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ballata

mento ai ruoli dei parlanti (bello di nonna, gioia di mamma), che Ochs, Elinor (1988), Culture and language development. Language ac-
in varietà meridionali traspare anche nell’allocuzione inversa, quisition and language socialization in a Samoan village, Cam-
in cui al bambino viene rivolta l’espressione della figura pa- bridge, Cambridge University Press.
rentale che gli parla (ti voglio bene, papà tuo; vieni qua, mammà). Owen, Máire (1992), The acquisition of Irish. A case study, Clevedon,
Multilingual Matters.
La funzione sociale è favorita dal fatto che l’adulto adatta i Savoia, Leonardo M. (1984), Grammatica e pragmatica del linguaggio
propri enunciati allo stadio di sviluppo linguistico, cognitivo e so- bambinesco (baby-talk). La comunicazione ritualizzata in alcune
ciale del bambino e dall’impiego di processi affettivi che ne at- culture tradizionali, Bologna, CLUEB.
tirano l’attenzione. L’adattamento linguistico è evidente nei pro- Snow, Catherine E. (19862), Conversation with children, in Language
cessi di semplificazione della forma fonologica delle parole per acquisition. Studies in first language development, edited by P. Flet-
adeguarla allo stadio di acquisizione del bambino; l’adattamento cher & M. Garman, Cambridge, Cambridge University Press, pp.
cognitivo nel fatto che sono evitati i pronomi di prima e seconda 69-89.
persona sing. e nella limitazione al tempo pres. (e imperf. cortese)
del verbo, che non implicano lo sviluppo di nozioni deittiche e,
insieme ai pron. dimostr., mantengono il riferimento al ‘qui e ora’
dell’esperienza del bambino.
La semplificazione è accompagnata da tecniche di chiari-
ballata
ficazione che tramite la prosodia, la ridondanza e le sequenze
di conferma aiutano la percezione di segmenti significativi nel La ballata, la ➔ canzone e il ➔ sonetto rappresentano i metri
discorso dell’adulto, delimitando le parole e contribuendo a lirici per eccellenza della tradizione letteraria italiana antica.
maggiore stabilità di significato. In situazione di contatto tra Con ballata ci si riferisce in genere alla ballata antica (detta an-
dialetto e italiano la chiarificazione può anche comportare la che canzone a ballo), diffusa, in varie forme, dal Medioevo al
scelta del secondo codice, considerato meno opaco rispetto al Novecento e distinta, metricamente e culturalmente, dalla
primo (cfr. Moretti 1999: 265-272 per il Canton Ticino: sü nini ballata romantica. D’imitazione nordica, e riconducibile al
… che ta fò un bón risotto). modello delle inglesi ballads, la ballata romantica (o romanza),
introdotta in Italia nel primo Ottocento da Giovanni Berchet,
adotta, dal punto di vista metrico, schemi affini a quelli del-
4. Tratti universali del baby talk l’ode settecentesca (Cecchini 1901; Giovannetti 1999). La bal-
lata antica (Beltrami 20024: 289-300) è costituita invece da una
Ancorché mediati dalle convenzioni sociali delle singole co- ripresa e da una o più strofi o stanze (ballate mono- e pluri-
munità di parlanti, i princìpi che sottostanno alle modificazioni strofiche, o ‘vestite’). La ripresa conta un numero di versi va-
del modo di rivolgersi ad adulti che caratterizzano il baby talk riabile da uno a quattro (rari gli esempi di ripresa a cinque e
hanno carattere universale (cfr. Owens 1992: 46-64 per l’Ir- più versi).
landa; Ochs 1988: 128-130 per le isole Samoa; Ferguson 1978 Nella lirica alta, soprattutto a partire dagli stilnovisti, i
in prospettiva tipologica). versi adottati nella ripresa e nelle stanze sono endecasillabi
La capacità di variare il modo di rivolgersi ad adulti e a bam- (➔ endecasillabo) o settenari (➔ settenario), anche varia-
bini è parte della competenza acquisita con la struttura gram- mente alternati nello stesso componimento; nella poesia
maticale della propria lingua. Inoltre, per ciascuna lingua, i delle origini, nella poesia giullaresca o popolareggiante e
tratti del baby talk sono trasmessi di generazione in generazione nelle laude, tendono a prevalere versi di altra misura (senari,
e sono soggetti ai cambiamenti linguistici al pari di altri elementi otto-novenari, doppi quinari, alessandrini). Nello schema
di una lingua. La diffusione pressoché universale della sempli- metrico, i versi della ripresa sono convenzionalmente de-
ficazione fonologica è provata dal ricorrere di parole simili per nominati con le ultime lettere dell’alfabeto (w, x, y, z).
i termini di parentela in lingue diverse. Queste mostrano redu- L’ultimo verso della ripresa rima obbligatoriamente con
plicazione (➔ raddoppiamento) della medesima sillaba costituita l’ultimo verso delle stanze, formando la ‘chiave’ del com-
da una consonante bilabiale o dentale e da una vocale di massima ponimento: l’assenza di chiave è del tutto eccezionale; è
apertura (➔ vocali), e riproducono così le prime fasi di acqui- però possibile che l’ultimo verso della volta rimi con un
sizione fonologica dei bambini (mamma, mama, mommy; papà, verso della ripresa diverso dall’ultimo (si esercitano in va-
pappy, pop, dada, dad, daddy; Jakobson 1971). rianti del genere alcuni rimatori trecenteschi, in particolare
La stabilità diacronica delle forme di baby talk è attestata Niccolò Soldanieri: Capovilla 1978a). La stanza, come la
per l’italiano dall’ammonizione di Dante (De vulg. eloquentia stanza di canzone, è di estensione variabile (le stanze delle
II, vii, 3-4) a evitare i vocaboli «puerilia» mamma, babbo, mate, ballate pluristrofiche sono però identiche) e divisibile in due
pate, che si sono tramandati fino ad oggi, nonché da pappa, già sezioni, dette rispettivamente mutazioni e volta. Le muta-
presente in latino come parola di bambini per chiedere cibo zioni (da due a tre) contano da due a quattro versi ciascuna
(secondo Varrone in Nonio Marcello). e presentano, in linea di principio, identica formula silla-
Giuliano Bernini bica: strutturalmente corrispondono ai piedi della canzone,
Studi e perciò si dicono anche piedi. Tra l’ultimo verso delle mu-
Bertinetto, Pier Marco (2009), Adeguate imperfezioni. Sulla scelta di tazioni e il primo della volta è in genere attuato un collega-
una lingua comune per l’Europa federata e altri saggi di linguistica, mento attraverso la rima. Lo schema della volta ripete, in
Palermo, Sellerio. toto o in parte, la ripresa: in via eccezionale può esservi coin-
Brown, Roger (1977), Introduction, in Talking to children. Language cidenza di schema rimico ma non di formula sillabica e
input and acquisition. Papers from a conference sponsored by the molto raramente il numero di versi della ripresa può diffe-
Committee on Sociolinguistics of the Social Science Research
Council (USA), edited by C.E. Snow & C.A. Ferguson, Cam-
rire da quello della volta.
