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Domande aperte pedagogia dell'intervento educativo speciale

Pedagogia dell'intervento educativo speciale (Università telematica e-Campus)

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Domande aperte

Pedagogia dell’intervento educativo speciale

Lez 2

06. Perché parliamo di libertà di scelta nel definire le caratteristiche del principale obiettivo di lavoro in
ambito di Pedagogia Speciale?

Amarthia Sen nel suo libro ‘La diseguaglianza’ nel 1992 connette l’idea di scelta ad una delle condizioni
fondamentali all’interno della quale un essere umano possa dirsi realmente tale, cioè la libertà. La libertà di
scelta che è alla base di ogni democrazia. Afferma Sen che l’idea di scelta controfattuale – quel che si
sarebbe scelto avendone la possibilità – è rilevante per la propria libertà; se le persone desiderano una vita
senza la fame o la malaria, l’eliminazione di queste afflizioni tramite politiche pubbliche effettivamente
accresce la loro libertà di scegliere di vivere come desiderano.” Rapportato ad un soggetto con disabilità
possiamo dire che, in questa condizione, una persona non può scegliere di non avere una disabilità, ma se
aiutata, può scegliere come vivere. Liberta di scelta rispetto alla propria vita che diventa il nostro obiettivo
principale. Questa possibilità di scelta, questa libertà nella scelta dev essere sostenuta dalle istituzioni
sociali ed educative attraverso modifiche ambientali, attraverso analisi ambientali, attraverso noi, quale
strumento di lavoro educativo, attraverso delle strategie educative efficaci. Le istituzioni sociali ed
educative ben strutturate e la costruzione di reti comunitari devono favorire i processi per un ambiente di
vita che faccia meno richieste di elevato funzionamento e che abbassi di conseguenza il livello minimo di
capacità richiesta affinché una persona con un bisogno educativo speciale si senta come parte integrante e
valida della società.

07. Definisca l'oggetto di studio della pedagogia speciale.

La pedagogia speciale è un ambito di ricerca della pedagogia che ha come oggetto l’educabilità degli
individui non solo disabili, ma con bisogni educativi specifici. Ovviamente condivide con la Pedagogia i suoi
presupposti ossia l’educazione ma deve definire strategie specifiche rispetto agli obiettivi speciali che deve
affrontare. Obiettivi speciali che dipendono dalla condizione della persona con cui si lavora ma dipendono
anche dal momento storico in cui ci si trova. Per Canevaro la Pedagogia Speciale è un divenire, ha compiti
esplorativi, deve dare risposte a bisogni che a volte sono già conosciuti e a volte sono da individuare e deve,
nello stesso tempo, cercare di rendere ordinarie le attenzioni speciali. Questo dovrebbe essere facilitato
dalla prospettiva dell’integrazione. Ad oggi proprio rispetto al periodo storico in cui ci troviamo non si parla
più di integrazione ma di inclusione come concetto evoluto di quello che era una volta l’integrazione

08. Definisca i legami e le connessioni tra Pedagogia e Psicologia, quali discipline parallele ma con numerosi
punti in comune.

Lez 3

07. Quali sono i principali contributi nello studio dell'apprendimento in ambito comportamentista?

Questa corrente di studi ha alla base una concezione associazionista e di conseguenza intende
l’apprendimento come associazione stimolo-risposta: il soggetto è considerato soltanto nei suoi
comportamenti osservabili e la mente è concepita come reattiva agli stimoli dell’ambiente. Il
comportamentismo si configura come scuola della psicologia nata dall'osservazione del comportamento
degli animali. Di seguito passiamo in rassegna i principali contributi nel campo

Ivan Pavlov. Pervenne alla scoperta che il funzionamento delle ghiandole salivari in animali da esperimento
(cani) era eccitato non solo dalla ingestione del cibo (stimolo incondizionato o assoluto) ma anche da altre
circostanze ad esso connesse, come ad esempio il suono di un campanello o l’accensione di una luce o

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anche la comparsa in sala degli assistenti (stimolo condizionato). In tal senso, si insinuava nei
comportamenti “innati” e stereotipati una possibilità nuova, quella dei comportamenti “appresi”.

Burrhus Frederic Skinner. Secondo lo studioso, insomma, tra R (risposta) e S (stimolo) vi sono altri fattori
che vanno individuati e attentamente descritti, chiamati “variabili intermediarie” o “interferenti” o
“intervenienti”, cioè elementi che, introducendosi in modo variabile nel rapporto tra S e R, producono
modificazioni in una direzione, piuttosto che in un’altra nel comportamento di risposta del soggetto. La sua
teoria si esprime nello schema Stimolo -Fattori interni /soggettivi - Risposta e non più Stimolo -Rinforzo e
viene chiamata “teoria del rinforzo”, in quanto le variabili intermediarie rafforzano o rinforzano un certo
tipo di risposta.

John Locke. Lo studioso afferma come tutto ciò che è nell’intelletto non può esserci senza passare per i
sensi. Di consegenza Locke nega che possano esistere idee innate. Tutto quello che ritroviamo nella nostra
mente deriva dall'esperienza e non esistono idee che si riscontrino nella conoscenza senza un'origine
empirica di esse.

Edward L. Thorndike. Nel suo più famoso esperimento Thorndike osserva il comportamento di un gatto
affamato rinchiuso all’interno di una gabbia, al di fuori della quale viene posto il cibo. L’animale, dopo
diversi tentativi, impara correttamente ad azionare il meccanismo che consente di aprire la gabbia ed
ottenere il cibo. Le successive ripetizioni dell’esperimento evidenziano che il gatto impiega sempre meno
tempo a trovare la soluzione giusta per aprire la gabbia. Lo studioso americano ne deduce che
l’apprendimento si verifica gradualmente, attraverso una serie di “tentativi ed errori”, che porta al
consolidamento delle reazioni dell’organismo che sono state ricompensate (legge dell’effetto). Il legame
associativo tra Stimolo e Risposta è stabilito e fissato non tanto dall’esercizio, quanto dall’effetto che ne
consegue (l’apprendimento non è frutto dell’esercizio). Dagli studi di Thorndike derivano importanti
riflessioni per l’apprendimento - per apprendere non basta l’esercizio, occorre anche il successo (la
gratificazione); - il tentativo a vuoto, cioè l’errore, poiché non produce apprendimento, ha una funzione
educativa accessoria; - un premio e un incoraggiamento possono aiutare nello apprendimento, una
punizione diversamente non aiuta; - ogni apprendimento è una successione di atti associativi, che il
soggetto ricompone in modo utile alla soluzione di un problema.

08. Definisca l'apprendimento e i suoi processi.

L’apprendimento non può essere considerato un fatto puramente individualistico, ma è un processo


intersoggettivo nel quale un soggetto (con funzione educativa/formativa): favorisce in un secondo soggetto
(educando/alunno/ etc..) la costruzione delle strutture cognitive; fa scoprire la progressiva possibilità di
aggregare i quadri concettuali ricavati dall’esperienza all’interno di repertori via via più formali, che
permettono, poi, a ciascun allievo di apprendere. A partire da diversi studi possiamo identificare delle
costanti nel processo di apprendimento, all'interno del quale subentrano tre ampie categorie di variabili: 
fattori esterni, cioè gli stimoli che costituiscono la variabile S;  fattori interni, soggettivi, caratteristici
dell’organismo che apprende, che costituiscono la variabile O;  risposte date dall’organismo all’azione
degli stimoli: variabile R, costituita dal modo di agire e di reagire dell’individuo alla situazione esterna. Il
considerare prevalente una variabile piuttosto che un’altra è all’origine delle diverse teorie
dell’apprendimento. Potremo di conseguenza raggruppare i principali studi relativi al'apprendimento in 2
principali approcci, dai quali se ne derivano diverse pratiche:  Approccio comportamentista  Approccio
cognitivista

09. Quali sono i principali contributi nello studio dell'apprendimento in ambito cognitivista?

L’approccio cognitivista sposta l’attenzione dal concetto di associazione a quello di soggetto attivo
nell’elaborazione della realtà circostante, dando, pertanto, maggior rilievo ai processi interni di
elaborazione e rappresentazione.

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Jean Piaget. Per J. Piaget l’acquisizione di conoscenze procede per riorganizzazione continua di conoscenze
anteriori, quando elementi nuovi si vengono ad aggiungere a questi. Il comportamento del soggetto è il
prodotto di un “equilibrio” tra l’ambiente e le sue strutture organiche. Analizzando la fenomenologia di
questo equilibrio, Piaget ha inteso il meccanismo della funzionalità biologica come un processo di
adattamento per assimilazione e accomodamento. L’assimilazione è l’integrazione dei dati dell’esperienza
in strutture preesistenti, senza che queste vengano modificate. L’accomodamento è la modificazione di
quegli schemi in base a dati nuovi. Il concetto fondamentale della sua teoria è l’operazione, un
procedimento mentale la cui caratteristica principale è la reversibilità per accedere a diverse classi di
operazioni (per le quali utilizza i meccanismi di assimilazione e accomodamento). Lo sviluppo
dell’intelligenza si attua attraverso una determinata sequenza di 4 fasi, fisse ed universali 1. Fase senso-
motoria (0/2 anni) L’intelligenza nella fase senso-motoria è legata alle azioni, al loro coordinamento nel
tempo e nello spazio e all’uso di strumenti per impadronirsi di oggetti; l’azione viene diretta verso uno
scopo 2. Fase pre-operatoria (2/7 anni) Specie nella prima fase prevale il pensiero egocentrico,
accompagnato da animismo (tutti gli oggetti sono animati), artificialismo (il bambino tende a confondere la
causalità naturale con la fabbricazione da parte degli uomini) e finalismo (il bambino attribuisce ad ogni
attività naturale una morale). Il bambino attraverso il linguaggio diventa capace di ricostruire le azioni
passate sotto forma di racconto e di anticipare quelle future con la rappresentazione verbale. Il bambino,
altresì, comincia a unire gli oggetti in insiemi e sottoinsiemi, secondo criteri di classificazione, come forma,
grandezza e colore. 3. Fase delle operazioni concrete (7/12 anni) Di importanza centrale in questa fase è
l’acquisizione dei concetti di sostanza, peso e volume. Le più importanti conquiste sono identificabili nella
direzione della conquista della capacità di conservazione della quantità. Il bambino apprende che una
quantità di liquido versata in un recipiente stretto e lungo e in uno largo e basso, o la quantità di materia
contenuta in un pezzo di plastilina in forma allungata o arrotondata, rimane la stessa. 4. Fase delle
operazioni formali (da 12 anni in poi) Il pensiero acquista autonomia rispetto al dato concreto: il bambino
riesce a compiere operazioni senza ricorrere ad una situazione concreta. Le operazioni logiche cominciano a
venire trasposte dal piano della manipolazione concreta al piano delle idee pure espresse in un linguaggio
(il linguaggio delle parole o quello dei simboli matematici), ma senza l’appoggio della percezione,
dell’esperienza. Il pensiero formale è, quindi, ipotetico-deduttivo: è il pensiero capace di trarre conclusioni
da pure ipotesi e non soltanto da un’osservazione concreta.

Jerome Bruner. Lo sviluppo delle capacità cognitive di rielaborazione delle esperienze avviene attraverso la
costruzione da parte del soggetto di modi via via più complessi ed elaborati di “rappresentazione delle
esperienze e di organizzazione del pensiero” (strutturalismo) Le discipline non sono summae di contenuti
conoscitivi, ma modi di indagare la realtà. Ogni disciplina è caratterizzata da idee fondamentali: strutture
che consentono di concettualizzare ed organizzare l’esperienza. La scuola deve guidare alla
concettualizzazione dell’esperienza attraverso l’acquisizione delle strutture concettuali delle discipline. La
didattica non guarda ai contenuti ma alle strutture del pensiero, alle capacità operatorie del soggetto che
apprende.

