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Logos e Struttura

del Mondo
Il Linguaggio come Modello di Realtà

Un libro di
Georg Kühlewind
2

Considerazioni del traduttore ........................................ 4


Note di traduzione ................................................... 6

Prefazione alla versione inglese ................................... 10


Introduzione .................................................................. 17
Preludio ........................................................................ 25
1 – I Quesiti ................................................................... 27
2 – Il Dato ..................................................................... 30
La Riflessione sulla Coscienza .................................. 30
Considerazioni epistemologiche sul Dato .................. 31
Esaminazione del Dato dalla Prospettiva della
Psicologia Cognitiva .................................................. 34
Osservazione delle Funzioni Date della Coscienza ..... 36
Riguardo ai Concetti ................................................ 41
Il Dato e l’Attività dei Sensi: Istruzioni dei Sensi ...... 50

3 – Prima strutturazione del Dato ................................ 61


Formulazione della Domanda .................................. 63
La struttura del Trovato, o Dato .............................. 63
Pedagogia del Linguaggio ........................................ 67
La prima Strutturazione del Dato ............................ 71

4 – Il Linguaggio della Realtà ....................................... 79


La Prima Realtà – Il Primo Linguaggio ................... 83
Considerazioni del traduttore 3

La Transizione al Domandare .................................. 90


La Seconda Realtà ................................................... 98
La Terza Realtà ..................................................... 108
5 – Il Carattere della Realtà Percettiva ....................... 111
La Sensazione di Realtà – Osservazioni .................. 111
Il funzionamento dei Sensi Umani ......................... 124
La Sorte delle Idee Superiori ................................... 127
Il carattere Similparola della Natura ...................... 139
6 – Lo Sviluppo della Coscienza-Io .............................. 141
7 – Auto-Senzienza...................................................... 147
8 – Cambiamenti nel Dato ............................................ 151
9 – Meditazione ........................................................... 167
10 – Meditazione Percettiva ........................................ 175
Epilogo ......................................................................... 187
4

Considerazioni del traduttore

Di solito non leggo mai le introduzioni dei libri presentate


da una terza persona, preferisco vedere direttamente come
l’autore mi coinvolge fin dal principio. Se come me, il lettore
non supporta alcun medium, lo consiglio di imitarmi e di
tuffarsi direttamente nell’Introduzione di Georg Kühlewind
per questo intenso libro. Se invece al lettore piacciono le
prospettive, quanto segue potrà essergli utile.
Il carattere del pensiero e dell’esposizione di questo libro è
epistemologico. Molte opere del “Maestro dei nuovi
tempi”(Rudolf Steiner) hanno carattere simile, prima fra
tutte la “Filosofia della Libertà”. Questo tipo di esposizione
è fondamentale per il lettore con background matematico
scientifico, in quanto cerca di fornire il più possibile una
struttura certa, simile a quella matematica, che è richiesta alla
tipica mente scientifica, o moderna. Ciò include e necessita
lo sviluppo di una certa fluidità mentale capace di muoversi
tra immagini tenendo allo stesso tempo sotto controllo
l’insieme su cui ci si muove, diversamente dalla tipica lettura
sequenziale della macchina. La chiave di lettura deve
orientarsi alla comprensione di idee basata sull’osservazione,
non alla classica esposizione storica dei romanzi, o dei libri
informativi.
La corretta epistemologia cerca quindi di fornire
spiegazioni comprensibili per i processi più sottili,
considerando tutte le minime parti. Come esempio adiacente
si possono menzionare altre ipotetiche minime parti: gli
Considerazioni del traduttore 5
atomi. Ipotetiche perché degli atomi non abbiamo la stessa
diretta esperienza, meno ipotetica e meno astratta, che
abbiamo delle minime parti. L’atomo è utile per descrivere la
materia, ma ugualmente possiamo parlare di “minime parti”
della materia, senza dare una connotazione scientifica non
necessaria. Quindi il carattere scientifico indicato non
riguarda molto il sapere scientifico, ma solo la modalità, che
dovrebbe risultare chiara a chiunque si consideri un uomo
moderno. Già a partire dalle prime righe dell’introduzione
l’autore chiarisce quali ostacoli possono impedire questa
comprensione.
In questo modo, senza che vengano cercati in congetture
mentali che mancano carattere convincente, i collegamenti
concettuali risultano da soli. Sono la semplice conseguenza
di una accurata osservazione, obiettiva, impersonale,
responsabile. Questo è anche l’obiettivo della filosofia
antroposofica: che l’individuo si convinca da solo. Ciò può
succedere solo se il lettore cerca una verifica degli argomenti
in qualsiasi esperienza mondana in qualche modo relativa. Se
ciò non fosse il caso, la lettura di questo libro mancherebbe
dello scopo che si prefigge e non sarebbe possibile seguirlo
molto ancora. Tutte le opere di Kühlewind sono delle
coerenti conferme di questo stesso trattato, e saranno quindi
utili a chi desidera approfondire queste idee.
Il lettore dovrebbe dunque procedere in questo modo
focalizzandosi su quelle che sono le domande più urgenti
che lo possano portare ad una comprensione sempre più
concentrata, unificata e quindi semplificata di tutti gli
argomenti del libro; cioè quelle domande riguardanti il libro
che sono più simili, o più vicine a quelle riguardanti qualsiasi
6
altra cosa. In questo senso, porsi domande efficaci è
fondamentale per perseguire questo obiettivo; dedicare
qualche minuto a questo scopo in ambito meditativo può
rivelarsi proficuo, come lo è per qualsiasi altro libro di
questo tipo. Se queste domande non trovano collegamento
nella vita di ogni giorno, allora si può presupporre che il
libro non serva a molto, ma se troviamo questo tipo di
collegamenti possiamo allora dire di essere sulla buona
strada, e probabilmente continuare ad approfondire questo
libro fa parte di questa strada.

Note di traduzione
Questa è una traduzione all’italiano del libro “The Logos
Structure of the World”, versione inglese del traduttore
filosofo Friedemann Schwarzkopf, che l’ha tradotta dal
tedesco in stretta collaborazione con l’autore. In questo
contesto, la traduzione inglese di Schwarzkopf potrebbe
essere stata una ridefinizione, oltre che una revisione assieme
a Kühlewind, del suo stesso libro.
Specifiche parole tradotte da una lingua all’altra, pur
mostrando forma simile, spesso assumono significati
differenti o lievemente differenti. Per questo motivo, a mia
discrezione, utilizzo spesso due parole differenti che
puntano allo stesso concetto superiore, per cercare di
ovviare ad una certa staticità a cui le parole comuni possono
portare. Ad esempio l’inglese “feeling” potrà essere trovato
nel testo tradotto come “sensazione” o come “sentimento”,
a seconda di come le ho ritenute più opportune nel loro
contesto. Il lettore sagace può comprendere o meno la
Considerazioni del traduttore 7
differenza in cui queste parole possono essere utilizzate,
creandosi concetti più precisi del loro significato o ritenendo
ininfluente la distinzione.
La parola inglese “given” ha significato più specifico della
corrispondente parola italiana “dato”, spesso ripetuta nel
testo. Infatti in italiano utilizziamo “dato” sia come
participio passato del verbo “dare”, sia come unità singola di
informazione a priori. L’inglese di questo secondo
significato è infatti diverso da “given”: “datum”. Il “dato”
spesso utilizzato da Kühlewind quindi ha più la forma del
participio passato oggettivato, in modo da indicare la data
totalità.
La parola “cognizione” è utilizzata nell’originale inglese in
sue forme irregolari di verbo e di soggetto-oggetto non
esistenti nei vocabolari, né in quello inglese, né in quello
italiano. In una traduzione italiana della Filosofia della Libertà
di Rudolf Steiner, il verbo “conoscere” è utilizzato molto più
spesso del verbo “cogniz-zare”. E’ da comprendere però che
la conoscenza può essere vista come una conseguenza della
cognizione, e quindi il significato specifico a cui spesso
l’autore vuol fare riferimento rende meglio utilizzando
parole con la radice “cogniz-“. Per dare una spiegazione di
questa scelta nei termini epistemologici comprensibili anche
attraverso questo libro, è possibile capire come la consueta
definizione della parola “cognizione” sia considerata come
evento dato, già passato, che non diamo noi stessi come
attività, quando invece, ad un piano di coscienza più vicino
al presente, la cognizione si rivela non-data, e quindi da
darsi, come libera facoltà dell’Io. In questo ultimo caso essa
può divenire un verbo con le sue nuove coniugazioni.
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La parola inglese “insight” avrebbe la traduzione letterale di
“visione all’interno”, ma viene spesso utilizzata nel testo con
la singola parola “intuizione”, e a volte con “illuminazione”.
Anche qui il lettore può notare il limite del traduttore nel
cercare di mantener coerente fede al testo originale.
“Intuizione” può quindi essere trovato nel suo significato
inglese di “insight” come enuncia il dizionario inglese
Collins: 1)La capacità di percepire chiaramente e
profondamente; 2)Una penetrazione e una spesso
improvvisa comprensione, come per un problema o
complessa situazione; 3)psicologia: a)la capacità di
comprendere i processi mentali propri o di un altro;
b)l’immediata comprensione del significato di un evento o
azione. In italiano il termine “intuizione” si può utilizzare sia
per indicare la capacità intuitiva che per il risultato
dell’esercizio di questa capacità. Questo secondo significato
è quello che è più vicino al termine inglese “insight”, che
così utilizzato indica una elaborazione più intima e intensa
rispetto a una singola operazione intuitiva.
La parola inglese “gap” può prendere diverse traduzioni a
seconda del contesto: vuoto, spacco, intervallo, buco,
interruzione.
Il concetto “pensiero” può prendere varie forme. Quando
è visto come “pensare” sta ad indicare l’attività che ci
coinvolge, senza la quale non c’è una produzione di
“pensiero”. Mentre però la parola plurale “pensieri” ci invita
ad osservare le singole istanze (riflesse, date) prodotte dal
“pensare”, l’italiano “pensiero” può riferirsi sia ad una
singola istanza, che all’attività stessa del “pensare”. Ho
evitato di utilizzare “pensiero” in questa ultima forma
Considerazioni del traduttore 9
italiana quando può far mancare la distinzione.
Approfondimenti riguardanti queste distinzioni di pensiero
possono essere ricercati in molte delle, se non in tutte le
opere di Massimo Scaligero, il cui stesso contributo può
essere ritrovato tra le righe che seguono.

Fedelmente, Lonblu
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Prefazione alla versione inglese

L’opera di Georg Kühlewind, Del Logos che Struttura il


Mondo, può essere considerata una continuazione
epistemologica del suo lavoro precedente, La Presenza del
Logos – che è stata scritta in un linguaggio teologico e
filosofico appropriato al Nuovo Testamento e, soprattutto al
Vangelo di San Giovanni.
Il Logos che Struttura è un altro tentativo di Kühlewind di
descrivere la sua intuizione fondamentale – circa la natura
della parola –ritrovabile nei suoi lavori come un filo che li
connette tutti, fino a, ed inclusa la sua più recente
pubblicazione Der Sprechende Mensch (L’uomo Parlante).
Per Kühlewind, la parola è la chiave che ci permette di
decifrare due enigmi: l’enigma del “geroglifico” dell’essere
umano in relazione alle sue origini spirituali (che è il soggetto
del libro La Presenza del Logos), e l’enigma dell’essere umano
in relazione alla natura, il nostro fondamento fisico,
l’ambiente naturale. Questo è il soggetto Del Logos che
Struttura il Mondo.
La caratteristica principale della parola è la sua duplicità,
l’interiore e l’esteriore. Per la percezione sensoria – sentire o
vedere – una parola appare in suoni e lettere distinte. Questi
suoni e lettere vengono interpretate come segni se noi, come
percettori, afferriamo che posseggono un loro proprio
significato – anche se non comprendiamo immediatamente
quel significato. Come esseri umani, abbiamo la capacità di
Prefazione alla versione inglese 11
abbracciare, come fossero uno, questi due aspetti – suoni o
lettere e significato.
In relazione alla nostra sorgente spirituale (il primo
enigma), possiamo considerare come un segno la luce della
nostra propria auto-consapevolezza. Ma se la luce della
nostra auto-consapevolezza è per noi un “segno”, questo
segno deve dunque avere un “locutore”, come ogni parola ne
ha uno. Non appena ci domandiamo di questo locutore,
comunque, abbiamo già afferrato intuitivamente che ci
potrebbe essere una risposta alla nostra domanda.
Questo atto di domandare è la prima manifestazione della
facoltà umana del dare e del comprendere un significato. Il
significato è l’aspetto interiore della parola, il suo lato
interiore. Nel rivolgerci a colui che chiede e prova a
rispondere le domande, scorgiamo il nostro proprio Io.
Dov’è che questo Io ha origine?
La questione dell’origine dell’Io è il gesto fondamentale
della riflessione cosciente (in Tedesco, Besinnung). Chi è a
testimoniare la presenza del mio proprio sguardo? La
risposta è – l’IO-SONO (che è il testimone eterno)
testimonia la presenza dello sguardo del mio proprio Io. IO
ed IO-SONO sono fenomeni che possono essere
considerati simili a come lo è una parola – manifestazione e
significato. La parola Greca logos sta proprio a significare
questa duplice proprietà. Infatti, considerando l’abilità
umana per la riflessione cosciente siamo così portati alla
natura della parola, e cioè, al Logos che era in principio,
come ha scritto San Giovanni l’Evangelista.
In relazione al secondo enigma – il mondo naturale dato,
percepibile ai sensi – questa stessa attività di riflessione
12
cosciente è presente nella primissima domanda, Che cos’è
quello? Anche qui l’attività del domandare è un segno per
l’intuizione che “quello” ha un significato. Segno esteriore
ed interiore significato costituiscono nuovamente ciò che si
può chiamare “parola”. Quindi pure il mondo della natura
percepibile ai sensi è da considerare come un testo,
consistente in parole che potrebbero avere un autore, lo
stesso Logos che era “in principio”.
Epistemologicamente, Kühlewind giustifica il suo
approccio nel mettere in evidenza che ogni “dato” – ovvero,
ogni distinguibile fenomeno percepibile ai sensi – viene
identificato non appena la coscienza dice: “quello”. Fintanto
che si dice “quello”, si vuol dire [o significare] qualcosa. Si può
comunicare con altri esseri umani nell’accordarsi con ciò che
si vuol dire con “quello” – un albero in quanto legno da
costruzione, legna da ardere, carta, o pianta; un albero in
quanto essenza specifica di una “specie”, o perfino un albero
come parola di congiunzione linguistica, come un “e” – nel
qual caso un albero viene visto come fenomeno percepibile-
ai-sensi in un processo vitale tra centro e periferia, tra forze
centrali e periferiche, terra e cielo.
Kühlewind mostra che tanto addietro quanto possiamo
tracciare l’evoluzione del linguaggio, le parole hanno
continuamente cambiato il loro significato. E mostra inoltre
che, con questo cambiamento nel significato delle parole, in
modo simile cambia anche la comprensione con la quale le
comunità umane concordano sul modo di strutturare il dato
“quello” della natura. Può anche essere mostrato che nel
corso dell’evoluzione del linguaggio, il significato si è
continuamente ristretto – da un universale significato di
Prefazione alla versione inglese 13
“albero” come manifestazione di una forza vitale, alla
moderna concezione di un albero come trave, carburante o
cellulosa (ridotto a strutture molecolari e codice DNA). La
struttura che può essere trovata in ogni periodo evolutivo di
un linguaggio rispecchia quindi precisamente il significato
condiviso dalla comunità umana che viveva a quel tempo.
Tale significato oggi viene chiamato una “visione
prevalente” o “paradigma”.
A questo punto nasce la questione dell’origine della lingua.
Quale intuizione primaria ha avuto luogo nell’originario
sorgere di una tale “visione condivisa” o paradigma di realtà?
Questa domanda conduce allo stesso confine dell’obiettivo
centrale riguardante la natura della parola.
Il linguaggio è un fenomeno archetipo della coscienza. Un
“fenomeno archetipo” presenta come tutt’uno un significato
interiore e delle manifestazioni percepibili. Se possiamo
scoprire il modo in cui le comunità umane strutturano la
realtà, danno significati differenti a ciò che considerano
come “realtà”, possiamo allora iniziare ad avere esperienza
del mondo del Logos. La “Realtà” è il segno esteriore per
una comprensione interiore condivisa da una comunità
umana. In questo senso, il linguaggio può essere considerato
un modello di realtà.
Comprendere il linguaggio come modello di realtà permette
di vedere le metamorfosi delle strutture linguistiche come
rappresentazione dell’evoluzione della coscienza. Allo stesso
tempo, questa comprensione della relazione tra linguaggio e
realtà ci abilita a considerare tutti gli aspetti della natura
come un integrato insieme, com’era il caso per l’umanità
antica.
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Da quest’intuizione, il compito dell’umanità moderna nasce
naturalmente – quello di trovare un modo nuovo per
integrare la natura, non per nostro conforto o per nostro
consumo, ma come un testo che ha qualcosa da comunicare
e che ha un autore. Se, nel tentare di decifrare questo testo,
ci sentiamo da esso affidati, un nuovo senso di creazione
può apparire – creazione come significato di un dialogo tra
inizio e fine.
Nell’aiutarci ad avvicinarci a questo compito, Kühlewind
termina questo libro con un suggerimento – che educhiamo
la nostra percezione. Egli propone che coltiviamo una
senziente percezione analoga al sentimento di evidenza che
guida ogni intuitivo pensare ed è sempre il giudice ultimo
della correttezza e verità di un’affermazione. In questo
“sentito” modo di vedere, gli elementi della natura vengono
integrati in un contesto superiore, allo stesso modo in cui un
agglomerato di singole lettere dev’essere integrato per essere
visto come parola, e come una serie di parole dev’essere
integrata per essere letta come frase esprimente un singolo
significato.
L’approccio di Kühlewind può essere visto come
un’evoluzione dell’intuizione di Goethe nel vedere la natura
come un testo. Scrisse Goethe: “Ma se trattassi quelle crepe
e fessure come lettere, e provassi a decifrarle e assemblarle
in parole, e imparare a leggerle, avreste qualcosa da
obiettare?”
Ciò che fu un salto intuitivo per Goethe può diventare uno
spiegarsi sistematico delle nostre facoltà. Allo stesso modo
in cui un libro non avrebbe senso se la carta e l’inchiostro
venissero identificati solo chimicamente, e quindi le forme
Prefazione alla versione inglese 15
delle lettere venissero analizzate in termini di geometria
analitica, così pure, gli elementi della natura vengono
integrati non solo in sistematici cicli ecologici ma anche
come un organismo la cui esistenza esprime il suo proprio
senso. Ciò corrisponde ad una comprensione interiore che fa
della parola un significato. Quindi i fenomeni della natura
vengono considerati sia come appaiono che come espressione
di un “significato” – significato non nel senso utilitarista della
quotidiana coscienza, ma come spontanea intenzionalità che
rivela la sua personalità per mezzo di qualità nelle quali
appare quando presenta le infinite possibilità delle sue leggi
superiori – che sono anche manifestazioni di una tale
“parlante” intenzionalità.
Ecco il motivo per cui viene coltivata questa sentita
percezione. In quanto, nel sentimento, l’osservatore risuona
percettivamente con la cosciente, pensante presa del
percetto. E nel movimento della volontà attentiva nel
percepire, l’osservatore sperimenta la natura di ciò che una
sostanza era solita essere – “substantia” – non “materia”, ma
una gerarchia spirituale, come può ancora essere visto nel
linguaggio della Divina Commedia di Dante. Quindi il
percettore sperimenta nella volontà percettiva la forza con la
quale la complessità della natura manifesta sé stessa.
Qui viene sentita la realtà dell’essere. E quindi la percezione
sentita diviene mediatrice tra la nostra concezione pensante
e l’effettiva intenzionalità della realtà naturale.
Nelle parole di Aquino:
"Res naturalis, inter duos intellectus constituta."
(L’oggetto della natura si costituisce tra due intelletti.)
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In questo stesso spirito Kühlewind apre la sua Struttura del
Logos con un’altra quotazione di Aquino: ”La realtà delle
cose è la loro luce…”

Friedemann-Eckart Schwarzkopf
Introduzione 17

Introduzione

Questo libro intende mostrare che il mondo, inclusi gli


esseri umani e la loro coscienza, non è originariamente
un mondo di cose, ma un mondo di parole; che
fondamentalmente, è strutturato come un testo e può
quindi essere letto come un testo.
Questo obiettivo rende l’esposizione difficile, in quanto
persino la più semplice affermazione (ad es.: “i mirtilli
hanno già iniziato a maturare”) spezza qualcosa che è
simultaneo, unificato, e connesso in parole che appaiono
una dopo l’altra ed una a fianco all’altra. Le faccende
della coscienza – ad esempio, i problemi linguistici –
sono anche più difficili da comunicare, dal momento che
molte, se non tutte le domande, appaiono
simultaneamente e necessitano di risposte immediate.
Questa opera quindi fa uso di, e presenta
continuamente al lettore, tre discipline scientifiche che
trattano della coscienza: l’epistemologia (la teoria della
cognizione), la psicologia cognitiva (psicologia della
cognizione) e la linguistica. I principi di quest’ultima
saranno probabilmente poco familiari persino ai lettori
interessati alla scienza dello spirito. I semi di queste
discipline potranno comunque essere trovati nelle opere
di Rudolf Steiner, ed io stesso li ho argomentati in modo
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più o meno esauriente, come ad esempio nella Vita
dell’Anima, ed anche in altre opere.
L’approccio epistemologico cerca di riprendere ciò che
è stato dato da Rudolf Steiner, ma in maniera più
differenziata, appropriata a domande poste al giorno
d’oggi. I lettori potranno trovare comunque, che il
problema più grosso potrebbe stare nella inconsueta
combinazione di queste tre discipline.
Questo è il motivo per il quale i problemi non vengono
presentati linearmente. Invece, la linea di pensiero
procede per cicli e spirali, passando ripetutamente su
certi temi, in modo da rendere giustizia a svariati punti
di vista. L’intero libro è una singola affermazione.
Quindi i lettori dovranno pazientare di averlo letto fino
alla fine. Molto di ciò che non viene discusso, o discusso
insufficientemente, verrà via via spiegato in sezioni
successive, ed in finale attraverso l’intero insieme.
Questa è, in ogni caso, l’intenzione o la meta.
Il nostro metodo sarà principalmente quello di
indirizzare l’attenzione del lettore ai fenomeni della
coscienza che vengono normalmente ignorati e lasciati
sfuggire. La proposizione radicale che possiamo
percepire solo i fenomeni per i quali abbiamo dei
concetti o delle idee, o per i quali tali concetti e tali idee
possono essere sviluppati nel corso dell’osservazione – è
senza riserve valida per l’osservazione della coscienza.
Tale osservazione inizia con la coscienza di ogni giorno.
In questa opera tentiamo di presentare i risultati di una
Introduzione 19
ricerca che ha fatto uso di altri piani di coscienza, in
termini degli effetti di questi altri piani di coscienza su
fenomeni del tutto osservabili e su funzioni della
coscienza usuale. I lettori dovrebbero non associare
alcuna preconcetta nozione o rappresentazione con i
termini qui utilizzati, ma invece formare concetti e idee
ex novo sulla base del testo.
Lo scopo metodologico di un tale studio non può essere
quello di comunicare conoscenza o teorie; cerca
piuttosto di stimolare la partecipazione del lettore nel
movimento di pensiero così che il lettore possa arrivare
alle intuizioni necessarie per comprendere il testo. Solo
in questo modo può essere sperimentata la vita del
mondo e della coscienza.
La precondizione per ogni empirismo della coscienza è
che l’osservatore stia ad un livello di coscienza più alto
dell’oggetto dell’osservazione; diversamente conclusioni
inaffidabili e speculazioni fluirebbero inevitabilmente
nell’osservazione. L’osservazione deve procedere dal
livello nel quale incontriamo il mondo di per sé evidente.
Solo allora l’attenzione osservante, diretta ai processi
precognitivi preconsci e consci, diviene attendibile.
Il primo passo nel processo di osservazione sta nel
distinguere tra la cognizione cosciente – guidata dal
domandare – e l’immagine data, che è l’oggetto di
investigazione e proviene dalla precedente, non-
cosciente cognizione. Una ulteriore distinzione è volta a
discriminare tra i piani del presente e del passato nella
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coscienza – per esempio, distinguendo tra l’attività di
pensiero ed i (già passati) pensieri che sono risultati da
questa attività. L’osservazione inoltre, rivela la natura
super-cosciente dei processi cognitivi intuitivi,
sperimentati al livello del presente, come abilità o
capacità. Allo stesso momento, diveniamo consapevoli
degli impulsi derivanti dalla sfera animica
dell’abitudine, il subconscio. Ciò ci permette di
distinguere tra intuizioni ed associazioni.
E’ parimenti importante che comprendiamo
pienamente la differenza tra percezione e
rappresentazione mentale. Per via della sua
immediatezza, la percezione appare esistente qui ed ora.
Una immagine mentale o rappresentazione,
diversamente, appare come una memoria. L’esistenziale,
la qualità qui-ed-ora del mondo percettivo, può essere
spiegato solo se prendiamo in considerazione la
differenza tra concetti che si riferiscono a fenomeni
naturali e quelli che si riferiscono a prodotti di pura
attività della coscienza umana.
I concetti prodotti da esseri umani sono chiari e
trasparenti (per esempio, concetti matematici e
geometrici o quelli di prodotti artigianali ed artificiali). I
“concetti” che si riferiscono alla natura, diversamente,
sembrano dapprima essere dei nomi, immagini mentali,
o concetti collettivi formati in base alle caratteristiche
esterne dei fenomeni naturali. Tali idee costituenti sono
impensabili ed inconcepibili alla normale comprensione.
Introduzione 21
Possenti idee stanno dietro ai fenomeni naturali – non
qualcosa non-ideale, come credono ingenui pensatori.
Proprio questo è ciò che dà alla percezione la sua qualità
esistenziale, visto che noi stessi, dopotutto, siamo
ancora aperti a queste idee. Sconfessare o lasciarsi
fuggire questa qualità essenziale è una aberrazione
teorica dovuta ad imprecisa osservazione. E’ la forma
complementare “introversa” dello stesso errore la cui
forma “estroversa” vediamo nella focalizzazione del
materialismo diretta all’esterno.
La struttura discontinua del mondo concettuale
produce la struttura del mondo percettivo. Entrambe le
strutture sono date dal linguaggio. Il linguaggio solleva i
concetti basilari esternamente a ciò che è direttamente
dato. Questa è una delle ragioni per cui il similparola,
piuttosto che l’Idea, gioca il ruolo centrale nei seguenti
capitoli. Poiché appaiono in parte nel mondo percepibile
ai sensi, ed anche vivono parzialmente celate come una
attività della coscienza, le parole dell’uomo possono
servire da modello, sia per gli esseri umani, che per il
mondo percepibile ai sensi. Come le parole stesse,
entrambe le strutture ricevono il loro significato, la loro
parte nascosta, dagli esseri umani.
La parola è la forma dell’idea tramite cui appare la
relazione della parola con un Io. L’arco di vita della
parola in un essere umano conduce, dal linguaggio dato
(ed il pensiero ad esso vincolato), per via del pensiero
22
astratto indipendente dal linguaggio, al pensiero
meditativo, anch’esso indipendente dal linguaggio.
Il pensare meditativo cerca di comprendere le parole
nel loro primo ed originale significato e di rimanere
interno a quella comprensione, o addirittura passare
oltre ad essa. Nel processo, si sviluppa un “pensare” che
è adeguato alle idee dei fenomeni naturali. La
compiutezza, ed infine la redenzione del dato testo della
natura, ha inizio nella meditazione percettiva.
La meditazione è la continuazione della creazione per
come essa è data. Se il linguaggio inizialmente struttura
la creazione in componenti, nella meditazione percettiva
leggiamo allora la creazione nuovamente insieme –
tramite l’accessibilità della superiore natura della
parola. E perciò il mondo riceve significato, come un
testo.
Per l’attento osservatore il mondo apparirà, in ogni
fase della vita cognitiva, essere strutturato dalla parola,
o Logos [Verbo]. Solo un essere-Io ha un “mondo”. E gli
esseri-Io hanno un mondo solo perché il mondo ha la
natura e struttura della parola, il Logos, che a sua volta
è accessibile solamente da esseri-Io. Nella prima epoca
della coscienza, quella della semplicità, il mondo è dato
agli esseri umani, come realtà. Percetto e concetto
vengono dati assieme; sono separati solo in una
successiva configurazione di coscienza. In questa prima
epoca quindi, anche la realtà strutturata dai concetti
forniti dal linguaggio viene data come intero unificato.
Introduzione 23
Nella seconda fase della coscienza – che in ultima
conduce all’emancipazione del pensiero dal linguaggio –
il mondo dato è strutturato da concetti afferrati da
esseri umani. Generalmente questi concetti sono
astratti, come quelli delle scienze naturali, o possono
essere idee più alte, meditative. In ogni caso, in questa
seconda realtà, percepire e pensare sono rigorosamente
separati; e la loro sintesi non più viene data, ma è
compiuta dagli esseri umani. Quindi questa seconda
realtà è anch’essa strutturata dal Logos; è strutturata
ed unificata tramite concetti.
Ciò riguarda anche il terzo, potenziale sviluppo della
coscienza, nel quale gli esseri umani realizzano il
carattere linguistico del mondo attraverso le loro libere
azioni. Il carattere linguistico della realtà della seconda
fase o epoca è più una questione di forma e non molto
evidente, in quanto le idee funzionali corrispondenti ai
fatti naturali non sono comprese; queste invece vengono
soppiantate dai surrogati concetti di misurabilità e
calcolabilità.
Dobbiamo ora imparare ad incontrare le idee più alte,
appropriate agli esseri umani e al mondo, conquistando
livelli di coscienza più alti. Simultaneamente dobbiamo
continuare a sviluppare le nostre capacità percettive
orientate alla lettura del libro della natura. Saremmo
quindi in grado di percepire segni o lettere in natura,
come in un testo parlato o scritto, piuttosto che vedere
solamente cose. Ciò ci condurrà alla completa o vera
24
realtà. Il significato della creazione – la parte nascosta
della creativa parola cosmica – era quello di aiutare
l’umanità a raggiungere questo punto di comprensione.
Il nuovo significato, la nuova realtà, sorge per via della
continuazione nostra della creazione.
E’ possibile sperimentare che i concetti e le idee sempre
sembrino servire – servono come concetti degli oggetti
che produciamo per le nostre scienze, servono come idee
culturali della nostra educazione, come idee artistiche
nel nostro stesso sviluppo, o come idee meditative per il
nostro sostanziale futuro. Che il futuro debba
continuamente essere creato – ed ora da noi stessi – è
un’antica saggezza. Ciò era già presagito e spiegato nei
linguaggi degli Indiani d’America. Ora questa antica
saggezza comincia a sorgere nuovamente in noi,
lentamente, muovendosi lungo percorsi evolutivi
pressoché catastrofici. Possa il calore amichevole della
parola, sempre basato sulla fiducia, innalzare questa
saggezza antica nella coscienza moderna.
Preludio 25

Preludio

Ogni teoria ed ogni scienza ha inizio con delle


domande. Queste nascono quando guardiamo qualcosa
due volte perché non siamo soddisfatti col primo
sguardo volto a ciò che abbiamo visto. Cioè, l’esistenza
di domande presume due sguardi differenti, due viste
differenti, la seconda delle quali è cosciente e deliberata.
Queste due viste differenti originano necessariamente da
due differenti possibilità della coscienza vedente, che
può essere a suo agio su due piani diversi.
La prima vista o figura di realtà ci è data, ed è già una
figura in quel momento, non una realtà, come spesso si
suppone. La realtà è il segreto ultimo e può essere
ottenuta solo per mezzo di un domandare cosciente. La
prima figura viene data per mezzo della struttura
supraconscia e subconscia dell’anima. Viene filtrata,
ottusa, ed immobilizzata per via della necessaria
dipendenza dall’organismo fisico del principio di
cognizione negli esseri umani. Come risultato, solo una
parte della totalità del mondo raggiunge l’esperienza
cosciente. Dal momento che il nostro domandare ed il
nostro rispondere divengono anch’essi parte di una
realtà, la realtà non è finita o fissa: essa fiorisce
all’interno e attraverso l’essere umano.
26
Il nostro domandare riguarda la figura data, la prima
vista. L’epistemologia ha a che fare con la domanda sul
come sorge questo “dato”. Le scienze hanno a che fare
con la domanda sul come completare, correggere e
capire la figura data. E la filosofia della scienza ha a che
fare con la domanda sul come sia possibile la scienza.
1 – I Quesiti 27

1 – I Quesiti

Ogni domanda nasce come una nuova domanda: sorge


in noi allo stesso modo in cui sorge una intuizione, la
risposta. Infatti, le domande sono già intuizioni, ma
incomplete. Le domande non possono avere sviluppo
dall’ingenuità; richiedono sempre dualità e dubbio: Che
cos’è quello? Quello viene scoperto, ma allo stesso
momento ci si rende conto che non era stato pienamente
compreso. E’ qui che giace il paradosso del porre quesiti:
che tanto così dev’essere saputo riguardo a ciò che è
dubbio (domandabile) e a ciò che può essere domandato.
Domandare e cognizzare presuppongono la possibilità
dell’errore – cioè, di libertà nel processo cognitivo –, e
presuppongono pure l’ulteriore capacità e libertà di
scoprire tali errori. Questo significa che ciò che cognizza
non può essere dipendente, o almeno non pienamente,
da ciò che è da cognizzare. Altrimenti il risultato del
conoscere (dell’attività cognitiva) sarebbe
predeterminato dall’influenza dell’oggetto di cognizione
sul sistema cognitivo. In questo caso, la mancanza di
una autorità indipendente renderebbe impossibile ogni
valutazione dei risultati della cognizione. Se il sistema
cognitivo fosse anche soggetto ad eventi fortuiti, allora
una e la stessa causa condurrebbe a risultati diversi. E
siccome non ci sarebbe alcuna autorità imparziale che
28
giudichi questi risultati, sarebbe impossibile trovare
quello “giusto” tra questi. In questo caso, sarebbe anche
impossibile determinare se la causa in questione sia
stata la stessa, in quanto non ci sarebbe alcun accesso
diretto alle cause oltre ai loro risultati.
A parte queste contraddizioni, il fenomeno della
riflessione cosciente – l’abilità della coscienza di
guardare sé stessa, osservarsi e descrivere le sue
osservazioni – non può essere spiegata tramite nessun
modello di input-output meccanicistico. Se la coscienza
dipendesse dalle influenze e dalle reazioni che queste
scatenano, essa non potrebbe guardare a sé stessa;
l’auto-osservazione non sarebbe possibile.
Nessun sistema meccanico può definire o descrivere il
suo proprio meccanismo mentre è attivo. Questo fatto
confuta tutte le teorie che non considerano – o perfino
negano – l’attività cognitiva indipendente da ogni
influenza, ovvero, la lettura del dato. Se la coscienza
umana fosse infatti costituita come queste teorie
sostengono essa sia, le teorie stesse non avrebbero
potuto nascere. La connessione tra coscienza e dato è
similparola ed ideale. La lettura di un testo non può
essere descritta come effetto del testo sul lettore.
Quando leggiamo un testo, solo il significato, il senso, e
la rilevanza del testo, fa ingresso nella coscienza, non la
carta o l’inchiostro della stampante.
I due livelli di coscienza – passato e presente –
necessari per porre domande sono insiti nella struttura
1 – I Quesiti 29
della moderna coscienza umana. Come conoscitori
[cognizzatori], siamo universali; nella nostra parte non
cognitiva comunque, siamo soggettivi. Siamo coscienti e
ci sentiamo in quella parte dell’anima dove il cognizzato
appare – in seguito al processo di cognizione, nel
“passato”; ma i processi della coscienza – sorgenti di
pensieri, idee, e domande – rimangono normalmente
superconsci. Le intuizioni – incluse le domande, che non
sono intuizioni complete – arrivano super-
coscientemente; una volta giunte, diventano coscienti.
La coscienza riflessiva [o riflessa], che è capace di
guardare sé stessa, ha due piani, il passato ed il presente.
Il passato continuamente deriva dal presente. L’anima
oscilla tra questi due piani, toccando appena quello
superiore, il presente. E’ questa oscillazione che abilita
l’anima a porre domande e a guardare sia a sé stessa che
al piano del passato. Questa è la dualità basilare tramite
cui si realizza il paradosso del domandare. La risposta
giace nel perseguire l’intuizione del quesito.
30

2 – Il Dato

Uno dei gesti fondamentali dell’anima cosciente è quello


di osservare il suoi propri contenuti. Il suo potenziale è
realizzato e diviene effettivo solo per mezzo di questo
gesto: ”In sensazioni ed in pensieri l’anima perde sé
stessa in altre cose; come anima cosciente, tuttavia, essa
assume il controllo del proprio essere”.
L’anima cosciente può quindi essere chiamata anche
“l’anima auto-cosciente”.
Nel processo di assumere controllo del suo proprio
essere, l’anima cosciente giunge ad essere. E questo
processo di assunzione inizia con l’osservazione nella e
della coscienza stessa.

