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Giacomo Michelaucig, Gennaio 2019

Nota sulla cosmologia di A. N. Whitehead

Nota bibliografica:
Bonfantini M., Introduzione a Whitehead, Laterza, Roma-Bari, 1972. Da qui in avanti “Bon”
Bosco N., Introduzione in PR, pp. 5-30. Da qui in avanti “B”
Ronchi R., Il canone minore. Verso una filosofia della natura, Feltrinelli, Milano, 2017. Da
qui in avanti “CM”
Vanzago L., L’evento del tempo. Saggio sulla filosofia del processo di A. N. Whitehead,
Mimesis, Milano, 2005. Da qui in avanti “V”
Whitehead A. N., Il processo e la realtà. Saggio di cosmologia, trad. it. di Nynfa Bosco,
Bompiani, Milano, 1965. Da qui in avanti “PR”

Alfred North Whitehead è stato di recente ascritto ad un “canone minore” della filosofia.
Questo filone, che idealmente conduce da Spinoza a Deleuze, passando per Bergson, Gentile, Ruyer
e Simondon, avrebbe percorso dei tracciati trascurati dal “canone maggiore” che evidentemente vi
fa da controparte. Con una discreta approssimazione, da tenere sempre presente, è possibile
identificare quest’ultimo con il progetto razionalistico e antimetafisico della Modernità, che avrebbe
portato i vari saperi ad emanciparsi definitivamente dalla filosofia e avrebbe ridotto quest’ultima a
una mera autocritica, ad un arido e autocommiserante discorso sopra le proprie condizioni di
possibilità. In effetti, all’impresa filosofica di Whitehead va riconosciuta se non altro una certa
audacia per aver scelto la metafisica come ambito di ricerca in un secolo che, pervaso di
heideggerismo, avrebbe fatto della lotta alla metafisica la propria bandiera.
“Metafisica”, “filosofia speculativa”, “cosmologia” sono infatti i termini apparentemente
arcaici e obsoleti che Whitehead impiega per definire l’orientamento della propria ricerca e, in
particolare, del proprio capolavoro: Il processo e la realtà, pubblicato nel 1929. L’obiettivo è quello
di recuperare l’afflato originario del pensiero filosofico che, nascendo, si è rivolto sin da subito alla
massima generalità concepibile, alla totalità, alla cosa stessa, al di là di qualsiasi discriminazione
didattica e accademica. Risalendo dunque la china della storia del pensiero, e obliterando
soprattutto la distinzione diltheyana tra scienze della natura e scienze dello spirito, Whitehead mira
a restituire sistematicità alla filosofia, arenata nelle secche del soggettivismo che, da Cartesio
all’esistenzialismo, la deprimono. Solo revitalizzando questo slancio originario è infatti possibile
svolgere una riflessione concreta, che miri cioè alla con-crescenza del cosmo, concepito come un
unico organismo in divenire in cui ogni parte è solidale con le altre e mira allo sviluppo del tutto.
Questo slancio è paradossalmente conciliato con un recupero della tradizione empiristica, di
per sé ostile all’indagine metafisica, tradizionalmente campo di interesse dell’idealismo.
L’empirismo viene però rispolverato, depurato dei suoi retaggi soggettivistici e radicalizzato: in
questo “empirismo radicale” tutto è esperienza, tutto è percezione immediata, relazione, feeling.
Non vi è una mediazione a priori da parte di una coscienza trascendentale che, al contrario, è un
sottoinsieme del tutto eventuale dell’esperienza: ‹‹la coscienza presuppone l’esperienza, e non
l’esperienza la coscienza››.1 Viene così relativizzata anche la partizione originaria tra soggetto e
oggetto, quell’Urteil che travagliava la modernità come il suo peccato originale: ‹‹il feeling non
suppone perciò in alcun modo un feeler e nemmeno un felt, vale a dire un soggetto ed un oggetto
precostituiti e trascendenti l’esperienza in atto››.2 Nella fitta trama percettiva e relazionale che
costituisce la cosmologia di Whitehead la costituzione di soggetti e oggetti è secondaria e sempre
relativa.
La tendenza a considerare originaria la distribuzione nel cosmo di soggetti e oggetti è da
ricondurre, secondo Whitehead, al paradigma newtoniano che ha dominato la modernità, per il
quale uno spazio ed un tempo assoluti e omogenei contengono – secondo il principio della simple
location - delle sostanze statiche ed irrelate. In quest’ottica, le relazioni tra le sostanze sono del tutto
estrinseche e accessorie, e il divenire viene concepito come un attributo accidentale di sostanze di
per sé inerti. Le aporie in cui cade una concezione di questo genere erano d’altronde già state
evidenziate dai paradossi di Zenone: è assolutamente impossibile spiegare il divenire in questi
termini, ovvero concependolo come la successione di istanti in uno spazio e in un tempo assoluti.
Soltanto assumendo la prospettiva dell’oggetto in movimento (la freccia nell’esempio di Zenone),
ovverosia partendo dal divenire e non dallo spazio e dal tempo, si evita di impelagarsi in vicoli
ciechi. In ciò Whitehead ha dalla sua parte la Relatività di Einstein, che ha ben mostrato come lo
spazio-tempo, oltre ad essere un unico concetto, non è che un effetto dell’interazione degli enti,
ovverosia del loro divenire. Nulla avviene nel tempo, men che meno il divenire che ne costituisce il
fondamento. Ne consegue che di per sé il divenire non trascorre, bensì è sempre identico a se stesso,
eterno e – come ha mostrato Zenone – indivisibile: ‹‹l’argomento, nella misura in cui è valido,
esplicita una contraddizione contenuta nelle due premesse: I) che nel divenire qualcosa (res vera)

