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FENOMENOLOGIA DELL’ARTE CONTEMPORANEA (ARTE CONTEMPORANEA B) – SILVIA GRANDI

Esordi del video monocanale nell’arte contemporanea negli anni ’70. Gli esordi vedono congiunti
performance e video, che diventa uno strumento utile a fissare un’azione effimera come quella della
performance molto più della fotografia perché in grado di restituire il movimento. Poi, negli anni ’80 si
aprirà una linea di ricerche incentrate sulle proprietà plastiche delle immagini elettroniche ed esploreranno
le possibilità dell’immagine attraverso strumenti quali videosintetizzatori. L’arte riconquista una sua
materialità e torna alla piacevolezza delle soluzioni visive. Arriviamo alle origini della computer art, quando
il video troverà una convergenza con nuovi media quali i computer.

Macchine celibi: cooperativa nata da un gruppo di ex-studenti del DAMS (anni 80). I primi video che
entrano a far parte del fondo provengono dall’archivio della Biennale di Venezia. doppia attività:
documentazione/produzione video e catalogazione/raccolta video. Nasce nel 1986 come Associazione,
per poi diventare cooperativa. L’attività si rivolge ai video italiani, ma non solo (es. Video Festival di
Locarno). È una raccolta, piuttosto che un archivio (in quanto non segue il processo di sedimentazione dei
materiali e l’accumulo spesso avviene in maniera poco sistematica). Il vantaggio è di poter preservare grazie
al digitale i materiali che sono in corso di obsolescenza, in modo da poter continuare a usarli per
conferenze, lezioni, ecc.

Esordi del video nell’arte degli anni ’70: protagonisti, mostre, centri di produzione
Video monocanale, dunque non concepito come installazione. La riflessione avviene all’interno
dell’immagine video, che dunque può essere adattata a varie trasmissioni e collocazioni.

Si parte da esperienze americane tra la fine degli anni ’60 e ’70, per poi spostarsi in Europa e in Italia.

Tv as a Creative Medium alla Howard Wise Gallery in New York (Maggio 1969), prima mostra statunitense
interamente dedicata al video. La mostra includeva opere di Frank Gillet e Ira Schneider (Wipe Cycle, 1969,
9 televisori attivi) o Nam June Paik e Charlotte Moorman (TV Bra for living sculpture, 1969, reggiseno con
due monitor attivi indossato dalla violoncellista Moorman che spesso partecipa a performance ideate da
Paik. Ovviamente è una situazione ibrida: l’immagine video ancora si integra all’azione).

Radical Software, una delle prime riviste sull’uso del video come mezzo artistico e politico. Fu fondata nel
1970 da Phyllis Gershuny Segura e da Beryl Korot ed andò avanti fino al 1974. Tra i redattori vengono
annoverati gli stessi Frank Gillet e Ira Schneider, oltre a Paul Ryan (che allora collaborava con Marshall
McLuhan). Al tempo il video veniva visto come lo spazio indipendente della televisione, era sicuramente
uno spazio per la sperimentazione ma guarda sempre alla televisione. Radical Software è una rivista che
raccoglie comunque tantissimi contributi. È una rivista di ispirazione McLuhaniana. Uscirono 11 numeri. È
interamente consultabile online radicalsoftware.org Interessante è l’uso precoce del termine “software” già
negli anni ’70. L’informatica era già in sviluppo, ma non a questi livelli.

“Body Works”, curata da Willoughby Sharp nel 1970 presso il Museo dell’Arte Concettuale di San
Francisco. Non esiste un catalogo della mostra, ma solo un intervento critico di Sharp su Avalanche (1970-
76), la rivista da lui fondata. La mostra afferma il rapporto principale tra video e arte negli anni ’70: la
performance. I body works sono veicolati dal video. Gli anni ’70 sono gli anni del comportamento e della
smaterializzazione dell’arte. Si abbandona l’idea della materialità dell’opera e si va verso il gesto e il
movimento. Il video è particolarmente smaterializzato anche perché è un’immagine instabile. C’è tuttavia
una confluenza tra fisicità (attraverso la performance) e la smaterializzazione (attraverso il video). La mostra
coinvolge importanti artisti, quali Vito Acconci, Bruce Nauman e Dennis Oppenheim.
Dennis Oppenheim: ricerca che sviluppa durante tutti gli anni ’70, è considerata la poetica del feedback, in
quanto l’artista, con l’aiuto del figlio, cerca di replicare sulla parete in fronte a sé, il disegno che il figlio
disegna sulla sua schiena. Vi è l’idea di concentrare l’attenzione sul corpo e nel particolare sulle tentazioni
tattili e di tradurle in disegno. È già un’idea di software, di ragionamento sugli impulsi, che vengono poi
estesi e tradotti. Il video dura più di 10 minuti. I video degli anni ’70 hanno durate piuttosto lunghe,
nonostante la monotonia del movimento, in quanto vi è l’idea di parlare della resistenza del corpo, messo
alla prova più o meno duramente. In questo caso si tratta di un’azione piuttosto sommessa, quasi
ritualistica. Spesso, infatti, il video non ha contenuto narrativo, ma ci troviamo invece davanti ad azioni
ripetute e a espressioni di concetti completamente comprensibile dall’inizio e poi ripetuto per tutta la
durata del video.

The Kitchen: laboratorio fondato da Steina e Woody Vasulka nel 1971 presso il Mercer Arts Center
(Greenwich Village). Nel 1973 il centro si sposta poi a SoHo, dove resta fino al 1986, per infine stabilirsi
definitivamente al 512 West 19th Street. Il laboratorio ospita:

- 1971 Aktans?? di Hermann Nitsch


- 1977, prima personale di Robert Mapplethorpe
- 1979, New Music/New York con performance di Robert Ashley, Laurie Anderson, Alvin Lucier,
Charlemagne Palestine e altri
- 1981: Aluminium Nights, con film e video di Vito Acconci, John Cage, Nam June Paik, Bob Wilson e
performance di Brian Eno, Philip Glass, Meredith Monk, Talking Heads e altri

Il laboratorio di produzione video, quindi, non coinvolge solo arte americana, ma anche europei quali
Nitsch. Del resto, gli stessi fondatori sono evidentemente europei. Ha inoltre sempre avuto una grande
apertura verso il panorama musicale. Vi è una convergenza tra video e musica sperimentale ed elettronica.
In effetti, la loro prima azione è la registrazione del concerto di Jimi Hendrix, manipolando l’immagine con
primi rudimentali effetti. Uno dei più noti allestimenti fu “Machine Vision”, 1976, che raduna anche
dispositivi progettati dai Vasulka. Si tratta di dispositivi della visione sperimentali.

Steina e Woody Vasulka, Calligrams, 1970: distorsione e alterazione visiva e sonora dell’immagine e del
suono. È qui che ha origine, all’interno di queste esperienze. Stesso vale per Tissues, 1970. È pura
sperimentazione, i video non sono inseriti all’interno di narrazioni o racconti articolati. È tuttavia necessario
attraversare fasi sperimentali e iniziare a identificare delle soluzioni, che poi verranno rielaborate
successivamente, all’interno di narrazioni più simboliche. L’immagine è vista come processo, ci si interroga
sulle proprietà fisiche del mezzo con un approccio quasi analitico. Ovviamente qui siamo su sperimentazioni
analogiche. Le prime sperimentazioni erano povere, non colorate, con l’idea di provare a testare il mezzo. Il
video, infatti, permette di concretizzare la sperimentazione. Vi è infine una componente fortemente
organica, quindi vi è un’apertura verso l’organico che sarà poi ereditata dai video anni ’90.

In Europa, la prima esperienza significativa di impiego del video è considerata la Land Art di Gerry Schum,
una raccolta di documentazioni di azioni di artisti della Land Art (Robert Smithson, Walter de Maria…).
Schum è un gallerista tedesco che si interessa alle potenzialità del video e della performazione (ha
condotto studi di cinema e televisione) e alle potenzialità documentative del mezzo. La land art è una delle
correnti anni ’70 che vede gli artisti operare direttamente sulle estese zone della natura, prevalentemente
desertiche ma non solo, dove modificano la confermazione naturale del luogo. Sono operazioni che si
legano al rapporto uomo-ambiente, che si fa più intimo attraverso l’intervento diretto. Il limite di queste
azioni si rapporta al fatto di poter fruirle solo nel luogo, sono site-specific, dunque l’unico modo per
diffonderle è documentarle e così trasmetterne i risultati. Organizza il 15 aprile 1969 presso la sua galleria
una selezione di Land Art. le riprese sono effettuate su pellicola 16mm e successivamente riversate su
videotape. Il video entra in gioco solo in un secondo momento per una motivazione pratica, per questo è
erroneamente considerata la prima esperienza di impiego del video.

Il vero primo impiego è Gennaio 1970, curata da Renato Barilli con contributi critici di Tommaso Trini e
Calvesi e Andrea Emiliani. Questa mostra, organizzata a Bologna, rappresenta la prima volta in cui azioni
sono realizzate per essere fruite nella mostra attraverso il video. Il primato della mostra bolognese è
riconosciuto da Schum stesso. così i video sono realmente un’estensione dell’azione, senza la mediazione
del film. Le azioni degli artisti erano realizzate specificatamente per la mostra ed erano poi documentate
direttamente in video, grazie al supporto della Philipps e poi trasmesse nella mostra. Una delle particolarità
della mostra è di non aver prodotto un catalogo canonico, che illustra le opere esposte raccontando il
percorso della mostra. in forza di questo approccio informativo, performativo e concettuale, Gennaio 1970
decide di realizzare un catalogo che sia una specie di lavoro d’arte a sé. Il catalogo è esso stesso una
raccolta di progetti. È esso stesso un ampliamento della mostra, piuttosto che una sua raccolta
informativa. Parte dei video di Gennaio 70 sono andati persi, ma parzialmente sono confluiti nella seconda
raccolta di Schum ?? La mostra ha comportato ovviamente difficoltà tecniche, come raccontato su Marca3
da Barilli. Questo è inevitabile, fa parte dell’audacia delle sperimentazioni. Foto d’epoca dell’Archivio
Fotografico mostrano in modo interessante la cabina di regia.

MarcaTre (maggio 1970), Renato Barilli scrive Video-Recording a Bologna, in cui racconta il retroscena
della mostra. Si preoccupa di identificare i primi elementi che caratterizzano il video rispetto all’altro filone
dell’immagine in movimento, ovvero il cinema. Il primo punto è una maggiore manegevolezza, grazie ad
un’apparecchiatura drasticamente ridotta rispetto a quella cinematografica. È un mezzo più a misura
d’uomo, che dunque si adatta meglio al rapporto con il corpo dell’artista per la performance. Interviene poi
un aspetto più ontologico, cioè la simultaneità tra azione, ripresa e trasmissione, quindi un più stretto
legame con il tempo reale, che meglio si adatta con la performance. Gli artisti, infatti, al tempo erano
interessati alla continuità e la fluidità, dunque non volevano montaggio. Si tratta di camera fissa, che
comporta una totale assenza di regia e di montaggio, che però garantisce una perfetta omologia con la
flagranza e il divenire dell’azione “vissuta”.

“Telemuseo. Una mostra + un dibattito in circuito chiuso televisivo”, a cura di Tommaso Trini, in occasione
di Eurodomus 3, La Triennale di Milano, 14-24 maggio 1970. Rassegna tenuta presso Triennale di Milano
pochi mesi dopo Gennaio70. È direttamente connesso a Gennaio 70 in quanto Tommaso Trini era uno dei
critici coinvolti da Barilli a Bologna. Trini seguiva le vicende del comportamento e dell’arte povera nelle sue
traduzioni performative. La rassegna ripropone alcuni video già presenti a Gennaio 70. I video erano messi
più in relazione con lo spettatore. maggiore concentrazione sul mezzo televisivo, ma non mancano
installazioni anche praticabili.

Tra le opere presenti, troviamo Gianni Colombo con Vincenzo Agnetti, Vocabulazione e Bielosequenza NEG
(1970). Colombo è un esponente del Gruppo T, che si sofferma sull’arte cinetica e programmata. Rapporto
tra forma e movimento, che possono ora abitare lo spazio del video in virtù dell’elasticità della natura del
video, che è un’immagine metamorfica. Collabora con Agnetti, altro milanese, ma artista diverso in quanto
è un artista concettuale, di un’arte che dunque riflette sull’arte. In questi anni Agnetti è interessato alle
proprietà tautologiche della parola e dunque realizzava performance vocali. Infatti, quest’opera offre un
contributo vocale.

Gianni Colombo, Spazio elastico (1967)


Gianni Colombo, Vocabulazione. Una delle opere bidimensionali dell’artista ma sempre focalizzandosi sullo
spazio elastico.

Gerry Schum, Identifications, 1970. Selezione, trasmessa anche alla Biennale di Venezia del 1972 su invito
di Barilli, include anche alcuni dei video di Gennaio 70. Gli artisti partecipanti sono Beuys, Boetti…

Video di Beuys con accompagnamento musicale che dopo un po' di tempo fa sembrare la performance uno
sketch. Uno degli aspetti interessanti dal punto di vista concettuale è che da un lato Beuys si accanisce
contro il televisore, dall’altro utilizza il video per creare l’opera. È la riaffermazione di quel concetto che
Videotape is not TV.

