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Il Linguaggio come Modello di Realtà
Un libro di
Georg Kühlewind
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Note di traduzione
Questa è una traduzione all’italiano del libro “The Logos
Structure of the World”, versione inglese del traduttore
filosofo Friedemann Schwarzkopf, che l’ha tradotta dal
tedesco in stretta collaborazione con l’autore. In questo
contesto, la traduzione inglese di Schwarzkopf potrebbe
essere stata una ridefinizione, oltre che una revisione assieme
a Kühlewind, del suo stesso libro.
Specifiche parole tradotte da una lingua all’altra, pur
mostrando forma simile, spesso assumono significati
differenti o lievemente differenti. Per questo motivo, a mia
discrezione, utilizzo spesso due parole differenti che
puntano allo stesso concetto superiore, per cercare di
ovviare ad una certa staticità a cui le parole comuni possono
portare. Ad esempio l’inglese “feeling” potrà essere trovato
nel testo tradotto come “sensazione” o come “sentimento”,
a seconda di come le ho ritenute più opportune nel loro
contesto. Il lettore sagace può comprendere o meno la
Considerazioni del traduttore 7
differenza in cui queste parole possono essere utilizzate,
creandosi concetti più precisi del loro significato o ritenendo
ininfluente la distinzione.
La parola inglese “given” ha significato più specifico della
corrispondente parola italiana “dato”, spesso ripetuta nel
testo. Infatti in italiano utilizziamo “dato” sia come
participio passato del verbo “dare”, sia come unità singola di
informazione a priori. L’inglese di questo secondo
significato è infatti diverso da “given”: “datum”. Il “dato”
spesso utilizzato da Kühlewind quindi ha più la forma del
participio passato oggettivato, in modo da indicare la data
totalità.
La parola “cognizione” è utilizzata nell’originale inglese in
sue forme irregolari di verbo e di soggetto-oggetto non
esistenti nei vocabolari, né in quello inglese, né in quello
italiano. In una traduzione italiana della Filosofia della Libertà
di Rudolf Steiner, il verbo “conoscere” è utilizzato molto più
spesso del verbo “cogniz-zare”. E’ da comprendere però che
la conoscenza può essere vista come una conseguenza della
cognizione, e quindi il significato specifico a cui spesso
l’autore vuol fare riferimento rende meglio utilizzando
parole con la radice “cogniz-“. Per dare una spiegazione di
questa scelta nei termini epistemologici comprensibili anche
attraverso questo libro, è possibile capire come la consueta
definizione della parola “cognizione” sia considerata come
evento dato, già passato, che non diamo noi stessi come
attività, quando invece, ad un piano di coscienza più vicino
al presente, la cognizione si rivela non-data, e quindi da
darsi, come libera facoltà dell’Io. In questo ultimo caso essa
può divenire un verbo con le sue nuove coniugazioni.
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La parola inglese “insight” avrebbe la traduzione letterale di
“visione all’interno”, ma viene spesso utilizzata nel testo con
la singola parola “intuizione”, e a volte con “illuminazione”.
Anche qui il lettore può notare il limite del traduttore nel
cercare di mantener coerente fede al testo originale.
“Intuizione” può quindi essere trovato nel suo significato
inglese di “insight” come enuncia il dizionario inglese
Collins: 1)La capacità di percepire chiaramente e
profondamente; 2)Una penetrazione e una spesso
improvvisa comprensione, come per un problema o
complessa situazione; 3)psicologia: a)la capacità di
comprendere i processi mentali propri o di un altro;
b)l’immediata comprensione del significato di un evento o
azione. In italiano il termine “intuizione” si può utilizzare sia
per indicare la capacità intuitiva che per il risultato
dell’esercizio di questa capacità. Questo secondo significato
è quello che è più vicino al termine inglese “insight”, che
così utilizzato indica una elaborazione più intima e intensa
rispetto a una singola operazione intuitiva.
La parola inglese “gap” può prendere diverse traduzioni a
seconda del contesto: vuoto, spacco, intervallo, buco,
interruzione.
Il concetto “pensiero” può prendere varie forme. Quando
è visto come “pensare” sta ad indicare l’attività che ci
coinvolge, senza la quale non c’è una produzione di
“pensiero”. Mentre però la parola plurale “pensieri” ci invita
ad osservare le singole istanze (riflesse, date) prodotte dal
“pensare”, l’italiano “pensiero” può riferirsi sia ad una
singola istanza, che all’attività stessa del “pensare”. Ho
evitato di utilizzare “pensiero” in questa ultima forma
Considerazioni del traduttore 9
italiana quando può far mancare la distinzione.
Approfondimenti riguardanti queste distinzioni di pensiero
possono essere ricercati in molte delle, se non in tutte le
opere di Massimo Scaligero, il cui stesso contributo può
essere ritrovato tra le righe che seguono.
Fedelmente, Lonblu
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Friedemann-Eckart Schwarzkopf
Introduzione 17
Introduzione
Preludio
1 – I Quesiti
2 – Il Dato
Riguardo ai Concetti
Il termine “pensiero” copre molte e molto diverse
attività di coscienza. La conquista più grande del
pensiero è l’afferrare intuitivo, o comprensione di una
nuova idea, un nuovo concetto – “nuovo” nel senso che il
pensatore lo sta pensando per la prima volta. Ogni vera
comprensione è nuova.
La contemplazione ci rivela immediatamente che non
possiamo facilmente dire che cosa sia un concetto. Per
far ciò dovremmo utilizzare concetti – la cosa stessa che
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vogliamo descrivere – in tal modo assumendo che già
“sappiamo” praticamente che cosa sia un concetto.
Diveniamo quindi consapevoli che la maggior parte dei
concetti ci sono dati già quando iniziamo a dirigervi la
nostra attenzione e non sono formati tramite la nostra
riflessione cosciente. I concetti rappresentano un’abilità,
anziché una conoscenza. Quest’abilità si rivela nella
nostra capacità di riconoscere come tale ogni tavolo,
sedia, matita, e così via, una volta che ne abbiamo
compreso il corrispondente concetto funzionale. Per
esempio, quando usiamo il coperchio tastiera [cilindro]
di un pianoforte come superficie per scrivere o per
mangiare, ci rendiamo conto che il coperchio è ora
utilizzato come un “tavolo”. Una penna può essere
utilizzata come arnese per trafiggere, diventando quindi
un punteruolo. Produrre il puro concetto di un oggetto
artificiale, non è comunque così facile. Per far ciò
dovremmo riprodurre la comprensione che ci permette
di identificare come tali tutti i tavoli e tutti gli oggetti
che possono funzionare o servire da tavoli. Far ciò
equivale a capire la funzione di un tavolo; o è il risultato
di questa comprensione. Quest’abilità è superconscia,
come lo sono tutte le altre specifiche abilità umane,
come il pensare, il parlare, il percepire, e i movimenti
intenzionali. Noi non sappiamo come li facciamo.