Lev Semenovic Vygotskij. Parte dalla considerazione che alla base della storia umana c’è la modificazione
della natura da parte dell’uomo che ha trasformato la realtà naturale in realtà culturale attraverso la
costruzione di “mediatori culturali” (primo fra tutti il linguaggio). Il linguaggio, dapprima, ha origine come
mezzo di comunicazione fra il bambino e le persone che lo circondano; più tardi il linguaggio si trasforma in
pensiero, in funzione mentale. Evidenzia il rapporto tra apprendimento e sviluppo: non è lo sviluppo che
consente l’apprendimento, ma è l’apprendimento che produce lo sviluppo. Vygotskij chiarisce il modo in cui
l’apprendimento produce lo sviluppo con il concetto di “zona di sviluppo prossimale”, area delle
potenzialità prossime ad esprimersi ma non ancora capaci di trovare attuazione senza aiuto: tali
potenzialità si esprimeranno pienamente in presenza di condizioni necessarie e favorevoli al loro
“esplodere”.

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Lez 4

04. Definisca il ruolo che ha la motivazione in un processo di apprendimento.

La motivazione è l'espressione dei motivi che inducono un individuo a compiere o tendere verso una
determinata azione. Da un punto di vista psicologico può essere definita come l'insieme dei fattori dinamici
aventi una data origine che spingono il comportamento di un individuo verso una data meta; secondo
questa concezione, ogni atto che viene compiuto senza motivazioni rischia di fallire. Secondo Carl Rogers in
ogni essere umano esiste una naturale capacità di apprendere. L’apprendimento è un processo che si
realizza quando l’alunno sperimenta la proposta didattica come significativa per i suoi fini e produce un
cambiamento della propria esperienza. Le ricerche condotte da Rogers ed i suoi collaboratori evidenziano
come un clima facilitante sia in grado di produrre l’evoluzione del processo di sviluppo e di maturazione di
soggetti o gruppi coinvolti in relazioni di aiuto. Relazioni in cui uno dei partecipanti è “di aiuto” all’altro nel
promuovere la crescita personale ed una migliore capacità di affrontare la vita. In ogni tipo di
apprendimento svolgono un ruolo importante: 1 la motivazione e la partecipazione di chi è educato ; 2
l’interesse che i genitori e gli educatori riescono a stimolare; 3 la modalità di interazione; 4 il metodo e le
competenze di chi educa.

05. Perché oggi è possibile parlare di intelligenze e non solo di intelligenza?

Howard Gardner ha elaborato una recente teoria pluralistica dell’intelligenza in relazione ad un Progetto
realizzato insieme ad altri studiosi di Harvard per sostenere interventi su larga scala destinati all’educazione
di bambini disabili o svantaggiati. Sulla base di tali studi Gardner ha fondato la sua teoria. Risulta
interessante mettere in evidenza che le sue fonti di dati di ricerca sono particolarmente varie: studi di
bambini “prodigio”, di pazienti con lesioni cerebrali (idiots savants), di bambini e adulti “normodotati”, si
soggetti appartenenti a diverse culture e di “esperti” in diversi campi. Gardner è così arrivato a distinguere
le seguenti sette forme di intelligenza: 1. linguistica; 2. musicale; 3. logico-matematica; 4. spaziale; 5.
corporea cinestetica; 6. personale (capacità di essere autonomi, riconoscere e gestire le proprie emozioni e
sentimenti); 7. interpersonale (saper gestire i rapporti con gli altri); alle quali ha recentemente aggiunto
altre due forme di intelligenza: 8. naturalistica; 9. esistenziale. Ciascuna di queste forme di intelligenza
viene esaminata nelle sue basi biologiche cerebrali, nelle sue variazioni culturali e nei suoi disturbi
patologici. Questa teoria ha il pregio di offrire delle indicazioni utili per lo sviluppo delle potenzialità umane.
Dal punto di vista educativo e didattico il contributo di Gardner rappresenta un nuovo orizzonte teorico che
mette in evidenza quanto sia inadeguato e improprio dedurre le abilità generali di un alunno facendo
riferimento solo ad una particolare disciplina, oppure affermare, per esempio, che l’alunno X ha scarse
abilità logiche, solo perché non riesce a risolvere un particolare tipo di problema logicomatematico, oppure
generalizzare le scarse abilità per esempio “spaziali” di un alunno Z senza valorizzarne le sue eventuali
abilità linguistiche o musicali. In sintesi, secondo il pensiero di Gardner: - Le intelligenze sono “gruppi di
abilità mentali” - Lo sviluppo dell’intelligenza dipende dal costituirsi in ogni intelligenza di un dispositivo di
elaborazione delle informazioni e dal flusso degli stimoli dell’ambiente - L’essere umano è un insieme di
intelligenze, unico e irripetibile, modellato dall’azione combinata delle determinazioni biologiche e di quelle
socio-culturali.

06. Quali ricadute ha la teoria delle intelligenze multiple sulle pratiche educative e didattiche?

Dal punto di vista educativo e didattico il contributo di Gardner rappresenta un nuovo orizzonte teorico che
mette in evidenza quanto sia inadeguato e improprio dedurre le abilità generali di un alunno facendo
riferimento solo ad una particolare disciplina, oppure affermare, per esempio, che l’alunno X ha scarse
abilità logiche, solo perché non riesce a risolvere un particolare tipo di problema logicomatematico, oppure
generalizzare le scarse abilità per esempio “spaziali” di un alunno Z senza valorizzarne le sue eventuali
abilità linguistiche o musicali. In sintesi, secondo il pensiero di Gardner: - Le intelligenze sono “gruppi di
abilità mentali” - Lo sviluppo dell’intelligenza dipende dal costituirsi in ogni intelligenza di un dispositivo di

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elaborazione delle informazioni e dal flusso degli stimoli dell’ambiente - L’essere umano è un insieme di
intelligenze, unico e irripetibile, modellato dall’azione combinata delle determinazioni biologiche e di quelle
socio-culturali.

Lez 6

07. Definisca lo sviluppo tipico e atipico in età evolutiva.

Lo sviluppo è un processo che avviene lungo tutta la vita, in un flusso incessante dove le esperienze del
passato si legano a quelle del presente. Nel soggetto in età evolutiva possiamo parlare di: - sviluppo tipico:
quello sviluppo che procede senza alterazioni, in modo lineare e continu, è può essere confrontato con altri
percorsi d sviluppo, ed è fatto di cambiamenti. - sviluppo atipico: è quello legato alla presenza di una
compromissione evolutiva che altera il percorso evolutivo, si ha la presenza di una patologia cronica,
congenita o acquisita ad es: malattie, disabilità. Tali soggetti sono caratterizzati dai bisogni evolutivi speciali
determinati dal rapporto tra il percorso evolutivo individuale e la compromissione evolutiva. si tratta d
bisogni affettivi, emotivi e sociali.

08. Quali sono i diversi tipi di interventi, clinici o riabilitativi, secondo il modello medico?

Il riferimento per definire i tipi di intervento è il modello medico: una patologia o una condizione anomala
creano una sofferenza o altri tipi di problemi, e lo psicologo, una volta definito il problema con una
procedura diagnostica, è chiamato a intervenire in termini preventivi, curativi o riabilitativi. Secondo la
terminologia medica, questi tipi di intervento sono definiti nei seguenti modi. - Intervento preventivo: viene
distinto in diversi tipi, prevenzione primaria, secondaria, e addirittura terziaria che peraltro coincide con la
riabilitazione. La prevenzione primaria è un tipo di intervento che si propone di proteggere i soggetti sani,
annullando o riducendo il rischio di malattia. La prevenzione secondaria è il tipo di intervento che agisce su
un processo patogeno già in atto, in cui i soggetti sono stati colpiti da un danno, che però non è ancora
manifesto a livello clinico. - Intervento terapeutico (o clinico): un soggetto affetto da una malattia
clinicamente evidente verrà trattato in modo da eliminare la causa di malattia oppure bloccarne l'effetto,
attenuare il processo patologico e/o i suoi sintomi e limitare il danno da esso derivante. - Intervento
riabilitativo o abilitativo: si effettua sulle situazioni in cui la malattia ha danneggiato il soggetto, sia in
seguito a una decorso acuto, sia durante un decorso cronico. L'intervento volto a massimizzare il recupero
delle autonomie e dei livelli di funzionamento premorbosi viene definito intervento riabilitativo (o anche
prevenzione dell'invalidità, vale a dire prevenzione terziaria). Laddove non si possa parlare di malattia in
senso stretto, bensì il soggetto si trova in una condizione atipica statica, un intervento avente lo scopo di
massimizzare il livello di funzionamento e di autonomia del soggetto viene definito abilitativo. In senso
stretto, infatti, non si può mirare a ristabilire un livello di funzionamento che il soggetto non ha mai
mostrato. Si può invece, agendo sulle abitudini di vita e sulle caratteristiche dell'ambiente, modificare i
parametri rilevanti per il livello di abilità/inabilità del soggetto.

09. Perché risulta fondamentale la diagnosi allo scopo di effettuare un corretto intervento clinico e/o
riabilitativo?

Il processo diagnostico in età evolutiva deve essere articolato al fine di formulare in modo dinamico,
integrato e flessibile. Con diagnosi differenziale possiamo definire quell'operazione specifica della
valutazione clinica che consente di ridurre il numero di ipotesi diagnostiche sulla base di criteri espliciti di
scelta. Si può quindi intendere come quel procedimento che tende ad escludere fra varie manifestazioni
simili in un dato soggetto quelle che non comprendono l'insieme di sintomi e segni che si sono riscontrati
durante gli esami, fino a comprendere quale sia quella corretta. Una diagnosi funzionale o profilo di
sviluppo, costituisce il profilo dell’organizzazione delle diverse linee di sviluppo delle competenze e che
descrive la tipologia del disturbo attraverso l’analisi dei rallentamenti e delle atipie; nella diagnosi
funzionale si raccolgono dati di tipo clinico-medico, familiare, sociale e si cerca di determinare il livello di

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funzionalità e di sviluppo del soggetto in diverse aree di base (Cognitiva, AffettivoRelazionale, Linguistica,
Sensoriale, Motorio-Prassica, Neuropsicologica, Autonomia Personale). Una diagnosi psicopatologica che
descrive i vissuti soggettivi tramite il profilo oggettivo, descrive la progressiva trasformazione della
personalità come esito dell’adattamento dinamico e continuo con l’ambiente affettivo circostante.

Lez 7

06. Definisca la Progettazione e le sue fasi.

Per definire la progettazione educativa possiamo partire da due definizioni quella di obiettivi ossia i
"risultati desiderati" che un individuo o un'organizzazione vogliono perseguire mediante l'applicazione di
azioni o di un progetto in un tempo predefinito; e quella di Educativo, con il termine Educazione definiamo
Il processo attraverso il quale vengono trasmessi ai bambini, o comunque a persone in via di crescita o
suscettibili di modifiche nei comportamenti intellettuali e pratici, gli abiti culturali di un gruppo più o meno
ampio della società. L’opera educativa è svolta da tutti gli stimoli significativi che raggiungono l’individuo,
ma, in modo deliberato e organizzato, da istituti sociali naturali (ad esempio la famiglia), e da istituti
appositamente creati (ad esempio scuole, centri educativi). La riflessione sui problemi e i fenomeni
educativi prende il nome di pedagogia. La Progettazione è: un azione intenzionale del nostro agire
educativo; un’azione prioritaria su cui innestare il processo di cambiamento; una competenza specifica del
lavorare sul campo. Per poter progettare dobbiamo rilevare informazioni come: La storia dell’utente; I
limiti e gli eventuali deficit; Le capacità relazionali ed emotive dell'utente; I bisogni e le aspettative; Il
contesto in cui vive: famiglia, etc; Le reali potenzialità. Le fasi della progettazione. 1) la presa in carico 
Presenza di un Ente che segnala un bisogno specifico (accoglienza in comunità, supporto nel tempo libero,
etc.)  Formalizzazione della richiesta  Definizione delle responsabilità (chi fa che cosa, chi è responsabile
ultimo del progetto, etc.)  Definizione dei tempi di durata del progetto  Definizione delle modalità di
verifica. 2) l’osservazione  Che cosa osservare: quali ambiti (relazionale, affettivo, cognitivo, motorio, etc.)
 Quale strumento si utilizza per sistematizzare le informazioni  Chi è il riferimento dell’osservazione 
Quali sono i tempi per l’osservazione. 3) la prima progettazione  L’equipe si ritrova per definire nel
dettaglio una prima progettazione, definendo chiaramente gli obiettivi  Si procede con l'adattamento dello
strumento di monitoraggio e verifica  Definizione dei tempi.4) il monitoraggio  Definire quali Indicatori di
monitoraggio: definizione a partire dagli obiettivi della prima progettazione  Quali ambiti monitorare:
l’efficienza del progetto, l’efficacia, la soddisfazione  Definizione dei tempi e delle modalità di
monitoraggio. 5) la Valutazione  Definire l’oggetto della valutazione: cosa valutare  Valutare la qualità
della progettazione sia dal punto di vista della persona e sia da quello del servizio  Valutare sia l'esito del
lavoro educativo sia il processo che ha permesso di raggiungere (o meno) gli obiettivi prefissati.

