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All the editorial series of the Officina di Studi Medievali are peer-reviewed series. The con-
tent of the each volume is assessed by members of Advisory Board of the Officina or by other
specialists who are chosen and whose names are periodically made know.
BIBLIOTECA DELL’OFFICINA DI STUDI MEDIEVALI
14.III
Société Internationale pour l’Étude de la Philosophie Médiévale
Presidenti onorari:
T. Gregory, Roma
J. Hamesse, Louvain-la-Neuve
R. Klibansky, Montreal / Oxford (†)
W. Kluxen, Bonn (†)
D. E. Luscombe, Sheffield
J. E. Murdoch, Harvard, Cambridge (USA) (†)
A. Zimmermann, Köln
Presidente:
J. Puig Montada, Madrid
Vice-Presidenti:
A. de Libera, Pris-Genève
T. B. Noone, Washington, D.C.
L. Sturlese, Lecce
Bureau:
P. J. J. M. Bakker, Nijmegen
A. Culleton, São Leopoldo
E. Jung, Łódź
C. Mews, Victoria (Australia)
P. Porro, Bari
T. Ricklin, München
M. A. Santiago de Carvalho, Coïmbra
C. Schabel, Nicosia (Cyprus)
Segretario generale:
M. J. F. M. Hoenen, Freiburg im Breisgau
Volume III
Comunicazioni
Orientalia
a cura di
Alessandro Musco
e di Rosanna Gambino - Luciana Pepi - Patrizia Spallino - Maria Vassallo
Indici di Patrizia Spallino
2012
Rosanna Gambino ha curato l’editing della sezione Byzantina e della sessione speciale Symbol
and Image in the Middle Age; Luciana Pepi ha curato l’editing della sezione Judaica; Patrizia
Spallino ha curato l’editing della sezione Arabica, l’uniformità redazionale dell’intero
volume e gli Indici; Maria Vassallo ha curato l’editing della sezione Indica; Alessandro
Musco ha curato la supervisione dell’editing redazionale del volume e il coordinamento
scientifico-editoriale.
I saggi qui pubblicati sono stati sottoposti a “Peer Review” / The essays published here have been “Peer Reviewed”
Ogni diritto di copyright di questa edizione e di adattamento, totale o parziale, con qualsiasi mezzo è
riservato per tutti i Paesi del mondo. È vietata la riproduzione, anche parziale, compresa la fotocopia,
anche ad uso interno o didattico, non autorizzata dall’editore.
Volume I
Sessioni Plenarie
Loris Sturlese, Universality of Reason and Plurality of Philosophies in the Middle Ages.
Geography of Readers and Isograph of Text Diffusion before the Invention of Printing 1
Olivier Boulnois, Pourquoi la théologie? La raison dans la religion 23
Richard Cross, Aristotle and Augustine: Two Philosophical Ancestors of Duns Sco-
tus’s Cognitive Psychology 47
Cristina D’Ancona, Le traduzioni in latino e in arabo. Continuità e trasformazioni
della tradizione filosofica greca fra tarda antichità e Medioevo 73
Giulio d’Onofrio, Filosofi e teologi a Roma. Ascesa e declino dell’universalismo spe-
culativo medievale 105
Stephen Gersh, Through the Rational to the Supra-Rational. Four Criteria of Non-
Discursive Thinking in Medieval Platonism 125
Dag Nikolaus Hasse, Latin Averroes Translations of the First Half of the Thirteenth
Century 149
Georgi Kapriev, Die Verurteilung von Konstantinopel 1368 – Universalansprüche
und Provinzialisierung 179
Paolo Lucentini, Ermetismo e pensiero cristiano 195
VIII Indice dei contenuti / Table de contenu / Table of contents
Volume II.1
Alessandro Musco, Universalità della Ragione. Pluralità delle filosofie nel Medievo/
Universalité de la Raison. Pluralité des philosophies au Moyen Âge/ Univer-
sality of Reason. Plurality of Philosophies in the Middle Ages XIX
Latina
Juan Carlos Alby, Martyrium verum, sententiam eorum. La crítica de San Ireneo a
la concepción gnóstica del martirio 1
Roberto Schiavolin, Mysterium magnum: l’anima come secunda trinitas nel pensiero
di Mario Vittorino 11
Paula Oliveira e Silva, Visio Dei ineffabilis. La vision de Dieu comme expérience de
communion chez saint Augustin 19
Renato de Filippis, La retorica al servizio della “filosofia” nell’alto Medioevo 29
Ignacio Verdú Berganza, Humildad y verdad en Agustín de Hipona 37
Indice dei contenuti / Table de contenu / Table of contents IX
Lydia Wegener, Meister Eckharts unbekannte Erben: der Traktat Von dem anefluzze