Nell’educare la coscienza, il fine dell’esercizio di
concentrazione o controllo dei pensieri serve
precisamente a condurci a questa comprensione
2 – Il Dato 43
intuitiva, alla riproduzione del concetto puro – la
riproduzione cosciente di ciò che abbiamo imparato
inconsciamente nell’infanzia. Quindi, da questa prima
informazione ci rendiamo conto che i concetti sono
intuitivi – che, in contrasto con le immagini mentali o
rappresentazioni, essi non possono essere ricordati.
La seconda scoperta rivela la distinzione tra concetto e
parola. Per gli adulti la linea che li separa è chiara e
distinta. Una parola designa qualcosa che capiamo o che
abbiamo compreso in una lingua. Possiamo facilmente
capire la funzione di un oggetto, come ad esempio, un
paio di forbici, senza nominare l’oggetto. Questa
distinzione tra parola e concetto è oggi facile da
comprendere; comunque, prima della possibilità
dell’anima cosciente, essa non poteva essere afferrata
perché allora il pensiero non era ancora emancipato dal
linguaggio.
Ciò vale ancora per i bambini piccoli – per loro,
linguaggio e pensiero sono intrecciati. Distinguere tra
concetto e parola richiede di essere in grado di guardare
alla coscienza. Un’immatura riflessione potrebbe
ricavare falsamente la distinzione tra concetto e parola –
non tra concetto e parola, ma tra cosa e parola – non
realizzando che solo il suo concetto rende una cosa
questa cosa. E quindi nasce il nominalismo. Una cosa
viene raffigurata senza il suo concetto, e la parola è
ritenuta identica al concetto. Quindi il nominalismo
assume che il concetto sia solo un nome, un modo di
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nominare un oggetto. Non si nota che possiamo
nominare solo qualcosa che abbiamo prima afferrato
concettualmente. Il nominalismo ha introdotto nel
regno del pensiero umano l’idea che le cose possano
esistere senza concetti. Questa è precisamente una
inconcepibile, impensabile idea, ma che ha decisamente
influenzato non solo le scienze naturali (e tramite esse, le
altre scienze), ma anche l’intero pensiero Cristiano
Occidentale. Questo pensare è divenuto così abituato a
“pensare” l’impensabile che i criteri di pensabilità ed
auto-evidenza sono stati perduti. Soprattutto, ciò che è
stato perduto è l’esperienza del comprendere, del
pensiero-intuizione come essenza del concetto.
Anche una seconda fonte di nominalismo può essere
oggi trovata piuttosto facilmente. Basti comparare le
funzioni di oggetti artigianali con le cose ed i fenomeni
in natura. Possiamo comprendere le funzioni di tali
oggetti fatti dall’uomo, e perfino concetti matematici e
geometrici che ci sono trasparenti, ma la nostra
relazione con le cose e i fenomeni in natura è molto
diversa. Non siamo a conoscenza delle loro idee
costitutive o funzionali. Le “funzioni” del feldspato, dei
gigli, o delle tartarughe ci sono sconosciute, ed abbiamo
imparato a non chiederle ulteriormente. Classifichiamo
ed identifichiamo le cose della natura secondo le loro
caratteristiche esteriori. Per esempio, le piante con un
certo numero di sepali e stami nei loro fiori
appartengono alla famiglia delle Rosacee, rose. Non
2 – Il Dato 45
comprendiamo funzionalmente che cosa ciò significhi e
non possiamo essere certi che le stesse caratteristiche
appartengano sempre alla stessa funzione. Il nostro
modo di procedere in riguardo agli oggetti naturali è
simile a classificare pezzi di fornitura secondo il numero
di gambe o di porte, indifferentemente dal loro scopo. In
altre parole ci riferiamo alla natura in modo veramente
nominalistico. I concetti degli oggetti naturali sono per
noi semplici termini collettivi derivati da attributi
esterni, o – più precisamente – sono rappresentative
immagini mentali universalizzate. Senza dubbio “lupo”,
”rosa”, ”cristallo di quarzo”, e così via, sono veri
universali: non abbiamo ragione di assumere che essi
vengano ad esistere senza concetti, quando sappiamo
per certo che nemmeno un bottone può essere fatto
senza un concetto. Ad ogni modo, oggigiorno le persone
sono incapaci di afferrare le vaste, viventi, e senzienti
idee dei fenomeni naturali, almeno non senza
un’educazione della loro coscienza.
Quindi, negli universali – le idee della natura – siamo
posti di fronte a qualcosa che non possiamo afferrare;
inizialmente i nostri poteri di coscienza non bastano per
afferrarle. Le idee degli oggetti naturali sono troppo
chiare, troppo accecanti, per essere comprese dalla
coscienza dialettica. Comprenderle ci richiede di essere
in grado di “leggere il libro della natura”.
La comprensione funzionale dev’essere distinta
dall’identificazione di una cosa in base alle
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caratteristiche esterne o immagini mentali. Se
trascuriamo questa distinzione, falliamo di notare che
non abbiamo concetti adeguati per la natura, ma solo
immagini mentali che ci aiutano ad orientarci secondo la
superficie esterna dei fenomeni. L’affermazione “Questa
è una colombina” sta a dire che l’apparizione della
pianta combacia con ciò che conosciamo essere
caratteristico delle colombine. Ciò nonostante, vediamo
o percepiamo fenomeni solo perché abbiamo concetti;
comprendiamo le caratteristiche esterne e le qualità
della pianta – come colore, forma, dimensione, numero
di stami – concettualmente. Questi concetti
rimpiazzano, per così dire, i concetti del fenomeno
naturale e ci permettono quindi di categorizzarlo ed
identificarlo. Sono ancora dei semplici concetti
sostitutivi, e non le idee funzionali o creative che
corrispondono a, e sono, l’essenza del fenomeno.
Siccome le caratteristiche esterne dei fenomeni naturali
sono così chiaramente “super-ficiali”[“sopra la
superficie”], la nostra comprensione dei concetti si è
falsificata. Ci siamo dimenticati che i concetti
consistono prima di tutto, e nella loro essenza, di
comprensione. Cerchiamo quindi l’essenziale del concetto
nella direzione dell’astrazione. Le caratteristiche e le
proprietà “essenziali” e “comuni” degli oggetti di
percezione vengono derivate dall’oggetto individuale
tramite astrazione. L’astrazione comunque presuppone
la conoscenza del concetto. Determinare le “comuni ed
2 – Il Dato 47
essenziali” caratteristiche – in altre parole,
“selezionarle” al di fuori –, e quindi definire o limitare
gli oggetti individuali sotto considerazione, richiede una
regola. Questa regola è il concetto.
Questo modello di astrazione dei concetti enfatizza la
loro generalità, in contrasto col particolare oggetto
individuale di percezione. Mentre gli universali dello
scolasticismo – che sono idee basate sulla comprensione
– possono esprimersi nei particolari come universalia in
re, il concetto astratto, d’altro canto, può difficilmente,
se non per niente, essere visto nell’oggetto individuale;
nemmeno l’afferrare altri dettagli individuali ci può
aiutare. Per esempio “verde” come concetto astratto
non può includere una percezione particolare di verde;
ma “verde” come universale compreso intuitivamente,
contiene tutte le sfumature del colore. Per insegnare ai
bambini che cosa sia il “verde”, non necessitiamo
assolutamente di mostrare loro tutte le sfumature del
colore. Una volta che il bambino ha afferrato l’idea del
“verde” tramite un solo verde, quel bambino potrà
identificare correttamente tutte le sfumature di tale
colore “verde” senza doverci pensare – un’esperienza
sulla quale torneremo più avanti.
