della Bibbia, quindi per
estensione l’autorità della chiesa, la massima istituzione.
Il XVIII secolo si chiude con la rivoluzione del 1789, che farà sentire le sue
conseguenze in tutta Europa e per tutto il XIX secolo. Si rimetteranno in discussione
tutte le autorità, fino ad arrivare a quella del re, che essendo stato scelto per volere
di Dio viene trattato come l’autorità della chiesa, quindi messo in dubbio.
Senza un approccio intellettuale e un’elaborazione nuova della società e del potere,
non è possibile un’evoluzione che è necessaria in questo periodo.
Iniziano i viaggi nel lontano Oriente, che mutano il pensiero e danno vita ad una
nuova moda orientalista.
Chardin pubblica i Voyage en Perse, dove racconta tutti i suoi viaggi in Persia,
contribuendo alla visione generale di questo mondo esotico, alimentando curiosità
generali come usi e costumi in India, Cina etc…
Allo stesso modo, Galland, con la sua traduzione delle Mille et une Nuit, anche non
essendo una traduzione perfetta e scientifica, ha alimentato ancor di più la curiosità
verso questo mondo esotico.
Finalmente un atteggiamento disponibile a relativizzare il proprio pensiero, cioè
prendere in considerazione che c’è altro oltre la vita europea conduce al
relativismo: se io non fossi nato in un paese ma in un altro, sarei sicuramente
diverso (pregare con la corona vs. pregare Maometto). Prendere in considerazione
alla pari, senza sentirsi superiori perché diversi, accettare altri modi e altre idee per
vedere tutto vuol dire relativizzare. Per esempio, la monogamia in Europa e la
poligamia in Oriente. Opponendosi al dogmatismo, si attua un grande
decentramento, ovvero ammettere altri centri e punti di vista rispetto al proprio
paese.
Dopo la morte di Louis XIV nel 1715, ci sarà un periodo di reggenza che durerà fino
al 1722, e sarà la reggenza di Filippo d’Orléans. In cosi pochi anni, questo è stato un
periodo di grande importanza. In questi pochissimi anni, si rivaluta il piacere
sensibile, con un atteggiamento di libertinismo erotico, per esempio nascono i
romanzi erotici, nascono nuovi autori come per esempio il marchese di Sade, che ha
dato vita alla parola “sadismo”, ovviamente collegata al suo intendere il sentimento:
passione molesta, con presenza di dolore.
In questo periodo si riscoprono i sentimenti, lo stesso reggente fu uno dei primi a
travestirsi e ad andare in luoghi pubblici. E’ l’esatto contrario degli ultimi 20 anni di
regno austero di Louis XIV. Altro evento di gran rilievo, fu l’intervento economico tra
il 1716 e il 1720, a partire da un controllo generale delle finanze francesi da parte di
John Law, che riesce a portare il paese in bancarotta dopo una cosiddetta “febbre
speculativa”. In pratica egli si aspettava che dalle colonie, come in Louisiana (creata
in onore di Louis XIV) e a Nouvelle Orléans (in onore dell’attuale reggente)
arrivassero oro e argento in grandissime quantità, cosa che non accadde
praticamente mai, dunque il paese andò in bancarotta.
Nella prima metà del 1700 si sviluppa, come evoluzione del barocco, il Rococo,
corrente che vuole far ritornare lo sfarzo e la grandezza tipica barocca a discapito
della linearità classica, ma per fortuna non ha grandi influssi sul romanzo, genere
non ancora molto elevato nella gerarchia letteraria.

Nel 1721, dopo il primo crack finanziario, esce la prima edizione delle Lettres
Persianes, opera di Montesquieu. Esso fu il primo romanzo interamente epistolare
e polifonico, cioè con più punti di vista, con più voci. Non vediamo mai una voce
esterna alle lettere, ma informazioni unicamente provenienti da esse. Usbek e Rica
sono i due protagonisti, provenienti entrambi dalla Persia, e si dirigono in Francia,
scambiandosi lettere con gli amici e le mogli (poligamia, relativizzazione) rimaste ad
Ispahan. Proprio per questo è chiamato polifonico.

UNDICESIMA LEZIONE
Nel 1700 si parla di Homme de Lettres, uomini di intelletto come Voltaire, e questi
uomini sono coloro che si occupano di filosofia, tragedia in versi, letteratura.
Voltaire è una delle figure maggiori della letteratura francese, conosciuto per la sua
Candide, racconto filosofico, il trattato sulla tolleranza della morte di Jean Calas,
uomo condannato a causa delle leggi giudiziarie, si pensava avesse ucciso il figlio, a
causa di un pensiero di conversione da protestantesimo a cattolicesimo, quando il
figlio si impiccò e furono delle voci di vicinato a dire quelle calunnie su di lui. Voltaire
fu informato di ciò da un figlio di Calas esiliato, così creò un’opinione pubblica, e con
la sua ironia corrosiva riuscì, con il suo trattato, a farsi ricevere a Versailles da Louis
XV, e a far ritrattare il caso di Jean Calas. La sua memoria fu riabilitata e fu
approvato come innocente. Voltaire sarà il primo ad intromettersi in questioni
giudiziarie. Sarà conosciuto anche per aver scritto “L’Encyclopédie”, opera in
collaborazione con Diderot, Montesquieu e D’Alembert.
Per capire la relativizzazione e il cambio di prospettiva teorizzato in tutto il 1700, e
poi attuato con le Lettres Persianes di Montesquieu, dobbiamo parlare di un testo di
Marivaux: L’Ile des Esclaves, isola nella quale sono raccontati padroni e schiavi che
sono giunti naufraghi, e iniziano ad invertire i propri ruoli, mettendo in dubbio la
struttura della società. Attuano questo scambio per capire, dal punto di vista
empatico, cosa prova dall’una e dall’altra parte.
Una metafora del relativismo ce la dona ancora Voltaire, con il suo Micromégas,
opera del 1752. Due giganti provenienti dallo spazio, uno alto due chilometri e uno
32, giungono sulla Terra, abitata da esseri minuscoli pieni di orgoglio. Questi giganti
parlano con essi, e prima di ripartire uno dei due dona il libro della saggezza, che
risulta essere un libro bianco: “la saggezza è tutta da scrivere”. Simbolicamente, è
un rifiuto di tutto ciò che è già scritto, i dogmi.