des vater als Beispiel für die Rezeption und Transformation eckhartischen
Denkens in anonymen volkssprachlichen Texten des 14. Jahrhunderts 573
Alessandra Beccarisi, Der hœhste under den meister. Il De anima di Aristotele
nell’opera di Meister Eckhart 587
Tamar Tsopurashvili, Negatio negationis als paradigma in der Eckhartschen Dialektik 595
Volume II.2
Latina
Franciscana
P. Barnaba Hechich, OFM, Spunti e riflessioni basilari suggerite dal libro III della
Lectura e dell’Ordinatio Del B. Giovanni Duns Scoto edite negli anni 2003-
2007 dalla Commissione Scotista 901
Charles Bolyard, John Duns Scotus on Accidents 911
Antoine Côté, The Theological Metaphysics of Odo Rigaldi 923
Luis Alberto De Boni, Catholici te laudant omnipotentem - A noção de onipotência
segundo Duns Scotus 935
Cruz González-Ayesta, Voluntad natural y voluntad libre según Duns Escoto 943
Manuel Lázaro Pulido, La categoría «Pobreza» en la Metafísica de la expresión de
San Buenaventura 953
Gerhard Leibold, Intentionalität bei Petrus Johannis Olivi 963
Giuliana Musotto, La seconda questione disputata De dilectione Dei di
Nicola di Ockham 969
Stéphane Oppes, La filosofia del linguaggio come filosofia prima nel sistema di Bona-
ventura. Oltre la questione bonaventuriana 975
Luca Parisoli, Paraconsistenza scotista: Pseudo-Scoto e Duns Scoto 989
Roberto Hofmeister Pich, Duns Scotus on the credibility of Christian doctrines 997
António Rocha Martins, Teologia e Metáfora em São Boaventura 1013
Tiziana Suarez-Nani, Un’altra critica alla noetica averroista:Francesco della Marca
e l’unicità dell’intelletto 1025
Juhana Toivanen, Peter Olivi on Practical Reasoning 1033
Lulliana
Francesco Fiorentino, Credere et intelligere dans les œuvres latines tardives de Lulle 1109
Núria Gómez Llauger, Aproximaciones al Liber de potentia, obiecto et actu de
Ramon Llull 1119
Esteve Jaulent, El Ars generalis última de Ramon Llull: Presupuestos metafísicos y
éticos 1129
Marta M. M. Romano, Aspetti della strumentativa in Raimondo Lullo 1153
Josep E. Rubio Albarracín, Ramon Llull: Le langage et la raison 1163
María Asunción Sánchez Manzano, Ramón Llull: Quattuor libri principiorum y la
filosofía de su tiempo 1169
Jorge Uscatescu Barrón, La relación entre el Ars inventiva veritatis y el Ars
amativa (1290) 1181
John Dudley, A revised interpretation of the mediaeval reception of Aristotle’s
Metaphysics 1197
Fernando Domínguez Reboiras, Postfazione XXXV
Indice dei nomi antichi e medievali 1203
Indice dei nomi moderni 1215
Indice dei manoscritti 1239
Curricula dei curatori 1243
Comitato Scientifico / Advisory Board dell’Officina di Studi Medievali 1245
VOLUME III
Orientalia
Alessandro Musco, Universalità della Ragione. Pluralità delle filosofie nel Medievo/
Universalité de la Raison. Pluralité des philosophies au Moyen Âge/ Univer-
sality of Reason. Plurality of Philosophies in the Middle Ages XIX
Arabica
Indica
Judaica
Byzantina
Shaykh Ahmad Sirhindî (1564-1624) nacque e morì a Sirhind, località del Punjab a me-
tà strada tra Delhi e Lahore. Fu un importante membro dell’ordine sufi dei Naqshbandiyya;
fu un mujtahid, e un teologo, appartenente alla scuola di diritto hanafita e di teologia matu-
ridita. Di lui si parla in India e altrove come del Rinnovatore del Secondo Millennio
dell’Islam (mujaddid-i alf-i thânî); la sua fama è dovuta soprattutto all’impatto che ebbero
le sue lettere (maktûbât) nell’ambiente religioso dell’India del XVII secolo e alla forte in-
fluenza che esercitò alla corte dell’imperatore moghul Jahângîr (1601-1627). La sua opera
di riforma religiosa era in parte rivolta verso gli ambienti intellettuali della corte imperiale
che in quel periodo erano pervasi da correnti di pensiero fortemente contaminate dal sincre-
tismo, e verso alcune correnti del Sufismo dell’India in cui erano particolarmente in auge le
dottrine della scuola metafisica di Muhyi al-Dîn Ibn ‘Arabî, nota come Wahdat al-Wujûd, o
«Unicità dell’Essere», a cui egli oppose un punto di vista differente, espresso dalla dottrina
metafisica della Wahdat al-Shuhûd o «Unicità della Visione».