07. Definisca quali possono essere i principali contesti dove poter impostare un progetto educativo
speciale.

Il contesto, scolastico ed extra-scolastico Definizione Il contesto Scolastico si caratterizza per attività che si
svolgono in un ambiente formale e strutturato. Il contesto Extras-scolastico invece può caratterizzarsi anche
come ambiente informale che può essere legato al territorio. Aspetti operativi Contesto Scolastico: diverse
figure professionale, attività strutturate/standardizzate, punta all'istruzione e alla didattica come obiettivo
primario. Contesto Extra-scolastico: attività flessibili, figure professionali diverse (educatori, consulenti,
volontari, etc.) punta all’educazione come obiettivo primario. Aspetti critici Contesto Scolastico: mancata
personalizzazione dei percorsi e grossa difficoltà nelle possibilità di lavorare in rete con altri Servizi.
Contesto Extra-Scolastico: mancanza di una professionalità specifica, rispetto alla specificità richiesta dagli
interventi; mancanza di una valorizzazione economica delle risorse per progetti a lungo termine. In sintesi Il
lavoro in un contesto extra-scolastico si pone obiettivi diversi che la scuola (es. la didattica). E’ più indefinito
e molto meno strutturato rispetto al mondo scuola. Va ad inserirsi in un livello specifico della vita di una
persona (generalmente il tempo libero o il tempo di lavoro). Nel contesto extra-scolatico operano diverse

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tipologie di professionisti (servizi, sociali, educatori, animatori, volontari, etc.), mentre nella scuola le figure
professionali sono ridotte (docenti, educatori).

08. Cosa si intende quando si sottolinea l'importanza che l'intervento sia personalizzato?

Personalizzare l'intervento significa Adattare, modellare un intervento sulla base delle caratteristiche,
risorse e limiti del soggetto nell'ambiente di riferimento. Per pioter far ciò è necessario osservare il soggetto
nei contesti di vita; conoscere il soggetto anche tramite lettura della documentazione pregressa e delle
valutazioni effettuate; individuare e valutare i bisogni e le possibilità del soggetto; tenere in considerazione
il continuo cambiamento (specialmente nel caso dell'età evolutiva). Personalizzare l'intervento ha
l’obiettivo di facilitare l’inclusione della persona all’interno del contesto e di valorizzare le differenze. Quale
ruolo ha il professionista della progettazione personalizzata  Ordinare tutte le informazioni sul caso 
Definire e strutturare gli strumenti più adatti per impostare la valutazione sul caso e per progettare  Far
emergere i bisogni reali della persona  Attrezzarsi di una capacità organizzativa che permetta di definire
nel dettaglio sia contenuti che procedure. Potrebbero esserci delle criticità nella personalizzazione di un
intervento date da: Mancanza di risorse; difficoltà di integrare i diversi approcci professionale; difficoltà del
rimanere obiettivi nelle osservazioni e nelle valutazioni.

Lez 9

05. Definisca il concetto di salute.

L’OMS ritenne che la salute fosse uno stato di funzionamento umano che coinvolge l’intera persona nel suo
ambiente. Questa visione fu rafforzata nel 1986 dalla Carta di Ottawa per la Promozione della Salute, la
quale enfatizzò che benché questa fosse una caratteristica della persona, la promozione ed il
raggiungimento della salute coinvolge necessariamente l’intera esperienza della persona ed il suo
ambiente. Dalla Carta di Ottawa per la Promozione della Salute, 1986 si riporta come «La promozione della
salute è il processo di permettere alle persone di aumentare il controllo e migliorare la propria salute. Per
raggiungere uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, una persona o un gruppo deve poter
identificare e realizzare aspirazioni, soddisfare bisogni, cambiare o far fronte all’ambiente. La salute,
pertanto, è vista come una risorsa per la vita di tutti i giorni, non un obiettivo di vita. La salute è un concetto
positivo che enfatizza le risorse personali e sociali, così come le capacità fisiche. Pertanto, la promozione
della salute non è solo responsabilità dei settori sanitari, ma va al di là degli stili di vita salutari, verso il
benessere. Vi sono tre aspetti molto importanti del concetto di salute che quindi possiamo evidenziare: 1.
La salute non riguarda alcune parti di una persona (nelle sue parti anatomiche) ma è uno stato di piena
forma dell’intera persona 2. La salute è essenzialmente legata al funzionamento umano a tutti i livelli –
biologico, personale e sociale 3. La salute non può essere staccata dal completo contesto o ambiente in cui
la persona vive. La salute «colpisce» l’ambiente e l’ambiente colpisce la salute. Quindi la SALUTE riguarda
l’Intera persona, l’Assenza di malattia, disturbi o lesioni e... tutte le dimensioni del funzionamento umano:
fisico, psicologico, personale, familiare e sociale e l’Ambiente

06. Definisca il concetto di disabilità.

Innanzitutto, ciascuno di noi può aver avuto o avere alcune difficoltà di funzionamento in alcune aree:
ascoltare, vedere, muoversi e pensare.. Secondariamente, a causa di queste difficoltà, ciascuno di noi può
essere limitato in qualche maniera nello svolgere attività normali: ascoltare la musica, guardare la TV, fare
una lunga passeggiata e così via. La possibili limitazioni nel funzionamento potrebbero limitare i tipi di
lavoro che una persona potrebbe fare, o le relazioni che potrebbe avere con altre persone, o le attività
sociali a cui potrebbe partecipare. Quindi: la disabilità sembra aver a che fare con molte cose differenti e
coinvolge differenti dimensioni della vita umana. Una domanda come “cos’è davvero la disabilità” in genere
richiede che il ricercatore guardi ad un modello concettuale o paradigma più completo. Analizzando il
termine «disabilità» possiamo affermare come: - il prefisso latino “dis” implica qualcosa di negativo sia in

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quantità che in qualità; considerato che il relativo prefisso greco “dys” è qualcosa di più neutrale che
implica (specialmente in termini medici) una deviazione da una norma stabilita in cui ciò che è “normale”
potrebbe essere semplicemente comune da punto di vista statistico. In Italiano, ed in molte altre lingue
latine, la Y andò perduta e così ora non possiamo essere realmente sicuri se dis-abilità si riferisca ad uno
stato negativo, o semplicemente ad uno non comune o anormale. Nella maggior parte degli usi in molte
lingue, “disabilità” tende a significare la mancanza di un’abilità o capacità, in un modo che svantaggia una
persona in qualche maniera. Allo stesso tempo, i ricercatori hanno notato che “disabilità” unisce due idee
molto differenti: l’idea di una difficoltà funzionale o una differenza da una parte, e l’idea di uno svantaggio
dall’altra. Modelli di disabilità, come vedremo successivamente, hanno cercato di separare queste nozioni.

Lez 10

05. Definisca come la Convenzione ONU ha recepito il concetto di disabilità.

L’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) ha una lunga storia di riconoscimento dei diritti umani delle
persone con disabilità entro dichiarazioni e convenzioni normative internazionale. A partire dal 1970, le
Nazioni Unite ha promulgato dichiarazioni per proteggere gli interessi di persone con disabilità mentali e
fisiche. Queste dichiarazioni riflettono il focus del modello medico e della cura riabilitativa. Ma nel 1982,
l’ONU ha mosso per un approccio dei diritti umani che tende alla “equalizzazione delle opportunità”, che
rifletta la preoccupazione del modello sociale a riguardo della discriminazione sociale e dell’accesso a tutte
le aree della vita umana: lavoro, istruzione, abitazione, trasporti, vita sociale e culturale, sport e ricreazione,
associazioni religiose e di comunità. La CONVENZIONE ONU SUI DIRITTI DELLE PERSONE CON DISABILITA’
Non contiene una definizione di disabilità, ma di persona con disabilità: tra le persone con disabilità
figurano quelle che hanno un danno fisico, mentale, intellettuale o sensoriale a lungo termine che, in
alterazione con varie barriere, possono ostacolare la piena e affettiva partecipazione alla società su base
paritaria rispetto ad altri. Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (ONU, 1948) è stato la prima
dichiarazione moderna dei diritti umani che ha insistito sul fatto che tutte le persone possiedono pari
dignità e diritti di base, a prescindere della loro etnia, genere, religione o altre differenze

06. Definisca le modalità secondo le quali gli Stati membri della Comunità Europea, dal 1996, devono
rispondere nei termini delle politiche per la disabilità.

“La Commissione ritiene che sia essenziale per la Comunità Europea chiarire e confermare la sua generale
strategia sulla disabilità, il cuore della quale dovrebbe essere un impegno condiviso, da parte di tutti gli
Stati Membri, la promozione delle pari opportunità, l’eliminazione della discriminazione in questi ambiti ed
il riconoscimento dei diritti delle persone con disabilità. AGLI STATI MEMBRI viene dunque chiesto: di
considerare se le politiche nazionali rilevanti prendono in considerazione i seguenti orientamenti: •
sostegno alle persone con disabilità per la partecipazione sociale • confluenza della prospettiva sulla
disabilità entro i settori rilevanti della formulazione politica; • permettere alle persone con disabilità di
partecipare pienamente nella società mediante la rimozione delle barriere • abituare l’opinione pubblica ad
essere ricettiva riguardo alle abilità delle persone con disabilità, mediante strategie basate sulla parità delle
opportunità • di promuovere il coinvolgimento dei rappresentanti delle persone con disabilità
nell’implementazione e nel follow-up delle politiche e delle azioni che sono rilevanti ed a loro favore.

Inoltre possiamo affermare che la relazione fra disabilità e “normalità” sta subendo una rivoluzione,
sollecitata prevalentamente dalle persone disabili stesse. A questo riguardo, viene riconosciuto sempre più
che la diversità umana dovrebbe essere abbracciata come un fenomeno che è naturale e che è inoltre di
beneficio alla società umana.

Lez 11

05. Definisca il modello medico di disabilità.

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La disabilità concerne anormalità fisiologiche e psicologiche (causate da malattie, disturbi o lesioni) che
necessitano di trattamento medico. Il modello medico (o biologico) di disabilità è stato a lungo
predominante, in quanto è per certi aspetti più vicino al nostro modo di vedere la disabilità. Comunemente
pensiamo che una persona ha una disabilità quando c’è “qualcosa di sbagliato” con il loro corpo o mente. Il
modello medico può essere considerato una versione più sofisticata di questa idea comune: le disabilità
sono deficit o anormalità fisiologiche o psicologiche che emergono direttamente da qualche stato di salute
avverso, come una malattia, un disturbo o una lesione. La disabilità, per così dire, risiede nella persona,
benchè abbia un effetto su come la persona viva nel suo mondo, sulle cose che può fare e sui ruoli sociali
che può ricoprire. Poiché le disabilità sono fondamentalmente caratteristiche di una persona, l’unica
risposta appropriata va a colpire o cambia direttamente il corpo e la mente della persona. Interventi medici
e fisio-terapeutici cercano di correggere i deficit nel corpo, sia curando la condizione di salute alla base, sia
modificando funzionamento della persona in modo che funzioni più normalmente.

06. Definisca il modello sociale di disabilità

La disabilità concerne gli svantaggi causati dall’ambiente fisico e sociale che restringe le vite delle persone
con problemi di funzionamento. In parte come reazione al modello medico della disabilità, molti ricercatori
ed avvocati dei diritti dei disabili, a partire dalla seconda guerra mondiale, hanno sostenuto che ciò che sta
alla base della disabilità non fosse un’anormalità, ma il modo in cui la società tratta le persone con
un’anormalità. Coloro che propongono il modello sociale non negano che le persone con disabilità
presentino differenze e difficoltà fisiche o psicologiche, ma queste sono menomazioni, non disabilità. Le
disabilità sono svantaggi che le persone con disabilità esperiscono – dallo stigma e pregiudizio, alle
restrizioni nelle opportunità scolastiche e lavorative – causate non dalla menomazione ma dall’ambiente
fisico e sociale stesso. Il modello sociale è emerso la prima volta dopo la prima guerra mondiale, quando i
veterani disabili di ritorno insistettero sui cambiamenti delle leggi per permettergli di tornare ad una vita di
società nonostante le loro lesioni. I veterani domandarono un accesso garantito alla riabilitazione come
diritto umano.