Montesquieu inventa due uomini, che scappano dalla Persia e si dirigono in Francia,
proclamandola capitale del mondo occidentale. L’autore ha potuto inventare una
storia vedendo la sua realtà quotidiana non dal suo punto di vista, ma dal punto di
vista di due stranieri esterni a Parigi, come se fossero due alieni, aggiungendo un
forte senso di stupore, che donava veridicità al testo. Grazie a quest’opera un
lettore francese poteva vedere la sua stessa società come straniera, sotto una nuova
luce. Addirittura tra i due persiani ci saranno punti di vista diversi. Per comprendere
la diversità tra Usbek e Rica, possiamo analizzarne i nomi: tutte le vocali dei loro
nomi sono diverse. Rica è più giovane di Usbek e si gode il divertimento francese, al
contrario di Usbek, molto più malinconico borioso, ed è l’alter ego di Montesquieu.
Montesquieu era un funzionario dello stato, cioè era Presidente del Parlamento di
Bordeaux, quindi in quanto parlamento, si occupava di emanare a tutti i sudditi del
re le leggi, e inoltre raccoglieva le lamentele dei sudditi e le riportava al re.
Con le Lettere Persiane ci troviamo nel 1721, epoca della fine della reggenza.
Montesquieu essendo prevalentemente uomo di politica, nel 1748 scrive l’Esprit des
Lois, trattato sul quale si forma il pensiero delle istituzioni politiche occidentali. Qui
egli si interroga su quale fosse il regime migliore, ed arrivò alla conclusione che era
necessario equilibrio tra le varie cariche: Montesquieu è per una monarchia
moderata, infatti critica l’assolutismo e non vede di buon occhio la repubblica.

Lettres Persianes
Montesquieu adotta il calendario persiano, per esempio 15 della luna di Safar, che
equivale a febbraio.
Nel 1721 pubblica quest’opera in anonimo, visto che in fin dei conti criticava il
paese, e da funzionario politico non poteva permetterselo. Grazie a questo
espediente, non incorre in censure. Inoltre, un uomo di legge non era ben visto se
scriveva romanzi, considerato un genere leggero, che doveva far ridere. Infatti, in
questo romanzo, è presente anche una parte ironica.
Prima lettera
Essi sono i primi persiani a muoversi per volontà di conoscere (almeno per ora
abbiamo questa certezza) e questi valori rientrano in quelli illuministi. Loro
sapevano che ci fosse altro da conoscere, quindi si sono spinti oltre i limiti della loro
possibile conoscenza in Persia. La messa in discussione è atteggiamento tipico dei
Lumiére.

Seconda lettera
Usbek manda una lettera al serraglio, cioè il luogo dove tiene rinchiuse le sue mogli.
Gli eunuchi, con al vertice un capo al quale spedisce questa lettera, sono persone al
suo comando che non hanno alcun potere, ma egli può investirli con tutto il suo
potere quando vuole. Ogni eunuco viene castrato, mentre il capo eunuco viene
privato di tutti gli organi genitali. Gli eunuchi sono la “Polizia dell’Harem”, cioè il
luogo del piacere di Usbek.
Il capo eunuco viene intimato da Usbek di svolgere il suo lavoro decentemente, di
soddisfare le richieste delle sue mogli, ma nel momento in cui esse si prendano
troppa corda per cosi dire, egli deve agire da superiore.
E’ un immaginario del dispotismo: il serraglio con a capo Usbek è una metafora del
potere dispotico e del regime assolutista. Il persiano è il despota del serraglio.
Vediamo l’imposizione della superiorità sul capo eunuco, quando Usbek dice al suo
sottoposto che “lui lo ha tirato fuori dal nulla”, quindi tutto il potere che ha il grande
eunuco potrebbe non averlo più da un momento all’altro.
L’alter ego di Montesquieu è un personaggio ambiguo, poiché attua analisi brillanti
sul dispotismo, ma nasconde un aspetto peggiore, ovvero quello dell’assolutista.
Terza lettera
Dalla terza lettera, vediamo la polifonia: le mogli e il suo amico Rustan gli scrivono,
quindi abbiamo molteplici voci che parlano.
Ottava lettera
Nella corte in cui lui andò fin da giovane, Usbek voleva smascherare tanti vizi che
osservava. Voleva far conoscere al sultano questi vizi, quindi si denota la sua
funzione da tramite tra sultano e sudditi. La sua troppa sincerità gli ha causato non
pochi nemici, per questo fu costretto a scappare in Francia: la sua volontà di
conoscenza era una farsa, ma in seguito gli verrà l’amore per il sapere.
Quest’uomo è capace di vedere la fragilità del dispotismo, ma non mette in
discussione il suo potere, che è praticamente dispotico, nel suo serraglio.
Starobinsky dirà che il serraglio è quel relativo che Usbek non riesce a relativizzare.
Critica il potere dispotico, ma non ammette la sua stessa distribuzione del potere.
Risultato: il serraglio cadrà, così come un regime dispotico.