Non essendo mia intenzione descrivere nel dettaglio le differenze sostanziali tra le due
dottrine, mi soffermerò però su alcuni aspetti della dottrina metafisica di Shaykh Ahmad
Sirhindî che rappresentano a mio giudizio uno dei punti più elevati dell’elaborazione teori-
ca e dottrinale del Sufismo.
Uno degli argomenti più frequentemente trattato da Sirhindî nelle sue opere è quello
della visione di Dio e della sua modalità. Nella teologia islamica, la questione della visio
beatifica, espressione che in arabo si traduce con il termine ru’ya, è stato un problema ar-
dentemente dibattuto; secondo l’opinione ortodossa prevalente, Dio potrà essere visto solo
dai credenti nell’Altro Mondo, e questa visione sarà loro concessa come premio supremo,
come spiega il versetto: «Volti in quel giorno saranno splendenti, miranti al loro Signore».1
A questo proposito viene spesso citato un hadîth qudsî2 in cui il Profeta parlando ai suoi com-
pagni disse: «Voi vedrete il vostro Signore come vedete la luna durante le notti di luna piena».3
Resta da determinare con quali occhi, secondo i teologi, i credenti potranno vedere Id-
1
Cor. 75: 22-23.
2
Letteralmente «tradizione santa»; un particolare genere di detti tramandati dal Profeta Muhammad, che con-
tengono una rivelazione non contenuta nel Corano.
3
A. J. WENSINCK, Concordances et Indices de la Tradition Musulmane [= Concordances], vol. II, pag. 151,
Brill, Leiden-NewYork 1992.
68 Demetrio Giordani
dio nell’Altro Mondo. La Visione avverrà con gli occhi del corpo, oppure sarà solamente
una visione spirituale, anche se e quando i corpi verranno resuscitati? L’Imâm Abû Hanîfa
dice chiaramente nel Fiqh Akbar che Iddio sarà visibile in Paradiso dai credenti, che lo ve-
dranno con gli occhi del corpo, senza comparazione o modalità, e non ci sarà distanza alcu-
na tra Lui e le Sue creature.4 I Mutaziliti negavano fermamente la possibilità di tale visione,
poiché, sostenevano, essendo Iddio immateriale non può essere visto dagli occhi del corpo
di nessun essere vivente. Essi fondavano la loro posizione sul versetto coranico che dice:
«Non lo afferrano gli sguardi ed Egli tutti gli sguardi afferra».5
Per gli Ash‘ariti, al contrario, Iddio potrà essere visto con gli occhi del corpo (bi-l-
absâr), proprio perché Egli esiste, e tutto quel che esiste può esser visto.6 Kalâbâdhî, autore
di uno dei uno dei primi grandi trattati sul sufismo, diceva però che a vederlo saranno solo i
credenti e non i miscredenti, perché sarà un privilegio accordato loro da Dio.7 Al-Ghazâlî
precisa però che si tratterà di una visione spirituale determinata da una disposizione natura-
le del cuore, chiamata a volte intelletto (‘aql), oppure visione interiore (basîra), luce della
fede o della certezza (nûr al-îmân wa-l-yaqîn).8
Altri teologi sunniti, tra cui alcuni sapienti della scuola di Al-Mâturîdî, distinguevano
tra ru’ya, «visione» diretta e idrâk, «percezione» e affermavano che se anche Iddio può
essere visto mediante gli sguardi non potrà però essere afferrato da essi; non è possibile
infatti parlare di idrâk in rapporto a Dio, perché ciò implicherebbe che l’oggetto della per-
cezione abbia dei limiti che lo circoscrivono, e che sia dunque possibile raggiungerlo e con-
tenerlo. Nell’Aldilà i credenti avranno la visione di Dio ma non avranno l’opportunità di
«cogliere» Dio con gli sguardi o di comprenderLo con la ragione.9
Shaykh Ahmad Sirhindî conferma la tesi maturidita e in una delle sue lettere afferma:
L’impossibilità non è nel rivelarsi, ma nella percezione, la quale implica in qualche modo il
«contenimento» (ihâta) dell’oggetto: è detto infatti: «Gli sguardi non Lo afferrano (tudriku-
Hu)»,10 e non: «Gli sguardi non Lo vedono (tarâHu)».11
In Paradiso i musulmani vedranno Iddio senza direzione, senza stare di fronte a Lui, senza come
(bî-kayfa), senza una comprensione vera (ihâta-yi haqq). Noi crediamo nella visione di Iddio Al-
tissimo nell’Aldilà ma non ci preoccupiamo del come Egli potrà essere visto, poiché questo ve-
derLo è senza modalità, e in questa attuale condizione (dell’umanità nel mondo terrestre) per co-
loro che sono condizionati, quella realtà non è rappresentabile, per quelli oltre all’aver fede non
c’è altra opportunità (di conoscenza). Guai ai filosofi, ai Mutaziliti, e al resto delle sette di inno-
vatori eretici, che per la loro cecità e grettezza, rifiutano la visione nell’Altro Mondo e pensano
di poter dedurre per analogia il Mondo del Mistero da quello visibile (qiyâs-i ghâ’ib bar shâhid
4
ABÛ HANÎFA, Fiqh Akbar II, art. 17, in A. J. WENSINCK, The Muslim Creed. Its Genesis and Historical De-
velopment, Londra 1965, pp. 193-194.
