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Nel 1624 inizia la reggenza del cardinale Richelieu in Francia, sotto Luigi XIII. Inizia un
accentramento di potere a livello politico, detto assolutismo, e grazie alle politiche
iniziate dal cardinale, la Francia diventa uno stato coeso.
Nel 1600, la centralità e il potere del re non erano affatto indiscussi, tanto che
poteva facilmente essere spodestato dai nobili. Questi nobili erano riuniti sotto il
nome di NOBILTA’ DI SPADA (Noblesse d’epèe).
Per eliminare questa vecchia nobiltà, che era nociva per un re in quanto non
rispettavano le sue imposizioni, il potere non era centralizzato e di conseguenza non
permettevano l’unità del paese, fin da Henri IV si cominciò a pensare ad una
soluzione, ritrovata nella vendita di cariche nobiliari a quei borghesi che potessero
permettersele: si diede inizio alla NOBILTA’ DI TOGA, o Noblesse de Robe, che
donava incarichi nobiliari tramite la vendita di questi stessi ai borghesi.
Fu un piano mirato a far vedere il re(e i suoi successori, in quanto carica ereditaria)
come colui che ha dato importanza ai borghesi, al quale quindi essere fedele. Con
Louis XII e Richelieu inizia la centralizzazione del potere, aiutata in parte
dall’abolizione dei DUELLI nel 1632, in quanto l’unico a cui rivolgersi per risolvere
problemi legati alla giustizia era proprio il re.
Sempre grazie a Richelieu, abbiamo un accentramento culturale grazie alla creazione
dell’Acadèmie Française nel 1635.
Essa trattava riflessioni sulla letteratura, e in caso di dibattiti importanti ci si riferiva
a lei, e il suo giudizio divenne ed è uno dei più importanti nel mondo estetico e
morale. Nel 1694 verrà pubblicato il primo dizionario, che rappresenterà anche
accentramento linguistico, fissando le prime norme ortografiche.
Il teatro fu uno dei primi “media”, ovvero diffusione di influenze del tempo, e
Richelieu cercò di utilizzarli per aumentare il prestigio della figura del re.
Nel 1644, dopo la morte di Richelieu e Louis XIII, sale come reggente Mazzarino, un
cardinale italiano.
Essendo lui considerato inferiore rispetto a Richelieu, che era un cardinale francese,
si ritrova coinvolto in una rivolta della Noblesse d’Epèe, nobili che imbracciarono le
armi. Questo movimento rivoluzionario prese il nome di FRONDA, che iniziò a
combattere dal 1648 fino al 1652 circa, anno in cui venne sconfitta.
Ci troviamo in un periodo di relativa pace sociale, nel quale finalmente possono
prosperare i Saloni, luoghi di ritrovo principalmente dei nobili, nei quali poter
discutere di politica, letteratura, arte, tutto ciò che concernesse la vita intellettuale.
PERIODO BAROCCO
Inizia il periodo del regno di Louis XIV, parliamo del periodo che va dal 1661.
Sappiamo che il periodo barocco è famoso per lo sfarzo, l’esagerazione, in qualsiasi
ambito possibile ed immaginabile, e alcuni dei capisaldi della corrente sfarzesca li
troviamo proprio grazie al Re Sole.
Egli invita il Bernini presso la sua corte per lavorare al Louvre di Parigi, cosa che non
accadrà, perché si ritroverà a scolpire dei busti proprio per il monarca!
Lui lavorava molto sulla prospettiva, preferiva avere una visione d’insieme sulla sua
opera, infatti chiedeva di muoversi al re, e si muoveva lui tutt’intorno.
Gli chiesero perché egli non stesse mai fermo, e la sua risposta fu:
“Un uomo non è mai cosi simile a se stesso come quando è in movimento”,
potremmo definirla una massima che dona lo spunto per uno dei principi del
barocco: il “bello” lo si ritrova nel movimento, lo statico viene sopraffatto dal
dinamismo, e si ragiona in senso contrario alla linearità del classico antico.
Altri princìpi estetici sono: la sorpresa, poiché la vita non è scontata, ci possiamo
riferire alla morte di un personaggio che non è realmente morto in un testo
letterario; collegato allo sfarzo, abbiamo la concezione di splendore, in rivalsa
all’angosciosa visione verso la morte.
Secondo la stessa visione del movimento, anche in ambito letterario possiamo avere
questo fenomeno, con l’inizio di una vicenda “In Medias Res”, ovvero durante un
evento o stesso durante il climax della stessa storia, che ci obbliga a dover passare
avanti e indietro nella storia causando, appunto, il movimento, attraverso fenomeni
di Analessi (detto anche Flashback in ambito cinematografico) e Prolessi
(anticipazione di un concetto che verrà).
In ambito letterario in questo periodo, si ragiona secondo la struttura di un testo, e
non lo stile: non c’è ricerca di lessico, figure retoriche specifiche, ma sulla struttura
da dare al testo, ovvero prolessi, analessi, testo in medias res e via dicendo.
I romanzi barocchi sono davvero immensi, e ciò è dovuto proprio alle strutture date
loro: ci sono innumerevoli storie secondarie, piene di peripezie, moltissimi nuclei e
molteplicità dei centri narrativi separati e tanti personaggi. E’ l’esatta incarnazione
del concetto fondamentale del teatro barocco: l’esagerazione.
SECONDA LEZIONE
Una categoria di romanzi prevalente nel 1600, è il romanzo pastorale, tipologia di
romanzi rappresentanti dei veri e propri pastori, la più importante è “L’Astrèe” di
Honorè d’Urfè ma sotto una forma idilliaca, ovvero pastori colti, che non si
sporcano, non puzzano, e sembrano quasi aristocratici travestiti da pastori.
Ragionano sulla filosofia, sull’amore(qui si inizia a ragionare sul sentimento
amoroso).
Qui troviamo, proprio come punto focale del barocco, ben 45 storie secondarie (è
bella la molteplicità, ciò che è ricco).
Altra tipologia letteraria è il romanzo prezioso, che vede la sua massima espressione
in Mademoiselle de Scudèry (da notare che non si chiama madame, quindi non è
sposata, perché uno dei capisaldi delle preziose era l’emancipazione e la volontà di
ottenere più diritti, e questo era impossibile essendo impegnati in un matrimonio.
A lei dobbiamo una serie di circa 15 volumi chiamati Clèlie histoire romaine,
collocata a partire da poco dopo la Fronda.
Il romanzo prezioso, come quello pastorale, esclude scene di bassa quotidianità,
quali descrizioni di pranzi, vestiari, etc.
Nel 1500 c’è la completa descrizione della realtà, a partire da quella intellettuale
fino a quella più infima, che tratta di sterco e orina, con Gargantua e Pantagruel,
tutto ciò con la letteratura “alta”, mentre dal 1600 tutti questi futili dettagli vengono
eliminati dalla letteratura.
La società, evolvendosi, modifica il suo gusto e certe realtà sono disdicevoli per un
romanzo. Tutte queste realtà vengono riportate in un romanzo pseudo-realista,
scritte per suscitare il riso.
Nel XVII secolo, si affermano e si espandono i saloni, luoghi di ritrovo per
intellettuali. Chi ne possedeva uno era solito invitare altri intellettuali nella sua
camera da letto, prevalentemente era costituito da donne, in quanto il preziosismo
era effettivamente di prevalenza femminile.
Nell’hotel di Rambouillet, il sabato, riceveva nella sua stanza per conversare.
Nel 1652, M.lle de Scudèry aprì un proprio salone, più borghese, ove non si
precludevano i borghesi, ma erano aperti a tutti.
La Ruelle era la corridoio tra il letto e il muro, dove si posizionavano le persone per
comunicare.
In questa circostanza, non erano mai da dimenticare le Bien-sceances, ovvero regole
di comportamento che non dovevano scioccare il sentire, dovere morale.
Queste bien-sceances erano la diretta proiezione della cosiddetta Honneteté: non si
parla di onestà morale, cioè di non rubare, ma ha a che vedere coi modi coi quali un
uomo si rapporta con gli altri. Un Honnetet homme e una honnete femme sono
persone discrete nel rapporto con gli altri, ad esempio: la propria opinione non deve
prevalere ne essere imposta, ma deve essere proposta e discussa.
L’uomo nel salone deve sapere un po’ di tutto, poiché una discussione potrebbe
portare anche a giochi di ruolo che riguardavano qualsiasi ambito (parlare solo in
rime, con verso alessandrino, etc…)
Da evitare la pedanteria, ovvero citare in continuazione autori e opere cosi da voler
brillare rispetto agli altri.