Lez 12

04. Definisca le possibili problematiche emergenti da una presa in carico secondo un approccio
esclusivamente medico.

Possibili problematiche a seguito dell’approccio esclusivamente. Soluzioni unicamente di tipo medico non
sono sempre sufficienti. Vi sono molti problemi che queste persone potrebbero esperire nelle loro vite che
sono causate non dalle loro menomazioni, ma dalle caratteristiche dell’ambiente in cui vivono. Per questi
aspetti della disabilità, l’intervento medico non aiuta. Il bambino non può partecipare al programma scout
poiché la sede centrale non ha scale adattate per persone con disabilità motoria. La persona con sordità
potrebbe esperire stigmatizzazione e mancanza di empatia da parte dei commessi che non conoscono il suo
modo di comunicare. La ragazza con angioma è ancora esclusa dalla compagnia dei suoi “amici”.

05. Definisca le possibili problematiche emergenti da una presa in carico secondo un approccio
esclusivamente sociale.

Il più importante problema della prospettiva sociale, invece, è che richiede di effettuare dei cambiamenti
nel mondo molto grandi e solitamente troppo costosi. Anche quando la questione consiste nel fornire alla
persona un dispositivo di aiuto, o effettuare delle modificazioni relativamente piccole o accomodare i
bisogni della persona, gli interventi sociali coinvolgono sempre più che l’individuo. Questi interventi hanno
effetti su altre persone nella società e richiedono l’uso di risorse limitate (incluso il tempo e le energie delle
persone), durano più a lungo, e molti richiedono più risorse degli interventi puramente medici o riabilitativi,
che sono focalizzati unicamente sulla persona. Inoltre, talvolta degli interventi medici o riabilitativi che

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aumentino il livello di attività della persona, potrebbero essere più efficaci nell’implementare il range di
attività a cui le persone potrebbero partecipare.

Lez 14

06. Definisca nelle sue linee essenziali la classificazione ICF-2001.

A seguito del processo di revisione dell’ICDH-80 quale classificazione della disabilità, nel 2001 nasce la
Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF) L’ICF è una
classificazione della salute e degli stati ad essa correlati – è uno strumento per effettuare un ritratto dello
stato di salute generale della persona, così come delle caratteristiche associate alla sua esperienza di vita.
Possiamo anche dire che l’ICF presenta un vocabolario completo del funzionamento umano e della
disabilità. In quanto classificazione di funzionamento e disabilità, l’ICF compie il primo passo essenziale
verso la misurazione e la valutazione, effettuando così la piena descrizione scientifica del funzionamento e
della disabilità. La Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute: •
fornisce una base scientifica per la comprensione e lo studio della salute come interazione tra individuo e
contesto; • costituisce un linguaggio comune per la descrizione della salute e delle condizioni ad essa
correlate, allo scopo di migliorare la comunicazione fra operatori sanitari, ricercatori, pianificatori,
amministratori pubblici e popolazione, incluse le persone con disabilità; • permette il confronto fra dati
raccolti in Paesi, discipline sanitarie, servizi e momenti diversi; • fornisce una modalità sistematica per
codificare le informazioni nei sistemi informativi sanitari. ICF può essere utilizzata in tutti quei sistemi che
hanno attinenza con la salute, come ad esempio quello della previdenza, del lavoro, dell'istruzione, delle
assicurazioni, dell'economia, della legislazione e quelli che si occupano delle modifiche ambientali. Per farlo
è utile definire protocolli di utilizzo di ICF come linguaggio e come modello descrittivo dello stato di salute.

07. Perché la classificazione ICF-2001 può essere considerata un'evoluzione rispetto all'ICDH-80?

L’ICIDH fu criticato per la sua apparente adozione del modello medico di disabilità, e per aver ignorato il
ruolo dell’ambiente nel creare l’esperienza di svantaggio nelle persone con disabilità. Dal 1995, fu
intrapreso un processo collaborativo di revisione dell’ICIDH. La chiarificazione del modello di disabilità fu
l’interesse primario nel processo di revisione. Fin dall’inizio della revisione è stato concordato come l’ICIDH
necessitasse di una sostanziale revisione. Innanzitutto era ovvio che necessitasse di molti miglioramenti: più
attenzione alle menomazioni mentali; definizioni operative; un più chiaro sistema di codifica e così via. In
aggiunta, è stato concordato che la revisione necessitasse di essere guidata dai seguenti principi
concettuali: Universalità: al pari del funzionamento umano, la disabilità dovrebbe essere vista come un
aspetto universale dell’umanità; non come definizione di caratteristiche di qualche gruppo minoritario.
Ambiente: considerati gli intuiti del modello sociale, i fattori ambientali devono essere inclusi come
componente dello schema di classificazione. Linguaggio Neutrale: il nuovo ICIDH è principalmente una
classificazione positiva dei livelli di funzionamento umano, non una classificazione dei problemi di
funzionamento. Parità: la classificazione non dovrebbe fare differenza fra il fisico ed il mentale, ma
semplicemente classificare tutte le funzioni umane. Ciò implica che la classificazione è eziologicamente
neutrale: tutti i livelli di disabilità sono definiti operativamente senza riferimenti a cosa possa causare il
problema. Modello Biopsicosociale: il più importante principio della revisione coinvolto nel modello
sottostante di disabilità. Considerate le critiche all’ICIDH, è richiesto un nuovo modello. A seguito del
processo di revisione dell’ICDH-80 quale classificazione della disabilità, nel 2001 nasce la Classificazione
Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF) L’ICF è una classificazione della salute
e degli stati ad essa correlati – è uno strumento per effettuare un ritratto dello stato di salute generale della
persona, così come delle caratteristiche associate alla sua esperienza di vita. Possiamo anche dire che l’ICF
presenta un vocabolario completo del funzionamento umano e della disabilità. In quanto classificazione di
funzionamento e disabilità, l’ICF compie il primo passo essenziale verso la misurazione e la valutazione,
effettuando così la piena descrizione scientifica del funzionamento e della disabilità

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08. Definisca nelle sue linee essenziali la classificazione ICDH-80

Il principale principio guida dietro l’ICIDH fu che la disabilità è collegata non ad uno, ma a tre fenomeni
collegati. Gli autori usarono “menomazione” per il livello biomedico, in cui vi sia una osservabile perdita o
anormalità nelle funzioni e strutture del corpo. Si volsero al termine “handicap” per identificare lo
svantaggio che una persona con disabilià può incontrare nell’adempimento dei ruoli sociali di base. Infine,
decisero di usare il termine “disabilità” per il livello intermedio, in cui una menomazione colpisce l’abilità di
una persona nel compiere attività. Definiamo: Menomazione: …ogni perdita o anormalità di strutture o
funzioni psicologiche, fisiologiche o anatomiche; Disabilità: …ogni restrizione o perdita (risultante da una
menomazione) dell’abilità di eseguire un’attività nella maniera considerata normale per un essere umano;
Handicap: …uno svantaggio derivato, per un dato individuo, risultante da una menomazione o una
disabilità, che limiti o prevenga l’adempimento di un ruolo che è normale (rispetto a età, sesso e fattori
sociali e culturali) per l’individuo. L’ICDH determina una connessione lineare tra malattia ed handicap. Il
modello ICIDH-80 influenzò molte aree politiche e molte professioni. Le definizioni derivanti dall’ICDH
furono usate in molti strumenti e definizioni internazionali. In studi nazionali e in altre raccolte dati, le
definizioni dell’ICIDH furono frequentemente le basi per domande di ricerca. Un numero considerevole di
ricerche sulla disabilità e la riabilitazione furono condotte in termini delle definizioni e del concetto ICIDH
della disabilità.

Lez 15

04. Perché è fondamentale classificare il funzionamento e non solo le menomazioni?

Diversi studi hanno mostrato la necessità di completare le informazioni diagnostiche con informazioni sullo
stato di funzionamento della persona, per poter predire: - che tipo di servizi sanitari sono necessari; - quali
corsi di educazione e formazione sono richiesti; - il livello e il tipo di supporto sociale o di riabilitazione che
sono necessari per tornare al lavoro, aumentare la capacità lavorative e recuperare l’integrazione sociale.
Questo è il motivo per cui molti ricercatori sostengono che la comprensione della la salute di un individuo o
di una popolazione e la pianificazione di interventi di successo richiedono dati attendibili, lungo il ciclo di
vita, sugli effetti delle condizioni di salute delle persone, sulle loro abilità di effettuare attività di base e
partecipare alle situazioni di vita. La classificazione del funzionamento è il primo passo per ottenere dati
affidabili sullo stato di funzionamento.

05. Definisca il concetto di funzionamento nelle sue dimensioni.

La prima dimensione del funzionamento e della disabilità è costituita dalle strutture e funzioni corporee.
Nella Classificazione Internazionale del Funzionamento e della Disabilità (ICF) il termine “corpo” si riferisce
all’intero organismo umano e include il cervello e le sue funzioni, la mente. Funzioni e strutture corporee
sono classificate in parallelo, secondo i sistemi corporei. Le menomazioni delle funzioni corporee includono
ogni forma di disfunzione, inclusa l’assenza totale di una funzione. Le menomazioni della struttura corporea
coinvolgono anomalie, difetti, perdite o deviazioni della struttura. Le menomazioni possono essere
temporanee o permanenti, statiche o progressive, intermittenti o continue. La seconda dimensione del
funzionamento e della disabilità coinvolge le attività della persona intera. Nell’ICF per attività si intende
l’esecuzione di un compito o di un’azione da parte di un individuo: essa rappresenta la prospettiva
individuale del funzionamento. Le limitazioni dell’attività, sono relative alle difficoltà o ai problemi che un
individuo può avere nell’eseguire un’attività. Una limitazione consiste in una deviazione, da lieve a grave, di
natura qualitativa o quantitativa nello svolgimento di un’attività, rispetto al modo o alla misura attesi da
persone senza la condizione di salute. Nella seconda dimensione di funzionamento e disabilità troviamo
anche la partecipazione dell’individuo in situazioni di vita. Nell’ICF, la partecipazione può coinvolgere lo
svolgimento di qualsiasi azione, compito o insieme di azioni e compiti (per esempio, richiesti in un ruolo
sociale): rappresenta la prospettiva sociale del funzionamento. Il nucleo concettuale è che non si tratta
della capacità di fare qualcosa, ma della attuale/reale performance dell’azione nel contesto generale o

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nell’ambiente in cui viene eseguita. La partecipazione coinvolge inoltre “l’esperienza vissuta” della
disabilità. Le restrizioni alla partecipazione sono difficoltà o problemi nella performance di un’azione o di un
compito che può essere attribuita all’effetto dell’ambiente della persona, alle sue menomazioni, alle
limitazioni dell’attività o ad alcune interazioni fra questi elementi. Ancora, la norma o lo standard contro il
quale la performance di una persona viene confrontata, è determinata da quella di persone senza quella
condizione di salute. La componente finale del modello di funzionamento e disabilità dell’ICF è costituita dai
fattori contestuali, composti da fattori ambientali e fattori personali. Solo i fattori ambientali sono
classificati nell’ICF. I fattori ambientali sono rappresentati da tutte le caratteristiche ed aspetti
dell’ambiente fisico, sociale e degli atteggiamenti che possono influenzare positivamente o negativamente
la sua performance, capacità o le sue funzioni o strutture corporee. Includono il clima e l’ambiente
naturale, artificiale, le relazioni, gli atteggiamenti personali, le organizzazioni sociali, i sistemi sociali, i
servizi, le leggi e le politiche. I fattori ambientali, in particolari circostanze, possono agire come barriere o
facilitatori per una persona. Potenzialmente colpiscono tutte le dimensioni del funzionamento ma, in
pratica, è l’effetto positivo o negativo dell’ambiente sulla performance che è di maggior interesse.