DODICESIMA LEZIONE

Lo sguardo di uno straniero è privo di pregiudizio, quindi permette di scovare i


presupposti simbolici dietro i sistemi di valore, potere, gerarchie, cose che chi vive la
società non vede. Il romanzo ci apre a questa nuova visione in modo vario e
frammentato, attraverso le decine di lettere, e attraverso il loro stupore. Il quadro
della società ci viene dato in modo frammentato, attraverso delle lettere e non
attraverso un trattato.
Lettera 24
Parla Rica, e dice che in un mese a Parigi, non ha visto nessuno camminare, ma ci
sono solo macchine (cioè carrozze), case una sull’altra… Qui si nota il tono ironico
del testo, laddove Rica afferma che se i francesi si muovessero lenti come i cammelli
in Persia, gli prenderebbe una sincope, e sta a simboleggiare la frenesia della grande
città occidentale.
Interpretando degli stranieri, Montesquieu indossa una maschera persiana, vedendo
la società con gli occhi di un non nativo francese.
Il sovrano francese è visto come il più forte, quindi il centro di potere europeo torna
la corte francese. Per di più, è molto ricco, ma non di oro come il suo vicino, il re di
Spagna, ma di vanità: i suoi sudditi sono vanitosi, e la loro vanità è la sua miniera.
La sua ricchezza materiale viene dalla vendita delle cariche nobiliari, come con la
noblesse de robe, che Montesquieu critica, proprio raccontando di queste vendite. Il
re viene definito da Rica un “gran mago”, cioè riesce a far pensare ai sudditi ciò che
egli vuole che pensino. Guai se un funzionario venisse scoperto a criticare in tal
modo il re, eppure grazie alla pubblicazione anonima e grazie all’espediente dei due
persiani, egli riesce a farlo impunemente, poichè il cambio di prospettiva ha potere
desacralizzante. Per il persiano, l’uomo che si guarda come sovrano assoluto è solo
un mago.
Si fa accenno ad una pratica economica che attuava il re: se il regno aveva bisogno di
due milioni di scudi (moneta del tempo), ma se ne disponeva di un milione soltanto,
il re faceva credere che uno scudo ne valesse due, cosi da averne abbastanza a
disposizione. Questa pratica venne vista come assurda dai persiani, perché il denaro
di un regno dipende dalle casse di quest’ultimo, e con questa pratica non c’era
abbastanza sostegno, infatti ci fu una forte inflazione.
Dice, però, che c’è un mago ancora più grande, cioè il Papa: fa credere che uno sia
tre (trinità), che il pane non sia pane e che il vino non sia vino. Vediamo una forte
desacralizzazione del dogma dell’eucarestia, che era vista come una cosa
impossibile da fare nel 1700, ma lui fu il primo ad attuarla. Dietro un personaggio
che si esprime con relativa leggerezza c’è grande analisi e grande studio, tipico
illuminista.
La critica filosofica vede la religione secondo il pensiero deista: c’è stato un essere
che ha dato il principio all’universo, quindi Dio, ma tutti i riti sacri e le cerimonie
sono state invenzione dell’uomo, cosi come i miracoli non esistono, e la
laicizzazione, dopo questa enorme critica, inizia proprio in questo secolo, secondo
spirito critico e logica. Ovviamente, non si è formato facilmente.
Si fa inoltre riferimento ad una famosa bolla papale, che Rica chiama costituzione,
visto che essendo persiano non poteva conoscerne il vero nome: è stato fatto per
dare un accenno di veridicità. Si parla comunque della bolla Unigenitus emanata da
papa Clemente XI, una bolla che vedeva le donne come punto medio tra animali e
umani, e che quindi non potessero leggere la Bibbia.
Ci furono donne, quelle colte, che leggevano le sacre scritture, e attraverso i loro
rappresentanti uomini cercarono di far ritirare la bolla.
Sotto questo punto di vista, ci dice Rica, il Papa e un barbaro musulmano hanno la
stessa visione delle donne come inferiori, che non possono andare in paradiso,
quindi non serve che legga le sacre scritture; e ce lo dice facendo ragionare proprio
un musulmano.
Montesquieu cerca di colpire alla base la sicurezza dei francesi di essere superiori a
tutti. Il XVIII secolo mette in dubbio la gerarchia di genere.
Lettera 28
Rica va a teatro, descrivendo ciò che vede: lo spettacolo era tra gli spalti. Tresche
d’amore, gente che si saluta e via dicendo. Montesquieu fa vedere come, quella
scena, per un francese potesse risultare normale, ma per uno straniero è a dir poco
straordinaria.
Lettera 80
Riuscendo a relativizzare, si trovano tracce di somiglianza tra i popoli. Con il
decentramento, ritroviamo i grandi princìpi: giustizia, ragione e tolleranza.
Questa lettera parla proprio della giustizia.
Usbek si domanda quale potesse essere il miglior governo, il più ragionevole. Giunge
alla conclusione che il migliore è un governo che riesce ad ottenere il più grande
risultato con il minimo sforzo, senza partire da nessun dogma.
Ritiene che un governo non debba soffocare i bisogni naturali dell’uomo, ci vorrebbe
troppo sforzo, quindi il migliore è quello riconosciuto dai sudditi senza uso della
violenza, o meglio un uso non eccessivo.
A parità di sottomissione è preferito un governo meno violento e più propenso alla
ragione. Egli qui ragiona sulle istituzioni politico-sociali, ma non a partire da principi
morali o ideologici, ma di utilità: quello più efficace, meno dispendioso che ottiene
di più con poco sforzo.
La riflessione sulla giustizia: qualsiasi governo, mite o crudele, deve punire i
criminali per gradi (piccolo crimine, pena leggera e viceversa). Anche su questo si
basa il principio razionale.
Relatività culturale: la mente si forgia in base a ciò che vive. Un asiatico che ruba
qualsiasi cosa teme che gli si tagli il braccio allo stesso modo di un francese che
ruba, e teme una multa con qualche giorno di prigione.
Ad esempio, dice Usbek, l’infamia e la disperazione che porta questa infamia in un
francese, per un turco non è nulla. Se bastasse alzare la pena per far smettere di