1
PR p. 137
2
CM p. 25
diviene e II) che ogni atto del divenire è divisibile in sezioni precedenti e successive che sono esse
stesse atti di divenire››.3
Non vi sono dunque cose che divengono nel tempo. Per contrastare la sostanzializzazione
dell’ente, eredità aristotelica alla base della “fallacia della concretezza mal posta” cui sopra si è
accennato, Whitehead ricorre all’armamentario concettuale dell’empirismo classico. Con Locke e
Hume, Whitehead non avverte l’esigenza di postulare una sostanza che faccia da sostrato statico
agli attributi che le ineriscono: si danno solo le percezioni e le relazioni tra enti, i quali non si
costituiscono se non come elementi nodali di tali relazioni. Ne consegue, evidentemente, che tutto è
relato a tutto. Gli enti, dunque, sono del tutto simili per la adimensionalità che li caratterizza a dei
punti in cui convergono infinite rette e si individuano soltanto in base alle loro interazioni
reciproche, ovvero grazie alla loro attività. Whitehead conia perciò i termini “actual entities” o
“actual occasions” per definirli: ‹‹le “entità attuali” – chiamate anche “occasioni attuali” – sono le
cose reali ultime, di cui il mondo è fatto. Non si può andare al di là delle entità attuali per trovare
qualcosa di più reale. […] queste entità attuali sono gocce di esperienza, complesse ed
interdipendenti ››.4 L’operazione tramite la quale le entità attuali costruiscono le proprie relazioni
empiriche è denominata “prehension”, espressione ottenuta con il troncamento della parola
“apprehension”, sul modello della distinzione leibniziana tra percezione e appercezione. Come nota
Bonfantini, ‹‹che le entità attuali sono fatte d'esperienza, significa semplicemente che esse sono
soggetti dell'esperienza delle entità attuali che le precedono nel loro ambiente e, successivamente,
dati d'esperienza per ulteriori entità attuali››.5
Una concezione di questo genere, tuttavia, non si discosterebbe più di tanto dal paradigma
materialistico e meccanicistico della fisica newtoniana, soprattutto dal determinismo che la
caratterizza. Infatti, fintantoché un’entità attuale si esaurisce nelle relazioni con altre entità attuali,
risulta completamente determinata dalla causalità efficiente dell’ambiente circostante. Infatti, nota
Nynfa Bosco, l’antisostanzialismo di Whitehead ‹‹non basta perché si possa parlare di un
relazionismo puro […]. Le relazioni sono, nel suo pensiero, relazioni tra entità attuali distinte ed
irriducibili: quei fatti attuali o entità attuali, appunto, che egli indica come l’oggetto ultimo della
filosofia, e i soli che esistano “nel senso pieno della parola”››. 6 In altri termini, l’entità attuale non è
sola ricettività, mero prodotto di cause efficienti esterne ad essa, bensì possiede una propria
spontaneità che Whitehead, per alludere al dinamismo del mondo organico, chiama “causa finale” o
“causa soggettiva”. Se infatti ‹‹il materialismo riconduce tutti i fenomeni a quelle leggi che