bridge, Cambridge University Press, pp. 1-27. Una variante non troppo diffusa (ma radicata negli stil-
Calleri, Daniela (1987), Il mondo parlato dai bambini, «Italiano e oltre» 2, novisti e nei loro epigoni, e già documentabile in Guittone
pp. 5-7. d’Arezzo) prevede, al termine della ballata e in aggiunta alla
Ferguson, Charles A. (1978), Talking to children. A search for univer- ripetizione canonica della ripresa, un congedo: replica, più o
sals, in Universals of human language, edited by J.H. Greenberg et meno fedele, dello schema della ripresa (ballate ‘con la coda’).
al., Stanford, Stanford University Press, 4 voll., vol. 1° (Method Si ritiene che, nell’esecuzione cantata, la ripresa (detta anche
and theory), pp. 203-224. ritornello) fosse ripetuta dal coro dei danzatori al termine di
Jakobson, Roman (1971), Perché ‘mamma’ e ‘papà’?, in Il farsi e il di- ciascuna stanza (e, in una prima fase, anche all’inizio, imme-
sfarsi del linguaggio. Linguaggio infantile e afasia, Torino, Einaudi,
pp. 129-141 (ed. orig. Kindersprache, Aphasie und allgemeine diatamente dopo la prima esecuzione del solista): tutta la ter-
Lautgesetze, Uppsala, Almquist & Wiksell, 1941). minologia (ballata, ripresa o ritornello, mutazioni, volta) al-
Moretti, Bruno (1999), Ai margini del dialetto. Varietà in sviluppo e lude, del resto, a un’origine correlata al canto e alla danza. Si
varietà in via di riduzione in una situazione di ‘inizio di decadi- deve ritenere però che l’adozione del metro si sia presto svin-
mento’, Bellinzona, Osservatorio linguistico della Svizzera ita- colata dalla correlazione con l’eventuale esecuzione cantata o
liana. danzata.

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barbarismi

Secondo il modello degli antichi metricisti, i tipi di ballata terzo libro dell’Ars grammatica maior di Elio Donato (IV se-
si classificano in funzione del numero dei versi che formano la colo d.C.). In volgare possiede almeno fino all’Umanesimo un
ripresa: nel caso di ripresa a un verso (monostica) si parla di senso esteso al complesso dei fenomeni linguistici, indicando
ballata minima (se il verso è di misura inferiore all’endecasil- improprietà espressive a vari livelli (Brunetto Latini, La Ret-
labo) o piccola (endecasillabo); nel caso di ripresa distica, di bal- torica, Argomento 17; «confusione del barbarismo» in Zanobi da
lata minore; nel caso di ripresa tristica, di ballata mezzana; nel Strada).
caso di ripresa tetrastica, di ballata grande, che rappresenta la In epoca umanistico-rinascimentale il termine viene col-
forma di riferimento. Se la ripresa è a cinque o più versi si parla legato al rimpianto classicistico che vedeva nelle invasioni
di ballata stravagante: stravaganti sono le celebri ballate di barbariche la causa del crollo della latinità, di una perdita di
Guido Cavalcanti Fresca rosa novella (a ripresa pentastica) e identità e di un rimescolamento di idiomi e valori (Biondo Fla-
Perch’i’ no spero di tornar giammai (a ripresa esastica). vio, De verbis), e il suo significato connesso agli effetti perni-
Tematicamente, la ballata antica tratta di argomento pre- ciosi della mescidanza linguistica (Leon Battista ➔ Alberti ro-
valentemente profano (in specie amoroso): sconosciuta ai poeti manae locutionis, XXV, 110, Libri della famiglia, Proemio al
della scuola siciliana, si diffonde nella poesia toscana grazie a libro III; cfr. anche barbaria nel Dialogo intorno alla nostra lin-
Guittone e agli stilnovisti. Ne compongono alcune ➔ Dante e gua di Niccolò Machiavelli) come al difetto di chiarezza (Luigi
➔ Petrarca. Ha notevole diffusione nel secondo Trecento Pulci, Il Morgante XXVIII, 46), anche fonetica, evidente-
(Capovilla 1978a) e ancora lungo il Quattrocento, anche in mente in rapporto a quello che era considerato il valore eti-
forme stereotipe, che di volta in volta assumono i nomi di bar- mologico di barbaro «balbuziente» (lo stesso Pulci precisa nel
zellette, canti carnascialeschi (di ambito laurenziano, caratte- Vocabolista: «iscorretto nel profferire le parole»; similmente ➔
rizzati dal tema piuttosto che dal metro), giustiniane. È fami- Leonardo, in un passo del ms. Trivulziano, parla di «scorec-
liare ai novellieri, da ➔ Boccaccio (che termina tutte le giornate tione di vocaboli mal pronunziati»; a errori di lettura allude an-
del Decameron con una ballata) a Bandello. Reintrodotta nel- che Anton Francesco Doni in una lettera).
l’Ottocento da ➔ Tommaseo, rivive nelle sperimentazioni me- Da metà del Cinquecento, all’accezione grammaticale si af-
triche di ➔ Carducci, ➔ Pascoli, ➔ D’Annunzio, Saba, la- fianca – per sostituirla via via nel corso dei secoli – quella cir-
sciando tracce fino a ➔ Montale (Capovilla 1978b). coscritta all’elemento lessicale (Tesi 2000: 14 e segg.), ovvero
Una specializzazione della ballata, detta lauda-ballata, è il ai forestierismi adattati e non (Tommaso Campanella, Poetica:
metro tipico del genere laudistico (nei laudari più antichi i te- «Il poeta deve esser sospeso da’ traslati forastieri [e usar voci]
sti sono a volte accompagnati da notazione musicale). Nella nostrali e communi […] non troppo forastiere, perché si fanno
lauda-ballata i versi più frequentemente adottati sono l’otto- barbarismi»). Nel Sei e Settecento, pur talora conservando una
nario e il novenario, anche commisti in serie anisosillabiche. certa ambiguità, il termine è adoperato assieme ad altri desi-
Prevale, specie nella lauda più antica, lo schema zagialesco (ri- gnanti improprietà grammaticali e stilistiche, il che ne carat-
presa xx, o yx, e strofi aaax), ricondotto all’influsso della lirica terizza il significato (in lettere di Giambattista Marino e Mel-
mozarabica (Roncaglia 1962): di per sé, anche questo schema chiorre ➔ Cesarotti, che lo accosta a preziosità e pedanteria;
semplificato è riconducibile allo schema della ballata profana. Pietro Verri nel «Caffè» se la prende con chi «macchi[a] i suoi
È tipico di Iacopone da Todi e ricorre in innumerevoli testi, discorsi con frequenti errori e barbarismi»). Permane un ca-
d’autore e anonimi (diffusi a partire dal Duecento sull’onda del nonico appaiamento tra barbarismi e «solecismi»: così in Giu-
movimento dei flagellanti, o disciplinati). Dello schema za- seppe Parini (Discorso intorno alla poesia) e Vittorio ➔ Alfieri
gialesco si hanno applicazioni anche tarde e in àmbito profano (Vita IV, xxxi), fino a Riccardo Bacchelli (L’incendio di Mi-
(ad es., in ➔ Poliziano). La quattrocentesca barzelletta (nome lano, in connessione pure con «neologismi»), a dimostrazione
ricollegato al franc. bergerette) è un componimento popola- di una connotazione rimasta nel tempo.