Ger Van Elk, video con il cactus

Giovanni Anselmo, artista dell’arte povera, Torsione (1968) bloccando un lembo di pelle in un blocco di
cemento per poi creare una situazione di tensione con un bastone. L’idea è di immettere l’energia
nell’opera, tratto tipico dell’arte povera.

Alighiero Boetti, sfrutta il video per realizzare performance di scrittura bustrofelica. Boetti scrive una frase a
due mani in modo speculare dunque andando in due direzioni diverse. Di solito sono frasi tautologiche che
affermano il giorno stesso della performance. Boetti, esponente dell’arte povera, già intorno al 1970 si
separerà dal gruppo. L’azione renderà illeggibile la frase, ovviamente il fine non è comunicare, ma che
vuole essere affermazione tautologica.

Pier Paolo Calzolari, autore bolognese, accompagnato da un loop di un brano del 1969 di Jimmy Stallings.
Calzolari si interessa alle ricerche processuali, sfruttando le serpentine frigorifere applicate sul piombo per
realizzare opere sulla trasformazione della materia e sulla creazione di energia. In video ricreerà soluzioni
più affini a ricerche americane.

Gino de Dominicis, marchigiano, di carriera romana. Uno dei concettuali più interessanti ed eccentrici. Non
è mai stato veramente un esponente dell’arte povera di Celant, ma lavorò a stretto contatto con loro.
Maggiore inventiva, apertura ironica e paradossale. Tentativo di Volo 1969. Questo è uno dei suoi famosi
tentativi impossibili. Il paradosso fisico è uno dei suoi temi prediletti. Rovesciamento delle leggi fisiche in
modo creativo. Voleva imitare il volo degli uccelli, sperando che prima o poi il suo corpo si svilupperà e gli
cresceranno le ali.

Mario Merz, più anziano dell’arte povera, Lumaca, 1970. Circonda una lumaca con un disegno a spirale. La
lumaca stessa ha sul guscio un disegno a spirale. Merz era interessato alla figura della spirale in quanto
simbolo dei cicli organici. Utilizzerà anche i numeri di Fibonacci, che spesso sono concettualizzati con la
spirale.

Gilberto Zorio, realizza timbri con scritta “odio”, con nessun intento violento, ma un modo di
concettualizzare un’energia in questo caso emotiva attraverso un sentimento forte come l’odio. I timbri
spesso vengono anche impressi sul proprio corpo, a creare gesti di forza sul corpo stesso

Richard Long, “Hand Catching Lead”.

Centri di produzione
Un aspetto importante riguarda l’istituzione di centri di produzione, in quanto a questo tempo gli artisti
ancora non sono autonomi nella registrazione di un video, ma hanno bisogno di un esperto. Un esempio in
Italia è Videobelisco Art Video Recording, fondato da Cesare Bellici e Francesco Carlo Crispolti nel 1971
presso la Galleria dell’Obelisco. L’esperienza dell’Obelisco è purtroppo poco documentata.

I galleristi si rendono conto che bisogna sicuramente accogliere la performance e il dissenso artistico
attraverso l’azione, ma non vogliono rinunciare alla documentazione e il video è l’unico modo. In più offrire
agli artisti un centro di produzione video è un altro modo per supportarli in queste ricerche.

“La maggior parte degli artisti ignora, critica e considera la televisione come mezzo di informazione con
poche e monotone alternative. Il che può essere vero per quanto riguarda i canali ufficiali, dimentichi delle
specificità del mezzo; ma non per la videoregistrazione e la tv a circuito chiuse come home use.
Videoregistrazione, dunque, come modulo nuovo; telecamera e videotape come memoria presa diretta
provocazione, dissenso dai canali ufficiali, happening gesto presenza casualità spontaneità scatole cinesi, e
infinite altre possibilità per le arti visive, questa volta inserite nel concetto più vasto di informazione” (1971,
Crispolti). Si sottolinea l’aspetto informativo che la nuova arte ha assunto utilizzando mezzi come fotografia,
film, scrittura e così via. Infatti già nel 1970 in America era stata realizzata la mostra Information. Vari
termini perfettamente descrivono questo momento: memoria e presa diretta, che fanno riferimento alla
performance, dissenso e provocazione, happening e gesto. Un termine interessante è presenza.

È interessante anche notare quanto queste esperienze artistiche si contrappongono da subito e fortemente
con la televisione. Sicuramente vi è un’affinità fisica e materiale tra video e tv, in quanto nascono dalla
stessa tecnologia, ma differiscono nel linguaggio e nei fini. Lischi dice che il video per molto tempo è stato
la coscienza della televisione. Diventa uno spazio critico in cui ripensare l’esperienza della televisione,
fatto importante dal punto di vista sociale, per far sviluppare una maggiore coscienza critica di un mezzo di
massa utilizzato largamente. (Libro di Joselit di Postmedia Books).

Art/tapes/22, centro di produzione a Firenze (1973-76). Realtà di portata internazionale che emerge a
Firenze, città che ha un rapporto altalenante con l’avanguardia, non di continuità. Il centro viene aperto da
Maria Gloria Bicocchi, figlia di un futurista quindi figlia di un’avanguardia. “Quando ho iniziato a produrre
video di artisti non mi sono rivolta essenzialmente a chi faceva del linguaggio video il suo campo specifico e
preferenziale di espressione. Nel campo delle arti visive non ho mai distinto il video-artista dall’artista tout
court che sperimenta diversi linguaggi e tecniche. Non credo nell’artista video, credo nell’artista che per
caso fa un videotape e questo fa parte del suo lavoro, è uno dei suoi lavori”. Quest’affermazione è
importante perché dà l’idea di come il video debba essere assimilato in un sistema di produzione più
complesso. Bisogna evitare una ghettizzazione della ricerca video-artistica.

All’interno di art/tapes/22 troviamo Bill Viola come operatore.

Alighiero Boetti, Ciò che sempre parla in silenzio è il corpo, 1974, azione all’interno di art/tapes/22.

Arnulf Rainer, artista austriaco, esponente dell’Azionismo viennese, declinazione europea della body art. Si
caratterizza per performance da una mimica facciale intense, integrate da un intervento di modifica sulla
fotografia. Realizza anche alcuni video tape. “Confronting with my video image”. Linea di ricerca di
Rosalind Krauss, l’estetica del narcisismo. Il video è visto come uno specchio. O “Mouth Piece” o Slow
Motion, dove si muove lentamente, contrariamente al dinamismo nervoso tipico delle sue foto-
performance, è quasi un’operazione di compensazione della sua poetica.

Hermann Nitsch, si è caratterizzato per operazioni neo-ritualistiche nell’ambito della performance. Sono
operazioni che non hanno intenti esoterici né satanici, ma che riaffermano il rapporto primordiale tra
performance e ritualità. Materiali reperibili in macelleria. Non c’è nessuno che si fa male però, nonostante
l’evidente violenza e visceralità di questo tipo di operazioni. Recupera riti pagani, come quelli che
prevedevano lo scuoiare animali e analizzarne le viscere per poter prevedere il futuro, e li ripropone in
chiave performativa. Solitamente le performance di Nitsch si chiamano Actions e vengono numerate. Un
esempio è l’Action realizzata a Bologna perché invitato da Renato Barilli per la Settimana della
performance. Ovviamente questo evento non poteva essere pubblico, l’escamotage adottata fu quella di
istituire un club a cui poteva accedere tramite tesseramento in modo da non subire controlli. L’azione si
svolse nell’attuale aula magna di Santa Cristina. Le sue azioni, per quanto sconvolgenti per alcuni, non sono
reali, sono comunque finzioni, a differenza di alcune contemporanee azioni di body art americane. In realtà
anche alcuni colleghi di Nitsch dell’Azionismo viennese, come Schwarzkogler sono molto forti. Comunque,
per quanto forti, queste azioni contribuirono (seppur parzialmente) allo sdoganamento del corpo, del nudo,
ecc.

Un altro centro è lo Studio 970/2 fondato da Luciano Giaccari a Luvinate in provincia di Varese nel 1972.
Giaccari fonda la classificazione dei modi di uso del video in arte nel 1973, distinguendo tra video caldo (uso
diretto del video da parte dell’artista a scopi creativi quindi video come opera) e video freddo (uso indiretto
con finalità documentative). Chiara retorica Mcluhaniana.

Il caso Germano Olivetto: primo impiego autoriale e in tempo reale del video alla Biennale di Venezia.
rispetto alla dicotomia di Giaccari potremmo definirlo un video “tiepido”, svolgendo una funzione
documentativa ma al contempo integrandosi alla processualità dell’operazione e la estende. Germano
Olivotto realizza “Sostituzione a Mestre” nell’ambito della mostra Opera o Comportamento a cura di
Francesco Arcangeli e Renato Barilli per il Padiglione Italia presso al 36esima Biennale di Venezia del 1972.

Altro spazio importante è la Galleria del Cavallino di Venezia, fondata da Carlo Cardazzo nel 1942 ma
ripensata come centro di produzione video dal figlio Paolo nel 1974 (e fino al 1981). Dal 1974 al 1981 ha
prodotto videotape di Marina Abramovic, Vincenzo?????

Michele Sambin (Padova, 1951), formazione dalla musica elettronica. “Il tempo consuma”, 1978, “Anche le
mani invecchiano”, 1979. Con un gioco di sovrapposizioni, Sambin crea delle ripetizioni di singoli gesti o
singole frasi creando degli accumuli, che poi vanno a degradare la riconoscibilità dell’immagine.

Centro Video Arte di Palazzo dei Diamanti, fondato da Lola Bonora a Ferrara nel 1973, attivo fino al 1994.
Passarono da questo studio molti artisti come Abramovic, Fabrizio Plessi (Travel, 1974), Christina Kubisch
(Stille Nacht, 1975). Attivo in questo centro anche lo stesso Sambin e Steina e Woody Vasulka che hanno
realizzato qui The Art of Memory, 1987 che tuttavia va verso la computer grafica.

Marina Abramovic
Aula Magna S. Lucia, via Castiglione. Serata Gennaio 2011, omaggio a Marina Abramovic, Lady Performance
in presenza di Marina stessa. Proiettato per la prima volta in Italia il film di Marina, “Seven Easy Pieces”
(fine anni 2000) in cui ripresentava delle performance, alcuni sue e altri 5 di artisti anni ’70.

Bologna dal 2011 in poi ha ospitato incontri importanti con gli artisti presenti a suo tempo alla Settimana
della performance organizzata nel 1977 (Abramovic, Nitsch, Ontani…). Durante la settimana furono riprese
quasi la totalità delle performance, tuttavia questo materiale in parte è andato perduto o rovinato. Una
buona parte tuttavia è rimasta negli archivi di Palazzo Diamante e una parte negli archivi della GAM, la
quale ha sempre lasciato a desiderare per quanto riguarda gli archivi. La cooperativa le Macchine Celebi nel
96 ha iniziato a riversare nel VHS e poi in digitale questo materiale.
Rhythm 0 (1974) performance realizzata dall’Abramovic presso Palazzo Strozzi. La performance consisteva
in una serie di oggetti lasciati su un tavolo dall’artista che i visitatori potevano usare sul suo corpo
liberamente. L’artista infatti era lì ferma immobile. Alcuni oggetti erano innocui, come una rosa o dei colori,
mentre altri erano armi, come una pistola, carica. A un certo punto, un visitatore ha preso in mano la
pistola. La performance è stata dunque bloccata. -> TED TALK con Marina

Art must be beautiful. The Artist must be beautiful (1975). La performance è andata avanti finché non si è
rovinata il viso con questa spazzola con i chiodi, perdendo quasi i capelli. Infatti, nel video vediamo Marina
spazzolarsi i capelli con forza. Nel mentre, l’artista pronuncia la frase art must be beautiful. The artist must
be beautiful. La performance dura ore. L’azione ripetitiva simboleggia una ossessione per la bellezza,
raggiungendo quasi la violenza. Il video è realizzato con una videocamera fissa, davanti alla quale lei si
muove. La ripresa fissa, dunque, non segue il suo movimento, ma è lei che ripete e muove l’azione. In
alcune immagini fotografiche è possibile vedere quanti capelli le siano caduti. Il suo lavoro infatti gioca sulla
resistenza corporea e sul prolungamento nel tempo della performance che assume toni drammatici e che
mettono alla stregua il proprio corpo (Gunther Brus, per esempio, si evirerà e morirà dissanguato, livello
estremo). È un periodo in cui si lavora sul cruento e sulla violenza, più o meno con esagerazione. Il corpo
diventa la tela, il luogo su cui intervenire nel bene e nel male. Gina Pane si forava le spine di rosa sul braccio
fino a sanguinare. C’è un elemento di rischio e di pericolo. L’idea è di testare la resistenza del corpo.

Freeing the Voice (1975) performance di 45 minuti, al termine dei quali rimarrà senza voce. In questa
performance, infatti, urla a ripetizione a testa in giù, dunque in una situazione poco confortevole per le
corde vocali. Dopo tanti minuti, possiamo notare che il tono della voce cambia sotto sforzo.

L’idea della resistenza è insita nella vita di Marina e nella sua rigida educazione nella Jugoslavia bellica, figlia
di due militari. La madre andava a controllarla di notte, perché doveva dormire immobile per non spostare
le coperte. Sin dalla sua infanzia, dunque, ha questa idea della resistenza come prova corporea.