3
PR p. 164
4
PR p. 70. D’ora in avanti l’aggettivo “reale”, riferito alle entità e alle occasioni, sarà sempre sostituito con “attuale”.
5
Bon p. 105
6
B p. 15
regolano l’esistenza fisica inorganica››,7 la filosofia dell’organismo considera vivo tutto il reale, e
alla staticità del meccanicismo, in cui tutto è di fatto prevedibile risalendo la catena della causalità
efficiente, oppone un universo dinamico e costantemente rinnovantesi:

per Whitehead ogni avvenimento concreto in natura è posto in una prospettiva finalistica, ossia è dotato della possibilità
di decisioni autonome operate tra scelte alternative allo scopo di realizzare fini determinati, mentre il sostanzialismo
accetta solo la causa efficiente, i cui effetti sono sempre predeterminabili. Da qui il nome di materialismo: una
concezione che immagina l’esistenza materiale inerte, pura materia sprovvista di qualsiasi scopo, valore o significato.

Tale concezione ammette solo azioni determinate da forze esterne, escludendo qualsiasi possibilità di decisioni interne .8

Analogamente Bonfantini nota che ‹‹ogni entità reale nella sua essenza di soggetto non può
ridursi a semplice emanazione dei dati, ha in sé una novità, un principio di autonomia e di
autodeterminazione,
cioè un'immanente teleologicità››.9
Questa spontaneità che connota il reale non è però anarchica e dispersiva, è bensì regolata. Il
fautore di tale regolazione è, secondo Whitehead, Dio, in un sistema non così diverso dalla
“armonia prestabilita” leibniziana. È Dio, infatti, a mettere a disposizione delle entità attuali quelli
che Whitehead chiama “oggetti eterni” o “forme”, una sorta di ideali regolativi immanenti che le
entità attuali possono scegliere per continuare il proprio percorso evolutivo. In altri termini, ‹‹le
cause finali di ogni occasione risiedono in Dio››,10 il quale funge così da ‹‹principio della
concrescenza›› del reale, assicurandovi una crescita armonica e organica. Alle singole entità attuali
è però assicurata la possibilità di scelta tra i vari oggetti eterni messi a disposizione da Dio,
concedendo al cosmo una creatività immanente e salvandolo dal determinismo meccanicista: ‹‹è
l'entità attuale, come causa sui, che compie una decisione includendo o escludendo gli oggetti
eterni››.11
In questo senso, Dio non è da intendersi come il grande orologiaio che, prima della creazione,
ovvero sia prima e fuori dal tempo, ha programmato il puntuale meccanismo del cosmo. In altre
parole, non va inteso come una “causa efficiente prima”, esterna alla creazione: ‹‹egli non è prima
di tutta la creazione, ma con tutta la creazione››.12 Dio, in quanto principio di rinnovamento delle
singole entità attuali, è totalmente immanente ad esse e non gode di alcuna autonomia ontologica.
Concedergliela è stato l’errore sia di Aristotele, con il suo motore immobile sostanziale, sia delle