reggiante e musicato, formato da ottonari o otto-novenari con Nell’Ottocento è ormai schiacciante l’accezione lessicale,
ripresa tetrastica (in genere xyyx) e stanze di otto versi (più inserita nel dibattito pre-unitario (Ugo Foscolo, Dell’origine e
spesso ababcddx) che adotta uno schema di lauda-ballata dif- dell’ufficio della letteratura; Vincenzo Gioberti, Del primato
fuso nel Tre-Quattrocento. morale e civile degli italiani II, viii, citante coloro che in pas-
Claudio Ciociola sato includevano «tutti gli idiomi del mondo avendo i barba-
rismi in conto di eleganze»); di un uso pienamente acclimatato
Studi testimoniano occorrenze in una lettera di Giosuè ➔ Carducci
Beltrami, Pietro G. (20024), La metrica italiana, Bologna, il Mulino. e nella Prefazione di Fanfani & Arlia (18812, p. XI).
Capovilla, Guido (1978a), Note sulla tecnica della ballata trecentesca, Se fino al XIX secolo la polemica contro i barbarismi, an-
in L’ars nova italiana del Trecento. Atti del III congresso inter- che quando cosparsa di accenti patriottico-risorgimentali, era
nazionale (Siena - Certaldo, 19-22 luglio 1975), Certaldo, Centro principalmente di ordine estetico-letterario (emblematici in tal
Studi sull’Ars nova italiana nel Trecento, 7 voll., vol. 4°, pp. 107-
147. senso alcuni passaggi dello Zibaldone di Giacomo ➔ Leopardi,
Capovilla, Guido (1978b), Occasioni arcaizzanti della forma poetica che citano i barbarismi trattando del «vago poetico», nel No-
italiana fra Otto e Novecento: il ripristino della ballata antica da vecento la sempre più sistematica politica linguistica (➔ fa-
Tommaseo a Saba, «Metrica» 1, pp. 95-145. scismo, lingua del; ➔ politica linguistica) si concentra
Cecchini, Laudomia (1901), La ballata romantica in Italia, Torino, quasi solo sugli usi funzionali e pubblici dell’italiano. Inoltre,
Paravia. se in precedenza i barbarismi includevano anche le parole
Giovannetti, Paolo (1999), Nordiche superstizioni. La ballata roman- adattate (riconoscibili perché quasi tutte tratte dal francese:
tica italiana, Venezia, Marsilio. ➔ adattamento; ➔ francesismi), ora sono contrastati soprat-
Roncaglia, Aurelio (1962), Nella preistoria della lauda. Ballata e strofa
zagialesca, in Il Movimento dei Disciplinati nel settimo centenario
tutto i prestiti integrali, maggiormente discernibili da parte
dal suo inizio. Perugia, 1260. Convegno internazionale (Perugia, dell’opinione pubblica che si faceva, ancor più dei linguisti,
25-28 settembre 1960), Perugia, Deputazione di Storia Patria per portavoce delle istanze puristiche.
l’Umbria, pp. 460-475. Il termine è richiamato, talvolta fin dal titolo ma soprattutto
nei contenuti, in interventi di matrice nazionalista nei primi
anni del XX secolo (Panzacchi 1901) e fascista dal 1922 (Gigli
& Coceva 1924; Tittoni 1926; Monelli 1933). Nel 1941 Mus-
solini, a proposito dei primi elenchi di «forestierismi» apparsi sul
barbarismi «Bollettino dell’Accademia d’Italia», dichiarò di preferire, a
questa parola, le espressioni barbarismi o esotismi, e fu que-
Il termine barbarismi designa spregiativamente fin dall’anti- st’ultimo termine ad essere adottato negli elenchi successivi
chità le parole (e, più generalmente, gli elementi morfologici, (Raffaelli 1983: 224-225): scelta che prelude alla progressiva
sintattici e stilistici) considerate estranee allo spirito e alla sfortuna cui la voce barbarismo andò incontro dal secondo do-
forma di una determinata lingua (Tesi 2000). Barbarismus poguerra in poi, nonostante la sopravvivenza nel sottotitolo (in-
«espressione viziosa», attestato già nella Rhetorica ad Herennium trodotto nel 1960) del fortunato repertorio di Messina (1954).
(IV, 12, 17), permane nel latino tardo, per es. nel titolo del Alberto Raffaelli

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canzone

della superiorità artistico-letteraria del nostro paese che su ri- Anche nell’accentazione, il canto può talvolta operare delle
gorosi fondamenti si dimostra senza difficoltà. A sostegno modificazioni (ritrazioni o avanzamenti) indotte dall’accenta-
della supposta superiorità, in effetti, vengono citati autori di zione musicale, non necessariamente coincidente con quella
drammi per musica (Metastasio in testa) e la florida corrente prosodica. In questo, una lingua ad accentazione mobile, seb-
petrarchistica, assunta, a partire dal suo capostipite, come bene perlopiù piana, come l’italiano è senza dubbio facilitata
emblema di armoniose sonorità ed equilibrio ineguagliato. rispetto ad un’altra ad accentazione fissa (tronca) come il fran-
Quasi nessuno invoca motivi quali la struttura sillabica (➔ sil- cese. Ancora più mobili sono gli accenti dell’inglese e del te-
laba), il ritmo accentuale (➔ ritmo), l’escursione tonale degli desco, che dunque si configurano, ritmicamente, come lingue
enunciati e simili questioni, del resto non comuni neppure adattissime al canto, nonostante il luogo comune che le vor-
nella trattatistica dell’epoca. rebbe cacofoniche.