Spezzone durante la settimana della performance del 1977, in occasione della quale Marina Abramovic ha
realizzato insieme ad Ulay Imponderabilia. L’operazione consiste nello stare nudi ai lati dello stipite della
porta d’ingresso alla mostra. Dopo 40 minuti fu bloccata dalla polizia perché contro il pudore pubblico, con
sorpresa di Renato Barilli, che affermò che è una performance in un museo, dove da secoli ci sono nudi. La
polizia rispose che sì, è vero, ma i nudi nel museo sono morti, questi sono corpi vivi. Il pubblico doveva
quindi attraversare per forza la porta a contatto con i corpi nudi dei due artisti, sfregandoli non solo con il
proprio corpo, ma anche con i propri oggetti, quali borse, orologi, ecc, che potevano potenzialmente anche
ferirli.

AAA AAA performance vocale insieme a Ulay in cui i due artisti si trovano uno davanti all’altro e
guardandosi negli occhi urlano uno contro l’altro in sincrono.

I due furono partner di vita e professionali per circa 10 anni. Si tratta di una collaborazione in cui uno spinge
i limiti dell’altro, anche per vedere chi molla prima, chi resiste meno. Nella vita alla fine mollerà lui durante
la performance The Lovers (1988) sulla muraglia cinese. L’idea era partire dai due estremi opposti,
camminare per 3 mesi e incontrarsi al centro per poi sposarsi. Tuttavia, lui, durante il viaggio, incontrerà
una locale cinese (con la quale si sposerà) e tradirà Marina. Incontrandosi al centro della muraglia, dunque,
si lasceranno. Marina, del resto, è sempre stata una guerriera più forte di lui, lo si vede in tutte le
performance, come AAA AAA dove lui cede prima
Rest Energy performance molto pericolosa, perché nessuno dei due doveva mollare, altrimenti lei sarebbe
stata colpita dalla freccia. Entrambi devono rimanere in tensione.

I video sono molto poveri, in quanto non avevano le risorse per registrare video più sofisticati. Del resto,
non era neanche importante. Non c’era la necessità di documentare tutto e avere una testimonianza visiva
di tutto, come invece lo è diventato ai nostri giorni.

Balkan Baroque, opera che la consacra a livello mondiale di nuovo da sola. Video realizzato da Paolo
Canevari, di cui Marina si innamorerà e sposerà nel 2005 fino al 2009. Qui siamo nel 1997 presso la
Biennale. Marina voleva presentarsi con il Padiglione Serbia, ma le verrà negato quando scopriranno che
vuole presentare un lavoro sulla guerra Jugoslava. Stessa cosa per il padiglione Montenegro. Alla fine, si
presenterà con il padiglione Italiano internazionale, nel piano sotterraneo dei giardini. Qui vengono portate
un gran numero di ossa di animali, che lei sarà intenta a lavare dal sangue. Ovviamente una grande opera
simbolica e politica. In un video si presenta vestita da scienziata, proiettato mentre pulisce le ossa. Nei
video appaiono anche i genitori. Questo per giorni interi (4). Nel video, a un certo punto si toglie il camice
da scienziata e con un movimento sensuale scopre un vestito nero dal quale tira fuori un drappo rosso e
balla su una musica tipica Jugoslava. Vincerà il Leone d’Oro.

The Artist is Present (2010), mostra e performance al MoMa durante la quale lei presenzia al MoMa per
750 ore circa. Lei era seduta al tavolo, immobile, senza mangiare, bere o parlare. Le persone potevano
sedersi davanti a lei, guardarla, ma lei non poteva rispondere. All’ingresso della sala erano posti un uomo e
una donna nudi come in Imponderabilia. In una di queste giornate, lei si trova davanti Ulay, che si siede
davanti a lei, senza averla prima avvertita. Non era un momento preparato quindi la reazione di lei è del
tutto genuina: è sorpresa e le scappa un sorriso. Non rimane impassibile come con gli altri. Le vengono le
lacrime agli occhi, invece, in questo caso. È un momento molto intimo e si vede l’amore che lei ha sempre
provato per lui, che invece l’ha tradita. Però sono comunque complici e lo si vede dal fatto che lei rompe la
performance, tende le mani verso di lui e si stringono le mani sul tavolo con il pubblico che applaude.

Daphne Boggeri (2005), “Ash”, ripresa di telecamera fissa. Artista italiana che ripropone l’idea di un’azione
ripetuta solo ai fini di fare il video. Cerca di riprendere l’idea di intervento di body art, sul corpo, ma invece
di farsi male, si sparge il rossetto rosso sulla parte inferiore del voto.

“Antina C.” di Anita Calà. Artista che ha utilizzato l’idea del riprendere il volto facendo una specie di tenda
laterali per concentrare lo sguardo sull’espressione. Dunque, non vediamo i capelli né altre parti del corpo.
Il tentativo di riprodurre tantissimi stati d’animo attraverso il volto. non c’è montaggio, l’azione è fatta di
filato per circa 3 o 4 minuti. Raccontava che per realizzarlo, ha dovuto fare moltissimi tentativi, in quanto
non voleva montare il video e voleva esprimere tutti gli stati d’animo: paura, angoscia, risata, felicità,
pianto… Anita Calà è un’artista romana che lavora in RAI come addetta in tante trasmissioni, si occupa di
riprese e montaggi, ma come artista fa anche dei video lei stessa che propone nei festival e in occasioni
espositive. Lavora anche con l’animazione, ma in questo caso ha usato il suo stesso volto. il video è in
bianco nero per metterlo in relazione con i video del passato. È una rilettura attuale del video performativo
degli anni ’70, ma ora abbiamo il sonoro che è diventato un elemento importantissimo per i video più
recenti, utilizzando per dare tono al video e alle immagini.

IOCOSE “Sunflower Seeds on Sunflower Seeds” (2011). Ex studenti, Gruppo di ragazzi che si sono
specializzati in video di performance che loro stessi fanno o che fanno fare a delle macchine o a delle
situazioni che mettono in piedi. In questo caso sono loro che si recano in quattro alla Tate Modern vestiti in
modo elegante, nella Turbine Hall, si affacciano dal camminamento sulla Turbine Hall e, indossando dei
guanti, sparano con delle fionde quattro semi di girasole sull’installazione con i semi di girasole di Ai Wei
Wei. Riescono anche a cambiare il cartello con il titolo dell’opera di Ai Wei Wei con IOCOSE. Nessuno li ha
fermati. Loro agiscono in questo modo: sono dei disturbatori, quasi dadaisti.

Francesca Fini The Yellow Brick Road (2017) realizzata a Gerusalemme. Cerca di camminare su un tappeto
ricoperto di margarina sciolta che la fa scivolare. La musica è parte integrante della performance, ma anche
l’abbigliamento. Ogni volta che cade si sporca e ricomincia da capo. C’è ovviamente molta più attenzione
oggi al dettaglio. La performance è prodotta proprio per diventare un prodotto video.

Sabrina Muzi, “Shan” (montagna in cinese), realizzato in Cina, sulla muraglia cinese, durante una residenza
in cui lei ha lavorato per diversi mesi. Muzi è stata varie volte in Cina a produrre dei lavori e ha realizzato
anche un film, presentato l’ultimo giorno in Febbraio 2020. L’artista è sotto un drappo verde e incarna lo
spirito della montagna, adeguandosi alla morfologia dell’ambiente circostante, via via cambiando forma e
assumendo delle posture diverse per dare l’idea di essere un tutt’uno con le montagne. In Cina, infatti, vi è
l’idea che la montagna sia una creatura spirituale, dotata di spirito. La tecnica è l’autoscatto. Lavora da sola.

??

COMPUTER ART IN ITALIA -Lezione con Paola Lagonigro


Anni ’80, contesto interessante perché si parla di tecnologie digitali in ambito artistico a partire dagli anni
’90, quando si parla di media art, new media art e arte digitale. Gli anni ’90 sono il decennio del web. Ma
tutto questo è preceduto dal fenomeno della informatizzazione di massa negli anni ’80, che preparano il
terreno al contesto del decennio successivo.

Computer Art è un’espressione non più utilizzata perché nasce per designare tutto ciò che è forme
artistiche realizzate con il computer, che è qualcosa di molto ben definito perché si tratta di un momento in
cui le tecnologie dominanti sono ancora le tecnologie analogiche. Si tratta di un momento in cui si parla di
arte con tecnologie digitali mentre le tecnologie dominanti sono ancora di tipo analogico. Ma in questo
decennio, computer art e tecnologie analogiche si inizieranno a intrecciare.

Ivan Sutherland, padre della computer art (ambito artistico) o della computer grafica (tecnica). Non è un
artista, è un ingegnere, scienziato del MIT, come è ovvio, in quanto i computer al tempo erano ancora
difficilmente utilizzabili. Egli ha dato vita attraverso Sketchpad (1963) a sistemi di comunicazione utente-
macchina. Altro esempio è il suo Head Mounted Display (1968), quindi potremmo anche quasi dire che è
anche il padre della realtà virtuale, per quanto in una versione semplificata in forme geometriche, Wire
Frames.

Per molto tempo l’utente non comunica con il computer graficamente e neppure attraverso uno schermo.

Michael Noll, Computer Composition with lines (1965). Altro scienziato, che lavora al Bell Laboratory di
Mourrey Hill. Vediamo che l’inizio della computer art è grafica, statica, niente a che vedere con
l’animazione. Questa opera fu realizzato da Noll per sfidare le capacità grafiche del computer e realizzata
per sfidare Mondrian, Composizione con linee (1917). Qui giungiamo all’importanza del software e della
programmazione. L’opera fu realizzata con un computer enorme, che occupa una stanza intera, IBM 7090,
assolutamente senza monitor, dunque per realizzare l’immagine, Noll ha realizzato un algoritmo, con
istruzioni, attraverso il quale ordinare al computer di disegnare una serie di linee all’interno di un range di
possibilità. Noll infatti non poteva governare del tutto questa composizione, a causa della mancanza del
monitor. Vi è dunque una componente fortemente concettuale agli inizi della computer art, andando a
indicare una serie di istruzioni che il computer realizzerà con un range di casualità sempre presente.
Vera Molnar, 30 quadrati non concentrici (1974). Sorbonne. Ordine, programma iniziale che viene poi
variato in 30 composizioni, attuate in automatico dal computer. Il fatto che si comprenda e si contempli una
casualità programmata fa sì che il computer sia partecipe dell’atto creativo.

Stan VanDerBeek, Poem Field n.1, 1967. Arriviamo all’animazione. Non è un video, ma un film, quindi il
supporto è su pellicola ed è un’idea di come possono essere le prime animazioni realizzate al computer. Per
molto tempo questo non era stato possibile, in quanto il computer avrebbe dovuto avere abbastanza
memoria per memorizzare le immagini o abbastanza potenti da poter sostenere una grande quantità di
dati. L’idea quindi era quella di lavorare frame by frame e dunque non realizzare tanto un’animazione
digitale, ma un film. Infatti, VanDerBeek non è uno scienziato ma un ?? Tuttavia, viene invitato ai Bell
Laboratories per lavorare insieme a Kenneth ?? che aveva creato un linguaggio di programmazione,
chiamato BellFlicks che permetteva di creare un insieme di punti e linee per creare questi Poem Field in
risoluzione ovviamente molto bassa. Per il colore, esso è aggiunto successivamente sulla pellicola. Viene
dunque scritto un programma in schede perforate (strumento attraverso il quale l’utente comunica con la
macchina per inserire il programma), poi memorizzato sulle bobine a nastro sulle pareti, che rappresentano
una serie di informazioni poi inserito in un armadio con una specie di monitor e una macchina da ripresa
(Stromberg Carlson SC4020). Questo dà l’idea della complessità dei primi esperimenti.

Eugenio Carmi, Carm-o-matic (1968). In Italia fino agli anni ’80 non abbiamo molti esempi di computer art.
una eccezione è quella di Eugenio Carmi, che viene ricordato come un pittore e uno sperimentatore. La sua
opera viene esposta nel 1968 alla mostra Cybernetics Serendipity all’Institute of Contemporary Art di
Londra, dedicata alla cibernetica. L’opera è realizzata con la collaborazione della Olivetti, che realizza il
meccanismo dietro la macchina. C’è un rullo, con una serie di fasce colorate con forme e parole, che girava
ed era illuminato da due lampade stroboscopiche. La velocità dipendeva dal rumore causato dai visitatori
nello spazio fisico. È un’opera che implica il calcolo combinatorio e un circuito.

Negli anni ’80 vediamo la comparsa del personal computer. Il computer diventa uno strumento alla portata
di tutti e questo cambia la scena artistica della computer art in Italia, che è una scena che si forma dal basso
grazie al personal computer, a causa anche della mancanza di veri istituti scientifici al pari del MIT e altri
che potessero sostenere lo sviluppo di queste sperimentazioni.

