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ASINIO POLLIONE: UN MARRUCINO TRA I GRANDI DI ROMA

Marrucine Asini, manu sinistra / non belle uteris in ioco atque vino: / tollis lintea neglegentiorum./
...sordida res et invenusta est./ Non credis mihi? Credis Pollioni / fratri, qui tua furta vel talento /
mutari velit: est enim leporum / disertus puer ac facetiarum (Asinio Marrucino, tra il gioco e il vino usi
la mano sinistra in modo non bello: rubi i fazzoletti di chi è distratto… E’ uno scherzo rozzo e volgare.
Non mi credi? Credi a tuo fratello Pollione, che darebbe oro per nascondere i tuoi furti: infatti è un
ragazzo che sa come si scherza con eleganza e spirito). Siamo verso il 60 a.C. e Gaio Asinio Pollione è
solo un adolescente quando Catullo, poco più che ventenne, gli dedica nel carme 12 queste lusinghiere
parole per contrapporlo a suo fratello maggiore, chiamato scherzosamente con l’epiteto di “marrucino”,
come a dire “cafone”. Si tratta della prima menzione di un personaggio che nei decenni successivi si
troverà al centro della vita politica e culturale di Roma, subendo poi un immeritato oblio per secoli. Il
generale cesariano, uomo di cultura, oratore, poeta e storico, protettore e amico di Virgilio e Orazio e
cordialmente nemico, con sentimento ricambiato, di Cicerone e Ottaviano, pur evitando una vera e
propria damnatio memoriae verrà punito, per la sua indipendenza di giudizio e la scarsa vocazione al
compromesso, con la perdita irrimediabile di tutti i suoi scritti.
La famiglia degli Asinii, che vantava tra i suoi esponenti quell'Asinio Herio che aveva guidato i
Marrucini nella guerra sociale, dopo aver ottenuto la cittadinanza si era trasferita a Roma come altre
della nobiltà italica, per essere cooptata nella classe dirigente della capitale: se accettiamo l'ipotesi
largamente condivisa che Herio fosse il nonno di Pollione è probabile che questi nel 76 sia nato a
Roma, con buona pace degli storici abruzzesi affezionati all'idea di una sua nascita teatina. Può anche
darsi che la famiglia sia rimasta nella sua città ancora per parecchi anni dopo la fine della guerra
nell'88, trasferendosi a Roma solo dopo il 76: si tratta di un particolare non definibile con certezza e
ininfluente ai fini di una valutazione complessiva della personalità di Pollione: sta di fatto che nella
prima giovinezza, ai tempi del carme catulliano, i fratelli marrucini sembrano già ben inseriti
nell’esclusivo gruppo dei poetae novi, insieme ai più adulti Catullo, Calvo e Cinna. Anche se nato a
Teate, Asinio dovette beneficiare di un'educazione all’altezza degli ambienti che frequentava, dal
momento che non era facile essere ammessi nella cerchia di quei giovani intellettuali ribelli, un po'
bohémiens, come Valerio Catullo e i suoi amici: verosimilmente a questi anni risalgono le sue prime
prove poetiche.
A dargli la prima notorietà però non è la poesia, bensì l’oratoria: tra il 56 e il 54 infatti Pollione
pronuncia i suoi primi discorsi contro Gaio Porcio Catone e suo fratello Marco, futuro Uticense e fiero
oppositore di Cesare, ma anche aspro avversario degli italici che cercavano di farsi strada nella politica
romana. In quegli stessi anni Asinio compie un viaggio in Grecia, come ogni giovane romano che
voglia perfezionare la propria cultura letteraria e filosofica: in occasione della partenza l’amico poeta
Elvio Cinna gli dedica un poemetto, il Propempticon, uno dei tanti componimenti che testimoniano la
stima che a Pollione tributavano gli amici poeti, da Catullo fino a Virgilio e Orazio.