Un Honnetet homme cerca sempre di brillare, ma paradossalmente, anche se siamo
nel barocco, si vuole brillare con naturalezza, senza essere saccenti.
Infatti, il personaggio di Clèlie, ambientata nell’antica Roma, propone la sua
opinione di amico, e spiega cosa vuol dire avere un cuore tenero (tendre),
chiedendo però di giudicare la sua idea.
Tutt’oggi, la politesse tipica del tempo, in Francia, è rimasta.
La “Tendresse” è un’amicizia con sentimento duraturo, con un accenno di
galanteria, quindi un punto tra amicizia e il gioco della seduzione. Questo
sentimento ispira alla civiltà, e a guardare a se stessi e agli altri.
La tendresse non è da tutti, solo i nobili di cuore possono averla e raggiungerla.
L’amico tenero è una specie di amante, di un amore idealizzato, sublimato ed
epurato dai comportamenti erotici.
“La tendresse inspire ceux qui ne sont capables.“, la tenerezza ispira coloro che ne
sono capaci, nobili di cuore e sufficientemente sensibili, inclini alle virtù, che
sentono davvero i sentimenti di amicizia.
Un tenero amico riesce a mettere davanti a se il bene di un amico, essendo talmente
empatico da preferire aiutare un amico che divertirsi con gli altri.
Mademoiselle de Scudèrie analizza questo sentimento di amore “razionalizzato”.
TERZA LEZIONE
Spezzando la storia principale con storie secondarie, si agisce direttamente sulla
struttura della narrazione, creando una struttura polinarrativa: fu mantenuta infatti
questa struttura narrativa barocca, ma i contenuti cambiano radicalmente.
Dunque, la tendresse è l’ideale d’amore per le preziose, e il tendre ami è l’uomo
dall’animo nobile.
Le protagoniste del preziosismo, sono proprio le donne, anche se non manca una
presenza maschile.
Il Preziosismo è un movimento culturale con implicazioni sulle riflessioni d’amore,
sulla letteratura, sull’arte, e sul modo di essere, ma soprattutto sul ruolo della
donna nella società. La donna in questo periodo era vista unicamente come
creatrice di prole, di discendenza, ed era considerata inferiore al genere maschile.
Una considerazione ancora più bassa la avevano se impegnate in un matrimonio, nel
quale erano viste praticamente come oggetti e come inutili.
Per questo, M.lle de Scudéry non volle sposarsi, per mantenere una sua libertà e
cercare di emanciparsi e di far emancipare il genere femminile.
In questo periodo, la cultura cresce vertiginosamente: creazione di più opere
letterarie, creazione di neologismi, nascita di sempre più saloni raffinati, dove nasce
un nuovo modello, nuovo stile anche linguistico, dove l’honnetet homme e
l’honnete femme possono sviluppare la loro mente e le loro capacità.
La galanteria è fondamentale, legata al gioco della seduzione che l’amore cortese
idealizzato richiedeva.
Le preziose vogliono se tirer du prix, ovvero darsi del valore e non uniformarsi con
tutte le altre donne, vogliono libertà di scelta (infatti il tendre ami viene scelto
proprio da loro) e vogliono uscire dal comunitario.
Un autore loro contemporaneo, Molière, scrisse dei testi contro le preziose,
chiamandole “ridicole” e criticandole come donne che studiavano.
Troviamo grande raffinatezza e biensceances sul piano della lingua: molte perifrasi,
ad esempio per definire un concetto semplice come un pezzo di pane si dice
“soutien de la vie”, ovvero sostegno della vita, oppure le palpebre sono le tende
della vista ecc…
C’è la nascita anche di nuovi termini: Neologismi, come incontestable, anonyme,
enthousiasme… sono termini con suffissi specifici, utilizzati dalle preziose poiché
risultavano avere suoni morbidi, leggeri come -able, -ment.
Si utilizza molto il superlativo, dovuto all’esagerazione che si vuole dare ad un
concetto, legato allo stile barocco.
M.lle de Scudéry ha disegnato una cartina, che faceva parte di uno dei giochi di
ruolo che si facevano nei Saloni, chiamata “Carte de Tendre”.
C’erano pagine e pagine di dibattiti avvenuti realmente, relativi a questo gioco di
ruolo, sull’amore e le sue sfaccettature.
In questa cartina immaginaria c’è la rappresentazione di tutto ciò che può esserci tra
un uomo ed una donna, a partire dalla “ville de Nouvelle Amitiè”, ovvero la prima
conoscenza, dalla quale si può arrivare alla città di “Tendre” in 3 modi diversi:
Tendre sur l’Inclination: il cammino più difficile da seguire, cioè l’innamoramento.
La strada è rappresentata da un fiume, sul quale non ci si può fermare, ed il rischio
di questo fiume è che sfocia nel “mare pericoloso”, nella Mer Dangereuse, e se si
riesce ad approdare a terra, si arriva nelle “terre sconosciute”, la terre enconnu,
dove non si sa cosa potrebbe accadere.
Tendre sur l’Estime: è il cammino basato sulla stima verso l’ami, e si divide in molti
villaggi, quali Grand Esprit, cioè grande intelligenza; Jolie Vers; cioè capacità di
espressione attraverso parole gentili; Billet Galant, ovvero galanteria esplicita; Billet
Doux, sempre più intimità, con un’escalation di sentimenti fino a giungere dopo un
tempo indefinito, a Tendre-sur-Estime. Ciò non preclude il cambiare completamente
strada, andare verso il villaggio della negligenza, disuguaglianza, superficialità, per
giungere infine al “Lago dell’Indifferenza”.
Tendre sur Reconnaissance: giungere a Tendre secondo la riconoscenza, la
gratitudine. Il percorso si fonda su disposizione per l’altra, sottomissione, sapersi
mettere al servizio, assiduità nella presenza, pronto a muoversi per il benessere
della persona, premura, rendere servizio, sensibilità, tenerezza, obbedienza, piena
fiducia reciproca e sulla base di questi sentimenti sviluppatisi, si giunge a
riconoscenza, gratitudine e quindi a Tendre-sur-Reconnaissance.
Oltre al primo percorso, che si svolge in pochissimo tempo, gli altri due si svolgono
durante il passare degli anni.
La cartina di Tendre è una metafora topografica, che è il disegno del percorso
razionale dell’amore.
L’inclination non è solo attrazione fisica, ma passione travolgente, e non ha bisogno
di villaggi per cui passare: Tendre-sur-Inclination basta da sola.
QUARTA LEZIONE
Il giansenismo (Jansenisme) è una corrente teologica molto importante in Francia
dei primi decenni del 1600. Il teologo e vescovo Jansen, nel 1639 scrive Augustinus,
cioè la storia della vera dottrina di sant’Agostino.
Nel convento di Port-Royal si riunivano i giansenisti e tutti coloro che volevano
approcciare il giansenismo. Questa corrente, sulla cultura del 1600 ha un grande
influsso, e quindi lo ha anche sulla stessa letteratura.
Questa dottrina nasce dal cristianesimo, e tutti i protestanti sono detti “Ugonotti”.
Questa dottrina vuole che l’uomo si avvicini a Dio con le sue sole forze, e nasce in
rivalsa ai Gesuiti, al loro lassismo e alla casistica dei peccati(la pena e la gravità dei
peccati varia da uomo a uomo: essendo legati al potere, la punizione era molto
minore per i nobili e molto maggiore per i borghesi). Per questo motivo, la casistica
era considerata eccessiva libertà nel perdono dei peccati.
I Giansenisti non si ribellano all’autorità del papa, la rispettano, ma vengono
condannati come eretici da esso, all’epoca papa Innocenzo X nel 1653, e nel 1710 il
re Louis XIV rade al suolo il convento di Port Royal, anche se gli ultimi anni del suo
regime sono all’insegna del giansenismo puro, essendo sua moglie M.me de
Maintenant una giansenista.
Secondo i giansenisti, l’inizio della vita di stenti dell’uomo fu causata da Eva e dal
morso alla mela, e la venuta di Cristo in terra fu la seconda possibilità che Dio diede
agli uomini, per ricreare un legame divino.
Da qui e dallo studio di sant’Agostino, abbiamo il concetto di Grazia Efficace sia per
giansenisti che per gesuiti: secondo i Giansenisti, non tutti potevano giungere alla
grazia, ma c’erano solo dei prescelti al mondo che potevano aspirare alla salvezza, e
non si poteva sperare di salvarsi attraverso le opere buone, poiché venivano viste
come atti di Amour Propre, ovvero qualsiasi azione, fatta col migliore degli intenti,
nasconde sempre una parte di egoismo che punta alla salvezza, quindi a se stessi, di
conseguenza è visto come peccato. Si svela la vera natura dell’uomo, la corruzione
dell’essere umano. La grazia è indipendente dai meriti.