7
V p. 41
8
V p. 30
9
Bon p. 108
10
V p. 91
11
Bon p. 113
12
PR p. 650
grandi religioni storiche, con il loro Dio personale. ‹‹Fuori da ogni riferimento alle religioni
esistenti, così come sono o come dovrebbero essere, dobbiamo ricercare obiettivamente quello che i
princìpi metafisici, sviluppati qui, esigono su questi punti, riguardi alla natura di Dio. […] Quello
che segue è semplicemente un tentativo di aggiungere un altro interlocutore a quel capolavoro che
sono i Dialoghi sulla religione naturale di Hume››.13 Il Dio di Whitehead è naturale, non c’è alcun
bisogno di postularne dogmaticamente l’esistenza trascendente: ‹‹La nozione di Dio come “motore
immobile” deriva da Aristotele, almeno per quanto riguarda il pensiero occidentale. La nozione di
Dio come “eminentemente reale” è una dottrina favorita dalla teologia cristiana. La combinazione
delle due nella dottrina di un creatore trascendente eminentemente reale e originario, per il cui fiat il
mondo è venuto all’essere, e ai cui decreti esso obbedisce è l’errore che ha introdotto la tragedia
nelle storie della cristianità e dell’islamismo››. 14 L’attività di Dio è al contrario del tutto immanente
e coincide senza scarto con la tendenza al rinnovamento propria del reale. Gli oggetti eterni infatti,
sebbene ricordino per molti aspetti le idee platoniche, non possiedono nemmeno loro alcuna
autonomia ontologica: ‹‹gli oggetti eterni non sono reali; e in sé, al di fuori del loro rapporto con
una entità attuale che li prenda, trascelga, e nella quale entrino come “ingredienti” non sono
neppure “dati”››.15
La teologia di Whitehead non è un’aggiunta posticcia e di comodo, utile a rimediare a delle
carenze strutturali dell’edificio metafisico: ‹‹Dio non è […] necessario al sistema whiteheadiano
come deus ex machina introdotto dall'esterno quale artificioso espediente, ma è saldamente
incorporato nella struttura globale della cosmologia, ne è anzi […] il fulcro: il principio teleologico
che consente la realizzazione e la crescita del valore nell'universo››. 16 Dio è il principio di
rinnovamento del cosmo, il nome che si dà alla creatività del reale, di per sé inesauribile, eterna,
atemporale. E tuttavia la sua realtà non si esaurisce in questa inesauribile spontaneità: ‹‹la
“creatività” non ha alcun significato senza le “creature”››. 17 E ancora: ‹‹la creatività non è un
oggetto che sussista indipendentemente da ciò che essa produce, le creature; creatività e creature
sono entità interdipendenti e comprensibili solo nel loro rapporto››.18 In questo senso, ‹‹è tanto vero
dire che Dio crea il Mondo, quanto dire che il Mondo crea Dio››. 19 La creatività, coincidendo con la
propria efficacia, dipende dalle proprie creature, le subisce e, in un certo senso, ne deriva. In ciò
consiste la natura “bipolare” di Dio, tanto “primordiale” quanto “conseguente”. Se è vero che da
una parte esso garantisce l’Unità del divenire, armonizzando l’attività dei Molti che le popolano, è
13
PR p. 649
14
PR p. 647
15
Bon p. 113
16
Bon p. 118
17
PR p. 441
18
V p. 56
19
PR p. 657
altrettanto vero che senza tale attività, che come si è detto è autonoma, Dio rischierebbe di ridursi
ad una rigida ipostasi, ad una causa efficiente sostanziale paradossalmente irrelata e indifferente a
ciò che causa.

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