Se si considerasse il ritmo, infatti, la regolarità prosodica Dal punto di vista metrico, è nota la tendenza dell’italiano
dell’inglese renderebbe quest’ultimo idioma un candidato alla cantato ad utilizzare versi perlopiù brevi, regolari e legati da
cantabilità ben più credibile dell’italiano, lingua tendenzial- rime spesso baciate, caratteristiche che, in gran parte, il me-
mente isosillabica, con la durata delle sillabe più o meno uni- lodramma lascerà in eredità alla canzone pop fino ai giorni no-
forme. Le lingue germaniche come l’inglese vengono dette, per stri.
converso, isoaccentuali, ovvero con una tendenziale omogeneità Un ultimo carattere distintivo del canto rispetto al parlato
nella durata degli intervalli intercorrenti tra un accento e l’al- risiede nella diversa importanza assegnata alla frequenza fon-
tro nell’ambito della frase (Bertinetto 1981). E proprio ri- damentale (➔ intonazione), vale a dire l’intonazione di base
guardo alla durata delle sillabe, ben più cantabili sarebbero lin- di qualunque linea melodica, rispetto alle cosiddette formanti,
gue (classiche, come il latino o il greco, ma anche moderne, ovvero i suoni armonici, e dunque accessori, che contribui-
come il finlandese) che hanno un sistema quantitativo, e dun- scono, tuttavia, alla completa riconoscibilità dei suoni princi-
que ritmico (per l’alternanza di vocali lunghe e brevi), piutto- pali:
sto che uno accentuale come il nostro. Dal punto di vista del-
La melodia del parlato deve usare una fondamentale
l’intonazione, poi, l’amplissima estensione prevista dalle lingue
per poter produrre i formanti, gli armonici tonali, che
cosiddette a toni (come il cinese) escluderebbe l’italiano, e le
differenziano le vocali. [...] Nel parlato la fondamentale
altre lingue ad intonazione cosiddetta assoluta, dal novero
è di secondaria importanza rispetto ai formanti pro-
delle lingue eufoniche e ben cantabili (Boilès 1977). Le lingue
dotti, sebbene abbia una funzione importante nel lin-
a toni, infatti, assegnano all’altezza delle sillabe non soltanto un
guaggio parlato in quanto comunica nozioni di sin-
valore espressivo, o tutt’al più sintattico e pragmatico in certi
tassi e di ‘affetto’ [...]. La melodia del canto ha a che
contesti, bensì propriamente semantico e lessicale. Vale a dire
fare piuttosto con la fondamentale e [...] i formanti,
che una parola può cambiar di significato, in quelle lingue, sol-
benché siano importanti per il testo cantato, sono di se-
tanto in base alla differenza del tono con cui viene pronunciata
condaria importanza rispetto alla fondamentale (Boilès
una sua sillaba.
1977: 549).
Quasi tutti gli intellettuali intervenuti citano infine l’ordine
delle parole come prova di musicalità, portando acqua al mulino
Fabio Rossi
ora della maggiore regolarità e simmetria francese, ora della
Fonti
maggiore inventività delle inversioni italiane. Come si vede, an- Bouhours, Dominique (1920), Les entretiens d’Ariste et d’Eugène
cora una volta, il problema è qui più stilistico che metrico-mu- (1671), introd. et notes de R. Radouant, Paris, Bossard.
sicale. Con precoce buon senso, Voltaire sostiene che il con- Pacini, Giovanni (1875), Le mie memorie artistiche (edite ed inedite).
fronto tra italiano e francese è mal posto, poiché non può esistere Autobiografia riscontrata sugli autografi e pubblicata da F. Ma-
la lingua perfetta: ciascuna ha pregi e difetti. Tra i difetti del- gnani, Firenze, Successori Le Monnier.
l’italiano, si annoverano la monotonia delle terminazioni, tutte
vocaliche, l’assenza di vocali mute e l’abbondanza di diminutivi, Studi
secondo Voltaire puerili. Tra i pregi, la ricchezza di inversioni, Bertinetto, Pier Marco (1981), Strutture prosodiche dell’italiano. Ac-
che facilitano la versificazione, e la minor quantità di regole. La cento, quantità, sillaba, giuntura, fondamenti metrici, Firenze, Ac-
superiorità di una lingua, sottolinea Voltaire (in una lettera del cademia della Crusca.
Boilès, Charles L. (1977), Canto, in Enciclopedia, diretta da R. Ro-
1761; Bonomi 1998: 78-79), non dipende dalla sua cantabilità e mano & C. Vivanti, Torino, Einaudi (1977-1984), 16 voll., vol.
non è mai intrinseca, sibbene estrinseca e culturale: la lingua mi- 2°, pp. 548-571.
gliore è quella che possiede le opere migliori. Bonomi, Ilaria (1998), Il docile idioma. L’italiano lingua per musica, la
diffusione dell’italiano nell’opera e la questione linguistico-musicale
dal Seicento all’Ottocento, Roma, Bulzoni.
3. Voce parlata Folena, Gianfranco (1983), L’italiano in Europa. Esperienze linguisti-
che del Settecento, Torino, Einaudi.
Un’osservazione conclusiva sulla voce cantata in italiano va
fatta a proposito delle differenze fondamentali rispetto alla
voce parlata, che riguardano soprattutto l’intonazione, il tim-
bro e il ritmo. In primo luogo, ad una minima escursione to-
nale degli enunciati parlati, corrisponde la più ampia oscil-
canzone
lazione delle frasi cantate, che possono tranquillamente
superare le due ottave. Le vocali nel canto lirico (➔ melo- La canzone, o canzone antica, detta in antico anche canzone di-
dramma, lingua del) tendono ad essere oscurate, e dunque stesa (per distinguerla dalla canzone a ballo o ➔ ballata), è la
la a può talora assomigliare ad o, mentre la o ad u o uo. An- forma metrica più prestigiosa e complessa della tradizione li-
che le consonanti, negli attacchi di frase particolarmente rica italiana (Beltrami 20024: 132-140; 245-274). Deriva il suo
acuti o in passaggi d’agilità particolarmente veloci, possono modello dalla canso provenzale: dell’originaria correlazione
talvolta essere deformate; mai le nasali (che, anzi, agevolano con una melodia, propria del modello trobadorico ed esplici-
una corretta impostazione della voce cantata), spesso le oc- tamente evocata da ➔ Dante nel De vulgari eloquentia (per es.
clusive e le fricative, che tendono addirittura alla caduta: in I, iv, 4 , 8, 9 e 10), si persero relativamente presto le tracce,
una famosa aria verdiana dal Don Carlo, «Tu che le vanità», anche se ancora in Purg. II, 106-114 il musico Casella intona
viene a volte eseguita come se fosse: «U che le vanità». D’al- la dantesca Amor che ne la mente mi ragiona.
