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Il 

Libro dell'Arte suscitò interesse anche nel Lanzi che incaricò il


Manni, per altro senza molto successo, di prenderne visione, finché solo
nel 1821, come già detto, il Tambroni ne curò la prima edizione a
stampa sulla base di un manoscritto, per altro lacunoso e incompleto,
esistente nella Biblioteca Vaticana e scoperto da Angelo Mai
(cod. Ottoboniano 2974). Nel 1859 comparve la seconda edizione curata
da Carlo e Gaetano Milanesi sul codice più antico (Firenze, Bibl.
Laurenziana, LXXVIII, cod. 23), datato 1437 e già noto al Baldinucci.
Un terzo esemplare cinquecentesco è nella Biblioteca Riccardiana di
Firenze (cod. 2190). Quanto al manoscritto, conservato in casa
Beltramini a Colle di Val d'Elsa fino ai tempi del Manni (Milanesi,
1859, p. XXV), pare perduto, mentre è impossibile dire se quello visto
dal Vasari in mano a Giuliano senese corrisponda a quello esistente
attualmente alla Laurenziana, come afferma il Baldinucci. Una volta
iniziate le edizioni a stampa, l'interesse per il libro del C. fu, almeno fino
alla fine dell'Ottocento, essenzialmente tecnico, come rivelano gli
articoli e i testi che al C. e al suo Libro dedicano ampio spazio: si veda
Eastlake (1847) - nel 1844 era apparsa a Londra la prima traduzione
inglese del Libro dell'Arte a cura di [M. Ph.] Merrifield -, Toman
(1886), Berger (1897).

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