esserci crimini, allora in Turchia non dovrebbero più essercene, eppure non sono
nemmeno diminuiti: qui egli critica il suo stesso stato.
Critica anche il dispotismo, dicendo che il principe che fa la legge è meno padrone
che altrove.
La violenza fa si che l’autorità venga sempre più disprezzata, e anche solo esercitarla
è rischioso per il despota, per la sua tenuta di potere.
Le lettere 80, 83 e 85 sono collegate.
TREDICESIMA LEZIONE
Lettera 83
Il Dio deve essere necessariamente buono, altrimenti sarebbe l’essere più malvagio
e imperfetto. La giustizia è un concetto superiore alle passioni, e vediamo il rapporto
di convenienza che c’è con le cose: cosa ci guadagno a seguire la giustizia?
Bisogna far leva sugli interessi degli uomini per regolare le passioni di qualsiasi tipo.
Non siamo più in un ordine di riflessione giansenista, ormai c’è razionalità: l’uomo
non è cattivo per indole, ma commette ingiustizie per proprio interesse, quindi
vanno bloccati questi spunti di male, bloccando le passioni.
Non si nega l’esistenza di Dio, ma lo si lega alla giustizia: egli deve essere giusto.
Sono tutti ragionamenti sillogistici: L’uomo segue il suo interesse; Dio sarebbe
cattivo se non avesse alcun interesse; Dio si identifica con la giustizia.
Il cuore della lettera: nell’ipotesi che Dio non esista (che è un dubbio audace per
quel periodo), dovremmo comunque amare la giustizia, essendo un ideale che va al
di là, fondamento di tutti gli altri ideali, la giustizia è un assoluto. L’Idea di giustizia
non può non esistere. Dopo la messa in discussione e la relativizzazione, si è
finalmente pronti per capire i valori universali, tra i quali la giustizia.
L’idea di giustizia non dipende dalle convenzioni umane: c’è giustizia in molte civiltà
diverse, anche se è diversa, in tutte le società. Se c’è giustizia, la si deve riconoscere.
Questo valore dell’assoluto è stato possibile solo grazie alla relativizzazione di
Montesquieu sull’Oriente. Grazie ai due persiani e al punto di vista relativizzato,
Montesquieu ha già distrutto le certezze del lettore francese, che credeva di essere
migliore di tutti, e dopo la relativizzazione si possono comprendere i valori assoluti.
Viviamo sempre in una società in cui qualcuno è più forte di noi, in cui possono farci
del male, spesso anche senza punizioni.
L’idea di giustizia la possiedono tutti al loro interno. Si può scegliere di calpestarla,
ma è presente in ognuno. Se non ci fosse, ci passeremmo davanti come leoni e
avremmo paura, saremmo sempre in pericolo.
Critica Deista: Dio deve essere giusto, è una visione basata sulla ragione: mom può
esistere un Dio tiranno.
Lettera 85
Usbek parla di qualcosa accaduto in Persia: lo scià Soliman voleva cacciare gli
armeni, a meno che essi non si fossero convertiti. Qui Montesquieu fa riferimento
all’editto di Nantes, ritrattato a sfavore della tolleranza verso gli ugonotti da Louis
XIV nel 1685. Ovviamente lo scià Soliman di Persia era una copertura, era chiaro che
si intendesse Louis XIV e il regno di Francia. L’allusione è una tecnica narrativa che
permette agli autori, come Montesquieu di parlare della sua società e delle sue
istituzioni.
Qui dice che il caso ha servito la ragione e la politica, e ha fatto si che tutto finisse
nel nulla. La cieca devozione avrebbe causato qualcosa di più grande. Lo scià era un
accecato religioso, non accettava altre religioni all’infuori di quella da lui professata,
e possiamo fare un parallelismo tra la cacciata degli armeni e quella degli ugonotti,
quindi tra lo scià e re Louis XIV.
Voltaire scrisse il trattato sulla tolleranza, e Montesquieu lo riprese, perché
ragionando in termini razionali, era più vantaggioso vedere le minoranze religiose
come risorse per lo stato.
Lettera 102
Primo argomento contro il dispotismo, che detiene un potere pressoché illimitato.
Finisce per rendere molto simili i concetti di padrone assoluto e suddito assoluto, li
sottomette e li inverte, grazie al capriccio del caso, della fortuna. Qui Usbek vede le
differenze tra le monarchie in Occidente e in Oriente: in Persia i sudditi soffrono la
stessa pena sia se rubano un pezzo di pane, sia se attentano alla vita del sultano. In
occidente, invece, le pene sono proporzionate al crimine, e unito al non eccessivo
utilizzo della violenza, si vedevano molti meno principi destituiti in modo violento.
Una tirannia, oltre che a spendere molte energie per governare attraverso la paura e
la violenza, è sempre in pericolo.
Lettera 103
Ci devono essere delle forze diverse per equilibrare tutti i poteri espressi da
un’entità. “Sfortunato il re che ha una sola testa!” dice Usbek, affermando che una
figura regnante deve dividere i suoi poteri per essere più al sicuro: un despota è un
bersaglio identificato e unico per ottenere o far cadere il potere, cosa che non
accade con un monarca moderato, che divide le sue cariche.
Lettera 104
Non tutti i popoli europei sono sottomessi al loro principe ugualmente. La maschera
persiana fa si che si possa parlare di altri popoli senza ripercussioni su se stessi. Per
esempio, qui si parla degli inglesi che non sono soggetti a sottomissione ed
obbedienza: nel fondamento inglese c’è la gratitudine, mentre in molti altri paesi,
vige solo la paura. La paura non lega le persone, mentre la gratitudine si.
Montesquieu ha paura che dall’assolutismo si arrivi ad un dispotismo, e visto che un
popolo si riprende sempre la sua libertà naturale e la paura porta alla guerra, le
premesse sono quelle di rivolta e guerra.
Montesquieu mette in bocca ad Usbek il pensiero degli inglesi, affermando che
nessun potere è legittimo, visto che non ha una nascita legittima: non si può dare a
qualcuno più potere di quanto non se ne abbia su noi stessi; se noi non abbiamo
potere illimitato su noi stessi, nessuno sulla Terra può averne.