Lez 17

05. Definisca le caratteristiche e i tipi di rinforzo.

Viene chiamato rinforzo qualsiasi evento che abbia la capacità di modificare la frequenza con cui compare
un determinato comportamento, incrementandola. Se viene erogato subito dopo un comportamento
adeguato o un compito svolto bene o una buona lettura di un brano, aumenta la probabilità che quel
comportamento, quel compito, quella lettura si riproducano in futuro sempre più spesso migliorando le
prestazioni del nostro alunno. Un programma di rinforzo è un sistema mediante il quale viene
consapevolmente deciso quali comportamenti debbano essere rinforzati e quali no, e con quale frequenza.
La differenza tra il rinforzo positivo positivo e quello negativo negativo sta nel fatto che il primo è
caratterizzato dalla presentazione di un evento desiderabile, mentre il secondo consiste nella sottrazione di
un elemento negativo o spiacevole. Origine del rinforzo Il rinforzo primario primario è legato alla
sopravvivenza in quanto risponde a bisogni innati (ad es., il cibo). Il rinforzo secondario secondario è invece
il risultato di un processo di apprendimento, mediante il quale esso ha acquisito capacità attrattive. Un
esempio tipico, in laboratorio, è il suono che avviene proprio prima della consegna del cibo. Attraverso la
ripetuta associazione con il cibo (il rinforzo primario), il suono acquista un potere rinforzante. Collocazione
Rinforzatore estrinseco: non è in alcun modo in relazione al comportamento rinforzato e proviene
dall’esterno. Rinforzatore intrinseco: è interno al comportamento rinforzato. Contenuti Tangibile: è
rappresentato da un oggetto fisico, come un giocattolo o un pacchetto di figurine. Il suo utilizzo dovrebbe
essere circoscritto alle situazioni per lo più iniziali e particolarmente complica te di un progetto educativo o
terapeutico durante le quali i rinforzatori di più alto livello ancora non sembrano funzionare
adeguatamente. Dinamico: trae il suo potere rinforzante dalla possibilità di svolgere un’attività gradita (un
gioco, un disegno, una ricreazione più lunga…). Sociale: trae il suo potere rinforzante da un aspetto
gratificante nella relazione con un altro individuo. Un sorriso, un abbraccio, una carezza, un complimento
per il compito svolto o una qualsiasi forma di approvazione sono rappresentazioni di questo rinforzatore.
Qualunque progetto educativo dovrebbe spostare gradualmente il controllo motivazionale da rinforzatori
più artificiali, come ad esempio un giocattolo, a questo tipo di rinforzatori. Simbolico: questo rinforzatore è
simbolo di qualcos’altro, che può essere scambiato con un rinforzatore gradito (gettoni, pezzi di puzzle,
smile, bollini, timbri su un tabellone o qualsiasi simbolo usato all’interno di una token economy) non va
incontro a saziazione facilmente perché può essere utilizzato per comprare ricompense sempre diverse
insegna al bambino molti comportamenti utili quali: guadagnare, aspettare, scegliere e spendere consente
di non interrompere nessuna attività scolastica per rinforzare il soggetto consente di programmare
un’attenuazione graduale dalle ricompense artificiali perfeziona comportamenti collaborativi col gruppo di
pari. Informativo o feedback: consiste in un’informazione relativa al risultato di un comportamento.

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L’informazione è tanto più efficace quanto più è precisa, meglio se in forma quantificata. Se un bambino
legge un brano e l’insegnante gli dice “Bravissimo!”, eroga un rinforzatore sociale; se a questo aggiunge
“Hai fatto solo 6 errori!”, eroga un rinforzatore in.formativo o feedback.

06. Definisca lo shaping.

La costruzione di comportamenti complessi, è resa possibile dal processo di organizzazione dei rinforzi,
indicato come costruzione graduale (shaping). Esso comincia fornendo un rinforzo per risposte che indicano
un avvicinamento, sebbene ancora approssimativo, al comportamento desiderato. Dopo rinforzi iniziali, il
rinforzo è trattenuto fino a che non avviene un ulteriore perfezionamento. La procedura rinforzante le
prime risposte, che solo da lontano assomigliano alla risposta desiderata, e che poi rinforza solo i
perfezionamenti nella risposta, è indicata come rinforzante approssimazioni successive. Essa è efficace
perché è sensibile alla natura articolata dei comportamenti complessi e illustra l’utilità di applicare un
processo continuo di rinforzo differenziale per costruire tali comportamenti. La costruzione graduale è
importante perché può generare comportamenti complessi che non hanno quasi nessuna probabilità di
realizzarsi spontaneamente nella forma finale.

07. Definisca il prompting ed elenchi di quali generi può essere.

E’ una tecnica di controllo dello stimolo attraverso la quale si favorisce l’emissione di comportamenti
adeguati. La traduzione in italiano potrebbe essere “suggerimento” . I prompt possono essere di diverso
genere (Verbali, Gestuali, Figurali, Fisici, Modellanti).

Lez 18

05. Definisca i comportamenti problema.

Un comportamento problema sul quale è opportuno intervenire in modo specifico è un comportamento


che - provoca danneggiamento a sé o ad altre persone - provoca danneggiamento all’ambiente -
interferisce con le possibilità di apprendere nuove abilità - provoca isolamento sociale alla persona ….ma
non solo Un comportamento problema è ciò che è profondamente inappropriato per il livello di sviluppo
del bambino e per il suo contesto culturale Un comportamento problema è ciò che presenta una pesante
difficoltà per il sistema-famiglia.

06. Perché risulta fondamentale effettuare una valutazione funzionale del comportamento problema?

È fondamentale valutare le situazioni nel quali il comportamento si manifesta, quindi: • descrivere il


comportamento; • identificare quali eventi, persone, situazioni sono solitamente associate con il
comportamento. Identificare l’esito del comportamento chiedendosi che cosa la persona ottiene quando lo
mette in atto: • Ottenere qualcosa, ad esempio: Attenzione di adulti o coetanei Attività, cibo o altro •
Evitare qualcosa, ad esempio: Attenzione di adulti o coetanei Attività, giochi, cibo o sensazioni •
Autostimolazione.

07. Perché risulta fondamentale insegnare comportamenti alternativi ai comportamenti problema?

Diventa fondamentale insegnare comportamenti alternativi. È necessario Scegliere un comportamento


alternativo che abbia la stessa funzione o scopo del comportamento problema. Scegliere un
comportamento alternativo che permetta alla persona di raggiungere il suo scopo più facilmente e
velocemente rispetto all’uso del comportamento problematico. Insegnare abilità di comunicazione
funzionale: • Per rimpiazzare la necessità di utilizzare il comportamento problema per ottenere o evitare
attenzione, attività o prevedibilità; • Insegnare abilità appropriate per dire “no” o per chiedere aiuto. Per
essere sicuri di NON rinforzare i comportamenti problema è importante chiedersi: • Cosa facciamo ora che
potrebbe rinforzare i comportamenti problema? • Come possiamo cambiare la nostra risposta al
comportamento problema nel caso esso compaia? • Come possiamo cercare di essere coerenti nelle nostre

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risposte? • Come possiamo cercare di rinforzare e sostenere i comportamenti alternativi in modo che
possano assolvere la funzione che precedentemente era assolta dai comportamenti problema? Decidete
quando volete che la persona utilizzi il comportamento alternativo, insegnategli come fare e rinforzate
questo comportamento fornendo l’esito atteso. Se potete, ignorate il comportamento problematico
(procedimento di “estinzione”) o intervenite con tecniche non aversive che richiedono scarsa attivazione
emozionale (es: “time out”).

Lez 19

06. Definisca il comportamento adattivo.

Per comportamento adattivo si intende l’insieme di attività che un soggetto deve compiere
quotidianamente per essere sufficientemente autonomo e per svolgere in modo adeguato i compiti
conseguenti al proprio ruolo sociale, così da soddisfare le attese dell’ambiente per un individuo di pari età e
contesto culturale. Il comportamento adattivo: • è età-specifico • è contesto-specifico • è espressione di
una performance tipica • è un costrutto multidimensionale. Il comportamento adattivo è un costrutto
distinto ma in relazione con quello dell’intelligenza così come viene misurata dai normali test in uso, e tale
relazione è maggiore in soggetti in età prescolastica o con disabilità grave. Negli anni 60, l’American
Association on Mental Retardation ha introdotto formalmente il costrutto di comportamento adattivo nella
definizione del ritardo mentale, come seconda dimensione da valutare oltre all’intelligenza. Possiamo
considerare quattro dimensioni principali che costituiscono il costrutto di comportamento adattivo: •
Comunicazione (comprensione e produzione del linguaggio orale e scritto) • Abilità quotidiane (cura di sé,
attività domestiche, uso dei servizi della comunità e attività lavorative-professionali) • Socializzazione
(sviluppo di relazioni interpersonali, comprensione e problem solving sociale, attività ludiche e di tempo
libero, autocontrollo e rispetto delle regole sociali) • Abilità motorie (fini e grossolane).

07. Definisca come può essere intesa una valutazione psicoeducativa.

Per progettare un intervento teso al miglioramento delle condizioni di vita e di apprendimento nella
quotidianità dell’esperienza è fondamentale eseguire una valutazione psicoeducativa sul soggetto. La
valutazione psicoeducativa può essere intesa come sintesi: • delle conoscenze relative allo sviluppo tipico •
delle conoscenze relative alla patologia • delle conoscenze relative all’espressione delle caratteristiche di
un soggetto all’interno di un determinato ambiente (valutazione ecologica) • delle conoscenze relative al
funzionamento del soggetto all’interno di un setting standardizzato (valutazione formale). Questo modello
di valutazione tiene conto di come funziona l’individuo in un determinato contesto, del quale è parte
integrante anche l’osservatore. E’ un momento che va condiviso fin dall’inizio con chi è coinvolto nel
progetto (il soggetto, e/o i suoi genitori, ecc…) e si traduce in un progetto in cui vengono identificati
obiettivi, metodologie e destinatari dell’intervento (cosa fare, come fare e con chi fare). La valutazione
psicoeducativa permette di verificare, in seguito, gli esiti del lavoro svolto e di riprogrammare nuovi
obiettivi di intervento. Inoltre permette la comunicazione fra i diversi attori dell’intervento.

08. Definisca le aree di valutazione funzionale.

La valutazione funzionale considera le seguenti aree: • Valutazione del linguaggio e della comunicazione •
Valutazione degli aspetti cognitivi e neuropsicologici • Valutazione delle abilità funzionali • Valutazione del
comportamento adattivo • Valutazione dell’interazione • Valutazione delle risorse famigliari

Lez 21

04. Definisca che cos'è la comunicazione mediata visivamente.

La comunicazione mediata visivamente è un insieme di strumenti e idee che puntano ad ampliare la


capacità ricettiva, a sostenere lo sforzo di comprendere ed interpretare l’informazione Comprensione

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maggiore  coinvolgimento e partecipazione maggiori  possibilità di migliorare la capacità espressiva. La


comunicazione mediata visivamente non è un “metodo”, Si tratta di strategie ed idee per le quali non esiste
un ordine di elaborazione specifico. Come possiamo acquisire visivamente delle informazioni? È possibile
acquisire visivamente informazioni attraverso: • Linguaggio del corpo • Organizzazione usuale
dell’ambiente • Strumenti tradizionali che vengono usati per aumentare la capacità organizzativa •
Strumenti creati appositamente per bisogni speciali Scopo del programma è farne un uso consapevole. UN
MESSAGGIO FONDAMENTALE: La comunicazione mediata visivamente non è destinata solo alle persone
con assenza di linguaggio verbale

05. Definisca almeno un approccio operativo a scelta tra uno strumento connesso alla comunicazione
mediata visivamente.

Strumento n°1: le schede per la programmazione della routine giornaliera Le schede informano i soggetti
che ne beneficiano su: • Attività giornaliere regolari • Attività giornaliere straordinarie (avvenimenti
particolari, qualcosa di nuovo) • Mancato svolgimento di qualche attività • Assenza di persone significative
• Successione degli eventi • Cambiamenti del programma giornaliero • Momento in cui finisce un’attività e
ne inizia un’altra.

Strumento n°2: le mini-schede Dal momento che inserire tutte i bisogni di informazione in un’unica scheda
potrebbe dar luogo a strumenti troppo complessi e ridondanti, usiamo le schede per dare informazioni
generali sulla giornata e le mini-schede per dare informazioni su ciò che avviene in un arco di tempo più
breve oppure all’interno di un’attività specifica. Mentre le schede contengono delle informazioni che
possono andare bene anche per tutta la classe, le mini-schede sono pensate per le caratteristiche del
singolo studente che ne ha eventualmente bisogno. Sono come delle “finestre” che si aprono per dare
l’informazione che non è stata ancora automatizzata. Lo scopo è quello di velocizzare l’esecuzione o
ricordare i passaggi. Si levano quando l’informazione è acquisita. Le schede della giornata invece devono
continuare ad essere mantenute, eventualmente sotto forme più evolute.