5
Cor. 6: 103.
6
L. GARDET, Dieu et la Destinée de l’Homme, Parigi 1967, pp. 338-346.
7
ABÛ BAKR MUHAMMAD AL-KALÂBÂDHÎ, Al-Ta‘arruf li-madhab ahl al-tasawwuf, trad. it. Il Sufismo nelle
parole degli antichi. Introduzione, traduzione e note a cura di Paolo Urizzi, Palermo 2002, p. 81.
8
ABÛ HÂMID AL-GHAZÂLÎ, Ihyâ’’ulûm al-dîn, vol. IV, libro 6, p. 325, Beirut, Dâr al-Kutub al-‘ilmiyya, s.d.
9
‘ABD AL-KARÎM AL-BAZDAWÎ, Kitâb Usûl al-Dîn [= Usûl], Il Cairo 1963, pp. 77-88.
10
Cor. 6: 103.
11
A. SIRHINDÎ, Maktûbât-i Imâm-i Rabbânî [= Maktûbât], Istanbul 1977, vol. III, lettera n. 48, p. 384.
Conoscenza e visio beatifica. Il Punto di vista di Shaykh Ahmad Sirhindî 69
konand).12
I pareri invece sono discordi sulla questione della possibilità che tale visione possa av-
venire nella vita terrena; è tuttavia opinione assai diffusa che tale visione sia stata concessa
al Profeta, al culmine dell’Ascensione, e ciò si intuirebbe dal famoso versetto della Sura
della Stella: «E il cuore non smentì quel che vide».13
L’unica cosa in discussione è se quella visione il Profeta l’abbia avuta con gli occhi del
corpo, oppure con quelli della vista interiore del cuore. Se poi vi siano stati altri, oltre al Pro-
feta, ad aver avuto la visione di Dio, alcuni, tra cui Al-Ash‘arî, ritenevano possibile che alcuni
grandi santi l’avessero ricevuta a titolo di karâma, come frutto del particolare favore divino.14
Questa opinione è stata condivisa anche da numerosi sufi, come Sahl al-Tustarî che operando
una successiva chiarificazione, affermava nel IX secolo che la visione strictu senso era un
esclusivo privilegio dei beati in Paradiso, ma che anche gli uomini di Dio ne beneficiano in
anticipo in questo mondo grazie allo svelamento del cuore (kushûf al-qalb fi-l-dunyâ).15
A questo proposito Hujwîrî riporta i detti di Junayd, Bayazîd al-Bistâmî e Dhû-l-Nûn
Misrî e afferma sulla base di questi eminenti pareri che Iddio può essere contemplato in
questo mondo e che tale contemplazione assomiglia alla visione nella vita futura. Egli rac-
conta che un giorno chiesero a Abû Yazîd al-Bistâmî quanti anni avesse, ed egli rispose:
“Quattro!” Gli altri dissero: “Com’è possibile?” Ed egli rispose: “Sono stato velato da Dio per
via di questo mondo per settant’anni, ma l’ho visto negli ultimi quattro anni: il periodo durante il
quale si è velati non fa parte della vita”.16
Lo Shaykh Abû-l-Qâsim al-Qushayrî nella sua famosa Risâla distingue, al pari di molti
altri, tre gradi nella progressione verso la conoscenza di Dio: muhâdara, presenza; mukâ-
shafa svelamento; mushâhada, contemplazione, che sono tappe che possiamo ritrovare un
po’ ovunque, nella letteratura del Sufismo, sotto altre definizioni.17
Un altro versetto che allude chiaramente alla visio beatifica e su cui si è concentrata
l’attenzione dei commentatori è quello che riguarda il colloquio di Mosé con Dio, e che dice:
E quando Mosé venne al nostro convegno e il suo Signore ebbe parlato con lui Mosè disse: «O
Signore! Mostrati a me, che io possa contemplarti!» Iddio Rispose: «Non Mi vedrai (lan tarânî)!