Secondo i Gesuiti, invece, la grazia può essere conquistata vivendo una vita
meritevole, devota. L’esatto opposto della concezione giansenista.
La grazia giansenista è irresistibile, ovvero che chi ha compiuto nefandezze nella
vita, sentirà il peso dei suoi peccati, la grazia di Dio tocca il suo cuore e in qualche
modo cercherà di redimersi. Allo stesso modo, una persona che ha sempre vissuto
una vita meritevole non ha la sicurezza di salvarsi: davanti a Dio non esiste il libero
arbitrio, non si può resistergli ne conquistarlo.
Il giansenismo, dunque, nega le virtù dell’uomo.
QUINTA LEZIONE
Nel 1658, Desmaret de Saint Sorlin scrisse il trattato «Délices de l’esprit », ovvero
tutte le delizie dello spirito quali conoscenza, arte, reputazione.
Le virtù terrene possono essere un punto di partenza con affinamento delle qualità
morali. Nell’amor cortese, l’amore verso una donna, epurati da qualsiasi scoria
terrena, è capace di far ascendere l’animo a Dio, e questo stesso amore, come
l’amore per arte, conoscenza e reputazione, è il riflesso imperfetto dell’amore di
Dio, corrotto dal peccato originale.
La concezione ottimista dell’amore imperfetto consiste nell’avvicinarsi a Dio man
mano che si epura la passione dal peccato originale (anche se ritorneremo sempre al
concetto di amour propre giansenista, cioè che qualsiasi azione positiva ha un
risvolto negativo ed egoistico).
La Rouchefoucauld era uno scrittore e filosofo francese, che tra il 1664 e il 1678 ha
scritto numerose massime, cioè frasi che venivano riportate all’inizio dei libri.
La sua prima massima riguarda proprio questo concetto giansenista: “Non è sempre
per valore e castità che gli uomini sono valorosi e le donne caste”
Una persona coraggiosa che fa un’azione altrettanto valorosa, non è detto che abbia
come mobil o motif il coraggio, cosi come la castità non ha come ragione ultima la
castità in se.
Altre delle sue massime, sono: ”l’amour propre est l’un des plus grands flatteurs”,
ovvero l’egoismo è il peggior consigliere, o adulatore;
”La passion fait souvent un fou du plus habile homme, et rend souvent les plus
sots habiles”, significa che la passione offusca la lucidità, l’uomo è oscuro a se stesso
e la sua anima diventa un labirinto senza uscita a causa della cecità portata dalle
passioni.
I giansenisti abbracciavano una massima di Pascal, affermante che l’uomo fosse un
mostro incomprensibile, quindi una visione negativa.
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Al contrario, le preziose avevano una visione parecchio positiva dell’uomo, basti
pensare al concetto di “tendre ami”.
Madame de Lafayette
Madame de Lafayette era una scrittrice aristocratica, nata nel 1634, che ha scritto
una delle opere più famose del suo periodo, la Princesse de Cléves.
Lei non firmava quasi mai le sue opere, sia perché le donne non potevano, a quei
tempi, brillare e spiccare per intelligenza, e poi non andava a genio che una donna
scrivesse romanzi, anche se questo genere di nicchia, smetterà di esserlo a partire
dall’800. Il genere come l’epopea era più alto.
Lei scrive anche Zayde, la storia di un principe francese, Consalve, che in una
crociata si innamora di Zayde, una musulmana. Essendosi basata sull’Astrée di
Honoré d’Urfé, su M.lle de Scudéry e la sua Clélie, ella narra in 10 volumi tutto ciò
che può accadere tra due persone sconosciute, che non parlano la stessa lingua e la
loro passione amorosa.
Il gusto letterario sta cambiando: adesso si necessita di storie brevi, quindi la
narrazione barocca viene messa da parte; si cerca sempre più attualità, cercando di
non descrivere realtà fittizie; ci si distacca dall’esotico, quindi narrazione di paesi
come Asia e Africa; c’è un moto estetico contro il romanzesco, fatto di meraviglioso,
si rigetta l’inverosimiglianza.
Il nuovo gusto è sensibile alla verosimiglianza, e preferiscono la scrittura di novelle.
Il nuovo gusto è quello dell’estetica classica, che si sviluppa e si elabora dopo la
metà del 1600.
Quando la Reggia di Versailles fu inaugurata, una settimana di festa riempì il palazzo,
e Molière (commedie) e Racine (tragedie) rappresentarono alcune delle loro opere.
La strada per il classicismo, comunque, è ancora lontana.
L’estetica classica, al contrario del Barocco, ha come principio la semplicità, l’ordine,
la misura, razionalità delle forme lineari.
Nel romanzo c’è un solo racconto, un solo intrigo, una sola storia principale, con
rafforzamento del nucleo narrativo, dunque linearità, con ordine cronologico
definito, e definitiva esclusione della metamorfosi, ovvero elementi fantastici e
meravigliosi.
Romanzo Classico
Brevità e semplicità narrativa, con grande introspezione, analisi dei sentimenti e
della concezione negativa dell’amore, ed è un romanzo che raccoglieva l’analisi
psicologica dell’Astrée e quella del sentimento delle preziose; troviamo, soprattutto
nella Princesse de Cléves, dove la protagonista interiorizza gli ostacoli quale la morte
del marito per causa sua: lei provava stima ma non amore verso suo marito, ma la
stima non basta più, dunque suo marito è morto di dispiacere.
Princesse de Cléves
Ci troviamo nella corte di Enrico II, circa nella metà del 1500. Madame de Lafayette
sceglie quest’epoca e questa corte per un motivo preciso: è la prima corte raffinata
della storia, grazie a Francesco I, vecchio re e padre di Enrico II, che venne in Italia e
portò da qui la cultura italiana in Francia. La scrittrice viveva e frequentava la corte
di Louis XIV, una delle corti più raffinate della storia, ma non potendo parlare di
quella, si affidò alla descrizione di quella più adatta.
Le prime due parole dell’opera sono “Magnificence”, che ci rimanda al concetto
barocco, e “Galanterie” che ci rimanda al preziosismo.
La raffinatezza, vaghezza e idealizzazione sono rimaste: non vediamo mai la
descrizione di una scena di banchetto.
Troviamo anche la figura del Prince Galant, colui che conosce il buon costume e le
buone maniere, le biensceances.
SESTA LEZIONE
Il romanzo si apre all’insegna di idealizzazione preziosa e di stupore, alla corte di
Henri II. Egli organizzava sempre battute di caccia, tornei sportivi e simili. Il fatto che
il re riesca a svolgere tutte queste attività e che riesca ad eccellere in tutte, è
ammirevole (nel testo francese troviamo il termine “admirablement”, che ci riporta
all’armonia della scelta di parola delle preziose).
Il re cercava il “divertissement”, parola di derivazione pascaliana, che indica tutta
quella parte di mondanità dedita alla distrazione, al divertimento, che non fa
pensare alle vere domande da porsi. Siamo in ambito estetico barocco, e accanto
alle preziose c’è la meditazione giansenista.
Notiamo la presenza di una ripetizione, ricorrente molto spesso nel testo, ovvero del
“paraitre”, ovvero del sembrare, ci troviamo nel campo semantico dell’apparenza:
la realtà esterna è ben diversa da quella “reale”.
Un esempio di apparenza, sono le corti di quel tempo, nello specifico quella di Henri
II, la prima a raffinarsi, e la prima nella quale si voleva brillare, splendere, essere
ottimi cortigiani.
Madame de Lafayette ha scelto come incipit della sua opera il regno di sfarzo e la
corte raffinata, mentre la fine della sua opera è ambientata dopo la morte di Henri
II, durante la guerra di religione: si inizia con il divertimento, si finisce con la
tragedia.
Fu una scelta ponderata, in quanto questo passaggio simboleggiava l’evoluzione
tragica del personaggio, con la morte prematura del re.
A corte, si recitava un ruolo, si appariva, che era ben diverso dall’essere.
Per esempio, la Duchesse de Valentinois si adornava come una ragazzina, quando
era molto anziana per quel tempo.
Nel testo ricorre anche molto spesso la tautologia, cioè la ripetizione continua di
termini legati alla grandezza e alla magnificenza, oltre che anche il plaisir.
Legato al piacere, troviamo il concetto di divertissement: la regina, Caterina de’
Medici faceva parte di questo mondo, dedito a piacere, ricchezza e lusso.
Inoltre, leggendo questi tipi di termini, ci riconduciamo alla sensibilità barocca e
all’idealizzazione preziosa.