Per qualche anno non si hanno notizie di Pollione, ma si presume che abbia conosciuto Giulio
Cesare nel 51 o nel 50, secondo alcuni in Gallia, dove l'avrebbe raggiunto in tempo per assistere alla
conclusione della campagna di conquista , oppure a Roma, forse per intercessione del comune amico
Scribonio Curione. In una lettera del 43 a Cicerone, rievocando l'inizio della loro amicizia, scriverà di
essere stato trattato da Cesare come amico di vecchia data, sebbene si fossero conosciuti da poco. Non
sappiamo molto dei loro rapporti personali, al di là di quanto rivela lo stesso Asinio nelle missive che
scrive a Cicerone, il suo lascito diretto più corposo: strana ironia della sorte, quella di sopravvivere
come scrittore solo grazie a testi finiti nella raccolta epistolare di un uomo da lui fondamentalmente
detestato, contro il quale scaglierà aspri e rancorosi giudizi post mortem, non pervenutici direttamente
ma testimoniati da più di una fonte. L’incontro con Cesare avvierà una carriera politica e militare
intensa ma breve, concentrata nel decennio 49-39, quando a soli 37 anni Asinio prenderà la decisione
improvvisa di ritirarsi per dedicarsi interamente a quell'attività storiografica che lo assorbirà per il resto
della vita e che non lascerà traccia, se non nelle citazioni degli storici di epoca successiva: Strabone,
Giuseppe Flavio, Svetonio, Plutarco, Appiano, Dione Cassio. Nel gennaio del 49, al passaggio del
Rubicone, è accanto a Cesare, nella cerchia più ristretta dei suoi amici e ufficiali; tra marzo e aprile è
tra i capi della spedizione in Sicilia, strappata al vecchio nemico Marco Porcio Catone, costretto a
ritirarsi. Nei mesi successivi sarà con Cesare in Epiro e in Tessaglia, partecipando alla battaglia di
Farsalo con incarichi militari certamente di rilievo anche se non di comando, considerato che non lo
troviamo citato neanche una volta nei commentarii sulla guerra civile. Tuttavia secondo lo storico
Luciano Canfora, autore di una avvincente e documentatissima biografia cesariana, la dettagliata e
attendibile ricostruzione dei momenti cruciali della campagna, fornita da Svetonio a più di un secolo e
mezzo dai fatti ma basata su una fonte diretta, affidabile e molto vicina a Cesare, è da attribuire senza
dubbio ad Asinio: circostanza che dimostra come le sue Historiae circolavano ancora nel II secolo d.C.
Dopo Farsalo Pollione non segue Cesare in Egitto, ma lo ritroviamo, tra il 46 e il 45, a Tapso in
Africa e a Munda in Spagna: in particolare, il suo contributo nella campagna spagnola contro i figli di
Pompeo è tale da valergli l’attribuzione della carica di pretore, negli ultimi mesi del 45, e poi
addirittura il governatorato della Spagna Ulteriore, appena pacificata e ancora segnata da focolai di
ribellione, incarico delicato e impegnativo che Asinio svolgerà con alterne fortune: partito all'inizio del
44, subirà qualche rovescio ad opera di Sesto Pompeo prima di essere raggiunto dalla notizia della
morte del dittatore. Nei mesi successivi consolida la propria posizione in quella ricca provincia,
seguendo a distanza le vicende di Roma pronto con le sue legioni a prendere una posizione nel caso la
situazione dovesse precipitare. Documento prezioso di questa attesa carica di tensione sono le famose
tre lettere a Cicerone, scritte tra il marzo e il giugno del 43, in cui Asinio protesta la sua avversione alla
guerra fratricida e ribadisce la fedeltà al Senato, non mancando però di rivendicare le proprie scelte
precedenti e l’amicizia con Cesare. Nelle stesse lettere, scritte all’oratore che pochi mesi dopo pagherà
con la morte il durissimo atto d’accusa contro Antonio rappresentato dalle Filippiche, lo scrivente si
dichiara ostile al partito antoniano e fedele esecutore delle direttive del Senato, professandosi altresì
amico ed estimatore del corrispondente più anziano: ma gli sviluppi successivi, con Pollione che si
schiererà con Antonio e attaccherà duramente la memoria di Cicerone dopo il suo assassinio, non
depongono a favore della sincerità di queste tre lettere spagnole.
