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Twilight e l'immortale fascino del vampiro


di EMILIO AUDISSINO

Twilight e l'attrazione per i succhiasangue, ecco spiegate le ragioni del


fenomeno mondiale iniziato da Stephenie Meyer

Come ci insegnano i film horror della Hammer,


quando credi di aver eliminato Dracula, lui trova
sempre un modo per risorgere. E il vampiro, in
verità, non ha mai abbandonato la ribalta
cinematografica, ma la prepotenza con cui ha
richiamato l'attenzione su se stesso grazie ai
primi due capitoli della saga di Twilight, ci
costringe a riflettere sulle ragioni del suo
successo. Il Twilight cinematografico nasce da una
fortunatissima serie di romanzi nero-rosa,
composta di quattro titoli, che guardano
innanzitutto alla letteratura romantico-
sentimentale indirizzata principalmente al
pubblico femminile, e colorano il genere rosa con
risvolti vampireschi che sono contestuali. I
vampiri di Twilight rispondono solo in parte alla
mitologia tradizionale — non si disintegrano al
sole, per esempio — dimostrando un interesse
solo marginale verso il fenomeno da parte
dell'autrice. La storia di Bella, ragazza solitaria e
vagamente emo, che si innamora di Edward, bel
ragazzo tenebroso che si rivela poi un vampiro buono — beve solo sangue animale —
è insomma prima di tutto una storia d'amore più che una storia d'orrore. Il vampiro
— “demone che beve” questa l'etimologia — non è visto in primo luogo come un
mostro — Nosferatu, il “non morto”, Draculya, il “figlio del Diavolo” — ma come un
essere dal fascino irresistibile. La creatura di Frankenstein suscita il giusto orrore che
ci si aspetta verso un mostruoso patchwork di pezzi di cadaveri in bilico tra vita e
putredine. Pari repulsione suscitano gli zombies di Romero e i vari lupi mannari —
sono un caso a parte le rivalutazioni d'immagine in chiave machista in film recenti
come Van Helsing, Underworld e nella stessa saga di Twilight, un fenomeno che
meriterebbe una riflessione a parte -. Probabilmente nessuno accetterebbe un invito
a cena da parte del Mostro della laguna nera — tralasciamo l'attestato di affetto

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espresso da Marilyn in Quando la moglie è in vacanza — ma come dire di no al


fascinoso conte Dracula? Perchè la figura del vampiro risulta così seducente e
ricorrente fino dall'antichità? Tra i vari mostri partoriti dalla mente e dalla cultura
umana, il vampiro è quello maggiormente investito di simbologie erotiche. L'atto
penetrante del morso — con cui il vampiro si nutre, da cui trae vita — ricorda l'atto
sessuale — atto con cui si dà la vita — creando nell'amplesso tra succhia-sangue e
vittima una concretissima realizzazione del connubio tra Amore e Morte. Nell'empio
atto d'amore il vampiro toglie la vita — il sangue che ne è simbolo e tabù in
numerose religioni — ma al contempo trasmette una nuova vita, maledetta ed
eterna. Questo binomio di Eros e Thanatos trova in periodo romantico una particolare
proliferazione sia in campo artistico che filosofico. L'amore tragico, che “finisce male”,
che porta alla morte è un tema annoso. Si pensi all'amore impossibile e tragico in
Romeo e Giulietta, ch