La Riflessione sulla Coscienza


Quando iniziamo a riflettere sulla coscienza, scopriamo
i suoi processi, come pure i suoi risultati – troviamo
pensare, percepire, parlare, come pure troviamo
concetti, percezioni, parole. Possiamo notare che questi
processi e contenuti esistevano di già, si presentavano
anteriormente alla riflessione. Anche l’abilità di
riflettere è data, ma l’atto di riflessione stesso è un atto
libero. Se anche questo atto fosse dato e non libero, il
dato stesso non potrebbe essere scoperto.
2 – Il Dato 31
La scoperta che le facoltà umane sono date e che non le
produciamo noi stessi può suscitare meraviglia,
gratitudine e gioia in noi – gioia per l’esistenza della
coscienza, per la capacità di voltare l’attenzione ad ogni
tema che scegliamo, gioia in questa autonomia. Questa
gioia, che si desta con l’esperienza qui descritta, non con
l’immagine mentale di questa, è il miglior punto di
partenza per l’educazione della coscienza.

Considerazioni epistemologiche sul Dato


Il dato precede ogni domanda; è la prima immagine
dalla quale le domande emergono o sono suscitate. Il
dato è tutto ciò che appare nella coscienza senza alcuna
attività di pensiero o memoria.
Questo significa che l’immagine data del mondo
esterno o interno cambia nel corso della nostra vita a
seconda delle nostre circostanze; per giunta, quindi, essa
può variare da individuo a individuo.
Ciò che è dato, la (pura) esperienza, include sia ciò che
successivamente chiamiamo “immagine percettiva” –
dopo che l’abbiamo definita tale col pensiero – sia il
mondo interno che non è ancora stato processato dal
pensiero. Possiamo quindi chiamare dato “l’apparenza
ai sensi”, se con “sensi” indichiamo non solo quelli
diretti esternamente, ma anche quelli che afferrano gli
eventi della nostra vita interiore dell’anima e della
coscienza.
32
Per un adulto, la data immagine percettiva è una
accumulazione di dettagli, giustapposti nello spazio e
successivi nel tempo, un agglomerato di disconnessi
oggetti di sensazione.
Che i particolari (le cose, per esempio) appaiano come
dati è una conseguenza delle precedenti – non presenti –
determinazioni concettuali, come risultato di precedenti
“istruzioni dei sensi” super-coscienti (e perciò i concetti
diventano integri ai sensi). In altre parole, gli adulti non
devono riflettere di nuovo ogni volta che vedono un
oggetto che hanno visto in precedenza: essi già lo
vedono concettualmente.
Lo stesso è vero anche per le qualità sensoriali. L’alta
concettualità corrispondente alle qualità sensoriali, che
sorpassa i concetti degli oggetti in scopo e vitalità, viene
“formata” nell’infanzia tramite intuizioni superconsce.
Quando un bambino inizia a distinguere i colori, nessun
cambiamento occorre nella organizzazione fisica degli
occhi; più propriamente, il bambino afferra l’idea stessa
del colore, o degli individui colori.
Possiamo riflettere anche sugli stessi contenuti della
coscienza, indifferentemente dal loro potenziale
riferimento al mondo percettivo. Troviamo immagini di
memorie (rappresentazioni), immagini di fantasie,
parole, frasi, pensieri, emozioni, desideri, e così via. Se
cessa il corrente pensare, pure questo mondo diventa un
agglomerato di dettagli disconnessi.
2 – Il Dato 33
La distinzione tra ciò che è dato e ciò di cui
effettivamente abbiamo cognizione, può essere fatta in
svariati modi. Quando qualcuno articola una teoria
della conoscenza (un’epistemologia), questi deve
esaminare l’origine e lo sviluppo dell’immagine del
mondo data nell’adulto e concepire l’idea del dato
piuttosto radicalmente. Ciò implica rimuovere
artificialmente – in un esperimento di pensiero – i
concetti già contenuti nel dato.
Una volta che abbiamo rimosso tutti i concetti,
spariscono le connessioni tra gli oggetti, le “cose”, i
dettagli separati, e perfino gli oggetti di sensazioni.
Rimane solo un continuum indifferenziato privo di ogni
struttura, in quanto la separazione di ogni singolo
particolare dettaglio fuori dall’intera indifferenziata
immagine data è già una attività di pensiero in sé.
Per mezzo di questo esperimento di pensiero, il confine
tra il dato e ciò che è cognizzato coscientemente viene
ricavato nel modo più profondo. Il dato come
continuum destrutturato è chiamato il “dato
immediato”. Questo “dato immediato” non fa parte
della normale esperienza ma è una estrapolazione
artificiale che ci serve di aiuto per meglio comprendere
l’esperienza.
34
Esaminazione del Dato dalla Prospettiva della
Psicologia Cognitiva
Com’è che il dato appare nella coscienza? “La prima
forma nella quale l’insieme intero ci viene incontro si
presenta a noi in modo finito. Non prendiamo parte nel
suo venire ad essere. Come se sorgesse da uno
sconosciuto Aldilà, la realtà si offre in principio alla
portata dei nostri sensi e delle nostre menti.”
Questo “sconosciuto Aldilà” si può identificare come il
superconscio, la parte spirituale della nostra anima
umana.
Da questa parte dell’anima, le specifiche facoltà umane
– pensare, percepire e parlare – ci sono date. Il corso o i
processi di queste facoltà sono superconsce; ma i
risultati sono consci. Il dato consiste di questi risultati. I
processi coi quali il dato viene dato sono superconsci. In
epoche precedenti l’evoluzione della coscienza, gli esseri
umani sentivano effettivamente questo dare, ed ancora
oggi i bambini hanno l’esperienza di questo dare quando
imparano a parlare.
Dal momento che la “prima forma” di realtà entra già
finita nella coscienza come ne diveniamo consapevoli,
possiamo quasi sentire – potremmo chiamarlo “sentire
di confine”[o “esperienza di confine”] – che i processi
che “danno” questa realtà occorrono
superconsciamente. Dopo tutto, perché ci siano risultati
“finiti”, dei processi devono prima essere avvenuti. Non
sappiamo come facciamo a parlare, né come i suoni
2 – Il Dato 35
siano formati, né come la grammatica e la sintassi della
nostra madre lingua – mai pienamente descritte o
descrivibili – vengano acquisite nella prima infanzia; e
nemmeno sappiamo come avvenga una percezione.
Pure il pensare si deve trovare nel dato, anche se è
l’attività con la quale partecipiamo più coscientemente,
perché siamo noi stessi a produrlo. Il pensare non
appare senza la nostra partecipazione attiva. Tuttavia
non è in alcun modo arbitrario o soggettivo: esso è dotato
della sua intrinseca regolata[legale] struttura, sua stessa
natura, che si manifesta nel suo come, la sua logica.
Quindi il pensare non è dato solo formalmente, ma il
modo in cui procede, la sua legalità, è prodotta
superconsciamente. Il suo ordinamento non è formulato
coscientemente, ed esso non può mai essere descritto
esaurientemente. In questo senso il pensare è dato
superconsciamente.
Siccome il “come” del pensiero origina nel superconscio
e ci viene quindi dato, non possiamo discutere la sua
correttezza – eccetto che sulla base di questo stesso
pensare che è ora messo in dubbio.
Possiamo osservare il pensiero e contemplarlo nella sua
natura solo quando c’è: quando è dato.
Tutte queste attività, incluso il disegnare mentale
(rappresentazione), sono in effetti facoltà per fare
qualcosa senza sapere come la si fa. Questa abilità ci
permette di iniziare processi di coscienza, anche se non
siamo consci dei processi, ma solo dei loro risultati. Ciò è
36
simile ai nostri movimenti volontari del corpo:
mettiamo il corpo in moto con la nostra volontà e
tracciamo il corso dei suoi movimenti in una immagine
mentale. Quindi ne percepiamo i risultati, ma non
seguiamo coscientemente l’atto del movimento nel suo
“come”.
Tali facoltà umane vengono date “dall’alto”, dal piano
spirituale, ed intervengono nel corpo vivente e senziente
per esprimersi ed articolarsi in esso. Il modo in cui
queste facoltà ci sono date cambia nel corso di sviluppo
dell’individuo e dell’umanità per intero (vedi capitolo 8).
E’ caratteristico degli adulti contemporanei che la
connessione tra la coscienza e le sue fonti superconsce sia
interrotta da un abisso o spacco che divide il piano del
passato da quello del presente.

Osservazione delle Funzioni Date della


Coscienza
Ognuna delle tre basilari funzioni della coscienza –
percepire, pensare, e parlare (che sono le basi anche per
altre facoltà umane) – ha un carattere distinto e viene
sentita diversamente dagli adulti di oggi. La percezione,
per esempio, pone molti enigmi. I particolari disgiunti
della percezione provocano immediatamente delle
domande; non sono per niente trasparenti o
comprensibili al percepire contemporaneo.
La differenza nel “darsi” tra il percepire e il pensare sta
non solo nel fatto che il percepire è mediato tramite i
2 – Il Dato 37
sensi, mentre i nuovi concetti, i nuovi pensieri, appaiono
nella coscienza tramite intuizione; molto più
significativo è il fatto che i pensieri ed i concetti ci sono
pienamente comprensibili e trasparenti solo quando
vengono effettivamente pensati. Anche se certamente
possiamo dire cose che non comprendiamo, non
possiamo in alcun modo pensare cosa alcuna che non
comprendiamo pienamente. Niente rimane nascosto nel
pensiero finito; quindi non c’è nient’altro da cercare in
esso una volta che è stato pensato.
Quindi, siamo giustificati a prendere un punto di vista
“ingenuo” riguardo al pensare. La logica e la natura in
sé evidente del pensiero – il suo come – sono dati dalla
sfera del superconscio e, in questo “darsi”, esso è
totalmente trasparente e comprensibile. Infatti ogni
cosa che capiamo, la capiamo solo quando essa è
spiegata tramite il pensiero, tramite le idee. Nel caso del
pensiero, è sufficiente l’empirismo. Tentativi di divenir
consapevoli del “come” del pensiero tramite logica – la
quale non può mai essere sufficiente – non rimpiazzano
la necessità di entrare nel flusso vivente del pensare se
dobbiamo cercare di capire qualcosa, la logica inclusa.
Il mondo percettivo è strutturato anche da concetti, e
solo per questo motivo possiamo sentirlo o percepirlo.
Solo i concetti possono marcare i confini dei particolari,
possono dire che questi sono cose, che ci sono dei
particolari, definendoli come tali. L’esperienza umana è
sempre strutturata; riflessione o contemplazione
38
comincia sempre con una già-strutturata immagine del
mondo. Com’è che questa struttura primaria, data
tramite concetti – che sono essi stessi dati – arriva
anteriormente ad ogni attività cognitiva auto-cosciente?
Questa domanda fa volgere la nostra attenzione al
terzo “dato” fondamentale, e cioè il linguaggio. Il
linguaggio ci insegna a capire i segni e simboli dati in
modo discontinuo, ossia a pensare in concetti e percepire
particolari discreti, e quindi la strutturazione in genere.
Anche se il linguaggio ci appare un fenomeno
percettivo, esso può essere trasparente e comprensibile
tanto quanto il pensiero. Il linguaggio consiste di
acustiche percettibili o di segni ottici di nostra
comprensione. La comprensione (significato) è la parte
nascosta del linguaggio. Essa non appare nel mondo
percettivo ma avviene – tramite intuizione – nello
spirito umano. La realtà o totalità del linguaggio
include sia i segni che la loro comprensione; nessuno dei
due è in sé la realtà del linguaggio. Il linguaggio unisce
in sé gli elementi cognitivi della realtà percettiva che
altrimenti apparirebbero separati. Quando non li
capiamo, i “segni” non sono segni ma rimangono
semplici oggetti di percezione che ci possono lasciar
perplessi. Essi sono segni solo quando significano
qualcosa oltre a sé stessi. Quando li capiamo, il
significato che capiamo assorbe il segno; come oggetti di
percezione, essi diventano superflui e non interessanti.
Voci, parole; la forma, misura, struttura, e i materiali
2 – Il Dato 39
delle lettere – tutti questi scompaiono come oggetti di
percezione: essi vengono dissolti e letti.
Nei bambini, il linguaggio induce all’unisono, in modo
monistico ed indiviso, i primari percepire e pensare, i
quali rimangono uniti fino a che il pensiero non si
emancipa dal linguaggio. I bambini imparano la loro
prima lingua, la loro madre lingua, “monisticamente”.
Non impongono solo “nomi” ad oggetti e significati,
come ritengono i nominalisti e i pensatori ingenui.
Piuttosto, il linguaggio – e i concetti che fornisce –
struttura i mondi interno ed esterno in oggetti,
fenomeni, e significati. Il linguaggio umano, che è
sempre discontinuo e consiste di suoni, parole, e frasi,
struttura la nostra facoltà di comprensione, rendendola
umano-terrestre – e cioè, discontinua e concettuale.
Perciò il mondo ci viene “dato” già strutturato in
particolari discreti come un testo, e gli esseri umani
diventano pienamente umani solo imparando
gradualmente a “leggere assieme” questi particolari.
Il destarsi della nostra prima lingua avviene molto
diversamente dall’apprendimento di una seconda lingua.
Imparare una seconda lingua è un processo dualistico
perché abbiamo già dato significati nella nostra (prima)
madre lingua, e quindi impariamo semplicemente le più
o meno corrispondenti espressioni nella seconda lingua.
Il primo linguaggio crea i significati che nella seconda
lingua vengono “nominati”. Infatti, questo processo
reinforza l’impressione che il mondo sia fatto
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nominalisticamente in quanto dimentichiamo
facilmente che possiamo percepire una cosa solo se ha
già un significato, solo se è già definita da un concetto.
Anteriormente al primo linguaggio, o lingua madre, non
c’è niente che possa essere nominato.
Nella fase “energetica” (Wilhelm von Humboldt)
dell’evoluzione del linguaggio, nella quale il linguaggio
struttura il mondo, pensiero e linguaggio sono ancora uno
e lo stesso. Finché questa situazione permane, il mondo
percettivo non può divenire indipendente dal
linguaggio; oggetto, parola e concetto sono indivisi. Ciò
si trova riflesso in numerose tradizioni che descrivono la
creazione del mondo tramite la Parola divina[Verbo
divino]: l’idea è pronunciata e la creazione da inizio
all’esistenza. In questo stato di coscienza il mondo
percettivo è come una continuazione, o una parte, del
linguaggio. Quindi, a questo stadio del linguaggio non ci
sono perplessità: non ci sono ancora altri concetti affianco
a quelli dati, forniti dalla lingua, che strutturano il
mondo. In questo stato d’innocenza, le domande non
possono ancora essere poste.
Generalmente le domande – e con le domande, la
scienza – sono possibili solo dopo che il pensiero si è
emancipato dal suo istruttore, il linguaggio. Questa
emancipazione ha luogo nell’epoca dell’anima cosciente.
In tempi precedenti, la ricerca scientifica era privilegio
di pochi individui scelti, precursori della nostra epoca,
2 – Il Dato 41
che in parte hanno spiegato e previsto la struttura
dell’anima cosciente.
Ad eccezione di quest’élite, che anticipava gli stadi
successivi di sviluppo, tutto veniva ancora dato alle
persone a questo stadio primitivo dell’evoluzione della
coscienza. Oggi il mondo ci viene dato in modo diverso.
Nella fase più sognante della coscienza, le persone
sentivano come dati anche i processi cognitivi che si
sono ora spostati nell’ambito del superconscio. Il dato di
cui siamo oggi coscienti sta nel piano dei pensieri finiti,
delle percezioni finite; ossia nel piano del passato. In
tempi primordiali questo piano era considerato essere
semplicemente il punto finale del mondo sperimentato,
dato. Oggi comunque, gli impulsi dal subconscio, che
sono tutti distruttivi per la nostra vita d’animo, si sono
uniti a questi finiti pensieri e percezioni. Questo è il
campo del quale si occupa la psicologia (vedi capitolo 8).

Riguardo ai Concetti
Il termine “pensiero” copre molte e molto diverse
attività di coscienza. La conquista più grande del
pensiero è l’afferrare intuitivo, o comprensione di una
nuova idea, un nuovo concetto – “nuovo” nel senso che il
pensatore lo sta pensando per la prima volta. Ogni vera
comprensione è nuova.
La contemplazione ci rivela immediatamente che non
possiamo facilmente dire che cosa sia un concetto. Per
far ciò dovremmo utilizzare concetti – la cosa stessa che
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vogliamo descrivere – in tal modo assumendo che già
“sappiamo” praticamente che cosa sia un concetto.
Diveniamo quindi consapevoli che la maggior parte dei
concetti ci sono dati già quando iniziamo a dirigervi la
nostra attenzione e non sono formati tramite la nostra
riflessione cosciente. I concetti rappresentano un’abilità,
anziché una conoscenza. Quest’abilità si rivela nella
nostra capacità di riconoscere come tale ogni tavolo,
sedia, matita, e così via, una volta che ne abbiamo
compreso il corrispondente concetto funzionale. Per
esempio, quando usiamo il coperchio tastiera [cilindro]
di un pianoforte come superficie per scrivere o per
mangiare, ci rendiamo conto che il coperchio è ora
utilizzato come un “tavolo”. Una penna può essere
utilizzata come arnese per trafiggere, diventando quindi
un punteruolo. Produrre il puro concetto di un oggetto
artificiale, non è comunque così facile. Per far ciò
dovremmo riprodurre la comprensione che ci permette
di identificare come tali tutti i tavoli e tutti gli oggetti
che possono funzionare o servire da tavoli. Far ciò
equivale a capire la funzione di un tavolo; o è il risultato
di questa comprensione. Quest’abilità è superconscia,
come lo sono tutte le altre specifiche abilità umane,
come il pensare, il parlare, il percepire, e i movimenti
intenzionali. Noi non sappiamo come li facciamo.
Nell’educare la coscienza, il fine dell’esercizio di
concentrazione o controllo dei pensieri serve
precisamente a condurci a questa comprensione
2 – Il Dato 43
intuitiva, alla riproduzione del concetto puro – la
riproduzione cosciente di ciò che abbiamo imparato
inconsciamente nell’infanzia. Quindi, da questa prima
informazione ci rendiamo conto che i concetti sono
intuitivi – che, in contrasto con le immagini mentali o
rappresentazioni, essi non possono essere ricordati.
La seconda scoperta rivela la distinzione tra concetto e
parola. Per gli adulti la linea che li separa è chiara e
distinta. Una parola designa qualcosa che capiamo o che
abbiamo compreso in una lingua. Possiamo facilmente
capire la funzione di un oggetto, come ad esempio, un
paio di forbici, senza nominare l’oggetto. Questa
distinzione tra parola e concetto è oggi facile da
comprendere; comunque, prima della possibilità
dell’anima cosciente, essa non poteva essere afferrata
perché allora il pensiero non era ancora emancipato dal
linguaggio.
Ciò vale ancora per i bambini piccoli – per loro,
linguaggio e pensiero sono intrecciati. Distinguere tra
concetto e parola richiede di essere in grado di guardare
alla coscienza. Un’immatura riflessione potrebbe
ricavare falsamente la distinzione tra concetto e parola –
non tra concetto e parola, ma tra cosa e parola – non
realizzando che solo il suo concetto rende una cosa
questa cosa. E quindi nasce il nominalismo. Una cosa
viene raffigurata senza il suo concetto, e la parola è
ritenuta identica al concetto. Quindi il nominalismo
assume che il concetto sia solo un nome, un modo di
44
nominare un oggetto. Non si nota che possiamo
nominare solo qualcosa che abbiamo prima afferrato
concettualmente. Il nominalismo ha introdotto nel
regno del pensiero umano l’idea che le cose possano
esistere senza concetti. Questa è precisamente una
inconcepibile, impensabile idea, ma che ha decisamente
influenzato non solo le scienze naturali (e tramite esse, le
altre scienze), ma anche l’intero pensiero Cristiano
Occidentale. Questo pensare è divenuto così abituato a
“pensare” l’impensabile che i criteri di pensabilità ed
auto-evidenza sono stati perduti. Soprattutto, ciò che è
stato perduto è l’esperienza del comprendere, del
pensiero-intuizione come essenza del concetto.
Anche una seconda fonte di nominalismo può essere
oggi trovata piuttosto facilmente. Basti comparare le
funzioni di oggetti artigianali con le cose ed i fenomeni
in natura. Possiamo comprendere le funzioni di tali
oggetti fatti dall’uomo, e perfino concetti matematici e
geometrici che ci sono trasparenti, ma la nostra
relazione con le cose e i fenomeni in natura è molto
diversa. Non siamo a conoscenza delle loro idee
costitutive o funzionali. Le “funzioni” del feldspato, dei
gigli, o delle tartarughe ci sono sconosciute, ed abbiamo
imparato a non chiederle ulteriormente. Classifichiamo
ed identifichiamo le cose della natura secondo le loro
caratteristiche esteriori. Per esempio, le piante con un
certo numero di sepali e stami nei loro fiori
appartengono alla famiglia delle Rosacee, rose. Non
2 – Il Dato 45
comprendiamo funzionalmente che cosa ciò significhi e
non possiamo essere certi che le stesse caratteristiche
appartengano sempre alla stessa funzione. Il nostro
modo di procedere in riguardo agli oggetti naturali è
simile a classificare pezzi di fornitura secondo il numero
di gambe o di porte, indifferentemente dal loro scopo. In
altre parole ci riferiamo alla natura in modo veramente
nominalistico. I concetti degli oggetti naturali sono per
noi semplici termini collettivi derivati da attributi
esterni, o – più precisamente – sono rappresentative
immagini mentali universalizzate. Senza dubbio “lupo”,
”rosa”, ”cristallo di quarzo”, e così via, sono veri
universali: non abbiamo ragione di assumere che essi
vengano ad esistere senza concetti, quando sappiamo
per certo che nemmeno un bottone può essere fatto
senza un concetto. Ad ogni modo, oggigiorno le persone
sono incapaci di afferrare le vaste, viventi, e senzienti
idee dei fenomeni naturali, almeno non senza
un’educazione della loro coscienza.
Quindi, negli universali – le idee della natura – siamo
posti di fronte a qualcosa che non possiamo afferrare;
inizialmente i nostri poteri di coscienza non bastano per
afferrarle. Le idee degli oggetti naturali sono troppo
chiare, troppo accecanti, per essere comprese dalla
coscienza dialettica. Comprenderle ci richiede di essere
in grado di “leggere il libro della natura”.
La comprensione funzionale dev’essere distinta
dall’identificazione di una cosa in base alle
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caratteristiche esterne o immagini mentali. Se
trascuriamo questa distinzione, falliamo di notare che
non abbiamo concetti adeguati per la natura, ma solo
immagini mentali che ci aiutano ad orientarci secondo la
superficie esterna dei fenomeni. L’affermazione “Questa
è una colombina” sta a dire che l’apparizione della
pianta combacia con ciò che conosciamo essere
caratteristico delle colombine. Ciò nonostante, vediamo
o percepiamo fenomeni solo perché abbiamo concetti;
comprendiamo le caratteristiche esterne e le qualità
della pianta – come colore, forma, dimensione, numero
di stami – concettualmente. Questi concetti
rimpiazzano, per così dire, i concetti del fenomeno
naturale e ci permettono quindi di categorizzarlo ed
identificarlo. Sono ancora dei semplici concetti
sostitutivi, e non le idee funzionali o creative che
corrispondono a, e sono, l’essenza del fenomeno.
Siccome le caratteristiche esterne dei fenomeni naturali
sono così chiaramente “super-ficiali”[“sopra la
superficie”], la nostra comprensione dei concetti si è
falsificata. Ci siamo dimenticati che i concetti
consistono prima di tutto, e nella loro essenza, di
comprensione. Cerchiamo quindi l’essenziale del concetto
nella direzione dell’astrazione. Le caratteristiche e le
proprietà “essenziali” e “comuni” degli oggetti di
percezione vengono derivate dall’oggetto individuale
tramite astrazione. L’astrazione comunque presuppone
la conoscenza del concetto. Determinare le “comuni ed
2 – Il Dato 47
essenziali” caratteristiche – in altre parole,
“selezionarle” al di fuori –, e quindi definire o limitare
gli oggetti individuali sotto considerazione, richiede una
regola. Questa regola è il concetto.
Questo modello di astrazione dei concetti enfatizza la
loro generalità, in contrasto col particolare oggetto
individuale di percezione. Mentre gli universali dello
scolasticismo – che sono idee basate sulla comprensione
– possono esprimersi nei particolari come universalia in
re, il concetto astratto, d’altro canto, può difficilmente,
se non per niente, essere visto nell’oggetto individuale;
nemmeno l’afferrare altri dettagli individuali ci può
aiutare. Per esempio “verde” come concetto astratto
non può includere una percezione particolare di verde;
ma “verde” come universale compreso intuitivamente,
contiene tutte le sfumature del colore. Per insegnare ai
bambini che cosa sia il “verde”, non necessitiamo
assolutamente di mostrare loro tutte le sfumature del
colore. Una volta che il bambino ha afferrato l’idea del
“verde” tramite un solo verde, quel bambino potrà
identificare correttamente tutte le sfumature di tale
colore “verde” senza doverci pensare – un’esperienza
sulla quale torneremo più avanti.
Più consideriamo i concetti come astrazioni, più
sembreranno mancare in essenza, comparati con i
particolari concreti che percepiamo. Questa tendenza è
rinforzata dall’esistenziale, carattere d’“essere” della
percezione, che contrasta nettamente con l’irrealtà dei
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pensieri e concetti finiti. I pensieri sembrano così
indipendenti dalla realtà che possiamo pensare o
immaginare assolutamente qualsiasi cosa, quando e
dove ci pare. La percezione, d’altro canto, può occorrere
solo nel presente momento: una verità che è un gran
rompicapo (puzzle) per l’epistemologia. La discuteremo
nel capitolo 5.
La considerazione di come procedere quando vogliamo
capire qualcosa ci rivela la differenza tra gli oggetti fatti
dall’uomo e i concetti della natura. Per esempio, quando
vogliamo capire i concetti “suola da scarpa” o “penna a
sfera”, proviamo a comprendere le funzioni di questi
oggetti. Non iniziamo con l’analizzarli; siamo interessati
nelle parti componenti e materiali solo quando vogliamo
produrli. Quando abbiamo a che fare con oggetti
naturali, invece, procediamo nell’altra direzione, prima
analizzandoli, se possibile fino al particolare più minuto.
Nella maggior parte dei casi, non ci interroghiamo
nemmeno sulla funzione di questi oggetti naturali. In
ogni caso, l’analisi non ci può dire cosa alcuna riguardo
la loro funzione. Infatti, abbiamo così completamente
dimenticato di considerare lo scopo o il significato degli
oggetti in natura, che consideriamo una loro descrizione
matematica come vera comprensione di tali oggetti. Ciò
è come provare a capire una pagina di testo
determinando matematicamente la posizione dei punti
bianchi e neri nella sua superficie piuttosto che col
leggerla.
2 – Il Dato 49
La differenza tra la comprensione dei concetti di
oggetti artigianali e quella dei concetti di oggetti
naturali si nota raramente. Interpretiamo come
mancanza di concetti l’incomprensibile aspetto degli
oggetti naturali, e confondiamo idee più alte con ciò che
è privo di idea. Questo ci porta a risultati catastrofici
nella nostra vita spirituale, che possono essere riassunti
come segue:
1. La natura dell’idea, del concetto, è stata fraintesa; ed
il fatto che essa sia basata sulla comprensione è stato
dimenticato.
2. La nozione impensabile – il non-pensiero – della
materia “senza proprietà” (Giordano Bruno), capace
di agire come portatore di svariate proprietà, è stata
introdotta: la materia senza forma, l’essere senza idea.
Questa nozione perseguita ora la filosofia e le scienze
in molte forme – come la cosa-in-sé, come il
subconscio e l’inconscio, come il fondamento del
mondo e della coscienza, come particelle elementari
senza qualità, e così via. A causa di tutto ciò,
immaginiamo il mondo percettivo ed i suoi elementi
in quanto privi di concetto.
3. La nozione che i concetti sorgono con l’astrazione
conduce all’opposizione delle loro generalità con le
qualità concrete – presumibilmente prive-di-idea –
delle cose separate.
4. La comprensione, fondamento di tutte le teorie, nella
sua essenza assoluta ed irriducibile, è stata messa in
50
riserva – o abbiamo postulato vari meccanismi per
spiegarla. La causalità meccanica è divenuto il solo
principio di spiegazione.
5. Invece di interpretare i fenomeni come lettere da
leggere, l’analisi è stata definita come il solo metodo
cognitivo giustificato.
6. Le contraddizioni intrinseche dei cinque sviluppi
sopra elencati ostruiscono la sana circolazione della
vita della nostra coscienza allo stesso modo in cui
occlusioni impenetrabili prevengono il libero scorrere
del sangue nel corpo. Come risultato, il nostro
pensiero e le nostre facoltà cognitive non sono più
sani. I sintomi più ovvi di questa afflizione sono
teorie e pensieri che si cancellano l’uno con l’altro, ed
il nostro mancare di notare ciò. Esempi di tali pensieri
sono: “il pensiero è soggettivo”, “il pensiero è un
meccanismo o un processo naturale”, o “la coscienza
umana è determinata”.