Proprio questi concetti fanno si che scoppi la rivoluzione inglese nel 1649. Carlo I fu
decapitato a causa dell’obbedienza verso il soggetto forte: il popolo era diventato il
soggetto forte, il re quello debole. Senza la sua obbedienza ai suoi sudditi, il re era
punibile.

QUATTORDICESIMA LEZIONE

Montesquieu non è il solo a parlare della sua attualità, o di politica, ma era il target
dei “phylosophes” di quel tempo.
Parliamo del dramma del serraglio: le 5 mogli di Usbek e 7 eunuchi, tra cui il capo
eunuco nero che erano rimasti a Ispahan, e le mogli erano rinchiuse nel suo harem
personale.
E’ un microcosmo, una raffigurazione, anche erotizzata, del regime dispotico. Le
dinamiche nel serraglio sono le stesse che si scatenano in tale regime. Montesquieu
presenta il dispotismo come degenerazione dell’assolutismo. Per i suoi
contemporanei è difficile accettare quelle concezioni, essendo un pensiero molto
avanzato.
Lettera 62
La figlia di una delle mogli, Zelis (che scrive ad Usbek), compie 7 anni, e lei chiede al
marito se può vivere al serraglio. Non è mai troppo presto per privarle della libertà
fin da piccola, più che farle aspettare poco prima di sposarsi per farle rinchiudere,
dice Zelis. Bisogna abituarsi alla dipendenza e alla sottomissione. Secondo la visione
della moglie, la natura rende felice gli uomini, e le donne sono strumenti per
rendere felici gli uomini. Montesquieu fa dire queste parole proprio ad una donna
succube di quella natura: la natura è una gerarchia a vantaggio degli uomini, a
discapito delle donne, però è proprio una donna a dire che è un sistema giusto.
Questo espediente serve per rendere verosimile l’affermazione. Montesquieu crea
un eroe, o eroina, e se egli o ella esprime delle massime, tende ad essere ascoltata
più di un personaggio come lo zio della princesse de Cléves se dicesse una massima
d’amore, in quanto vede l’amore con troppa leggerezza.
Dunque, la frase sull’ingiustizia della natura, detta da chi l’ingiustizia la subisce
direttamente, ha molto più significato.
Montesquieu mette in bocca alla moglie la massima “l’ingiustizia è giusta” rispetto
alla sua situazione, ma il lettore prende le distanze da questa massima, visto che in
Europa la poligamia non era accettata.
Zelis rivendica il suo aver gustato, vissuto, attraverso l’immaginazione, più di
quanto abbia mai fatto Usbek. Egli, per gelosia, le fa guardare giorno e notte, e ciò lo
rende schiavo delle sue mogli anche se sono rinchiuse.
Non c’è alcun collante sociale, ne di gratitudine ne di reciprocità, questo non rende
forte il tiranno, ma solo più debole e dipendente dalla sua inquietudine. Zelis gli dice
quelle cose per prendersi una vendetta su suo marito, ed è un modo per far capire la
debolezza del regime.
Nella lettera 141, Rica scrive a Usbek, e gli scrive una storia simile a quella della
lettera 62, ma quella storia finisce con una donna che, nonostante “non potesse”
finire in paradiso, ci arriva, e nel paradiso è tutto invertito: sono gli uomini a servire
le donne. Rica cerca di dire ad Usbek di non essere troppo pressante, perché poi loro
potevano scegliere qualsiasi altra cosa meno che lui.
Lettera 147
Tra la lettera 147 e la lettera 146 passano 3 anni. La lettera 146 è contro la politica
finanziaria di John Low, datata 1720, e subito dopo Montesquieu effettua un
anacronismo epistolare, cioè pone la lettera del disastro al serraglio, datata 1717
proprio dopo la critica di John Law. E’ una scelta ponderata, poiché il lettore,
leggendo prima la 146 e poi la 147, riesce a tessere dei legami tra la crisi in Francia
con la bancarotta della febbre speculativa, e la crisi del serraglio, che sono
ideologicamente correlate.
Questo è anche frutto di un espediente narrativo detto accelerazione drammatica,
ci fa vivere in pochi attimi, 3 interi anni.
Invece di distribuirle nel romanzo, dispone tutte le lettere alla fine del testo, così da
dare l’effetto di accelerazione drammatica, e far sembrare che tutto sia accaduto in
pochi mesi.
Questa lettera fa uno strano effetto ad Usbek: a Zelis cade il velo mentre stava
andando in moschea, nel serraglio ci sono tracce di corrispondenze con l’esterno, un
giovane è entrato nel serraglio: è letteralmente una tragedia, e ormai Usbek era
tradito. L’eunuco chiede pieni poteri al padrone per risollevare le sorti del serraglio.
Lettera 148
L’eunuco ottiene pieni poteri da Usbek in questa lettera, e l’eunuco ha possibilità di
punire, castigare, esercitare la violenza tipica del dispotismo, il terrore.
Tutto per scoprire se le mogli stessero tradendo Usbek: lui gli chiede di esercitare
eventuale repressione.
Lettera 151
Il grande eunuco muore, ne resta solo uno, Sorim, che non può gestire la situazione
come il capo eunuco. La repressione non riesce, mancava la forza e la possibilità.
Lettera 154
Usbek spera che l’unico eunuco rimasto massacri le mogli, e augura loro solamente
il peggio.
Lettera 155
Usbek ha deciso di tornare in Persia, anche se questo gli significava morte certa, a
causa dei suoi nemici. Se nell’harem dovesse trovare le mogli colpevoli, non sa cosa
diventerebbe, essendo ormai disonorato. Capisce che ha perso il controllo di tutto,
sia dell’harem che della sua mente. Le punizioni che egli voleva dare alle mogli non
gli toglievano la confusione e la disperazione, e di certo il suo onore non sarebbe
ritornato.
Era una richiesta innaturale ciò che lui chiedeva e faceva alle sue mogli, allo stesso
modo di un despota che chiede cose innaturali ai suoi sudditi.
Questa conclusione, da estrema ragione a Zelis nella lettera 62, Usbek non ha più
nulla, è infelice e disperato.
Lettera 161
E’ la lettera conclusiva dell’opera, ed è una delle più importanti. Qui tutto viene
rovesciato. Roxane, una delle mogli di Usbek si avvelena. Finalmente vediamo il
punto di vista della donna, dove dice che lei ha sempre odiato suo marito.
Finalmente, Usbek è costretto a vedere quel relativo che non ha mai relativizzato. Le
leggi dispotiche sono state sovrastate da quelle della natura, visto che quei regimi
sono innaturali e fragili. Roxane dice ad Usbek che lui non la conosce affatto, e
questo è un riferimento alla lettera 26, nella quale Usbek diceva cose che erano
effettivamente vere e lui credeva che fossero capricci della moglie, per esempio
“sembrava che lei lo odiasse”, e invece era proprio così. Lei lo odia a tal punto da
non voler perdere la sua verginità più al lungo possibile con suo marito. In questa
lettera, lei dice tutto quello che avrebbe voluto dirgli da tanto tempo. Rileggere la
lettera 26 dopo aver letto la 161 fa un effetto completamente diverso.

L’odio di Roxane per Usbek è la trasposizione di quello che un suddito prova verso
il despota. E’ anche una scena di eroismo nella quale Roxane vuole che suo marito
veda il suo coraggio, diventando, dopo la scena dell’avvelenamento e della
condanna a morte, un’eroina tragica, che riprende molto la morte del Fedre di
Racine. La sua morte è gesto di forza e di libertà dopo aver ucciso tutti i guardiani
del serraglio.