tro canto, l’energia articolatoria impiegata in alcuni passaggi La canzone antica ha un numero variabile di strofe o stanze
musicali può comportare un indebito raddoppiamento con- (provenzale coblas). Come le coblas, le stanze sono identiche per
sonantico e l’inserimento di un’aspirazione davanti a una formula sillabica (➔ versificazione) e schema rimico, ma, in ag-
sillaba iniziante per vocale o a suoni vocalici più volte ripe- giunta, prevedono modi più o meno complessi di articolazione
tuti. Ovviamente, poi, le sillabe del parlato sono di norma più interna. I versi, di varia misura nell’uso antico (di tutti sette-
brevi di quelle cantate. nari è ad es. la canzone di Giacomo da Lentini Meravigliosa-

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canzone popolare e lingua

mente, alla quale l’autore si rivolge con l’appellativo di «canzo- che, secondo la terminologia di Luigi Alamanni, di ballata,
netta»), sono solo endecasillabi (➔ endecasillabo) e settenari contraballata e stanza): i primi due elementi delle triadi si
(➔ settenario) a partire da ➔ Petrarca, che rende canonica la equivalgono per schema dei versi e delle rime, mentre il terzo
forma (si parla perciò anche di canzone petrarchesca: Zenari innova; ciascun elemento può assumere la forma di stanza di
1999). Le stanze sono di norma divisibili. La divisione più fre- canzone petrarchesca o rifarsi agli schemi della canzone-ode o
quente – e la sola in Petrarca: la definizione di canzone petrar- dell’ode-canzonetta. L’ode-canzonetta (Beltrami 20024: 364-
chesca si riferisce pertanto propriamente a questo schema – con- 371), in auge a partire da Chiabrera e caratteristica della tra-
templa due sezioni: la prima delle quali divisa a sua volta in due dizione lirica sette-ottocentesca (esempi famosi in Savioli,
piedi (la presenza di tre piedi è del tutto eccezionale), identici Metastasio, Parini, ➔ Manzoni, ➔ Carducci), nel rispettare le
per formula sillabica (equivalgono alle mutazioni, o piedi ap- regole dell’ode-canzone (con la quale può a volte confondersi),
punto, della stanza di ballata) e di estensione variabile (da 3 a ammette, e anzi incoraggia, l’uso di versi brevi, anche tronchi
6 versi per piede in Dante, da 2 a 4 in Petrarca, da 2 a 5 nel Tre- e/o sdruccioli. Il diminutivo canzonetta allude alla complessiva
cento); la seconda, detta sirma o sirima (o anche coda), indivi- cantabilità del metro: mentre altra cosa dall’ode-canzonetta è
sibile e a schema autonomo e libero di versi e di rime (con pre- di per sé la canzonetta vera e propria, in genere musicata e
ferenza per serie, variamente combinate, di distici a rima baciata spesso, anche se non solo, in forma di ballata, come la barzel-
o alternata, o per quartine a rima incrociata). letta. Nei versi sdruccioli le parole-rima possono non rimare
A partire da Dante, è frequente che il primo verso della (rime ritmiche). Dal secondo Cinquecento la canzone-ode e
sirma rimi con l’ultimo del secondo piede (concatenatio), ed l’ode-canzonetta sostituiscono gradualmente la canzone antica
è altrettanto frequente che le rime successive della sirma (il cui schema è presente ancora, a ogni buon conto, nei poeti
non riprendano rime presenti nei piedi. Per Dante è inoltre ‘archeologi’ Carducci e ➔ D’Annunzio).
opportuno che gli ultimi due versi della sirma rimino tra di Anche la canzone libera, al pari del discorso libero (madri-
loro (combinatio). È possibile che, in luogo della sirma, siano galesco), alterna endecasillabi e settenari, ma le sue stanze
presenti due volte, in mutua relazione al modo dei piedi: si sono di estensione variabile, non hanno schema fisso e preve-
tratta di un genere di divisione non praticato da Petrarca dono rime libere per numero e posizione (e spesso irrelate).
(canzone di piedi e volte è Madonna dir vo voglio di Giacomo Questa forma sui generis, già riconoscibile nelle canzoni a selva
da Lentini). Nel De vulgari eloquentia Dante prevede inoltre del secentista Alessandro Guidi, trova sviluppo e applicazione
stanze formate da una prima sezione indivisa, o fronte, e da nella canzone leopardiana, forma di molti tra i Canti (“A Sil-
due volte, ma non si hanno attestazioni di tale schema. Per via”, “Il passero solitario” ecc., mentre conservano più evidenti
contro, Dante non ammette stanze di sola fronte e sirma: ma legami con la canzone petrarchesca “Nelle nozze della sorella
lo schema risulta non estraneo all’uso di rimatori trecenteschi Paolina” e “A un vincitore nel pallone”).
(Pelosi 1990: 94) e posteriori. Lo schema rimico dei piedi è La stanza di canzone, infine, o stanza isolata (equivalente
variabile, ma è necessario che i due piedi non contengano della cobla esparsa provenzale), non ha fortuna nella tradi-
rime irrelate. Nella sirma la presenza di rime irrelate è spo- zione italiana, anche perché il ruolo della cobla esparsa viene in
radica nel Duecento e in Dante, mentre scompare in Pe- essa assunto dal ➔ sonetto.
trarca (molto raramente, come nelle occitaniche rimas estram- Claudio Ciociola
pas, tali rime si corrispondono nella stessa posizione in tutte
le stanze). Le stanze indivise sono proprie della ➔ sestina (li- Studi
rica) e di un numero ridotto di canzoni a stanze sulle stesse Beltrami, Pietro G. (20024), La metrica italiana, Bologna, il Mulino (1a
rime; le rime – a differenza dello schema rimico, che resta im- ed. 1991).
mutato – variano di norma da stanza a stanza, come nelle pro- Gorni, Guglielmo (2008), Repertorio metrico della canzone italiana
dalle origini al Cinquecento (REMCI), Firenze, Cesati.
venzali coblas singulars. Pelosi, Andrea (1990), La canzone italiana del Trecento, «Metrica» 5,
Spesso, ma non sempre, la canzone termina con un congedo pp. 3-162.
o invio (nel quale il poeta si ‘congeda’ dal proprio componi- Zenari, Massimo (1999), Repertorio metrico dei “Rerum vulgarium
mento e/o lo ‘invia’ a uno o più destinatari). Di norma più fragmenta” di Francesco Petrarca, Padova, Antenore.
breve della stanza, il congedo ripete in genere, come la tornada
della canso, lo schema della sirma o della sua parte finale. È am-
messo, anche da Petrarca, che la prima rima del congedo sia ir-
relata. Così concepito, il congedo, detto anche congedo toscano,
si diffonde con Guittone d’Arezzo: in precedenza ne svolge la
canzone popolare e lingua
funzione (ma la sua presenza non è vincolante) l’ultima stanza
della canzone, o congedo siciliano; in molti esempi trecenteschi 1. Il termine popolare
(sul modello della dantesca Voi che ’ntendendo il terzo ciel mo-
vete) la sirma riprende nello schema i piedi (per la morfologia Va chiarito preliminarmente che in ambito musicale l’aggettivo
del congedo trecentesco, cfr. Pelosi 1990: 119-122). La varietà, popolare può avere almeno due significati. Nel primo, equivale
anche virtuosistica, degli schemi sperimentati (Gorni 2008), all’inglese popular (o pop): la locuzione musica popolare (popu-
della quale è impossibile dar conto analiticamente, rispecchia lar music) è dunque contrapposta a musica colta o classica. Nel
l’alta considerazione di cui la forma metrica ha sempre goduto. secondo, equivale all’inglese folk (folk music, folk song) e vale «et-
Tematicamente, la canzone tratta in prevalenza di argo- nico» o «delle classi subalterne». In quest’ultimo significato, per
mento amoroso, ma si hanno canzoni politiche (la petrarchesca canzone popolare si intende la produzione di un determinato po-
Italia mia, benché ’l parlar sia indarno) o religiose (la petrarche- polo (per es., le canzoni popolari sarde) o di una determinata
sca Vergine bella, che di sol vestita) o autobiografiche (tra queste, classe sociale e, di solito, in una determinata epoca. In questa
nel Trecento arride una certa fortuna al filone delle ‘disperate’). voce si intende canzone popolare nella prima accezione, anno-
La canzone-ode (Beltrami 20024: 351-353), o semplice- verando nel genere tutta la produzione vocale cosiddetta com-
mente ode, si diffonde a partire dal Cinquecento (è coltivata da merciale o leggera, dal rock, al rap, alla canzone d’autore.