Tutto sembra perfetto, magnifico, ma solo in apparenza: la regina “semblait souffrit
sans peine”, sembrava non soffrisse per il fatto che il re omaggiasse solamente
l’amante, la duchesse, ma in realtà lei deve sopportare tutto questo.
La visione del mondo prezioso, dunque, rimane in Mme de Lafayette, ma rimane
sottoforma di finzione, di apparenza, anche se è un mondo magnifico in se.
La madre della protagonista, Madame de Chartres, cercherà di educare al meglio,
dopo la morte del marito, la figlia, la futura princesse de Cléves.
Cerca di darle più virtù possibili, cerca di costruire il suo essere morale, coltiva la sua
intelligenza. Lei fu una delle poche madri a parlare di amore alla figlia: le raccontava
accezioni negative e positive del sentimento, grazie alla sua finezza psicologica.
“I pericoli dell’amore sono vari: poca sincerità, inganni, infedeltà, ma c’è anche la
tranquillità che può trovare una donna nell’amore, legata all’elevarsi della virtù
sposando un uomo facoltoso (questo vuol dire “avoir de la naissance”)
La concezione dell’amore di Mme de Chartres è la concezione preziosa basata su
Tendre-sur-Estime, cioè sulla pura stima reciproca, anche se l’honnetet homme che
lei aveva in mente era merce molto rara.
La madre avvisa la figlia sul possibile malheur domestic, cioè cosa potrebbe causare
avere un rapporto al di fuori dell’uomo con cui si è rapportati.
La virtù, nella donna, assicura tranquillità, e non felicità, cioè ciò a cui si aspira oggi.
La felicità, nel matrimonio cinquecentesco non era assicurata: era sufficiente la
tranquillità. Non bisogna leggere questo testo con una visione del XXI secolo, ma
riflettendo pensando al 1500.
Il matrimonio per amore non esisteva, era una questione politica, di continuare la
discendenza per l’uomo, e di trovare tranquillità e virtù per la donna.
La madre della princesse de Cléves la mette in guardia sulla difficoltà nel mantenere
la virtù, e che l’unico modo per farlo è estrema diffidenza in se stessi e nel provare
attaccamento e amare il marito, con amore corrisposto: qui risiede il concetto di
Bonheur.
Nel nuovo stile, c’è l’interiorizzazione del romanzesco: le avventure sono
psicologiche, nella mente dei protagonisti, non più visibili.
Madame de Chartres ha una concezione dei sentimenti prettamente giansenista:
pensa che la passione ti trascina, non può essere razionalizzata e quindi va evitata:
bisogna avere “Extreme dèfiance” nelle passioni.
Una volta a corte, Mademoiselle de Chartres(futura madame de Cléves) nota che
molti principi le danno attenzione. Ragionando in senso virtuoso e politico, sia la
madre che la figlia scelgono come consorte per la futura principessa, Monsieur de
Cléves. Una volta fidanzati, egli era felice con lei, ma non del tutto contento. Lui
notò che i suoi sentimenti non erano ricambiati e non andavano oltre la stima per
lui: non poteva ingannarsi di essere ancora felice. Le biensceances vogliono che la
ragazza dimostri da subito pudore e modestia, e il loro rapporto era proprio così.
SETTIMA LEZIONE
Mademoiselle de Chartres non ha i sintomi dell’amore: chagrin, impatience,
inquietude (dolore, impazienza, inquietudine).
Lui la accusa di essersi sposata solamente per privilegio, e entrambi si lamentano,
ma la ragazza non può fare molto, in quanto le biensceances non lo permettono.
Il principe non ragiona sull’aspetto esteriore di M.lle de Chartres, ma su quello
interiore: lui afferma che sarebbe contento delle apparenze della fidanzata, se solo
ci fosse qualcosa sotto. La ragazza risponde sempre con “ciò che io faccio”, ma mai
con “ciò che io provo”, la ragazza non è interdetta dal fare qualcosa dalle
bienscéances, ma sono proprio quelle bienscéances a farle fare qualcosa.
Per la donna, la presenza del prince de Cléves non dona nulla ne di positivo ne di
negativo, è totalmente indifferente.
Oltre a tutto il mondo dell’apparenza, c’è anche il mondo dell’introspezione, ovvero
della riflessione: durante tutta l’opera ci sono 11 momenti in cui la principessa,
quando è con qualcuno, ha un soliloquio interiore, una presa di coscienza, e ci sono
11 rallentamenti della trama, nei quali si allontana sempre di più dalla corte.
Il concetto di inclinazione ritorna: il principe dice di non suscitare più, nella
fidanzata, nessuna inclinazione. Era vero, M.lle de Chartres non provava nulla, ma in
quella situazione non sapeva cosa fare, pensando fosse al di sopra della sua
conoscenza.
Questo è detto romanzo di formazione, ovvero un romanzo nel quale, una figura
giovane si trova ad affrontare esperienze che lo faranno crescere.
In effetti, M.lle de Cléves non ha mai conosciuto il vero amore, e difficilmente lo
conoscerà, ma riesce a capire tutte le parti negative in amore che la mamma le
raccontò. Riuscirà infine a trovare quella agognata tranquillità solamente ponendo
fine alla sua vita.
L’incontro con l’amore è distruttivo per il soggetto, ci si trova nel “rèpos”, nel riposo,
ben distante dalla serenità.
Inizia la peripezia quando la ormai Princesse de Cléves conosce il Duca di Nemours,
un uomo brillante, colto, seduttore, fondamentalmente un libertino. E’ amore a
prima vista tra i due.
Il duca appartiene solamente al mondo “dell’apparire”, vive il sentimento amoroso
con gentilezza, ma leggerezza. E’ un uomo che conosce la corte ed è conosciuto. Egli
si innamora con un’inclinazione violenta, inizia a corteggiarla, dimenticandosi di
tutte le sue donne. La madre della princesse si ammala, sul letto di morte dice alla
figlia: ”Il pericolo che vi lascio e il bisogno che avete di me aumentano il mio
dispiacere nell’abbandonarci”
Qui troviamo una costruzione testuale paratattica, ovvero unicamente frasi singole,
tutte coordinate l’una con l’altra, per far capire l’importanza della scena.
La madre che per esempio rivela alla figlia di sapere della sua inclinazione verso il
duca, è un momento clou: lei dice alla figlia che ci vuole forza per non cadere in un
precipizio, e che ormai è sposata e non deve lasciare il marito. La madre non vuole
che la figlia perda virtù, reputazione e onore dopo tutto lo sforzo passato.
Una donna senza onore, ha perso tutto in quell’epoca.
La madre “maledice” la figlia, dicendole che se altre ragioni rispetto al dovere
(parola con cui terminerà il testo) dovessero portarla laddove ella non vuole, quindi
al tradimento, allora spera che la princesse cada come tutte le altre donne, e che lei
muoia prima di vedere la figlia fare tale gesto.
C’è la volontà di rendere più fluido il testo, ciò avviene con descrizioni molto
indeterminate, ma varie, del periodo storico: sappiamo dove e quando,
storicamente, è collocata la storia, ma mai una data precisa, mai un mese o un
giorno: questa vaghezza era nelle corde stilistiche delle preziose.
C’era, anche nel non dover tradire il proprio uomo, una visione elevata e idealizzata:
non essere come le altre, uscire dal comunitario di tutte le altre donne. La madre fa
della fedeltà della figlia una questione di dignità.
Seconda parte
La madre è dunque morta, ci troviamo in un’aria di grande lutto, il duca di Nemours
si presenta per le condoglianze, ma con le sue parole lascia trasparire interesse per
la principessa. Lui le parla di attachement, ovvero creare un rapporto intimo, che lei
dovrebbe rifiutare, essendo ormai sposata. Ma lei era in un forte dubbio, dovrebbe
rispondergli per fermarlo, ma credeva anche di non dover dire nulla. Era inevitabile
che ci fosse, tra i due, qualcosa di intellegibile, proprio come le aveva fatto notare
M.me la Dauphine (Maria Stuarda), sua confidente.
Troviamo l’area semantica della parvenza, che ci fa capire che la princesse non è una
persona risoluta, e quella del dovere che abbiamo visto in precedenza, che si
protrarrà per tutto il testo, fino all’ultimo concetto: lei non mancherà mai al dovere
verso suo marito, nemmeno dopo che egli è morto, anche se è costantemente
pervasa da dubbi, ed avrebbe possibile via libera per fare ciò che voleva con il duca
de Nemours.
L’entrainement è la passione che lei stessa prova per lui: effettivamente lei vede
qualcosa nel duca, come galanteria, serietà, ma sa di non dover tradire, per dovere
morale suo marito.