Più consideriamo i concetti come astrazioni, più
sembreranno mancare in essenza, comparati con i
particolari concreti che percepiamo. Questa tendenza è
rinforzata dall’esistenziale, carattere d’“essere” della
percezione, che contrasta nettamente con l’irrealtà dei
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pensieri e concetti finiti. I pensieri sembrano così
indipendenti dalla realtà che possiamo pensare o
immaginare assolutamente qualsiasi cosa, quando e
dove ci pare. La percezione, d’altro canto, può occorrere
solo nel presente momento: una verità che è un gran
rompicapo (puzzle) per l’epistemologia. La discuteremo
nel capitolo 5.
La considerazione di come procedere quando vogliamo
capire qualcosa ci rivela la differenza tra gli oggetti fatti
dall’uomo e i concetti della natura. Per esempio, quando
vogliamo capire i concetti “suola da scarpa” o “penna a
sfera”, proviamo a comprendere le funzioni di questi
oggetti. Non iniziamo con l’analizzarli; siamo interessati
nelle parti componenti e materiali solo quando vogliamo
produrli. Quando abbiamo a che fare con oggetti
naturali, invece, procediamo nell’altra direzione, prima
analizzandoli, se possibile fino al particolare più minuto.
Nella maggior parte dei casi, non ci interroghiamo
nemmeno sulla funzione di questi oggetti naturali. In
ogni caso, l’analisi non ci può dire cosa alcuna riguardo
la loro funzione. Infatti, abbiamo così completamente
dimenticato di considerare lo scopo o il significato degli
oggetti in natura, che consideriamo una loro descrizione
matematica come vera comprensione di tali oggetti. Ciò
è come provare a capire una pagina di testo
determinando matematicamente la posizione dei punti
bianchi e neri nella sua superficie piuttosto che col
leggerla.
2 – Il Dato 49
La differenza tra la comprensione dei concetti di
oggetti artigianali e quella dei concetti di oggetti
naturali si nota raramente. Interpretiamo come
mancanza di concetti l’incomprensibile aspetto degli
oggetti naturali, e confondiamo idee più alte con ciò che
è privo di idea. Questo ci porta a risultati catastrofici
nella nostra vita spirituale, che possono essere riassunti
come segue:
1. La natura dell’idea, del concetto, è stata fraintesa; ed
il fatto che essa sia basata sulla comprensione è stato
dimenticato.
2. La nozione impensabile – il non-pensiero – della
materia “senza proprietà” (Giordano Bruno), capace
di agire come portatore di svariate proprietà, è stata
introdotta: la materia senza forma, l’essere senza idea.
Questa nozione perseguita ora la filosofia e le scienze
in molte forme – come la cosa-in-sé, come il
subconscio e l’inconscio, come il fondamento del
mondo e della coscienza, come particelle elementari
senza qualità, e così via. A causa di tutto ciò,
immaginiamo il mondo percettivo ed i suoi elementi
in quanto privi di concetto.
3. La nozione che i concetti sorgono con l’astrazione
conduce all’opposizione delle loro generalità con le
qualità concrete – presumibilmente prive-di-idea –
delle cose separate.
4. La comprensione, fondamento di tutte le teorie, nella
sua essenza assoluta ed irriducibile, è stata messa in
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riserva – o abbiamo postulato vari meccanismi per
spiegarla. La causalità meccanica è divenuto il solo
principio di spiegazione.
5. Invece di interpretare i fenomeni come lettere da
leggere, l’analisi è stata definita come il solo metodo
cognitivo giustificato.
6. Le contraddizioni intrinseche dei cinque sviluppi
sopra elencati ostruiscono la sana circolazione della
vita della nostra coscienza allo stesso modo in cui
occlusioni impenetrabili prevengono il libero scorrere
del sangue nel corpo. Come risultato, il nostro
pensiero e le nostre facoltà cognitive non sono più
sani. I sintomi più ovvi di questa afflizione sono
teorie e pensieri che si cancellano l’uno con l’altro, ed
il nostro mancare di notare ciò. Esempi di tali pensieri
sono: “il pensiero è soggettivo”, “il pensiero è un
meccanismo o un processo naturale”, o “la coscienza
umana è determinata”.
La Transizione al Domandare
Linguaggi differenti sostengono differenti sistemi
concettuali fuori dal continuum non strutturato del
dato diretto. Questi sistemi concettuali esistono nel
continuum non in uno stato preformato, ma come
“potenziale”. Percetti e concetti, inizialmente di discreta
congruenza, si manifestano negli esseri umani. Ciò
significa che l’attività cognitiva umana – che sia
cosciente o meno – dev’essere considerata parte della
realtà. Nella coscienza arcaica quest’attività non veniva
sperimentata separata dal suo risultato, l’immagine
della realtà. Nel capitolo 5 discuteremo sul perché ora
non abbiamo esperienza della nostra attività cognitiva
come parte della realtà.
A causa di profondi cambiamenti nella coscienza
umana, la prima realtà è stata persa. E’ difficile
descrivere le ragioni e le forze motivanti che stanno
dietro a questi cambiamenti senza utilizzare il
linguaggio dei miti. Nel Vecchio Testamento i
cambiamenti sono descritti come eventi della Caduta. I
cambiamenti ci hanno tagliato fuori dalla natura e dagli
esseri spirituali che ci ispirano e ci guidano. Come
risultato, siamo divenuti capaci di sbagliare e di peccare,
ed ora, nell’epoca dell’anima cosciente, dobbiamo
4 – Il Linguaggio della Realtà 91
scegliere il nostro nuovo percorso in quanto esseri
maturi ed emancipati.
Questo lungo processo si riflette nei cambiamenti nelle
nostre lingue, che hanno sempre posseduto il potenziale
per questo sviluppo. Il duplice aspetto del linguaggio
prefigura ogni altro dualismo, particolarmente la
divisione del percepire e del pensare. La struttura
discontinua dell’aspetto esteriore del linguaggio porta il
seme per tutte le ulteriori atomizzazioni. Allo stesso
modo, la parte nascosta del linguaggio contiene
l’immagine ed il potenziale per tutte le unificazioni e
sintetizzazioni, per tutte le “letture d’assieme”. La
dualità di percezione e atto interno ad essa
complementare – presente nel linguaggio – continua
nella dualità di oggetto e soggetto. E’ possibile oggi
rendersi conto che la comprensione e ciò che viene
compreso – i piani del presente e del passato nella nostra
coscienza – formano la basilare duplice struttura
dell’anima cosciente, che dà la possibilità alla coscienza
di riflettere su di sé.