Strumento n°3: i calendari Con l’aiuto di calendari opportunamente predisposti possiamo comunicare al
soggetto: quali sono i giorni di scuola e quali sono quelli liberi, quando si svolgono attività regolari o
straordinarie, gite, uscite, eventi, per quanto tempo una persona sarà presente o assente, ecc…

Strumento n°4: le tabelle delle scelte Possiamo usare delle tabelle opportunamente predisposte per far
scegliere, fra ciò che è disponibile: il cibo preferito, l’attività da svolgere nel tempo libero, il gioco o l’attività
da svolgere nell’apposita sezione dello schema della giornata, ecc… È possibile quindi offrire al soggetto
delle opportunità di autodeterminazione che rientrano in un progetto educativo “gestito” dall’adulto ma in
qualche modo condiviso da entrambi.

Strumento n°5: la collocazione delle persone Per dare informazioni su base visiva su: Chi c’è oggi a
scuola/casa; Chi non c’è; Dove si trova attualmente una determinata persona; Chi arriverà più tardi; Chi era
atteso e invece non è venuto; Chi non era atteso e invece è venuto.

Strumento n°6: preparare il passaggio da un’attività all’altra o da un luogo all’altro Per terminare un’attività
usando informazioni rilevanti all’interno dell’attività stessa. Indicare il termine dell’attività utilizzando degli
strumenti di segnalazione del tempo. Dare informazioni su quando lo studente potrà ritornare all’attività
gradita. Se l’attività successiva è meno gradita, indicare allo studente cosa potrà fare dopo

Lez 22

03. Definisca gli elementi utili da tenere in considerazione per una comunicazione efficace attraverso i gesti.

Tra i gesti che caratterizzano il linguaggio del corpo possiamo pensare: • all’orientamento del corpo; • la
vicinanza o allontanamento del corpo; • il contatto visivo; • la fissazione e l’allontanamento dello sguardo;

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• l’espressione del viso; • il movimento delle mani e del corpo. Tra i gesti che permettono una
comunicazione efficace comprendiamo: • Posizionarsi di fronte al soggetto per attirare la sua attenzione •
Tenere un oggetto in mano in modo che si trovi nel campo visivo del bambino • Posare qualcosa con enfasi
per sottolineare la collocazione di un oggetto. Indicare l’oggetto sul quale si vuole attirare l’attenzione •
Toccare la persona per attirarne l’attenzione • Prendere la mano della persona per guidarla verso un luogo
o un oggetto • Scuotere la testa per comunicare NO e SI • Usare gesti semplici e chiari per “vieni qui”,
“aspetta” ecc. Gli strumenti principali per la comunicazione visiva sono il corpo di chi comunica e l’ambiente
circostante. E’ opportuno quindi, prima di cercare di ampliare la comunicazione con l’utilizzo di altri ausili,
fare il miglior uso possibile di quelli immediatamente disponibili. Il miglioramento di un sistema gestuale
naturale permetterà di creare le basi per sviluppare e supportare altre modalità comunicative.

04. Perché possiamo affermare che gli strumenti visivi non sono un obiettivo di lavoro ma una strategia
educativa?

LEz 23

05. Definisca nei suoi tratti essenziali il programma TEACCH.

Dagli anni 70 a partire dal North Carolina, si diffonde un programma che vuole prendersi cura dei soggetti
con autismo, il TEACCH. Non può essere considerato puramente un metodo, bensì una filosofia che permea
un’organizzazione di servizi Il fine è quello di garantire una buona assistenza ai cittadini con autismo e
garantire cure aggiornate sul piano scientifico. La metodologia di lavoro è frutto della ricerca scientifica
internazionale. Il programma TEACCH si fonda sui seguenti punti • Conoscenza dell’autismo • Importanza
della valutazione • Collaborazione con le famiglie • Favorire lo sviluppo sia con l’insegnamento di nuove
abilità sia attraverso l’adattamento dell’ambiente verso i deficit della patologia • Individualizzazione
dell’intervento • Uso dell’insegnamento strutturato ed altre metodologie educative appropriate •
Metodologia cognitivo-comportamentale (approccio psicoeducativo basato sui dati dell’evidenza) •
Miglioramento delle abilità e accettazione dei deficit • Orientamento dell’intervento lungo il ciclo di vita.
Cosa insegnare secondo il TEACCH Le 3 aree che devono essere sempre presenti in un progetto di
intervento sono: • Intersoggettività, comunicazione, abilità sociali • Abilità necessarie allo sviluppo • Abilità
di autonomia. Le specifiche abilità di base da insegnare devono essere scelte in base all’adeguatezza
rispetto alle capacità del soggetto, la rilevanza per il contesto, la congruità rispetto all’ età cronologica,
analizzando i comportamenti del soggetto e considerando la sua motivazione.

06. Definisca quali elementi considerare per un progetto per l'autismo ben strutturato.

Strutturare il lavoro con i soggetti con autismo consiste nell’organizzare situazioni d’apprendimento che
siano chiare per la persona e che gli diano punti di riferimento concreti per alcune domande che può non
essere in grado di porre. Alcune domande chiave alle quali è necessario rispondere strutturando le attività: -
Cosa devo fare? - Dove lo devo fare? - Per quanto tempo? - Con chi? Strutturare un intervento richiede 4
livelli di organizzazione: • Organizzazione dell’ambiente fisico • Organizzazione del tempo (programma
della giornata) • Organizzazione dello schema di lavoro • Organizzazione dei compiti. Anche (e soprattutto)
l’educatore fa parte della struttura che dà chiarezza e fornisce occasioni di apprendimento! È necessario
chiedersi sempre: Come posso fare a dare maggior chiarezza al soggetto usando lo strumento della mia
persona? Come posso fare, attraverso lo strumento della mia persona, per aiutare il soggetto in quelle che
sono le sue difficoltà principali, tra le quali la comunicazione, l’interazione ed il repertorio di interessi
ristretto?

07. Perché in un contesto ben strutturato è fondamentale includere l'educatore?

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Anche (e soprattutto) l’educatore fa parte della struttura che dà chiarezza e fornisce occasioni di
apprendimento! È necessario chiedersi sempre: Come posso fare a dare maggior chiarezza al soggetto
usando lo strumento della mia persona? Come posso fare, attraverso lo strumento della mia persona, per
aiutare il soggetto in quelle che sono le sue difficoltà principali, tra le quali la comunicazione, l’interazione
ed il repertorio di interessi ristretto?

Lez 24

03. Perché diventa fondamentale coinvolgere subito, in fase di valutazione, la famiglia?

Si può rispondere a questa domanda con tre argomentazioni principali: • Perché la valutazione avviene a
partire da dati condivisi • Perché la valutazione non è percepita come qualcosa “calato dall’alto” • Perché la
valutazione non venga percepita come un giudizio a cui contrapporsi. Se effettuata secondo modalità chiare
e rispettose dell’equilibrio famigliare, la restituzione della valutazione funzionale può anch’essa concorrere
all’alleanza tra professionisti e famiglia. Sarà successivamente fondamentale accompagnare la famiglia nel
percorso tra valutazione e progetto di intervento, che vede la definizione degli obiettivi di lavoro.

04. Definisca come impostare al meglio un lavoro con la famiglia di una persona con disabilità.

Per prima cosa possiamo coinvolgere le famiglie nel processo di valutazione. Tra l’altro è una cosa già
prevista dai decreti attuativi della Legge 104 per la stesura del profilo dinamico funzionale (si affronterà
nello specifico la tematica nelle lezioni successive). Alcuni strumenti di assessment ci aiutano in quanto
sono già “predisposti” secondo questo modello. Ad esempio, le scale Vineland per il comportamento
adattivo. Oppure, le scale di sviluppo che prevedono un confronto con i genitori per l’ottenimento di
determinate informazioni. La scelta degli obiettivi, che coinvolgono la famiglia, deve tener conto: • Del
livello di funzionamento del soggetto con disabilità • Della sua età cronologica • Delle esigenze presenti nel
suo contesto di vita • Di come nuovi apprendimenti possono attivare ulteriori apprendimenti • Della
motivazione del soggetto con disabilità. Alcuni obiettivi saranno realizzabili soprattutto nel contesto di vita
del soggetto con disabilità e richiederanno in modo particolare l’alleanza con la famiglia. Possiamo riportare
degli esempi di obiettivi che possono essere realizzati solo attraverso la collaborazione con la famiglia: •
Autonomie personali • Gioco e tempo libero • Comunicazione • Socializzazione al di fuori dalla scuola

Lez 26

08. Definisca le principali misure di Qualità della Vita correlata alla salute.

La medicina nel tentativo di misurare "quantitativamente" gli aspetti "qualitativi" della vita ha coniato il
temine di "QoL correlata alla salute", accontentandosi di prendere in considerazione solo quegli aspetti
della vita che sono correlati alla salute e quindi pertinenti alla sua missione e modificabili dai suoi
interventi. E’ essenziale per la comprensione degli studi sulla qualità di vita come solo i pazienti stessi
possano stimare la propria qualità di vita, dal momento che, come provato in ambito oncologico, la
correlazione tra giudizio del medico e percezione del paziente è scarsa. Tra gli strumenti accettati e
raccomandati vi sono questionari generali (non specifici) e questionari specifici per malattia o per danno
d’organo. Laddove l’applicazione degli strumenti generali offre il vantaggio di essere in grado di comparare i
dati con dati di altre popolazioni (es. volontari sani ), i questionari specifici per la malattia possano essere
più sensibili, specialmente per l’individuazione di differenze tra modalità di trattamento della stessa. I
questionari specifici per malattia (o dimensione) tentano di definire l’impatto di una specifica malattia e dei
suoi trattamenti sulla QoL. Questi strumenti specifici focalizzano la valutazione della QoL su specifiche aree
hanno tuttavia il difetto di non consentire confronti tra condizioni diverse, a meno che non sia prevista una
sezione generale. L’importanza di misurare il costrutto della HR-QoL nei soggetti o per gruppi di
popolazione è ad oggi sempre più accettata. È possibile rilevare diversi studi nel caso degli adulti. Diverso il
caso per quanto riguarda bambini ed adolescenti: solo recentemente il campo della misurazione del HR-

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QoL nei minori è oggetto di studio. Misure di HR-QoL posso aiutare ad identificare sottogruppi di bambini
ed adolescenti che sono a rischio di problemi correlati alla salute e possono aiutare a determinare il grado
di burden di particolari patologie o livelli di disabilità.

09. Definisca il concetto di Qualità della Vita correlata alla salute.

Negli ultimi decenni il concetto di qualità della vita ed in particolare di qualità della vita correlata alla salute,
sono diventati sempre più centrali nell’ambito della ricerca. La QoL dovrebbe essere rilevata o comunque
considerata dal punto di vista del soggetto, essa può fluttuare nel tempo e vi sono differenze transculturali
nel modo in cui è definita. In letteratura, tuttavia, ad oggi, stato di salute e QoL sono spesso distinti in modo
insufficiente. Definire la QoL, come già riportato, è difficile perché è un concetto astratto, complesso e
fortemente individuale. Per queste ragioni si conviene sul fatto che, in ambito clinico, l’analisi della QoL si è
spesso limitata alla HR-QoL (qualità della vita correlata alla salute). Pertanto la HR-QoL riflette un tentativo
di restringere il complesso concetto di QoL a quegli aspetti della vita specificamente correlati alla salute
individuale e potenzialmente modificabili dall’assistenza sanitaria. Sebbene non tutti gli aspetti del
benessere siano influenzati da fattori correlati alla salute, in ambito sanitario bisogna spesso interfacciarsi
con la HR-QoL. Nel definire la HR-QoL è utile riferirsi alla definizione di QoL di Campbell in quanto ha il
pregio di mettere in evidenza il fatto che la QoL è un costrutto soggettivo, legato al benessere di un
individuo, dove vanno presi in considerazione molti fattori, tra cui uno solo dei tanti ha a che fare con la
Salute, un "valore" che invece è il solo oggetto di interesse della medicina.