Ma guarda il monte e se esso rimarrà fermo al suo posto, ebbene, tu Mi vedrai!» Ma quando Id-
dio si manifestò al monte lo ridusse in polvere e Mosè cadde fulminato […].18
Secondo uno dei commentatori questo versetto sta ad indicare che nulla, neanche la
montagna più imponente, può sopportare la Sua visione. Lo sta a riaffermare il detto profe-
tico che dice: «Il Suo velo è la luce, se fosse lacerato lo splendore del Suo Volto distrugge-
12
Ibid., vol. II - lettera n. 67, p.183.
13
Cor. 53: 11.
14
‘ABD AL-KARÎM AL-BAZDAWÎ: Usûl, cit. pp. 78-80.
15
Sul commento coranico di Tustarî, vedere l’opera di G. BOWERING, The Mystical Vision of Existence in
Classical Islâm, Berlin-New York 1980, pp. 165-175.
16
‘ALÎ IBN ‘UTHMÂN AL-HUJWÎRÎ, Kashf al-Mahjûb, trad. ingl. di R. A. Nicholson, Londra 1911, p. 331.
17
ABÛ-L-QÂSIM AL-QUSHAYRÎ, Al-Risâla al-Qushayriyya, Il Cairo 1940, p. 43.
18
Cor. 7: 143.
70 Demetrio Giordani
rebbe ogni cosa che giunge a percepirlo con lo sguardo».19 Nulla resiste alla visione, affer-
ma ‘Abd al-Rahmân al-Sulamî, ad eccezione dei cuori degli gnostici che Iddio stesso ha
adornato con la Sua conoscenza, consolidato con i raggi della Sua grazia, santificato con il
Suo sguardo, e illuminato con la Sua luce.20
Resta da chiedersi come mai tutti questi grandi sufi contraddicono nei loro intenti il pre-
ciso decreto coranico con cui Iddio, nega categoricamente – lan tarânî – la visione del Suo
Volto. Muhyi ad-Din Ibn ‘Arabî, il quale riprende nelle sue opere lo stesso genere di voca-
bolario e di tematiche di Al-Qushayrî e degli altri sufi, fornisce una spiegazione possibile
del versetto, che consente di intravedere una scappatoia alla rigidità interpretativa della pa-
rola rivelata. Nel capitolo 367 delle sue Futûhât al-Makkiyya, Al-Shaykh al-Akbar riporta le
parole del colloquio che lui stesso ebbe con Mosè nel sesto cielo:
Tu hai chiesto di vederlo – gli chiese –. Ma l’Inviato di Dio ha detto «Nessuno vedrà Iddio prima
di morire».21 «È stato così – gli disse Mosè – Quando Gli chiesi di vederLo, Egli mi ha esaudito
e io sono caduto fulminato. Ed è stato durante questa folgorazione che io L’ho visto». «Eri mor-
to, allora?» «In pratica ero morto».22
Apprendiamo quindi da Al-Shaykh al-Akbar che il lan tarânî del Corano non è un de-
creto ineluttabile, in determinate condizioni Dio può essere visto, poiché è Lui che vuole
essere conosciuto, ed è Lui solo che determina la modalità e l’entità di questa conoscenza.
Ciò però presuppone un passaggio fondamentale, e una trasformazione radicale dell’essere
di chi vede, il cui esito finale non sarebbe altro che: «La sottomissione incondizionata allo
splendore mortale della teofania».23
La dottrina ibnarabiana della visione divina, ruota intorno al hadith qudsî che recita:
«Ero un tesoro nascosto e volli essere conosciuto, creai allora le creature e mi sono fatto
conoscere da loro, ed è per Me che essi Mi hanno conosciuto».24
Il termine chiave con cui Ibn ‘Arabî descrive l’avvenire di questa conoscenza è tajallî,
che può essere tradotto secondo il contesto con «epifania» o «teofania». Nel Corano la ma-
nifestazione divina che riduce in polvere la montagna e fulmina Mosè è infatti espressa con
tale verbo: fa-lamma tajallà Rabbuhu lil-jabali ja‘alahu dakkan.25
Il tajallî è un Atto divino ed è in virtù di questo Atto divino che l’uomo può accedere a
una percezione diretta di Dio. Shaykh Ahmad Sirhindî riprende nelle sue opere lo stesso
termine e afferma che il massimo grado della perfezione della santità è collegato al passag-
gio attraverso tre stadi, che sono i tre gradi delle epifanie divine, ovvero l’Epifania degli
Atti (tajallî al-af‘âl), in cui gli atti umani appaiono come delle attribuzioni dell’unico Atto
19
A. J. WENSINCK, Concordances, cit., Vol. I, p. 424.
20
‘ABD AL-RAHMÂN AL-SULAMÎ, Haqâ’iq al-Tafsîr, Beirut 2001, vol. I, p. 239.
