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Che delusione prof. Galimberti la sua ultima intervista per la trasmissione “Atlantide”. Una
delusione che è iniziata molto tempo fa, ascoltando alcune sue lezioni o interventi
pubblici, ma che nell’occasione indicata ha trovato una solida motivazione sia intellettuale
che emotiva.
Lei mi ha citato favorevolmente, vent’anni fa, su Repubblica, per un mio saggio all’interno
de “Il Manifesto di Psiche”, a proposito della spregiudicatezza di Psiche rispetto all’“ovvio
dei popoli”: insomma, era una opposizione ante litteram al pensiero unico omologato.
Adesso La ritrovo a sostenere qualsiasi posizione che sia allineata con il potere, sempre in
linea con le direttive dei giornali in cui scrive e delle case editrici per la quali pubblica,
senza un attimo di esitazione e di dubbio, e confortato da una indiscutibile competenza
culturale, che però purtroppo finisce spesso con uno stile arrogante e spocchioso,
inaspettato da uno che si definisce “greco” per visione del mondo, quindi socraticamente
convinto di sapere di non sapere.
Nella trasmissione citata, Lei sentenzia sull’infermità mentale dei negazionisti del Covid –
altra invenzione terminologica del pensiero unico che Lei dovrebbe rifuggire, come
populismo, ad esempio – definendoli “deliranti”, “folli”, “psicotici”, solo perché chiedono di
verificare la realtà che viene propinata.
Lei, che alle pagine 354 e 355 di “Psiche e techne”, denuncia la tecnica come “visione del
mondo che decide la natura della cosa e la qualità dello sguardo”, si appiattisce sulla realtà
epidemica costruita dalla scientocrazia senza inforcare gli occhiali della critica.
Lei, che a pagina 116 del dialogo con Boncinelli avverte come “La qualità dello sguardo
scientifico è di per sé manipolativa, l’intenzione manipolatrice è insita nello stesso atto di
nascita dello sguardo scientifico”, non sente puzza di bruciato nelle operazioni che
sedicenti tecnici e sedicenti scienziati hanno posto in essere nel terrore che hanno
artatamente propagato?
Lei, che ne “Il viandante della filosofia” parla di “problematizzazione dell’ovvio”, di
“atteggiamento critico”, di mettere “in crisi la cosiddetta opinione diffusa”, non si sente un
po’ in imbarazzo a trovarsi dalla parte dei cantori dell’ovvietà, del comportamento
omologato, della massa obbediente? E poi, l’apoteosi, quando fa diagnosi di follia con
prognosi infausta: con certe persone, con i pazzi, non si può dialogare perché negano la
realtà.
Peccato, prof. Galimberti. Di negatori della realtà comunista si sono riempiti i manicomi di
Unione Sovietica e di Cuba, e di negatori del capitalismo almeno un posto è stato riservato
presso il St. Elizabeth ad Ezra Pound, ma questo Lei non può ammetterlo da liberista di
sinistra.
Io sono un suo pessimo allievo – sovranista e nazionalrivoluzionario –, mentre Lei può
vantarne di ottimi altrettanto democratici: come un suo sostenitore, tale “Science Will
Triumph” (?) che scrive “il contradditorio a chi nega la realtà e la scienza non deve essere
concesso” (senza passare dal dizionario per controllare le doppie!), perché la realtà è una,
quella del potere, e chi la confuta non merita che il manicomio.
E poi, un ultimo appunto. Heidegger è stato il massimo filosofo del ‘900, però “poco
coraggioso” per aver aderito al nazismo. No, professore, no! La prego. Da filosofo quale è
non può parlare di coraggio a nome degli intellettuali in un’Italia dove su 1125 professori
universitari solo 12 si rifiutarono di giurare alla Patria e al Fascismo. 12 che mica rischiarono
la morte, solo il licenziamento, rispetto alla fucilazione e ai lavori forzati di ben altro
regime.
Comunque, basta. L’ho tirata troppo alla lunga. Io, da sovranista e nazionalrivoluzionario,
magari un po’ fascista con venature populiste e sfumature negazioniste, continuerò ad
ascoltarLa e a studiarLa dall’ultimo posto e da suo pessimo allievo. Il posto degli ottimi,
quelli degli opportunisti e dei leccaculo, erano già tutti occupati, senza rammarico da parte
mia.
Distinti e rispettosi saluti
Tags: coronavirus filosofia Heidegger Umberto Galimberti
Adriano Segatori
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