Chiabrera, Marino, Testi), ed è caratterizzata dalla brevità del- È sempre più difficile distinguere, oggi, l’italiano della
l’estensione delle stanze e dall’assenza di divisione: della can- grande canzone d’autore da quello della poesia, per via dei con-
zone petrarchesca (dalla quale in ogni caso non sempre è, in torni assai sfumati della seconda e del crescente valore sociale
astratto, distinguibile) rispetta l’alternanza di endecasillabi e assegnato alla prima. Molti sono, del resto, i poeti che hanno
settenari (ma le stanze possono essere omometriche: o di tutti scritto per cantanti: Pasquale Panella con Lucio Battisti, Ro-
endecasillabi o, raramente, di tutti settenari) e l’obbligo di berto Roversi con Lucio Dalla, Manlio Sgalambro con Franco
identità di formula sillabica e schema rimico nelle stanze. Di Battiato, Alda Merini con Milva. Numerosi sono anche i poeti
fortuna limitata gode la canzone o ode pindarica (Beltrami del passato messi in musica dai moderni cantautori: Edgar Lee
20024: 347-351), anche questa di origine cinquecentesca: pre- Masters da Fabrizio De André (Non al denaro non alla terra né
vede, sul modello classico, gruppi replicati di triadi di stanze al cielo, 1971) e Yeats da Angelo Branduardi (Branduardi
(ciascuna triade si compone di strofe, antistrofe ed epodo, o an- canta Yeats, 1986).

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endecasillabo

3. Vitalità del dialetto e italiano regionale 4. Letteratura dialettale e usi scritti

Per secoli l’insieme delle risorse linguistiche a disposizione de- Nei dialetti dell’Emilia-Romagna sono state prodotte sia spe-
gli abitanti della regione si estende molto limitatamente oltre le cifiche manifestazioni della cultura popolare stratificatesi nei
lingue materne: anche i pochi alfabetizzati hanno una compe- secoli, sia opere letterarie di un insieme di autori, a partire dalla
tenza soltanto passiva dell’italiano, che sono in grado soprattutto metà del Cinquecento fino ad oggi. Da una parte, si tratta di
di leggere. Nelle opere non letterarie (cronache, memorie, ma- un patrimonio trasmesso nel tempo oralmente, comprendente
nuali tecnici, inventari, note di lavori, ecc.) sono contenute in ab- vari generi di composizioni cantate (di lavoro, scherzo, amore,
bondanza forme derivate dai dialetti, che talora usano anche gli ballate), lo spettacolo nelle sue varie forme (dei cantastorie, dei
scrittori, dal Cinquecento, con Giulio Cesare Croce (burazzo declamatori di poesia d’occasione, dei burattinai; e il teatro
«canovaccio da cucina», scimitoni «moine», zavaglio «cianfrusa- musicale del Maggio drammatico), le fiabe, le rime infantili, le
glia»), al novecentesco Riccardo Bacchelli (bazurlone «persona preghiere, le formule magiche, insieme ai proverbi e agli in-
sbadata», dare le onde «barcollare», noce «percossa», imbalzato «im- dovinelli. Figure professionali ambulanti oppure gente co-
pedito nei movimenti»). Quando, soprattutto dopo il secondo mune di tutte le età si sono fatti portatori di tale patrimonio,
conflitto mondiale, l’italiano incomincia a diffondersi in misura nel doppio ruolo di chi ascolta e di chi a sua volta trasmette,
rilevante anche nel parlato, nelle varie situazioni comunicative nelle diverse circostanze della vita quotidiana o nelle occasioni
si generano sia usi alternati dei due codici in contatto o, meglio, più importanti dell’esistenza, dalla nascita al fidanzamento,
dell’ampia gamma di varietà in cui questi si suddividono, sia in- dalle nozze ai funerali, durante giorni qualunque o in partico-
terferenze tra i due codici, ai vari livelli linguistici (fonetico, lari periodi dell’anno e in differenti luoghi, dalla casa alla
morfo-sintattico, lessicale-semantico). strada, dai campi alla chiesa e all’osteria (Quondamatteo & Bel-
Nel 2006, stando ai rilevamenti dell’ISTAT, il 55% degli losi 1977).
intervistati afferma di impiegare nel dominio famiglia «solo o Dall’altra parte, si tratta di una letteratura dialettale colta
prevalentemente l’italiano», oltre il 28% «sia l’italiano che il dia- e d’autore, che si compone di testi di poesia, teatro, prosa nar-
letto» e il restante si esprime in una delle varietà locali del- rativa e traduzioni di classici da altre lingue (Accorsi 1980 e
l’Emilia-Romagna. Si ponga attenzione che si tratta di dati 1982). Giulio Cesare Croce (1550-1609), di area bolognese, è
medi, riguardanti anche le grandi città, perché nei centri abi- considerato il primo importante esponente di tale letteratura,
tati medio-piccoli l’impiego alternato dei due codici sale quasi anche se la sua produzione dialettale testimonia generi e ri-
al 50%, una percentuale che nelle campagne e nelle zone di col- tualità raccolti dalla tradizione orale e che sono giunti fino ad
lina e montagna risulta ancora superiore. oltre la metà del Novecento per trasmissione ininterrotta: le
È indispensabile precisare che non esiste nell’uso parlato canzoni narrative (Violina, Moretta, Girumetta, Pidocchia osti-
un italiano uniforme a livello regionale, pur se sono presenti al- nata), il maggio-serenata, la drammatica (Filippa), le usanze le-
cuni tratti comuni, ma esistono tante varietà locali, circoscritte gate al ciclo dell’anno. Si deve rilevare la difformità delle linee
a zone ben individuate (in cui peraltro si possono registrare ca- di sviluppo della vera e propria letteratura dialettale nelle due
ratteri estesi ad altre aree provinciali) e variabili anche in base aree regionali: specialmente nel Sei-Settecento, Bologna svolge
al ceto sociale, all’età e al sesso dei parlanti. A determinare tali il ruolo principale rispetto a tutti gli altri centri, dando luogo
varietà – in cui comunque sono presenti tratti del cosiddetto a una vera e propria tradizione (con una notevole continuità di
➔ italiano popolare – ha concorso il sostrato dialettale, in va- produzione e di consumo, che sfocerà nel XIX secolo, come a
rie proporzioni e modalità. Oltre a un’utilizzazione marcata lo- Milano e a Venezia, in cospicue antologie dialettali a stampa),
calmente di elementi italiani, come ad es. a Bologna l’esten- mentre nel Novecento – in particolare per la poesia lirica – è
sione dei suffissi -ino e -otto (morsicotto «morso») e dei prefissi la Romagna ad assumere una posizione preminente.