Guido Vanzetti e Giuseppe Laganà, Pixnocchio, 1982. Vediamo dei punti e delle linee combinarsi in modo
diversi per creare forme geometriche, dei robot di varie forme e dimensioni fino a diventare una specie di
robot-pinocchio, che si sdoppia e diventa colorato, poi si moltiplica e infine si vedono i due artisti con il
naso lungo. Vi è anche un accompagnamento sonoro. Il disegno sintetico è realizzato trasferendo il disegno
di Laganà su carta millimetrica e inserendoli poi nel software scritto da Vanzetti utilizzando il linguaggio di
programmazione Basic, che scompone il procedimento grafico in una serie di istruzioni. Anche se vi è una
vera e propria corrispondenza tra il disegno e l’immagine sintetica, il processo è diverso.

In questo periodo vengono introdotte le tavolette grafiche, come quelle usate da Crudelity Stoffe, un duo
composto da Michele Bom e Marco Tecce, che realizza una serie di video, come Abol City, 1983, istituendo
una vera e propria poetica visuale. Questo è il primo dei video che il gruppo realizza tra 1983-86 con lo
stesso software, chiamato Omaggio a Lisa, e chiamato Abolizioni. La poetica ha una sua denominazione,
chiamata Abolizionismo, annunciata in un manifesto programmatico, qualcosa che difficilmente si era visto
dopo le Avanguardie Storiche. Il manifesto si chiama Appunti Abolizionisti, in realtà scritto solo da Michele
Bohm, l’informatico del gruppo, figlio di Corrado Bohm, un teoretico famosissimo. In questo manifesto
viene annunciata un’estetica che è un’esaltazione dei limiti tecnici del personal computer. È un’estetica
disturbante e limitata, ma che celebra queste limitazioni e queste imperfezioni, ponendosi in opposizione
alla grande estetica perfetta delle produzioni cinematografiche degli anni ’80. L’estetica consiste in un
processo di discesa a cascata di figure a colori (il computer ne aveva solo 8), andando ad abolire l’immagine
sottostante, da qui abolizionismo. È un’animazione che non vuole essere realistica, ma l’esaltazione della
macchina. Il computer usato è l’Apple II (1977). Il video include un sonoro in sax.

Galleria 5 x 5 fondata da Rinaldo Funari a Roma, galleria dedicata alla computer art dal 1983, che ha avuto
una vita brevissima. L’associazione Il Pulsante Leggero fondata da Funari raccoglie le sperimentazioni
italiane legate all’uso del computer. Una prima rassegna collettiva viene organizzata nel luglio 1985 e
intitolata Il Pulsante Leggero.

Adriano Abbado, Città Orbitale, 1985, presente alla rassegna. Essendo lui stesso un musicista, l’artista
pensa contemporaneamente alla componente grafica e a quella musicale. L’immaginario è quello
fantascientifico. Il video è realizzato con uno Yamaha CX5, che permette di lavorare su sonorità più
complesse.

Paolo Uliana, Omaggio a Mondrian, 1985, presente alla rassegna. il video è realizzato con una grafica
elementare e una sonorità altrettanto basica, in quanto realizzato con un DAI?? In realtà non è
un’animazione, quindi un lavoro realizzato su nastro e trasferito. È un’opera realizzata da un eseguibile,
un’opera lanciata dal programma. Ogni volta il computer genera una configurazione diversa.

Daniela Bertol, Il sogno di Bertram, 1985. Utilizza un Commodore64. Prende il nome dal maestro di
Bertram, noto per i suoi pavimenti a scacchiera assolutamente non congruenti con la prospettiva. Bertol
usa questa grafica a scacchi per esplorare lo spazio. È un’opera che rientra in una grafica generativa, il
software che genera la grafica.

Ovviamente la griglia è molto legata alla storia dell’arte, ma la griglia nell’arte è il risultato di un processo di
semplificazione, mentre nella computer art è l’esatto opposto.

Giovanotti Mondani Meccanici, gruppo di Antonio Glessi (parte grafica) e Andrea Zingoni (autore dei testi)
e Maurizio Dami (musicista). Fanno parte della computer art in quanto tra i primi a utilizzare il computer e
la sua estetica, ma da lì sono partiti per una serie di percorsi differenti, che li hanno portati alla Net Art, a
opere telematiche, a sconfinamenti in ambiti musicali. È un progetto decisamente multimediale. Il primo
lavoro è un computer fumetto, pubblicato su Frigidaire, una rivista. Si intitola Giovanotti Mondani
Meccanici (1984) ed è pubblicata sotto i nomi di Antonio Glessi e Andrea Zingoni, manca dunque ancora
Dami. Vi è sempre una forte componente ironica e delle tematiche scabrose, trattate con una certa
leggerezza che forse non sarebbero più accettate oggi. Questa prima storia mostra uno stupro. È realizzata
con lo stesso computer AppleII e quindi vediamo una vicinanza con Crudelity Stoffe. Siamo però distanti da
quella difesa della programmazione.

Altro esempio dei Giovanotti Mondani Meccanici è Marionetti in discoteca (1985), uno dei video chiamati
Le Avventure di Marionetti, realizzati per la trasmissione Non Necessariamente andata in onda nel 1986.
Ogni breve video chiudeva una puntata. È un primo esempio di come video e computer iniziano a dialogare
perché ci sono delle immagini analogiche (fotografie) che sono digitalizzate e poi ritoccate. È evidente che
i Giovanotti Mondani Meccanici tentino di uscire dal computer per sfruttarne le possibilità in modo più
ampio e per diversi ambiti, come la televisione. La musica che si sente è di Maurizio Dami, alias Robotnics,
dunque proprio dei Giovanotti stessi.

Mario Sasso, Gioconda Paintbox, 1986. Ha lavorato per diversi decenni per la RAI per la quale ha realizzato
molte sigle, rivoluzionando la grafica televisive. Vediamo la figura della Gioconda colorarsi, diventare statua
e vagare per i corridoi di una mostra, diventare in bianco e nero, essere aggiunta a un quadro di De Chirico,
ecc. Va a sperimentare con vari stili pittorici. è un video in cui Mario Sasso mostra anche gli strumenti
utilizzati, computer grafici o workstation, nello specifico una Paintbox, una macchina utilizzata per ottenere
effetti di pittura grafica e digitale, diffusa negli studi televisivi. Inizia come un’opera di divertissement e poi
diventa la sigla di questo programma Grandi Mostre. In realtà Mario Sasso è un pittore e infatti in questo
decennio vari pittori vengono coinvolti in sperimentazioni del genere.

Giulio Turcato, Color Computer 84, 1984. Quest’opera fa parte di una serie di opere video che vengono
richieste a vari pittori tra cui Alighiero Boetti e realizzate al Mattatoio. I video vengono realizzati a partire
dalle loro opere pittoriche. Il risultato della prima parte dell’esperimento è disastroso, in quanto è l’artista
stesso che sta cercando di utilizzare questa workstation con risultati poco apprezzabili. La seconda parte del
video invece tratta della digitalizzazione di sue opere che vengono poi manipolate.

Mostra a Milano alla Rotonda della Besana curata da Renato Barilli chiamata Arte e computer, 1987 con
l’idea di mettere in mano ad artisti di vario genere un sistema simile alla workstation, pensata per scopi
grafici e per essere uno strumento user friendly. Quindi stiamo assistendo a un passaggio da un momento
in cui il computer era accessibile solo a specialisti a un momento in cui il computer si apre ad altre categorie
e dunque anche agli artisti. Vediamo la presenza di molti artisti noti, ma anche una sezione di artisti più
appartenenti a questo settore, come Crudelity Stoffe, che presenta in questa occasione l’atto finale prima di
sciogliersi, i Giovanotti Mondani Meccanici e altri artisti internazionali.

Ida Gerosa, Verso la luce, 1988. Gerosa è una pittrice che già negli anni ’70 sperimenta altre tecniche come
l’acquaforte, quindi attratta da sperimentazioni di texture e colori. Scopre il programma messo in pratica
dalla IBM di Roma, dove lavorava il marito, e destinato a scopi scientifici, per fare uno studio del terreno e
visualizzarlo su schermo graficamente. Chiede di fare uno stage da IBM per convertire il programma in un
software pittorico. La sua arte è prevalentemente astratta e questo continuerà anche con il computer. La
differenza rispetto a ciò che abbiamo visto fino a ora è innanzitutto una prima collaborazione tra istituto e
artista in Italia. Lavora su immagini statiche, poi tradotte in diapositive e tuttavia il suo obiettivo è quello di
un coinvolgimento dello spettatore. esempio Proiezione nella Galleria ??? 1988. L’opera è una proiezione di
diapositive poi riprese a macchina fissa. Cerca di realizzare un’installazione ambientale già negli anni ’80,
quando gli strumenti non sono ancora tecnicamente performanti. Ci riuscirà meglio negli anni ’90.

Sul fine degli anni ’80 si va verso un coinvolgimento dello spettatore, per esempio grazie a installazioni
ambientali e si va verso l’animazione di modelling 3D. Adriano Abbado realizza Dynamics (1988) sulla base
delle sue ricerche sulla corrispondenza tra suono e immagini.

Correnti Magnetiche, Minima, 1985. Prima fase che si basa sulla programmazione

Correnti Magnetiche, Riflessi, 1987. Spazializzazione sonora come Abbado, ma senza quella componente
scientifica

Correnti Magnetiche, Countdown, 1990. Countdown per la tv

Nel 1990, abbiamo l’introduzione di una tematica nuova a proposito della realtà virtuale, espressione nata
in America coniata da Jaron Lanier. Questo argomento diventa dirompente, tanto da essere percepito
immediatamente anche in Italia, dove viene organizzato nel 90 un convegno chiamato Mondi Virtuali.
Prime opere di realtà virtuale italiane: Correnti Magnetiche, Satori (1992), che indica uno stato che si
raggiunge nel momento in cui si esce dalla realtà virtuale. La realtà virtuale era realizzata con un casco, un
joystick ecc. Oracolo Ulisse (1995). Sono opere anche scultoree.

ART/TAPES/22 – Lezione con Alessia Bruni


Piccolo centro di videoproduzione nato a Firenze nel 1973 e attivo fino al 1976. Nasce nel periodo che Lucy
Lippard ha definito il momento della smaterializzazione dell’oggetto artistico, caratterizzato da una serie di
esperienze quali Body Art, Arte Concettuale, ecc. Art/Tapes si è posto come un centro di sperimentazione.

Tappe:

1947 NYC: nascita dei primi studi di produzione:

- The Kitchen
- The Experimental TV Center
- WNET-TVLAB

1959 Colonia: TV Décollage di Wolf Vostell

1963 Wuppetal: Nam June Paik propone una serie di installazioni caratterizzate da 13 televisori il cui
segnale viene disturbato da un magnete in occasione di Exposition of Music – Electronic Television.

1969 Fernsehgalerie o Galleria Televisiva di Gerry Schum, definita da lui stesso come una “istituzione
mentale” in quanto esiste solo nel momento della trasmissione. Nello stesso anno propone Land Art.

1970 Gerry Schum, Video Galerie, Identifications. Parteciparono degli artisti italiani, tra cui Alighiero Boetti,
Giovanni Anselmo, Pier Paolo Calzolari…

Contesto italiano

1968 Luciano Giaccari con il suo studio 970/2 a Varese dove propone Televisione come Memoria con
l’obiettivo di creare una documentazione istantanea delle azioni eseguite dagli artisti. Il risultato è
l’accumulazione dei video prodotti.

1970 Gennaio 70 a Bologna: la videoregistrazione entra nello spazio espositivo pubblico.

1972: Centro Video Arte di Palazzo dei Diamanti di Ferrara. Gode del sostegno delle istituzioni e questo gli
permetterà di rimanere attivo a lungo

1972: Galleria del Cavallino a Venezia

1973 Maria Gloria Bicocchi fonda il centro Art/Tapes, già proprietaria di una piccola galleria già acquistata
nel 1972. Ma la stessa Bicocchi affermò di odiare le dinamiche di compravendita di opere, ma ha sempre
voluto lavorare con gli artisti e insieme creare qualcosa. Tutto si svolge senza un preciso programma. Le
residenze estive dei coniugi diventavano succursali di Art/Tapes, dove poter rilassarsi e lavorare allo stesso
tempo.

1973-74 Un Biennio di Apertura Internazionale per art/tapes. Partecipa alla fiera d’arte di Colonia
(Kunstmesse 1973), dove Bicocchi conosce Ileana Sonnabend, che le proporrà un accordo secondo il quale
la galleria di Leo Castelli e Sonnabend offrivano ad art/tapes la possibilità di lavorare con importanti artisti
quali Vito Acconci. Per i primi 5 anni, Castelli e Sonnabend però non avrebbero finanziato economicamente
le registrazioni. Ad art/tapes sarà dunque registrato Theme Song di Vito Acconci (1973)

1974: art/tapes/22 e Castelli-Sonnabend Tapes and Films vincono il premio New Trends. Nello stesso anno
a Colonia si svolge Projekt 74 dove Bicocchi conosce Bill Viola, che giungerà a Firenze nello stesso anno e
rimarrà lì fino al 1976 come tecnico. Sarà una figura chiave in quanto grazie alle capacità acquisite dopo gli
anni di studi di video in America tradurrà in video alcune esperienze fiorentine. Esempio è Eclipse, 1974:
inquadratura su un frammento di cielo notturno inquadrato da un loggiato. Viola mantiene ferma
l’inquadratura fino a che la luna e la fiammella della candela non si allineeranno perfettamente.