Questa sola parte della storia è esattamente opposta con la struttura barocca,
avvengono poche cose e la protagonista è bloccata da un ostacolo mentale, la
contraddizione tra il fare e il dovere morale. Questa incertezza porta alla perdita
della tranquillità iniziale e tanto voluta.
Il matrimonio di cui si narra la vicenda è uno dei tanti senza amore, ma solo per
aumentare la propria virtù e per convenienza. Il matrimonio per vero amore lo si ha
solo a partire dall’800.
Il sentore di insicurezza che vediamo nella princesse è la passione che umilia il
soggetto, concezione giansenista della passione che rende l’anima un labirinto fitto
dal quale è impossibile uscirne.
OTTAVA LEZIONE
Lei sembrava star male per la recente morte della madre, ma in realtà stava male
per via dei suoi sentimenti verso il duca de Nemours, verso il quale credeva di
provare indifferenza, invece era esattamente l’opposto.
Si presenta proprio ora uno dei momenti in cui ella si ritira per pensare da sola.
L’amore umilia l’intelligenza, porta a fare cose che non si vogliono fare, e questi
momenti di autoanalisi sono come una tortura, in quanto l’intelligenza resta
nell’uomo per capire quanto ha sbagliato.
Parecchie volte la princesse fa azioni senza volerlo, non essendo padrona delle
proprie azioni, proprio a causa della passione che la guida: una volta rinsavita, si
guarda indietro e critica ciò che ha fatto.
Sono tutti a casa della princesse, in un momento propizio il duca, anch’esso
presente, vede un cofanetto di grande valore con all’interno un ritratto della
principessa, e lo ruba. La princesse lo vede, vorrebbe fermarlo ma non denuncia
l’accaduto, poiché si scoprirebbe che il duca è interessato a lei.
NONA LEZIONE
Anche se nella Princesse de Cléves ci troviamo in un periodo storico dove la linearità
strutturale è fondamentale, nell’opera ci sono 4 storie secondarie, raccontate da 4
persone diverse. La storia di Madame de Valentinois, cioè di Diane de Poitiers,
amante del re Enrico II, che Madame de Chartres, madre della protagonista,
racconta a quest'ultima; la storia di Sancerre, Estouteville e Madame de Tournon,
che il signor de Cleves racconta alla moglie; la storia di Anna di Boulen, madre di
Elisabetta I d'Inghilterra, che la regina delfina, cioè Maria Stuart, moglie del delfino
Francesco II, racconta alla protagonista; la storia degli amori del vidame di Chartres,
che quest'ultimo racconta al suo amico duca di Nemours.
la storia di Diane de Poitiers, amante del re, introduce il concetto dell’assurdità della
passione amorosa, poiché lei non era giovane, senza passione e fedeltà, ma il re la
amava lo stesso, più di Caterina De’ Medici.
La sincerità è un valore per preziose, come lo è per la princesse, ma le bienscéances
non la permettevano liberamente, non si poteva affrontare l’argomento con tanta
leggerezza, ma M.me de Lafayette sa di voler fare qualcosa di non convenzionale,
dunque fa confessare tutto al prince de Cléves. Ella fa quest’azione in un momento
in cui non è padrona delle sue azioni, e chiede al marito di portarla via dalla corte.
Egli, tanta la gelosia, si ammala. La confessione è una scena chiave del romanzo.
Per molto lei accantona l’idea della confessione, questo fa parte del suo essere
smarrita.
C’è solo una volta in cui il duca e la princesse sono da soli, ed era per riscrivere la
lettera a monsieur de Chartres. Il duca ha effettivamente chiesto aiuto al marito
della princesse, e lui ha accettato con serenità, quindi possono stare in intimità e in
tranquillità per la prima volta.
Dopo aver mandato la lettera, M.me de Cléves resta da sola, pensando alle
sensazioni provate la sera prima, e ripensa alla mole di odio provata verso il duca al
momento del fraintendimento. In questo momento sentiamo un altro monologo
interiore, nel quale si rimprovera come un crimine per aver mostrato al duca i suoi
veri sentimenti.
Non si riconosce più, agisce senza aver controllo di se stessa: visione giansenista
della passione.
E’ il momento di un esame di coscienza per capire dove ha sbagliato, e ogni volta
che attua questa pratica, è come se si svegliasse da un sogno e si stupisse.
Al momento della confessione al marito, il duca di Nemours assiste segretamente, e
nel momento in cui lei dice di essersi innamorata di un altro uomo, il duca spera di
essere lui, mentre il principe vive una tragedia.
Sappiamo che il marito sarà gelosissimo, ma riesce comunque ad ottenere da lui
l’isolamento dal duca, anche se quest’ultimo riuscirà comunque a spiare la
princesse.
Notte dei nastri: il duca spia la princesse, mentre lei contempla il quadro della
vittoria del duca de Nemours, e nel frattempo intreccia dei nastri coi colori della
casata di quest’ultimo.
Il principe viene a sapere che il duca è entrato nel padiglione della casa dove
risiedeva la principessa, e pensando che lei lo abbia definitivamente tradito, prima si
ammala, poi muore, dicendole che dopo la sua morte, lei poteva finalmente sposare
il duca.
Lo stato d’animo della princesse era oltre il limite della ragione: il fatto che suo
marito la amasse tanto, ed è morto per colpa sua non le usciva dalla testa. Qui,
stranamente, interviene il narratore. Quando lo fa però non dice mai più di quanto
lo stesso personaggio abbia capito di se stesso, ma stavolta è ben diverso: lei si
rimprovera di non essersi innamorata, la voce narrante invece la assolve, poiché
afferma che alle passioni non si può comandare.
Essa prende l’impegno di restare fedele al marito morto, dunque finalmente
l’ostacolo era stato interiorizzato, non era più esterno, e non poteva essere valicato.
Visti i sensi di colpa, credeva di essere guarita dalla passione che aveva provato per
il duca, ma era tutta parvenza: i dolori erano molti e si confondevano tra di loro.
Vediamo il dolore per non poter sposare il duca, il dolore per aver fatto soffrire e
morire il marito, e il dolore per aver fatto ciò che la madre aveva sperato lei non
facesse, oltre che per la sua morte ovviamente. La madre e il marito sono due
personaggi fondamentali, poiché hanno cercato di bloccare le passioni della
princesse, ma hanno fallito e sono morti provandoci. Entrambi le hanno detto la
cattiveria delle passioni, quindi avevano un carattere prescrittivo
Uno dei suoi dolori più grandi, effettivamente, è l’impossibilità di trovare la felicità.
La princesse, effettivamente, non aveva colpe, avendo fatto solo ciò che riteneva
giusto, e ritorniamo continuamente al giansenismo e alla predestinazione, poiché lei
era predestinata a cadere succube delle passioni, anche se ha fatto di tutto per
evitarlo.
C’è un’ultima volta in cui il duca e la princesse si parlano, ed è unicamente per dirgli
che non si sposeranno mai, e per dargli le motivazioni: il senso di colpa per la morte
del marito, e l’impossibilità di trovare un amore costante nel tempo, e ricorda che il
marito l’ha amata continuamente perché il suo amore non era corrisposto (l’idea di
amore non corrisposto che resta vivo verrà analizzato anche da Marcel Proust)
Il duca, a paragone con la princesse, era privo di virtù, e a rafforzare l’idea di amore
non duraturo, sposare un uomo leggero nel sentimento come lui non era sicuro per
la propria persona.
L’impossibile contatto
Il ruolo de duca di Nemours è sempre stato quello di spettatore, in quasi tutte le
scene in cui appaiono i due. Anche mentre lei confessa tutto al marito, lui è presente
e sta ascoltando. La princesse rifiuta qualsiasi tentativo di colloquio, quindi il suo
unico modo per ammirarla è rubare un suo ritratto, oppure, nella casa dov’ella era
rinchiusa per evitare il duca, sbirciarla dalla finestra affittando una casa nelle sue
vicinanze. Ella più fuggiva dal duca, più egli le era vicino a sua insaputa.
Per il duca, vedere la sua amante senza che lei se ne accorga, sapendo i sentimenti
che quest’ultima nascondeva, era una goduria che nessun altro amante ha mai
potuto provare.
Proprio per questo, sia la notte dei nastri sia la confessione della princesse sono
due eventi simmetrici: in entrambi, il duca era segretamente presente.
La notte dei nastri, in cui M.me de Cléves si confessa ad un quadro, era il momento
più vicino ad una notte nuziale per il duca, anche se la contempla da una finestra. In
M.me de Lafayette la comunicazione avviene solo a distanza e per vie indirette.