I cambiamenti esterni, che considereremo per primi,
non sono limitati ad un linguaggio particolare, ma
interessano l’intera gamma delle lingue, incluse quelle di
solito classificate come arcaiche o primitive, come pure
quelle sviluppate o altamente flessibili. Questa gamma
di linguaggi è spesso erroneamente considerata come
consistente di stadi di sviluppo. Nel considerare
l’originale riserva di radici di parole e strutture
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grammaticali, possiamo trovare perdite e segni di
deterioramento entro a un qualsiasi particolare
linguaggio. Ad ogni modo, l’emancipazione del pensiero
rende ogni linguaggio sempre più complicato, fintanto
che si vengono così a creare sempre più complicate
associazioni tra i pensieri nelle nuove e aperte aree del
mondo e della coscienza.
Se si comparano le lingue arcaiche con quelle più
“sviluppate”, si può notare che, mentre le ultime
crescono sia nel loro vocabolario che nella loro parte
percepibile ai sensi, la loro figura percettiva – come
anche la loro intera figura del mondo – perde sempre più
l’unità che aveva nelle lingue arcaiche. Sempre più, i
termini di connessione divengono semplici nomi per
cose; e le connessioni stesse vengono espresse sempre di
più nella parte percepibile del linguaggio, come per
esempio, tramite inflessioni, prefissi, suffissi,
preposizioni, e regole sintattiche. Le relazioni,
connessioni, e i concetti reali e superiori, comunque, non
possono apparire, e rimangono completamente nella
parte nascosta del linguaggio.
Più una lingua appare percepibile ai sensi, meno lavoro
interiore è necessario per complementarla. Come
risultato, la parte percepibile è meno permeata di vita e
sentimento. In ultima il linguaggio finisce per essere un
semplice veicolo di informazioni, e la dualità di “segno e
significato” si sviluppa di conseguenza. In altre parole,
questa dualità diviene sempre più pronunciata tanto
4 – Il Linguaggio della Realtà 93
quanto il pensiero si emancipa dal linguaggio. Abbiamo
“informazione” in riguardo a che cosa? In riguardo al
mondo, che è stato dato dapprima tramite il linguaggio
nella sua fase energetica, e che abbiamo poi costruito al
dì fuori [a partire] da questa primaria realtà.
Come cresce la moltitudine di particolari nello sviluppo
del linguaggio, le connessioni si perdono. Questo
sviluppo si riflette anche in cambiamenti nel
vocabolario; per esempio, le lingue arcaiche sono ricche
di verbi, e la predominanza di predicati dà a questi
linguaggi il loro carattere distinto. Nelle lingue più
moderne, comunque, nomi ed aggettivi predominano.
In aggiunta a questi cambiamenti “esterni” vi sono
anche importanti sviluppi nella parte nascosta di ogni
linguaggio. Le parole che ancora erano fluide nei primi
tempi, ed esprimevano connessioni, ora si seccano e si
stringono sempre più a semplici nomi di particolari.
Quindi, il particolare diventa discutibile [interrogabile],
non in riguardo all’universalità del concetto, ma
piuttosto nella sua sconnessione e nella qualità del suo
essere.
Quando svaniscono le connessioni dai nomi, e la
coscienza sperimenta nel suono della parola solo ciò che
è stato separato senza sua simultanea reintegrazione,
allora la domanda riguardante il come diventa urgente.
Il pensiero inizia a cercare connessioni, principi che
collegano i particolari, al di fuori dalla sfera data dal
linguaggio. Inizialmente, riteniamo la struttura del
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mondo percettivo tramite le parole-concetti del
linguaggio, ma i concetti diventano gradualmente
semplici involucri di parole, e le connessioni si perdono.
Dobbiamo ritrovarle nuovamente tramite nuovi
concetti indipendenti dal linguaggio.
L’analogia della superficie suddivisa citata
precedentemente, può ancora essere utilizzata per
descrivere questa nuova situazione. I piccoli pezzi non
più si estendono sull’intera superficie completamente.
Invece, i concetti si sono contratti alla dimensione di
punti; cioè, sono divenuti interamente nominali. Le
rimanenti parti scoperte della superficie lasciano quindi
ampio spazio, ed impongono ragioni, per porre domande
– riguardo il mondo percettivo o riguardo le relazioni tra
i concetti-punto.
Gli esseri umani aggiungono ora i concetti che
connettono ad essi i percetti. Generalmente, non siamo
consapevoli che il mondo percettivo già è strutturato
tramite i rimasugli dei concetti-linguaggio, prima di
aggiungervi nuovi concetti. In ogni caso, sia nella prima
fase della coscienza che nelle successive, la realtà è
sempre creata tramite l’unione di percetto e concetto.
Inizialmente, questa unione era data; successivamente,
furono gli stessi esseri umani a dover determinarne la
sintesi. L’unione di percetto e concetto non permette
alcuna arbitrarietà; anche se siamo noi coloro che
raggruppano ed riuniscono gli elementi della realtà –
ovvero, lo strutturato percetto ed il concetto – facciamo
4 – Il Linguaggio della Realtà 95
ciò secondo la loro stessa natura. Aspettiamo per vedere
che emerga dall’unione di questi elementi. La facoltà di
formare concetti sta divenendo sempre più
individualizzata, e nel tempo viene formata sempre
meno dalla madre lingua – lo “spirito del popolo” – o da
stili culturali che trascendono il linguaggio, come lo stile
barocco – lo “spirito dei tempi”.
I concetti forniti dal linguaggio erano molto più che
semplici connessioni; erano realtà sentite, viventi,
volenti e sperimentate.
Lo sviluppo della coscienza insito nella pedagogia del
linguaggio – ogni lingua guida le persone che la parlano
ad una particolare configurazione di coscienza – può
causare alle parole-concetti di perdere la loro vita e di
divenire semplici nomi di cose al di fuori delle stesse
(eccetto per le congiunzioni, come “sebbene” ad
esempio). Ciò ci lascia aperti due percorsi, entrambi i
quali sono divenuti possibili solo per via della nuova
capacità di pensare indipendentemente dal linguaggio.
Un percorso conduce ai concetti logici, astratti, che
possono essere ridotti ad un minimo denominatore, così
per dire, tramite i concetti-parola di varie lingue,
potendo quindi essere tradotti. I concetti logici di
“acqua”, “eau”, “water” e “hydro” sono equivalenti, e le
parole così considerate sono intercambiabili. Tali parole
sono comunque diverse in tono ed in carattere ed anche
nel modo col quale possono essere applicate e connesse
ad altri nel loro rispettivo linguaggio. Ciò è ovvio
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specialmente nella traduzione di poesie. Lo
strutturalismo chiama questo fenomeno la valenza o
valore delle parole. Deriviamo i concetti logici tramite
astrazione dai differenti valori delle parole; i concetti
logici, quindi, trascendono il linguaggio. Di
conseguenza, questi si collocano al di sotto dei concetti-
parola, in quanto sono più poveri. Quando i pensatori
iniziano a capire ciò, essi fanno ricorso al linguaggio –
per esempio, all’etimologia – per arricchire i logici
concetti astratti, per comprenderli meglio, per destarli
in vita.