10. Definisca gli ambiti di applicazione della Qualità della Vita correlata alla salute

Queste misure possono aiutare a valutare i Servizi, sanitari e non. I risultati di studi condotti secondo questi
indicatori potrebbero essere utilizzati per influenzare le decisioni in ambito di politiche pubbliche,
promuovere politiche e legislazioni correlate alla salute dei bambini ed adolescenti e guidare l’allocazione
delle risorse ai Servizi. Monitorare lo stato di salute della popolazione secondo indicatori di HR-QoL,
permette ai professionisti in ambito sanitario di migliorare la salute della popolazione, analizzandone i
trend, identificando le discrepanze in ambito di salute e pianificando attività di promozione ed intervento.

Lez 27

08. Definisca le principali problematiche nell'ambito della ricerca in tema di Qualità della Vita correlata alla
salute.

Una linea di ricerca che rifletta il punto di vista dei bambini in merito al loro stato di benessere è ad oggi
assente, se non riportata in studi isolati. Le principali misure relative alla qualità della vita correlata alla
salute HR-QoL, nei casi di bambini ed adolescenti, sono state sviluppate per malattie croniche o gravi
patologie pediatriche. Un piccolo ma crescente numero di questionari che valutino la HRQoL sia in bambini
sani sia in bambini con patologia si stanno diffondendo. Questa insufficienza di studi in merito alla HR-QoL
con un focus su bambini ed adolescenti ha diverse ragioni: la prima causa può essere spiegata con un
dubbio in merito derivante dal fatto di quanto i bambini possano essere in grado di esprimere
correttamente opinioni, atteggiamenti e sentimenti circa la loro qualità di vita. Inoltre, la comprensione del
concetto di qualità di vita, o la valutazione di aspetti relativi alla propria salute e stato di benessere, sono
determinati dall’età, dalla maturità e dallo sviluppo cognitivo del bambino. Alcuni studi hanno mostrato
come i bambini siano in grado di riportare il loro grado di benessere e funzionamento in modalità affidabile
se il questionario è appropriato alla loro età e livello cognitivo. Un altro punto critico concerne le
dimensioni che sono rilevanti e necessarie al fine di descrivere il costrutto di HR-QoL in bambini e
adolescenti. Non è chiaro quanto i bambini siano in grado di mettere in evidenza le stesse dimensioni
rilevanti per gli adulti, ma si può desumere che questo possibilità sia parzialmente determinata anche
dall’età del bambino. Un aspetto carente nelle discussioni teoriche che hanno accompagnato spesso la
definizioni di questionari per bambini e adolescenti è stata la possibilità di chiedere al minore di esprimere

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il suo punto di vista. Il punto di vista del bambino, negli studi relativi alla HR-QoL, è sempre più tenuto in
considerazione, al pari dell’opinione degli esperti e le revisioni della letteratura.

09. Quali sono i principali studi in tema di Qualità della Vita correlata alla salute?

Le ricerche e le discussioni teoriche degli ultimi anni, in merito al costrutto di HR-QoL nei bambini e negli
adolescenti, si stanno spostando dall’applicazione di misure utilizzate nella popolazione adulta, verso la
possibilità di strutturare e testare nuovi strumenti sviluppati per bambini di diverse età e diversi livelli di
sviluppo. Emergono inoltre solide argomentazioni che sostengono la possibilità del self-reporting ove
possibile, specialmente per quanto riguarda aspetti emozionali e sociali della HR-QoL. Infine, nuovi studi
hanno portato definizioni maggiormente specifiche, concettualizzazioni e operazionalizzazioni del costrutto
di HR-QoL in ambito pediatrico che hanno permesso di approfondire il concetto in relazione ai bisogni
espressi dai bambini e adolescenti. La definizione generale di HR-QoL utilizzata per gli adulti potrebbe
essere applicata ai bambini, sebbene specifici aspetti di sviluppo fisico e funzionamento psicologico
dovrebbero essere considerati. I bambini non dovrebbero essere considerati alla stregua di piccoli adulti;
devono essere riconosciuti i loro specifici bisogni, nell’ambito della salute e non solo. I bambini crescono in
diversi ambienti, la famiglia, la scuola, i pari, la comunità. Contrariamente agli adulti, i bambini spesso non
hanno scelta o limitate possibilità per modificare o per sottrarsi ad ambienti che ne limitano un buon
funzionamento. Inoltre, i bambini sono sottoposti ad un costante processo di crescita e cambiamento,
quindi dovrebbero essere realizzate valutazioni longitudinali sulla HR-QoL. Quando viene chiesto che cosa è
più importante nella loro vita, oltre ad un buon funzionamento fisico, gli adolescenti danno rilevanza ad
aspetti legati alle relazioni sociali (famiglia e amici) e agli stati d’animo generali, oltre ad una buona
percezione di sé ed al bisogno di crescere con un buon grado di indipendenza. Un altro aspetto centrale nel
panorama scientifico legato alla HR-QoL in bambini ed adolescenti è la discussione legata allo sviluppo di
generiche misure, in quanto, storicamente, numerosi strumenti sono stati creati per valutare specificiche
condizioni di salute, ma recenti studi sostengono il limite dell’approccio legato a specifiche patologie.

10. Quali possono essere le principali prospettive per studi futuri sulla Qualità della Vita correlata alla
salute?

L’impatto di alcune patologie nella vita di un bambino può essere meglio compreso quando si comparano la
QoL di soggetti con e senza una malattia. Misure generiche possono essere applicate in settino clinici
insieme a strumenti di assessment specifici per patologia. Misure generiche di HR-QoL possono evidenziare
alcuni aspetti del benessere dei pazienti che possono essere trascurati ad esempio in fase di anamnesi e, ad
esempio, possono offrire elementi aggiuntivi nella scelta dei percorsi terapeutici. Infine, misure generiche
di HR-QoL studiate su ampi gruppi di popolazione possono facilitare il monitoraggio della salute della
popolazione, valutare gli effetti delle politiche, soprattutto in tema di salute, ed allocare le risorse in
relazione dei bisogni. Questo processo è applicabile a qualsiasi tipo di popolazione, inclusi i bambini, la cui
salute e il livello di benessere sono vitali per il futuro dell’intera società.

Lez 28

12. Come può essere definito un indicatore?

Un indicatore, secondo il progetto ECHI, per essere considerato tale, può essere applicabile a livello
individuale, di popolazione o ambientale, ma deve essere soggetto a misurazione (diretta o indiretta) e può
essere usato per descrivere uno o più aspetti della salute di un individuo o di una popolazione. I criteri che
caratterizzano un indicatore sono: la validità, la sensibilità e la comparabilità.

13. Definisca un'area a scelta tra i principali indicatori di Qualità della Vita.

Uno tra quelli sotto elencati

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14. Quali sono le sei aree principali secondo le quali possiamo identificare gli indicatori di Qualità della Vita?

In riferimento agli indicatori sulla QoL, possiamo identificare sei aree principali: Qualità della vita e salute
mentale: La promozione della salute mentale e del benessere inizia a partire dai bambini e continua
attraverso l’adolescenza fino all’età adulta. Il crescente bisogno di valutazioni in ambito di salute mentale è
in linea con la definizione di salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO), che definisce lo stato
di salute come «uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale» . A partire da questa idea, è
sempre più forte l’esigenza di un indice di salute mentale che possa aggiungersi ad altri indicatori.;
Benessere psicologico: Il benessere psicologico si riferisce alle emozioni alle percezioni positive di un
bambino o adolescente, il grado di soddisfazione rispetto alla propria vita, oltre a diverse aree inerenti ai
sentimenti interiori. Questi aspetti sono in grado di fornire importanti indicazioni anche in merito allo stato
di salute mentale dell’individuo.; Disagio psicologico: In passato, le raccolte di dati in ambito di salute
mentale si sono principalmente concentrate sulla stima delle malattie mentali. In base a informazioni
raccolte attraverso strumenti di screening sui disturbi mentali, era possibile separare gli individui in due
gruppi: i soggetti aventi sintomi legati a disturbi mentali e soggetti sani. Lo svantaggio di questo approccio
era la mancanza di informazioni su come l’individuo si pone rispetto ad un continuum legato alla salute
mentale. Problema ancora più rilevante nel caso che vi sia la necessità di distinguere tra gruppi di soggetti
che sperimentano un disagio di natura psicologica e quelli che non mostrano tali problemi.; Salute auto-
percepita: Essere in buona salute, a livello fisico, a livello di emozioni e a livello sociale, è un fattore che
aiuta le persone nell’essere efficaci rispetto alle sfide che accompagnano il loro sviluppo. In anni recenti,
l’autovalutazione dello stato di salute è un indicatore che è stato utilizzato sempre con maggiore frequenza.
Secondo uno studio di Ottova e, che ha investigato gli aspetti psico-sociali, demografici e aspetti correlati
all’ auto-percezione di salute, gli adolescenti che descrivono la propria salute come “scarsa” hanno maggiori
problemi di salute, un basso livello di soddisfazione rispetto alla loro vita, sono meno attivi fisicamente oltre
ad avere maggiori difficoltà nell’avere amici.; Indicatori di soddisfazione della vita: Un importante aspetto
cognitivo legato al benessere è la valutazione globale della propria vita. I determinanti che strutturano il
costrutto di «soddisfazione della vita» non sono stati studiati fino agli anni ’90. Tra gli adulti questo
costrutto è associato alla depressione, ansia, suicidi, inabilità lavorativa, incidenti mortali e tutte le cause di
mortalità. Ulteriori studi legati alla soddisfazione percepita rispetto alla propria vita hanno evidenziato
come, durante l’adolescenza, la soddisfazione nella vita sia fortemente influenzata dalle proprie esperienze
e dalle relazioni, in particolare nel contesto della famiglia. All’infuori della famiglia, la scuola è forse il luogo
più importante dove i giovani vivono. Diversi studi hanno identificato un forte collegamento tra le risorse
psicosociali ritrovate a scuola e la soddisfazione che, della stessa scuola, si manifesta.; Indice soggettivo sui
problemi di salute: La presenza e la frequenza di problemi di salute soggettivi può servire come un buon
indice di approssimazione rispetto al benessere fisico individuale. Il fatto che i problemi di salute tendano a
manifestarsi insieme ed in questo modo causano un importante burden all’individuo, nonché al sistema
sanitario, rende questo costrutto un importante indicatore di benessere. Alcuni sintomi che possono
influenzare negativamente questo indicatore possono essere il mal di testa, dolori addominali, mal di
schiena, sentimenti negativi, irritabilità o cattivo umore, nervosismo, disturbi del sonno e vertigini.

Lez 33

08. Definisca nelle sue linee principali la legge 104/92.

La Legge 104 si propone di promuovere la piena integrazione delle persone in situazione di handicap in ogni
ambito nel quale possono esprimere la loro personalità: “nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella
società”. L'articolo 12 della Legge 104/92 fissa il principio dell'individuazione dell'alunno con handicap
quale premessa a determinati servizi per l'inclusione scolastica. La Legge 104/92 ha certamente
rappresentato un passaggio essenziale nell'affermazione di alcuni diritti all'inclusione… … fornendo anche lo
schema per la valutazione delle specifiche esigenze delle persone. In Italia dagli anni ’90 compare nella
normativa relativa all’inserimento scolastico il termine “diagnosi funzionale”, con l’intenzione presumibile

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di affiancare alla diagnosi clinica degli elementi relativi al funzionamento dell’alunno. Il termine viene
ripreso con la legge 104 del ’92, nell’Art. 12, “Diritto all’educazione e all’istruzione”. Nell’Atto di indirizzo
alle Aziende Sanitarie del ’94 emesso dal Ministero della Sanità per diagnosi funzionale si intende “la
descrizione analitica della compromissione funzionale dello stato psico- fisico dell’alunno in situazione di
handicap, al momento in cui accede alla struttura sanitaria per conseguire gli interventi previsti dagli art. 12
e \ 13 della L.104/ 1992. Viene redatta dall’unità multidisciplinare (delle Aziende Sanitarie Locali), contiene
anamnesi e diagnosi (tiene conto delle conseguenze funzionali delle infermità) e tiene conto delle
potenzialità in ambito cognitivo, affettivo-relazionale, linguistico, sensoriale, motorio-prassico,
neuropsicologico, di autonomia personale e sociale; viene riportata in una scheda riepilogativa”.