Sono proprio gli anni immediatamente successivi all'assassinio di Cesare che segnano il punto di
arrivo della carriera politica di Asinio: dopo il governatorato in Spagna passa nella Gallia Transalpina,
soccorrendo Antonio ma continuando ad adoperarsi per la pace, nonostante le alterne vicende tra guerra
di Modena, accordo triumvirale, battaglia di Filippi nel 42, rottura dell’alleanza, guerra di Perugia e
nuovo accordo nel 40 sancito dalla pace di Brindisi, destinata a interrompere le ostilità solo per breve
tempo. Asinio, dopo le esitazioni del primo momento testimoniate dalle lettere a Cicerone, si schiererà
dunque con Antonio, assistendo però speranzoso alle effimere riappacificazioni tra i due rivali. Nel 41
sarà compreso, con Varo e Gallo, tra I triumviri agris dividundis per la distribuzione delle terre della
Gallia Cisalpina ai veterani di Ottaviano. Proprio durante lo svolgimento di tale incarico aiuterà il poeta
Virgilio, conosciuto forse qualche anno prima, colpito dalle confische: il poeta gli dimostrerà
gratitudine e amicizia dedicandogli tre Egloghe. Nominato console nel 40, Asinio sarà proconsole in
Illiria l'anno seguente, ottenendo il trionfo per le vittorie contro il popolo ribelle dei Partini: con le
risorse accumulate durante il proconsolato allestirà la prima biblioteca pubblica a Roma, arricchita da
una preziosa collezione di statue. Subito dopo prenderà la sorprendente decisione di lasciare la politica
e ritirarsi a vita privata; è vero che una scelta simile è presa negli stessi anni anche dallo storico
Sallustio, che lascia la vita pubblica per scrivere le sue opere storiche, e lo stesso Seneca alcuni decenni
più tardi si dedicherà alla filosofia dopo essere caduto in disgrazia presso Nerone. Ma è anche vero che
Asinio ha solo 37 anni quando abbandona l’arena politica, nel bel mezzo di una situazione in piena
evoluzione, nella quale avrebbe facilmente potuto trovare spazio, considerate le sue capacità ed
esperienza. Tuttavia, nel momento apparentemente più propizio, molla tutto e “va in pensione”: una
decisione che lascia perplessi.
Le ragioni della scelta di Asinio vanno ricercate nei complessi rapporti intrattenuti con Ottaviano,
futuro Augusto, sempre oscillanti tra antipatia, mai sfociata in aperta rottura, e tentativi di
ricomposizione. Dopo il consolato, il proconsolato in Illiria e il successivo trionfo Pollione dovette
trovarsi in difficoltà nel momento della rottura definitiva tra gli ex triumviri, quando non se la sentì né
di seguire Antonio in Oriente né tantomeno di tradirlo schierandosi con Ottaviano, come espressamente
richiestogli da quest’ultimo: il fermo rifiuto di Asinio sarà all’origine della freddezza che da quel
momento segnerà i loro rapporti. A interpretare la sua difficile posizione possono essere di aiuto alcune
testimonianze d’eccezione, come quelle dei poeti che gli furono vicini in anni difficili, osservatori e
commentatori privilegiati della sua singolare parabola umana e intellettuale. Sono stati già ricordati i
rapporti di amicizia che il giovanissimo Asinio aveva intrattenuto con Catullo e gli altri poetae novi
negli anni successivi al 60, ma per comprendere le ragioni profonde che animano le scelte di Asinio
occorre affidarsi ai massimi poeti dell’età augustea, Virgilio e soprattutto Orazio.
