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A più riprese il C.

ribadisce l'importanza della scuola nella formazione


di una personalità artistica: il discepolo si eserciti pure a copiare i
disegni dei grandi maestri, ma abbia presto cura di sceglierne uno solo,
possibilmente il migliore e di maggior fama, e perseveri lungamente in
quell'esercizio. La preoccupazione sottesa a raccomandazione così
precise è di evitare il pericolo dell'eclettismo, diffuso nella pittura
fiorentina del secondo Trecento e identificato dal C. come il massimo
ostacolo al raggiungimento di uno stile individuale. Il rischio di
rimanere sterilmente legati al maestro sarà evitato dalla "fantasia"
dell'allievo, che basterà a garantire l'acquisazione di una propria
maniera. Dal maestro si apprende anche il modo di affrontare la natura,
che per il C. è "la più perfetta guida" che l'artista possa avere, purché
non sia la prima a sorreggerlo. Ma né l'imitazione della natura né quella
del maestro conducono di per sé all'arte: è la capacità "fantastica" del
pittore a far sì che il processo imitativo si rapprenda in forme originali.
Il disegno, infatti, è ben altro che mero atto di imitazione meccanica:
secondo il C., esso è soprattutto quello che è "entro la testa", cioè forma
intellettuale, momento attivamente creativo. Perché poi il disegno
acquisti plasticità, gli è necessario il chiaroscuro.

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