21
IBN MÂJA, fitan, 33.
22
MUHYI AL-DÎN IBN ‘ARABÎ: Al-Futûhât al-Makkiyya [= Futûhât], Il Cairo 1911, vol. III, p. 349. Vedere an-
che a questo proposito, M. CHODKIEWICZ, La vision de Dieu selon Ibn ‘Arabî [= La vision], in E. CHAUMONT
(Ed.), Autour du regard. Mélanges Gimaret, Parigi 2003.
23
M. CHODKIEWICZ, La vision, cit., p. 170.
24
Hadîth che non figura nelle principali raccolte canoniche, figura spesso però nell’opera di Ibn ‘Arabî, ad es.
in Futûhât, vol. II, p. 232, 327, 399 e vol. III, p. 267.
25
Cor. 7: 143.
Conoscenza e visio beatifica. Il Punto di vista di Shaykh Ahmad Sirhindî 71
divino; l’Epifania degli Attributi (tajallî al-sifât), in cui le qualità degli esseri appaiono co-
me ombre degli Attributi divini; e le Epifanie dell’Essenza (al-tajalliyyât al-Dhâtiyya).
Nell’epistola Mabda’ wa Ma’âd Ahmad Sirhindî riafferma che l’apparizione
dell’Essenza di Dio nell’Altro Mondo sarà una realtà per tutti i credenti, ma che alcuni tra
gli eletti possono avere un prova di ciò che essa sarà già nella condizione attuale
d’esistenza. Egli però mette in guardia continuamente sulla sua percezione, dicendo che
non bisogna indagare sulle modalità di tale visione, perché, spiega, la gran parte dei sapien-
ti ha tentato di dare una definizione della visio beatifica, ma ha sempre fallito nel tentativo,
per il semplice fatto che essi hanno sempre cercato di comprendere la realtà dell’Altro
mondo volendo dedurla per analogia dalla realtà di questo basso mondo.
La visione di Dio Potente ed Eccelso nell’Altro Mondo è per i credenti una realtà. A proposito di
tale questione nessuno, tra le fazioni dell’Islâm e tra i saggi filosofi, afferma tale possibilità, al di
fuori della Gente della Sunna. Il motivo per cui molti musulmani negano tale visione è dovuto
alla deduzione per analogia del Non Manifestato dal Manifestato, e questa è una deduzione di-
storta (qiyâs-i ghâ’ib bar shâhid, wa ân fâsid ast). Quello che appare nella visione è incompara-
bile e senza modalità (bîcegûn), e quindi anche l’immagine ad esso legata sarà senza modalità.
Bisogna credere in ciò, e non bisogna preoccuparsi di come ciò possa avvenire. Questo segreto
può essere manifesto oggi (in questo mondo) agli eletti tra i santi, ed anche se non è propriamen-
te una visione, non vuol dire che essa non possa aver luogo «come se tu Lo vedessi» (ka’annaka
tarâHu).26 Domani viceversa tutti i credenti vedranno il Vero – Sublime ed Eccelso – con i pro-
pri occhi (be-cishm-i sar), ma non potranno afferrare nulla, in quanto «gli sguardi non
L’afferrano».27
I corpi dei santi muhammadiani partecipano alle perfezioni dei gradi di questa santità [particola-
re], in base al fatto che il Profeta nella notte dell’ascensione fu trasportato col corpo sino a dove
Dio volle, gli vennero fatti vedere il paradiso e l’inferno, gli fu rivelato quel che gli fu rivelato e
gli venne lì concesso l’onore della visione corporea (al-ru’ya al-basariyya). Questo tipo di
ascensione (mi‘râj) è particolare del Profeta, e quei santi che lo seguono in modo perfetto viag-
26
Allusione al famoso hadîth nel quale si tramanda che un giorno il Profeta, mentre era con i suoi compagni,
venne visitato dall’Arcangelo Gabriele nelle vesti di un viaggiatore, che gli chiese il significato dell’Islâm, della
fede (imân) e della perfezione (ihsân); rispondendo a quest’ultimo quesito il Profeta rispose che l’ihsân «è che tu
adori Dio come se tu Lo vedessi; perché se tu non Lo vedi, Egli vede Te». YAHYA IBN SHARÂF AL-DÎN AL-
NAWAWÎ, Matn Al-Arba‘în Al-Nawawiyya; hadîth n. 2.