Il Dato e l’Attività dei Sensi: Istruzioni dei


Sensi
Siccome la coscienza riflessa è una coscienza pensante,
ogni cosa in essa è permeata con concetti. In questo
stato di riflessione cosciente siamo perlopiù svegli. Ad
ogni modo, non stiamo sempre a riflettere, e troviamo
quindi, in un esame in retrospettiva, eventi che non
sembrano permeati di concetti, come ad esempio gli
stati d’animo, le emozioni, l’inquietudine, e così via.
2 – Il Dato 51
Quindi, a fianco o sotto la coscienza pensante di veglia, i
cui contenuti sono ricordati dall’Io, si può percepire un
secondo, senziente livello di coscienza, tuttavia solo
semicosciente e più sognante. I contenuti di questo
secondo livello eludono la presa dell’Io auto-cosciente.
Ciò nonostante, finché un certo contenuto di coscienza è
un QUELLO distinto – anche se raggiunto tramite
percezione [includendo la percezione interiore],
rappresentazione mentale o pensiero – esso è sempre
intessuto di concetti. Senza concetti non ci sarebbe
QUELLO, perché non potremmo distinguerlo dal suo
ambiente. I concetti separano QUELLO dal suo
ambiente, rendendolo disponibile per la percezione
esterna o interna.
Anche se solo ciò che è concettuale può entrare la
coscienza pensante, questa stessa coscienza – in
flagrante auto-contraddizione – fa appello all’esistenza
di cose non concettuali e prive di idea. Le cose non
concettuali sono state inizialmente “scoperte” nella
sfera della percezione sensibile; successivamente sono
state trasferite ad una sfera “trascendentale” cosmica,
oltre la portata della coscienza pensante. Ne risultarono
dei costrutti di pensiero intrinsecamente auto-
contradditori – nessuno ha mai effettivamente visto una
“cosa-in-sé” o il “subconscio” – i quali pure avrebbero
dovuto essere verificati dal pensiero. Questa
contraddizione, verificare costrutti non-ideali tramite
pensiero, già contiene suo proprio verdetto.
52
Guardiamo ora più da vicino il campo delle percezioni
sensoriali.
Possiamo percepire grazie ai nostri dati sensi. Questi
consistono di un organo di senso – che può essere
localizzato pressappoco nell’organismo – ed una
organizzazione di coscienza, che è educabile, e senza la
quale gli organi di senso non funzionano. La coscienza
fornisce la parte concettuale alla percezione sensoria –
sia per esempio nella percezione del colore in un
bambino, che nel darsi [nella datità] di particolari o
individuali oggetti di percezione. Senza questa
contribuzione – come si è visto quando abbiamo
artificialmente rimosso tutti i concetti in un esperimento
di pensiero – ci rimane solo un indifferenziato
continuum.
Come adulti, riceviamo dai sensi – come materiale
grezzo per il pensare – una figura consistente di
particolari. Questa figura è già strutturata
concettualmente prima che inizi una qualsiasi attività
corrente di pensiero. Infatti, si può osservare che quando
gli adulti percepiscono qualcosa con la quale sono
abbastanza familiari, la riconoscono “semplicemente ed
immediatamente” per quella che è – per esempio, come
tavola o matita – senza pensiero o memoria. Ad ogni
modo, se, per esempio, non conosciamo il concetto
funzionale “tavolo”, e non lo sviluppiamo sulla base
della percezione, non vediamo un tavolo, ma solo una
2 – Il Dato 53
legnosa superficie liscia con gambe e così via – a
condizione di almeno conoscere questi ultimi concetti.
Già Descartes aveva osservato che gli adulti
percepiscono concettualmente. Tuttavia, come nel caso
sopra, dei concetti sostitutivi nascondono questo fatto
quando prendono il posto dei concetti mancanti – come
per esempio quando qualcuno descrive una forchetta
come “un pezzo di metallo con quattro punte
all’estremità”. Ovviamente, dobbiamo distinguere tra
percezione di – come attività che può condurre ad una
esperienza dell’Io – , e la semplice reazione emotiva
(esperienza astrale) a, una qualità sensoriale o un
oggetto (vedi capitolo 5).
Rudolf Steiner descrive i sensi come organi fisici e
spirituali tramite i quali “si ottiene un’intuizione senza
la partecipazione di intelletto, memoria, eccetera”.
Ovviamente l’”eccetera” si riferisce qui ad ogni
intenzionale e corrente attività della coscienza.
L’intuizione o la conoscenza ottenuta tramite i sensi è
quindi “semplice ed immediata” e “precede ogni
valutazione o giudizio; è una sensazione proprio come
colori e calore sono sensazioni”.
Le intuizioni(cognizioni) tuttavia, sono sempre
intessute con concetti, come abbiamo visto nel semplice
esempio che abbiamo dato. Conseguentemente, i sensi
stessi devono essere concettualmente educati così da
poter produrre intuizioni, giacché tutte le attività
54
correnti della coscienza, includendo la memoria, sono
escluse dalla pura attività dei sensi.
E’ molto difficile per le persone oggi che, consciamente
o inconsciamente pensano materialisticamente, capire
che: persino le qualità sensorie non possono essere
percepite senza concetti. Tuttavia, l’osservazione ci
fornisce di prove sufficienti a questo scopo. Abbiamo già
discusso come i bambini imparano a distinguere i colori.
Quando istruiamo i bambini handicappati sulla
levigatezza o ruvidezza di una superficie facendogliela
toccare, non stiamo “istruendo” le loro dita, ma stiamo
istruendo loro nella formazione di concetti. Come sanno i
terapeuti della dialettica, ai bambini che non possono
riprodurre un suono dialettico, o che lo possono fare solo
incorrettamente (blesità), deve prima essere insegnato a
sentire questo suono accuratamente e correttamente.
Essi sentono il suono correttamente non a causa di
qualche cambiamento nel loro organo sensorio (le loro
orecchie), ma perché afferrano la configurazione del
suono. Separano cioè concettualmente il suono dalla sua
forma, il suo tono, e le sue ulteriori qualità, afferrando
quindi il carattere specifico che differenzia un suono da
tutti gli altri.
Questa componente concettuale della percezione è
anche più pronunciata nell’esperienza
dell’identificazione dei colori, come nell’esempio già
citato. Una volta che abbiamo afferrato il concetto
“verde”, possiamo identificare verdi tutte le gradazioni
2 – Il Dato 55
varianti di questo colore, senza ricorrere ad immagini
mentali o memoria, che sono state date in precedenza, e
non ci potrebbero quindi aiutare a riconoscere nuove
gradazioni di verde che non abbiamo mai visto prima.
Chiaramente, anche se i bambini incontrano per la
prima volta il funzionale concetto “tavolo” in un piccolo
tavolo rotondo ad una gamba, color marrone, e di
altezza media, potranno nonostante ciò, essere in grado
di identificare, come tavolo, anche uno in metallo, con
gambe incrociate, grande, rettangolare, con disegno
moderno. Se provassero a comparare il secondo tavolo
con l’immagine ricordata del primo, sarebbero in effetti
fuorviati.
La nostra abilità di differenziare internamente ad un
campo qualitativo (ad esempio nel campo del colore,
tramite il senso della vista), significa che questo campo
qualitativo può essere strutturato concettualmente, e
che il senso in questione ha integrato intuitivamente
questi concetti. Lo stesso vale per la differenziazione tra
più campi qualitativi. Senza apprendimento
concettuale, tale differenziazione è impossibile, e
restiamo al livello di semplice reazione sensitiva.
Come possiamo sperimentare nella percezione dei suoni
dialettici, i tre sensi superiori – il suono- o senso-parola;
il concetto- o senso del pensiero; ed il senso del tu- o
dell’Io (il senso per un altro essere-Io) – apprendono solo
idee pure. Gli altri sensi (quello dell’udito per esempio)
forniscono il “materiale grezzo” per i sensi superiori.
56
Questo materiale grezzo è quindi (nel caso del senso
dell’udito) processato dal senso del suono (senso-parola,
senso per la forma acustica di un movimento), che a sua
volta passa il prodotto della sua attività al senso del
pensiero, e così via.
Chiaramente, i sensi superiori devono essere istruiti a
percepire le specifiche proprietà umane per le quali essi
sono i sensi. La loro funzione è puramente ideazionale.
Essi vengono “indirizzati” quando impariamo a parlare,
ed il loro spirituale organismo di senso viene sviluppato
per mezzo di questa istruzione. Come risultato, essi sono
in grado di percepire suoni, concetti ed essenze-Io
“semplicemente e direttamente”, come una sensazione.
L’istruzione procede dalla attività dell’Io. Nuovi suoni,
nuovi pensieri, nuovi esseri-Io, sono sempre riconosciuti
come tali dalle intuizioni correnti, dall’attività della
coscienza. Inizialmente, le nuove percezioni non sono
affatto “semplici e dirette” per questi sensi, come
possiamo chiaramente vedere nell’esperienza dei
bambini ed anche degli adulti quando, per esempio,
imparano una lingua straniera. I suoni, i concetti, e le
percezioni-Io che già sono radicati nella nostra
coscienza, assieme alla nostra esperienza e competenza
nell’apprendere idee in queste aree, ci aiutano ad
assorbire il nuovo.
Il nostro essere-Io istruisce anche gli altri nostri sensi e
li fornisce di concettualità, così che, nell’attività
sensoria, i sensi possono percepire “concettualmente”.
2 – Il Dato 57
Come adulti, ciò vale anche per i particolari che
percepiamo senza avere per essi una parola o un nome.
Per esempio, vediamo dei solidi totalmente irregolari o
forme bidimensionali in modo qualitativamente simile a
quello con cui percepiamo sfere o cerchi.
Significativamente, ciò non è il caso nei bambini; essi
vedono e ricavano in maniera semplificata a seconda dei
concetti che già hanno acquisito.
La nostra difficoltà nel capire che i (precoscienti) sensi
istruiti percepiscono concettualmente: è soprattutto
dovuta al fatto, già discusso, che ci relazioniamo
diversamente con gli oggetti fatti dall’uomo da come ci
relazioniamo coi fenomeni naturali. Anche le qualità
sensorie appartengono alla classe dei fenomeni naturali;
i loro “concetti” sono semplicemente una pallida
riflessione del loro significato o messaggio, che non può
essere concepito dalla quotidiana coscienza. Tratti della
loro altà idealità appaiono nelle arti. Ma non dobbiamo
dimenticare che ogni cosa che è nominabile è definita e
determinata da una idea. Senza dubbio, siamo soliti ad
immaginare solo gli oggetti fatti dall’uomo in questo
modo. Ciò nonostante, anche ogni oggetto naturale
esemplifica questo fatto di determinazione con idea. Ad
esempio, non “comprendiamo” l’idea del giglio –
l’apparenza della pianta non è fissa una volta per tutte,
ma cambia con le stagioni, il tempo, la qualità del
terreno – ma la specie è fissa, non cambia. Questa idea
della specie è qualitativamente diversa da quella della
58
“tazza”, in parte perché la prima è vivente. Quando
riconosciamo una pianta come giglio non è per via della
idea funzionale, che non conosciamo, ma per via dei
concetti sostitutivi (forma, colore, odore); o anche,
quando ci troviamo di fronte ad una varietà eccezionale
di giglio, possiamo comparare attentamente la nostra
percezione con la nostra immagine mentale; per
esempio, compiamo solitamente tale paragone quando
raccogliamo funghi in un bosco. Tra questi due casi
estremi – riconoscimento [ri-cognizione] sulla base di
concetti funzionali o riconoscimento sulla base di
concetti sostitutivi ed immagini mentali – si trova uno
spettro continuo di processi sensoriali nei quali la
rappresentazione mentale supplementa l’attività
sensoria.
I sensi intermedi funzionano in modo specificamente
umano, in quanto non reagiamo semplicemente a colori,
suoni, odori, e così via, ma comprendiamo piuttosto le
nostre percezioni come esperienze dell’Io, che possono
quindi divenire le basi per il giudizio nell’Io. Questo
funzionamento specificamente umano dei sensi
intermedi, è dovuto alla loro istruzione, il loro bagaglio
concettuale, che li rende ricettivi ad ogni cosa
similparola.
I nostri sensi, comunque, non funzionerebbero senza la
nostra attenzione specificamente umana – una
attenzione che può presenziare ad un mondo percettivo
similparola concettualmente strutturato, in quanto i
2 – Il Dato 59
concetti fondamentali che strutturano le qualità
sensorie, assieme ad altri concetti, ci sono stati instillati.
Infatti, questi concetti che strutturano il campo
qualitativo di un particolare senso, appartengono
all’organismo sensorio. Dopo che i sensi sono stati
istruiti, essi ricevono le percezioni in quanto date.
Nell’esperienza o pratica delle arti, ciò ci colpisce come
in nessun’altra situazione. Qui, la nostra attenzione è
come il respiro che fluisce in uno strumento a fiato; esso
assume la configurazione dell’aria secondo il comando
del suonatore. Allo stesso modo, a seconda di come sono
stati istruiti i sensi, la configurazione dell’attenzione è
formata diversamente in ognuno di essi.
Senza istruzione, senza essere instillati di concetti, i
sensi sono “sensi per” le qualità; essi rappresentano la
possibilità di reagire a colori, suoni, e così via, e la
possibilità di essere istruiti. L’educazione dei sensi
realizza il nostro potenziale di percepire colori, suoni,
gusti e così via, in maniera umana. Un bambino piccolo
è ancora interamente un organo di senso – il campo
percettivo non è ancora suddiviso in dodici bande, o
fasce discontinue senza transizione tra esse. Questa
divisione dei campi percettivi nasce con l’ambiente
umano parlato, anche se, eccetto nel caso dei sensi
superiori, questa divisione è in parte predeterminata
dall’organismo. La fabbrica del mondo sensibile è per
così dire “intessuta”: inizialmente viene introdotta
l’orditura dei concetti più alti delle qualità sensorie;
60
quindi la trama di altri concetti di oggetti e fenomeni
viene ad essa aggiunta.
Afferriamo solo la parte concettuale del nostro mondo
percettivo. Che la natura in sé sia un costrutto ideale, e
che la fabbrica del mondo sensorio sia in effetti
strutturata come un testo – o che semplicemente
consista di cose piuttosto che di segni – diverrà chiaro
quando discuteremo l’idea della realtà più
dettagliatamente.
3 – Prima strutturazione del Dato 61

3 – Prima strutturazione del Dato

La data figura interiore ed esteriore del mondo si


presenta come già strutturata alla riflessione-di-sé
[l’auto-riflessione] – cioè permeata con concetti: la
vediamo costituita in particolari. Anche le funzioni
cognitive della coscienza esistono di già quando
voltiamo la nostra attenzione verso di esse. Abbiamo
chiamato superconscio la sorgente di queste funzioni, in
modo da distinguere la sorgente della cognizione dal
subconscio, che consiste, nell’anima, di elementi
noncognitivi.
Le due sfere di superconscio e subconscio – entrambe le
quali sono inconsce – sono spesso confuse nelle
discussioni psicologiche, o considerate identiche nella
loro sorgente, segno della nostra incapacità di
distinguere spirito ed anima. Il superconscio è la parte
spirituale dell’anima.
La riflessione non solo trova il contenuto del mondo
strutturato, ma trova anche l’essere umano nella sua
esistenza strutturato in modo tale che il mondo si dà
nelle dualità. Per esempio, la riflessione si ritrova un
mondo consistente di particolari; come percettori, ce lo
troviamo davanti e in opposizione. Similmente, nel
nostro essere troviamo esperienze interiori, pensieri, e
concetti, e fintanto che le “troviamo”, sentiamo la
62
presenza di un soggetto di fronte a questo “preesistente”
mondo interiore – quanto meno occasionalmente. Non
appena facciamo esperienze, queste si strutturano e
contengono confini, dettagli, unità.
Se svestiamo la nostra data figura del mondo di tutti i
concetti, ciò lascerebbe solo un continuum
destrutturato, che non potrebbe più essere chiamato
esperienza.
Simultaneamente comunque, la separazione di
soggetto ed oggetto scomparirebbe. Il termine
“soggetto” si riferisce qui semplicemente al luogo
dell’esperienza; sia pensiero che percezione forniscono il
soggetto di qualcosa di universale ed intersoggettivo.
Negare ciò relativamente al pensare sarebbe ingenuo ed
auto-contraddittorio. Perfino la percezione è soggettiva
solo in quanto i diversi ed unici punti di vista di
individui differenti in relazione all’oggetto – le loro
diverse capacità sensorie, assortimento di concetti e
diverse capacità di concettualizzare – influenzano la
figura data. Ciò nonostante, non ci può essere alcun
dubbio che viviamo in un mondo percettivo condiviso.
Infatti, non possiamo nemmeno discutere questo dubbio,
perché tale discussione ed il suo contenuto
presuppongono un mondo percettivo condiviso. Per la
stessa ragione comunque, non possiamo dire con
assoluta certezza se le qualità sensorie che percepiamo –
per esempio, i colori che vediamo – siano gli stessi che
qualsiasi altro percepisce.
3 – Prima strutturazione del Dato 63

Formulazione della Domanda


La nostra organizzazione sensoria e spirituale
determina la struttura del dato che percepiamo.
Questa stessa organizzazione ci causa anche
l’esperienza del dato scisso nella percezione separata in
soggetto ed oggetto in modo tale che consideriamo la
nostra vita interiore – di pensare, sentire e volere – come
parte del soggetto, ed il mondo percettivo come parte
dell’oggetto. La distinzione è, naturalmente, non esatta,
ma può essere accettabile per lo scopo della presente
discussione.
Il nostro mondo interiore è strutturato similmente nel
suo darsi. Naturalmente, quindi, dobbiamo chiederci
come sia nata questa struttura preesistente, senza la
quale non sperimenteremmo cosa alcuna in modo
cosciente. Ci dobbiamo anche chiedere che significato
abbia la nostra umana “organizzazione” e quale sia il
suo fine.

La struttura del Trovato, o Dato


Se guardiamo più da vicino a realtà interna ed esterna
per come è data, troviamo che ognuna consiste di
particolari discreti, cose, fatti, e processi, oltre alle
connessioni e relazioni tra i particolari. Senza eccezioni,
questi particolari sono distinti e contrastati l’uno
dall’altro e dal loro ambiente o sfondo, per mezzo di
concetti. Le relazioni tra i particolari sono tutte tali che
64
non appartengono alla sfera percettiva. Ad esempio, le
qualità caratterizzate da aggettivi – come piccolo,
grande, simile, deforme, qui, lì, e così via – sono delle
determinazioni puramente concettuali che sorgono dai
particolari percepiti tramite comparazione o altre
attività di pensiero.
Ciò nonostante, tali caratteristiche qualità, come
dimensione e altre, sono per la maggior parte integrate
nei nostri sensi. Cadiamo allora spesso a pensare che esse
siano originali, parti a priori dalla nostra attività
sensoria, e quindi aventi carattere nonconcettuale. Ma
questa visione dovrebbe assumere un presente
raffigurare mentale, giudizio, o memoria, ogni volta che
percepiamo una cosa – contraddicendo chiaramente la
nostra osservazione che, quando vediamo oggetti
familiari, essi già sono definiti concettualmente.
In ultima, tutti i particolari, perfino quelli che sono
designati da nomi nelle lingue Europee, si dissolvono in
relazioni. Possiamo tracciare il ritorno della nostra
coscienza al “dato diretto” tramite un esempio. Quando
diciamo “Questo albero è più grande di quello”, il
significato dei pronomi “questo” e “quello” non è
definito dagli oggetti che percepiamo, ma dal punto di
vista dell’osservatore, cioè, dalla relazione con gli
oggetti. Potremmo invertire la sequenza dei due
pronomi in questa frase. Analogamente, non vediamo
“più grande”, ma “questo” è invece un “giudizio”
basato sulla comparazione degli alberi nella nostra
3 – Prima strutturazione del Dato 65
mente. Possiamo arrivare a questo giudizio tanto
“semplicemente e direttamente” quanto vediamo gli
alberi, senza pensarci, perché i concetti sono già
instillati nei nostri sensi. Perfino il modo in cui vediamo
gli alberi, quindi, è determinato da concetti, in quanto
senza il “concetto” albero – qui preso in senso
nominalistico – vedremmo solo rami, tronchi e foglie. Se
non avessimo questi ultimi concetti probabilmente
vedremmo solo forme o diversi punti colorati. Ciò
nonostante, anche queste distinzioni, quando sono fatte
dalla coscienza pensante, sono basate su concetti. Se
spogliassimo la percezione di tutti i concetti non
rimarrebbe alcun particolare discreto o alcuna
distinzione. Troviamo meno difficoltà a capire che altre
relazioni, per esempio quelle di causa ed effetto, sono per
natura concettuali e non percepibili.
Né i discreti particolari, né le relazioni tra loro sono
isolati; infatti, non possiamo nemmeno concepirli come
isolati. Per esempio, non possiamo pensare al “sole”
senza pensare pure al cielo e al percorso del sole
attraverso di esso, alla luce, l’oscurità, il giorno, la
notte, la mattina, il mezzogiorno, e la loro successione
temporale. Lo stesso vale per le relazioni: “quello” va
con “questo”, “sotto” va con “sopra”, “di fianco” con
“destra” e “sinistra”, e così via. Per di più, i particolari e
le loro relazioni sono dipendenti l’uno dell’altro. Per
esempio, in un area dove la causalità meccanica è
principio generale di spiegazione, non ha alcun senso
66
parlare di “gentilezza” o “amicizia”, né perfino di
“cognizione” e “comprensione”.
Inoltre, la struttura del dato rivela che esso consiste in
ultima di connessioni e relazioni che devono essere
afferrate alle “giunture” dove hanno intersezione.
Queste “giunzioni” sono i nostri concetti. Da un lato, i
nostri concetti devono avere chiari limiti che
impediscano il loro mescolarsi l’uno con l’altro;
dall’altro lato, questi confini non devono essere troppo
duri, rigidi, o impermeabili, altrimenti la transizione e la
connessione tra i concetti si perderebbe. Discreti
particolari e relazioni formano una struttura
discontinua; altrimenti saremmo incapaci di distinguere
fra loro. Simultaneamente, comunque, queste
discontinuità sono anche mutualmente interconnesse ed
interdipendenti.
Come adulti, la struttura data che percepiamo è
determinata nel corso delle nostre vite, fino al momento
in cui iniziamo per la prima volta a riflettere sul dato –
cioè sull’educazione ricevuta, e sulla nostra famiglia.
Tutte queste influenze formative sono basate sulla
nostra capacità di parlare e possono essere a questa
ricondotte. Quindi, la madre lingua di una persona è la
base per tutte le successive strutturazioni del mondo
percettivo.
3 – Prima strutturazione del Dato 67

Pedagogia del Linguaggio


La prima strutturazione del dato tramite concetti e
comprensione concettuale viene data ai bambini con la
madre lingua – non solo con la lingua parlata, ma anche
con l’espressivo comportamento “parlante”
dell’ambiente adulto, dietro il quale giace l’abilità
dell’adulto di parlare ed afferrare il mondo e le
situazioni concettualmente. Eccetto per poche rare
situazioni, gli esseri umani comunicano di continuo
tramite gesti, mimi, sguardi, e movimenti.
Dietro l’udibile linguaggio parlato e il comportamento
“parlante” si nasconde il potente aspetto del linguaggio,
ossia, l’intenzione dialettica. Senza questa intenzione
dialettica, che corrisponde alla comprensione
dell’ascoltatore, la parola ordinariamente non avviene.
Quando un bambino impara a parlare, questa realtà
“immateriale” (comprensione) è accessibile direttamente.
Se così non fosse, il bambino non potrebbe comprendere
ciò che ha sentito. Il linguaggio è unico in quanto esso
non è solo percezione, bensì significativa percezione. I
bambini devono afferrare sia percezione che significato
simultaneamente. Questa è la sorgente delle funzioni
della coscienza di percepire e pensare, che vengono
successivamente separate.
Questa caratterizzazione della prima struttura del dato
mostra chiaramente le qualità del linguaggio. Il
linguaggio ha un lato esteriore che è apparentemente
discontinuo, e che corrisponde ai particolari nella
68
struttura del dato. Il lato interiore del linguaggio – la
comprensione – connette e comprende queste
discontinuità; essa è in relazione con le connessioni e le
relazioni tra i particolari, ed è infatti la sorgente di
queste relazioni e connessioni.
Questa discontinua strutturazione, come anche la
strutturazione concettuale e percettiva del dato, viene
anticipatamente data dal fenomeno del linguaggio – non
solo come principio (in quanto una parte di esso è
percepibile, mentre l’altra è nascosta dai nostri sensi e
rimane un atto interno di coscienza), ma anche come
concreta struttura delle due parti. Il linguaggio
struttura la nostra coscienza, il nostro pensare, e quindi
anche il nostro percepire. Il linguaggio prefigura
l’unione di percezione e di comprensione; esso è esempio
unico della loro separazione e loro riunione nella
“lettura congiunta”.
Quindi, la prima struttura del dato è foggiata su
modello e struttura interna della nostra madre lingua. Il
pensiero può perciò inizialmente variare assai in stile,
parimenti con la quasi inimmaginabile varietà di
modelli di linguaggio. Anche tra le lingue Europee, le
categorie grammaticali hanno solo una molto limitata
applicabilità. Due frasi costruite in modo molto simile in
una lingua, possono essere completamente diverse l’una
dall’altra in una diversa lingua. Quindi la maniera in cui
pensiamo, la “logica” delle nostre lingue, e l’ammontare
ed estensione di astrazioni e concretizzazioni, si
3 – Prima strutturazione del Dato 69
differenziano ampiamente. Oggi queste differenze sono
quasi completamente nascoste, non solo perché coloro
che dominano la civilizzazione contemporanea usano
una lingua Indo-Europea, e perché il modo di pensare di
queste lingue si è diffuso in tutto il mondo, ma anche
perché il nostro pensiero si è ampiamente emancipato
dal linguaggio.
Percepiamo noi stessi come soggetti tramite esperienze
interiori, particolarmente tramite l’esperienza del
pensiero. Come l’esperienza della nostra capacità di
parola, queste esperienze interiori sono super-coscienti.
Esse sono colorate ed influenzate dal modo col quale
sperimentiamo il nostro corpo. I processi di pensiero,
comunque, sono anch’essi foggiati su modello della
nostra lingua, che determina sia la separazione tra
soggetto ed oggetto sia la conseguente integrazione del
soggetto nel mondo con l’atto cognitivo. Infatti la
madre lingua influenza persino il modo in cui l’Io prende
possesso del corpo ed inizia ad esprimersi tramite esso.
Dopo tutto, il parlare è anche il risultato di uno sforzo
fisiologico degli organi dialettici, che sono parte del
nostro sistema di movimento. I movimenti dei nostri
organi dialettici sono determinati dalla struttura sonora
della nostra lingua, e dal momento che i movimenti sono
sempre eseguiti dal nostro intero essere, dal nostro
intero sistema di movimento, il linguaggio influenza
perciò il nostro intero essere ed i suoi movimenti. Le
persone inglesi, per esempio, non solo muovono la loro
70
lingua e faccia diversamente dai francesi, ma tutti i loro
movimenti e posture del corpo sono differenti. Il nostro
sistema di movimento connette l’Io col resto
dell’organismo; questa connessione, quindi, avviene in
prevalenza tramite il nostro apprendere a parlare.
Quindi il modo col quale sviluppiamo le nostre facoltà
umane da forma alla nostra esperienza e alla percezione
del nostro stesso corpo. Il come dei nostri movimenti di
arti, occhi, e muscoli facciali – sia che questi movimenti
siano intenzionali o ad imitazione di altri – è tanto
superconscio quanto il “come” del nostro parlare e
pensare. Infatti, queste tre facoltà sono strettamente
connesse e sono legate alla nostra postura eretta.
L’uso del linguaggio è spesso paragonato ad un gioco –
un “gioco di parole” – e possiamo estendere questa
analogia al pensiero. Tuttavia c’è una differenza molto
significativa tra questi giochi di parole e tutti gli altri
giochi, per il fatto che non dobbiamo imparare regole del
parlare e del pensare; infatti, queste regole non sono
nemmeno esplicitamente conosciute. Sono invece
acquisite come facoltà superconsce. In tutti gli altri
giochi, le regole devono essere imparate prima di poter
giocare. Tramite questi due speciali “giochi” di pensare
e di percepire, il mondo ci è dato come un ammasso di
discontinuità; e siamo quindi i soli esseri che hanno un
mondo, un’immagine del mondo – precisamente perché
percepiamo le discontinuità in modo strutturato. Senza
l’effetto strutturante dei concetti, che è basato sulla
3 – Prima strutturazione del Dato 71
struttura discontinua del linguaggio, non troveremmo
nel mondo alcuna tale discontinuità. Tramite i concetti
determinati dal linguaggio – cioè, concetti-parola –
rendiamo il nostro pensare gradualmente indipendente
dal linguaggio e sviluppiamo concetti che trascendono il
Linguaggio. Questa è la precondizione per uno stile di
pensiero che è valido e ottenibile per tutte le persone e
che renderà possibili delle connessioni per tutti valide ed
identiche.
Il fondamento della umana libertà è l’attività di lettura
tra due dati – percezione e concetto – perché l’attività
con la quale questi due vengono “letti assieme” non è
data. Conseguentemente, per il soggetto cognizzante, la
libertà esiste solo in nuove cognizioni, in quanto ciò che
già abbiamo cognizzato e compreso deve essere
considerato parte del dato.