Viene realizzata nello stesso anno Americans in Florence/Europeans in Florence, una mostra itinerante, che
prevedeva l’esposizione di 17 video realizzati ad Art/tapes tra cui anche Bill Viola, Acconci e Daniel Buren.
Farà tappa in molte città americane, tra cui Long Beach, dove tornerà più recentemente. Dava la possibilità
di far viaggiare attraverso un mezzo tecnologico un’opera che non perdeva così la sua unicità ma
proponeva un unicum, andando a contrastare quanto espresso da Walter Benjamin, secondo il quale
l’opera perdeva la propria aura di autenticità con il mezzo tecnologico.

Art/tapes collabora con artisti internazionali quali Marina Abramovic, che giungerà nel 1974 (Art must be
beautiful, Artist must be beautiful) e Arnulf Reiner (Confrontation with my videoimage, 1974).

1975 Art/tapes si occupa anche della distribuzione di videotapes prodotti altrove, principalmente in
America. Nel 1975 ottiene dalla moglie di Duchamp la possibilità di registrare su nastro un corto che
Duchamp aveva realizzato con Man Ray, Anemic Cinema (1926), firmato Rrose Selavy.

Giungiamo alle sperimentazioni dell’arte povera, come quelle di Jannis Kounellis (Senza Titolo, 1974 in cui
tiene sul viso una maschera in gesso e una lanterna. Voleva contrapporre il tempo passato della maschera e
il tempo della ripresa) e Alighiero Boetti (Ciò che sempre parla in silenzio è il corpo, 1974). Voglia di
mettersi in gioco in maniera amatoriale, giungendo però a risultati interessanti. Passeranno da art/tapes
principalmente Kounellis, Boetti, Calzolari, Paolini e De Dominicis.

Senza Titolo di Pier Paolo Calzolari (1974) ripresa di oggetti in un ambiente domestico e una donna ripresa
di spalle.

Paolini, Unisono, 1974. L’opera per art/tapes è l’unica opera video di questo artista. ???

Gino De Dominicis, Videotape (1974) invece di presentare come gli altri una documentazione del proprio
lavoro, egli cerca di creare uno spostamento di significati tra lui e lo spettatore.

1975 arriva ad art/tapes Nam June Paik con un Progetto fuori dalla portata dello studio. Propone di mettere
in registrazione tre telecamere le quali si sarebbero distrutte e questo voleva dire annientare
completamente le risorse della galleria, che aveva appena acquistato appunto 3 telecamere. Il progetto
rimarrà dunque non realizzato.

1976 Epilogo e cessione dei Videotapes (oltre 100 nastri prodotti in 3 anni) all’Archivio Storico della
Biennale di Venezia. il centro chiude in quanto i costi erano diventati insostenibili. Si chiese il supporto della
città di Firenze, ma il sostegno non arriverà mai. I nastri però si sono danneggiati nel tempo e sono stati
restaurati sono nel 2007.

 Il video come “Gigante addormentato” (Daniela Palazzone). McLuhan già aveva definito la
televisione come un gigante timido, in quanto trasmette immagini da tutto il mondo ed ha una
presa potenzialmente mondiale, ma occupa a livello domestico uno spazio piccolo. Gigante
addormentato è un’espressione interessante in quanto è potenzialmente aperto verso una
rivelazione degli aspetti timidi e strutturali di quel gigante timido di McLuhan.

Lezione con Enzo Minarelli


Enzo Minarelli, artista performance verbo-visivo-vocale 18 novembre

Autore di poemi scritti e poi interpretati live. Per capire videopoesia bisogna partire dal sonoro (lui si
descrive come un videopoeta SONORO). Nella videopoesia ci sta il classico poeta che prende il libretto,
legge e si registra; invece lui intende un video in cui il sonoro è predominante cioè la piéce va ascoltata.
Discende dai futuristi e dai Dada.

Sottosessioni

• Video-reading o video-performance: poeta che legge, registri e rimandi lui che legge (slam
televisivi). Molto piatta e banale, come la video-performance, banali ma essenziale oggi ad esempio:
performance registrata in museo o galleria e rimandata attraverso il video.

• Video installazione di poesia sonora: il suo “Volto pagina”,la foto di un suo volto e al posto degli
occhi e della bocca ha installato dei video, in cui l’ immagine gira e se ne va con l’effetto del voltare pagina
(vabbé)

SONORO: Prima c’è un sonoro e poi si va alla ricerca delle immagini.

“Chorus”, litania. Tono ambiguo che dice e non dice, che ammicca. Nel rapporto con l’immagine, mano
guantata, parole che non si odono. Tutto sfocato, ruota intorno all’ineffabile e l’inespresso. Scivolamento
del sonoro.

Polipoesia una tralla infinita su questo filmato che non sii è capito. Comunque una serie di video riproposti,
sonoro di bobine che vanno (fino anni 80 e arrivo anni 90 uso analogico). Tasto stop, crescendo di
movimento ma poi bloccato volutamente per dare effetto di stasi: parola finale che indica un blocco,
interruzione.

Anni 90: negli 80 immagine reale che veniva utilizzata, ora es. “Con-sonanti”, cerca di dare ad ogni fonema
un possibile significato (“N”, indica qualcosa di duro, “L” indica qualcosa di liquido e così via). Sonoro, non è
musica, nei suoi video c’è richiami rock ma non sono musica solo accenni che devono sottolineare lo
sviluppo successivo.

“Poema” filmato Rai, performance.

Lezione con Basmati film (Saul Saguatti)


VHS+ mostra al Mambo curato dalla Grandi e Basmati Film.

Bologna è sempre stata una grande scuola di fumetto e negli anni ’80 ci si voleva rifare a questa cultura. I
primi lavori di Saul, cartoni animati in 35 mm, sono fatti per case discografiche o agenzie pubblicitarie,
sperimentando con elementi presi anche dalla pittura. Parte analogica:

Esso, 1988. Ovviamente tutto era fatto a mano al tempo.

Otep, 1987.
Cocciante

Chi Beve Chi Beve per Edoardo Bennato, 1988.

Idea del giocattolo, alla Keith Haring, tipico anni ’80.

Barbie

Clio, 1991, per la macchina della Renault. Uno dei primi video in computer grafica. L’estetica è sempre dei
fumetti, ma iniziano a essere trasportati in digitale.

In questo mondo di ladri di Venditti in Paintbox.

Video montaggio come forma pittorica, tesi di laurea di Saul all’accademia, 1989. Pubblicità montate
insieme apparentemente senza senso. Tecnica del found footage. Si inizia a ragionare sulla velocità e sul
montaggio delirante

Ciccio Franco contro tutti. Film di Pippo Franco rilavorato in colore a casa. prodotto che risente
dell’esperienza di montaggio delirante avuta in precedenza

Videoclip:

Pastiglie dei Prozac, girato in Super8. 1995.

Xxx videoart

Mostra VHS+ al Mambo di Bologna, curato da Silvia Grandi e Saul Saguatta di Basmati Film. 5 gruppi su 5
centri sociali. Volontà di raccontare esperienze simili all’interno di centro sociali italiani, attivi dal punto di
vista culturale.

Saguatta ha seguito per 3 anni il Primo Maggio di Roma.

Pubblicità per la Pellicano, che fabbrica tappi e finanzia anche il cinema in piazza a Bologna

Transitcity. Fotografie rielaborate con pittura e disegno digitale.

Linea d’Onda.

Lezione con Piero Deggiovanni


Piero Deggiovanni insegna all’Accademia di Belle Arti. Da qualche anno cura anche il Meta Cinema Festival
presso l’Accademia, in cui vengono proposte delle selezioni di video sia nazionali che internazionali,
collegandosi a una serie di convegni e incontri con artisti, esperti del settore. Quest’anno Meta Cinema si
farà online. Questi festival sono anche veri e propri archivi di videoarte. Il festival è stato iniziato nel 2015,
parte da un’indagine sistematica sul territorio, alla ricerca di chi oggi lavora alla videoarte.

Il video è diverso dal cinema, perché non deve esserci per forza una narrazione. Il cinema ha una diegesi, un
inizio e una fine, invece la videoarte è una fotografia. Il video è un mezzo più concettuale rispetto al cinema,
che lo è meno, in quanto vi è sempre sotto una storia, una narrazione. Quando nel video c’è una
narrazione, essa è sviluppata tramite una sequenza di quadri come fa, per esempio Lunardi, come potrebbe
fare Giotto. Sono un insieme di tableaux vivants, quindi questa pseudo-narrazione è data per simboli, per
rappresentazioni simboliche.
Il video si appoggia a delle strategie retoriche, afferma Piero Deggiovanni nel suo libro. Egli menziona la
scuola Anceschiana che è quella estetica di Bologna e delle affermazioni di Barilli, che spiega come la
retorica entri e sia un mezzo per poter spiegare e capire il video. Secondo Deggiovanni Anceschi va riletto e
applicato alla situazione attuale, in quanto il suo metodo che è la critica fenomenologica è per lui il metodo
migliore per affrontare un’analisi critica di un’opera d’arte, perché la lascia intatta, non fa il lavoro che
stanno facendo oggi diversi curatori, che in realtà prendono un tema, rastrellano le opere e si inventano un
soggetto. Bisogna invece rispettare l’artista e la sua opera. Un bravo critico fenomenologico invece
fotografa la situazione così come è e la riporta. Non dà delle letture condizionanti o costringe l’artista e
l’opera all’interno di una narrazione che è solo sua. Per Deggiovanni questa è quasi blasfemia dal punto di
vista critico. La fenomenologia critica dice che dobbiamo trovare nell’opera delle “istituzioni”, dei
paradigmi fondanti su cui si costruisce l’opera, secondo Anceschi; questi sono il materiale, il progetto
estetico che si chiama poetica e lo stile, cioè la forma che assume il progetto estetico che utilizza quei
metodi. Si descrivono le opere e ci si ferma qui, senza dare giudizi. Si descrive la realtà senza distorcerla.

Ogni opera segue una propria retorica. Cos’è la retorica? L’arte dell’argomentazione e quindi riguarda gli
enunciati. Un film o un’opera d’arte possono essere considerati come enunciati. Ciò che bisogna fare è
dunque convincere della bontà del proprio enunciato e dunque si utilizzerà uno stile e delle strategie
retoriche, che si chiamano figure retoriche, per convincere di ciò. Dunque, il videoartista utilizza gli
elementi più sintetici e simbolici come la metafora e l’allegoria, che sono due figure retoriche, per arrivare a
convincere della bontà del proprio discorso. Questo è un lavoro che fece Barilli nel 1975. Egli ha svelato il
meccanismo sotteso alla maggior parte della videoarte, cioè che ha una vicinanza sorprendente con la
pubblicità e con le sue strategie retoriche. Non c’entra niente con il cinema, ma c’entra più con la
pubblicità televisiva ed è importante sottolinearlo. Sin dall’inizio, la videoarte si è confrontata con la
televisione, con uno sguardo e un atteggiamento di critica, ma ha sempre guardato ad essa piuttosto che al
cinema. Anche la pubblicità, infatti, con pochissimi secondi deve convincerti della bontà del proprio
enunciato, e lo fa con un proprio determinato stile.

Deggiovanni definisce anche tre fasi del percorso della videoarte, fino a giungere alla terza e ultima, che è
quella che analizzerà lui a fondo, caratterizzata dall’ibridazione. Questa fase inizia intorno al 2010, ma trova
le sue radici già prima. Le tre fasi, ancora, derivano dall’osservazione di Deggiovanni di ciò che accade, della
realtà, non da una sua critica. Egli descrive ciò che esiste. Le tre fasi dipendono da un’osservazione a tratti
semplicistica e a volo d’uccello. Negli anni ’60 e ’70 il problema della videoarte era smontare e rimontare il
mezzo televisivo per ottenere degli effetti e dei risultati estetici anziché informazionali. Si lavorava sui mezzi
e in quella fase il mezzo è stato esaltato perché la poetica di quegli artisti era di smontare i mezzi e
ricostruirli in chiave estetica. È una fase legata al concettuale e alla riduzione (si va all’ABC del
funzionamento del mezzo, si smonta, si studia e si ricostruisce). Negli anni ’80 cambiano le tecnologie,
cominciano ad apparire i primi videoproiettori e questo implica smaterializzazione dell’immagine. Non si ha
più bisogno del televisore: si può sparare l’immagine ovunque e si può ottenere degli effetti visivi ricchissimi
(vedi Studio Azzurro, che lavora su questo). Si vuole far sparire la tecnologia, che non ha più importanza dal
punto di vista del mezzo, ha importanza solo in termini di risultati. Si arriva dunque a un punto come per i
Cubisti, si arriva a una rinascita e una rifondazione della realtà basata sugli effetti della tecnologia e non
sulla sua evidenza e per questo Deggiovanni ha chiamato questa fase sintetica. Questa fase continua fino a
circa il 1995. Tra il 1995 e il 2000 c’è un’altra grande rivoluzione: si passa al digitale. Le videocamere
all’epoca avevano il mini-dv, c’era dunque un nastrino magnetico dentro la videocamera e quello si doveva
riversare nel computer per lavorare sulla post-produzione. Quindi si passava dall’analogico al digitale nel
momento stesso in cui si usava la videocamera. In una decina d’anni c’è stata un’evoluzione tecnologica
incredibile, in modo molto veloce. Dal 1995 al 2005/08 c’è stata una evoluzione velocissima. Si conclude
con la fase ibridante. Quando parla di ibridazione, Deggiovanni non intende un’ibridazione di carattere
tecnico. L’ibridazione è nei linguaggi perché da circa 15/20 anni, molti autori provenienti da altre discipline
si sono appassionati al mezzo video e hanno cominciato a produrre delle opere di videoarte inserendo
elementi tipici della loro disciplina formativa, dunque arriviamo a delle opere che mescolano i principi
fondamentali della videoarte dal punto di vista retorico, dunque utilizzano un linguaggio metaforico o
allegorico, ma inscenando elementi del teatro, della danza, dell’animazione, del cinema…

L’antologia critica è divisa in gruppi di artisti. Ci sono infatti dei gruppi omogenei di comportamento
estetico, di omogeneità di progetto o di visione del mondo e in base a quello si possono raggruppare le
opere. Ci sono autori interessati al corpo, altri sono interessati all’utilizzo del found footage. In tutto,
comunque, Deggiovanni ha selezionato 28 autori perché li reputa innovativi dal punto di vista del linguaggio
e dell’ibridazione dei linguaggi, tralasciandone altri circa 800. Altri 507 autori si possono trovare sull’Art
Hub su andu.net. ci sono schede di ogni autore e qualche opera in un formato non scaricabile. Gli autori
selezionati da Deggiovanni hanno quasi tutti un proprio sito, dunque le loro opere sono fruibili online, sul
sito o anche su vimeo.

