visibilità, sviluppatasi in Germania, in sintonia con
la teoria dell’Einfühlung, dalla metà circa dell’Ottocento, è stata fondamentale per gli studi storico-critici del 20° secolo. I suoi primi assertori (H. von Marées, A. von Hildebrand, K. Fiedler) affermano il valore conoscitivo e intuitivo della visione; in seguito A. Riegl e H. Wölfflin elaborano teorie e schemi di visione della forma (ottici, tattili, plastici, cromatici). La teoria della pura visibilità ricevette in Italia diverse valutazioni, dagli originari apprezzamenti di B. Croce e poi di L. Venturi, che hanno contribuito alla sua diffusione, alla successiva storicizzazione di R. Salvini e all’atteggiamento critico di C. Brandi e di L. Grassi, che tendono a evidenziarne l’astrattezza e la relatività. Un ruolo importante per gli orientamenti del primo Novecento è svolto dalla storiografia desanctisiana e dall’estetica di B. Croce; influssi importanti, non privi di dissensi, si riscontrano negli scritti di L. Venturi e di C.L. Ragghianti. In connessione con la teoria della pura visibilità si colloca il formalismo, che mira all’individuazione dei valori formali nelle opere d’a., ponendo in subordine i significati, i temi iconografici, gli elementi culturali e sociali. B. Berenson si dedica allo studio dei dipinti italiani del Rinascimento, fornendo attribuzioni e catalogazioni. In Gran Bretagna R. Fry teorizza ‘l’arte per l’arte’, mediando dalla filosofia di J.F. Herbart l’idea della capacità dell’opera di produrre emozione estetica in virtù del sistema di relazioni linee-colori, indipendentemente dai soggetti e dai contenuti. In Francia H. Focillon stabilisce un collegamento tra mutamento delle forme e modificazioni della materia indotte dalla tecnica.