27
Cor. 6: 103; A. SIRHINDÎ, Mabda’wa Ma‘âd [= Mabda’], Karachi-Istanbul 2000, p. 65-66. ID., L’inizio e il
Ritorno [= L’inizio], traduzione e note a cura di Demetrio Giordani, Milano 2003, pp. 89-90.
28
Per Ahmad Sirhindî l’esperienza visionaria dei santi è strettamente legata alle caratteristiche della santità
dei profeti maggiori, che sono i loro modelli, dai quali ricevono specifiche caratteristiche, affinità e virtù spirituali
per via ereditaria. Seconde le parole dello Shaykh, ogni santo è sotto il piede (tahta qadam) di un profeta che go-
verna la sua santità. Secondo una classificazione tradizionale un santo può appartenere al tipo musawî, o ‘isâwî o
hûdawî, o muhammadî a seconda se le caratteristiche peculiari della sua santità dipendono dall’essere erede di
Mose, di Gesù, di Hûd, oppure di Muhammad.
72 Demetrio Giordani
Il succo del discorso è che la visione in questo mondo è una caratteristica riservata al Profeta,
mentre lo stato di cui possono godere i santi che si trovano «sotto il suo piede» non è una visio-
ne. La differenza fra la visione [profetica] e lo stato [dei santi] è come quella che intercorre fra il
principio (asl) e la sua ramificazione (far‘), fra la persona e l’ombra che essa proietta: l’una non
è dunque uguale all’altra.29
Vi è nella dottrina di Sirhindi una importante distinzione nel carattere della visione del
divino che ebbe Muhammad, durante la sua ascensione, e quella che ebbe Mosè, proprio
perché, da quanto ci spiega l’esegesi di Ibn ‘Arabî, Mosè ebbe una visione fulminante
dell’Essenza divina, mentre a Muhammad fu consentito vedere Iddio tramite una visione
durevole e permanente. Questa peculiare dote di Muhammad, che è proprio quella visione
dell’Essenza pura, che gli si è mostrata senza il velo dei Nomi degli Attributi e dei Rappor-
ti, si riverbera in qualche modo anche nei santi che sono affini al suo modello e che ne sono
a tutti gli effetti gli eredi. Ciò è possibile che avvenga al massimo dei gradi della realizza-
zione spirituale, che nella via dei Naqshbandî, è quello della «Fissazione del ricordo» (yâd
dasht),30 ed è il grado in cui la visione da «lampeggiante» o «fulminante» (barqî) ovvero
discontinua, diviene «durevole» (dâ’imî). Questo è anche il grado della più completa estin-
zione in Allâh (fanâ’ fi-Llâh).
Sappi che con «fissazione del ricordo» (yâd dâsht) si intende nella via dei maestri antichi
(Khwâjagân) una presenza senza assenza (hudûr-i bî-ghaybat), vale a dire il permanere della
presenza dell’Essenza suprema senza che si frappongano i veli dei Modi e delle Relazioni divine
(hujub-i shuyûnî wa i‘tibârâtî), che sta a significare la presenza in un dato momento e l’assenza
in un altro, quando cioè i veli vengono completamente rimossi per un istante e tornano a coprire
nell’istante successivo ‒ come avviene nel caso dell’epifania lampeggiante dell’Essenza (tajalli-
yi dhâtî-yi barqî), allorché i veli vengono rimossi come in un lampo dall’Essenza suprema e per
un attimo svaniscono i Suoi Modi e le Sue Relazioni. Tutto ciò viene considerato come cosa di
poco conto dai grandi di questa via.
Raggiungere la presenza senza assenza sta nel fatto che l’Epifania lampeggiante dell’Essenza di-
viene permanente, senza che al suo apparire si frappongano i Modi e le Relazioni. Tutto ciò si
verifica alla fine di questa via, in questa stazione si compie l’estinzione più perfetta, che diventa
permanente, senza più alcuna possibilità di velatura: se infatti i veli tornassero a distendersi, la
presenza si trasformerebbe in assenza e non si potrebbe dunque parlare di «fissazione del ricor-
do». La contemplazione dei grandi di questa via si realizza quindi nel modo più perfetto e com-
pleto, poiché la completezza dell’estinzione e la perfezione della permanenza dipendono dalla
perfezione e dalla completezza della contemplazione.31
Resta comunque un fatto accertato che anche nel grado della «fissazione del ricordo»