La prima Strutturazione del Dato


Oggi, i dati mondo interiore e mondo percettivo
esterno sono pieni di enigmi; questi enigmi pongono
domande, richiedendo una comprensione che non è data.
Queste domande, che in sé sono forme concettuali,
anticipano le concettuali, ideali risposte. Il dato è
interrogabile per noi quali interroganti e, come abbiamo
visto, interrogare implica delle sue condizioni.
Ci siamo riferiti ai due separati livelli tra i quali la
coscienza può oscillare, che risultano nei due sguardi che
72
la coscienza dà al dato. Il secondo sguardo rivela che i
concetti esistenti non sono sufficienti a rendere il dato
comprensibile. Vedremmo in seguito che questa stessa
struttura della nostra coscienza rende possibile
l’emancipazione del nostro pensiero concettuale dal
linguaggio. La transizione ad una coscienza interrogante
e alla interrogabilità del dato, ha richiesto un lungo
processo di sviluppo – i cui risultati sono apparsi solo di
recente, relativamente tardi nella storia umana, nelle
scienze, che sono basate su domande. Ciò significa che la
prima forma del dato non era interrogabile. Profondi
cambiamenti hanno dovuto occorrere nel dato, come
anche nella nostra coscienza – sulla quale il dato è in
parte contingente – prima che potessimo raggiungere il
livello che abbiamo oggi raggiunto.
I concetti strutturano il dato diretto in particolari e
connessioni. I concetti stessi non sono unità distinte, ma
emergono sempre internamente a sistemi di concetti o di
relazioni. Il primo sistema di questo tipo è dato dalla
madre lingua. La risultante prima strutturazione del
dato non è per niente discutibile [interrogabile] perché è
completa. In altre parole, i concetti strutturano
completamente e ininterrottamente il dato percettivo –
nient’altro esiste ancora – in particolari distinti, senza
lasciare alcun vuoto scoperto di concetti.
Possiamo utilizzare un’analogia per meglio
comprendere ciò. Per esempio, immaginiamo una
superficie suddivisa in piccole parti, così che le parti
3 – Prima strutturazione del Dato 73
coprono l’intera superficie senza lasciare alcun vuoto. I
concetti strutturano (articolano) i particolari fuori dal
dato continuum, mentre contemporaneamente li
ristrutturano (reintegrandoli) dentro il campo unificato
della percezione. Quindi una completa transizione tra
“strutturazione fuori”(distinzione) e “ristrutturazione
dentro”(reintegrazione) è possibile, essendo infatti la
sola possibilità.
Inizialmente, questo tipo di strutturazione si sviluppa
simultaneamente nelle due direzioni perché il nostro
intelletto, che distingue i particolari, e la nostra ragione,
che li riunisce, sono ancora congiunti. Fino a qui,
neanche un mondo interiore esiste; invece, la nostra
attenzione è completamente orientata in una direzione,
che oggi chiamiamo mondo esterno. Discuteremo nel
capitolo 4 sul come pensare questi “concetti”, come essi
simultaneamente strutturino il dato e lo rendano
comprensibile.
Nella prima forma del dato, quindi, le domande non
solo sono impossibili – in quanto non siamo ancora
capaci di distanziarci dall’intero strutturato del mondo
– ma anche innecessarie, perché a quello stadio il mondo
è intero e completo, e consiste solo di particolari che
“spiegano” l’un l’altro ininterrottamente senza lasciare
alcun buco. Il sistema di concetti fornito dalla lingua
struttura l’unificato, dato mondo percettivo. I soli
concetti che conosciamo sono quelli che la lingua ci
fornisce. I sistemi di dialettica e pensiero sono uno e lo
74
stesso; con parole di Humboldt, siamo nella fase
“energetica” dello sviluppo del linguaggio. In questa
fase i linguaggi non etichettano semplicemente qualcosa
che già esiste; essi piuttosto demarcano e definiscono
“delle cose”. I concetti indicano dove termina “qualche
cosa”, dov’è il suo confine, in quanto “nel dato non è
effettivamente presente alcuna entità distinta, ma ogni
cosa è in continua connessione”. Quest’affermazione si
riferisce ovviamente al “dato diretto”.
L’epoca o lo stadio di coscienza descritto sopra può
anche essere chiamato l’epoca della parola magica. Da
un lato, non esisteva separazione o distinzione tra
parola, concetto e “cosa”; dall’altro lato le persone
sperimentavano ancora il mondo nel suo vivo avvenire,
nel suo “arrivare” – e non solo nella sua forma finita e
immobilizzata nel livello di coscienza del passato. La
comunicazione tra esseri-Io tramite parola o parola-
canto era allora una immediata e spirituale interazione.
Per esempio, nella Kalevala (III Canto), la battaglia tra
Vajnemojnen e Joukahajnen, un test diretto del potere
dell’Io, è combattuto tramite canzone. Il più debole dei
due deve arrendersi al potere delle parole del più forte;
queste lo forzano nel corso di eventi che esse dettano o
predicono.
Se il primo sistema di concetti strutturante il mondo ci
viene dato dal nostro linguaggio, allora il modo in cui
questa struttura è costruita può divergere largamente,
perché le nostre lingue sono strutturate molto
3 – Prima strutturazione del Dato 75
diversamente. Ciò può anche essere osservato. Alcune
lingue, come il Tedesco, sono flessibili; cioè utilizzano
delle inflessioni. Altre, come il Cinese antico, sono
isolanti; cioè non utilizzano declinazioni, né
coniugazioni, né preposizioni, né suffissi; nemmeno
cambiamenti nella radice delle parole o classi separate di
parole, come i nomi, i verbi, gli aggettivi. Invece, in tali
lingue isolanti, le radici delle parole vengono
semplicemente stese in sequenza. La proporzione della
parte percepibile del linguaggio con la parte nascosta
differisce in questi due tipi di linguaggi. Le lingue
isolanti, comparate a quelle Europee, hanno in genere
meno parole e richiedono molta maggiore attività
interiore in complemento alla parte vocale, udibile del
linguaggio. Alcune lingue consistono interamente di
“verbi”, come per esempio quella degli Eschimesi
Nootka – ossia, contengono solo parole che
classificheremmo come “verbi” nei linguaggi Europei.
In quei linguaggi, ogni cosa, anche quelle che
esprimeremmo in nomi, è un avvenimento o un
processo. Circa i due terzi dei linguaggi conosciuti non
coniugano verbi per formare i tempi; strutturano il
tempo diversamente da come facciamo noi. In questi
linguaggi il tempo non ha la stessa idea che ha per noi.
I lati interni ed esterni dei linguaggi differiscono
enormemente; per esempio, i linguaggi poli-sintetici
degli Indiani d’America o degli Eschimesi, con le loro
giganti parole, che spesso devono essere tradotte in
76
lunghe frasi in una lingua Europea, sono totalmente
diversi da un linguaggio analitico come il Francese.
Come i linguisti hanno da tempo saputo, il linguaggio
modella il nostro pensare e quindi la struttura del
mondo nella prima fase della coscienza. Nonostante ciò,
i lati esterni ed interni di ogni lingua si complementano
l’uno con l’altro così che in ogni linguaggio non manca
niente; non c’è niente che non possa essere espresso in
una qualsiasi lingua.
Molte lingue non attribuiscono sesso ai loro nomi, o lo
fanno diversamente, per esempio, dai Tedeschi; possono
avere più o meno “generi” che i Tedeschi. Tali “difetti”
passano inosservati in quanto non sono veramente
mancanze. Che sia facile o difficile esprimere qualcosa
dipende dal tema e dal linguaggio. Per esempio, è più
facile discutere di filosofia dialettica in Tedesco che nella
lingua Hopi; parlare di elementari verità spirituali
riguardanti la natura e gli esseri umani è probabilmente
più semplice nella lingua Hopi.
Le due parti complementari della lingua, quella
percettibile e quella nascosta, si combinano per formare
un insieme comune a tutte le lingue. Questo linguaggio-
di-comprensione è proprietà condivisa da tutta
l’umanità. Ci permette di comprendere l’un l’altro
attraverso limiti linguistici e rende possibile la
traduzione – malgrado le sue limitazioni. Tuttavia,
comprendere l’un l’altro è più facile di tradurre. Questa
3 – Prima strutturazione del Dato 77
proprietà condivisa da tutta l’umanità è la sfera di un
pensiero superiore, un pensiero che trascende la lingua.
Differenze nella struttura delle varie lingue risultano in
differenze nella struttura del mondo. In accordo, la
prima figura data del mondo è differente in ogni
linguaggio. Per esempio, molte lingue suddividono lo
spettro del colore diversamente da come facciamo in
Italiano. Similmente, l’intero mondo interiore ed
esteriore è strutturato diversamente da una lingua
all’altra. In altre parole, una certa relatività appare nella
data figura del mondo: i particolari e le loro connessioni
variano col linguaggio.
Chiaramente, la prima data figura del mondo – quella
che precede l’indagine scientifica, non basata su quesiti
– non ci mostra la realtà intera perché essa è
contingente al nostro linguaggio. Possiamo raggiungere
questa realtà intera e completa solo superando il
pensiero condizionato dalla lingua. Ciò è reso possibile
dalla struttura dell’anima-coscienza, e dalla attività
cognitiva cosciente basata su quesiti.
Questi pensieri ed osservazioni ci conducono a quanto
segue. Da un lato, la nostra “organizzazione”, che
determina il dato, consiste del fondamento fisico dei
nostri sensi e del nostro pensiero, che ereditiamo ed
abbiamo a nostra disposizione quando veniamo al
mondo. Da un altro lato, questa organizzazione è
costruita anche dall’”educazione” delle crescenti forze
libere che rendono possibili le nostre facoltà
78
specificamente umane. Queste facoltà non sono
ereditate – un fatto che le scienze non hanno
propriamente preso in considerazione.
Indifferentemente dalla loro nazione d’origine, i
bambini possono imparare un qualsiasi linguaggio come
lingua madre. In questa primissima “educazione” delle
facoltà umane, il linguaggio – il parlare, la dialettica – è
importantissimo, in quanto determina in larga misura la
nostra prima organizzazione.
4 – Il Linguaggio della Realtà 79

4 – Il Linguaggio della Realtà

L’idea della realtà, come l’idea della cognizione, può


emergere solo nell’individuo che si pone delle domande.
Diverse idee possono essere associate con la parola
“realtà”, ma per gli esseri umani moderni essa si riferisce
inevitabilmente a una particolare sensazione che si
presenta categoricamente come qualcosa di reale. Da ciò
consegue – e facilmente possiamo sperimentare ciò – che
ci sono altri “dati” che non evocano questa sensazione e
che non sono quindi reali. Ma se non hanno qualità di
“realtà”, che qualità hanno allora? Per i moderni
pensatori questa è una domanda infruttuosa.
Sarebbe troppo affrettato identificare la sensazione di
realtà con quella di tangibilità; dopo tutto abbiamo
questa sensazione con molte cose che non sono tangibili,
come suoni, odori, calore, e così via. Non testiamo
sovente col tatto se ciò che vediamo sia reale.
Similmente, tutti riconosciamo dei campi di forza –
come l’economia, lo stato, o i nostri sentimenti – che
hanno spesso più grande potere su di noi di una cosa
tangibile, e che sono effettivi, cioè, reali. Comunque
nelle scienze naturali, come anche nel nostro pensiero,
trasferiamo queste “realtà” nel mondo della tangibilità,
che crediamo essere identica col mondo percettivo.
80
Infatti, questa sensazione di realtà deriva dal mondo
percettivo. Guarderemo ciò in maggior dettaglio nel
capitolo 5.
“Abbiamo esperienza” di certi elementi della coscienza,
per esempio pensieri e concetti, senza avere questa
sensazione di realtà. Ovviamente, quindi, la realtà
“sentita” non appare “reale” per via della sua natura
concettuale. Piuttosto, questa sensazione di realtà deve
essere attribuita alla parte non concettuale della
percezione. Comunque, ciò è applicabile solo oggi agli
esseri umani, e sarebbe sbagliato assumere che le
persone avevano percezioni e sensazioni simili nella fase
“energetica” della coscienza linguistica. Similmente, non
possiamo parlare di “verità” in senso moderno quando
parliamo di questa coscienza arcaica. La “verità” – in
relazione al mondo percettivo – sarebbe l’adeguata
intuizione concettuale sulla natura del mondo
percettivo. Questa intuizione – e cioè, la verità – non
evoca di per sé la sensazione di realtà; è invece
accompagnata da ciò che possiamo chiamare sensazione
di evidenza.
Questa sensazione di evidenza o di ovvietà,
caratterizza anche i giudizi puramente concettuali. Li
consideriamo veri quando sono “giusti” e quando si
“accordano”, non con un fenomeno del mondo
percettivo, ma con sé stessi, così evocando il sentimento
di “auto-evidenza”, e soddisfacendo quindi il pensatore.
Verità o evidenza come tali non possono essere definiti.
4 – Il Linguaggio della Realtà 81
Infatti, non possono nemmeno essere descritti, in
quando ogni affermazione che facciamo sul loro conto
dovrebbe essere identificata e sentita vera o evidente per
essere accettabile o concepibile. Tutte le teorie
riduzioniste che provano a ridurre la cognizione o la
comprensione a processi non-cognitivi o non-
comprensibili, come abbiamo visto nel capitolo 1, si
chiudono fuori.
Quando, meditativamente, penetriamo sotto la
superficie del dato, sperimentiamo che i concetti
controllano ogni cosa che percepiamo, fintanto che ciò
che percepiamo è un QUELLO, un qualcosa che
possiamo indicare, qualcosa che è definito e tracciato.
Come abbiamo visto inoltre, nella prima strutturazione
del dato, ogni cosa è concettuale senza eccezione: niente
rimane privo di penetrazione concettuale. Quindi la
prima forma del dato non è discutibile; i concetti
coprono il dato completamente, senza alcun vuoto
intervallo. Se nella moderna coscienza potessimo
ottenere una tale completa copertura, verità e realtà si
fonderebbero e diverrebbero una. Non sappiamo se
questo fosse il caso per le persone nei tempi arcaici, in
quanto non avevano né il concetto di “realtà”, né quello
di “verità”. Essi vivevano nella vera realtà senza cercarla
o discuterla. Le persone oggi discutono e cercano la vera
realtà solo quando l’hanno persa. Le persone in quei
tempi primitivi non necessitavano una sintesi di
percetto e concetto in quanto per loro questi erano
82
ancora uniti. Noi, ad ogni modo, li sperimentiamo
separatamente dati. (La storia di come questa vera
realtà è stata persa seguirà più avanti.)
Oggi i sentimenti sopra indicati – la sensazione di
realtà e l’esperienza di evidenza – determinano ciò che è
reale e vero. Tuttavia, è concepibile che pensiero e
percezione possano unirsi in una sintesi umana cosciente
e formare una realtà vera o completa.
Le due sensazioni si compenetrerebbero quindi, e la
sensazione di realtà sarebbe illuminata – come di solito
non è –, mentre la sensazione di evidenza non
rimarrebbe più astratta, ma si riempirebbe di calore e
vita divenendo percezione concreta. In altre parole, una
piena realtà emergerebbe dalla compenetrazione di una
percezione col suo – adeguato – concetto. Non
rimarrebbe quindi alcun quesito, ed il desiderio di
conoscenza sarebbe soddisfatto. Senza questa
compenetrazione di percetto e concetto, il dato rimane
discutibile; ovvero, necessitante di essere completato. In
riguardo alla realtà che percepiamo, né il dato percetto,
né il concetto, costituiscono di per sé la piena realtà. Né
l’unione originaria di questi due elementi nella coscienza
arcaica – dove i concetti del linguaggio strutturano il
mondo percettivo – né la loro nuova sintesi è additiva.
Piuttosto, sia il concetto che l’elemento percettivo
subiscono un cambiamento qualitativo quando si
compenetrano – qualcosa che possiamo sperimentare
ogni giorno, se poniamo attenzione.
4 – Il Linguaggio della Realtà 83

La Prima Realtà – Il Primo Linguaggio


La prima, piena realtà ci viene data interamente
nell’unione del percetto con un adeguato concetto, che
ha reso il percetto questo percetto. Difficilmente
possiamo lasciarci sfuggire che questa prima realtà è
relativa allo stato del mondo e dell’essere umano che
molte tradizioni hanno descritto, sotto vari nomi, come
il paradiso. Secondo tutte le genuine tradizioni, gli esseri
umani erano già dotati del dono del linguaggio. Che le
mitologie non parlino di “realtà” è solo naturale per uno
stato di coscienza nel quale i quesiti erano inesistenti.
Probabilmente, l’immagine esteriore che abbiamo del
paradiso – almeno per quanto riguarda l’assenza di
quesiti – è solamente una piuttosto radicale proiezione
nel passato di una condizione estrema, la cui immagine è
stata modellata sulle linee di una coscienza sempre più
“oscurata”.
Ci sono buone ragioni di credere che il mondo di oggi
non sia mai indubbio per i bambini, in ogni fase del
processo dell’apprendere a parlare. I bambini
sperimentano le parole molto più profondamente degli
adulti dai quali imparano. Per esempio, per gli adulti, le
designazioni degli oggetti naturali sono a stento più di
semplici nomi (vedi capitolo 2, “Riflessione sui
Concetti”). Quindi, quando gli adulti pronunciano
questi nomi, questi non sono più accompagnati da una
comprensione interiore. Così, similmente, i bambini non
possono più sperimentare questa comprensione. Per
84
contro, gli adulti comprendono pienamente ciò che
significhi la parola “ma”, anche se la maggior parte di
essi avrebbe probabilmente difficoltà a spiegarla.
Tuttavia, dal momento che comprendiamo questa
parola, il suo significato è accessibile anche ai bambini
tramite diretta intuizione in ciò che sentono. Quando i
bambini sentono gli adulti parlare di “cavalli” o “pini”,
comunque, essi non trovano una tale interiore
comprensione.
Il linguaggio ci ha passato parole che ora
comprendiamo solo in senso nominalistico. Tuttavia, ci
sono tre ragioni per le quali non dovremmo assumere
che, anche in origine, queste parole erano solo nomi
arbitrari per etichettare un fenomeno o un oggetto.
Primo, come abbiamo visto, i concetti del nostro
linguaggio strutturano inizialmente il mondo percettivo
– e solo tramite questi concetti possiamo percepire i suoi
particolari. Secondo, possiamo nominare solo cose che
sono già state concettualmente definite e tracciate. Dal
momento che riceviamo i nostri primi concetti tramite il
linguaggio, ogni “nominare” è superfluo. Terzo, studi
etnologici mostrano che l’attività umana non ha mai
prodotto delle nuove parole radice.
Quando incontriamo qualcosa di nuovo, utilizziamo
vecchie parole o radici di parole, probabilmente in
forma modificata, per nominare o descrivere la nuova
esperienza. Per esempio, gli Indiani Navajo descrivono
ciò che noi chiamiamo film, o pellicola, in una frase che
4 – Il Linguaggio della Realtà 85
significa “quelli che scorrono uno dopo l’altro”. Essi
chiamano elefante, per il quale naturalmente non c’è
alcuna parola originale nella loro lingua, “quello che
lancia un lasso col suo naso”(libera traduzione). Infatti,
anche nelle moderne lingue Europee utilizziamo vecchie
parole per nuove invenzioni, o utilizziamo parole
composte, come “televisione”, o adottiamo parole da
altre lingue.
In breve, non esiste alcun caso conosciuto di nuova
radice di parola che venga creata – nemmeno in tempi
moderni e senza contare, naturalmente, parole derivate
da vecchie radici, tramite contrazione per esempio.
Quindi tutti i termini per gli oggetti naturali, che per
noi oggi sono semplici nomi, erano, nella loro forma
originale o antica (tutte le parole hanno attraversato dei
cambiamenti), tanto significativi quanto parole come
“cucchiaio” o “oppure” lo sono oggi per noi.
I vecchi concetti-parole degli oggetti naturali, quindi,
venivano “compresi”. La struttura della coscienza
arcaica implicava, per le persone, sperimentare i
superiori, viventi e senzienti concetti – non potendo
essere abbassati al piano del passato della coscienza
moderna – in maniera sognante. Inoltre, l’arcaica
percezione era difficilmente, se non per niente, separata
dal “pensiero”, e poteva quindi, comparata alla nostra,
afferrare molta più natura. Nella struttura della
coscienza arcaica – e anche nei giovani bambini al
nostro tempo – il piano del passato non è ancora
86
abissato da quello del presente. Per questa ragione, esso
ha un carattere più sognante, mancante di nette
distinzioni. Esso è collegato, come per risonanza, con la
continuità dei livelli superiori della coscienza, che per
noi oggi sono nel superconscio. Le parole o i concetti-
parole in questa arcaica coscienza portano ancora in sé,
in vasta portata, dei percettivi sentimento e volontà per
mezzo dei quali il “concetto” – molto diversamente da
ciò che conosciamo come concetti – invia
profondamente le sue radici nel mondo percettivo,
toccando le idee creazionali della natura. Queste parole-
concetti sono connessioni – relazioni – nel mondo
percettivo, che lo strutturano. Questi non nominano
“oggetti”, ma sono piuttosto le relazioni tra ciò che in
seguito si separa in soggetto ed oggetto.
L’essere-Io ancora vive in un mondo unificato, nella
comprensione. Esso sperimenta il mondo e sé stesso
come comprensione, in una armonia – la più recente
musica delle sfere è una pallida riflessione di ciò –, segno
di una “comprensione” di ciò che il mondo naturale, il
cosmo, sta “dicendo”. E’ una comprensione dall’interno,
senza giustapposizione e senza una coscienza-Io. Le
grande idee della natura vengono sperimentate nella
comunione, e l’essere umano è inizialmente una di
queste idee. Nei linguaggi arcaici ogni parola è un
aspetto del mondo che struttura il mondo reintegrando
simultaneamente in una armoniosa unità i particolari
che sono distinti.
4 – Il Linguaggio della Realtà 87
Le parole che designavano oggetti in natura non erano
quindi solo dei nomi; essi erano anche più di veri
universali. Una specie per esempio, l’”acero rosso”, era
sperimentata con maggior realtà rispetto al singolo
albero. Per contro, “acero” è per noi il nome del singolo
albero, ed utilizzare questa parola per la specie ci
sembra una astrazione. Lo stesso valeva per
designazioni di oggetti naturali nelle favole e nei miti.
Infatti, anche nel Vecchio Testamento, il nome di una
persona è una realtà; “Amalek”, per esempio, non è un
termine generale o comprensivo, ma un’idea che da
carattere ai membri delle persone. Inoltre, “acero” (o la
corrispondente parola originale) significava anche una
funzione, una relazione con la terra ed il cielo, con altri
alberi, con l’aria, ed anche con gli esseri umani.
Designava un “carattere” che aveva un valore per
sentimento e volontà e anche altre qualità a noi
sconosciute che ancora “parlavano” alla coscienza
arcaica, collegando nella coscienza, gli esseri umani alla
natura.
Per definire oggi la coscienza arcaica dobbiamo
descriverla alternativamente nei suoi due aspetti di
percezione e pensiero, in quanto sperimentiamo ora
separatamente queste due funzioni. Ma l’essenza della
coscienza arcaica è che queste due funzioni sono ancora
unite, e le immagini mentali rappresentative non sono
quindi soggette al capriccio umano. Se il “pensare” è
vivo, colorato, caldo, saturato di sentimento, e pulsante,
88
il “percepire” viene allora transilluminato entro sé
stesso dall’ideale o ideante “pensare” ad esso insito e
non da istruzione alcuna; “percepire” quindi è già
strutturazione esterna e lettura d’insieme di ogni cosa,
inclusi gli esseri della natura conosciuti in ogni
tradizione. Se la natura parla ancora agli esseri umani, il
suo parlare deve venire da esseri che sono essi stessi
esseri-Io o che rappresentano esseri-Io – se questi ultimi
si sono già ritirati dal loro lavoro. La struttura dei sensi
arcaici sarà delineata nel capitolo 5.
Nella sua teoria della conoscenza, Rudolf Steiner allude
alla possibilità che percetto e concetto siano già uniti nel
dato. Ciò è infatti vero per la prima interamente data
immagine della realtà nella prima fase di sviluppo del
linguaggio. “Se ci fosse una totalità, in sé completa, nel
dato diretto, sarebbe allora impossibile, come anche
inutile, elaborarla [col pensare] nel processo di
cognizione. Piuttosto, accetteremo semplicemente il
dato per com’è, e saremmo soddisfatti con quella forma
... Se, nel contenuto-del-mondo, il contenuto-di-pensiero
fosse unito col dato fin dal principio, non esisterebbe
alcuna cognizione.”
In seguito alla discussione precedente, dobbiamo
riformulare questa frase come segue: Se, nel contenuto-
del-mondo, il contenuto dei nostri pensieri fosse unito
fin dal principio col contenuto della nostra percezione,
non ci sarebbe alcuna cognizione umanamente
elaborata. Considerando il capitolo 6 di Verità e
4 – Il Linguaggio della Realtà 89
Conoscenza, Steiner parla di cognizione come “attività
dell’Io ancora sconosciuta” che deve essere sollevata alla
coscienza con la teoria della conoscenza. Nella Filosofia
della Libertà Steiner scrive: “Sarebbe infatti quasi
impossibile per una mente ricevere il concetto
simultaneamente al percetto e non separato da
quest’ultimo. Una tale mente non considererebbe mai il
concetto come qualcosa separato dall’oggetto, ma
ascriverebbe al concetto una esistenza indivisibilmente
vincolata con l’oggetto.” La vita del pensiero arcaico
viene spesso descritta da Steiner come un “completo
donarsi”.
La prima realtà è data, ma data agli esseri umani, in
quanto nel mondo che gli dei hanno creato, l’umano è il
solo essere tramite cui l’idealità, la parola ed il concetto
come tali possono emergere e fiorire. Il mondo-Logos
attiene la sua prima realtà nel solo essere-Logos di questo
mondo.
La nostra contribuzione alla produzione della prima
realtà è interamente passiva; l’idea ed il percetto già
sono uniti quando appaiono nella coscienza. Il
linguaggio non solo partecipa alla configurazione del
dato, ma neanche può essere separato dalla data realtà.
E’ quindi superficiale dire che la realtà sia strutturata
come il linguaggio; i due lati del linguaggio sono
travestiti in percetto e concetto. I cambiamenti interni
nel linguaggio guidano gradualmente la coscienza
90
arcaica ad una interrogante; la conducono cioè alla
seconda realtà, il secondo linguaggio.

La Transizione al Domandare
Linguaggi differenti sostengono differenti sistemi
concettuali fuori dal continuum non strutturato del
dato diretto. Questi sistemi concettuali esistono nel
continuum non in uno stato preformato, ma come
“potenziale”. Percetti e concetti, inizialmente di discreta
congruenza, si manifestano negli esseri umani. Ciò
significa che l’attività cognitiva umana – che sia
cosciente o meno – dev’essere considerata parte della
realtà. Nella coscienza arcaica quest’attività non veniva
sperimentata separata dal suo risultato, l’immagine
della realtà. Nel capitolo 5 discuteremo sul perché ora
non abbiamo esperienza della nostra attività cognitiva
come parte della realtà.
A causa di profondi cambiamenti nella coscienza
umana, la prima realtà è stata persa. E’ difficile
descrivere le ragioni e le forze motivanti che stanno
dietro a questi cambiamenti senza utilizzare il
linguaggio dei miti. Nel Vecchio Testamento i
cambiamenti sono descritti come eventi della Caduta. I
cambiamenti ci hanno tagliato fuori dalla natura e dagli
esseri spirituali che ci ispirano e ci guidano. Come
risultato, siamo divenuti capaci di sbagliare e di peccare,
ed ora, nell’epoca dell’anima cosciente, dobbiamo
4 – Il Linguaggio della Realtà 91
scegliere il nostro nuovo percorso in quanto esseri
maturi ed emancipati.
Questo lungo processo si riflette nei cambiamenti nelle
nostre lingue, che hanno sempre posseduto il potenziale
per questo sviluppo. Il duplice aspetto del linguaggio
prefigura ogni altro dualismo, particolarmente la
divisione del percepire e del pensare. La struttura
discontinua dell’aspetto esteriore del linguaggio porta il
seme per tutte le ulteriori atomizzazioni. Allo stesso
modo, la parte nascosta del linguaggio contiene
l’immagine ed il potenziale per tutte le unificazioni e
sintetizzazioni, per tutte le “letture d’assieme”. La
dualità di percezione e atto interno ad essa
complementare – presente nel linguaggio – continua
nella dualità di oggetto e soggetto. E’ possibile oggi
rendersi conto che la comprensione e ciò che viene
compreso – i piani del presente e del passato nella nostra
coscienza – formano la basilare duplice struttura
dell’anima cosciente, che dà la possibilità alla coscienza
di riflettere su di sé.
I cambiamenti esterni, che considereremo per primi,
non sono limitati ad un linguaggio particolare, ma
interessano l’intera gamma delle lingue, incluse quelle di
solito classificate come arcaiche o primitive, come pure
quelle sviluppate o altamente flessibili. Questa gamma
di linguaggi è spesso erroneamente considerata come
consistente di stadi di sviluppo. Nel considerare
l’originale riserva di radici di parole e strutture
92
grammaticali, possiamo trovare perdite e segni di
deterioramento entro a un qualsiasi particolare
linguaggio. Ad ogni modo, l’emancipazione del pensiero
rende ogni linguaggio sempre più complicato, fintanto
che si vengono così a creare sempre più complicate
associazioni tra i pensieri nelle nuove e aperte aree del
mondo e della coscienza.
Se si comparano le lingue arcaiche con quelle più
“sviluppate”, si può notare che, mentre le ultime
crescono sia nel loro vocabolario che nella loro parte
percepibile ai sensi, la loro figura percettiva – come
anche la loro intera figura del mondo – perde sempre più
l’unità che aveva nelle lingue arcaiche. Sempre più, i
termini di connessione divengono semplici nomi per
cose; e le connessioni stesse vengono espresse sempre di
più nella parte percepibile del linguaggio, come per
esempio, tramite inflessioni, prefissi, suffissi,
preposizioni, e regole sintattiche. Le relazioni,
connessioni, e i concetti reali e superiori, comunque, non
possono apparire, e rimangono completamente nella
parte nascosta del linguaggio.
Più una lingua appare percepibile ai sensi, meno lavoro
interiore è necessario per complementarla. Come
risultato, la parte percepibile è meno permeata di vita e
sentimento. In ultima il linguaggio finisce per essere un
semplice veicolo di informazioni, e la dualità di “segno e
significato” si sviluppa di conseguenza. In altre parole,
questa dualità diviene sempre più pronunciata tanto
4 – Il Linguaggio della Realtà 93
quanto il pensiero si emancipa dal linguaggio. Abbiamo
“informazione” in riguardo a che cosa? In riguardo al
mondo, che è stato dato dapprima tramite il linguaggio
nella sua fase energetica, e che abbiamo poi costruito al
dì fuori [a partire] da questa primaria realtà.
Come cresce la moltitudine di particolari nello sviluppo
del linguaggio, le connessioni si perdono. Questo
sviluppo si riflette anche in cambiamenti nel
vocabolario; per esempio, le lingue arcaiche sono ricche
di verbi, e la predominanza di predicati dà a questi
linguaggi il loro carattere distinto. Nelle lingue più
moderne, comunque, nomi ed aggettivi predominano.
In aggiunta a questi cambiamenti “esterni” vi sono
anche importanti sviluppi nella parte nascosta di ogni
linguaggio. Le parole che ancora erano fluide nei primi
tempi, ed esprimevano connessioni, ora si seccano e si
stringono sempre più a semplici nomi di particolari.
Quindi, il particolare diventa discutibile [interrogabile],
non in riguardo all’universalità del concetto, ma
piuttosto nella sua sconnessione e nella qualità del suo
essere.
Quando svaniscono le connessioni dai nomi, e la
coscienza sperimenta nel suono della parola solo ciò che
è stato separato senza sua simultanea reintegrazione,
allora la domanda riguardante il come diventa urgente.
Il pensiero inizia a cercare connessioni, principi che
collegano i particolari, al di fuori dalla sfera data dal
linguaggio. Inizialmente, riteniamo la struttura del
94
mondo percettivo tramite le parole-concetti del
linguaggio, ma i concetti diventano gradualmente
semplici involucri di parole, e le connessioni si perdono.
Dobbiamo ritrovarle nuovamente tramite nuovi
concetti indipendenti dal linguaggio.
L’analogia della superficie suddivisa citata
precedentemente, può ancora essere utilizzata per
descrivere questa nuova situazione. I piccoli pezzi non
più si estendono sull’intera superficie completamente.
Invece, i concetti si sono contratti alla dimensione di
punti; cioè, sono divenuti interamente nominali. Le
rimanenti parti scoperte della superficie lasciano quindi
ampio spazio, ed impongono ragioni, per porre domande
– riguardo il mondo percettivo o riguardo le relazioni tra
i concetti-punto.
Gli esseri umani aggiungono ora i concetti che
connettono ad essi i percetti. Generalmente, non siamo
consapevoli che il mondo percettivo già è strutturato
tramite i rimasugli dei concetti-linguaggio, prima di
aggiungervi nuovi concetti. In ogni caso, sia nella prima
fase della coscienza che nelle successive, la realtà è
sempre creata tramite l’unione di percetto e concetto.
Inizialmente, questa unione era data; successivamente,
furono gli stessi esseri umani a dover determinarne la
sintesi. L’unione di percetto e concetto non permette
alcuna arbitrarietà; anche se siamo noi coloro che
raggruppano ed riuniscono gli elementi della realtà –
ovvero, lo strutturato percetto ed il concetto – facciamo
4 – Il Linguaggio della Realtà 95
ciò secondo la loro stessa natura. Aspettiamo per vedere
che emerga dall’unione di questi elementi. La facoltà di
formare concetti sta divenendo sempre più
individualizzata, e nel tempo viene formata sempre
meno dalla madre lingua – lo “spirito del popolo” – o da
stili culturali che trascendono il linguaggio, come lo stile
barocco – lo “spirito dei tempi”.
I concetti forniti dal linguaggio erano molto più che
semplici connessioni; erano realtà sentite, viventi,
volenti e sperimentate.
Lo sviluppo della coscienza insito nella pedagogia del
linguaggio – ogni lingua guida le persone che la parlano
ad una particolare configurazione di coscienza – può
causare alle parole-concetti di perdere la loro vita e di
divenire semplici nomi di cose al di fuori delle stesse
(eccetto per le congiunzioni, come “sebbene” ad
esempio). Ciò ci lascia aperti due percorsi, entrambi i
quali sono divenuti possibili solo per via della nuova
capacità di pensare indipendentemente dal linguaggio.
Un percorso conduce ai concetti logici, astratti, che
possono essere ridotti ad un minimo denominatore, così
per dire, tramite i concetti-parola di varie lingue,
potendo quindi essere tradotti. I concetti logici di
“acqua”, “eau”, “water” e “hydro” sono equivalenti, e le
parole così considerate sono intercambiabili. Tali parole
sono comunque diverse in tono ed in carattere ed anche
nel modo col quale possono essere applicate e connesse
ad altri nel loro rispettivo linguaggio. Ciò è ovvio
96
specialmente nella traduzione di poesie. Lo
strutturalismo chiama questo fenomeno la valenza o
valore delle parole. Deriviamo i concetti logici tramite
astrazione dai differenti valori delle parole; i concetti
logici, quindi, trascendono il linguaggio. Di
conseguenza, questi si collocano al di sotto dei concetti-
parola, in quanto sono più poveri. Quando i pensatori
iniziano a capire ciò, essi fanno ricorso al linguaggio –
per esempio, all’etimologia – per arricchire i logici
concetti astratti, per comprenderli meglio, per destarli
in vita.
Ma c’è un altro percorso. Levandoci al di sopra dei
concetti-parola possiamo raggiungere i concetti
meditativi o creazionali. Questi contengono tutti i
concetti-parola e li integrano. Tali concetti meditativi
sono quindi più ricchi dei concetti-parola. Essi abilitano
i concetti-parola ad unirsi in concetti logici – questa
impoverita unione è, per così dire, la loro astratta
riflessione diretta verso il basso. I concetti creazionali
già erano astratti nel Medio Evo; essi non erano più
sperimentati, ma solo afferrati come intuizioni di
pensiero. Come tali, essi erano chiamati universalia ante
rem*.