Partendo da una tematica legata al corpo, possiamo menzionare Alessandro Amaducci è un decano della
videoarte, lavora esclusivamente in digitale, pur utilizzando riprese naturali, poi rielaborate in grafica o in
3D. Egli tratta di tematiche legate alla morte e indugia su quelle zone liminali tra vita e morte. Vita e morte
si incontrano. Ex. Concert for Shadow 11.14, esaltazione degli aspetti della vita e della psiche

Altra opera interessante sul corpo è di Eleonora Manca, compagna di Amaducci. Manca è ossessionata
dalla tematica della metamorfosi, dunque ha messo in relazione il corpo che si metamorfizza e si riduce a
essere simile a quegli esseri viventi che sono molto elementari. L’elementarizzazione stilizzata del corpo
può significare una vicinanza nel modo di sentirsi e percepirsi delle creature.

Sara Bonaventura lavora in una tecnica DIY. Nell’opera lei si rifiuta di entrare in contatto con il suo ex che la
tampina, dunque è una storia di stalking. Sara Bonaventura si è recata in un sobborgo di New York, dove c’è
il museo di tutti i dispositivi creati da Nam June Paik e vi ha fatto residenza. Ha creato questa opera
utilizzando il bobulator, strumento solitamente legato alla registrazione del suono, ma Nam June Paik ne ha
creato uno legato alla registrazione del segnale video aiutato da un ingegnere.

ANIMAZIONE
Short, catalogo del Ca’ Foscari Short Film Festival, organizzata 7-10 ottobre 2020, curata da Elisabetta Di
Sopra. Alla Grandi è stato chiesto di fornire circa un’ora di video.

Rebecca Agnes, 2005-06, video che riproduce un ambiente fantastico, quasi legato a un futuro. Si chiama A
Short Trop in the Other Side of the Galaxy.

Blu, pseudonimo di un wall painter/writer/street artist. Inizialmente faceva anche dei video animati, come
Pino del 2007. Musica di Martignoni.

Giovanna Ricotta è di origine ligure, ma vive e lavora a Milano. È essenzialmente una performer, tra le più
importanti in Italia. Video realizzato in 3D, Bamboolychees. La musica di Ricotta è fatta sempre dai Riga, un
duo di musica elettronica.

Diego Zuelli, videoartista di Reggio Emilia. Ha sempre lavorato con il 3D. uno dei suoi primi lavori è Colli
malati??. Crea effetti simil-naturali, ma facendo compiere alla natura delle azioni particolari.
Virginia Mori è un’illustratrice e un’animatrice. Ha sempre lavorato con il disegno animato, come in Il Gioco
del Silenzio, fatto con migliaia di disegni fatti a mano e poi ripresi e montati. Un sistema di animazione
dunque tradizionale, il famoso Passo 1 dei vecchi cartoni animati.

Audré Coianiz, artista di Basmati Film. Propensione per la decostruzione e ricostruzione di architettura.
Artista che ha sempre vissuto tra il Friuli e Marsiglia. Video “Cut Fix”.

Michele Bernardi, Djuma (2012). Animatore italiano, molto noto. Ha lavorato per la serie tv della Pimpa.
Musica di Martignoni, lo stesso del video di Blu. Un bambino-lupo fugge da una città ormai in rovina.
Situazioni fantasiose, post-apocalittico.

Marco Morandi, We Move Lightly. Linea di energia che viaggia in uno spazio 3D. grande qualità. Ha lavorato
anche al MOCA di Los Angeles.

Rita Casdia, Stangliro. Lavora con il pongo. Dice di essersi ispirata a Metropolis di Fritz Lang. Fantasia quasi
noir nonostante la realizzi con colori anche accesi.

Laurina Paperina, artista particolare che si è sempre espressa attraverso il video e i disegni animati
mettendo insieme oggetti di vario genere, ispirandosi al mondo dei fumetti ed è la versione italiana dei
Simpson. Non è un vero cartone animato, ma ha quella crudezza e quella cattiveria prendendo in giro
fenomeni della nostra società. In questo caso prende in giro il fenomeno dei grandi maestri dell’arte. How
To Kill the Artists. Li uccide utilizzando i loro stessi sistemi e le loro opere più famose. Es. Felix Gonzalez-
Torres che muore per aver mangiato tutte le sue caramelle.

VIDEOART YEARBOOK
Osservatorio sulla produzione video-artistica italiana. Si selezionano opere video nell’anno della rassegna o
al massimo nell’anno precedente per avere un monitoraggio a caldo delle nuove tendenze e delle nuove
proposte.

I body artisti si concentrano sul corpo per esplorare la corporeità della performance e le possibilità fisiche
del corpo. Non è un modo di aggredire il corpo, ma di avvertirlo in maniera più radicale. Questa
esplorazione avviene dunque in senso vitalistico. Il video serve qui per documentare le azioni. Questa è la
performance nuda.

In parallelo scatta il fenomeno della performance vestita (Francesca Alinovi), cioè una performance che
invece di concentrarsi sulla corporeità reale del corpo, vuole realizzare un immaginario e qui il video e la
fotografia giocano un ruolo maggiore, strutturale in quanto permettono di realizzare questo immaginario,
svolgendo un ruolo di certificazione.

Silvia Camporesi, Secondo Vento, 2010. L’artista fa dei movimenti di una disciplina di combattimento
asiatica all’interno di una prigione. Rispetto ad altri video di carattere performativo, vi è una maggiore
attenzione al montaggio, si ragiona per inquadrature fisse. C’è un’interpretazione di un ruolo, componente
che spesso nella performance nuda manca.

Family Portrait, Debora Vrizzi. vera famiglia dell’artista. Un modo per metaforizzare il risvegliarsi ai ricordi e
alla memoria. I parenti soffiano sull’artista come a levar via la polvere del tempo che è su di lei. È un gioco
di traudizone da un mezzo all’altro, dalla foto a un video che reinterpreta e rigioca in modo immaginifico
l’idea della foto ricordo. È un’operazione di rimediazione.
Giovanna Ricotta, Fai La Cosa Giusta, 2010. Video performance curata dalla professoressa Grandi e
realizzata al Mambo di Bologna. Lavorare in post-produzione crea ovviamente un effetto differente rispetto
alla semplice documentazione della performance live.

Bellantoni. Racconto di un immigrato che in un italiano stentato racconta come è arrivato dal Senegal in
Italia, su un barcone. È una nenia di accompagnamento al video del ragazzo con una bici sulla spiaggia.

Marcantonio Lunardi, The Idle, 2015. Tipologia particolare in quanto lavora su una costruzione fotografica
precisa, quasi per tableaux vivant, senza inserimenti vocali. I protagonisti sono sempre fermi in pose
statiche, difficilmente compiono azioni. È dunque una sorta di collage in cui lui ricopre e rielabora con
allegorie molti fatti e tipologie del nostro vivere quotidiano. In questo caso vediamo una sovrabbondanza di
televisione in una sorta di citazione di Nam June Paik, davanti a degli attori in pose da culto in abiti
medievali davanti ai nostri nuovi idoli, le televisioni. Si parla di rimediazione in prospettiva McLuhaniana,
secondo cui quando emerge un nuovo media, si porta dietro tutti i media precedenti. Si può accostare
questo artista all’attenzione al dettaglio del rinascimento fiammingo di Vermeer rispetto a quello italiano,
che attraverso le nuove tecnologie, si traduce in una grande attenzione alla qualità fotografica (Manovich).
Secondo la Grandi, piuttosto possiamo avvicinarlo a Caravaggio, con queste sciabolate di luce ad hoc.

Piero Deggiovani inserisce Lunardi nel filone della critica sociale. L’allegoria diventa una delle figure
dominanti perché di fatto veniva utilizzata già in pittura, dunque il transito verso il video è naturale e in
continuità. Siamo certamente in una dimensione finzionale, dunque, i video assumono anche valenze
simboliche e metaforiche. Un altro esempio è il video Planschen di Niccoli (ricordato anche su una
copertina di Flash Art). allude a una mancanza di punti di ancoraggio. Infatti, vediamo delle persone
galleggiare in mare appoggiate a delle ciambelline gonfiabili completamente vestite. Sicuramente una
situazione surreale, ma sempre attualissima ancora oggi. O, ancora, Berta con Homo Hominis Lupo,
allegoria della lotta per la sopravvivenza.

Andreco, Cloudbrake 2014, street artist che trova nel video una continuazione della propria ricerca artistica
su muro.

Apotropia, duo di artisti attivi a Roma che lavorano molto in elaborazione in computer grafica delle loro
performance, smaterializzando il proprio corpo. Si sono in questo caso anche serviti di interferenze e glitch.

Igor Imhoff, Samsara.

Lezione con Francesca Leoni e Mastrangelo


Artisti che Piero Deggiovanni ha inserito nella compagine di artisti che lavorano sulle performazioni del
corpo. Sono inoltre gli organizzatori di Ibrida Festival di Forlì.

Primo lavoro nel 2011, realizzato in occasione fortuita. L’idea è venuta quando a Francesca Leoni è venuta
la varicella, esperienza non piacevole in età adulta soprattutto, in quanto il tuo stesso corpo ti ferisce. Il
primo lavoro vede Francesca direttrice artistica e Mastrangelo come performer. Da quel momento in poi
lavoreranno come duo artistico.

Dicotomia, 2012-13. Lavoro realizzato da Mastrangelo per l’Accademia di Belle Arti, per il corso di Costume.

Con Tatto. Performance nel centro commerciale in cui lui tiene lei come la Pietà di Michelangelo, dunque
ribaltamento dell’iconografia. Seduti in vetrina in libreria. Idea della vetrina: esposizione come merce. In
più, sono seduti su un raccoglitore con libri di storia dell’arte. È inoltre una performance di resistenza
(durational performance), dunque trova le sue radici nella body art.

Person-A, lavoro con il quale sono entrati in Videoart Yearbook. Persona nel senso del greco “maschera”. Vi
è la volontà di togliere la maschera dell’altro per arrivare all’essenza. La maschera in questo caso è di lattice
che simula la pelle umana, applicata da un make up artist.

Indifference, 2013. Altra performance in esterna, nella piazza di Forlì. Lei è completamente vestita, come
una medioorientale con questo abito rosso e velo rosso. Lui invece è più libero, ma ha gli occhi bendati.
Anche qui uno dei due ha gli occhi chiusi/bendati. In questo caso lui. È interessante perché è evidente che
c’è bisogno di fiducia.

Androgynus. Si occupa ancora della pelle, quindi è in un certo senso il continuo di Person-A. i due
performer sono attaccati schiena a schiena, muovendosi cercano di staccarsi e la pelle (in lattice) si tira. Si
rifà alla figura mitologica Androgynus, che era uomo/donna, una figura fortissima, quasi più degli dei, tanto
che Zeus decide di separarli per indebolirli. Da quel momento ognuno cerca l’altro per sempre.

Alzaias, ultimo lavoro. Idea della contrapposizione anche con Puma vs. Adidas (i due fratelli che si separano,
litigarono ecc.). Idea del traino verso il centro, giudice che rimane fermo a eleggere un non vincitore, ma
quando si toglie il visore (che quindi rimanda all’idea del futuro), non vi è uno sguardo. Video
accelerazionista. Rimando anche ai regimi totalitari, in quanto è girato davanti alla piscina dove si allenava
Mussolini e l’idea dello sforzo fisico e l’allenamento dei corpi era uno dei principi del Fascismo. Rimane
però la poetica delle relazioni: la coppia trascina un bagaglio andando verso l’altro.