Bela Lugosi, il vampiro originale


e è poi la ripresa attualizzata del mito di Piramo e Tisbe riportato nelle Metamorfosi
di Ovidio. Il Romanticismo porta però questo antico tema alle estreme conseguenze:
l'Amore raggiunge la sua massima perfezione, la sua sublimazione perfetta, nel
momento in cui i due amanti si fondono con l'Assoluto, ossia quando muoiono
assieme. L'amore, con la consuetudine e l'abitudine, può scolorirsi, perdere la sua
carica ideale e scadere nel prosaico. Trova quindi la perfezione solo nella Morte, che
lo trasfigura in una forma eterna, immutabile e pura e lo sottrae al rischio della
consunzione della quotidianità. Nell'abbraccio in punto di morte, i due amanti trovano
un equilibrio tra la Pulsione di vita — che spinge l'uomo a procreare e ad agire in
“modo costruttivo” — e la Pulsione di Morte — che agisce in senso contrario, verso
l'annientamento, il cupio dissolvi. Il morso mortale del vampiro si configura come
esperienza erotica estrema di Amore e Morte, che spiega l'ambivalente
atteggiamento di attrazione e repulsione delle vittime verso il mostro. Chi ha
familiarità con la letteratura e la filmografia sul tema ben conosce le descrizioni
miste di paura ed eccitazione riportate dalle varie vittime vampirizzate e, nei film, la
relativa espressione prima di terrore, poi di ammaliata attrazione e infine di
voluttuoso piacere, una volta che gli affilati canini penetrano nel collo della giovane
di turno. Torniamo all'Ottocento, al periodo Romantico, all'epoca dell'Amore-Morte,
che guarda caso è il periodo della fioritura letteraria del fenomeno. Il vampiro — da
residuo delle superstizioni medievali, un villico non-morto che infesta le campagne
slave — diventa un moderno dandy. Lord Ruthven, il primo vampiro letterario,
elegante e raffinato corruttore di brave giovani, è plasmato dal suo creatore John
William Polidori sulla persona di Lord Byron — di cui era segretario e di cui voleva

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evidentemente vendicarsi facendo una caricatura mostruosa del suo famigerato e


amorale datore di lavoro. Il vampiro diventa un gentleman dal fascino irresistibile,
una specie di empissimo Don Giovanni. I connotati sessuali del fenomeno — oltre al
suddetto binomio Amore-Morte — sembrano spiegare lo straordinario successo che
questa demoniaca figura ha riscosso in quel secolo. In un'epoca famosa per il rigore
morale e per la pruderie, e in un paese come l'Inghilterra che si distinguerà, almeno
ufficialmente, per la frigidità e la repressione dei costumi, la figura del vampiro
diviene simbolo inconfessato di liberazione sessuale, assume su di sé, per
identificazione e proiezione, i desideri più nascosti e indicibili dei lettori e delle
lettrici: è colui che non si cura delle norme sociali, che obbedisce solo al proprio
volere, è colui che insegue il suo piacere, è colui che si intrufola di notte nelle stanze
da letto delle fanciulle per placare la sua sete... Il fascino del vampiro e questi suoi
connotati, già consistenti, subiscono una nuova impennata nel 1897, con la
pubblicazione del celeberrimo romanzo di Bram Stoker e l'introduzione del vampiro
per antonomasia: Dracula. E' sufficiente riportare un brano del romanzo per ribadire
il contesto repressivo dell'epoca vittoriana in cui agisce il sovversivo e immorale
succhiasangue: Mina esce precipitosamente in camicia da notte per cercare Lucy —
inconsapevole vittima del malvagio conte durante il sonno — che vaga nel parco
come in preda a una trance. Fattala tornare in sé, Mina la riaccompagna a casa, non
prima però di aver nascosto con del fango la nudità dei propri piedi, nel timore che
qualcuno possa notare il fatto che è scalza. Se a quell'epoca una caviglia femminile
risultava conturbante, figurarsi il piede nudo! Dracula diventa dunque la tap

pa più evidente di un percorso che, da Lord Ruthven passando per Varney the
Vampire — protagonista di una monumentale pubblicazione a puntate tra il 1845 e il
1847 — e Carmilla di Joseph Sheridan Le Fanu — la più famosa “vampira”
letteraria, con malcelate inclinazioni saffiche — innerva tutto il XIX secolo,
manifestazione di una sessuofobia che provoca nevrotiche oscillazioni tra attrazione
e repulsione. Del resto, proprio la sessuofobia o un tipo di sessualità deviata o
inappagata sembra essere una delle chiavi dell'interesse verso il vampirismo, se si
considera che uno dei primi racconti di vampiri occidentale è quello della Fidanzata di
Corinto. Flegone racconta nei suoi Mirabilia (II secolo d.C.) la storia della giovane
Filinnio — la fidanzata del titolo, appunto — a cui i genitori cristiani impediscono di
avere una relazione con un giovane pagano. La ragazza allora si uccide e torna dal