*
"Universali" prima della loro incarnazione nella materia. Nota di
Traduzione.
4 – Il Linguaggio della Realtà 97
Da questo punto di vista si possono identificare i
concetti logici come universalia post rem**; comunque, il
terzo tipo di universali*** non ha paralleli nella coscienza
moderna.
“Essere umano”, “anthropos” e “homo”, per esempio,
hanno ovviamente diverse valenze o aspetti. Il concetto
logico di queste parole è formato dalle esterne,
probabilmente fisiologiche caratteristiche dell’essere
umano, ma i concetti creazionali comprendono il
carattere della Parola – o Logos[Verbo] – di natura
umana, il suo insito archetipo, potenziale, libertà e
relazione col cosmo come una idea. Ovviamente questa
idea richiede una coscienza che si innalza molto al di
sopra della quotidiana coscienza. Giudicando dal solo
suono, non percepiamo una connessione tra le parole
“rosa”, “varda” e “gul”. Comunque possiamo forse
intravedere la loro comune idea creazionale dietro l’idea
della rosa bianca nel Paradiso di Dante (Par. 31. e 32.),
che è il “Trono dei Benedetti”.
La scienza occidentale ha preso il primo percorso sopra
indicato, quello conducente a concetti logici. Nel
processo, ogni altra cosa è stata esclusa. Le conseguenze
di questa scelta ci esortano ora a provare quell’altro
percorso, per bilanciare e guarire la nostra uni-lateralità.

**
"Universali," compresi dopo aver sperimentato la loro incarnate
realtà. Nota di Traduzione.
***
"Universalia in re," "universali" come idea funzionale secondo la
quale a una cosa è data la sua definizione concettuale mentre è in uso.
Nota di Traduzione.
98
La Seconda Realtà
Quando la prima data realtà svanisce, riteniamo solo i
suoi rimasugli e le sue rovine. Dobbiamo ora sforzarci
noi stessi di “rattoppare”. Il rattoppo è già intessuto di
concetti, ma questi non formano una rete priva di
cuciture. Come risultato, il mondo è divenuto aperto a
quesiti, interrogabile, discutibile. Simultaneamente il
linguaggio ci ha insegnato il segreto del pensare e
percepire strutturati. Ora cerchiamo di trovare concetti
appropriati per capire il mondo discutibile indipendente
dal nostro insegnante, il linguaggio. Vogliamo
reintegrare ciò che è stato separato al di fuori dal
continuum.
Ci sforziamo di penetrare completamente il dato con
comprensione e concettualità in modo da portare il
sentimento di realtà in coincidenza col sentimento di
verità: cerchiamo la “piena” o “vera” realtà. In altre
parole, siamo ora noi a creare la realtà, perché non
siamo più soddisfatti col sentimento o la sensazione di
realtà – almeno non in riguardo al mondo percettivo.
La relatività della prima realtà è dovuta alla madre
lingua; la seconda realtà comunque è strutturata
tramite nuovi concetti, concepiti indipendentemente dal
linguaggio. Ciò a sua volta relativizza la sintesi
dell’aspetto percettivo con quello concettuale della
realtà, ma allo stesso tempo “realtà” e “verità”
divengono idee dinamiche capaci di ulteriori sviluppi.
Viene lasciato spazio di gioco alla realtà percettiva ed al
4 – Il Linguaggio della Realtà 99
pensiero puro. Il nostro sforzarsi verso la conoscenza
non gravita verso delle predeterminate, assolute verità e
realtà; abbiamo piuttosto la possibilità di progredire da
“ovvietà” (aletheia, non-nascosto, non-occulto, parola
Greca per verità) a palese ovvietà, da luce a luce più
chiara, da idea a idea. Contribuiamo alla creazione del
mondo.
Ogni cognizione ci cambia, e dal momento che siamo
parte di una realtà, anche la realtà viene continuamente
trasformata. Creiamo la realtà futura – non solo in senso
di tempo futuro, ma nell’essenziale senso di nuovi inizi.
Come esseri-Io capaci di fare nuovi inizi e prendere
iniziative, possiamo raccogliere semi per il futuro.
Quindi, possiamo descrivere la libertà come
incondizionata, in quanto abilità di fare nuovi inizi non
contingenti su, e non necessariamente risultanti da,
l’esistente realtà. Come abbiamo visto, la cognizione
stessa è un tale inizio.
La contribuzione umana al dato è già celata entro il
dato, ma non è pienamente preformata. Altrimenti la
cognizione sarebbe una semplice formale, e non una
creativa attività che aggiunge qualcosa di nuovo alla
realtà che già “è”. In altre parole, la cognizione è essa
stessa realtà.
Nella prima realtà, guidata dalla nostra madre lingua,
strutturiamo e connettiamo il dato; nella seconda realtà,
seguiamo i concetti che abbiamo ora intuito
indipendentemente dal linguaggio. La realtà potenziale,
100
assopita e nascosta nel dato, è sempre attuata
dall’attività cognitiva umana; è produzione, non
riproduzione.
La nuova struttura della coscienza, che ci abilita a
porre domande, è basata sulla completa separazione dei
piani di coscienza del passato e del presente, di pensiero
e di pensare. Di conseguenza, quest’ultimo si è spostato
nella sfera supraconscia. Possiamo ora volgerci a porre
domande in entrambe le direzioni; infatti è questo il
compito dell’anima cosciente. Il nostro sguardo,
comunque, non volge ugualmente ed imparzialmente in
entrambe le direzioni; il piano superiore è interamente
nascosto al nostro sguardo interiore (vedi capitolo 8).
Esso non è da noi visibile. In principio non
investighiamo nemmeno il piano più basso, in quanto,
essendo nel piano del passato, non ci evoca sensazione di
realtà. Per questa ragione sperimentiamo il mondo
percettivo, o natura, in modo sempre più reale. Ciò ci
spiega perché, nella storia, i quesiti umani erano
inizialmente del tutto relativi alla natura.
Storicamente, i quesiti sulla coscienza nascono
solamente quando il modo “scientifico naturale” di
formulare domande (“di che cosa è fatto quello?” e
“come”?) diviene così radicato, che un diverso stile di
interrogare – appropriato ai problemi della coscienza –
diviene impossibile. Questa predominanza di un unico
stile interrogativo influenza anche i concetti che devono
penetrare i fenomeni naturali. Questi nuovi concetti
4 – Il Linguaggio della Realtà 101
hanno due distinte caratteristiche: primo, essi sono
contingenti solo su una parte, un aspetto parziale del
dato – per esempio, i concetti della meccanica sono
contingenti all’aspetto di mancanza di vita. Secondo, i
principi colleganti o concetti esplicativi sono dello stesso
tipo dei concetti che intendono collegare. Ancora, ciò è
tipico della meccanica; i suoi principi esplicativi non
leggono la realtà perché la struttura concettuale non è
più adeguata alla figura percettiva. Come risultato,
parte della figura percettiva rimane nonconcettuale, e
quindi non trasparente alla comprensione.
L’applicazione generale dello stille meccanico di
pensare e la predominanza della causalità meccanica,
nascono dal subconscio; essi non possono essere
logicamente giustificati. I moderni pensatori conoscono
a stento connessioni o cause diverse da quelle
meccaniche. Aristotele ancora era consapevole di altre
cause, come per esempio, la causa exemplaris, del
modello o esempio.
Siccome le connessioni meccaniche, come principio
esplicativo tra le cose, sono allo stesso livello delle stesse
cose, esse sono effettive e perfino convincenti, come per
esempio, la gravità come relazione tra la mela e la terra.
Comunque, quando il principio esplicativo rimane allo
stesso livello del fenomeno da spiegarsi, come in questo
caso, la spiegazione risultante non rappresenta mai
piena comprensione, non tale quale la piena
comprensione di un pensiero che non tralascia alcuna
102
ulteriore domanda riguardo un’affermazione; quando
non viene raggiunta alcuna comprensione, o solo un
capire limitato, possiamo continuare a porre domande
finché arriviamo a un pensiero puro – che è la normale
procedura in matematica. Comunque, nelle scienze
naturali facciamo ciò a scapito delle qualità, che in
questa procedura vengono perse.
La meccanica ed il pensiero meccanico stanno ad un
livello al di sotto del percepibile sensorio, semplicemente
perché cercano di ridurre tutte le qualità ad entità senza
qualità, a particelle e forze. Mentre la vecchia visione
del mondo era interessata allo scopo, la direzione, ed il
significato dei fenomeni – col loro “perché”, la loro
motivazione – il pensare meccanicistico si focalizza solo
su prove irrefutabili, “rigide”, sulle loro applicazioni, ed
il loro “come”, cioè, il loro meccanismo. Galileo per
esempio ridusse tutte le qualità a quelle di misura,
forma, numero, e movimento. Spiegò quindi queste
“qualità” – se ancora possono essere chiamate così – coi
concetti di forza, resistenza e velocità. Questi concetti
erano attinti ed adattati dal mondo vivente; ma lì
hanno un carattere intenzionale. L’antica scienza era
una scienza dell’essenza, mentre la scienza moderna ha a
che fare con meccanismi e trasformazioni.
Descrivere i processi matematicamente non è la stessa
cosa di comprenderli. Per una descrizione matematica
dobbiamo prima osservare un processo naturale (o
ricostruire il suo presunto corso) utilizzando un modello
4 – Il Linguaggio della Realtà 103
di esso come linea direttiva, potendo quindi descrivere
ciò che abbiamo osservato in simboli ed equazioni
matematiche. Abbiamo oramai preso due passi
acriticamente e perfino senza notarlo. Primo, la
“cognizione” ha già determinato ciò che dobbiamo
descrivere matematicamente, ma non abbiamo messo
epistemologicamente in discussione questo “ciò” (ad es.
in termini di una teoria della cognizione). Secondo,
utilizziamo simboli nella nostra descrizione matematica,
come quelli per la massa, la densità, la velocità, e così
via, anche senza averli esaminati o accertati
epistemologicamente. Quindi, le descrizioni
matematiche “di successo” attribuiscono spesso
concretezza ad entità che non originano nella nostra
osservazione del dato mondo percettivo – le entità
guadagnano o hanno concretezza a loro ascritta dal
“successo” delle descrizioni matematiche. Tali entità
sono spesso parte del nostro presupposto quando
formuliamo il modello, o ipotesi; ed in seguito siamo
portati a considerarle sempre più reali delle percezioni
con le quali siamo partiti.
Per un pensiero più o meno insano, gli ordinari quesiti
sulla realtà si focalizzano in due punti. Il primo riguarda
il mondo del pensiero: Sono le nostre idee e concetti già
pienamente formati nella sfera superconscia o in un
mondo spirituale, dal quale semplicemente li
“copiamo”, o dobbiamo noi stessi formare i nostri
concetti ed idee esternamente al mondo delle idee? Il
104
secondo punto e domanda riguarda il mondo percettivo:
La natura ed i suoi fenomeni sono già “lì”, esistono già
prima che possiamo cognizzarli?
Entrambe le questioni portano lo stampo di una
appresa ingenuità cognitiva. Inoltre, la prima domanda
origina da un incompreso Platonismo assumente il
“mondo delle idee” consistente di particolari finiti, idee
pienamente formate, che possiamo quindi “riprendere”
[portare giù] secondo necessità. In riguardo a ciò
possiamo imparare molto studiando una lingua
straniera che sia molto diversa dalla nostra. Possiamo
quindi sperimentare vividamente la relatività dei
sistemi concettuali. Per esempio ci sembra logico
coniugare tutti i verbi allo stesso modo: Io corro, Io
dormo, Io aspetto; tu corri, tu dormi, tu aspetti, e così
via. Ad ogni modo un diverso tipo di “logica”
considererebbe questa coniugazione completamente
illogica in quanto esprimente nello stesso modo fatti
molto differenti. Dopo tutto correre è una attività, come
potrei trattare allora linguisticamente alla stessa
maniera l’aspettare o il dormire? Ci possiamo esercitare
a correre – ma per aspettare e dormire? Ci sono infatti
linguaggi che prendono in considerazione queste
differenze ed hanno, conseguentemente, differenti
espressioni per esse.
Il mondo delle idee non consiste di idee predeterminate
perché, se questo fosse il caso, il loro numero sarebbe
limitato. Piuttosto, il mondo delle idee consiste
4 – Il Linguaggio della Realtà 105
nell’infinita possibilità – corrispondente alla nostra
capacità – di separare più e più idee esternamente a esso
stesso. Questo è ciò che facciamo non appena il pensiero
si è emancipato dal linguaggio. Se questo non fosse il
caso, non potremmo neppure capire le differenze tra le
lingue.
Riguardo la seconda domanda, la “natura” è, senza
dubbio, non creata da noi e dal nostro processo
cognitivo. La vera domanda è ciò che intendiamo per
“natura”. Ciò che chiamiamo “natura” ad un punto
particolare nel nostro sviluppo, sia come specie che come
individui, è già una particolare figura, alla cui creazione,
cosciente o incosciente, siamo stati partecipi. Ciò è vero
sia per la data figura percettiva che per la seconda,
cosciente comprensione cognitiva. Ogni cosa di cui
parliamo è sempre una figura che già contiene la nostra
attività. Sostenere, in questo senso, che la natura è già
esistita, sarebbe ingenuo; ciò implicherebbe che se delle
persone come noi avessero affrontato la data realtà della
natura prima di noi, essi avrebbero visto la stessa figura
della natura che vediamo noi, o almeno una
qualitativamente simile.
Vista come un testo, comunque, la natura è una lettera
che non abbiamo scritto noi – se l’avessimo scritta non
sarebbe per noi un enigma – e neppure sta venendo
scritta ora, in questo momento – le scienze naturali non
sarebbero possibili se ciò fosse così. Un testo è sempre un
testo interpretato; esso significa ciò che i suoi lettori
106
comprendono. Noi siamo o potremmo essere lettori della
lettera che la natura è. La nostra comprensione è una
realtà, una che non esisteva in precedenza. Per il
momento comunque, non è ancora chiaro se la natura
sia un testo o meno.
Il dato – la natura, il percepire, il pensare, l’attenzione,
e così via – è dato, senza alcun presente contributo da
parte nostra. Ciò è il significato del termine “dato” in
principio, nella sua forma estrema, al di là di una
epistemologia, cioè, senza alcuna strutturazione del
dato. Non appena abbiamo un’immagine mentale di esso,
comunque, il dato è strutturato; questo è lo stadio dei
particolari. Né questa struttura, né l’immagine del dato
esistono da noi separati. Dopo tutto, anche gli esseri
umani, nella loro “datità”, non sono delle loro proprie
creazioni. Invece noi diveniamo le nostre creazioni;
diveniamo quell’essere che noi stessi cognizziamo (non
ciò che immaginiamo o fantastichiamo).
Quindi, ogni cosa della quale parliamo o pensiamo, o in
riguardo a cui poniamo domande, è già una immagine
mentale, un elemento conosciuto, una struttura. Questo
è il potere ed il carattere fondamentale della parola, del
quale siamo di solito inconsapevoli. Dopo tutto, non
possiamo parlare di qualcosa che non conosciamo o che
non possiamo conoscere, e quando ci proviamo
comunque, portiamo sempre ciò che già conosciamo nel
nostro pensare. La “cosa-in-sé”, l’”inconscio”, la
“materia senza proprietà”, particelle elementari che
4 – Il Linguaggio della Realtà 107
possono essere suddivise infinitamente – tutto ciò è
testimonianza del fiasco sforzo di pensare l’impensabile,
il non-ideale, il non-similparola. Solo ciò che è
similparola esiste nel mondo del Logos. Nonostante ciò,
è in moto un’enorme tentativo di introdurre ciò che non
è similparola in questo mondo e quindi di distruggerlo.
Il dato è ciò che sempre “c’è stato”; è il residuo della
prima realtà o, per usare un’espressione religiosa, il dono
degli dei. Ciò di cui abbiamo esperienza, ciò che
percepiamo, pensiamo, conosciamo, immaginiamo, e ciò
di cui parliamo, non esiste da noi separato e mai lo fu.
Questa verità potrebbe sembrare superficiale; essa segue
tuttavia dall’intuizione che la cognizione non è un
semplice riprodurre, copiare, tradurre, o ripetere
qualcosa che già è esistito priore all’atto conoscitivo.
Parte della realtà appare a noi interna, cioè, l’idea.
Comunque, è difficile distinguere tra vera o piena realtà
ed il dato, specialmente il dato percettivo, perché un
sentimento di esistenza autonoma è senza dubbio una
caratteristica di questa parte della vera realtà (vedi
capitolo 5).
Quando ci domandiamo se il viola, la luna o l’unicorno
sono già esistiti prima che li conoscessimo, il nostro
vero, fondamentale quesito sta nel domandare se le
immagini mentali, figure, e sintesi di percetti e concetti,
sono già esistiti prima che li creassimo. La risposta è
chiara. Ciò che è “già esistito” priore alla nostra attività
108
è il dato; al di fuori di questo dato abbiamo separato i
nostri concetti e percetti e creato una sintesi.

La Terza Realtà
La struttura della vera o piena realtà è simile a quella
del linguaggio; percetto e significato, cioè, sono uniti dal
principio. Fintanto che il linguaggio non viene usato in
modo interamente meccanico, esso ritiene il carattere
della prima realtà. In altre parole, il suo aspetto
percettivo funziona come un segno; significa qualcosa.
Non appena questa realtà viene persa, comunque,
questa unità si disintegra nelle separate funzioni di
percezione e pensiero, le quali hanno avuto origine nel
linguaggio. Solo in questo modo possiamo divenire esseri
indipendenti, liberi; nella sfera del pensiero possiamo
trovare questa indipendenza.
Il mondo percettivo non è più un mondo di segni ma
diviene un mondo di oggetti, e diventa quindi discutibile
ed enigmatico per il pensiero. Il mondo percettivo
ritiene comunque per noi la sua sensazione di realtà, e
siamo quindi portati a crederlo nella sua piena e
completa realtà. Non ci rendiamo conto che questo
mondo percettivo ci è dato già intessuto di concetti,
anche se, insufficientemente, non coprono tutto il dato;
ecco perché per il pensiero questo è un problema da
risolvere. Il dato che ci è stato dato senza domande
esisteva già prima che ci fosse la nostra cognizione,
prima del nostro atto cosciente di cognizione.
4 – Il Linguaggio della Realtà 109
La seconda realtà è necessariamente insoddisfacente,
nonostante le promesse della tecnologia – che è basata
su questa immagine della realtà – di risolvere tutti i
problemi. Da un lato questa realtà è insoddisfacente in
parte perché non possiamo trovare le idee creazionali o
concetti funzionali nei fenomeni naturali – questi
possono essere raggiunti solo in piani superiori della
coscienza. Da un altro lato, non possiamo ritenerci
soddisfatti della cognizione e del cognizzante se non
focalizziamo la nostra attenzione sulle stesse funzioni
cognitive della coscienza, piuttosto che su ciò che è,
spesso scambiato per, il loro meccanismo. Come la
scienza dello spirito ci ha mostrato alla fine del secolo
scorso, in quanto persone moderne possiamo, ed infatti
per necessità dobbiamo, voltare la nostra attenzione in
questa direzione. La scienza dello spirito inoltre ci ha in
seguito presentato i dettagli e la metodologia per questa
nuova direzione della nostra attenzione, ma ad oggi le
persone li hanno a mala pena compresi e tanto meno
messi in pratica. Ciò nonostante non ci può essere alcun
dubbio che possiamo raggiungere la vera realtà solo
innalzando la nostra coscienza in entrambe le direzioni
della nostra vita cognitiva – formando cioè nel nostro
“pensare”, vivere, sentire e volere, delle idee che ci
permettono di percepire e leggere il mondo percettivo
come regno di segni. La vera realtà quindi verrà tramite
noi attuata, e sarà propriamente nostra. Discuteremo i
110
requisiti e le capacità necessarie per ottenere questa
terza figura della realtà nei capitoli 8 e 9.
Per superare il dualismo consciamente dobbiamo
praticare esercizi di coscienza che lo neutralizzino alla
sorgente nel collegare temporaneamente[con un ponte]
l’abisso che separa i due piani di coscienza che sono stati
sopra indicati. Ciò risolve anche l’enigma sul come, in
quanto individui liberi, possiamo creare qualcosa di
universale nella nostra cognizione e nelle attività su di
essa basate. Qui pure, il fenomeno del linguaggio ci può
servire come “modello” per fornirci nuove intuizioni.
Dopo tutto ognuno di noi utilizza il linguaggio in
maniera altamente individuale ed unica, ma il
linguaggio è ancora un fenomeno della comunità; è da
tutti condiviso e il suo contenuto è universale.
5 – Il Carattere della Realtà Percettiva 111

5 – Il Carattere della Realtà Percettiva

Il mondo percepibile ai sensi appare denso di quesiti


alla nostra coscienza interrogante; come questo mondo
sia divenuto discutibile è stato sopra discusso. Nel
processo, la sensazione di realtà e quella di verità si
separano; la prima rimane col mondo percettivo, mentre
il sentimento di verità si accende con le nostre
intuizioni, guidandole. La sensazione di realtà
accompagna anche la percezione che abbiamo degli
oggetti fatti dall’uomo. Comprendiamo questi oggetti
nella loro funzione. Il materiale di cui sono fatti,
comunque, è dato in natura o è una modificazione di
qualcosa dato in natura. Quindi, nella nostra percezione
di questi oggetti una parte di essi non è permeata di
concetti, e questa parte evoca in noi la sensazione di
realtà.

La Sensazione di Realtà – Osservazioni

Il miglior modo di fare queste osservazioni è con nuove


percezioni o con la comprensione intuitiva di nuove idee,
in quanto possiamo così studiare i processi nella loro
112
forma pura, senza alcuna mistione con altri processi
animici o abitudini.
1. L’elemento della percezione che “comprendiamo”, la
parte concettuale, il suo “che cosa”, giace allo stesso
piano della coscienza di tutti i nostri pensieri. Su questo
piano ci ricordiamo anche di ogni percezione come
figura mentale rappresentativa. Paragonate alle
percezioni, le figure non sembrano reali; esse sono di
sicuro fenomeni della coscienza. Le percezioni,
comunque, appaiono essere veramente lì, essere reali.
Inoltre possiamo in ogni momento ricordare o
immaginare mentalmente un paesaggio, ma possiamo
vederlo solo nel momento presente e quando esso è a noi
presente. Le nostre immagini mentali ed il nostro
pensiero, quindi, sono indipendenti da tutti i fattori
esterni, ossia, da tutti i fattori percettivi. La percezione
comunque, non dipende solo da noi. Il fenomeno della
percezione, quindi, ha il carattere del presente da un
lato – nell’incomprensibile passato – e il carattere del
passato dall’altro lato – nella sua concettualità.
La percezione ci mostra sempre qualcosa “di più”, e
questo è precisamente ciò che sembra essere la sua parte
non concettuale. Ciò può comunque sembrare una
illusione, in quanto l’elemento che sperimentiamo è solo
l’aspetto che non concepiamo concettualmente: cioè, la
differenza tra il percetto e l’immagine mentale. Questa
incomprensibilità non implica necessariamente che ciò
che non afferriamo sia effettivamente nonconcettuale.
5 – Il Carattere della Realtà Percettiva 113
Passare a quella conclusione ci ha portato dal
nominalismo al materialismo, il quale è persuaso che
solo il nonideale o il nonconcettuale esista e sia “reale”.
Invece, possiamo attribuire l’incomprensibilità del
percetto all’incapacità della nostra moderna coscienza
nell’afferrare concetti viventi, senzienti, e volenti – in
breve, superiori. I concetti che comprendiamo, e che
anche la nostra memoria si raffigura, appartengono al
piano del passato, e questo è il motivo per il quale essi
non ci suscitano il sentimento di realtà.
2. Per sperimentare qualcosa come reale esso dev’essere
presente nello spazio e nel tempo. Il presente temporale,
un punto tra il futuro ed il passato, è di difficile
comprensione. La presenza spaziale anche, non è facile
da comprendere; ad esempio, dobbiamo solo chiederci
quanto possa da noi distare un oggetto per poterlo
ancora considerare “presente”. Questa domanda,
comunque, riduce il problema al raggio d’azione dei
nostri sensi, e ciò non ci è di aiuto, in quanto possiamo
così solo dire di percepire ciò che percepiamo.
Applichiamo tuttavia “correttamente” questi concetti
incomprensibili e li comprendiamo quando vengono
usati (per esempio, con le congiunzioni); ciò ci indica la
sfera superconscia, la sorgente di tutte le capacità e
abilità umane, che abbiamo considerato nella nostra
discussione dei concetti (Vedi Capitolo 2, “Riguardo i
Concetti”). Questa fonte superconscia è la parte
spirituale della nostra anima. Abbiamo chiamato livello
114
del presente quello più inferiore di questa parte; esso è
identico col piano dell’immaginazione.
Possiamo sperimentare l’esistenza e la realtà di questa
presenza in molti fenomeni. Per esprimere un nuovo
pensiero nel tempo e nello spazio, ossia nel parlare o
nello scrivere, dobbiamo prima avere “anticipatamente”
il pensiero per essere in grado di trovare delle parole
appropriate e per poter costruire appropriatamente le
nostre frasi. Non siamo pienamente coscienti dei nostri
pensieri e non li comprendiamo completamente fino a
che non li esponiamo in parole. Ciò nonostante, per
poterlo esprimere, dobbiamo “concepire” per primo il
pensiero. I destinatari della nostra comunicazione
devono quindi effettuare l’opposta operazione. Per
comprendere il pensiero che stiamo trasmettendo, essi
devono rendere “simultaneo” ciò che appare nel tempo e
nello spazio come sequenza discontinua o
giustapposizione. Sia il mittente che il destinatario
toccano il piano del presente. Anche se il contenuto della
comunicazione nel corso di una frase si rivela nel tempo
o nello spazio, esso è comunque sempre “simultaneo”,
un’unità. Nel processo di venir espresso, esso viene
separatamente portato nel mondo temporale-spaziale
dei nostri sensi.
Infatti il contenuto è tanto eterno[senza tempo] quanto
la sua sorgente. Quindi l’essenziale o eterno presente è la
sorgente da cui affiora la dualità congiunta di spazio e
tempo – in sé non comprensibile –, nel momento in cui
5 – Il Carattere della Realtà Percettiva 115
la sorgente viene riflessa, e non più sperimentata tale
com’è. In seguito alla concezione senza tempo del
significato di una frase, la sorgente stessa si ritira nella
sfera superconscia. Chiamiamo tempo e spazio i
frammenti di essa che appaiono al livello del passato.
Come possiamo vedere nel concetto di tempo, solo il
passato ha significato; il presente (“adesso”) ed il futuro
possono solo essere immaginati, rispettivamente come
un punto e come una continuazione della “linea
temporale”. Siccome il passato è “passato”, non
possediamo più la realtà nel tempo; il sentimento di
realtà ha una sorgente esternamente al tempo: nella
essenziale presenza.
Un’attenta osservazione rivela che la dimensione
spaziale è senza tempo, mentre la dimensione temporale
è fuori dallo spazio. Non possiamo percepire
direttamente il tempo, ossia il movimento, il processo, e
il cambiamento. Percepiamo solo la cosa che viene
mossa, mentre un processo o un cambiamento si svolge.
Questa presenza è anche la sorgente del sentimento di
verità o evidenza, che è tanto importante nella nostra
vita quanto la sensazione di realtà. Questa sorgente
viene toccata in tutte le nostre affermazioni ed è a tutte
queste di supporto.
Quindi, il processo della percezione consiste di un
elemento passato e di uno presente. Il primo appare
nella concettualità del percetto e nelle nostre opzioni di
sua rappresentazione mentale, entrambe le quali
116
partecipano al secondo e a tutti i successivi atti
percettivi dello stesso contenuto. L’elemento del
presente appare nel sentimento di realtà che
accompagna la percezione.
3. La “Presenza” si accende anche nel pensiero
intuitivo e nella comprensione. Comunque, per via del
carattere fulmineo e sfuggente dell’intuizione – la sua
immediata estinzione – non percepiamo i pensieri come
“reali”. Siamo coscienti solo dei risultati dell’intuizione,
nel piano del passato. Nel nostro pensare ci sforziamo
d’intuire, mentre la percezione sembra più essere data,
anche se certo richiede la nostra attenzione.
L’attenzione pensante e l’attenzione percipiente
differiscono in quanto la nostra attenzione è molto più
auto-cosciente nel pensare che nel percepire. La ragione
di ciò è che la nostra auto-consapevolezza è una
consapevolezza pensante; si risveglia nel pensiero.
C’è un’altra differenza tra pensare e percepire. La
sensazione di ovvietà o auto-evidenza che si accende
quando comprendiamo, è altamente differenziata,
concreta e adattata alle molteplici possibilità di
comprensione. In contrasto, la sensazione di realtà nella
percezione viene avvertita come indifferenziata, o
ottusa, precisamente perché la sperimentiamo nella non-
comprensione. Questa esperienza è molto simile a quella
del senso del tatto.
4. Si può osservare che entrambi i piani del passato e
del presente partecipano nella percezione e nella
5 – Il Carattere della Realtà Percettiva 117
comprensione, anche se in modi diversi. La vita della
nostra anima oscilla in entrambe queste funzioni
cognitive, tra i due piani. Quando comprendiamo
qualcosa tramite il pensare, la vita della nostra anima
tocca appena il piano superconscio del presente e rimane
poi nel piano del passato fino al successivo atto di
comprensione. Quando percepiamo qualcosa,
comunque, questo pendolo interiore o oscillazione tra i
piani continua fintanto che stiamo percependo
attentamente. Nella percezione possiamo sperimentare la
fase dell’arresa a ciò che percepiamo, più intensamente e
non solo momentaneamente – e sperimentare anche il
definitivo ritorno della coscienza a sé stessa. Questo
ritorno coincide con l’assimilazione concettuale di ciò
che abbiamo provato mentre venivamo arresi alla
percezione.
Queste due fasi dell’attività della coscienza differiscono
anche nel loro livello di veglia, o autocoscienza. Nella
fase di venir arresi alla percezione, l’auto-
consapevolezza è addormentata; si risveglia solo nella
seconda fase. Eccetto per casi speciali, come le
percezioni artistiche, o quelle compiute per via di
esercizi di coscienza, i due piani si alternano molto
velocemente l’uno con l’altro. Inoltre, quando veniamo
arresi alla nostra percezione possiamo notare che la
prima fase è simile all’inalazione – come per stupore –,
mentre la comprensione, la seconda fase, è in relazione
all’esalazione – come per nominare le cose.
118
5. Nel venire arresi a ciò che percepiamo, non siamo
consapevoli di noi stessi, e ciò vale anche durante l’atto
di intuizione. Infatti, più ci “dimentichiamo” di noi
stessi, più intenso sarà il nostro atto cognitivo. Il
risultato dell’intuizione nel pensiero è il compreso, col
quale la coscienza si risveglia. Il risultato della
percezione è sia il “che cosa” di ciò che abbiamo
percepito – che è il concettuale e può avere origine nel
nostro pensiero intuitivo – sia il sentimento che il
percepito è reale.
6. Ulteriori confronti rivelano che, nel pensare,
abbiamo a che fare solo con la nostra attenzione; questa è
tutto ciò che è richiesto per l’effettivo pensare. La
percezione, comunque, richiede l’attività di un organo di
senso in aggiunta alla nostra attenzione. Di solito, le
persone considerano solo l’organo di senso, anche se
un’intuizione fondamentale per una teoria della
percezione sensoria è che, – come tutti notiamo di
frequente – anche se gli organi di senso sono recettivi,
non percepiamo cosa alcuna, a meno che non “vi” sia
pure la nostra attenzione. Anche se tutti i processi fisici
e fisiologici necessari hanno luogo negli organi di senso e
nella parte del sistema nervoso ad essi connesso, ancora
non avviene percezione senza l’attenzione. Questi
processi possono essere necessari per la percezione, ma
essi non sono in sé sufficienti per farla avvenire.
Il nostro pensare è accompagnato anche dai processi
fisiologici nel cervello. La sorgente di questi processi,
5 – Il Carattere della Realtà Percettiva 119
comunque, non è nell’ambiente esterno; essi vengono
attivati dallo stesso pensare. Come abbiamo discusso nel
capitolo 1, credere che questi processi siano il nostro
pensare o la sua causa ci condurrebbe semplicemente ad
un sistema di input/output. Ciò solleva la questione
dell’origine dell’input; ossia, dovremmo chiedere che
cosa metta inizio o controlli i processi fisiologici nel
cervello. In questo modello basato-sul-cervello, la
“logica” corrisponderebbe ad un ordine fisiologico
legale; in questo caso, non potremmo parlare né di
“logica”, né di leggi fisiologiche, in quanto esse
entrambe richiedono un punto di riferimento, un
soggetto, indipendente dalla fisiologia.
7. Le due sensazioni che abbiamo discusso, quella di
evidenza, e quella di realtà, non possono essere provate,
né lo può essere il loro contenuto; tale prova non è
possibile né necessaria. Qualcosa a noi auto-evidente
non può essere, oltre a ciò, ulteriormente provato e non
possiamo, e non necessitiamo di, provare l’esistenza di
qualcosa che il nostro senso di realtà ci dice essere lì. Nei
nostri tentativi di sviluppo di tali prove, faremo ancora
ricorso solamente a quei due sentimenti, che stiamo
cercando di dimostrare.
La sensazione di evidenza ci dà un livello di certezza
nella cognizione che non viene mai raggiunto nella
percezione. L’asserzione che “il metodo induttivo non
conduce mai a certezza nella conoscenza” sta alla base di
tutte le moderne teorie scientifiche. Questa massima
120
dovrebbe tuttavia essere accettata come certezza
incontestata – il che mostra che, nel pensiero, l’evidenza
può effettivamente condurre a risultati certi, definitivi,
un fatto che viene spesso ignorato e perfino negato.
Questa sensazione di evidenza si applica a ciò che è
impercettibile ed immateriale. Per contro, il senso di
realtà sembra applicarsi soprattutto al regno materiale.
Una più attenta esaminazione, comunque, mostra che
ciò che i nostri sensi ci mediano – le qualità sensorie, la
forma, o il concetto (cioè il “cosa” del percetto), e
perfino la sensazione del percetto nel senso del tatto –
sono anch’esse “immateriali”.
Il sentimento di realtà origina nella parte che non viene
trasmessa dai sensi, la parte che chiamiamo,
giustamente o erroneamente, il “materiale”. In altre
parole, non sperimentiamo il percetto come reale in
quanto esso, come un “cosa”, come concetto, giace nel
piano del passato: ma crediamo che il percetto esista
perché abbiamo provato un senso di realtà mentre lo
percepivamo.
E’ facile vedere che i nostri sensi più alti “leggono”
qualcosa di immateriale a partire dal “materiale grezzo”
fornito dai sensi più bassi – per esempio, i suoni parola, i
pensieri, e l’identità di un (altro) Io. Siamo vagamente
consapevoli che lo stesso valga per i sensi intermedi, e
ciò induce le persone a credere che le qualità secondarie
trasmesse dai sensi siano semplicemente soggettive ed
irreali. A partire dal tempo di Galileo, solo quelle qualità
5 – Il Carattere della Realtà Percettiva 121
che sembravano accessibili al senso del tatto vennero
considerate come primarie, “reali”; naturalmente, anche
questa osservazione è incorretta. Infatti, il nostro senso
del tatto ci trasmette delle tali indifferenziate
impressioni che possiamo dire che, di per sé, non
trasmette cosa alcuna eccetto il punto nel quale il nostro
corpo tocca un’oggetto. Percepiamo le qualità
dell’oggetto, come la sua ruvidità, la durezza, e così via,
solamente con l’aiuto di altri sensi, come il senso del
movimento ad esempio.
8. Le percezioni sono spesso connesse coi sentimenti.
Per la maggior parte, questi sentimenti sono “auto-
sentire” o “auto-provare” e non sono cognitivi: esempi
ne sono i desideri, le simpatie, l’odio, l’invidia. L’altra
parte è “cognitiva” e sente il “quello” lì fuori, come per
esempio anche nella passiva attività artistica o nel
sentimento di evidenza. I sentimenti cognitivi vengono
risvegliati anche negli esercizi cognitivi. Entrambi
questi sentimenti – auto-sentire e sentimento cognitivo
– sono “potenti” perché non appaiono nel piano della
coscienza del passato. Ecco perché i pensieri sono
impotenti sui sentimenti auto-senzienti, che appaiono
tanto inevitabilmente quanto i percetti. I pensieri
possono alludere appena a ciò che i sentimenti cognitivi
trasmettono, se non sono addirittura del tutto
insufficienti a descriverli.
In confronto ai due sentimenti appena descritti, il
senso di realtà sembra essere una terza qualità.
122
Osservandolo con intensificata attenzione, vediamo che
il senso di realtà non appare durante la prima fase di
percezione, quando veniamo arresi all’oggetto di
percezione. Durante questa fase, siamo un tutt’uno con
l’”oggetto”, che così chiamiamo in seguito. In questa
prima fase siamo ancora tutt’uni con esso, in realtà,
senza tuttavia notare ciò. Questo stato è simile a vivere
in una realtà sognante senza rendersene conto. Questa
fase della percezione è una rimanenza del gesto animico
nella “prima” realtà.
Nella seconda fase della percezione, quando siamo
pienamente coscienti, “entro noi stessi”, e “sappiamo”
concettualmente ciò che percepiamo, sperimentiamo la
realtà in contrasto a qualcosa di irreale. La prima
esperienza irrompe quindi, da un lato col sentire sé stessi
entro il corpo, da un altro lato col sentire la realtà che
pertiene agli oggetti a noi esterni. Entrambe queste
sensazioni sono solo vaghe.
Lo smembramento della nostra “prima” esperienza
della realtà ha determinato la configurazione del tatto,
ossia l’indifferenziata sensazione della superficie del
nostro corpo e della superficie dell’oggetto. Avendo
cognizione di ciò, siamo portati ad osservare l’esperienza
del tatto.
9. Di tutti i nostri sensi, il senso del tatto è il più auto-
senziente; ossia nel toccare sentiamo l’organo di
percezione. Sappiamo con che parte del nostro corpo
stiamo toccando qualcosa. In contrasto, possiamo
5 – Il Carattere della Realtà Percettiva 123
osservare la funzione degli occhi e delle orecchie solo
tramite esperimenti guidati dal nostro pensiero.
Di conseguenza, il senso del tatto ci “dice” quasi nulla
riguardo a ciò che viene percepito, eccetto che esso è un
“non me”. Il senso del tatto ci mette a confronto con un
mondo fuori di noi stessi.
Ciò che il senso del tatto trasmette è estrema alterità
[opposizione o distinzione a/da qualcos’altro] e non può
quindi entrare nella nostra anima immediatamente.
Ogni altro senso ci comunica una più profonda
“immersione” in ciò che viene trasmesso; il senso del
tatto, comunque, ci rende consapevoli dei confini del
corpo. Nel senso del tatto, l’equilibrio tra l’informazione
in riguardo a ciò che viene percepito e l’auto-senzienza –
che possiamo facilmente accertare per tutti i nostri sensi
– tende verso estrema auto-senzienza. In termini di
“egoità” o auto-senzienza, il senso del tatto detiene il
primo posto tra i sensi. Come accresce l’intensità del
tatto, il processo diviene più doloroso, sino al punto di
ferire.
Eccetto per i sensi più alti, che assimilano il materiale
fornito dai sensi intermedi, tutti gli altri sensi possono
venir lesi, ed il loro normale funzionamento
scombussolato per eccessiva stimolazione.
Questo scompiglio è quasi sempre dovuto ad influenze
fisiche. Ciò significa che in tutte le attività sensoriali (ad
esclusione dei tre sensi superiori), i sensi più bassi, che
monitorizzano e regolano le condizioni del corpo –
124
soprattutto il senso del tatto – sono ad un certo livello
risonanti, e conseguentemente interessati. Potremmo
non essere consapevoli di questa cooperazione tra i sensi
se l’organo individuale non viene interessato più
intensamente del normale; ciò nonostante essa è
presente. Per via di questa partecipazione dei sensi più
bassi, anche tutti gli altri sensi forniscono auto-
senzienza in aggiunta alle qualità percettive che
trasmettono. Più sono coinvolti i sensi inferiori, meno
differenziata ed espressiva sarà la nostra percezione.