29
A. SIRHINDÎ, Maktûbât, cit., vol. I, lettera n.135, pp. 242-243.
30
La via dei Naqshbandî è basata su undici regole fondamentali, otto delle quali stabilite da Khwâja ‘Abd al-
Khâliq Ghujdawânî (m.1220), e tre da Bahâ’ al-Dîn Shâh Naqshband di Bukhâra (m. 1389). Vedere
sull’argomento ABÛ-L-HASAN ZAYD FÂRÛQÎ, Le undici regole della Naqshbandiyya, in «’Ayn al-Hayât. Quader-
no di studi della Tarîqa Naqshbandiyya» 1 (1995), pp. 77-103, traduzione e commento di Alberto Ventura.
31
A. SIRHINDÎ, Maktûbât, cit., vol. I, lettera n.151, p. 254. Vedere anche: Maktûbât, cit., vol. I, lettera n. 287, p. 563.
Conoscenza e visio beatifica. Il Punto di vista di Shaykh Ahmad Sirhindî 73
nulla può essere riportato dell’Unità assoluta (Ahadiyyat) spoglia di Nomi, Qualità, Modi e
Relazioni. La visione epifanica dell’Essenza divina non ha forma, né qualità, né dimensio-
ne, né direzione: è una visione (ru’yat) senza modalità, un rivelarsi senza percezione
(idrâk). Anche se l’Essenza di Dio può essere vista, tale visione non può tuttavia essere
«compresa» in alcun modo: quindi non c’è quindi alcuna possibilità, secondo il Mujaddid,
di «conoscere Dio» nel senso abituale del termine e di descrivere questa conoscenza. La
sola possibilità data agli uomini è quella dello stupore (hayrat) e dell’ignoranza (jahl) pro-
prie della condizione della vera Estinzione (fanâ’ fi-l-Lâh).
È per questo motivo che è stato detto che la conoscenza dell’Essenza di Dio – che sia glorificato!
– è ignoranza, nel senso che non si tratta di una conoscenza che possa essere riferita al contin-
gente, poiché quest’ultima appartiene alla categoria del «come», e qui non vi è alcun «come». Se
il riflettere sull’Essenza di Dio è stato interdetto,32 ciò dipende dal fatto che Egli – sia esaltato! –
è al di là di ogni capacità di riflessione (tafakkur) e di immaginazione (takhayyul).
Si può trovare Lui solo tramite Lui stesso – che sia glorificato! – e non col pensiero o con
l’immaginazione.33
In altre parole:
Fin qui la penna è giunta, poi la punta s’è spezzata!34
32
Allusione alla tradizione profetica che dice: «Riflettete su tutto, ma non riflettete sull’Essenza di Dio». Su
questo hadîth e sulle relative fonti, BADΑU-L-ZAMÂN FORÛZÂNFAR, Ahâdîth o Qisas-i Mathnawî, Teheran 1376,
H.sh., p. 418; W. C. CHITTICK, The Sufi Path of Knowledge, S.U.N.Y., New York 1989. Si confrontino queste
parole di Sirhindî con quanto scrive l’Imâm ABÛ HÂMID AL GHAZÂLÎ, che cita lo stesso detto profetico: «Volgere
lo sguardo all’Essenza divina produce stupore, sbigottimento, e turbamento d’intelletto. Dunque giusto non affron-
tare le vie della meditazione sull’Essenza e sulle Qualità di Dio Glorioso, perché la maggior parte delle menti non
vi resistono». Kitâb al-Tafakkur, Il libro della Meditazione, trad. di G. Celentano, Trieste 1988, pp. 64-65.
33
A. SIRHINDÎ, Maktûbât, cit., vol. III, lettera n. 75, p. 440. Sull’argomento della visione dell’Essenza presso Ibn
‘Arabī, si veda P. URIZZI: La Visione teofanica presso Ibn ‘Arabî, in «Perennia Verba» 1 (1997), pp. 37-72 e n. 2
(1998), pp. 3-35; T. IZUTSU, Sufism and Taoism. A Comparative Study of Key Philosophical Concepts. University of
California Press, Berkeley-Los Angeles 1983, pp. 23-38; M. CHODKIEWICZ, La vision, cit.; W. C. CHITTICK, The Self-
Disclosure of God. Principles of Ibn al-‘Arabî Cosmology, S.U.N.Y., New York 1998, pp. 91-120.
34
A. SIRHINDÎ, Maktûbât, cit., vol. III, lettera n. 75, p. 440.
35
ID., Mabda’, cit., p. 72; ID., L’inizio e il Ritorno, cit., p. 95.