Ma c’è un altro percorso. Levandoci al di sopra dei
concetti-parola possiamo raggiungere i concetti
meditativi o creazionali. Questi contengono tutti i
concetti-parola e li integrano. Tali concetti meditativi
sono quindi più ricchi dei concetti-parola. Essi abilitano
i concetti-parola ad unirsi in concetti logici – questa
impoverita unione è, per così dire, la loro astratta
riflessione diretta verso il basso. I concetti creazionali
già erano astratti nel Medio Evo; essi non erano più
sperimentati, ma solo afferrati come intuizioni di
pensiero. Come tali, essi erano chiamati universalia ante
rem*.
*
"Universali" prima della loro incarnazione nella materia. Nota di
Traduzione.
4 – Il Linguaggio della Realtà 97
Da questo punto di vista si possono identificare i
concetti logici come universalia post rem**; comunque, il
terzo tipo di universali*** non ha paralleli nella coscienza
moderna.
“Essere umano”, “anthropos” e “homo”, per esempio,
hanno ovviamente diverse valenze o aspetti. Il concetto
logico di queste parole è formato dalle esterne,
probabilmente fisiologiche caratteristiche dell’essere
umano, ma i concetti creazionali comprendono il
carattere della Parola – o Logos[Verbo] – di natura
umana, il suo insito archetipo, potenziale, libertà e
relazione col cosmo come una idea. Ovviamente questa
idea richiede una coscienza che si innalza molto al di
sopra della quotidiana coscienza. Giudicando dal solo
suono, non percepiamo una connessione tra le parole
“rosa”, “varda” e “gul”. Comunque possiamo forse
intravedere la loro comune idea creazionale dietro l’idea
della rosa bianca nel Paradiso di Dante (Par. 31. e 32.),
che è il “Trono dei Benedetti”.
La scienza occidentale ha preso il primo percorso sopra
indicato, quello conducente a concetti logici. Nel
processo, ogni altra cosa è stata esclusa. Le conseguenze
di questa scelta ci esortano ora a provare quell’altro
percorso, per bilanciare e guarire la nostra uni-lateralità.
**
"Universali," compresi dopo aver sperimentato la loro incarnate
realtà. Nota di Traduzione.
***
"Universalia in re," "universali" come idea funzionale secondo la
quale a una cosa è data la sua definizione concettuale mentre è in uso.
Nota di Traduzione.
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La Seconda Realtà
Quando la prima data realtà svanisce, riteniamo solo i
suoi rimasugli e le sue rovine. Dobbiamo ora sforzarci
noi stessi di “rattoppare”. Il rattoppo è già intessuto di
concetti, ma questi non formano una rete priva di
cuciture. Come risultato, il mondo è divenuto aperto a
quesiti, interrogabile, discutibile. Simultaneamente il
linguaggio ci ha insegnato il segreto del pensare e
percepire strutturati. Ora cerchiamo di trovare concetti
appropriati per capire il mondo discutibile indipendente
dal nostro insegnante, il linguaggio. Vogliamo
reintegrare ciò che è stato separato al di fuori dal
continuum.
Ci sforziamo di penetrare completamente il dato con
comprensione e concettualità in modo da portare il
sentimento di realtà in coincidenza col sentimento di
verità: cerchiamo la “piena” o “vera” realtà. In altre
parole, siamo ora noi a creare la realtà, perché non
siamo più soddisfatti col sentimento o la sensazione di
realtà – almeno non in riguardo al mondo percettivo.
La relatività della prima realtà è dovuta alla madre
lingua; la seconda realtà comunque è strutturata
tramite nuovi concetti, concepiti indipendentemente dal
linguaggio. Ciò a sua volta relativizza la sintesi
dell’aspetto percettivo con quello concettuale della
realtà, ma allo stesso tempo “realtà” e “verità”
divengono idee dinamiche capaci di ulteriori sviluppi.
Viene lasciato spazio di gioco alla realtà percettiva ed al
4 – Il Linguaggio della Realtà 99
pensiero puro. Il nostro sforzarsi verso la conoscenza
non gravita verso delle predeterminate, assolute verità e
realtà; abbiamo piuttosto la possibilità di progredire da
“ovvietà” (aletheia, non-nascosto, non-occulto, parola
Greca per verità) a palese ovvietà, da luce a luce più
chiara, da idea a idea. Contribuiamo alla creazione del
mondo.
Ogni cognizione ci cambia, e dal momento che siamo
parte di una realtà, anche la realtà viene continuamente
trasformata. Creiamo la realtà futura – non solo in senso
di tempo futuro, ma nell’essenziale senso di nuovi inizi.
Come esseri-Io capaci di fare nuovi inizi e prendere
iniziative, possiamo raccogliere semi per il futuro.
Quindi, possiamo descrivere la libertà come
incondizionata, in quanto abilità di fare nuovi inizi non
contingenti su, e non necessariamente risultanti da,
l’esistente realtà. Come abbiamo visto, la cognizione
stessa è un tale inizio.
La contribuzione umana al dato è già celata entro il
dato, ma non è pienamente preformata. Altrimenti la
cognizione sarebbe una semplice formale, e non una
creativa attività che aggiunge qualcosa di nuovo alla
realtà che già “è”. In altre parole, la cognizione è essa
stessa realtà.
Nella prima realtà, guidata dalla nostra madre lingua,
strutturiamo e connettiamo il dato; nella seconda realtà,
seguiamo i concetti che abbiamo ora intuito
indipendentemente dal linguaggio. La realtà potenziale,
100
assopita e nascosta nel dato, è sempre attuata
dall’attività cognitiva umana; è produzione, non
riproduzione.
La nuova struttura della coscienza, che ci abilita a
porre domande, è basata sulla completa separazione dei
piani di coscienza del passato e del presente, di pensiero
e di pensare. Di conseguenza, quest’ultimo si è spostato
nella sfera supraconscia. Possiamo ora volgerci a porre
domande in entrambe le direzioni; infatti è questo il
compito dell’anima cosciente. Il nostro sguardo,
comunque, non volge ugualmente ed imparzialmente in
entrambe le direzioni; il piano superiore è interamente
nascosto al nostro sguardo interiore (vedi capitolo 8).
Esso non è da noi visibile. In principio non
investighiamo nemmeno il piano più basso, in quanto,
essendo nel piano del passato, non ci evoca sensazione di
realtà. Per questa ragione sperimentiamo il mondo
percettivo, o natura, in modo sempre più reale. Ciò ci
spiega perché, nella storia, i quesiti umani erano
inizialmente del tutto relativi alla natura.
Storicamente, i quesiti sulla coscienza nascono
solamente quando il modo “scientifico naturale” di
formulare domande (“di che cosa è fatto quello?” e
“come”?) diviene così radicato, che un diverso stile di
interrogare – appropriato ai problemi della coscienza –
diviene impossibile. Questa predominanza di un unico
stile interrogativo influenza anche i concetti che devono
penetrare i fenomeni naturali. Questi nuovi concetti
4 – Il Linguaggio della Realtà 101
hanno due distinte caratteristiche: primo, essi sono
contingenti solo su una parte, un aspetto parziale del
dato – per esempio, i concetti della meccanica sono
contingenti all’aspetto di mancanza di vita. Secondo, i
principi colleganti o concetti esplicativi sono dello stesso
tipo dei concetti che intendono collegare. Ancora, ciò è
tipico della meccanica; i suoi principi esplicativi non
leggono la realtà perché la struttura concettuale non è
più adeguata alla figura percettiva. Come risultato,
parte della figura percettiva rimane nonconcettuale, e
quindi non trasparente alla comprensione.