Saggio critico Starobinsky


Molti romanzieri del ‘600 si facevano credere editori, che entravano in possesso di
diari e li pubblicavano al pubblico per istruirlo. Montesquieu non era da meno: oltre
che a trovare un pretesto per spiegare come fosse entrato in possesso di quelle
lettere, omette anche il suo nome. L’autore si eclissa (o finge di farlo). Prevede tutte
le critiche. Anche se restare in incognito non era tanto per la sicurezza dell’autore,
ma per la costituzione testuale stessa. Fingere che le lettere vengano da due
persiani, aggiungendo qualche loro segreto, riesce ad appellarsi all’autorità della vita
reale e in più si nega qualsiasi origine immaginaria. Dobbiamo considerare
l’esistenza dei personaggi come veritiera. Per questo, il narratore deve svolgere
un’auto eclissi al fine della verosimiglianza del testo. Coloro che scrivono l’opera
sono tutti coloro che scrivono le lettere, ai quali viene affidato il regime del testo,
con diversi punti di vista e diverse coscienze. I personaggi possono
fondamentalmente dire ciò che desiderano, esprimere convinzioni, pareri, giudizi, in
totale libertà.
I lettori si accorgono subito che dietro la pluralità dei personaggi, si presenta un
autore che si compiace di confrontare passioni opposte, dogmi e critiche ai dogmi.
La contraddizione si trova praticamente dappertutto, soprattutto nella figura dei due
persiani, o tra la società orientale e quella occidentale, vista sempre dai persiani.
Montesquieu non vuole mai che il lettore si annoi, ma allo stesso modo vuole far
trionfare la ragione attraverso le opposizioni. Quindi anche in una scena comica,
potrebbe celarsi la più grande contraddizione.
Tutto attira l’attenzione dei viaggiatori, tutto li fa ragionare, li fa riflettere: così è
garantito il principio della varietà, ulteriormente arricchito dalla presenza di molte
voci femminili.
Nell’opera si salta da un argomento all’altro, spostamenti bruschi e incongrui che
però sono anche piacevoli. Questo crea sorpresa, che è il tono che Montesquieu
voleva dare al libro. I discorsi che l’autore fa pronunciare ai due persiani, sono privi
di responsabilità, e questo pretesto gli concede di pronunciare frasi veramente forti.
E’ libero da qualsiasi legame e da qualsiasi obbligo.
Cosi Montesquieu scrive sempre qualcosa piena di vivacità, che indica a prima vista
ignoranza tra chi parla e gli oggetti di cui si parla. Affermazioni o idee che sottoforma
di trattato sarebbero state dei richiami alla morale classica, Montesquieu li
attribuisce ad un epistolario persiano. Queste idee sono come delle scoperte, e chi
le enuncia e le scrive, prova sicuramente il piacere della sorpresa. Lo scrittore
dunque pone un saggio sottoforma di lettera, rendendo inutili preamboli e
anticipazioni, arrivando dritto al sodo.
Montesquieu deve trovare un modo nuovo di scrivere, migliore, e man mano trova
felicità nello scrivere in questo nuovo modo.
L’anonimato fa parte del sistema letterario delle Lettres Persianes, non nominarsi
mai, non scrivere dediche ne dare un nome a coloro che incontrano i due
viaggiatori. Nessun essere vivente ha un nome, solo paesi città o istituzioni.
Eclissarne il nome mette a nudo le persone e il loro ruolo sociale, il loro
comportamento generale. Montesquieu ha voluto dare ai suoi viaggiatori interesse
per insiemi e sottoinsiemi di gruppi caratterizzati, appartenenti alla società.
Quando vediamo la presenza di un singolare, ci si riferisce sempre ad un plurale: un
alchimista o un uomo galante, un giudice, non è mai presentato come il solo della
sua specie, ma ciò non basta a darci un quadro preciso della società francese:
mancano molti mestieri, tra cui tipi psicologici e passionali, che Montesquieu si
riserva di mettere per mantenere una correttezza con i sentimenti presenti in Persia,
quali odio, collera, gelosia, finzione.
I visitatore non si sofferma su una persona: appena la vede, ne fa una descrizione a
primo acchitto, non gli serve un secondo incontro. Allo stesso modo Montesquieu
vorrebbe che i suoi lettori guardassero il paese dal punto di vista dello straniero.
In senso caricaturale, la Francia è molto distante dalla Persia, quando in realtà dalla
realtà erotica non ci passa molto, sono molto simili.
I persiani sono stupiti dello straordinario, ignorando costumi, idee pratiche e via
dicendo. Lo stupore fa da agente separatore. Infatti ci permette di vedere tutto in
modo discontinuo, che ci stupisce, e non ci fa avere una visione globale della
società.
Questa frammentazione rende possibile inserire un attacco, tramite un meccanismo
molto articolato.
Il fatto che lo scrittore ignori i rapporti dei francesi rende possibile individuare,
grazie alla mancanza di pregiudizio, la trama precisa delle istituzioni occidentali: i
legami sono falsi, ci sono lacune e rotture che i francesi non riescono a percepire.
Montesquieu, per quanto abbia reso discontinuo il suo testo, a prima vista, ha
creato dei legami invisibili, una catena segreta che lega tutto. Discontinuità non vuol
dire confusione, egli fa evolvere i personaggi facendo collegare i temi di cui parlano.
Essi iniziano a parlare del vertice della società, il papa e il re, però poi, gli altri livelli
sociali vengono analizzati in disordine: la loro attenzione è attratta dall’irregolarità
dei gruppi sociali.
Per parlare di ciò che non ha un nome, e che sarebbe tabù se nominato, si utilizzano
descrizioni e perifrasi. Per esempio il rosario sono “palline di legno”, Omero diventa
“un vecchio poeta greco” etc.
Di fronte a cose che i persiani non conoscono, lo scrittore utilizza vocaboli tipici
persiani, per esempio una chiesa diventa una moschea.
Si riesce a parlare di tutto in questo modo, è vero, però si desacralizza anche ciò che
è sacro facendolo risultare solamente convenzione, sono solo gesti richiesti dal rito.
Desacralizzando tutto, Usbek e Rica faranno cadere un numero enorme di maschere
presenti nella società, come il re che vende le cariche, o che cambia la valuta della
moneta a suo piacimento e favorisce l’inflazione. Tutto sommato, però, la Francia è
un paese dove è possibile vivere sereni, un paese dove le donne escono in pubblico
e col viso scoperto.
I nomi dei due protagonisti, Usbek e Rica, sono scelti per dipingere caratteri e umori.