Lo stesso accadde con Zaide, due esseri che si amano non possono comunicare
perché non parlano la stessa lingua, quindi per capire se sono amati, sono costretti a
spiare gesti e parole senza senso. La passione separa coloro che si amano, rendendo
la comunicazione diretta infattibile, e infine la comunicazione impossibile.
Le “digressioni”
Un fatto che ha attirato molte critiche sono delle interruzioni, volute ovviamente,
della narrazione principale: 4 storie secondarie, che i critici del tempo preferiscono
chiamare unicamente digressioni, che distolgono l’attenzione dall’azione principale.
Questo è un punto sul quale il gusto è particolarmente cambiato. Da narrazioni in
10 volumi che eliminavano la storia principale a critiche per un numero minimo e di
breve durata di storie marginali.
I critici hanno messo a confronto La Princesse de Cléves con Zaide, e hanno notato
qualcosa: la storia di Zaide, cosi come voleva il gusto della prima metà del secolo,
iniziava da metà, in modo tale da concedere movimento all’opera e poter spiegare
tutta la vicenda antecedente. Le storie secondarie immettevano personaggi nuovi e
principali, ed era così che voleva l’epopea, il genere considerato fratello maggiore
del romanzo. Invece, nella Princesse de Cléves, le storie secondarie narrano di
personaggi già conosciuti e secondari, quindi a paragone risultano quasi inutili.
Madame de Lafayette non obbedisce più ai canoni di scrittura, alle regole dell’arte
del suo periodo, poiché non siamo di fronte ad un romanzo, ne poema epico ne
tragedia, ma davanti ad una storia continua.
Critico degli anni 80 del 1600, Du Plaisir, ha dato una distinzione chiara dal vecchio
al nuovo romanzo. Affermava che un romanzo è più breve, poiché le storie
secondarie venivano tagliate, e un romanzo lineare fa concepire le idee dell’autore
più chiaramente, riuscendo anche a distinguerne i pensieri. I punti di vista non si
mescolano più, la confusione del lettore si riduce drasticamente.
Grazie a queste importanti riflessioni, capiamo non solo che con questo nuovo tipo
di racconto otteniamo linearità e chiarezza, ma che distaccandoci dall’epopea e dal
romanzo precedente, distinguiamo anche lo sviluppo nel tempo di una passione e
ne comprendiamo il metodo dai procedimenti di concentrazione della tragedia
contemporanea.
Vediamo una straordinaria coerenza nelle parole di M.me de Lafayette: mettendo a
paragone Clélie con Zaide, e quindi anche con la Princesse de Cléves, notiamo che
per M.lle de Scudéry, amare era sinonimo di conoscere, cioè per amare qualcosa va
conosciuto a fondo, un amore nato dal nulla non è per niente duraturo. Mentre per
Lafayette, amore e conoscenza sono due opposti, uno non necessita l’altro: l’amore
è irrazionale. Infatti, Consalve viene tradito dalla donna che conosce bene, e si
innamora di una sconosciuta, quindi la sua stessa teoria era stata confutata.
Questa storia di Consalve è raccontata da lui stesso, si sostituisce al narratore,
presentando eventi passati, autobiografici. Il narratore, presentando il suo passato,
si comporta come soggetto dal sapere limitato e da narratore onnisciente che
conosce già tutto. Anche se esiste una certa confusione tra percezione del presente
e del passato: Consalve raccontava del tradimento della sua donna e dei suoi amici
come se egli sapesse tutto, ma in realtà li ignorava, non sapeva nulla.
A questa confusione M.me de Lafayette pone rimedio, essendolo stata anche lei, a
suo tempo. Ha dato al lettore una chiave di lettura non solo per capire i personaggi,
ma per saperne di più di quanto loro stessi non sappiano.
DECIMA LEZIONE
Il regno di Louis XIV è all’insegna dello splendore, ed essendo molto giovane vive
proteggendo il pensiero libertino, non solo sul piano erotico. E’ qualcosa che vede
luce alla fine del XVII secolo, una corrente di pensiero che mette in dubbio
l’esistenza di Dio. Qui nasce il termine di spirito libero, Esprit libre, per liberarsi dal
dogma della chiesa e dalle imposizioni di quest’ultima.
Tutto questo durante gli inizi del suo regno, ma verso la fine, risulta essere
esattamente il contrario: con il giansenismo, c’è un ripiegamento della corte.
Nel 1685 Louis XIV ritratta l’Editto di Nantes del 1598, con il quale aveva posto fine
alla persecuzione degli ugonotti e aveva permesso una crescita economica e
culturale. Quella stessa crescita, quasi 100 anni dopo vedrà un’inversione, visto che
la ritrattazione dell’editto rifiuta la presenza dei protestanti ugonotti e immette una
nuova tensione politica e sociale. I protestanti iniziano ad emigrare, e questa
migrazione priva la Francia di cultura, alfabetizzazione (gli ugonotti erano i più
alfabetizzati) e fonte di denaro, in quanto essi lavoravano ed erano una grande
quantità, oltre che permettere scambi economici con l’estero grazie alla loro cultura.
Montesquieu nasce 4 anni dopo la ritrattazione, nel 1689.
A causa della moglie, che era giansenista, Louis XIV caccia i comédiens italiens,
alcuni tra i più grandi attori della sua corte, in quanto il giansenismo denigrava il
teatro (veniva visto come allontanamento da Dio).
La corte dunque, da che era centro di svago, ora è molto più cupa, devota, ci si
diverte molto meno.
Durante le molte guerre che egli ha intrapreso, parecchio denaro è stato speso e
quindi perso, e la guerra per la successione spagnola portò alla grande crisi
(recessione economica).
La vita intellettuale si sposta, dalle corti alle città, nei cafè e nei salon. In tal modo,
anche i borghesi sono capaci di dare il loro contributo alla cultura, grazie alla
circolazione di idee. Quindi ora c’è apertura al rinnovamento culturale, che si
chiamerà ILLUMINISMO (les lumières), che nasce quindi nelle città e non a corte.
In Inghilterra in questo periodo nascono due correnti filosofiche: Scetticismo e
Razionalismo.
Lo scetticismo è una corrente di pensiero che si pone di non accettare mai di credere
in qualcosa imposto da un’autorità, dunque ai dogmi.
Il razionalismo invece è una corrente basata sull’analisi, confronti coi fatti e scoperte
scientifiche. Grazie a Newton e la sua scoperta della legge di gravità, si dirama anche
l’Empirismo. Non ci si basa più sui dogmi, dunque fatti imposti presi per veritieri.
L’empirismo fonda una base di pensiero, un atteggiamento razionale costruito su
ipotesi e analisi. L’empirismo, come detto in precedenza, si ramifica a sua volta nello
scetticismo.
Dall’Inghilterra i francesi hanno preso spunto per scrivere un’enciclopedia, opera
onnicomprensiva. Alla fine del 600 quindi si usa lo spirito critico per analizzare degli
elementi.
Il pensiero di Cartesio, in più, forma l’idea della coscienza umana intrinseca al
soggetto (cogito ergo sum).
Si rimette in discussione l’intera autorità dogmatica della Bibbia, quindi per
estensione l’autorità della chiesa, la massima istituzione.
Il XVIII secolo si chiude con la rivoluzione del 1789, che farà sentire le sue
conseguenze in tutta Europa e per tutto il XIX secolo. Si rimetteranno in discussione
tutte le autorità, fino ad arrivare a quella del re, che essendo stato scelto per volere
di Dio viene trattato come l’autorità della chiesa, quindi messo in dubbio.
Senza un approccio intellettuale e un’elaborazione nuova della società e del potere,
non è possibile un’evoluzione che è necessaria in questo periodo.
Iniziano i viaggi nel lontano Oriente, che mutano il pensiero e danno vita ad una
nuova moda orientalista.
Chardin pubblica i Voyage en Perse, dove racconta tutti i suoi viaggi in Persia,
contribuendo alla visione generale di questo mondo esotico, alimentando curiosità
generali come usi e costumi in India, Cina etc…
Allo stesso modo, Galland, con la sua traduzione delle Mille et une Nuit, anche non
essendo una traduzione perfetta e scientifica, ha alimentato ancor di più la curiosità
verso questo mondo esotico.
Finalmente un atteggiamento disponibile a relativizzare il proprio pensiero, cioè
prendere in considerazione che c’è altro oltre la vita europea conduce al
relativismo: se io non fossi nato in un paese ma in un altro, sarei sicuramente
diverso (pregare con la corona vs. pregare Maometto). Prendere in considerazione
alla pari, senza sentirsi superiori perché diversi, accettare altri modi e altre idee per
vedere tutto vuol dire relativizzare. Per esempio, la monogamia in Europa e la
poligamia in Oriente. Opponendosi al dogmatismo, si attua un grande
decentramento, ovvero ammettere altri centri e punti di vista rispetto al proprio
paese.