L’applicazione generale dello stille meccanico di
pensare e la predominanza della causalità meccanica,
nascono dal subconscio; essi non possono essere
logicamente giustificati. I moderni pensatori conoscono
a stento connessioni o cause diverse da quelle
meccaniche. Aristotele ancora era consapevole di altre
cause, come per esempio, la causa exemplaris, del
modello o esempio.
Siccome le connessioni meccaniche, come principio
esplicativo tra le cose, sono allo stesso livello delle stesse
cose, esse sono effettive e perfino convincenti, come per
esempio, la gravità come relazione tra la mela e la terra.
Comunque, quando il principio esplicativo rimane allo
stesso livello del fenomeno da spiegarsi, come in questo
caso, la spiegazione risultante non rappresenta mai
piena comprensione, non tale quale la piena
comprensione di un pensiero che non tralascia alcuna
102
ulteriore domanda riguardo un’affermazione; quando
non viene raggiunta alcuna comprensione, o solo un
capire limitato, possiamo continuare a porre domande
finché arriviamo a un pensiero puro – che è la normale
procedura in matematica. Comunque, nelle scienze
naturali facciamo ciò a scapito delle qualità, che in
questa procedura vengono perse.
La meccanica ed il pensiero meccanico stanno ad un
livello al di sotto del percepibile sensorio, semplicemente
perché cercano di ridurre tutte le qualità ad entità senza
qualità, a particelle e forze. Mentre la vecchia visione
del mondo era interessata allo scopo, la direzione, ed il
significato dei fenomeni – col loro “perché”, la loro
motivazione – il pensare meccanicistico si focalizza solo
su prove irrefutabili, “rigide”, sulle loro applicazioni, ed
il loro “come”, cioè, il loro meccanismo. Galileo per
esempio ridusse tutte le qualità a quelle di misura,
forma, numero, e movimento. Spiegò quindi queste
“qualità” – se ancora possono essere chiamate così – coi
concetti di forza, resistenza e velocità. Questi concetti
erano attinti ed adattati dal mondo vivente; ma lì
hanno un carattere intenzionale. L’antica scienza era
una scienza dell’essenza, mentre la scienza moderna ha a
che fare con meccanismi e trasformazioni.
Descrivere i processi matematicamente non è la stessa
cosa di comprenderli. Per una descrizione matematica
dobbiamo prima osservare un processo naturale (o
ricostruire il suo presunto corso) utilizzando un modello
4 – Il Linguaggio della Realtà 103
di esso come linea direttiva, potendo quindi descrivere
ciò che abbiamo osservato in simboli ed equazioni
matematiche. Abbiamo oramai preso due passi
acriticamente e perfino senza notarlo. Primo, la
“cognizione” ha già determinato ciò che dobbiamo
descrivere matematicamente, ma non abbiamo messo
epistemologicamente in discussione questo “ciò” (ad es.
in termini di una teoria della cognizione). Secondo,
utilizziamo simboli nella nostra descrizione matematica,
come quelli per la massa, la densità, la velocità, e così
via, anche senza averli esaminati o accertati
epistemologicamente. Quindi, le descrizioni
matematiche “di successo” attribuiscono spesso
concretezza ad entità che non originano nella nostra
osservazione del dato mondo percettivo – le entità
guadagnano o hanno concretezza a loro ascritta dal
“successo” delle descrizioni matematiche. Tali entità
sono spesso parte del nostro presupposto quando
formuliamo il modello, o ipotesi; ed in seguito siamo
portati a considerarle sempre più reali delle percezioni
con le quali siamo partiti.
Per un pensiero più o meno insano, gli ordinari quesiti
sulla realtà si focalizzano in due punti. Il primo riguarda
il mondo del pensiero: Sono le nostre idee e concetti già
pienamente formati nella sfera superconscia o in un
mondo spirituale, dal quale semplicemente li
“copiamo”, o dobbiamo noi stessi formare i nostri
concetti ed idee esternamente al mondo delle idee? Il
104
secondo punto e domanda riguarda il mondo percettivo:
La natura ed i suoi fenomeni sono già “lì”, esistono già
prima che possiamo cognizzarli?
Entrambe le questioni portano lo stampo di una
appresa ingenuità cognitiva. Inoltre, la prima domanda
origina da un incompreso Platonismo assumente il
“mondo delle idee” consistente di particolari finiti, idee
pienamente formate, che possiamo quindi “riprendere”
[portare giù] secondo necessità. In riguardo a ciò
possiamo imparare molto studiando una lingua
straniera che sia molto diversa dalla nostra. Possiamo
quindi sperimentare vividamente la relatività dei
sistemi concettuali. Per esempio ci sembra logico
coniugare tutti i verbi allo stesso modo: Io corro, Io
dormo, Io aspetto; tu corri, tu dormi, tu aspetti, e così
via. Ad ogni modo un diverso tipo di “logica”
considererebbe questa coniugazione completamente
illogica in quanto esprimente nello stesso modo fatti
molto differenti. Dopo tutto correre è una attività, come
potrei trattare allora linguisticamente alla stessa
maniera l’aspettare o il dormire? Ci possiamo esercitare
a correre – ma per aspettare e dormire? Ci sono infatti
linguaggi che prendono in considerazione queste
differenze ed hanno, conseguentemente, differenti
espressioni per esse.
Il mondo delle idee non consiste di idee predeterminate
perché, se questo fosse il caso, il loro numero sarebbe
limitato. Piuttosto, il mondo delle idee consiste
4 – Il Linguaggio della Realtà 105
nell’infinita possibilità – corrispondente alla nostra
capacità – di separare più e più idee esternamente a esso
stesso. Questo è ciò che facciamo non appena il pensiero
si è emancipato dal linguaggio. Se questo non fosse il
caso, non potremmo neppure capire le differenze tra le
lingue.
Riguardo la seconda domanda, la “natura” è, senza
dubbio, non creata da noi e dal nostro processo
cognitivo. La vera domanda è ciò che intendiamo per
“natura”. Ciò che chiamiamo “natura” ad un punto
particolare nel nostro sviluppo, sia come specie che come
individui, è già una particolare figura, alla cui creazione,
cosciente o incosciente, siamo stati partecipi. Ciò è vero
sia per la data figura percettiva che per la seconda,
cosciente comprensione cognitiva. Ogni cosa di cui
parliamo è sempre una figura che già contiene la nostra
attività. Sostenere, in questo senso, che la natura è già
esistita, sarebbe ingenuo; ciò implicherebbe che se delle
persone come noi avessero affrontato la data realtà della
natura prima di noi, essi avrebbero visto la stessa figura
della natura che vediamo noi, o almeno una
qualitativamente simile.