L’estetica della varietà sopracitata, richiede che i testimoni persiani siano sdoppiati.
Stessa origine ma diversi in sensibilità, atteggiamenti e punti di vista.
Rica è più giovane, più spensierato, e il solo nome ci fa comprendere la sua felicità,
gaiezza. Può appartenere al nuovo mondo completamente: dietro non si lascia
harem, mogli, qualcosa da amministrare, ma solo una madre “inconsolabile”. Nulla
gli vieta di gustarsi la sorpresa di ciò che avverrà, e di vivere il momento presente
con spensieratezza.
Rica è il completamento di Usbek, che ha il ruolo principale nella storia. Le due
vocali presenti nel nome di Usbek non compaiono in quello di Rica, questo gioco con
le lettere ci fa comprendere l’antitesi, l’opposizione tra i due. In più, la K finale nel
nome del simil despota, lascia spazio per pensare ad un cattivo presagio per la
conclusione della sua storia.
Rica è gioviale, sanguigno, mentre Usbek è malinconico, ostile verso le maschere e i
travestimenti, distaccato in amore, ma che comunque gli permette di provare
grande gelosia. Lo si reputa un uomo maturo, che fa fatica ad immettersi in un
mondo nuovo, e un musulmano ragionevole che si avvicina al deismo e al
cartesianesimo.
Si fa grande affidamento sulla questione delle lettere per spiegare alcuni caratteri
dei personaggi: la mancanza della “o” in “Usbek” e “Rica” simboleggia Roxane, la
moglie audace del primo, che sappiamo cosa fa durante l’opera; simboleggia anche
l’eunuco, l’ultimo a rimanere in vita, Solim. La lettera “Z”, come principio del nome,
secondo la cultura del rococo, simboleggiava erotismo, infatti 3 mogli avevano
questa iniziale.
L’importanza del tempo e dello spazio si denota subito nell’opera: abbiamo sempre
una data e un luogo precisi, così da dare verosimiglianza spazio-cronologica, e
veridicità al testo che simboleggia un vero viaggio cosi come lo intendeva
Montesquieu. Usbek voleva conoscere, ma si rifiutava di farlo bloccato dalla cultura
del paese natale. La cultura è moto, viaggio.
Tutte le decisioni che prende Usbek sembrano contro un Iranocentrismo, ovvero
contro la centralità del suo paese e del suo punto di vista. Ciò non significa che Parigi
sia il centro d’Europa, ma che bisogna decentrare la propria visione, e infatti il
lettore viene portato a fare ciò.
Lo spazio geografico non comporta solo le due contrapposte capitali, ma
praticamente una miriade di paesi diversi: Italia, Francia, Spagna, Oriente,
Inghilterra, anche politicamente, Russia e via dicendo; più numerosi paesi citati.
Avendo effettuato un giro pindarico del mondo, il lettore esposto alla relatività degli
assoluti venerati in luoghi diversi, ha un atteggiamento molto cosmopolita, e spera
solo nella felicità dei popoli.
Trionferanno così i concetti universali di Ragione, Giustizia, Natura.
Per Montesquieu, dietro una causa se ne nasconde un’altra: ci viene riportato anche
stesso con Usbek, che nella prima lettera è il desiderio di sapere la causa del suo
movimento, mentre poco dopo scopriamo le inimicizie che si è creato e la sua certa
morte se fosse rimasto a Ispahan. Anche se, fingendo quel piacere nel conoscere,
poi gli venne davvero la passione, anche se il motivo politico era ugualmente
rilevante per la sua fuga. Il conflitto tra smascherare il vizio alla corte del sultano e la
violenza dei cortigiani costituisce, per il testo, il motivo generatore: senza di esso, il
testo non sarebbe esistito. Si spiegano le molte lettere di critica politica, che
vengono da un uomo che ha vissuto ciò di cui parla. Come Usbek ricorre alla fuga
per eludere il despota, Montesquieu si incarna in lui e utilizza la sua figura e la sua
mentalità per sfuggire a censura, pene della chiesa e dei poteri più forti. Il viaggio di
Usbek è un metaforico viaggio della mente di Montesquieu. Sono effettivamente
alter ego. Usbek indirettamente critica gli abusi di potere della monarchia francese.
L’immagine della Francia quindi è sovrapposta a quella del dispotismo orientale.
Montesquieu afferma che se si dovesse affermare il dispotismo, ne usanze ne clima
reggerebbero più e ci sarebbe solamente sofferenza; allo stesso modo Usbek
afferma nelle lettere persiane che una monarchia forse non è mai esistita perché
sfocia sempre in dispotismo o repubblica, e un despota, senza guardie, truppe e
terrore esercitato, durerebbe nemmeno un mese. Un esempio completo del disastro
della tirannia lo troveremo nella distruzione dell’harem di Usbek.
Egli, mentre lascia la sua patria, non può fare altro che guardarsi indietro. Nella
prima lettera, è felice di lasciare per passione della conoscenza e per sopravvivere il
suo paese, ma nella seconda è estremamente preoccupato per la situazione nel suo
serraglio. Lui scrive al capo eunuco nero, sotto il suo comando, e anche lui ha delle
truppe per difendere il suo harem, proprio come un despota. Lui vuole rimanere
possessore delle sue mogli anche a distanza, vuole esercitare diritto di morte o di
vita, oltre che “regnare” col terrore il suo serraglio.
Montesquieu, nei 9 anni che il suo alter ego sta lontano da casa, può escogitare un
capovolgimento della situazione nel serraglio: l’unico modo che hanno le mogli per
scappare è con l’immaginazione (lettera 26 di Zelis a Usbek), e aspettare che
l’adulterio si compia effettivamente.
L’adulterio non sappiamo quanto ci metterà a compiersi, ma sappiamo che avverrà
anche per mezzo di un giovane che si presenterà furtivamente durante il testo, e tra
le braccia di Roxane, momento in cui verrà ucciso dagli eunuchi.
Usbek nell’opera ha una duplice funzione: colui che farà riflessioni argute sulla
società francese e sul governo, quindi il viaggiatore curioso, e anche il despota che
non mette in discussione il suo sistema di dominio, colui che possiede 7 eunuchi e 5
mogli, quindi riassume il costume tipico persiano.
La sua contraddizione non poteva essere analizzata superficialmente, bisogna
comprenderle, bisogna interpretarlo in modo da giustificare Montesquieu di averlo
fatto così.
La sua contraddizione ha valore di insegnamento: per quanto sia sincero il suo
appello alla ragione e all’universale, viste le sue numerose lettere sulla giustizia, lui è
stato comunque educato secondo una cultura e una morale particolari. Lui cerca di