I versi che Virgilio dedica al suo amico nelle Bucoliche III, IV e VIII testimoniano, oltre che
affetto e amicizia, anche la fortuna di cui Pollione godeva tra il 41 e il 39, periodo della composizione
delle egloghe. Diversi anni dopo, invece, tocca all’altro grande poeta vicino ad Ottaviano, Orazio
Flacco, dapprima elogiarlo come poeta tragico nella satira X del primo libro, successivamente
menzionare la sua opera di storico nella I ode del secondo libro. Proprio quest’ultimo componimento è
illuminante su aspetti decisivi del progetto, rivoluzionario da diversi punti di vista, che in quegli anni
(siamo intorno al 25 a.C.) assorbiva tutte le energie di Asinio: le Storie in 17 libri che andava scrivendo
e pubblicando. Ma leggiamo le rivelatrici parole di Orazio nell’incipit dell’ode a Pollione: Motum ex
Metello consule civicum / bellique causas et vitia et modos / ludumque Fortunae gravisque / principum
amicitias et arma / nondum expiatis uncta cruoribus, / periculosae plenum opus aleae, / tractas et
incedis per ignis / suppositos cineri doloso (La discordia civile dal consolato di Metello, / le cause della
guerra, gli errori e le fasi / e il gioco della fortuna e le amicizie funeste dei capi / e le armi grondanti di
sangue non ancora espiato, / opera piena di pericoloso rischio / tutto questo tratti, e procedi su un fuoco
/ nascosto sotto cenere insidiosa). Il poeta saluta dunque con trepidazione la pubblicazione dell’opera
storica dell’amico, che ripercorreva le vicende della guerra civile dal 60 (anno del consolato di Metello)
al 43, da cui attingeranno oltre un secolo dopo Svetonio, Plutarco e gli altri. Orazio vuole mettere in
guardia Asinio dai pericoli in cui incorre occupandosi di una materia delicata che potrebbe procurargli
dei problemi, se trattata secondo una prospettiva non perfettamente allineata con la propaganda del
nuovo padrone della res publica romana: quell’Ottaviano da poco insignito della dignità di Augusto e
da sempre diffidente nei confronti di Pollione, reo di averne respinto la corte prima di Azio e di non
aver voluto schierarsi apertamente con lui contro Antonio.
In effetti la versione di Asinio, così come si può parzialmente ricostruire dai frammenti e dai
riferimenti presenti negli storici posteriori che vi hanno attinto, si discostava dalla “vulgata” cesariana e
augustea in più di un punto decisivo, come ha fatto notare Luciano Canfora nella sua ricostruzione
della figura di Cesare, il “dittatore democratico”, come lo definisce. Svetonio riporta ad esempio i
giudizi di Pollione sull’attendibilità dei Commentarii cesariani, in particolare quello sulla guerra civile,
a suo parere superficiale, impreciso ed evasivo in alcuni passaggi. Il suo intento vuole essere quello di
rettificare il resoconto di Cesare sui momenti cruciali del conflitto, presentandosi non solo come
testimone informato dei fatti, ma come uno degli attori principali, sempre presente accanto al
protagonista e in grado di fornire la reale versione dei fatti oltre le mistificazioni propagandistiche.