verbali s- (sfregarsi, sfarfugliare) e in- (instizzirsi, inochirsi «in- Fabio Foresti
cantarsi»), le perifrasi non stare a + infinito al posto dell’im-
perativo negativo e essere di un + aggettivo per il superlativo,
Studi
l’uso dell’articolo davanti al nome proprio femminile, si hanno Accorsi, Maria Grazia (1980), La letteratura dialettale, in Storia del-
peculiarità intonative (poco studiate) e fonetiche. Fra queste: l’Emilia-Romagna, a cura di A. Berselli, Bologna, University Press,
(a) la riduzione delle consonanti lunghe prima dell’accento 1976-1980, 4 voll., vol. 3º/2 (Realtà regionale), pp. 1010-1055.
(gramatica, otengo) e, viceversa, il rafforzamento delle brevi Accorsi, Maria Grazia (1982), Dialetto e dialettalità in Emilia-Roma-
dopo l’accento (libbro, coppia «copia»); gna dal Sei al Novecento, Bologna, Boni.
(b) la pronuncia sonora della z sorda all’inizio di parola: Foresti, Fabio (1988), Italienisch: Areallinguistik V. Emilia-Romagna,
[ˈʣapːa] zappa; in Lexikon der romanistischen Linguistik (LRL), hrsg. von G. Hol-
(c) la palatalizzazione di s e la depalatalizzazione di [ʃ] se- tus, M. Metzeltin & C. Schmitt, Tübingen, Niemeyer, 8 voll.,
vol. 4º (Italienisch, Korsisch, Sardisch), pp. 569-593.
guite da vocale, per cui si può pronunciare [ʃ]era «sera» e Foresti, Fabio (2009), Profilo linguistico dell’Emilia-Romagna, Roma
la[s]iare «lasciare»; - Bari, Laterza.
(d) la palatalizzazione della consonante nasale e la depala- Foresti, Fabio, Marri, Fabio & Petrolini, Giovanni (1992 e 1994),
talizzazione della laterale: [ɲ]ente «niente», botti[l]ia «botti- L’Emilia e la Romagna, in L’italiano nelle regioni. Lingua nazionale
glia». e identità regionali, a cura di F. Bruni, Torino, UTET, pp. 336-
Molti sono i prestiti lessicali e semantici, da quelli larga- 401 e in L’italiano nelle regioni. Testi e documenti, Torino, UTET,
mente diffusi in tutta la regione (lavoro «faccenda incredibile, pp. 345-418.
gran quantità», bugno «foruncolo», bagaglio «oggetto di poco Quondamatteo, Gianni & Bellosi, Giuseppe (1977), Romagna civiltà,
valore», fatto «strano, curioso») a quelli interprovinciali (ca- Imola, Galeati, 2 voll. (vol. 1º, Cultura contadina e marinara; vol.
2º, I dialetti. Grammatica e dizionari).
strone «rammendo mal fatto», tinco «rigido», ciappetto «mol-
letta da bucato», tamugno «robusto», sgurare «pulire», gatti «la-
nugine di polvere sul pavimento»), fino ai tanti in uso
localmente. A Ferrara gianda «fortuna», pizzone «credulone»,
pilonare «perdere tempo»; a Rimini batecco «rametto», quilare
endecasillabo
«fare», vontare «traboccare»; a Ravenna piffetto «colpetto»,
sfoglio «scheggia», sgrigna «riso continuo»; a Forlì cavalla 1. Definizione
«gran quantità», lozzo «sudiciume», maletta «seccatura»; a
Modena malocco «grumo», romella «seme di zucca, nocciolo»; L’endecasillabo è un verso di 11 sillabe metriche (➔ metrica e
a Piacenza fumera «nebbia», navassa «gran quantità», stramlone lingua), con accento principale obbligato in decima posizione
«spavento»; a Parma patacca «sculacciata, botta», patello «con- (Beltrami 20024: 181-188; Menichetti 1993: 386-424). È il
fusione», intagliarsi «insospettirsi»; a Reggio flenga «carta di verso principe della tradizione metrica italiana: il più versatile,
nessun valore», campanone «sempliciotto», gnocco «facile»; a anche perché ritmicamente più duttile e maestoso; dei versi più
Bologna sgodevole «antipatico», morbino «smania», sbanderno, lunghi, l’alessandrino ha avuto un uso limitato nella poesia
squasso «gran quantità». delle origini, e la diffusione posteriore dei metri doppi, come

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enigmistica

il martelliano, è stata circoscritta (➔ versificazione). Metri- colare con il settenario). Si parla di endecasillabi sciolti (o sem-
camente è affine al décasyllabe galloromanzo – nelle sue varietà plicemente di sciolti, o versi sciolti) a proposito di componi-
oitanica e soprattutto occitanica – da cui si ritiene derivi (Bel- menti, o di loro parti (per es. in molta poesia teatrale), in soli
trami 20024: 87-92). endecasillabi non legati da rime (o con rime possibili solo a
In funzione della posizione dell’accento nell’ultima pa- grande distanza le une dalle altre e senza riconoscibile nesso).
rola del verso si distinguono endecasillabi piani, di gran lunga Il metro si affaccia nel primo Cinquecento (anche se è di
i più diffusi, quando l’accento di decima cade sulla penultima fatto in endecasillabi sciolti anche il duecentesco Mare amo-
sillaba dell’ultima parola del verso; tronchi, quando l’accento roso) e consolida la sua fortuna in epoca più recente: metro ti-
cade sull’ultima sillaba; sdruccioli, quando l’accento cade sulla pico delle traduzioni (in sciolti sono l’Iliade di Vincenzo
terz’ultima sillaba (non più di curiosità sono i rarissimi ende- ➔ Monti e l’Odissea di Ippolito Pindemonte) e dei poemi di-
casillabi bisdruccioli). Tronchi e sdruccioli sono adottati spo- dascalici, è adottato da Giuseppe Parini nel Giorno; in sciolti
radicamente (rarissimi già nella Commedia dantesca): siste- sono anche i Sepolcri di Ugo ➔ Foscolo (ampio excursus sto-
matica è però l’adozione degli sdruccioli in alcune canzoni rico in Beltrami 20024: 123-132). Di qualche successo ha go-
trecentesche (per es. di Fazio degli Uberti) o nel metro eglo- duto il cosiddetto endecasillabo rolliano (dal nome del poeta set-
gistico quattrocentesco (per es. nell’Arcadia di Iacopo Sanna- tecentesco Paolo Rolli), formato da un quinario sdrucciolo +
zaro). un quinario, che intende riprodurre la struttura dell’endeca-
L’articolazione ritmica dell’endecasillabo prevede, nel tipo sillabo falecio catulliano; tuttavia, per quanto gli accenti siano
prevalente (detto perciò canonico), oltre all’accento fisso di di quarta e di decima, non è ascritto al novero degli endeca-
decima, almeno un accento principale di quarta o di sesta: nel sillabi canonici (perché nell’endecasillabo a minore l’accento
primo caso (4a, 10a) si parla di endecasillabo a minore (primo può cadere su monosillabo tonico o polisillabo piano, ma non
emistichio ritmicamente equivalente a un quinario), nel se- sdrucciolo). Il cosiddetto endecasillabo frottolato è collegato in
condo (6a, 10a) di endecasillabo a maiore (primo emistichio rit- sequenza mediante rima e rima interna ai versi che precedono
micamente equivalente a un ➔ settenario). La distinzione tra e seguono: è caratteristico della frottola e dell’egloga.
