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attraverso un manoscritto in
possesso di "Giuliano orefice senese" (probabilmente Giuliano di
Niccolò Morelli, detto il Barba) e che per primo parla del Libro
dell'Arte, denuncia una certa sufficienza nei confronti dell'antico pittore
che "ebbe per gran segreti e rarissimi ... quelle cose [i dati tecnici] oggi
notissime", ipotizzando un po' malignamente che il C. "volle sapere
almeno le maniere dei colori, delle tempere, delle colle e dello
ingessare ... poiché non gli riuscì imparare a perfettamente dipingere".
Inoltre il Vasari pare fraintendere proprio uno dei passi più significativi -
quello già citato su Giotto - interpretando il "rimutare" come un
semplice "tradurre", annullando nelle parole del C. il valore innovatore
di Giotto che lo scrittore aveva perfettamente intuito. Il Baldinucci si
limita a trascrivere i passi biografici del Libro dell'Arte e del testo del
Vasari, diffondendosi solo sul problema della pittura a olio per cercare
di conciliare la versione del Vasari - che faceva risalire ad Antonello da
Messina l'introduzione in Italia di questa tecnica "fiamminga" - con le
"regole" contenute nei capitoli 89-94 del trattato dove risulta, ad una
data molto precoce, la conoscenza da parte degli italiani di questa
tecnica che il C. definisce "tedesca".