Nel 2015 hanno creato un happening intitolato Reazione che si svolgeva tutto in un giorno dentro la ex
fabbrica delle Candele, invitando i loro amici artisti. Da qui nasce l’idea di Ibrida Festival trovando
l’appoggio di Piero Deggiovanni. Gli spettatori entrano e sono liberi di muoversi all’interno degli spazi dove
trovano video in loop. Poi c’è la sala Spettacolo, dove ogni sera c’è una performance live.

Lezione con Michele Bernardi


Michele Bernardi è un animatore video, versatile nell’ambito italiano. Ha iniziato nei primi anni ’80 a
lavorare a Modena, dove c’era un famoso studio di animazione, che realizzava spot pubblicitari per la RAI. Il
contenitore Carosello era alimentato da due studi tra cui questo di Modena, ma poi la RAI chiude questo
contenitore e chiuderà anche lo studio. Con la chiusura, si formeranno altri studi a Modena. Bernardi ha
iniziato lì nel 1981-82 a Bignardi Film, per poi essere assunto da uno studio concorrente che realizzava la
Pimpa. Si lavorava ancora in pellicola, in animazione tradizionale sulla carta. La Pimpa fu anche l’ultima
produzione in animazione RAI. Dalla fine degli anni ’80 la produzione scade, fino a che non si giunge al
digitale. Tra gli anni ’90 e i 2000 è un periodo un po' scadente anche per quanto riguarda la qualità. La
ripresa sarà negli anni 2000.

Bernardi ha lavorato per Cinecittà, per documentari, ma il grosso della sua produzione è per la musica (circa
50 videoclip)

Occhi Bassi, primo video musicale per i Tre Allegri Ragazzi Morti. Sembra proprio un cartone animato. Tutto
fatto sulla carta. Il video fu realizzato in collaborazione con un disegnatore, Davide Toffolo che è anche
parte dei Tre Allegri Ragazzi Morti. Erano ancora inesperti al tempo, essendo il primo videoclip animato,
tanto che al momento del montaggio si sono ritrovati in difetto di 20 secondi, così hanno usato un
espediente, rimontando il video al contrario velocizzato.
Quasi Adatti, altro video in collaborazione con Davide Toffoli e i Tre Allegri Ragazzi Morti. Fatto con Flash,
software semplice, dedicato al web. Realizzato nel 2001 circa per andare incontro alle nuove esigenze per il
web: basso costo, formato leggero per poterlo mandare sul web. Immaginario vagamente alla Tim Burton.

Per combattere l’Acne, realizzato per la casa discografica Tempesta, di cui fanno parte anche I Tre Allegri
Ragazzi Morti, ma in questo caso è per Le Luci della Centrale Elettrica, il loro primissimo video. Nasce
dall’insieme di due cortometraggi fatti da Bernardi per due festival diversi e poi montati insieme, in quanto
la band aveva bisogno di qualcosa di già pronto. Fatto sempre con Flash, tutto in digitale. Aveva iniziato
però a inserire anche il rotoscopio, una tecnica alla base del lavoro di Bernardi per i gruppi musicali, cioè il
ricalco di immagini video.

Quando tornerai dall’estero. Video realizzato interamente in rotoscopio.

Storia di Loletta

Mercurio

GLITCH
Fenomeno del glitch nel video. In elettrotecnica indica un picco di segnale, un elemento di interferenza.
Nell’accezione artistica diventa l’artefatto causato nell’immagine da un errore di codifica dei file.

Errore (Vocabolario Treccani) tante declinazioni, tra cui una declinazione informatica: malfunzionamento,
durante l’esecuzione di un programma, di una procedura, che non permette di ottenere il corretto
raggiungimento del risultato aspettato.

In campo artistico, ancora prima che si declini la vera Glitch art, l’errore è entrato nella riflessione di teorici
e artisti. Picabia diceva che “l’arte è il culto dell’errore”.

Una poetica del malfunzionamento è pensabile solo all’interno della riproducibilità tecnica, cioè laddove
sussistano protocolli di produzione dell’immagine automatizzati (fotografia, cinema) o altamente codificati
(video, computergrafica).

La Glitch art nasce tra la fine degli anni ’90 e l’inizio dei 2000 in opposizione a una cultura visiva sempre più
orientata all’alta definizione. Il termine glitch infatti indica un’irregolarità o un procedimento erroneo nel
normale funzionamento di un mezzo elettrico o elettronico. Parliamo di imperfezione, difetto, disturbo.

Michael Betancourt ha scritto “Glitch Art in theory and practice”. Egli ha individuato cinque categorie
glitch principali:

- Databending – manipolazione dei codici dei file immagine (JPG, PNG, BMP)
- Misalignment - disallineamenti generati dall’editing di un file digitale all’interno di un software
progettato per elaborare altro tipo di file (es. editare un video all’interno di un audio editor)
- Hardware failure – malfunzionamenti legati a danneggiamenti fisici dell’apparecchio, ad alterazioni
del cablaggio, a cortocircuiti, a distorsioni di trasmissione del segnale
- Misregistration – danneggiamento di supporti di registrazione audio, disturbo dei cablaggi in corso
di registrazione, amplificazione dei disturbi del canale audio
- Compression artifacts – distorsioni dell’immagine o del video causati da una compressione dati
lossy (secondo uno schema di compressione elevata, con inevitabile perdita di dati)
Un precursore dell’hardware hacking era Nam June Paik, per esempio con Magnet TV, 1965, dove Paik
altera il segnale video attraverso l’applicazione di un magnete su un televisore. Primo rudimentale tentativo
di manomissione dell’hardware.

Michael Betancourt reputa il primo esempio di circuit bending Digital TV Dinner di Jamie Fenton e Raul
Zaritzky che cercano di modificare la Bally Astrocade, una console di videogiochi. Manomissione avvenuta
in modo violento, fisico.

Esempio più recente di sfruttamento delle alterazioni dello strumento è Plasma Screen Burn Series di Cory
Arcangel, 2007. Realizza una serie di monitor al plasma con la didascalia dell’opera riprodotta a schermo,
sfruttando una proprietà fisica del mezzo, cioè il fatto che una stessa immagine sfruttata a lungo, inizia a
bruciare.

Glitch, Ant Scott (BeFlix), 2002-07.

La regina del databending è Rosa Menkman, autrice del Glitch Studies Manifesto. Es. A vernacular of file
formats.

Diffusa la dimensione didattica tra gli artisti glitch

Altro artista è Kim Asendorg, Mountain Tour, 2010. Utilizza un ambiente di programmazione, un software
chiamato Processing, gratuito. Attraverso il quale codifica algoritmi che permettono di modificare immagini
paesaggistiche.

Emilio Vavarella, Report a problem 2012.

Benjamin Gaulon aka ReCyclism dal progetto Corrupt, 2005-2013. Corrupt è un software web-based non più
esistente su cui tutti gli utenti potevano caricare un’immagine, un breve video e partecipare alla
realizzazione di un film infinito cui volta per volta si aggiungevano pezzi che gli utenti andavano a caricare.

Thomas Ruff, serie Jpegs (2007-09). “Le immagini utilizzate da Ruff sono immagini trovate sul web e
mostrano scene diverse tra cui catastrofi umane e naturali. L’ingrandimento di queste immagini altamente
compresse, produce forme estreme di pixelatura che la stampa in alta definizione esibisce in tutti i loro
dettagli, pixel per pixel, finendo, paradossalmente, per mostrare in alta definizione gli effetti della bassa
definizione” (A. Pinotti, A. Somaini, Cultura visuale, 2016)

Hito Steyerl, In difesa di un’immagine povera, 2009: “ L’immagine povera è una copia in movimento. La sua
qualità è scandente, la sua risoluzione è inferiore agli standard. Mentre accelera, si deteriora. È il fantasma
di un’immagine, un’idea errante, un’immagine itinerante, compressa, riprodotta, strappata, remixata.
L’immagine povera è uno straccio. L’immagine povera è stata caricata, scaricata, condivisa, riformattata e
riformattata e rimontata. L’immagine povera tende all’astrazione: ???

 Massimo Mantellini, Bassa risoluzione.

Tutto ha origine in Marshall McLuhan, che già nel 1964 pone una distinzione tra media caldi (ad alta
risoluzione) e media freddi, che a bassa definizione mostrano la struttura dell’immagine. Alcuni esempi di
arte a bassa definizione negli anni di Mcluhan (Roy Lichtenstein, Alain Jacquet e Sigmar Polke)

Il datamoshing, traducibile come danza o scuotimento dei dati, è il termine con cui si indica la pratica di
corruzione intenzionale dei file video a fini estetici. Questa pratica implica la rimozione degli I-frame, i
fotogrammi chiave di un video compresso, lasciando intatti i soli P e B-frame, che contengono informazioni
relative ai mutamenti previsti dall’immagine.

Monster Movie. Video preso da pezzi di un B-Movie anni ’80.

Silver, Murata

Nicolas Provost, Long Live the New Flash. Più c’è movimento più ci sarà un movimento di pixel in quella
zona.

Kanye West, Welcome to the Heartbreak feat Kid Cudi.

Jacques Perconte, L’artista Jacques Perconte. La lentezza lo aiuta a raggiungere la fissicità pittorica.

Igor Imhoff sul glitch: “Il glitch genera nello spettatore una nostalgia che rimanda agli anni ’80. Il suo
utilizzo non è dissimile da una pellicola alterata o graffiata, solo che nel digitale il degrado del video è
ottenuto giocando sui limiti imposti dai formati di compressione o dai metodo di trasmissione dei dati. In
Neon mi sono affidato solo ed esclusivamente a un editor di testo. Infatti, non sono glitch costruiti con
software di grafica, ma sono errori generati dalla modifica dei valori esadecimali dei file stessi e dalla
alterazione di quei parametri che garantiscono la ripetitività delle parti fisse dei fotogrammi. La cosa
interessante è l’aver scoperto come i vari player video eseguono un file con logiche interpretative diverse e
impreviste quando individuano un errore???

Ultima lezione
Il lavoro di Marcantonio Lunardi è incentrato sulla critica sociale e ha sempre fatto video impegnati anche
dal punto di vista politico. Poi, pian piano, si è mosso verso una dimensione più estetizzante, inserendo dei
valori plastici e fotografici molto rilevanti, utilizzando un modo di riprendere che si ispira ai tableaux
vivants. Le persone nei suoi video non parlano mai, sono mute, manca dunque l’elemento interpretativo. Le
riprese sono anche abbastanza lente, molto attente alle luci e a tutto ciò che può essere ricondotto ai valori
plastici. C’è una ricerca di valori cromatici. Sono estremamente importanti anche le inquadrature.

370 New World, 2014. Il primo di una serie. Una famiglia intorno al tavolo, uno davanti all’altro, ma tutti
sono completamente assorbiti dagli schermi dei tablet. Poi i protagonisti cambiano, ma la loro attenzione è
sempre rivolta all’apparecchio elettronico. le ambientazioni sono solitamente più o meno buie, ma i visi dei
personaggi sono illuminati dallo schermo. Poi un uomo che sale sul palcoscenico di un teatro, ma nessuno è
tra il pubblico; un uomo che sparge e distribuisce dei semi da un secchio, ma sull’asfalto. Rappresenta
anche, dunque, una serie di luoghi che sono stati abbandonati in seguito alla crisi del 2008 nell’area di
Lucca e Pistoia, come un teatro e una fabbrica. Ha rappresentato una sorta di limite. È qui che comincia ad
attenersi a una ricerca quasi ossessiva delle luci, in questo caso usando l’espediente del tablet. Mostra un
mondo che sta isolandosi e chiudendosi. Da questo video, Lunardi inizia a collaborare anche con una
compositrice per la musica di sottofondo ai suoi lavori. È una compositrice greca, Tania Giannuli.

Worn Out, 2018. Dei luoghi abbandonati e decadenti, si intravedono dei gioielli, degli strumenti come delle
seghe per tagliare il legno, dei laboratori di artigiani forse. Una dentista anziana. Delle statuette della
madonna, che vengono dipinte. Una fabbrica abbandonata quasi, se non fosse per la presenza di un
operaio. È un video incentrato sul tema dell’abbandono, in particolare di determinate attività manuali.
Persone anziane che si ritrovano in questi laboratori o questi luoghi dove compiono decorazioni, tessitura,
hanno dei vivai. Il tutto ripreso con una grandissima attenzione al dettaglio, per la quale, soprattutto negli
ultimi lavori, rischia di diventare lezioso, troppo dedicato all’estetica e alla fotografia, piuttosto che ai
contenuti, che stanno invece diventando troppo retorici. È arrivato a una sorta di “auto-manierismo”, ha
messo in atto una maniera di sé stesso. infatti, mentre nel primo video, dunque nei primi lavori di questo
tipo, la fissità dei personaggi era giustificata dal rapimento dei personaggi dai tablet e dagli schermi o
incantati davanti alla finestra, qui non usa un espediente di alcun genere. I personaggi sono fermi immobili
nelle inquadrature e basta.

Lunardi è comunque uno dei massimi esponenti della videoarte a sfondo di critica sociale, come nota
anche Piero Deggiovanni.