Il funzionamento dei Sensi Umani


Sulla base delle precedenti e seguenti osservazioni
possiamo riconoscere che i sensi sono delle formazioni
composte, consistenti di un organo di senso, il cui
veicolo fisico possiamo identificare più o meno
esattamente, e della nostra specifica, qualitativamente
differenziata attenzione, che viene istruita nella prima
infanzia tramite concetti superiori. I bambini, cioè,
imparano ad essere attenti a qualità, come il colore ad
esempio.
Fintanto che il mondo sensorio e le sue cose consistono
di qualità, particolari (“quello”) invece che di
“sostanze” – in altre parole, fintanto che sono
configurazioni, che “sono così”, essi sono simil-idea –
possiamo percepirli e conoscerli con l’attenzione del
nostro essere-Io, che è adatta e qualificata a percepire
configurazione, qualità-così, ed idee. Gli organi di senso
5 – Il Carattere della Realtà Percettiva 125
di per sé, da un altro lato, non sono capaci di
cognizzarle, perché l’idealità può essere cognizzata solo
dallo spirito umano, dall’Io. Perfino gli elementi delle
cose, le qualità sensorie, sono ideali; la nostra istruita
attenzione quindi è ovviamente il veicolo di tutte le
nostre percezioni. Gli organi di senso, quindi, hanno una
funzione diversa, una che è indispensabile per la
percezione cosciente. Dopo tutto, la nostra attenzione e i
nostri organi di senso devono lavorare assieme perché la
percezione cosciente si verifichi.
I processi fisici-fisiologici negli organi di senso
corrispondono più o meno al contatto fisico nel senso del
tatto.
Anche i processi che avvengono nel cervello quando
stiamo pensando corrispondono al tatto. Comunque
questi processi sono messi in moto solo dal pensiero
stesso. Questi processi che avvengono nello specchio
cerebrale, allo stesso tempo, immobilizzano ed
ottundono il pensiero intuitivo, che affonda candendo
nel piano del passato. Più intuitivo è il pensiero, meno
tracce esso lascerà nel nostro organismo fisico, più
libererà sé stesso dal corpo.
Noi non percepiamo i processi fisici nel cervello o negli
organi di senso; questi non sono parte dei nostri pensieri
finiti o delle nostre percezioni. Eccetto per stadi
superiori di percezione e cognizione, diveniamo
normalmente consci dei nostri pensieri finiti solo mentre
vengono rispecchiati. Come abbiamo discusso, gli stessi
126
pensieri non possono aver origine nello “specchio”.
Possiamo quindi scoprire, nel processo di divenir consci
del nostro pensiero, un sottile tipo di “toccare” che
evoca l’auto-senzienza, anche se molto più finemente del
toccare fisico.
Per esaminare queste relazioni nella percezione
dobbiamo studiare le sue due fasi separatamente.
Entrambe le fasi della percezione influiscono sugli
organi di senso, e, nella seconda fase, l’attività
concettuale da anche inizio ai processi nel cervello che
accompagnano il nostro pensare. Questi processi non
causano la sensazione di realtà perché questa non sorge
mai senza percezione. E nemmeno essa origina nei
processi degli organi di senso; se così fosse avremmo già
la sensazione di realtà nella prima fase della percezione,
e persino in assenza di attenzione. Quindi, i processi
fisiologici, che causano immobilizzazione ed ottusità,
non possono evocare la sensazione di realtà. Dopo tutto,
come qualcosa di presente, la sensazione di realtà non è
per definizione immobilizzata, ottusa, o riflessa – se lo
fosse, non ci darebbe l’impressione di realtà.
La sensazione di realtà – si può osservare – si sviluppa
nella seconda fase della percezione, quando la vita della
nostra anima è “entro noi stessi”. In questa fase, i nostri
istruiti sensi, o le nostre attività di associazione o
rappresentazione mentale, formano concetti, e li
aggiungono al mondo percettivo. Questi concetti
sviluppati in tempi moderni sono semplicemente
5 – Il Carattere della Realtà Percettiva 127
concetti sostitutivi, semplici nomi e figure mentali. Il
piano del passato della nostra coscienza rifiuta, filtra o
“argina” i concetti superiori della natura e quelli dei
materiali degli oggetti artigianali (vedi capitolo 2,
“Riguardo i Concetti”); ma non li immobilizza – infatti,
non possono essere immobilizzati precisamente perché
sono concetti superiori. *
Questi potenti concetti non fanno ingresso nel piano
del passato. Eppure quello che ci siamo lasciati dietro
rimane vivo e ritiene il suo carattere di “presenza”;
incontra lo stesso destino di tutte le inspirazioni
superiori e possibilità che non afferriamo, anche se
potremmo.

La Sorte delle Idee Superiori


In passato le persone non percepivano la sfera del
mondo tanto reale quanto la percepiamo noi.
Simultaneamente, avevano una completamente reale
esperienza degli dei. Molto più tardi, gli universali
furono considerati delle realtà fondamentali, anche se le
persone non più li comprendevano funzionalmente
quando venivano utilizzati come concetti della natura.
In quei tempi, ciò che appariva essere reale, ma era privo
di concetto, veniva chiamato “maya” o illusione. Ciò che
allora veniva chiamato illusione è identico a ciò che
prendiamo ora per solida realtà.
*
Vedi Kuhlewind, La Vita dell’Anima(The Life of the Soul), capitolo
2. Vedi nota 46
128
Parola e mondo sono uno e lo stesso nella prima fase
dello sviluppo della coscienza, la quale ha duraturi
effetti percepibili nei bambini perfino nella nostra
epoca. Per esempio, i bambini e la maggior parte degli
adulti, trovano facilmente via di ritorno nel mondo delle
fiabe, specialmente se le fiabe vengono raccontate con
interiore immaginosa convinzione. Ogni volta che la
letteratura stimola ed evoca la nostra simpatia,
abbiamo un segno che la magia del mondo funziona.
Lo stadio del mondo che veniamo poi a conoscere,
consiste di spazio e tempo, gli appena afferrabili
frammenti della prima, unificata esperienza del mondo.
Ciò viene rivelato dal fatto che non possiamo trovare né
luogo né momento quando o dove il mondo diviene un
percetto. Dopo tutto, nello spazio e nel tempo possiamo
trovare solo processi spazio-temporali che già sono
percetti. Non possiamo accertare quando e dove questi
processi “cambino” in processi di coscienza,
semplicemente perché questi ultimi non hanno origine
dai primi, ma sono attività indipendenti.
Il grande cambiamento nella nostra esperienza della
realtà avviene gradualmente, mentre si forma l’abisso
tra il piano del presente e quello del passato. I processi
di coscienza si imprimono sempre più profondamente
nell’organismo fisico, dove causano processi fisiologici di
intensità crescente. Come risultato, i processi cognitivi
(l’attenzione) vengono mitigati e riflessi:
5 – Il Carattere della Realtà Percettiva 129

Conformemente con la loro natura originaria,


le immagini mentali [qui: idee] sono parte della
vita della nostra anima, ma non possiamo
divenir coscienti di esse nell’anima, a meno che
l’anima non utilizzi coscientemente i suoi organi
spirituali. Fintanto che resta vivente la natura
originaria di queste immagini mentali, le
immagini stesse rimangono inconsce nell’anima.
L’anima vive in esse, ma non può di esse sapere
cosa alcuna. Per divenir esperienze coscienti
dell’anima per la coscienza ordinaria, le
immagini devono ridurre la loro vita. Tale
riduzione si verifica con ogni percezione
sensoria. Quindi, ogni volta che l’anima riceve
una impressione sensoria, la vita delle immagini
mentali viene soggiogata, e l’anima sperimenta
consciamente questa soggiogata immagine
mentale quale veicolo di cognizione di una
realtà esterna.

Secondo la scienza dello spirito, abbiamo un’altra


relazione col mondo percettivo oltre a quella sensoria:

La natura intrinseca di questa [altra] relazione


non fa ingresso nella coscienza ordinaria. Ciò
nonostante, essa esiste come una connessione
130

vivente supersensibile tra noi e gli oggetti


percepiti sensorialmente. Ciò che in noi vive
come risultato di questa relazione è soggiogato
dalla nostra organizzazione mentale e si
trasforma in un semplice “concetto”. L’astratta
immagine mentale è la realtà che si è spenta in
modo da essere rappresentata entro l’ordinaria
coscienza. Anche se viviamo dentro a questa
realtà nella percezione sensoria, non diveniamo
di essa coscienti nelle nostre vite. Una necessità
interiore della nostra anima rende astratte le
rappresentative immagini mentali. La realtà ci
dà qualcosa di vivente, e noi “devitalizziamo” la
parte di essa che cade nella nostra ordinaria
coscienza.

Possiamo quindi chiederci che cosa succeda alla parte


non “devitalizzata”. Quando ascriviamo esistenza reale
ad un albero, per esempio, non lo facciamo in base alla
relazione tra ciò che vediamo ed i nostri occhi.
Piuttosto, questo giudizio riguardo l’esistenza di – in
questo caso – un albero, è basata su un’altra relazione
tra noi stessi e l’oggetto. L’ordinaria coscienza,
comunque, sperimenta distintamente e chiaramente solo
la prima relazione – tra i nostri occhi e l’albero che
vediamo. L’altra relazione rimane tenue e subconscia;
essa si manifesta solo nel risultato, ovvero, nel nostro
5 – Il Carattere della Realtà Percettiva 131
riconoscimento del “verde albero” realmente esistente.
Infatti, ogni percetto che conduce a tale giudizio è
basato su una duplice relazione tra noi stessi ed il mondo
degli oggetti.
Nella prima fase della percezione – quando veniamo
arresi all’oggetto – questa duplice relazione consiste, da
un lato, nel sentire i processi negli organi di senso (che
conosciamo dalla psicologia), e da un altro lato, nei
processi dell’attenzione, o dell’Io. L’effettivo percepire
avviene in questi processi attentivi, e diveniamo
coscienti di esso quando viene riflesso da quelli negli
organi di senso. Nella seconda fase della percezione, i
processi nel nostro cervello che accompagnano la nostra
attività concettuale, riducono o attenuano una parte dei
processi attentivi. I concetti qui formati hanno un
carattere passato, e li abbiamo quindi chiamati concetti
sostitutivi.
La parte del processo percettivo che non viene
attenuata e ridotta consiste nelle potenti idee che stanno
dietro ai fenomeni naturali. Queste idee sono analoghe
alle idee funzionali dietro agli oggetti artigianali. Esse
non vengono “afferrate” o “concepite”, tuttavia entrano
nella nostra coscienza tramite i sensi – non tramite gli
organi di senso –, anche se solo in forma metamorfica.
Per raggiungere una chiara comprensione di questa
metamorfosi, discuteremo brevemente la natura di
queste idee.
132
Quando concepiamo una nuova idea, una “chiara e
luminosa” volontà è senza dubbio attiva in questa
produzione. Il sentimento cognitivo di evidenza guida
l’intuizione nel nostro pensare. In altre parole, le tre
funzioni di pensare, sentire e volere formano una unità
nell’atto intuitivo, ma si dividono nella nostra coscienza
riflessa. Similmente, possiamo aspettarci – e
l’osservazione ci può confermare ciò – che le idee dietro
la natura dirigano tutte e tre le funzioni dell’anima. Una
ferma, immutabile volontà creazionale sta dietro ad
ogni fenomeno naturale, e noi adattiamo la nostra
volontà a questa volontà del mondo. “Nello
sperimentare il processo [di percezione della natura], ci
rendiamo conto che tramite questa inversione della
nostra volontà, la nostra anima prende il controllo di un
elemento spirituale esterno a sé stessa.”
Il sentimento della parola cosmica – i fenomeni della
natura – si sviluppa nell’indifferenziato ma vivente
senso di realtà – il cui sviluppo considereremo più
avanti. I pensieri che non vengono compresi divengono
“immagini” della natura, per esempio, immagini
“udibili” o “di odore”, e così via – segni scritti o parlati
che non comprendiamo e non possiamo “leggere-
insieme” o integrare, e che cerchiamo di supporre con i
nostri concetti sostitutivi. Come abbiamo visto, più
intensamente i nostri sensi vengono interessati, più il
loro funzionamento tende ad essere disturbato ed
esposto a dolore e lesione. Possiamo ora esaminare che
5 – Il Carattere della Realtà Percettiva 133
cosa succede quando innalziamo la qualità dell’altro
ramo della duplice relazione, ossia, dell’attività della
nostra attenzione.
La scienza antica ha investigato la gerarchia dei sensi a
partire dai sensi più bassi e procedendo verso quelli più
alti. Ha esaminato il loro “perché”, la loro intenzione,
ma in definitiva la loro investigazione era rivolta al
“chi” di queste intenzioni. Le impressioni trasmesse dai
sensi medi erano considerate un sistema di segni che uno
poteva leggere. La cognizione era l’indagine di questi
parlare e scrivere degli dei – del loro significato. La
cognizione aveva a che fare con le idee. Durante quel
periodo, le persone sapevano per esperienza che le idee
non emergevano accidentalmente, indipendentemente
da una persona. Essi dunque parlavano dell’idea
relativa-all’Io, la parola. Il mondo era similparola, di
carattere parlato. La cognizione era allora un dialogo
con la natura; le persone sentivano esseri creativi – o
almeno i loro rappresentanti: esseri naturali, come gli
dei della natura, dei o spiriti di montagne, fiumi,
eccetera – dietro la natura.
Ad ogni modo, la sopra citata trasformazione della
nostra coscienza ha causato ai concetti del linguaggio
riguardanti la natura il loro aridirsi in semplici nomi.
Come risultato, il precedente percettivo mondo di segni
si trasforma in un mondo di cose. E mentre ciò accade, il
dialogo con la natura termina, perché, se il mondo
percettivo consiste di cose piuttosto che di idee, nessun
134
essere dunque sta dietro ai nostri percetti. La nostra
investigazione non procede più con un movimento verso
l’alto. Ciò che in un tempo precedente era considerato
materiale grezzo fornito dai sensi medi o dal senso del
tatto, diventa ora “la realtà”. Essa non è più
complementata con idee – così sembra.
In verità, comunque, manchiamo semplicemente di
notare che questa “realtà” è intessuta di idee. Ciò
nonostante, questa “realtà” è dotata del sentimento di
realtà, che origina nella superiore, comprensiva,
tuttavia sognante partecipazione al mondo percettivo,
un’esperienza non accompagnata da auto-
consapevolezza ed ancora parte di una esistenza
unificata. Il sentimento superiore di evidenza si sviluppò
nella sensazione di realtà che accompagna i nostri
percetti. Simultaneamente, la nostra crescente capacità
di esser consapevoli del nostro corpo si è sviluppata
nella sopra descritta auto-senzienza (vedi anche capitolo
7).
Oggi i dodici sensi definiscono dodici sfere separate di
esperienza nell’adulto; vi è quasi zero transizione tra
queste sfere. Per contro, il sistema sensorio dei bambini
– e delle persone in tempi antichi – è organizzato
diversamente; sostanzialmente essi sono un organo di
senso per intero. * Nei bambini e nei popoli antichi, i
dodici sensi non erano ancora separati. Inoltre, c’erano

*
Vedi nota 22.
5 – Il Carattere della Realtà Percettiva 135
altre qualità in aggiunta ai dodici sensi che sono in
seguito scomparse, ossia, le transizioni tra questi sensi. I
sensi che successivamente sono divenuti sensi superiori,
come il senso per l’Io (di un altra persona) o il senso per i
concetti, sono attivi interiormente ai sensi medi e bassi.
Come risultato, la percezione è ripiena di idee, e pertiene
ad esseri. Non è naturalmente “ripiena di idee” nel
moderno senso della frase; piuttosto possiamo trovare
una reminiscenza di questa condizione nell’attività
artistica.
Anche se i sensi si sono in seguito separati, essi ancora
lavorano assieme, ognuno di essi convoglia il “materiale
grezzo” verso l’alto, al successivo senso superiore ed
infine al senso-per-l’Io. Ciò spiega i caratteristici della
scienza antica. Con l’ulteriore sviluppo della coscienza,
comunque, i sensi cessano di lavorare assieme, ed
ognuno di essi ora rimane, anzitutto, senza alcuna
definita direzione.
D’allora in poi, un impulso che non necessitiamo
descrivere qui in dettaglio, ci conduce ad una tendenza a
spiegare ogni cosa dal basso, per effetti meccanici.
Questa tendenza chiede tipicamente “di che cosa è fatto
questo?” o “che cos’è che lo causa?” Questo volgere del
nostro sguardo verso le cose rivela una volere ostile al
mondo. Analogamente, la persona che pensa o che
percepisce ha l’inclinazione a ridurre le capacità e
conquiste spirituali umane a cause fisiche e fisiologiche.
Le idee più alte (e l’idealità come tale) vengono rifiutate,
136
anche se continuano, ciononostante, ad essere forze
attive, poderose. Ora comunque, queste sono forzate ad
esercitare la loro influenza in metamorfosi nelle
profondità della parte subconscia dell’anima. Possiamo
vedere ciò nel sentimento di realtà, che è
inseparabilmente connesso con l’atto di percezione.
Riguardo ai sensi si può dire che, visto che le idee
superiori non vengono “comprese” o assimilate dai sensi
superiori, esse si rivolgono ai sensi medi o superiori,
lasciando su di essi una ”impressione”. Come questa
“pressione” viene passata attraverso i gradini della scala
dei sensi, essa diviene sempre più materiale e rassomiglia
crescentemente all’impressione del tocco fisico. Quando
questa “pressione” raggiunge i sensi più bassi, in
particolare il senso del tatto, ecco apparire la tipica
sensazione di realtà.
Nondimeno, i sensi più bassi partecipano lievemente ad
ogni percezione sensoria; infatti tutti i sensi sono sempre
coinvolti nella percezione, anche se uno di essi è
certamente predominate. Per esempio, quando non
comprendiamo il nostro partner in una conversazione,
sentiamo solo parole, la sua voce. In altre parole, il
percetto inizia a discendere la scala dei sensi.
Similmente, le persone che non possono leggere vedono
solo le forme nere delle lettere in una pagina bianca.
Il potere di queste idee della natura non solo ci dà il
senso della realtà, ma in primo luogo ci permette anche
di percepire. Queste idee volitive, senzienti e viventi
5 – Il Carattere della Realtà Percettiva 137
creano forme di volontà, sensazione e vita – cioè, i regni
minerale, animale e vegetale – e sono attive al loro
interno. La nostra attenzione si può unire con queste
idee; comunque, di solito siamo coscienti solo di quella
parte di un incontro che è stata soggiogata per via dei
suoi effetti fisici e psicologici. Oggi i nostri sensi
funzionano solo quando sono interessati dall’influenza
fisico-minerale della natura e in questo modo assistono
la nostra attenzione. Possiamo quindi descrivere come
segue la quota di attenzione nella percezione: ”La
percezione è il limite dove i nostri pensieri toccano i
pensieri creativi esterni”.
Il nostro pensiero ordinario, che fa parte del piano del
passato, ci porta al limite del percepibile, che è vivo e
che quindi non può venir compreso dal nostro pensiero.
La percezione, quindi, ha inizio nel punto oltre al quale
il pensiero non può penetrare il creativo – arrestato –
pensiero cosmico.
Quindi possiamo pensare alla percezione come una
continua intuizione, per la quale i sensi tengono aperta
l’entrata. La parte della percezione che non viene
compresa diviene ciò che è percepibile; essa è
percepibilità stessa. In altre parole, ci accostiamo al
mondo percettivo come ad una frase meditativa che
viene letta solo per il suo contenuto informativo. Il suo
significato superiore rimane quindi nascosto, perché non
emerge a meno che l’attività della nostra coscienza non
138
complementi la parte percettibile della frase all’
appropriato livello.
Nel processo di percezione, questo superiore significato
appare come una figura incomprensibile al pensiero
ordinario – appare come un percetto. Siccome non viene
compresa, questa figura è intessuta di concetti superiori;
dopotutto, essa consiste di qualità sensorie. Comunque,
questi concetti che permeano la figura sono impensabili
per il piano del passato della nostra coscienza. Non sono
sufficienti a comprendere il significato dei fenomeni
della natura. Possiamo tentare di lasciar questo
significato far presa su di noi tramite la meditazione
percettiva o la pura percezione.
Più scendiamo la scala dei sensi, più povero sarà il
campo sensorio nei concetti nominati. Per esempio, in
Tedesco abbiamo sette colori per il senso della vista, tre
o quattro parole per descrivere le impressioni del gusto,
ma nemmeno una per il senso dell’olfatto. La ragione di
ciò è che questi ultimi sensi vengono indirizzati da idee
molto alte che non entrano la nostra riflessa coscienza.
Lo sviluppo spirituale cosciente darà a questi sensi
particolare significato.
I concetti che appartengono ai sensi sono di potere
crescente più in giù scendiamo nella gerarchia dei sensi.
Il significato superiore partecipa debolmente, e di solito
inosservato, in ogni atto di umana percezione.
Comprensibilmente quindi, il senso del tatto, che
trasmette alla coscienza ordinaria il minor importo di
5 – Il Carattere della Realtà Percettiva 139
informazioni riguardo il percetto, ci irradia nell’anima di
un senso di pienezza del sentimento per Dio – “la
sensazione di essere ripieni di essenza in quanto tale”.
E’ la metamorfosi delle idee creazionali che causano
l’ordinaria sensazione del tatto, mentre la qualità
immutata risuona debolmente nella sfera superiore
dell’anima. Ciò vale per tutti i sensi: ciò che trasmettono
alla coscienza è sempre accompagnato – come in un tono
armonico – da una qualità superiore, inizialmente
incomprensibile.