Vista come un testo, comunque, la natura è una lettera
che non abbiamo scritto noi – se l’avessimo scritta non
sarebbe per noi un enigma – e neppure sta venendo
scritta ora, in questo momento – le scienze naturali non
sarebbero possibili se ciò fosse così. Un testo è sempre un
testo interpretato; esso significa ciò che i suoi lettori
106
comprendono. Noi siamo o potremmo essere lettori della
lettera che la natura è. La nostra comprensione è una
realtà, una che non esisteva in precedenza. Per il
momento comunque, non è ancora chiaro se la natura
sia un testo o meno.
Il dato – la natura, il percepire, il pensare, l’attenzione,
e così via – è dato, senza alcun presente contributo da
parte nostra. Ciò è il significato del termine “dato” in
principio, nella sua forma estrema, al di là di una
epistemologia, cioè, senza alcuna strutturazione del
dato. Non appena abbiamo un’immagine mentale di esso,
comunque, il dato è strutturato; questo è lo stadio dei
particolari. Né questa struttura, né l’immagine del dato
esistono da noi separati. Dopo tutto, anche gli esseri
umani, nella loro “datità”, non sono delle loro proprie
creazioni. Invece noi diveniamo le nostre creazioni;
diveniamo quell’essere che noi stessi cognizziamo (non
ciò che immaginiamo o fantastichiamo).
Quindi, ogni cosa della quale parliamo o pensiamo, o in
riguardo a cui poniamo domande, è già una immagine
mentale, un elemento conosciuto, una struttura. Questo
è il potere ed il carattere fondamentale della parola, del
quale siamo di solito inconsapevoli. Dopo tutto, non
possiamo parlare di qualcosa che non conosciamo o che
non possiamo conoscere, e quando ci proviamo
comunque, portiamo sempre ciò che già conosciamo nel
nostro pensare. La “cosa-in-sé”, l’”inconscio”, la
“materia senza proprietà”, particelle elementari che
4 – Il Linguaggio della Realtà 107
possono essere suddivise infinitamente – tutto ciò è
testimonianza del fiasco sforzo di pensare l’impensabile,
il non-ideale, il non-similparola. Solo ciò che è
similparola esiste nel mondo del Logos. Nonostante ciò,
è in moto un’enorme tentativo di introdurre ciò che non
è similparola in questo mondo e quindi di distruggerlo.
Il dato è ciò che sempre “c’è stato”; è il residuo della
prima realtà o, per usare un’espressione religiosa, il dono
degli dei. Ciò di cui abbiamo esperienza, ciò che
percepiamo, pensiamo, conosciamo, immaginiamo, e ciò
di cui parliamo, non esiste da noi separato e mai lo fu.
Questa verità potrebbe sembrare superficiale; essa segue
tuttavia dall’intuizione che la cognizione non è un
semplice riprodurre, copiare, tradurre, o ripetere
qualcosa che già è esistito priore all’atto conoscitivo.
Parte della realtà appare a noi interna, cioè, l’idea.
Comunque, è difficile distinguere tra vera o piena realtà
ed il dato, specialmente il dato percettivo, perché un
sentimento di esistenza autonoma è senza dubbio una
caratteristica di questa parte della vera realtà (vedi
capitolo 5).
Quando ci domandiamo se il viola, la luna o l’unicorno
sono già esistiti prima che li conoscessimo, il nostro
vero, fondamentale quesito sta nel domandare se le
immagini mentali, figure, e sintesi di percetti e concetti,
sono già esistiti prima che li creassimo. La risposta è
chiara. Ciò che è “già esistito” priore alla nostra attività
108
è il dato; al di fuori di questo dato abbiamo separato i
nostri concetti e percetti e creato una sintesi.
La Terza Realtà
La struttura della vera o piena realtà è simile a quella
del linguaggio; percetto e significato, cioè, sono uniti dal
principio. Fintanto che il linguaggio non viene usato in
modo interamente meccanico, esso ritiene il carattere
della prima realtà. In altre parole, il suo aspetto
percettivo funziona come un segno; significa qualcosa.
Non appena questa realtà viene persa, comunque,
questa unità si disintegra nelle separate funzioni di
percezione e pensiero, le quali hanno avuto origine nel
linguaggio. Solo in questo modo possiamo divenire esseri
indipendenti, liberi; nella sfera del pensiero possiamo
trovare questa indipendenza.
Il mondo percettivo non è più un mondo di segni ma
diviene un mondo di oggetti, e diventa quindi discutibile
ed enigmatico per il pensiero. Il mondo percettivo
ritiene comunque per noi la sua sensazione di realtà, e
siamo quindi portati a crederlo nella sua piena e
completa realtà. Non ci rendiamo conto che questo
mondo percettivo ci è dato già intessuto di concetti,
anche se, insufficientemente, non coprono tutto il dato;
ecco perché per il pensiero questo è un problema da
risolvere. Il dato che ci è stato dato senza domande
esisteva già prima che ci fosse la nostra cognizione,
prima del nostro atto cosciente di cognizione.
4 – Il Linguaggio della Realtà 109
La seconda realtà è necessariamente insoddisfacente,
nonostante le promesse della tecnologia – che è basata
su questa immagine della realtà – di risolvere tutti i
problemi. Da un lato questa realtà è insoddisfacente in
parte perché non possiamo trovare le idee creazionali o
concetti funzionali nei fenomeni naturali – questi
possono essere raggiunti solo in piani superiori della
coscienza. Da un altro lato, non possiamo ritenerci
soddisfatti della cognizione e del cognizzante se non
focalizziamo la nostra attenzione sulle stesse funzioni
cognitive della coscienza, piuttosto che su ciò che è,
spesso scambiato per, il loro meccanismo. Come la
scienza dello spirito ci ha mostrato alla fine del secolo
scorso, in quanto persone moderne possiamo, ed infatti
per necessità dobbiamo, voltare la nostra attenzione in
questa direzione. La scienza dello spirito inoltre ci ha in
seguito presentato i dettagli e la metodologia per questa
nuova direzione della nostra attenzione, ma ad oggi le
persone li hanno a mala pena compresi e tanto meno
messi in pratica. Ciò nonostante non ci può essere alcun
dubbio che possiamo raggiungere la vera realtà solo
innalzando la nostra coscienza in entrambe le direzioni
della nostra vita cognitiva – formando cioè nel nostro
“pensare”, vivere, sentire e volere, delle idee che ci
permettono di percepire e leggere il mondo percettivo
come regno di segni. La vera realtà quindi verrà tramite
noi attuata, e sarà propriamente nostra. Discuteremo i
110
requisiti e le capacità necessarie per ottenere questa
terza figura della realtà nei capitoli 8 e 9.
Per superare il dualismo consciamente dobbiamo
praticare esercizi di coscienza che lo neutralizzino alla
sorgente nel collegare temporaneamente[con un ponte]
l’abisso che separa i due piani di coscienza che sono stati
sopra indicati. Ciò risolve anche l’enigma sul come, in
quanto individui liberi, possiamo creare qualcosa di
universale nella nostra cognizione e nelle attività su di
essa basate. Qui pure, il fenomeno del linguaggio ci può
servire come “modello” per fornirci nuove intuizioni.