Debora Vrizzi, Ridi Bianca, 2014. Video incentrato sulla figura della nonna, quindi a metà strada tra un
video performativo e uno documentativo. Tutto parlato in dialetto friulano. I due nonni si baciano, poi si
vede solo la nonna su sfondo neutro, a cui vengono rivolte una serie di domande, come da quanto tempo
non baciava il nonno e lei ride e dice da tanto tempo, 2/3 anni, perché passavano troppo tempo a litigare.
Poi Debora chiede se le piaccia ancora il nonno e la nonna non sente quindi si fa ripetere varie volte la
domanda, alla fine si alza anche e si avvicina alla nipote per sentire meglio la domanda. Risponde che le
piace sempre il nonno, ma sono troppo separati l’uno dall’altra. Poi Debora intervista il nonno, che
conferma che erano anni che non si baciavano più, da quando hanno compiuto 55 anni di matrimonio e
spiega che è perché ormai sono anziani e non si baciano più, nonostante si piacciano ancora. Poi gli viene
chiesto se gli sia mai piaciuta un’altra donna, lui ride e risponde di sì; anche più di una. Allora Debora gli
chiede se pensa che alla nonna siano piaciuti altri uomini e lui risponde di no, doveva farsi suora in realtà.
Debora pone la stessa domanda alla nonna e lei conferma, non gli è mai piaciuto quasi nessuno.
Evidentemente come è giusto si conoscono benissimo. Inoltre, afferma che non le interessava se lui aveva
altre donne, perché credeva che le volesse bene e quindi aveva fiducia. La nonna poi è vista farsi bella con i
bigodini e a mettersi il rossetto rosso. Una cantante lirica canta una canzone mentre la camera inquadra un
cigno, che viene paragonato alla nonna, infatti la vediamo vestita di bianco, ferma al centro dell’immagine
mentre delle piume bianche le cadono intorno. Il video si conclude con una foto vecchia, forse della nonna
con degli amici. È un omaggio ai nonni. Forse il video più realistico della Vrizzi. C’è un passaggio di genere: si
passa da un’intervista, dunque da un aspetto documentativo, che poi si trasforma in un’immagine più lirica
che va a chiudere il lavoro.

Danilo Torre viene inserito Deggiovanni tra gli autori che lavorano con il found footage, ma ha produzioni
anche diverse. Per esempio, nel video Da Lingotto a Paradiso vediamo le sue riprese. Lingotto e Paradiso
sono due stazioni della metropolitana di Torino. Torre riprende questo viaggio in metropolitana dalla coda,
quindi vediamo un alternarsi di luci e ombre nello sfrecciare del treno. Può essere quasi definito un lavoro
informale del video, in quanto la velocità fa perdere l’idea della forma.

Dancing, 2014. Qui abbiamo una danza. Inquadratura molto ravvicinata di vari tipi di scarpe nell’acqua del
mare (una ballerina converse, un sandalo da uomo, una mule con tacco ecc., dunque scarpe di diverso
genere, sia da donna che da uomo). Dancing perché è una danza nell’acqua, ma è anche riferito alla
tipologia di scarpe: la maggior parte sono scarpette con tacco basso da ballo. Il video prende ispirazione alla
tragedia della Costa Concordia, dunque sono scarpe di persone in vacanza in crociera (infatti sono scarpe
estive, aperte, leggere) che si erano portate le scarpe pensando di passare una spensierata vacanza a
ballare.

Maurizio Finotto è anche un docente all’Università di Bologna. il tempo del ringraziamento, 2018. Il testo
che recita in questo video è di Emilio Clementi, frontman dei Massimo Volume. Inizia inquadrando l’uomo
in bianco e nero e il monologo inizia con dei ringraziamenti per il cappone natalizio, che subito riporta ai
piccioni, che volano e a queste parole si associano immagini video che si vedono ma non si sovrappongono
mai del tutto al volto di Finotto. Il dialogo di ringraziamenti è evidentemente una critica alla società italiana
(varie volte ricorre il tricolore). Flebilmente si ode una musica da marcia.

Silvia De Gennaro è presente nell’antologia di Deggiovanni. Essa ha realizzato una serie di Travel
notebooks, note di viaggi che ha fatto lei. Dai viaggi ha raccolto delle peculiarità, o luoghi comuni, o oggetti
o architetture che caratterizzano il luogo e lo rendono unico. Traduce visivamente il luogo. Ovviamente vi è
un sottotono di critica sociale più o meno aspra e spinta (in particolare nel caso degli Emirati Arabi, Abu
Dhabi). Es. Travel note Bilbao, 2018. Usa l’animazione per fare una specie di collage video in movimento. Vi
è una specie di gioco di flipper, per esempio il Guggenheim di Bilbao, edificio di Frank Gehry, va su e giù
dall’acqua. Ha un modo caotico di presentare gli elementi animati, uno sopra all’altro. Non è un movimento
fluido, ma un collage di elementi che si sovrappongono e alternano come in un flipper. Applica l’animazione
su frammenti fotografici e poi li sovrappone in un’impostazione collagistica, che ovviamente spazializza le
articolazioni di movimento. L’animazione qui interviene come metodo progettuale.

Gruppo di artisti che Deggiovanni raggruppa sotto il nome di “il corpo e le sue declinazioni”.

Filippo Berta. A nostra immagine e somiglianza, 2017. Performance realizzata nell’ambito della Biennale di
Salonicco, in questo caso non vediamo tutta la performance nella sua fluidità, ma un montato di essa
pensato per il video, dunque vediamo dei frammenti di essa, dei brani. Vediamo un gruppo di persone che
si tende in alto su un muro, sulle punte dei piedi, per mettere un chiodo alla parete con un martello. Cala
poi il silenzio e tutti appendono un piccolo crocifisso al chiodo appena fissato e restano a guardarlo. Berta
realizza performance più lunghe, riprese in video in cui tende poi a dare il succo delle azioni. In questo caso
sicuramente un elemento fondamentale è l’altezza: tutte le persone nella performance stanno sulle punte
dei piedi per appendere il crocifisso più in alto possibile, si tendono proprio verso l’alto. Sono persone
comunque giovani. Interessante anche il fatto che la performance sia stata realizzata a Salonicco, dove si è
a maggioranza di religione ortodossa. È significativo anche che siano tutti a piedi nudi e si alzino sulle punte,
richiamando dunque anche l’iconografia della crocifissione.

Elisabetta Di Sopra è anche una docente a Ca’ Foscari, è un’artista Friulana, di Pordenone, ma lavora a
Venezia. è un’artista che lavora principalmente con il corpo, il suo o quello di altre persone, a cui fa
compiere determinate azioni.

The Care, 2018. Aveva una proiezione a doppio canale, il video è infatti sdoppiato. Realizzato per una
mostra in cui aveva due proiezioni, una di fianco all’altra, per poi unirle in un video per poter mandare
l’opera anche ai festival. Vediamo una donna seduta su una sedia, indossare una canottiera bianca, la
vediamo prendersi cura di un neonato e di un uomo, li accarezza e li lava con un panno bianco, con grande
dolcezza, delicatezza e cura. Sono due momenti della vita: la nascita e la morte. La cura però è sempre
femminile. Elisabetta Di Sopra, infatti, è sempre molto sensibile alle dinamiche psicologiche legate al
femminile, a quelle azioni anche quotidiane e banali che la donna è chiamata a compiere in vari momenti
della vita.

Pietas, 2018. Parte di una serie di lavori che ha realizzato nel Sud Italia (Calabria) che avevano a che fare
con una residenza dell’artista. Una donna vestita di nero in un abito tradizionale nordafricani cammina in
mezzo alla natura e giunge a una spiaggia, dove trova uno stivaletto. Gli si accascia accanto. Scava nella
sabbia e trova un cappello, che stringe. Scava ancora e trova una scarpa da ginnastica, che ugualmente
stringe a sé. Stessa cosa per dei jeans. Prende tutti gli indumenti, li stringe amorevolmente e va verso
l’acqua del mare. Il discorso è legato alla pietas che nasce dal ritrovamento di tracce umane probabilmente
di migranti morti in mare. Sono piccole povere cose dei tanti morti che scompaiono nel mare.
Dario Lazzaretto, artista padovano. Humble self-portrait, 2016. Un uomo su uno sfondo neutro scuro
indossa una vecchia maschera a ossigeno collegata a una piccola fisarmonica e la suona, in modo scollegato
inizialmente, senza una vera musica. Il suono sembra molto legato al suo respiro, poi i suoni iniziano a
collegarsi meglio. Ha continuato a suonare fino a che non riusciva più ad avere più fiato. È un esperimento
per vedere per quanto tempo sarebbe riuscito a resistere. Performance di resistenza più tradizionalmente
legata alla body art del passato, reinterpretata con questo espediente della maschera con il tubo e la
fisarmonica. Piano piano che si va avanti vi è anche un rallentamento del video, che va di pari passo con la
fatica fisica dell’artista. Vera documentazione di una performance

Liuba, You are out, 2016. Realizzato a Berlino. Liuba è un’artista che vive a Milano che ha sempre realizzato
performance/azioni collettive, che poi vengono riprese e montate a creare un video. In questo caso ha fatto
un estratto di un gioco della sedia che ha realizzato in un giardino di Berlino con una serie di persone
tedesche, europee ed extracomunitarie. Il tutto a ritmo di tamburi. Vi sono anche piccole interviste alle
persone che hanno partecipato a cui viene chiesto da dove vengono. Quando una persona rimane senza
sedia, una donna lo chiama e dice “You are out”.

Giovanna Ricotta, assente dal libro di Deggiovanni. Ha sempre utilizzato questa idea dei travestimenti che
vengono assunti e diventano corpi. Lei definisce questi vestimenti “corpi performativi” e sono da lei ideati
in tutto. C’è tutta una serie di performance ha realizzato in vari musei, come il già discusso Fai la cosa giusta
al Mambo, che è una delle ultime di queste performance.

Falene, 2012. Realizzato all’ALT, Arte Lavoro Territorio, ex cementificio ristrutturato e diventato un luogo
espositivo in provincia di Bergamo. Il proprietario, un collezionista, Leggeri, però ha chiuso per difficoltà
economiche. Lo spazio industriale comunque era meraviglioso e ha ispirato questa performance. Questa
versione del video è realizzata con in sottofondo una musica dei Riga. È stato poi rimusicato in occasione di
Draft02, un evento a Matera. La Falena è una farfalla notturna, dunque vi è una trasposizione delle fasi
della falena, che esce dal bozzolo e matura. La falena matura è Giovanna Ricotta stessa, al centro. Vi è una
sorta di danza e loro sono vestite come se fossero delle marionette futuriste degli anni ’20, con degli abiti
maschili tipici del periodo delle garcons, ma con delle movenze scattose perché simulano l’idea della
marionetta. Le due più giovani usano delle aste per spogliare e dunque togliere il bozzolo alla falena più
matura al centro. Nelle sue performance, la Ricotta spesso introduce uno sport. In Fai la Cosa Giusta era
vestita da moto-geisha samurai (moto geisha perché includeva i manubri di una moto slitta). Qui, vi è l’idea
del salto con l’asta e del podio (di cristallo).

Ricotta, Non sei più Tu, Azione 2, ripresa di una performance al Mambo, 2016 nella sala delle ciminiere,
allestita con una lunghissima pedana. La performance dal vivo è durata una mezz’ora. La pedana
performativa è un lungo foglio di carta di riso di 20 m sul quale lei ha performato. Assoluto silenzio, no
musica. Lei si vestiva con degli elastici, dei paragomiti e dei paraginocchia perché deve fare un’azione in cui
queste parti del corpo sono coinvolte, riprendendo parti di un costume che aveva utilizzato anni prima in
un’altra performance, dunque vi è un collegamento tra due momenti. Qui ha solo una tutina nera, dunque
si è spogliata di tutti i passati corpi performativi, che sono tutti dentro un’urna, inclusa anche nella
performance attuale. L’urna nera, fatta fare apposta con una stampante 3D, contiene anche della polvere di
grafite, quella delle matite, che è estremamente grassa e macchia di nero. La Ricotta aprirà l’urna e prende
in entrambe le mani la polvere di grafite nera, che sparge lungo tutta la pedana, tornando al punto di
partenza. Comincerà dunque a disegnare col proprio corpo sulla carta, riprendendo alcune modalità
performative che risalgono agli anni ’50 al gruppo Gutai. Ovviamente si tratta di un momento di chiusura di
un suo percorso artistico.
Sorprendimi. Mentre lei in tutti i video, da Go Fly (2005 circa) in avanti, comincia a lavorare con un
videomaker, Corrado Ravazzini, che l’ha seguita e ha realizzato tutti i montaggi e il post-produzione insieme
a lei, che partecipa alla realizzazione del video, controllando il processo, questo è realizzato da un’altra
troupe, ingaggiata dal gallerista e dal Caffè Pedrocchi perché ha realizzato una performance live una volta
sola al Caffè Pedrocchi di Padova, nella scalinata interna del palazzo. Nella performance interpreta tre dive,
Anna Magnani, Amanda Galas e un’altra. Che il video non sia stato realizzato da Ravazzini si vede, perché la
fotografia è molto dura e anche lei è diversa, in quanto è invecchiata. Inizia con un voiceover di una scena
della Magnani mentre ci sono ancora i titoli. Ovviamente si ironizza sul ruolo della diva, giocando sulla
doppia idea di lei che si sente ormai vecchia e gioca sull’idea della diva, che scende le scale con sicurezza e
uno sguardo di superiorità. Auto-ironia.

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