Il carattere Similparola della Natura


Ovunque troviamo qualità, similarità, differenze,
ambiguità, analogia, omologia, relazione, troviamo
anche idee. Ai nostri quesiti riguardanti la natura non ci
aspettiamo un “qualcosa”, ma una risposta concettuale,
proprio come anche il nostro quesito era concettuale.
Ovunque troviamo idee, la Parola o la volontà-di-parola
degli esseri-Io è o era attiva. Nella “prima realtà”, il
linguaggio ha assicurato il carattere similparola del
mondo nello strutturare e integrare per intero il mondo
dato, del quale lo stesso linguaggio ne è una parte.
Quindi mondo e linguaggio devono coincidere o
armonizzarsi. L’originale, unico linguaggio, comunque,
si è ramificato in una varietà di lingue, ed ognuna di esse
è tagliata per il proprio mondo, come anche per quello di
altre lingue. A nessuna di queste lingue manca qualcosa.
140
Di conseguenza, la struttura basilare della natura
corrisponde all’elemento comune che sta dietro a tutte le
lingue. Questo elemento comune non appare
necessariamente nella parte del linguaggio percepibile ai
sensi; esso sta nella loro totalità, che comprende sia le
parti nascoste che quelle percepibili. Natura e linguaggi
hanno comune sorgente; questo è il messaggio dei primi
versi del prologo del Vangelo di San Giovanni. Per
implicazione quindi, il linguaggio della natura non è
identico ad alcuna delle lingue che gli esseri umani
parlano. Comprendere il linguaggio della natura richiede
innalzare la cognizione sopra ed oltre queste lingue.
6 – Lo Sviluppo della Coscienza-Io 141

6 – Lo Sviluppo della Coscienza-Io

Percezione e pensiero sono presenti per qualcuno solo


fintanto che si manifestano in forma umana, ovvero in
forma discontinua. Essi adottano tale forma dal loro
essere “similparola”. Qui naturalmente, “similparola”
non si riferisce alla parte apparente di una parola, ma
alla configurazione-modello o carattere ideale di ogni
forma di linguaggio, la cui parvenza consiste di parole,
suoni, frasi, strutture, discontinuità, e connessioni.
Possiamo da ciò già vedere che l’attenzione umana è
un’attenzione per ciò che è di natura-parlata. Infatti,
una coscienza trasparente contiene solo ciò che è
similparola, elementi di “formulazione parlata”, anche
se nelle nostre lingue non vi è necessariamente un
termine corrispondente ad ognuno di questi elementi.
L’attenzione che è aperta a ciò che è similparola, è una
facoltà dell’Io; potremmo anche chiamarla la sostanza
primaria dell’Io. Ma questa “sostanza” – di che cosa è
fatta l’attenzione? – si sviluppa in un Io solo se diviene
esperienza-di-sé cosciente. Affinché ciò avvenga la
nostra attenzione per l”altro” [l’oggetto esterno],
dev’essere interrotta. In quanto, se l’attenzione viene
continuamente arresa all’”altro”, non ci può essere
alcuna esperienza-di-sé. Qui pure, la discontinuità è
necessaria.
142
Questo tipo di discontinuità, comunque, non si sviluppa
semplicemente come risultato di imparare a parlare e
non risulta dalla padronanza degli organi dialettici e di
movimento. Anche se il nostro senso di movimento è
essenziale per movimenti risoluti degli organi dialettici,
tra agli altri, esso stesso non conduce ad esperienza-di-sé
cosciente. Tramite il senso di movimento “percepiamo”,
e quindi controlliamo i movimenti del nostro organismo;
ciò ci permette di eseguire movimenti specifici senza
dover chiedere l’aiuto di altri sensi, come il senso della
vista.
L’attenzione che è aperta e recettiva deve essere
interrotta. L’afflusso del dato – di tutte le entità
similparola – nei sensi interni ed esterni deve cessare e
riavviarsi nuovamente ad intervalli ritmici. Il sonno
crea un tale arresto nella dedizione della nostra
attenzione. Quando siamo addormentati, la nostra
attenzione si ritrae dai sensi, ritirandosi nella sua sfera
originale, il regno del superconscio. Quindi, durante il
sonno non sperimentiamo l’attenzione coscientemente,
ma solo supercoscientemente. Quando ci risvegliamo
essa ritorna, portando gradualmente con sé sempre più
contenuto superconscio. Eventualmente, la nostra
attenzione di veglia non può far altro che notare che è
stata interrotta.
Inizialmente la discontinuità sembra essere un semplice
spacco. Entro a questo spacco la nostra attenzione crea
di sé stessa un “oggetto”. E’ il cambiamento di
6 – Lo Sviluppo della Coscienza-Io 143
consapevolezza, infatti, che rende la nostra attenzione
un “oggetto” di per sé. Siamo così in grado di “notare”
indipendentemente, e senza alcun “dato”, la parte della
nostra attenzione che lavora nella sfera superconscia
anche quando siamo svegli. Questa parte superconscia
della nostra attenzione struttura il dato percettivo e “lo
legge assieme”, lo sintetizza, ed è questo atto interiore,
la lettura stessa, della quale diveniamo poi coscienti.
All’inizio dello sviluppo della coscienza – nell’infanzia e
nell’antica umanità – notiamo questo atto interiore solo
di sfuggita e solo alla periferia della nostra coscienza. La
consapevolezza è vestita in forma divina, poi in forma
semidivina; la sentiamo solo lievemente nelle sensazioni
cognitive, inizialmente come spacco tra le date
sensazioni, come nostro separato sé.
Come questa consapevolezza dello spacco diviene
indipendente da condizioni esterne, essa diviene una
esperienza interiore. Nel corso dello sviluppo della
nostra coscienza, questa esperienza interiore – che è
divenuta esperienza interiore perché ha iniziato ad
essere indipendente dagli elementi dati – cambia nella
dualità di mente (intelletto) e anima (o cuore).
Inizialmente l’anima viene sentita ancora come una
nuvola percettiva di sentimenti che inspirano
l’intelletto. Comunque, nell’epoca dell’anima cosciente,
la mente vivente, non-riflessiva, si suddivide nei due
piani di coscienza, quello del passato – con i suoi chiari
contorni, sulla quale noi moderni “viviamo” per la
144
maggiore, e della quale siamo coscienti – e quello del
presente che possiamo chiamare anche il piano
immaginativo, che si è oggi spostato nel piano
superconscio. Ogni comprensione ed ogni intuizione
giunge da questo piano del presente come un lampo di
grazia. Questo piano è anche la sorgente del “come”
superconscio del nostro pensiero; ed ogni intuizione,
ogni nuova idea, è proprio una condensazione di questo
“come”.
Con la separazione della mente in passato e presente,
l’anima o cuore, – non l’anima di oggi, ma l’anima
cognitiva – si suddivide anch’essa: in sentimento
cognitivo e in sentimento auto-senziente. Il sentimento
cognitivo vive sopra il piano del presente; il sentimento
auto-senziente appartiene al piano del passato ed è parte
del subconscio dell’anima moderna. Questa è quindi
consapevole di sé stessa – piuttosto che di qualcosa lì
fuori – nelle emozioni come l’invidia, l’ambizione, e così
via.
Siccome il piano del presente si è ora spostato nella
sfera superconscia, un cambiamento da un piano
all’altro rende possibili le discontinuità, perfino quando
siamo pienamente svegli e coscienti. Per rimanere
cosciente, la nostra coscienza deve toccare, almeno per
poco, ripetutamente, il livello del presente. Se rimanesse
continuamente al livello del passato, la nostra coscienza
non sarebbe più “cosciente”. E’ così che si sviluppa la
struttura e la capacità tipica dell’anima cosciente: cioè
6 – Lo Sviluppo della Coscienza-Io 145
la sua abilità di riflettere su sé stessa, di guardare dal
piano del presente in quello del passato, e di sentire –
alla periferia della coscienza – il piano del presente in
contatto col piano del passato.
L’abilità di riflettere su pensiero, linguaggio, e
coscienza ha portato allo sviluppo delle scienze tipiche
dell’era dell’anima cosciente – e.g., epistemologia,
linguistica, e psicologia. L’Io diviene una realtà tramite
quest’abilità di riflessione cosciente; realizza sé stesso
quando la parte data dell’Io, e cioè l’attenzione, è
effettivamente connessa con l’idea dell’Io. Ciò è analogo
al modo in cui capiamo [realizziamo] una parola o un
testo; connettiamo la parte percettibile della parola o
testo – il dato – con il significato del quale essa è stata
separata nell’atto di venir espressa.
La reale connessione dell’attenzione all’idea dell’Io può
aver luogo solo sul piano del presente, nell’esperienza di
vivi pensiero, percezione o rappresentazione mentale.
Dopo tutto, come abbiamo visto sopra, il termine
“realtà” non è applicabile al piano del passato. L’idea
del vero Io si accende solo in queste esperienze nel piano
del presente. Essa, comunque, viene preceduta da
preliminari esperienze-dell’Io che vengono riflesse nelle
varie definizioni dell’Io nel corso dello sviluppo della
coscienza.
L’idea di ogni essere-Io, che diviene connessa col dato
dell’Io, l’attenzione, è interamente individuale. Gli
esseri-Io non sono una specie. Come esseri-Io, ognuno ed
146
ognuna di noi appartiene alla propria specie, che
consiste di un solo esemplare [specimen]. Questo fatto si
trova riflesso nell’individualità dei nostri nomi;
diversamente da tutti gli altri nomi, i nostri nomi sono i
soli concetti, le sole parole, che non hanno un significato
generale.
7 – Auto-Senzienza 147

7 – Auto-Senzienza

L’esperienza di sé dell’Io crea l’Io; in quanto, senza


sapere di sé, un essere-Io non può essere una realtà. Ciò
nonostante, l’esperienza-di-sé non viene quasi mai
realizzata nella sua forma pura, e nemmeno nei suoi
stadi preliminari. Ciò è così perché un altro, parallelo
processo ha luogo mentre prendiamo possesso del corpo
tramite l’Io quando impariamo a parlare. Quest’altro
processo non ha diretta connessione col parlare e non è
quindi da esso causato. Invece, questo secondo processo
cresce dalla tentazione dell’Io di sentire sé stesso nel
corpo del quale ha preso possesso, e di godere di questa
sensazione.
Per muovere gli arti intenzionalmente, l’essere-Io deve
controllarli e dirigerli. Esso fa questo tramite il senso del
movimento. I sensi sono le funzioni cognitive della
sensazione; essi forniscono cognizioni senza attività
intellettuale corrente. Per questo scopo i sensi hanno
liberi poteri (cognitivi) di sensitività che non sono
occupati a controllare funzioni biologiche. In questi
poteri l’Io può esprimere ed articolare sé stesso.
Fintanto che i movimenti sono interessati, noi esseri
umani possiamo imitare qualsiasi forma di movimento.
Il senso dei nostri propri movimenti opera tramite
poteri di sensazione che “sentono” i movimenti dei
148
nostri organi, potendo quindi controllarli o dirigerli.
Questa “senzienza” non diviene la sopra indicata auto-
senzienza perché, paradossalmente, non la sentiamo
come una sensazione. Ad esempio, quando scriviamo o
suoniamo il violino, non siamo normalmente
consapevoli delle nostre mani; i nostri movimenti
vengono controllati superconsciamente.
Questi poteri di sensazione superconsci, che non sono
focalizzati su sé stessi, divengono auto-senzienti quando
l’essere-Io si mescola con essi e con i poteri sensitivi del
suo essere biologico – i quali pure, in sé, non sono auto-
senzienti – piuttosto che semplicemente dirigerli e da
essi imparare in riguardo ai movimenti del corpo. Nel
processo, queste forze cognitive, che in genere vengono
dirette esternamente, sviluppano un centro “irregolare”,
e si raggruppano attorno a questo centro, così perdendo
il loro focus originario diretto all’esterno. In contrasto
con l’Io, le formazioni risultanti possono essere chiamate
l’”ego”; esso è una attenzione focalizzata su sé stessa,
che non è cognitiva, ma semplicemente auto-senziente.
Quest’auto-senzienza si sviluppa senza la nostra
attenzione cosciente, e rimaniamo inconsci delle sue
conseguenze. Dopo tutto, nessuno vuole essere invidioso,
vendicativo, o affamato di potere. Essa consiste di
sensazioni formate, inclinazioni ed istintive “intenzioni”
d’irresistibile scalpore, che ci esortano a ripeterle.
Essendo tutte queste già pienamente formate, esse non
sono cognitive.
7 – Auto-Senzienza 149
Lo sviluppo del subconscio è il conseguente risultato di
questa auto-senzienza. Nella sfera subconscia, libere
forze cognitive, sulle quali l’Io non ha coscientemente
fatto presa, si ammassano per via dell’egoità. Gli esseri
umani moderni devono fare qualcosa con queste stesse
forze. In tempi primordiali, esse erano ancora
controllate ed ordinate tramite il superconscio. Nel
regno animale non troviamo virtualmente alcun istinto
o passione che sia dannosa alla salute o all’organismo
biologico dell’animale. Tali istinti e passioni possono
esistere solo quando forze che di solito servono
l’organismo biologico divengono libere ed indefinite in
presenza dell’Io, ma non vengono utilizzate dall’Io.
Nei bambini queste forze funzionano ancora come
indivise forze dell’attenzione. Questa è la ragione per cui
i bambini possono imparare a parlare e a pensare con
tale impareggiabile facilità. Questa è anche la ragione
per cui gli adulti non più dispongono di questa
meravigliosa capacità. In parte, in effetti per la maggior
parte, le sopra indicate forze vengono trasformate, negli
adulti, in forze auto-senzienti, e l’attenzione viene divisa
tra mondo ed egoismo.
L’auto-senzienza è possibile solo per gli esseri-Io. Le
sensazioni degli animali sono completamente preformate
e servono solo la loro vita biologica. Gli animali non
hanno alcuna libertà di sensazione – possono solo
reagire. Quindi essi non possono distinguere tra la
sensazione causata da fonti interiori e quella causata da
150
fonti esteriori. Incessantemente, la loro sensitività
reagisce ed è attiva. Non c’è alcuna entità libera non
coinvolta che possa essere consapevole o avere
esperienza di queste reazioni. Troviamo quindi egoità
solo negli esseri-Io. L’ego è la forma riflessa ed auto-
senziente dell’Io; esso è auto-senziente invece di auto-
consapevole.
8 – Cambiamenti nel Dato 151

8 – Cambiamenti nel Dato

I piani del passato e del presente, che nell’anima


cosciente sono separati, erano ancora intrecciati o
mescolati nell’anima intellettuale. Il processo del
pensare era allora ancora dato agli esseri umani. Oggi il
pensiero entra la coscienza superconsciamente dal piano
del presente – cioè, senza la nostra consapevolezza.
In passato, per via della struttura mista dell’anima
intellettuale, il processo del pensare era dato alle
persone in maniera sognante, senza chiari contorni, e le
persone non potevano avere la loro parte in questo
processo. La loro esperienza rassomigliava alla nostra
esperienza quando sogniamo. Parole e concetti erano un
tutt’uno. Essi venivano sperimentati nel loro sorgere, nel
loro ingresso nella coscienza. Anche oggi comprendiamo
parole e concetti nello stesso modo, ma per noi il loro
ingresso nella coscienza rimane superconscio. Siamo
chiaramente coscienti solo del loro risultato, di ciò che
abbiamo capito; certo, a questo punto esso ha perso la
sua vita, passando alla morte. Siccome i bambini hanno
esperienza sognante di questi processi, la vita della loro
anima è viva in un modo che gli adulti hanno perduto.
Similmente, prima che l’anima fosse separata in
sentimento cognitivo ed auto-senziente, l’esperienza di
evidenza in area religiosa veniva data alle persone in
152
forma di “fede”. La nostra esperienza di evidenza nella
matematica e nella logica è di ciò una traccia.
Una volta che il sentire cognitivo si è spostato nel
reame superconscio, la divinità non viene ulteriormente
data. In epoche precedenti lo sviluppo della coscienza, la
divinità era data, come possiamo vedere, per esempio,
nel continuo intervento degli dei Omerici nel destino
umano e nel parlare della divina natura ai personaggi
nel Vecchio Testamento. Oggigiorno, solamente sul
piano del passato diveniamo coscienti di ciò che entra
nella nostra coscienza dalla sfera superconscia. Ciò ci
rende impossibile sperimentare il processo cognitivo
della coscienza, o sperimentare la vita o l’essere.
Parallelamente, un altro cambiamento ha avuto luogo
nella configurazione dell’anima, e cioè, lo sviluppo
generale del subconscio, più o meno negli ultimi
duecento anni. Questo conglomerato di abitudini si
estende dalla sfera delle associazioni, tramite sentimenti
e complessi auto-senzienti, ad un più profondo livello
che può essere chiamato “collettivo”, almeno fintanto
che la nostra cultura è coinvolta. Questo livello è il
fondamento di tutte le altre formazioni subconscie, ma
non è lo stesso del “subconscio collettivo” di Jung.
Siccome questo livello è veramente collettivo, possiamo
percepirlo solo in speciali condizioni, per esempio, per
via di una accresciuta attenzione che resti vigile senza
venir riflessa.
8 – Cambiamenti nel Dato 153
I livelli o strati del subconscio più individuali inviano i
loro impulsi nella coscienza per mezzo di sentimenti
auto-senzienti e della volontà a loro disposizione. Il
subconscio collettivo, da un altro lato, si manifesta
soprattutto in formazioni di pensiero che vengono
generalmente accettate come plausibili e convincenti,
basate su sensazioni collettive; infatti e comunque,
queste formazioni di pensiero sono tanto irrazionali
almeno quanto lo sono gli impulsi del subconscio più
individuali. Non possiamo dedurre o ragionare
consecutivamente queste formazioni di pensiero; il loro
potere persuasivo non è connesso al sentimento di
evidenza che guida il pensare logico o intuitivo.
Quindi, ciò che ci viene dato da sopra, dal
superconscio, è congiunto con ciò che viene “dato” da
sotto, dal subconscio. Infatti, ciò che viene dato dal
subconscio gioca ora una parte autoritaria nella vita
umana ed è divenuto un potere mondiale. Gli esseri
umani vivono ora per secondari istinti e passioni, che
originano nel subconscio. Il nostro pensare ci potrebbe
aiutare ad orientarci, ma è stato influenzato da ciò che
fuoriesce dal subconscio, ora accettando e diffondendo,
come sapere, delle cosiddette illuminazioni e dei nuovi
dogmi. Come risultato, le inclinazioni, abitudini, e
dipendenze che originano nel nostro subconscio
guadagnano giustificazione scientifica.
Non impariamo a parlare e a pensare “per natura”, ma
per educazione ed imitazione di modelli. Similmente,
154
ogni cosa nello sviluppo umano, il bene e il male, appare
grazie all’educazione. Per esempio, certi individui, i
nostri precursori nella storia del pensiero – ispirati da
poteri a loro sconosciuti – svilupparono delle linee di
pensiero che elaborarono ed istruirono i nostri impulsi
subconsci collettivi.
Tutte le ispirazioni e pensieri che vengono suggeriti dal
nostro subconscio collettivo condividono due particolari
caratteristiche: non possono essere pensati fino in fondo
logicamente – cioè il pensiero può penetrarli solo fino ad
un certo limite – e possono dare la sensazione di un
travolgente potere persuasivo, mascherando il fatto che
non possiamo veramente pensarli fino in fondo.
Abbiamo buone ragioni di assumere una origine
subconscia per ogni impenetrabile, incomprensibile
pensiero, o linea di pensiero. L’intera sfera dell’egoità è
connessa col subconscio. Le persone non decidono di
divenire egoisti; ciò accade senza la nostra volontà.
Questo duplice cambiamento nel dato – lo spostamento
nel superconscio di entrambi i processi di pensare e
sentire cognitivo, ed il sorgere del subconscio – ci
esortano a cambiare la nostra attitudine e
comportamento verso di esso. Solo un essere libero, o
uno che è almeno in parte libero, può “cambiare”
qualcosa. Abbiamo questo potenziale per via della
struttura a doppio binario dell’anima cosciente. Siamo
protetti da diretti impulsi spirituali, in quanto la loro
sorgente si è spostata nella sfera superconscia, e
8 – Cambiamenti nel Dato 155
possiamo proteggerci da impulsi subconsci essendo
morali nel nostro pensare e cognizzare, cioè,
nell’esaminare e testare “coscienziosamente” se qualcosa
possa essere pensato fino in fondo, e nell’accettarlo come
pensiero solo se questo fosse effettivamente il caso.
Iniziamo a renderci conto per la prima volta che
abbiamo la possibilità di educare noi stessi quando
abbiamo esperienza della libertà di cognizione. Dopo
tutto, la cognizione deve essere libera; diversamente,
non potremmo determinare se essa sia verità o errore, e
non potremmo valutare i suoi risultati. Se tutta la
cognizione umana, incluso il pensiero stesso, consistesse
di processi naturali, non potremmo affatto parlare di
conoscenza, perché i processi naturali come pure quelli
meccanici, svolgono semplicemente il loro corso.
Essendo semplicemente condizionati, essi non possono
errare. Inoltre, non potremmo in alcun modo valutare la
“conoscenza” risultante dai processi naturali, perché la
valutazione dovrebbe essere basata su altri, ugualmente
condizionati, processi naturali. Anche il parlare, in senso
umano, sarebbe impossibile, e perfino il silenzio, che
potrebbe risultare da tali cosiddette intuizioni, sarebbe
contraddittorio precisamente a causa di queste
intuizioni. In altre parole, non potremmo prendere
alcuna posizione logica, visto che negheremmo la nostra
abilità di trarre conclusioni logiche e consistenti.
Il pensare non può negare né limitare il pensare,
proprio come una parola non può essere privata del suo
156
stesso significato. Il pensiero può venir destituito solo
dal pensiero; la parola può venir destituita solo dalla
parola.
Questa fondamentale intuizione ci porta verso la
sorgente del pensiero. Da questa intuizione è chiaro che il
pensare non può dimostrare sé stesso, e la stessa
intuizione mostra l’impossibilità di negare
l’indipendenza e l’irriducibilità del pensare. A questo
punto, dobbiamo decidere di dar inizio alla nostra auto-
educazione proprio con l’educazione della nostra
capacità di cognizione, una decisione che implica la
continuazione dell’attività che abbiamo finora
riconosciuto come l’unica nostra libera attività.
Per avvicinarsi di più ai processi superconsci del
pensare, dobbiamo elevare il nostro livello di coscienza.
Che questa sia una operazione possibile o meno è un
primo quesito. Questo dev’essere risposto
affermativamente prima di prendere questo passo – se il
passo può essere legittimamente preso –, ovvero, se
questo dev’essere pensato fino in fondo
coscienziosamente così da essere reso certo.
Il “come” del nostro pensare è dato (vedi capitolo 2),
ed utilizziamo questo “come” – la logica del pensare –
quale abilità superconscia di pensiero basata su
evidenza e logicità, senza comunque essere in grado di
spiegarlo o rendere conto di esso. Quindi, il “come” del
pensare è uno dei “segni della trascendenza” che
possiamo trovare in noi stessi empiricamente. Infatti,
8 – Cambiamenti nel Dato 157
questo è il più fondamentale tra i segni e possiamo
trovare e capire tutti gli altri segni grazie all’aiuto di
questo.
In più di un modo, il nostro pensare è discontinuo. Per
chiarire il nostro pensiero a noi stessi e ad altri,
dobbiamo articolarlo in pensieri ed esprimerlo tramite
proposizioni, frasi, e parole, tutte consistenti di parti,
che sono quindi discontinue. Prima di esprimere
qualcosa, dobbiamo avere il significato che dev’essere
espresso; diversamente non potremmo metterlo in
parole o formularlo. Ad esempio, non potremmo
accertare se la nostra formulazione sia corretta o, come
a volte succede, sia inadeguata. Per poter in tal modo
valutare, dobbiamo confrontare l’espressione
discontinua con qualcosa di cui non siamo ancora
pienamente coscienti, qualcosa che non è ancora un
pensiero finito, e che quindi non è sul piano del passato.
Questo “qualcosa” non ha di conseguenza una forma
discontinua; ciò nonostante, deve esistere
superconsciamente, alla periferia della nostra coscienza.
In una buona traduzione è questo “significato” che
viene trasferito in un altra lingua.
Il significato, diversamente dalla sua espressione (in
una o più frasi), è un continuum. Ad ogni modo esso non
è totalmente destrutturato; dopo tutto, la sua struttura
latente si dischiude nella discontinuità del linguaggio. Il
continuum è primario, mentre l’espressione è
158
secondaria. Nel comprendere un testo che leggiamo o
sentiamo, questo continuum viene in noi riprodotto.
Concepire – intuire – un significato, esprimerlo in
forma discontinua, come pure leggere un testo e
riprodurne il suo significato, richiedono tutti
dell’attenzione. Il significato che concepiamo è
similparola; ovvero, dice qualcosa. Se non fosse così, il
significato non potrebbe risultare nell’espressione – non
ci sarebbe niente che potrebbe essere detto nelle parole
di un linguaggio. In questo modo parole “più grandi” o
“più potenti” discendono dal superconscio alla
coscienza, cioè alla forma discontinua. La nostra
comprensione di un testo, da un altro lato, ascende dalla
sua discontinua espressione al più continuo significato.
In questa “ascesa”, la coscienza muove da parola a
parola, senza lasciare o dimenticare le parole precedenti,
ma anche senza “ricordarle”. Il movimento della
comprensione procede superconsciamente, fuori dal
tempo; non segue la sequenza temporale delle parole
percepibili dai sensi, ma le ritiene e le anticipa in un
eterno[senza tempo] presente. L’espressione
dell’intuizione fluisce da questo eterno presente verso la
temporalità. Quindi, la nostra attenzione si alterna tra
continuità e discontinuità.
La nostra attenzione si alterna anche in un altro modo,
perché ogni elemento di discontinuità – che siano
pensieri, il mondo percettivo, o un testo – offre alla
nostra attenzione una opportunità di venir distratta dal
8 – Cambiamenti nel Dato 159
soggetto che abbiamo scelto coscientemente. Possiamo
dirigere la nostra attenzione a qualsiasi cosa scegliamo;
comunque, come sappiamo dall’esperienza, è difficile
tenere la nostra attenzione focalizzata su un tema poco
interessante o poco attraente. Associazioni che ci
influenzano dalla sfera subconscia dell’anima ci
distraggono dai nostri coscienti volere e intenzione.
La forma discontinua dell’attenzione nel pensare,
rappresentare, e percepire, rende possibile a queste
attività di procedere nella comprensione passo dopo
passo, liberando quindi queste funzioni dalla necessità di
comprendere immediatamente ed intuitivamente. Allo
stesso tempo, questa forma discontinua offre ai nostri
impulsi subconsci l’opportunità di intervenire nel flusso
dell’attenzione che abbiamo coscientemente diretto in
un particolar modo. Ciò restringe a sua volta
l’autonomia della nostra coscienza nel controllare e
mantenere la nostra attenzione.
Inizialmente, l’attenzione non può sperimentare ed
incontrare sé stessa nella sua forma discontinua; non
può incontrare sé stessa (vedi capitolo 6) perché viene
costantemente interrotta. La nostra attenzione cade di
continuo dal suo presente e lascia le sue tracce come
passato – per esempio, in pensieri finiti, percetti,
rappresentazioni mentali. Questo sviluppo è stato
necessario per la stessa crescita della coscienza-Io.
Una volta che abbiamo imparato il pensare
discontinuo, concettuale, e che siamo divenuti capaci di
160
sintetizzare, e quando ciò ci ha portato alla struttura
dell’anima cosciente, possiamo continuare l’ulteriore
sviluppo della coscienza tramite educazione cosciente.
In quanto, ormai, con la struttura dell’anima cosciente,
non riceviamo più alcuna cosa positiva dal dato senza
sforzo da parte nostra. La nostra prima meta dev’essere
quella di rafforzare l’autonomia della coscienza, e cioè,
di rafforzare la nostra attenzione, una parte
considerevole della quale è presa in formazioni ed
abitudini subcoscienti.
Possiamo conseguire questa meta nel concentrare la
nostra attenzione su oggetti che non sono di per sé
attraenti o interessanti. Per ciò dobbiamo scegliere cose
che possiamo pensare completamente, fino in fondo.
Degli oggetti artigianali[fatti dall’uomo] sono
appropriati per tali esercizi.
Per evitare di venir distratti dobbiamo raffigurarci
l’oggetto e pensare pensieri appropriati e ad esso
rilevanti, come esercizio preparatorio. L’effettiva
concentrazione sulla funzione o l’idea dell’oggetto,
comunque, richiede che la nostra ora-rafforzata
attenzione divenga più continua. Non possiamo
“pensare” un’idea, come un’invenzione, o la funzione di
un oggetto, con interruzioni, perché questa non è una
parola, né una figura. Questa è anche l’idea o la funzione
che non può essere ricordata o ripetuta; richiede
piuttosto una continua intuizione.
8 – Cambiamenti nel Dato 161
Per assicurare che l’idea stia nella nostra coscienza, la
nostra concentrata attenzione deve stare nell’immediato
presente. L’immagine mentale ed il pensiero di un
oggetto, come pure la sua idea, vengono tramate dalla
nostra attenzione; esse sono questa attenzione. Questo è
il motivo per il quale dobbiamo rendere la nostra
attenzione sempre più continua tramite questi esercizi.
Quindi, con l’aiuto dell’idea come soggetto sul quale
focalizzarci, innalziamo la nostra attenzione alla
continuità dell’immediato presente.
La nostra coscienza arriva quindi al “come“ del
pensare, che è la logica delle espressioni discontinue dei
nostri pensieri. L’idea funzionale degli oggetti
artigianali ci viene data superconsciamente nell’infanzia
come nostra abilità-di-cognizione di tutti gli oggetti
simili come fossero lo stesso oggetto. Cerchiamo ora di
innalzare la nostra coscienza ad un livello che è di solito
superconscio.
Con ciò rispondiamo al quesito: se la coscienza
pensante possa avvicinarsi o meno alle sue fonti. Ciò ci
permette inoltre di descrivere l’auto-consapevolezza
dell’Io, che abbiamo accennato nel capitolo 5, in
maggior dettaglio. Quando pratichiamo gli esercizi
sopra presentati, ci rendiamo conto che il tema che ci
siamo raffigurati o al quale abbiamo pensato,
specialmente l’idea dell’oggetto scelto, consiste di
attenzione. Questa attenzione è concentrata per virtù
del tema e su esso simultaneamente focalizzata. In altre
162
parole, la nostra attenzione viene focalizzata su sé
stessa. Possiamo ora sperimentarla e percepirla proprio
come ogni altro percetto, perché è stata rafforzata
internamente a sé stessa. Nell’incontro della nostra
attenzione con sé stessa si accende e si realizza l’idea
dell’Io. Ecco come si sviluppa la nostra esperienza
dell’Io al livello dell’immediato presente.
Questa esperienza è fondamentale ai fini di perseguire
la nostra scienza spirituale.
Tuttavia, un’altra esperienza la precede, e cioè,
l’intuizione che la nostra attenzione pensante e
rappresentativa è una realtà più forte del pensiero o del
tema raffigurato, essendo quest’ultimo originato o
mantenuto da questa attenzione.
Mentre l’attenzione non può avere esperienza della sua
discontinuità perché essa scivola di continuo dalla realtà
dell’eterno presente nella realtà del passato, essa può
ciononostante svilupparsi con continuità grazie
all’esercizio. Meno l’attenzione viene interrotta – meno
essa è discontinua – più diviene viva e presente e si
muove sempre più vicino all’esperienza di evidenza, e di
sé stessa. L’evidenza è la proprietà della realtà; in altre
parole, la realtà è auto-evidente. Ciò indica la sola e
comune sorgente della realtà – la sua effettiva causa – e
la cognizione di essa. La realtà stimola la cognizione di
sé stessa. Ma nel processo di cognizione, la “realtà”
diviene realtà (vedi capitolo 4). Cognizzare e realtà
cognizzata coincidono e divengono uno; essi sono uno
8 – Cambiamenti nel Dato 163
nella nostra esperienza di essi nell’immediato presente:
essi sono questa esperienza.
Possiamo anche dire che nell’atto di cognizione
realizziamo noi stessi in vivente auto-cognizione; questa
è la sorgente dell’evidenza. Nel cognizzare diveniamo
tutt’uno con ciò che cognizziamo, o la cognizione
cognizza sé stessa invece di qualcos’altro, in quanto essa
stessa diviene l’”alterità” che viene cognizzata e cessa
quindi di essere “altra” nel processo di cognizione. Il
sentimento di evidenza ha origine in questa identità
realizzata e sperimentata.
Al livello delle scienze pure, come la matematica, la
logica, e la geometria, è chiaro che gli oggetti di
cognizione vengono creati dalla nostra stessa cognizione;
e la loro “cognizione” è allo stesso tempo la loro
creazione, che occorre intuitivamente – tramite pensiero
o intuizione rappresentativa. Successivamente, “il
ragionamento” può costruire i passi che collegano il
grande salto intuitivo. Questa esperienza nelle scienze
corrisponde alla realizzazione che gli oggetti sui quali
focalizziamo la nostra attenzione pensante e
rappresentante consistono di questa stessa attenzione.
Su piani superiori di conoscenza, l’unità della
cognizione ed il suo “oggetto” viene sperimentata
sempre più intensamente, fino all’esperienza
dell’evidenza. Il pensiero e la percezione si avvicinano
l’un l’altra, e coincidono nell’intuizione; nella nostra
ordinaria cognizione soggetto ed oggetto appaiono
164
separatamente perché pensiero e percezione sono
separati. Come risultato dell’intuizione, l’esperienza di
evidenza nel punto centrale dell’Io cade, come
un’ombra, nel piano del passato e lì viene sperimentata
senza la sua realtà-d’essere; ma almeno ne abbiamo
esperienza. Ogni volta che avviene qualcosa di simile
questa esperienza, è possibile sentire l’ombra dell’auto-
evidenza.
Le prove e la necessità di provare le cose sono fenomeni
della moderna coscienza. L’intuito ed il genio sono
forme di attenzione più alte e più continue. Esse
evolvono le loro tesi, per esempio quelle dei matematici,
in un unico grande passo. Le prove, da un altro canto,
sono per coloro che non possono prendere il grande
passo – la profonda intuizione – in una sola volta, in un
balzo. Questi passi formano delle discontinuità, ed
ognuna di queste interruzioni nel processo di
comprensione – ogni passo lungo la via – offre nuove
opportunità di errore; non si comprende
immediatamente l’intera proposizione, ma si può
comprendere l’evidenza dei singoli passi. Visto che non
comprendiamo la tesi per intero, anche un solo passo
tralasciato nella prova può essere sufficiente per
“provare” una tesi erronea. La nostra attenzione si
riposa ad ogni collegamento tra i vari passi nella prova.
Questi punti di collegamento permettono facilmente
delle svolte incorrette, o l’ingresso di “idee” che non
sono state pienamente testate e pensate fino in fondo.
8 – Cambiamenti nel Dato 165
Con una più profonda esaminazione, tali svolte ed
“idee” si rivelano impensabili – o sarebbero impensabili
se le esaminassimo – e rompono la nostra linea di
pensiero con pregiudizi, inclinazioni emotive, o con
bramoso pensare. Dopo tutto, i passi della prova devono
essere connessi logicamente. Siccome queste connessioni
non sono di solito esplicite, esse vengono raramente
esaminate e ci accontentiamo con un tipo di “comune
buon senso”, o con interesse per forme di pensiero
abitudinali.
Come abbiamo visto nel capitolo 3, il linguaggio
struttura il nostro mondo percettivo. Comunque, il
significato delle parole designanti può essere cambiato
nel corso dell’evoluzione della coscienza umana – anche
se esse possono aver ritenuto la loro forma esteriore, ed
il loro senso può sembrare immutato. Questo tipo di
cambiamento non viene neppure sospettato dai
linguisti, essendo essi bloccati nella nostra moderna
coscienza. Il cambiamento al quale faccio qui
riferimento è il cambiamento nella nostra relazione con
queste parole-concetti, come pure coi fenomeni naturali
che esse designano.
Per noi, i nomi degli oggetti in natura indicano delle
cose. Per esempio, la parola “quercia” si riferisce ora ad
un singolo particolare albero, e quando utilizziamo la
parola per parlare della specie quercia, ciò ci sembra
un’astrazione. Per l’umanità antica il caso era il
contrario. La parola “quercia” era allora principalmente
166
un vero universale, un’idea manifesta nel mondo
fenomenico in molti esemplari. Ovvero, “quercia” non
era un “nome” (come lo è ora per noi) ma era un
personaggio caratteristico, una funzione, una
designazione significativa di una relazione e
connessione. Per noi la “quercia” rimane esterna;
possiamo trovarla “pensabile” non in sé stessa, ma solo
per conto delle sue caratteristiche esterne. Infatti
pensiamo alla quercia – in contrasto alle idee e alle
funzioni degli oggetti artigianali o ai concetti
matematici – solo nominalisticamente.
Precedentemente, i fenomeni naturali erano visti e
compresi non come cose, ma principalmente come
relazioni. E cioè, essi venivano capiti più come una
continuità. Al giorno d’oggi comunque, percepiamo i
particolari, le cose individuali, come dato primario. Si
tenta così di trovare le connessioni tra loro nella sfera
della meccanica, piuttosto che di leggerle sul modello del
linguaggio e di interconnessioni linguistiche e testuali,
come facevano le persone in tempi antichi. Se non
leggiamo un testo, esso risalta come qualcosa di
esistenziale. Solo tramite la nostra lettura un testo
diviene verità. Il mondo percettivo della natura è
difficile da leggere per via della sua struttura
inizialmente discontinua, che è largamente un risultato
di inadeguati concetti.
9 – Meditazione 167