Grazie a Svetonio, che ha citato fedelmente Asinio, siamo in grado di conoscere le precise parole che
Cesare ebbe a pronunciare all’atto del fatidico passaggio del Rubicone e sul campo di Farsalo, dopo la
vittoria su Pompeo: dichiarazioni illuminanti sui sentimenti e le intenzioni che animavano le decisioni
cesariane, al di là delle motivazioni ufficiali fornite nel De bello civili. Se poi si passa sul piano
personale, sul ruolo che Pollione si attribuisce in quella campagna militare, è inevitabile notare una
contraddizione insanabile tra il corpus cesariano (non solo il commentario sulla guerra civile ma anche
gli altri Bella anonimi, l’Alexandrinum, l’Africum e l’Hispaniense) e le rettifiche apportate da Asinio,
come a voler autoriabilitarsi riaffermando orgogliosamente il proprio ruolo centrale accanto a Cesare
nelle fasi decisive della sua azione politica e militare. Sarebbe facile ridurre tali aggiustamenti alla
volontà autocelebrativa dell’autore, che avrebbe comprensibilmente enfatizzato il proprio contributo,
rappresentandosi accanto al protagonista pronto a cogliere le sue confidenze più riservate, ma forse le
cose non sono così semplici: come non manca di notare Canfora, il prestigioso incarico di governare la
Spagna ancora inquieta, dimostra un’indubbia fiducia da parte di Cesare nelle capacità politiche e
organizzative, oltre che militari di Pollione, deponendo a favore delle rivendicazioni di quest'ultimo, a
dimostrazione che il divario tra le fonti non può essere ricondotto esclusivamente alla vanità di un ego
ferito che riscrive la storia per far rifulgere il proprio valore a suo giudizio misconosciuto.
L’opinione di Canfora, suffragata da numerose testimonianze ed episodi che comprovano l’azione
di censura e di controllo culturale esercitata dal princeps Ottaviano sulla letteratura e la storiografia
contemporanee, è che la presenza e il ruolo di una figura scomoda come quella di Asinio siano stati
volutamente e pervicacemente ridimensionati, quando non addirittura cancellati, dall’opera di
“aggiustamento”, per non dire di pesante manipolazione, che i collaboratori dell’Augusto: azione che
venne esercitata non tanto sui commentarii autentici e autografi di Cesare, difficili da stravolgere dato il
loro prestigio, quanto sulle aggiunte degli anonimi prosecutori delle sue narrazioni militari. D’altra
parte il fatto che Asinio abbia continuato a svolgere un’azione di disturbo nei confronti del regime
augusteo anche nei decenni successivi al suo ritiro dalla vita politica, è testimoniato da alcuni episodi
riportati dai contemporanei: come l’amicizia con lo storico greco Timagene, che Pollione accolse dopo
la rottura con Augusto, che non mancò di commentare indispettito tale iniziativa del Marrucino; o come
la protesta contro i Ludi Troiani, una tradizionale manifestazione che il principe dovette sospendere
dopo che Asinio pronunciò una veemente orazione di protesta a seguito del ferimento di un suo nipote
durante lo svolgimento dei giochi.
Un’antipatia reciproca e cordiale, quella tra Pollione e Ottaviano, di lunga durata e mai venuta
meno nel corso dei decenni; il prezzo che il suddito dovette pagare, per la sua indipendenza di giudizio
e il carattere irriducibile (ferocia lo definisce Tacito negli Annales), fu la cancellazione del suo nome
dalla narrazione ufficiale degli eventi che pure lo avevano visto, se non protagonista, certamente
personaggio importante. Il tardivo tentativo di rettifica messo in atto non riuscirà a cambiare il corso
della storia: le sue parole si perderanno nei secoli bui, lasciando tracce solo nell’opera di chi ha fatto in
tempo a consultarle. L’arguzia di Asinio resta tutta riassunta nella risposta che diede a chi gli chiedeva
perché non avesse risposto a tono ad alcuni versi offensivi che Augusto gli aveva dedicato: “Non ho
intenzione di scrivere contro chi ha il potere di proscrivere”. Non aveva spirito di martire e intenti
suicidi il Marrucino Pollione, ma quando ha potuto ha dimostrato la sua sprezzante avversione al
grande Augusto: il quale gliel’ha fatta pagare, non con la spada, ma in modo più sottile e perverso,
cancellando dalla storia ufficiale ogni traccia della sua azione e del suo contributo.

Elsa Flacco

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