endecasillabo a minore e a maiore è in genere (ma non di ne- Claudio Ciociola
cessità) correlata, nella fase più antica, alla presenza della co-
siddetta cesura, cioè di una pausa ritmico-sintattica tra le due
parti principali del verso (ampia discussione, anche in rapporto Studi
alla struttura del décasyllabe, in Beltrami 20024: 87-92; Meni- Beltrami, Pietro G. (20024), La metrica italiana, Bologna, il Mulino (1a
chetti 1993: 466-477). ed. 1991).
Al di fuori di queste regole accentuative, il distribuirsi di Menichetti, Aldo (1993), Metrica italiana. Fondamenti metrici, proso-
dia, rima, Padova, Antenore.
eventuali altri accenti secondari all’interno dell’endecasillabo
è libero. Si riconoscono tuttavia alcune formule ricorrenti. Se
all’interno del verso l’accento principale è di quarta, è usuale
la presenza di un accento secondario in ottava posizione (Pe-
trarca, Canz. I, 3: «in sul mio prímo gioveníle erróre»); è an-
che possibile, meno di frequente, che l’accento secondario sia
enigmistica
di settima (Petrarca, Canz. XII, 14: «alcun soccórso di tárdi so-
spíri»): questo schema si riscontra più spesso nella poesia nar- 1. Il termine
rativa che in quella lirica. Nell’endecasillabo canonico quarta
e sesta possono essere entrambe toniche (e in questo caso Malgrado l’enorme diffusione mondiale di singoli tipi di gio-
l’identità a minore o a maiore del verso è decisa dall’interpre- chi, in particolare del cruciverba, solo in Italia l’assieme dei
tazione metrica o dall’esecuzione), ma non entrambe atone: giochi enigmistici ha dato vita a una tradizione continuativa,
così nella tradizione postdantesca e soprattutto in quella post- e solo in Italia si può parlare propriamente di qualcosa come
petrarchesca. Nell’endecasillabo a maiore vero e proprio (cioè l’enigmistica. Ogni uso di tale termine che non sia riferito al-
senza accento di quarta), l’accento secondario può cadere in ge- l’Italia (specialmente dopo il 1901) è da considerarsi figurato
nere sulla seconda o terza (Petrarca, Canz. XXXI, 1: «Questa o almeno non perfettamente proprio. Una tradizione analoga
ánima gentíl che si dipárte»). si è avuta negli Stati Uniti, ma con minore sistematicità, te-
Forme non canoniche (con quarta e sesta atone e accento, stimoniata dall’assenza di un termine specifico per denomi-
per es., di quinta) si riscontrano nella poesia delle origini (ma narla (a enigmi, rebus, sciarade ci si riferisce con un generico
anche nella Commedia dantesca); il loro apparire nella tradi- puzzle, «rompicapo»).
zione tre-quattrocentesca deve imputarsi, più spesso, a impe- Il termine enigmistica, assieme ad altri analoghi (enigmofi-
rizia del versificatore (o far sospettare la presenza di un gua- lia, enigmografia, enigmologia), incomincia a diffondersi nel-
sto nella tradizione testuale), anche se gli esempi non sono l’ultimo decennio dell’Ottocento su riviste e almanacchi spe-
infrequenti (Beltrami 20024: 187-188). Forme equiparabili cializzati nella pubblicazione di indovinelli e sciarade sin dagli
alle non canoniche, escluse dalla codificazione bembesca, rie- anni Venti del secolo.
mergono, in tutt’altro contesto, nella tradizione del verso libero Il termine si impose tra gli appassionati a partire dal 1901,
novecentesco, nella quale si assiste a un originale rinvigorirsi, nella forma enimmistica, con la pubblicazione del primo ma-
pur nell’ambito del travestimento ritmico e sillabico, della nuale ad alta tiratura (Demetrio Tolosani, Enimmistica, prima
fortuna dell’endecasillabo (per es. in Montale). Tipici del- edizione, Milano, Hoepli, 1901), ove l’enigmistica è definita
l’uso pascoliano sono i cosiddetti endecasillabi crescenti, ende- semplicemente come «l’arte che si occupa, in qualsiasi modo,
casillabi sdruccioli in cui la rima perfetta si ripristina nell’ese- dei giochi enimmatici».
cuzione, per episinalefe, riassorbendo la sillaba finale dello La fortuna popolare del termine deve molto, però, alla fon-
sdrucciolo nell’iniziale vocalica del verso successivo. dazione del periodico La Settimana Enigmistica (1932), che as-
sociò al campo enigmistico il già popolarissimo cruciverba,
noto in Italia dal 1925. Mentre gli altri giochi enigmistici
2. Usi hanno sempre interessato una comunità assai ristretta di
esperti, progressivamente allontanandosi dall’editoria popo-
Dal punto di vista dell’uso, assoluto o in combinazione con al- lare, il cruciverba fu adottato immediatamente come gioco
tri versi, nelle principali forme metriche della tradizione ita- linguistico per il grande pubblico.
liana, l’endecasillabo è il verso unico di numerose forme liri- Dagli anni Cinquanta del Novecento gli appassionati dei
che e narrative, come il ➔ sonetto (nella sua forma canonica), giochi più tradizionali riservano il nome di enigmistica popolare
la ➔ terza rima e l’➔ ottava rima, e il verso nobile di nume- al cruciverba (e, con un tasso minore di convinzione, al ➔ re-
rose altre forme, quali la ➔ canzone e la ➔ ballata, nelle bus), mentre quello di enigmistica classica viene impiegato per
quali può – anche se non necessariamente (in soli endecasillabi distinguere (e nobilitare) giochi come l’indovinello o la critto-
è, per es., la ➔ sestina) – alternarsi con altri versi (e in parti- grafia.

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