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mondo dei morti per congiungersi con l'amato. Per spiegare questo fascino verso il
vampiro è stata avanzata anche una spiegazione freudiana. Il vampiro
rappresenterebbe una sessualità regressiva, ferma alla fase orale e quindi
incompleta. Tutto risiede nel bacio, il piacere è privo delle responsabilità e delle
conseguenze fisiologiche che la sessualità genitale implica — cioè la procreazione. Il
bacio vampirico sarebbe, insomma, una forma di attività sessuale esclusivamente
epidermica, superficiale e, paradossalmente, più tranquillizzante e meno
problematica. Lettura avanzata anche da Stephen King e citata nel saggio Il mito
del vampiro di Riccardo Reim (I grandi Romanzi dell'orrore, Newton & Compton):
“A quanto pare il conte Dracula (e del resto anche le spettrali sorelle) sono morti
dalla cintola in giù: fanno l'amore soltanto con la bocca. La bocca sessuale di Dracula
è un'oralità infantile […] E' anche sesso decolpevolizzato. […] Questo atteggiamento
infantile, sfuggente verso il sesso, è forse uno dei motivi per cui il mito del vampiro
[…] è sempre stato così popolare tra gli adolescenti che stanno ancora cercando di
padroneggiare la propria sessualità”. E i vampiri adolescenti di Twilight
sembrerebbero trovare la ragione del proprio successo proprio in base a questi
meccanismi. Alcune affermazioni dell'autrice (ritrovabili in Tony Allen-Mills, “The
Times”, 10 agosto 2008, News Review Interview: Stephenie Meyer) sembrerebbero,
del resto, confermare questa sessuofobia di fondo in cui la figura del seducente
Non-morto ha ancora una volta trovato un fertile terreno di sviluppo: “[Stephenie
Meyer] è anche una mormona puritana che non beve alcool né fuma e, prima di
iniziare a scrivere, non aveva mai letto un libro sui vampiri o visto un film che fosse
vietato ai minori. Grandissima fu la sua sorpresa quando una notte ebbe un sogno su
una teenager che incontrava un vampiro sorprendentemente cortese.

Nosferatu non era certo aitante


come il moderno Edward...
Qual bel ragazzo spiegava alla ragazza che lui voleva fortemente bere il suo sangue,
ma non riusciva ad accettare di ucciderla. […] La trama è più vicina a Jane Eyre che a
Dracula, con forti dosi di Romeo e Giulietta. E la serie è sviluppata attraverso una
tensione erotica elastica che un critico ha descritto come 'l'erotismo dell'astinenza'. E'
un merito significativo della Meyer che, nonostante i suoi personaggi non facciano
mai sesso, i suoi libri restino comunque piuttosto sexy. […] La Meyer insiste che lei
non voleva consapevolmente che i suoi libri fossero propaganda mormonica,
promuovendo le virtù dell'astinenza sessuale e della purezza spirituale; ma riconosce

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che le sue opere sono modellate sui valori che ha imparato dalla sua famiglia e dalla
sua Chiesa...”. La nostra non è certo un'epoca puritana, ma al contrario la prepotente
presenza in ogni ambito del sesso materialistico ridotto a mercanzia può portare a
desideri più o meno consci di dimensioni più alte e sublimi, o a nuove forme di
sessuofobia in reazione all'aggressività con cui il sesso viene proposto. E l'immortale
mito del vampiro, adattandosi alla nuova società con la versatilità che gli è propria,
viene ancora una volta a soddisfare questi desideri repressi ed insoddisfatti. Il
Vampiro è risorto dalla tomba dell'Inconscio, ancora una volta.

Data: 8 febbraio 2010

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Franco Forte
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