Dopo tutto ognuno di noi utilizza il linguaggio in
maniera altamente individuale ed unica, ma il
linguaggio è ancora un fenomeno della comunità; è da
tutti condiviso e il suo contenuto è universale.
5 – Il Carattere della Realtà Percettiva 111
*
Vedi nota 22.
5 – Il Carattere della Realtà Percettiva 135
altre qualità in aggiunta ai dodici sensi che sono in
seguito scomparse, ossia, le transizioni tra questi sensi. I
sensi che successivamente sono divenuti sensi superiori,
come il senso per l’Io (di un altra persona) o il senso per i
concetti, sono attivi interiormente ai sensi medi e bassi.
Come risultato, la percezione è ripiena di idee, e pertiene
ad esseri. Non è naturalmente “ripiena di idee” nel
moderno senso della frase; piuttosto possiamo trovare
una reminiscenza di questa condizione nell’attività
artistica.
Anche se i sensi si sono in seguito separati, essi ancora
lavorano assieme, ognuno di essi convoglia il “materiale
grezzo” verso l’alto, al successivo senso superiore ed
infine al senso-per-l’Io. Ciò spiega i caratteristici della
scienza antica. Con l’ulteriore sviluppo della coscienza,
comunque, i sensi cessano di lavorare assieme, ed
ognuno di essi ora rimane, anzitutto, senza alcuna
definita direzione.
D’allora in poi, un impulso che non necessitiamo
descrivere qui in dettaglio, ci conduce ad una tendenza a
spiegare ogni cosa dal basso, per effetti meccanici.
Questa tendenza chiede tipicamente “di che cosa è fatto
questo?” o “che cos’è che lo causa?” Questo volgere del
nostro sguardo verso le cose rivela una volere ostile al
mondo. Analogamente, la persona che pensa o che
percepisce ha l’inclinazione a ridurre le capacità e
conquiste spirituali umane a cause fisiche e fisiologiche.
Le idee più alte (e l’idealità come tale) vengono rifiutate,
136
anche se continuano, ciononostante, ad essere forze
attive, poderose. Ora comunque, queste sono forzate ad
esercitare la loro influenza in metamorfosi nelle
profondità della parte subconscia dell’anima. Possiamo
vedere ciò nel sentimento di realtà, che è
inseparabilmente connesso con l’atto di percezione.
Riguardo ai sensi si può dire che, visto che le idee
superiori non vengono “comprese” o assimilate dai sensi
superiori, esse si rivolgono ai sensi medi o superiori,
lasciando su di essi una ”impressione”. Come questa
“pressione” viene passata attraverso i gradini della scala
dei sensi, essa diviene sempre più materiale e rassomiglia
crescentemente all’impressione del tocco fisico. Quando
questa “pressione” raggiunge i sensi più bassi, in
particolare il senso del tatto, ecco apparire la tipica
sensazione di realtà.
Nondimeno, i sensi più bassi partecipano lievemente ad
ogni percezione sensoria; infatti tutti i sensi sono sempre
coinvolti nella percezione, anche se uno di essi è
certamente predominate. Per esempio, quando non
comprendiamo il nostro partner in una conversazione,
sentiamo solo parole, la sua voce. In altre parole, il
percetto inizia a discendere la scala dei sensi.
Similmente, le persone che non possono leggere vedono
solo le forme nere delle lettere in una pagina bianca.
Il potere di queste idee della natura non solo ci dà il
senso della realtà, ma in primo luogo ci permette anche
di percepire. Queste idee volitive, senzienti e viventi
5 – Il Carattere della Realtà Percettiva 137
creano forme di volontà, sensazione e vita – cioè, i regni
minerale, animale e vegetale – e sono attive al loro
interno. La nostra attenzione si può unire con queste
idee; comunque, di solito siamo coscienti solo di quella
parte di un incontro che è stata soggiogata per via dei
suoi effetti fisici e psicologici. Oggi i nostri sensi
funzionano solo quando sono interessati dall’influenza
fisico-minerale della natura e in questo modo assistono
la nostra attenzione. Possiamo quindi descrivere come
segue la quota di attenzione nella percezione: ”La
percezione è il limite dove i nostri pensieri toccano i
pensieri creativi esterni”.
Il nostro pensiero ordinario, che fa parte del piano del
passato, ci porta al limite del percepibile, che è vivo e
che quindi non può venir compreso dal nostro pensiero.
La percezione, quindi, ha inizio nel punto oltre al quale
il pensiero non può penetrare il creativo – arrestato –
pensiero cosmico.
Quindi possiamo pensare alla percezione come una
continua intuizione, per la quale i sensi tengono aperta
l’entrata. La parte della percezione che non viene
compresa diviene ciò che è percepibile; essa è
percepibilità stessa. In altre parole, ci accostiamo al
mondo percettivo come ad una frase meditativa che
viene letta solo per il suo contenuto informativo. Il suo
significato superiore rimane quindi nascosto, perché non
emerge a meno che l’attività della nostra coscienza non
138
complementi la parte percettibile della frase all’
appropriato livello.
Nel processo di percezione, questo superiore significato
appare come una figura incomprensibile al pensiero
ordinario – appare come un percetto. Siccome non viene
compresa, questa figura è intessuta di concetti superiori;
dopotutto, essa consiste di qualità sensorie. Comunque,
questi concetti che permeano la figura sono impensabili
per il piano del passato della nostra coscienza. Non sono
sufficienti a comprendere il significato dei fenomeni
della natura. Possiamo tentare di lasciar questo
significato far presa su di noi tramite la meditazione
percettiva o la pura percezione.
Più scendiamo la scala dei sensi, più povero sarà il
campo sensorio nei concetti nominati. Per esempio, in
Tedesco abbiamo sette colori per il senso della vista, tre
o quattro parole per descrivere le impressioni del gusto,
ma nemmeno una per il senso dell’olfatto. La ragione di
ciò è che questi ultimi sensi vengono indirizzati da idee
molto alte che non entrano la nostra riflessa coscienza.
Lo sviluppo spirituale cosciente darà a questi sensi
particolare significato.
I concetti che appartengono ai sensi sono di potere
crescente più in giù scendiamo nella gerarchia dei sensi.
Il significato superiore partecipa debolmente, e di solito
inosservato, in ogni atto di umana percezione.
Comprensibilmente quindi, il senso del tatto, che
trasmette alla coscienza ordinaria il minor importo di
5 – Il Carattere della Realtà Percettiva 139
informazioni riguardo il percetto, ci irradia nell’anima di
un senso di pienezza del sentimento per Dio – “la
sensazione di essere ripieni di essenza in quanto tale”.
E’ la metamorfosi delle idee creazionali che causano
l’ordinaria sensazione del tatto, mentre la qualità
immutata risuona debolmente nella sfera superiore
dell’anima. Ciò vale per tutti i sensi: ciò che trasmettono
alla coscienza è sempre accompagnato – come in un tono
armonico – da una qualità superiore, inizialmente
incomprensibile.
7 – Auto-Senzienza
9 – Meditazione
10 – Meditazione Percettiva
“Friabile eternità”
“Sei preparato?”
Epilogo