liberarsi da tutti i pregiudizi.
La tirannia che il persiano ha subito, la riflette sulle mogli e sugli eunuchi, ed è lo
specchio di quella che egli stesso ha passato.
Queste certezze, di avere le mogli più belle al suo possesso con degli schiavi che le
proteggevano e punivano, erano ancora impossibili da relativizzare per lui. La
ragione non ha ancora toccato quei concetti.
L’abuso e la servitù domestica, sono argomenti che suscitano scalpore solo nella
società occidentale.
Esistono termini troppo grandi e troppo vaghi per essere utilizzati per indicare un
solo concetto: Usbek dice che le parigine sono mantenute dal compiere adulterio
dalla Natura, oppure lui ha rimodellato la ribelle Rossane secondo le leggi della
Natura… Secondo Montesquieu, ogni ragionamento parte da educazione o storia, e
ha voluto dimostrare che in ogni ragionamento critico sulla società non bisogna mai
escludere se stessi. E’ proprio quello che ha fatto fare a Usbek, con aggiunta di
punizione finale a causa del suo accecamento.
Contro una dominazione in assenza del despota, Rossane ha voluto rivoltare,
nell’ultima lettera, richiamando i valori universali, e aggiungendo nuovi significati
alla parola Natura, quali “delizie, piaceri, desideri”, il tutto mentre ha già ingerito il
veleno.
L’unica parte veramente assente in continuazione, da parte del protagonista
despota, è stato il vero amore, nessuno la ama per davvero; al contrario, il giovane
senza nome che muore sotto i colpi degli eunuchi è l’amore più vero che possiamo
trovare tra un uomo e una donna nel testo.
Usbek si è lasciato saziare di quell’amore, cercando di bloccare le sue pulsioni
passionali con l’amore stesso, quindi disinnamorarsi, ma continuando a possedere le
sue 5 mogli. Questo ha solo portato ad un’ossessione continua verso di loro, quindi
un’introspezione che porta alla luce la gelosia.
Andarsene da Ispahan ha suscitato allegria per scoprire un nuovo mondo, e
inquietudine per aver perso ciò che era suo. Notiamo inizio e fine del suo percorso,
tra la prima e l’ottava lettera, dove raccontava di essere felice di partire per la
conoscenza, e l’ultima lettera che egli scrive, dove si rassegna di portare la sua testa
ai nemici che si è fatto, e con la lettera di Rossane il rovesciamento è completo. Ella
era riuscita a mettere una maschera sul volto di chi tanto le odiava, credendo che
tutte le amassero, ma la realtà era ben diversa. Dunque la morte di Rossane e degli
eunuchi erano il punto finale, atteso e necessario per accompiere alla necessità di
vendetta di Rossane. L’ultima lettera di Rossane ci fa rileggere il libro, intendendolo
completamente diversamente, o meglio inversamente. Lo spessore, l’importanza
delle lettere persiane lo capiamo solo dopo la seconda lettura, dopo ciò che è stato il
suicidio e la strage di Rossane.
Tutto si ribalta nelle lettere persiane. Quando Montesquieu spiega la tirannia,
predilige l’immagine del ribaltamento e dell’inversione. La tirannia è il potere
portato all’eccesso, che richiama uno sbilanciamento verso l’eccesso opposto,
quindi assenza di potere.
Usbek parla anche del dispotismo in generale senza sapere di riferirsi anche al suo
regime che ha creato nel serraglio. Gli eunuchi sono gli strumenti della tirannia, che
vivono in una continua contraddizione. Per esempio, il capo eunuco, è colui che ha
più potere, il quale però gli può essere sottratto istantanteamente. Quindi vive tra
un potere che si annulla e un annullamento fisico che conduce al potere.
Il capo eunuco nero vive a stretto contatto con un elemento col quale non potrà più
entrare in contatto a causa della castrazione completa. Può solo raggiungerlo per vie
perverse, attraverso il terrore, l’intimidazione. La sofferenza dell’eunuco si rovescia
in sofferenza inflitta verso le donne dell’harem.
L’eunuco afferma che il dispotismo domestico che vive è un riflesso di quello politico
che prevale in Oriente e che minaccia la monarchia francese. Ne deriva quindi che
un despota deve regnare attraverso l’utilizzo di funzionari che trovano piacere nel
rendersi temibili al popolo. Per ogni individuo, hanno in mano praticamente la loro
intera vita, sempre grazie al potere donato direttamente dal despota.
Nel serraglio, la polizia porta un ordine che è destinato in qualsiasi momento a
sfaldarsi, come poi effettivamente accade. Narsit, un eunuco, favorisce la
distruzione, e Solim non può fermare la valanga che si è venuta a creare. La
rivoluzione era inevitabile. Ed effettivamente era una trasposizione esatta del
dispotismo politico.
Se come Usbek si vuole esercitare potere assoluto da lontano, bisogna delegare
un’amministrazione di “eunuchi”, ma questo lascerebbe il signore nell’incertezza e
negli interrogativi: ha valore una sicurezza conquistata cosi? Se le donne persiane
sono belle perché preservate e controllate da dei guardiani, non costa troppo? In
una società del genere gli educatori saranno degli schiavi, e pessimi educatori. E’ un
peccato, dice un francese ad Usbek, che ci sia un tale spopolamento, a causa di
persone che per quante mogli possiedono, devono mettere a guardia altrettanti
eunuchi, privandoli anche della loro vita privata. Sarebbe un prezzo troppo alto da
pagare, ma che lui vuole pagare per “il progresso tecnico”. Questo progresso si vede
proprio nello sviluppo economico.
Le lettere persiane sono quindi un modo per affermare che il dispotismo alla lunga è
fallimentare, insostenibile.
Alla base di questo romanzo, è presente un’unica domanda che Montesquieu si
pone: se l’uomo non vuole rinunciare né alla ragione e né al desiderio, come deve
organizzare la sua vita?
Risponde Usbek: la giustizia è insieme “principio interiore” e un “rapporto di
convenienza” fra le cose. Dice che nell’uomo risiede l’autorità, esso è giudice del
mondo fisico e morale, se però sa dove si arrestano le sue certezze. Nell’uomo si
forma l’idea di giustizia, a lui spetta calcolare il gioco che rende possibile la
perfezione di un governo, permettendogli di giungere al suo scopo con meno spese.
Usbek parla degli uomini che scelgono la loro soddisfazione a quella degli altri, ma
non riesce a relativizzare la sua ingiustizia.

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