Dopo la morte di Louis XIV nel 1715, ci sarà un periodo di reggenza che durerà fino
al 1722, e sarà la reggenza di Filippo d’Orléans. In cosi pochi anni, questo è stato un
periodo di grande importanza. In questi pochissimi anni, si rivaluta il piacere
sensibile, con un atteggiamento di libertinismo erotico, per esempio nascono i
romanzi erotici, nascono nuovi autori come per esempio il marchese di Sade, che ha
dato vita alla parola “sadismo”, ovviamente collegata al suo intendere il sentimento:
passione molesta, con presenza di dolore.
In questo periodo si riscoprono i sentimenti, lo stesso reggente fu uno dei primi a
travestirsi e ad andare in luoghi pubblici. E’ l’esatto contrario degli ultimi 20 anni di
regno austero di Louis XIV. Altro evento di gran rilievo, fu l’intervento economico tra
il 1716 e il 1720, a partire da un controllo generale delle finanze francesi da parte di
John Law, che riesce a portare il paese in bancarotta dopo una cosiddetta “febbre
speculativa”. In pratica egli si aspettava che dalle colonie, come in Louisiana (creata
in onore di Louis XIV) e a Nouvelle Orléans (in onore dell’attuale reggente)
arrivassero oro e argento in grandissime quantità, cosa che non accadde
praticamente mai, dunque il paese andò in bancarotta.
Nella prima metà del 1700 si sviluppa, come evoluzione del barocco, il Rococo,
corrente che vuole far ritornare lo sfarzo e la grandezza tipica barocca a discapito
della linearità classica, ma per fortuna non ha grandi influssi sul romanzo, genere
non ancora molto elevato nella gerarchia letteraria.
Nel 1721, dopo il primo crack finanziario, esce la prima edizione delle Lettres
Persianes, opera di Montesquieu. Esso fu il primo romanzo interamente epistolare
e polifonico, cioè con più punti di vista, con più voci. Non vediamo mai una voce
esterna alle lettere, ma informazioni unicamente provenienti da esse. Usbek e Rica
sono i due protagonisti, provenienti entrambi dalla Persia, e si dirigono in Francia,
scambiandosi lettere con gli amici e le mogli (poligamia, relativizzazione) rimaste ad
Ispahan. Proprio per questo è chiamato polifonico.
UNDICESIMA LEZIONE
Nel 1700 si parla di Homme de Lettres, uomini di intelletto come Voltaire, e questi
uomini sono coloro che si occupano di filosofia, tragedia in versi, letteratura.
Voltaire è una delle figure maggiori della letteratura francese, conosciuto per la sua
Candide, racconto filosofico, il trattato sulla tolleranza della morte di Jean Calas,
uomo condannato a causa delle leggi giudiziarie, si pensava avesse ucciso il figlio, a
causa di un pensiero di conversione da protestantesimo a cattolicesimo, quando il
figlio si impiccò e furono delle voci di vicinato a dire quelle calunnie su di lui. Voltaire
fu informato di ciò da un figlio di Calas esiliato, così creò un’opinione pubblica, e con
la sua ironia corrosiva riuscì, con il suo trattato, a farsi ricevere a Versailles da Louis
XV, e a far ritrattare il caso di Jean Calas. La sua memoria fu riabilitata e fu
approvato come innocente. Voltaire sarà il primo ad intromettersi in questioni
giudiziarie. Sarà conosciuto anche per aver scritto “L’Encyclopédie”, opera in
collaborazione con Diderot, Montesquieu e D’Alembert.
Per capire la relativizzazione e il cambio di prospettiva teorizzato in tutto il 1700, e
poi attuato con le Lettres Persianes di Montesquieu, dobbiamo parlare di un testo di
Marivaux: L’Ile des Esclaves, isola nella quale sono raccontati padroni e schiavi che
sono giunti naufraghi, e iniziano ad invertire i propri ruoli, mettendo in dubbio la
struttura della società. Attuano questo scambio per capire, dal punto di vista
empatico, cosa prova dall’una e dall’altra parte.
Una metafora del relativismo ce la dona ancora Voltaire, con il suo Micromégas,
opera del 1752. Due giganti provenienti dallo spazio, uno alto due chilometri e uno
32, giungono sulla Terra, abitata da esseri minuscoli pieni di orgoglio. Questi giganti
parlano con essi, e prima di ripartire uno dei due dona il libro della saggezza, che
risulta essere un libro bianco: “la saggezza è tutta da scrivere”. Simbolicamente, è
un rifiuto di tutto ciò che è già scritto, i dogmi.
Montesquieu inventa due uomini, che scappano dalla Persia e si dirigono in Francia,
proclamandola capitale del mondo occidentale. L’autore ha potuto inventare una
storia vedendo la sua realtà quotidiana non dal suo punto di vista, ma dal punto di
vista di due stranieri esterni a Parigi, come se fossero due alieni, aggiungendo un
forte senso di stupore, che donava veridicità al testo. Grazie a quest’opera un
lettore francese poteva vedere la sua stessa società come straniera, sotto una nuova
luce. Addirittura tra i due persiani ci saranno punti di vista diversi. Per comprendere
la diversità tra Usbek e Rica, possiamo analizzarne i nomi: tutte le vocali dei loro
nomi sono diverse. Rica è più giovane di Usbek e si gode il divertimento francese, al
contrario di Usbek, molto più malinconico borioso, ed è l’alter ego di Montesquieu.
Montesquieu era un funzionario dello stato, cioè era Presidente del Parlamento di
Bordeaux, quindi in quanto parlamento, si occupava di emanare a tutti i sudditi del
re le leggi, e inoltre raccoglieva le lamentele dei sudditi e le riportava al re.
Con le Lettere Persiane ci troviamo nel 1721, epoca della fine della reggenza.
Montesquieu essendo prevalentemente uomo di politica, nel 1748 scrive l’Esprit des
Lois, trattato sul quale si forma il pensiero delle istituzioni politiche occidentali. Qui
egli si interroga su quale fosse il regime migliore, ed arrivò alla conclusione che era
necessario equilibrio tra le varie cariche: Montesquieu è per una monarchia
moderata, infatti critica l’assolutismo e non vede di buon occhio la repubblica.
Lettres Persianes
Montesquieu adotta il calendario persiano, per esempio 15 della luna di Safar, che
equivale a febbraio.
Nel 1721 pubblica quest’opera in anonimo, visto che in fin dei conti criticava il
paese, e da funzionario politico non poteva permetterselo. Grazie a questo
espediente, non incorre in censure. Inoltre, un uomo di legge non era ben visto se
scriveva romanzi, considerato un genere leggero, che doveva far ridere. Infatti, in
questo romanzo, è presente anche una parte ironica.
Prima lettera
Essi sono i primi persiani a muoversi per volontà di conoscere (almeno per ora
abbiamo questa certezza) e questi valori rientrano in quelli illuministi. Loro
sapevano che ci fosse altro da conoscere, quindi si sono spinti oltre i limiti della loro
possibile conoscenza in Persia. La messa in discussione è atteggiamento tipico dei
Lumiére.
Seconda lettera
Usbek manda una lettera al serraglio, cioè il luogo dove tiene rinchiuse le sue mogli.
Gli eunuchi, con al vertice un capo al quale spedisce questa lettera, sono persone al
suo comando che non hanno alcun potere, ma egli può investirli con tutto il suo
potere quando vuole. Ogni eunuco viene castrato, mentre il capo eunuco viene
privato di tutti gli organi genitali. Gli eunuchi sono la “Polizia dell’Harem”, cioè il
luogo del piacere di Usbek.
Il capo eunuco viene intimato da Usbek di svolgere il suo lavoro decentemente, di
soddisfare le richieste delle sue mogli, ma nel momento in cui esse si prendano
troppa corda per cosi dire, egli deve agire da superiore.
E’ un immaginario del dispotismo: il serraglio con a capo Usbek è una metafora del
potere dispotico e del regime assolutista. Il persiano è il despota del serraglio.
Vediamo l’imposizione della superiorità sul capo eunuco, quando Usbek dice al suo
sottoposto che “lui lo ha tirato fuori dal nulla”, quindi tutto il potere che ha il grande
eunuco potrebbe non averlo più da un momento all’altro.
L’alter ego di Montesquieu è un personaggio ambiguo, poiché attua analisi brillanti
sul dispotismo, ma nasconde un aspetto peggiore, ovvero quello dell’assolutista.