9 – Meditazione

Più il pensare diviene discontinuo, più si muove


lontano dall’esperienza di evidenza. Ciò spiega perché la
recente filosofia può negare l’esistenza dell’evidenza nel
suo pensiero – anche se questo pensare, nella sua
attività, ricorre di continuo alla sua evidenza intrinseca.
Le interruzioni nella nostra attenzione permettono a tali
nonpensieri – che sembrano pensieri solo nella loro
forma – di infiltrarsi nella nostra coscienza. Allo stesso
tempo queste “pause” nella nostra dedizione offrono alla
nostra attenzione anche l’opportunità di notarle – quali
interruzioni, spacchi. Nel divenir quindi consapevoli di
queste interruzioni nella nostra dedizione all’”altro”, la
nostra attenzione inizia a riempire questi vuoti con sé
stessa. L’attenzione percepisce la sua propria assenza, e
in questa percezione l’attenzione incontra sé stessa. La
discontinuità induce quindi la nostra coscienza-Io ad
accendersi, sul piano in cui si muove la nostra coscienza.
Nel pensare puro, l’esperienza di evidenza è identica
con l’atto di cognizione stesso: l’oggetto ed il
cognizzante sono uno. Il dato, il processo col quale esso
viene dato, ed il concetto, tutti coincidono.
Quando leggiamo o percepiamo un testo, l’evidenza sta
nella nostra comprensione dei dati segni nel nostro
leggere, o “nel leggerli insieme”. Quando lo leggiamo, un
168
testo ci risulta ovvio come testo, indifferentemente
dall’evidenza dei suoi contenuti.
Pure l’esperienza di evidenza nella percezione è un tipo
di lettura. Ad ogni modo, non abbiamo concetti per
questi “segni testuali” percettivi, e quindi nemmeno li
vediamo come segni. Invece di leggere i segni, li
misuriamo e li matematizziamo, e scambiamo la loro
descrizione matematica per una loro comprensione. I
concetti appropriati si classificano superiormente ad
altri e sono più potenti; essi sono viventi, senzienti, e
volenti concetti, che incontriamo solamente nella
meditazione.
L’evidenza del mondo percettivo appare trasformata
nella convinzione che i nostri percetti esistano, che essi
siano reali. Questo è il motivo per il quale non possiamo
pensare al mondo percettivo con la nostra riflessa
coscienza dialettica, e la parte della percezione che non
viene pensata sfugge quindi alla sorte dei pensieri finiti.
In altre parole, essa non cade nel piano del passato ma
rimane viva ed attiva nel piano del presente durante la
percezione, così dandole carattere di realtà. I veri
concetti della natura possono essere afferrati solo nella
meditazione.
Ad eccezione dei termini tecnici e scientifici, le parole
non hanno un significato inequivocabile; piuttosto, una
nuvola di significati le racchiude nel piano del pensiero.
Quando impieghiamo il linguaggio semplicemente come
veicolo per trasmettere informazioni, utilizziamo solo
9 – Meditazione 169
una frazione della nuvola di significati che circondano le
parole. Per esempio, il significato di una parola in una
particolare frase viene definito più o meno precisamente
[inequivocabilmente] tramite il significato della frase.
Le parti corrispondenti della loro nuvola di significati
connettono le parole internamente alla frase.
Le parole sono circondate anche da una nuvola di
sentimento, che viene plasmata dalla struttura sonora
del linguaggio interessato, soprattutto dalle sue vocali,
ma anche dal suono nel suo complesso. Anche la nuvola
di significato ed il ritmo contribuiscono al carattere
emotivo delle parole. Poeti e scrittori in particolare
esaminano le parole dure, dolci o leggere per il loro
valore emotivo, utilizzandolo di conseguenza. E’ questo
il motivo per cui non possiamo esprimere il significato di
un poema in termini di informazione. La nuvola di
sentimenti di cui stiamo qui parlando non ha niente a
che vedere con alcun “umore” psichico; essa indica
piuttosto la sorgente del significato concettuale.
Il significato primario o originale delle parole
comprende la nuvola di sentimenti come pure quella dei
significati. Esso non appartiene molto ad una parola in
particolare come vi appartengono le parole di un certo
gruppo o famiglia aventi radice comune o relativa. I
bambini afferrano il significato originale di una parola
quando la sentono utilizzata in un particolar modo, così
comprendendola. In seguito, essi possono capire ed
impiegare questa parola in tutti i suoi modi d’uso
170
conosciuti, e possono perfino scoprirne di nuovi, ad essa
appropriati.
Ciò significa che quando gli adulti utilizzano una
parola nel suo senso specifico, il significato originale,
primario, risuona e covibra con lo specifico significato,
ed i bambini ne hanno così esperienza superconscia.
Questa continua presenza del significato primario
appare particolarmente nelle congiunzioni e preposizioni
delle lingue Indo-Europee. In queste lingue possiamo
notare chiaramente come ogni frase specifichi e
particolarizzi il significato originale, che ancora è
presente nello sfondo. Infatti possiamo utilizzare la
stessa parola in frasi consecutive, ogni volta in un senso
diverso.
La parola che appare nel mondo sensibile deriva dalla
parola più nascosta e più ampia, dal significato della
particolare frase, o frasi. Se ci addestriamo a
sperimentare questo significato consciamente, senza
doverlo mettere in parole, notiamo che il significato
nella sua vivente fluidità origina in una persino più
potente parola. I passi – la scala delle entità similparola
– con le quali la parola è discesa fino a divenire
percepibile ai sensi, ci può gradualmente ricondurre alla
Parola [Verbo].
L’esperienza cosciente di questa “parola senza parole”
viene chiamata meditazione. Questa parola senza parole
non è un’astrazione; essa è simile alle parole creative tali
quali, per esempio, le idee dei fenomeni naturali.
9 – Meditazione 171
Abbiamo mostrato nel capitolo 8 che quando abbiamo
a che fare esclusivamente con pensieri e fenomeni
linguistici o testuali, la realtà e la verità coincidono
nell’esperienza di evidenza. Nella sfera della percezione,
d’altro canto, realtà e verità sono separate, perché non
possiamo pensare pienamente il percetto se esso è parte
della natura; necessitiamo invece di concetti superiori.
Ciò nonostante, l’immagine esteriore della natura, che
ha qualità e legalità che possono essere descritte anche
senza essere lette, ci conduce alla conclusione che
abbiamo a che fare con un testo. Ogni volta che
scopriamo differenze e similarità, analogie e relazioni,
possiamo trovare anche concetti, e dovunque dei
concetti appaiono nel mondo percettivo stiamo avendo
a che fare con un testo.
Le verità accessibili al pensiero moderno divengono
coscienti quando sono rispecchiate dal nostro
organismo. Di conseguenza, queste verità hanno perso la
loro qualità di realtà. Al contrario, resta viva la parte
della percezione che è inizialmente impensabile, –
precisamente perché non possiamo veramente pensarla
– destando quindi la sensazione di realtà. Come questa
parte si attiva, la sensazione di realtà che evoca si unisce
con la parte pensabile della percezione, e cioè, con i
familiari concetti nominali. Di conseguenza, nel pensiero
abbiamo verità senza realtà, e nella percezione abbiamo
realtà senza verità.
172
La meditazione è un tentativo – per mezzo della
concentrazione ed una continuità dell’attenzione nel
pensare e nel rappresentare – di raggiungere una verità
saturata di realtà nell’esperienza di evidenza. Nella
percezione d’altro canto, e cioè nella meditazione
percettiva, il tentativo è – ancora nell’esperienza di
evidenza – di giungere ad una realtà saturata di verità.
La meditazione in qualsiasi forma concerne le parole.
Infatti, perfino i temi di meditazione percettiva o
figurativa sono similparola, anche se non possiamo
esprimere tali “parole” in un particolare linguaggio.
I temi meditativi sono stati concepiti con accresciuti
poteri di cognizione e vengono espressi nella forma di
testo o di figura. Nella meditazione percettiva, possiamo
prendere il nostro tema dalla natura; i fenomeni della
natura sono in sé espressioni di concetti superiori. I
soggetti sui quali scegliamo di meditare non descrivono
fatti o non si riferiscono ad un mondo che già è passato.
Essi puntano piuttosto alla sorgente comune del mondo
e della cognizione, e cioè, al Logos. Nel Logos tutta
l’essenza è cognizione e già contiene quest’ultima.
Possiamo cognizzare e conoscere i nostri mondi,
interiore ed esteriore, in quanto essi sono mondi del
Logos e sono creati tramite la Parola. Il testo o tema sul
quale meditiamo viene preso da una fase del percorso col
quale la parola “discende” al mondo del passato e viene
quindi espressa nelle parole di un particolare linguaggio
o in una rappresentazione. Per questo motivo un
9 – Meditazione 173
meditante può trovare la via per la sorgente del tema
tramite la meditazione – e cioè, troviamo la via per una
sfera “senza parole”, “tale” se definiamo la “parola” in
quanto necessariamente dotata di suono.
La “parola” implica struttura anche in un senso
superiore – la struttura di un elemento fluido, aereo,
similcalore. Siccome il nostro comune linguaggio
“struttura” un mezzo molto più denso e solido, quando
meditiamo dobbiamo sviluppare una molto più potente
facoltà di strutturazione internamente alla nostra
attenzione, in modo da essere in grado di cognizzare
nell’elemento più sottile. E’ difficile esprimere
esperienze superiori nelle parole o figure della coscienza
ordinaria.
Comunque possiamo vincere questa difficoltà se
ricorriamo al significato primario delle parole o ad un
archetipo o simbolo che sia parimenti significativo.
La meditazione ha vita nella sfera dell’evidenza. Qui,
la verità e la realtà sono una, realtà e cognizione sono un
solo essere: l’originale, primordiale parola, non parlata,
non udibile, e non parte di uno specifico linguaggio; è la
Parola creativa tramite la quale venne creata la natura,
il nostro mondo percettivo. Nella meditazione lasciamo
il piano del passato nella nostra coscienza, ed il nostro
tema diviene quindi un compito, che possiamo e
dobbiamo realizzare, così che la realtà da raggiungere è
allo stesso tempo verità, cioè, evidenza. Realizziamo un
testo quando lo comprendiamo, e realizziamo il nostro
174
Io quando la nostra attenzione incontra sé stessa.
Similmente, creiamo la realtà di ciò su cui meditiamo
quando la nostra coscienza, ora unita ed una col nostro
tema, ascende al corrispondente livello della Parola, il
livello dal quale il nostro tema è stato preso.
10 – Meditazione Percettiva 175

10 – Meditazione Percettiva

Per studiare la natura di una funzione della coscienza è


bene esaminare il suo sviluppo, o la sua prima
occorrenza, prima che essa venga mischiata con
abitudini, memorie, ed altri meccanismi che distorcono
la figura.
Conseguentemente, per descrivere l’attività dei nostri
sensi nei capitoli 2 e 3, dovevamo ritornare al dato
diretto, e cioè, alla condizione precedente l’istruzione dei
sensi per mezzo delle intuizioni-pensiero – o almeno
all’inizio di questa istruzione. Ora comunque
guarderemo al confine di questa istruzione e allo
sviluppo cosciente di percezione e pensiero, la cui
interdipendenza è stata già discussa nei capitoli sopra
menzionati.
I sensi medi (vista e udito) ed il senso del tatto
forniscono ogni cosa necessaria ai sensi superiori – il
senso dell’Io (o del tu), il senso per i concetti, ed il senso
per la parola – per comprendere. Essi forniscono il
materiale grezzo per la percezione, che viene letto dai
sensi superiori, fintanto che è loro capacità. In questa
lettura focalizziamo sempre la nostra attenzione su
certe, selezionate caratteristiche dei materiali grezzi,
mentre altre vengono ignorate. Per esempio, il nostro
senso per la parola trascura il tono delle parole per
176
focalizzarsi sulla loro configurazione sonora; il nostro
senso per il pensiero si concentra su concetti ed ignora le
parole, ed il nostro “senso-del-tu” si dimentica il
contenuto pensante per focalizzarsi solo sull’essere-Io
parlante. In ogni caso, i sensi relativamente più bassi
sono trasparenti ed aperti ai sensi relativamente più alti.
La conversazione può essere considerata come
l’archetipo della percezione. Nella conversazione,
dobbiamo assimilare ciò che il nostro partner ha detto, e
spezzare questo contenuto in suoni, parole, pensieri, e
cognizioni-Io. Potremmo sentire le parole, ma non
comprendere i pensieri dell’altra persona; in questo caso,
non facciamo uso della trasparenza del senso-parola. Se
siamo incapaci di pensare ciò che l’altro ha detto,
l’espressione rimane bloccata al livello delle parole. Se
non comprendiamo il linguaggio col quale l’espressione è
stata fatta, ciò che sentiamo rimane solo rumore o, al
meglio, suono. Con ciò la nostra percezione discende
nella sfera dei sensi medi. I nostri sensi più bassi non
divengono trasparenti perché le successive funzioni
superiori non sono in grado di comprendere ciò che i sensi
più bassi trasmettono.
Ovviamente, il mondo naturale non viene parlato nel
presente qui ed ora; esso è piuttosto un testo finito,
molto simile ad una lettera che fu scritta nel passato e
deve ora essere letta. Fintanto che nemmeno
conosciamo le lettere individuali del testo, ed ancor
meno i corrispondenti concetti ed esseri-Io, la natura ci
10 – Meditazione Percettiva 177
rimane una percezione al livello dei sensi medi e del
senso del tatto. Ciò che accade quando non
comprendiamo il nostro partner in conversazione ci
dimostra che i sensi medi trasmettono concetti a noi
impensabili, superconsciamente.
La meditazione percettiva ha il compito di
comprendere il testo della natura. Per ottenere ciò,
dobbiamo innalzare il nostro pensare ad un piano più
vivente e più intuitivo. Solo allora la nostra attenzione
percettiva, ora concentrata ed allenata ad una
sensitività superiore per diverse qualità, sarà in grado
d’intuire le corrispondenti idee superiori. In altre parole,
il nostro pensare non deve discendere al livello del
passato.
Il testo della natura non consiste di lettere
predeterminate, o segni il cui significato è chiaramente
definito. Scoprire queste lettere e segni è in sé uno stadio
della meditazione. Tutti questi atti di scoperta
costituiscono il ritrovamento di una comprensione; essi
rispondono alla domanda “Che cosa dev’essere
percepito?” Giusto come possiamo “leggere” dei suoni
nei toni, delle parole nei suoni, e finalmente il contenuto
pensante, o significato nelle parole, similmente c’è un
atto di “lettura” coinvolto nella pura percezione o
meditazione percettiva. Se non possiamo afferrare
intuitivamente i concetti superiori che necessitiamo, la
nostra percezione rimane al livello dei sensi che sono
stati appropriatamente istruiti – dopo tutto, perfino i
178
sensi medi dovevano essere istruiti per essere in grado di
percepire le qualità sulle quali si focalizzano in
particolare.
Più la nostra attenzione percipiente è concentrata e
sgombra di concetti dal passato, più è possibile essere in
grado di intuire i concetti di qualità superiori nella
percezione. Nella meditazione proviamo a distinguere
tali concetti internamente al dato che percepiamo. Allo
stesso tempo, proviamo ad integrare questi concetti nella
figura percettiva che ci è giunta come risultato del loro
essere distinti internamente al dato. In altre parole,
nella meditazione tentiamo di trovare concetti adeguati.
Per trovarli, dobbiamo essere in un piano di coscienza
superiore.
La presenza di concetti inadeguati ci rende più difficile
raggiungere tale livello superiore; necessitiamo allora di
ridurli al silenzio. L’intensificare e l’estendere la fase
dell’arresa alla percezione rappresentano un tentativo di
silenziare questi inadeguati concetti. Quando la qualità
e l’intensità della nostra percezione sono
sufficientemente accresciute, i concetti del piano del
passato – essi sono normalmente semplici
rappresentazioni mentali e non arrivano ad essere
concetti – non possono più interferire o infrangere in
essa.
Coi nostri sensi superiori focalizziamo la nostra
attenzione in una parola che esiste solo per la coscienza
umana e che rispecchia la struttura interna di questa
10 – Meditazione Percettiva 179
coscienza. Siccome i sensi superiori, specialmente il
senso dei concetti, istruiscono tutti gli altri sensi, il
nostro mondo percettivo è un mondo specificamente
umano, come pure lo è il mondo dei nostri pensieri.
Ascendendo la scala dei sensi, le attività proprie ai
sensi superiori individualizzano ulteriormente il
materiale grezzo fornito dai sensi relativamente più
bassi. Per esempio, una particolare frase viene
individualizzata dall’Io che la rivela; chi la rivela fa una
effettiva differenza. Questo vale anche al livello della
semplice informazione, dove l’affidabilità dell’oratore, il
punto di vista di lui o di lei sono importanti.
Ogni frase, a sua volta, individualizza le parole; dei
molti possibili significati di una parola, ogni frase usa
solo un particolare significato – uno che spesso dipende
anche dalla situazione. Se trascuriamo l’oratore, il
significato di una frase è meno definito, e se guardiamo
ad una parola senza considerare la frase della quale essa
è una parte, anche il significato di una parola è meno
definito. Quindi, entità similparola più o meno poderose
si restringono; nel nostro ascendere diventano più
definite e più individualizzate.
In confronto alla parola, il suono è una entità
similparola più vasta e più ambigua. Con ogni parola,
molti suoni restringono l’un l’altro il loro vasto
“significato” – imperscrutabile dalla nostra ordinaria
coscienza – ad una entità similparola più piccola, e cioè
la parola di cui essi sono una parte. Per noi i suoni sono
180
al confine di ciò che possiamo afferrare. La
comprensione ed i concetti hanno inizio con la
transizione dai suoni alle parole, e continuano nella
nostra comprensione delle frasi.
Forse in tempi antichi, per mezzo di sentimenti
cognitivi, le persone comprendevano le parole più come
suoni. Oggi, la comprensione delle parole è molto vicina
a quella dei concetti. Causa la decadenza dei nostri
linguaggi, questa relazione tra suono e parola è stata
ampiamente rovinata.
Ogni suono si forma internamente ad un tono, quindi
individualizzandolo. I toni dicono di più quindi, e sono
l’idea maggiore tra i due. Comunque oggi le persone
difficilmente capiscono ancora i toni – eccetto forse nella
musica e nelle relative arti. Abbiamo ancora esperienza
delle parti nascoste di una parola e di quelle percepibili
ai sensi nella loro simmetrica interrelazione; ma
abbiamo solo una vaga idea che i suoni di un particolare
linguaggio abbiano anche una parte nascosta, e cioè il
loro significato. Al contrario, abbiamo difficilmente
esperienza dei toni come entità similparola, e non
abbiamo la più vaga idea di cosa possa complementare i
toni percepibili ai sensi in modo che la nostra
comprensione complementi le parole che sentiamo.
La scarsità di nomi per differenti qualità di toni sta ad
indicare che la nostra coscienza concettuale è molto
lontana dall’afferrare la vera natura dei toni. La
maggior parte degli aggettivi che utilizziamo per
10 – Meditazione Percettiva 181
descrivere i toni, come forte, basso, profondo, alto (che
possono essere chiamati anche diversamente), morbido,
duro e così via, vengono presi dagli altri sensi.
Similmente, nella sfera della visione, abbiamo nomi
propri per circa otto colori. Abbiamo anche meno nomi
per le percezioni dei nostri sensi del gusto e del calore.
Per il senso dell’odore abbiamo difficilmente qualcosa di
più di “buon odore” e “cattivo odore”, ovvero, non
abbiamo termini specifici per queste impressioni
sensorie.
I linguaggi forniscono solo una magra struttura per il
campo dei sensi medi, e questa struttura è raramente, se
non per niente, basata sulle loro idee essenziali.
Oggigiorno i nostri linguaggi ci istruiscono solo nei
concetti ordinari, e possiamo quindi istruire i nostri
sensi solo in simile modo. Una vera comprensione del
mondo sensorio richiede lo sviluppo della coscienza.
La meditazione percettiva innalza la nostra attenzione
alla fase in cui essa viene arresa all’oggetto di
percezione; innalza cioè l’attività dell’Io con la quale ha
inizio la percezione.
Senza esercizi percettivi non diveniamo mai
consapevoli della nostra attenzione, ma notiamo solo il
risultato della sua attività. Per esempio, vediamo una
montagna, ma siamo inconsapevoli della attenzione
“osservante” che ci permette di vederla. Nel guardare ed
in altre percezioni sensorie le immagini che abbiamo
sono il risultato della nostra attività, della nostra
182
attenzione; esse non sono immagini di memoria. Queste
figure si intessono nell’immediato presente, nel qui-ed-
ora, mentre percepiamo. Quando eleviamo l’attenzione
che è attiva in questo processo al punto in cui essa può
scoprire sé stessa nella sua attività, sperimentiamo
queste figure non più come risultato ma come l’attività
stessa in tutta la sua vivacità. Simultaneamente sorge in
noi il significato della meditazione “tat tvam asi” o
“Questo sei tu”.
L’Io vive in identità. Dal momento che l’Io da inizio e
guida anche l’ordinaria percezione nell’arrendere sé
stessa all’oggetto percettivo, la figura percettiva non è
soggettiva. Possiamo verificare ciò nella conversazione.
Noi sentiamo ciò che il nostro partner sta dicendo, e
possiamo quindi accertarci che ciò che abbiamo sentito è
identico a ciò che è stato detto. Possiamo chiedere
conferma di ciò al nostro partner di conversazione, e lui
o lei può confermarlo. Infatti, di solito sentiamo ciò che
è stato detto – non ci aspettiamo alcun’altra cosa. Non
abbiamo alcuna ragione di assumere che la nostra
relazione con gli elementi percettivi “naturali” sia
diversa dalla nostra relazione coi discorsi di un’altra
persona in una conversazione che può essere verificata.
Quindi, tutti i pseudo-problemi, come il sapere se
persone diverse sperimentano le stesse qualità sensorie,
divengono meno importanti. Non possiamo accertare se
ciò sia per essi effettivamente così, o meno. E nemmeno
possiamo accertarci di noi stessi se percepiamo o meno
10 – Meditazione Percettiva 183
sempre la stessa qualità sensoria. In questo modo, il
pseudoconcetto “lo stesso” viene relativizzato.
Altri concetti lavorano similmente. Non possiamo
definire i nostri concetti basilari perché ciò richiederebbe
l’esistenza di altri, già definiti concetti, e così via.
Comprendiamo l’un l’altro nella comunicazione perché
ci fidiamo ciecamente della comune familiarità della
parola, anche se questo fatto è la questione qui in
discussione.
Il dato diretto non ha una struttura data a priori, né
una struttura concettuale, né una percettiva. Dopo
tutto, i concetti isolano le percezioni fuori dal dato. I
nostri organi sensori stessi strutturano il dato solo in
cooperazione coi concetti – come prova l’originale modo
col quale ogni lingua suddivide lo spettro dei colori.
Quando abbiamo elevato l’intensità dell’attenzione ci
siamo resi conto che questa attenzione è identica alla
figura che essa intesse. Ciò ci conduce ad una esperienza
monistica nella percezione pura. Ciò che è qui al lavoro
non è soggettività umana; piuttosto, è la strutturazione,
l’attività universale dell’attenzione similparola –
ricevuta dal linguaggio, addestrata tramite pensiero
concettuale, ed elevata con un’educazione attiva della
coscienza. La nuova strutturazione del dato e
l’accendersi dei concetti superiori sono uno e lo stesso
atto di coscienza. Nella e per attività cosciente
realizziamo l’ideale della percezione contemplativa di
Goethe. Allo stesso tempo, riscopriamo in piena
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coscienza i concetti che strutturano il dato
organicamente. In questo tipo di meditazione, il “testo”
ed i suoi elementi rimangono ambigui.
Come diveniamo consapevoli della nostra attenzione in
quanto realtà creativa, essa si accende per noi quale più
intima ed individuale attività dell’Io. Quando la nostra
esperienza dell’Io avviene nell’attenzione percettiva,
essa raggiunge un livello dove l’Io diviene capace di
assimilare il linguaggio dei fenomeni naturali.
Scopriamo quindi che questi fenomeni ci hanno sempre
parlato, ma che ci mancava la capacità di comprendere
questo potente linguaggio.
Ciò che i fenomeni naturali stanno “dicendo” può
essere trasmesso solo in frasi meditative – se lo può
affatto. Più scendiamo la scala dei sensi, giù fino al
senso dell’olfatto, più pace ed armonia irradiano verso di
noi con un certo silenzio. Questo silenzio è presente
anche nei toni e nei suoni della natura. Esso consiste dei
vuoti tra i toni, e questi vuoti ci offrono lo spazio per
complementare i fenomeni. Questo silenzio è un’attesa,
in infinita pazienza e attraverso immisurabili ere di pace
che hanno preceduto ogni possibilità di misurazione.
Siamo noi stessi la soluzione all’enigma della natura,
poiché portiamo con noi la soluzione, almeno
potenzialmente. In particolare abbiamo l’abilità di
complementare la parte della natura percepibile-ai-
sensi, nell’accrescerla, così che essa divenga realtà.
Naturalmente, questa non è la sola e finita realtà:
10 – Meditazione Percettiva 185

“Nell’aspettativa del sonno”

“Ogni cosa dice: Pace”

“Insondabile silenzio davanti a ciò che sta venendo:


Silenzio di benvenuto”

“Friabile eternità”

“Oltre la gioia e la tristezza”

“Giunge ora la Luce del Mondo?”

“Sei preparato?”

Se non ci eleviamo al livello della meditazione,


saremmo accecati dalle idee della natura che
oltrepassano la nostra comprensione. Siccome queste
idee ci sono inaccessibili, esse si infondono nella nostra
mente come sensazioni percettive e ci fanno credere che
esse contengano elementi nonconcettuali. Questo
elemento nonconcettuale sembra influire nei nostri
sensi, ma potremmo comprendere l’ideale col nostro
spirito. I nostri sensi interessati “rispondono”, ci danno
una figura. Noi assumiamo che ci sia una “realtà-in-sé”
non-ideale dietro a questa figura. In realtà, comunque,
questi concetti sostitutivi sono semplici immagini
mentali, impuri “semi-concetti”, e ci conducono
all’incomprensione della natura delle idee. Confondiamo
186
le idee con astrazioni dal nonconcettuale, come se i
concetti non fossero già una precondizione per
l’astrazione: dopotutto, dobbiamo selezionare e decidere
da che cosa ci stiamo astraendo.
La coltivazione sistematica dei “nonpensieri” ci porta
ad inclusioni impenetrabili nella nostra coscienza che
ostruiscono la sana circolazione della luce. Come
risultato, il nostro pensiero intuitivo viene sempre più
indebolito. Ci costruiamo un labirinto fatto di pensieri
che si muovono in cerchi, e possiamo trovare
difficilmente la via d’uscita. Le forze intuitive che
vengono impedite di funzionare in modo sano si
sviluppano quindi nelle potenti abitudini dinamiche del
nostro subconscio – nelle inverse, eppur profondamente
efficaci, ispirazioni del nostro sentire e volere. Queste
lavorano per ostacolarci a diventare veramente umani.
Se dovessero riuscire in questo intento, la natura
sarebbe eternalizzata nella sua esistenza oscurata ed
irredenta a causa del nostro fallire di leggerla con
comprensione – eternalizzata come un essere che non si
sveglia mai dal suo sonno, mummificata nel suo
dormire.
Nella pura percezione non siamo più accecati, e
l’incomprensibile riacquista il suo rango di idea
superiore. La nostra percezione si dissolve nella
comprensione, nella presenza spirituale nel qui e adesso.
Quindi l’essere umano si realizza: diviene il significato
del libro della natura.
Epilogo 187

Epilogo

Non è lo scopo dell’epistemologia renderci coscienti di


ciò che stiamo facendo in un caso qualsiasi, sia che ne
siamo consapevoli o meno. Per quanto l’epistemologia
possa fare ciò, essa è una scienza descrittiva a posteriori,
come lo sono la logica e la linguistica. Tale descrizione
può al massimo servire come preparazione. Lo scopo
dell’epistemologia, piuttosto, è quello di mostrare che la
cognizione è di una natura sovrasensibile, che la sua
natura è simil-Io. Inoltre, l’epistemologia ci riconduce
alle sorgenti del dato modo di cognizione: da qui,
possiamo continuare coscientemente il nostro percorso
cognitivo per conto proprio. In aggiunta,
l’epistemologia indica anche dove e come possiamo
iniziare questa continuazione.
Il tipo di cognizione che ci è stata data può essere
accresciuta con lavoro cosciente. Questo è un fattore
nuovo nell’evoluzione dell’umanità, in particolare da
quando tale sviluppo cosciente non più è ristretto a
poche persone scelte, ma è per tutti disponibile.
Ogni stadio di vita cognitiva ha la sua propria
epistemologia. Essa dev’essere data da un livello
superiore tramite “intuizione” nella fase che dev’essere
descritta – altrimenti l’epistemologia finirebbe per
essere una infruttuosa speculazione. Intuendo quanto
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detto sopra, la descrizione può essere formata in modo
tale che possiamo comprenderla tramite pensiero
intuitivo, per mezzo di formazione intuitiva di nuovi
concetti. Ciò può essere fatto anche senza dover prima
innalzare la nostra coscienza ad un nuovo livello. Le
intuizioni necessarie per questo scopo preparano il
lavoro cosciente necessario per elevare la nostra vita
cognitiva ad un livello superiore.
L’epistemologia ci serve quindi come “studio” per il
percorso cognitivo.
Ecco perché questo libro termina con capitoli sulla
meditazione. Questi capitoli intendevano mostrare come
un percorso cognitivo, nel senso di scienza dello spirito,
può guarire un nostro insano cognizzare e svilupparlo
organicamente. Questo percorso, che ci è dato come
possibilità, è un’elevazione della cognizione.

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