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ella sua lunga carriera di studioso di cose mantovane, Clifford
Malcolm Brown ha sempre mantenuto lo sguardo aperto a tutte le
produzioni culturali. Per questo, credo, sarebbe stato interessato a
conoscere il contenuto delle biblioteche di due intellettuali di notevole rilievo
come Battista Fiera (Mantova 1460/61-1540) e Giovanni Benedetto Lampridio
(Cremona 1478 - Mantova 1540), che vissero tra l’altro a stretto contatto con
gli ambienti artistici della corte gonzaghesca. Entrambi morirono nel 1540 e
due elenchi postumi dei loro libri, per qualche strano ghiribizzo della fortuna,
sono conservati nella medesima busta dell’archivio notarile depositato presso
l’Archivio di Stato di Mantova1.
Battista Fiera studiò medicina e logica all’università di Pavia e in un momen-
to imprecisato, probabilmente sul finire degli anni ottanta del Quattrocento, si
recò a Roma, dove frequentò la cerchia di Pomponio Leto2. Tornato a Mantova
ai primi del Cinquecento, Battista si dedicò ai suoi molteplici interessi, che
contemplavano, oltre alla poesia, lo studio della filosofia, della teologia e della
medicina. Le numerose opere letterarie di Fiera apparvero in una prima raccol-
ta, composta perlopiù da testi poetici, edita a Mantova nel 1515, che non ebbe
però eccessiva fortuna, tanto che per vederne una seconda si deve attendere
il 1537, quando una nuova edizione di suoi scritti fu stampata a Venezia3. Sul
versante delle arti figurative, nella città gonzaghesca Fiera dovette stringere
anche un rapporto di stima e fiducia con Andrea Mantegna, tanto da appa-
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rire quale testimone alla redazione del testamento del pittore4. Quest’ultimo
figura inoltre tra i protagonisti del trattatello del Fiera De iusticia pingenda e il
suo dipinto del Parnaso, eseguito per Isabella d’Este, è oggetto di una lode in
versi del Fiera5. Ad arricchire questo dossier degli interessi figurativi di Fiera,
si può aggiungere come poco dopo la morte di Mantegna, nel 1506, Battista
fece dipingere la propria effigie al nuovo astro pittorico della corte mantova-
na, Lorenzo Costa, in un quadro oggi conservato presso la National Gallery
a Londra. Fiera è infine noto alla storia dell’arte per aver fatto erigere, entro il
1514, un arco tra la propria casa e le pertinenze della chiesa di San Francesco sul
quale erano collocate tre grandi teste fittili, oggi visibili presso il Museo della
Città in Palazzo San Sebastiano, raffiguranti due astri letterari mantovani, cioè
Virgilio e Battista Spagnoli, e il marchese Francesco Gonzaga6.
Queste pur frammentarie notizie consentono di inserire solidamente Fiera
nella temperie artistica e culturale della fine del Quattrocento, dominata, a
Mantova, da Mantegna, ed è pertanto sorprendente trovare nella raccolta
del 1537 una tardiva celebrazione di Giulio Romano, scritta forse per tentare
di ricollocarsi nel panorama artistico di quegli anni7. Nonostante lo scarno
successo editoriale e il tramonto del mondo di cui era stato un protagonista,
Battista Fiera dovette godere di una vita complessivamente agiata a Mantova,
dove, alla fine della sua vita, risulta proprietario di diversi edifici. Nel marzo
1538, nel redigere il proprio testamento, in cui si fregia orgogliosamente dei
titoli di «nobilis mantuanus (…) aeque theologus eminentissimus, medicus et poeta
summus», Fiera stabilì che due abitazioni di sua proprietà fossero lasciate a due
pronipoti, Evangelista e Giovanni Maria, e tutti i restanti suoi beni dovessero
essere ereditati da un terzo pronipote, anch’egli di nome Battista, figlio del
nipote Filippo, che Battista aveva adottato già nel 15148.
Battista senior morì due anni dopo, il 2 gennaio 1540, a circa ottant’anni, e
tre giorni dopo venne redatto un inventario dei suoi beni9. Questo documento,
noto da tempo, registra un’abitazione sufficientemente fornita di masserizie in
cui, tra le altre cose, nello studio è registrata la presenza del ritratto di Costa
(«unus quadrus picture prefati quondam domini Baptiste»), ma non fa menzione
dei suoi libri. Un elenco di essi, compilato poco dopo la redazione del primo in-
ventario e citato esplicitamente in un atto del notaio Cattani del 20 aprile 1540,
è però finito in un documento del 14 ottobre 1540 relativo ai beni inventariati
per conto di una certa Viviana della Fiera, vedova di Ognibene de Pederzani,
in qualità di tutrice del figlio Ippolito, la cui relazione con Battista – se mai
ce ne fu una – non mi è stato possibile ricostruire (Appendice, 1). Il fascicolo
in cui è trascritto l’inventario, rimasto finora ignoto per un presumibile errore
di collocazione tra gli atti del notaio, contiene un elenco di circa duecento
libri che termina con il ricordo di un imponente quantitativo di opere dello
stesso Fiera, purtroppo collettivamente ricordate come centoventisei opere di
medicina e centocinquanta opere miscellanee, tra le quali spiccava il poema
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Gli elenchi di libri di Fiera e Lampridio offrono spunti stimolanti sugli inte-
ressi e le conoscenze di due importanti intellettuali del primo Cinquecento, ma
gettano altresì luce sulla coesistenza, negli stessi centri e nello stesso tempo, di
culture profondamente diverse, che ci invitano a non ricostruire i percorsi della
cultura in maniera lineare, ma a intenderne piuttosto la multiforme varietà, le
contraddizioni e le tangenze, al di là delle specifiche differenze. La citazione, tra
i libri di Lampridio, di un’opera di Fiera, insieme ai commentari ad Aristotele
e alle pur sparute opere di Duns Scoto, mette in diretta relazione i mondi così
diversi di questi due autori, e conferma come culture e temporalità ben distinte
convivessero fianco a fianco, sovrapponendosi talora, pur senza confondersi.
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Appendice
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NOTE
abbreviazioni
ASMn Archivio di Stato di Mantova
AN Archivio Notarile
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