Terza lettera
Dalla terza lettera, vediamo la polifonia: le mogli e il suo amico Rustan gli scrivono,
quindi abbiamo molteplici voci che parlano.
Ottava lettera
Nella corte in cui lui andò fin da giovane, Usbek voleva smascherare tanti vizi che
osservava. Voleva far conoscere al sultano questi vizi, quindi si denota la sua
funzione da tramite tra sultano e sudditi. La sua troppa sincerità gli ha causato non
pochi nemici, per questo fu costretto a scappare in Francia: la sua volontà di
conoscenza era una farsa, ma in seguito gli verrà l’amore per il sapere.
Quest’uomo è capace di vedere la fragilità del dispotismo, ma non mette in
discussione il suo potere, che è praticamente dispotico, nel suo serraglio.
Starobinsky dirà che il serraglio è quel relativo che Usbek non riesce a relativizzare.
Critica il potere dispotico, ma non ammette la sua stessa distribuzione del potere.
Risultato: il serraglio cadrà, così come un regime dispotico.
DODICESIMA LEZIONE
Proprio questi concetti fanno si che scoppi la rivoluzione inglese nel 1649. Carlo I fu
decapitato a causa dell’obbedienza verso il soggetto forte: il popolo era diventato il
soggetto forte, il re quello debole. Senza la sua obbedienza ai suoi sudditi, il re era
punibile.
QUATTORDICESIMA LEZIONE
Montesquieu non è il solo a parlare della sua attualità, o di politica, ma era il target
dei “phylosophes” di quel tempo.
Parliamo del dramma del serraglio: le 5 mogli di Usbek e 7 eunuchi, tra cui il capo
eunuco nero che erano rimasti a Ispahan, e le mogli erano rinchiuse nel suo harem
personale.
E’ un microcosmo, una raffigurazione, anche erotizzata, del regime dispotico. Le
dinamiche nel serraglio sono le stesse che si scatenano in tale regime. Montesquieu
presenta il dispotismo come degenerazione dell’assolutismo. Per i suoi
contemporanei è difficile accettare quelle concezioni, essendo un pensiero molto
avanzato.
Lettera 62
La figlia di una delle mogli, Zelis (che scrive ad Usbek), compie 7 anni, e lei chiede al
marito se può vivere al serraglio. Non è mai troppo presto per privarle della libertà
fin da piccola, più che farle aspettare poco prima di sposarsi per farle rinchiudere,
dice Zelis. Bisogna abituarsi alla dipendenza e alla sottomissione. Secondo la visione
della moglie, la natura rende felice gli uomini, e le donne sono strumenti per
rendere felici gli uomini. Montesquieu fa dire queste parole proprio ad una donna
succube di quella natura: la natura è una gerarchia a vantaggio degli uomini, a
discapito delle donne, però è proprio una donna a dire che è un sistema giusto.
Questo espediente serve per rendere verosimile l’affermazione. Montesquieu crea
un eroe, o eroina, e se egli o ella esprime delle massime, tende ad essere ascoltata
più di un personaggio come lo zio della princesse de Cléves se dicesse una massima
d’amore, in quanto vede l’amore con troppa leggerezza.
Dunque, la frase sull’ingiustizia della natura, detta da chi l’ingiustizia la subisce
direttamente, ha molto più significato.
Montesquieu mette in bocca alla moglie la massima “l’ingiustizia è giusta” rispetto
alla sua situazione, ma il lettore prende le distanze da questa massima, visto che in
Europa la poligamia non era accettata.
Zelis rivendica il suo aver gustato, vissuto, attraverso l’immaginazione, più di
quanto abbia mai fatto Usbek. Egli, per gelosia, le fa guardare giorno e notte, e ciò lo
rende schiavo delle sue mogli anche se sono rinchiuse.
Non c’è alcun collante sociale, ne di gratitudine ne di reciprocità, questo non rende
forte il tiranno, ma solo più debole e dipendente dalla sua inquietudine. Zelis gli dice
quelle cose per prendersi una vendetta su suo marito, ed è un modo per far capire la
debolezza del regime.
Nella lettera 141, Rica scrive a Usbek, e gli scrive una storia simile a quella della
lettera 62, ma quella storia finisce con una donna che, nonostante “non potesse”
finire in paradiso, ci arriva, e nel paradiso è tutto invertito: sono gli uomini a servire
le donne. Rica cerca di dire ad Usbek di non essere troppo pressante, perché poi loro
potevano scegliere qualsiasi altra cosa meno che lui.
Lettera 147
Tra la lettera 147 e la lettera 146 passano 3 anni. La lettera 146 è contro la politica
finanziaria di John Low, datata 1720, e subito dopo Montesquieu effettua un
anacronismo epistolare, cioè pone la lettera del disastro al serraglio, datata 1717
proprio dopo la critica di John Law. E’ una scelta ponderata, poiché il lettore,
leggendo prima la 146 e poi la 147, riesce a tessere dei legami tra la crisi in Francia
con la bancarotta della febbre speculativa, e la crisi del serraglio, che sono
ideologicamente correlate.
Questo è anche frutto di un espediente narrativo detto accelerazione drammatica,
ci fa vivere in pochi attimi, 3 interi anni.
Invece di distribuirle nel romanzo, dispone tutte le lettere alla fine del testo, così da
dare l’effetto di accelerazione drammatica, e far sembrare che tutto sia accaduto in
pochi mesi.
Questa lettera fa uno strano effetto ad Usbek: a Zelis cade il velo mentre stava
andando in moschea, nel serraglio ci sono tracce di corrispondenze con l’esterno, un
giovane è entrato nel serraglio: è letteralmente una tragedia, e ormai Usbek era
tradito. L’eunuco chiede pieni poteri al padrone per risollevare le sorti del serraglio.
Lettera 148
L’eunuco ottiene pieni poteri da Usbek in questa lettera, e l’eunuco ha possibilità di
punire, castigare, esercitare la violenza tipica del dispotismo, il terrore.
Tutto per scoprire se le mogli stessero tradendo Usbek: lui gli chiede di esercitare
eventuale repressione.
Lettera 151
Il grande eunuco muore, ne resta solo uno, Sorim, che non può gestire la situazione
come il capo eunuco. La repressione non riesce, mancava la forza e la possibilità.
Lettera 154
Usbek spera che l’unico eunuco rimasto massacri le mogli, e augura loro solamente
il peggio.
Lettera 155
Usbek ha deciso di tornare in Persia, anche se questo gli significava morte certa, a
causa dei suoi nemici. Se nell’harem dovesse trovare le mogli colpevoli, non sa cosa
diventerebbe, essendo ormai disonorato. Capisce che ha perso il controllo di tutto,
sia dell’harem che della sua mente. Le punizioni che egli voleva dare alle mogli non
gli toglievano la confusione e la disperazione, e di certo il suo onore non sarebbe
ritornato.
Era una richiesta innaturale ciò che lui chiedeva e faceva alle sue mogli, allo stesso
modo di un despota che chiede cose innaturali ai suoi sudditi.
Questa conclusione, da estrema ragione a Zelis nella lettera 62, Usbek non ha più
nulla, è infelice e disperato.
Lettera 161
E’ la lettera conclusiva dell’opera, ed è una delle più importanti. Qui tutto viene
rovesciato. Roxane, una delle mogli di Usbek si avvelena. Finalmente vediamo il
punto di vista della donna, dove dice che lei ha sempre odiato suo marito.
Finalmente, Usbek è costretto a vedere quel relativo che non ha mai relativizzato. Le
leggi dispotiche sono state sovrastate da quelle della natura, visto che quei regimi
sono innaturali e fragili. Roxane dice ad Usbek che lui non la conosce affatto, e
questo è un riferimento alla lettera 26, nella quale Usbek diceva cose che erano
effettivamente vere e lui credeva che fossero capricci della moglie, per esempio
“sembrava che lei lo odiasse”, e invece era proprio così. Lei lo odia a tal punto da
non voler perdere la sua verginità più al lungo possibile con suo marito. In questa
lettera, lei dice tutto quello che avrebbe voluto dirgli da tanto tempo. Rileggere la
lettera 26 dopo aver letto la 161 fa un effetto completamente diverso.
L’odio di Roxane per Usbek è la trasposizione di quello che un suddito prova verso
il despota. E’ anche una scena di eroismo nella quale Roxane vuole che suo marito
veda il suo coraggio, diventando, dopo la scena dell’avvelenamento e della
condanna a morte, un’eroina tragica, che riprende molto la morte del Fedre di
Racine. La sua morte è gesto di forza e di libertà dopo aver ucciso tutti i guardiani
del serraglio.