09. Definisca le tappe principali dell'evoluzone del sistema di inclusione scolastica in Italia.

A partire dagli anni 70 si assiste in Italia ad un graduale passaggio dal concetto di inserimento a quello di
integrazione degli alunni e degli studenti con disabilità nella scuola statale…. Oggi parliamo di inclusione.
Ripercorrendo le tappe principali … • La legge n. 118 del 1971 sancisce il diritto all’istruzione nella scuola
comune e dispone provvedimenti per assicurarne la frequenza; • La legge n. 517 del 1977 riconosce
l’importanza di interventi educativi individualizzati volti al pieno sviluppo della personalità degli alunni. •
Legge 5 febbraio 1992, n. 104: Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone
handicappate."

10. Perché il Progetto Educativo Individualizzato (PEI) assume una connotazione fondamentale non solo per
il contesto scolastico?

Al punto 5 dell’art.12 della 104 leggiamo: All'individuazione dell'alunno come persona handicappata ed
all'acquisizione della documentazione risultante dalla diagnosi funzionale, fa seguito un profilo dinamico-
funzionale ai fini della formulazione di un piano educativo individualizzato (PEI), alla cui definizione
provvedono congiuntamente, con la collaborazione dei genitori della persona handicappata, gli operatori
delle unità sanitarie locali e, per ciascun grado di scuola, personale insegnante specializzato della scuola,
con la partecipazione dell'insegnante operatore psico- pedagogico individuato secondo criteri stabiliti dal
Ministro della pubblica istruzione. Possiamo considerare la Diagnosi Funzionale come la descrizione delle
condizioni di limitazione funzionale in rapporto ai bisogni educativi dell'alunno, individuate dagli operatori
dell'ASL. Non è una semplice descrizione delle funzioni attive o carenti dell'alunno, ma è un'analisi di queste
funzioni, in vista della formulazione del PEI. Se la Diagnosi Funzionale, dunque, viene redatta una sola volta
dagli operatori sanitari delle Aziende Sanitarie Locali (ASL o ATS), per avere un quadro progressivo
dell'evoluzione della personalità dell'alunno, sono necessarie osservazioni nel tempo, che vengono raccolte
in un documento - il Profilo Dinamico Funzionale, appunto - che viene aggiornato al passaggio di ogni grado
di scuola e redatto da tutti gli operatori che seguono l'alunno, cioè insegnanti, operatori sanitari e operatori
sociali, con la collaborazione della famiglia.

Lez 34

05. Definisca la Diagnosi Funzionale.

All’individuazione e alla segnalazione da parte dello specialista dell’alunno come persona con disabilità,
segue la stesura della Diagnosi. È uno strumento importante, insieme al Profilo di funzionamento, per la
buona stesura del Piano Educativo Individualizzato dal momento che in essa si fa una panoramica della
situazione del bambino, si cerca di conoscerne i vari aspetti, i punti di forza e di debolezza, le risorse e i
vincoli. La Diagnosi ha un taglio esclusivamente clinico-medico: valuta l’eziologia, la patologia, la
manifestazione clinica, senza coglierne le conseguenze, ed è effettuata attraverso l’uso della classificazione
ICD (International Classification of Deseases) attualmente alla sua decima revisione. Innanzitutto, per
Diagnosi Funzionale si intende. Infatti non è possibile effettuare un intervento su un bambino senza
conoscerne anche gli aspetti più clinici che possono influenzare il suo comportamento. Per questo si parla

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di Diagnosi Funzionale, in quanto definisce i livelli di funzionalità del soggetto, permettendo di giungere ad
una sua conoscenza più approfondita. Essa diviene funzionale, in quanto utile alla progettazione di attività
didattiche opportune per l’alunno.

06. Definisca il Profilo Dinamico Funzionale.

È un documento con caratteristiche analitiche - descrittive: in esso si registrano i possibili livelli di risposta
dell’alunno con disabilità al contesto e il prevedibile sviluppo nei tempi brevi e nei tempi lunghi. Questo
permette una revisione ed una correzione in itinere del profilo, a seconda dei cambiamenti e delle esigenze
che riporta l’alunno. L’intento che deve muovere nella compilazione del Profilo è la valorizzazione, in modo
coerente e in termini di costruttiva problematicità, l’unicità ma anche l’estrema plasticità dell’identità della
persona. La compilazione del Profilo dinamico funzionale prevede il susseguirsi di diverse fasi : 
sintetizzare i risultati della Diagnosi;  individuare degli obiettivi a lungo termine che si potranno
concretamente inserire in una programmazione di attività scolastiche. Confermati questi, devono essere
stabilite le attività concrete di insegnamento sulla base anche di tecniche educative-didattiche;  scegliere
obiettivi piú accessibili a medio termine da raggiungere nell’arco di alcuni mesi che diventano gli obiettivi
effettivi su cui si inizia a lavorare;  creare una serie di obiettivi a breve termine con incrementi di difficoltà:
si definiscono cosí modi concreti per aiutare l’alunno, con attività specifiche sia che si tratti di adattamenti e
modifiche, sia che si tratti di attività e materiale piú specifico.

Il Profilo diventa cosí uno strumento di raccordo tra gli aspetti inerenti dalla Diagnosi e la definizione di
attività, tecniche, mezzi e materiali: il Profilo costruisce una sintesi integrata che permette di comprendere
le caratteristiche dell’alunno trasformandole in obiettivi. Richiesto dalla Legge 104/1992, il Profilo Dinamico
Funzionale deve evidenziare sia le difficoltà che l’alunno presenta nei diversi settori di attività, sia le
potenzialità di sviluppo (a breve e medio termine), desunto dalle diverse sfere di sviluppo:  cognitivo (il
livello di sviluppo raggiunto ma anche le strategie utilizzate);  affettivo – relazionale (l’area del sè, il
rapporto con gli altri, le motivazioni delle relazioni e le modalità di relazione);  comunicazionale (le
modalità, i contenuti e i mezzi e le strategie utilizzati nell’interazione comunicativa);  linguistico (la
comprensione e l’uso del linguaggio verbale e scritto, il pensiero verbale e le modalità alternative);
sensoriale (funzionalità visiva, uditiva, tattile);  motorio – prassico (motricità globale, motricità fine); 
neuropsicologico (le capacità mnestiche, intellettive, spaziotemporale);  autonomia;  apprendimento
(esaminare, in relazione all’età, la capacità di lettura, scrittura, calcolo, ecc.).

07. Come può essere definita la connessione tra la Diagnosi Funzionale ed il Profilo Dinamico Funzionale?

All’individuazione e alla segnalazione da parte dello specialista dell’alunno come persona con disabilità,
segue la stesura della Diagnosi. È uno strumento importante, insieme al Profilo di funzionamento, per la
buona stesura del Piano Educativo Individualizzato dal momento che in essa si fa una panoramica della
situazione del bambino, si cerca di conoscerne i vari aspetti, i punti di forza e di debolezza, le risorse e i
vincoli.

Lez 35

08. Definisca le caratteristiche del Progetto Educativo Individualizzato (PEI).

Il Progetto Educativo Individualizzato, o Piano educativo individualizzato (indicato con l’acronimo P.E.I.), è il
documento nel quale vengono descritti gli interventi integrati ed equilibrati tra di loro, predisposti per
l'alunno in situazione di handicap, in un determinato periodo di tempo, ai fini della realizzazione del diritto
all'educazione e all'istruzione, di cui ai primi quattro commi dell'art. 12 della Legge n. 104 del 1992. Il Piano
Educativo “descrive gli interventi equilibrati ed integrati tra di loro” proposti concretamente da ciascun
componente del gruppo di lavoro e “punta a sollecitare un progetto di vita globale per la persona che c’è,
nella sua unità e globalità, consapevole che essa è in divenire e possiede comunque risorse originali,

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sorprendenti e creative, che è professionalità scoprire e valorizzare” . Resta perciò una questione
importante: non bisogna fermarsi al mero insegnamento di una nozione o seguire in maniera categorica la
programmazione didattica, occorre andare oltre, leggere e comprendere le esigenze dell’alunno, e cercare
di creare un nesso tra la vita scolastica e la vita quotidiana. Soprattutto ascoltando i vissuti dei genitori di
figli con disabilità ci si accorge che c’è l’idea che non si è capaci di vedere i figli adulti, proiettandosi nel
futuro. Bisogna invece iniziare a muoversi dentro una percezione di possibilità che deve essere immaginata,
deve acquistare una forma e diventare oggetto di una realizzazione nel futuro; bisogna uscire dall’idea che
il soggetto disabile resterà sempre un <>. Per l’insegnante invece può essere difficile non restare
imprigionato nel dover seguire un programma didattico. È il P.E.I. il documento allora su cui si concentra
tutto il processo formativo e che fornisce tanto indicazioni di natura procedurale per l’educazione e
l’istruzione, quanto un referente per un costante controllo degli interventi. Ha caratteristiche di
“temporaneità”, in quanto soggetto a continue revisioni sulla base del modificarsi della situazione
educativa, e una funzione “descrittiva”, perchè contiene un rapporto dettagliato degli interventi. Anche per
il P.E.I. sono fondamentali verifiche periodiche per valutare i diversi interventi, l’influenza esercitata
dall’ambiente scolastico sull’alunno, se i vari interventi sono realmente correlati con le potenzialità che
l’alunno dimostra di volta in volta di possedere.

09. Qual è il principale obiettivo che ci si pone curando l'ambiente dove si imposta un progetto educativo?

. L’obiettivo è dunque quello di potenziare questi contesti che favoriscono uno stile di vita normale del
bambino con disabilità, e lo considerano soggetto attivo e partecipante della vita comunitaria in generale. Il
contesto deve essere adattato in modo ragionevole ai bisogni specifici del bambino con disabilità: esso
deve costituire una risorsa potenziale al raggiungimento di livelli di realizzazione e autonomia, difficilmente
raggiungibili in condizioni contestuali meno favorevoli, garantendo così il godimento e l’esercizio di diritti
umani fondamentali. In particolare, nel contesto scolastico, quando si stila il Progetto Educativo
Individualizzato, si elaborano obiettivi; si identificano spazi, tempi, persone, risorse, metodologie; si
adattano testi scolastici e materiali didattici; si ricercano le tecniche e le strategie didattiche più adeguate;
tutto giusto e utile, ma solo questo non basta. Dare importanza ai fattori ambientali vuol dire anche tutto
questo, ma non solo: spesso ci si limita a materiali e sussidi concreti, senza invece considerare quanto gli
atteggiamenti e la presenza dell’insegnante stesso, come quelli dei compagni di classe, per esempio,
influiscono e condizionano il bambino. Sono tante quindi le variabili che incidono in maniera rilevante
sull’individuo, e questo sottolinea ancora una volta l’importanza di considerare l’ambiente per
comprendere e favorire il funzionamento della persona con disabilità; un ambiente che non si riferisce solo
al mero contesto naturale o fisico, come spesso si crede, ma che comprende una varietà di elementi,
compresi quelli relazionali e culturali.

10. Perché risulta fondamentale la cura dell'ambiente al fine di un buon progetto di inclusione scolastica?
La Diagnosi Funzionale e il Profilo Dinamico Funzionale, appena descritti, sono due delle componenti
fondamentali di un Progetto Educativo Individualizzato, che corrispondono rispettivamente al momento
conoscitivo dell’alunno e dei suoi bisogni, e al momento di definizione degli obiettivi educativi. Un
intervento educativo diviene efficace se è il più possibile allargato e se è collettivamente condiviso: questo
è il punto di partenza per evitare che il soggetto si senta escluso, ma anzi, che si senta coinvolto e parte
integrante di un percorso condiviso. Per fare ciò è opportuno considerare tutti i diversi contesti nei quali è
inserito l’alunno con disabilità, le variabili che incidono sul soggetto ed anche le persone con le quali egli è
in contatto e in relazione. Quest’ultimo, l’aspetto relazionale, è quello più rilevante: nella vita di tutti i giorni
la persona con disabilità si trova in situazioni di relazione con altri soggetti, quali familiari, amici, insegnanti,
compagni di classe, vicini di casa, eventuali operatori sanitari; con essi si creano reciproche influenze,
interazioni e condizionamenti. È altresì importante che si progetti un intervento che non sia limitato al qui
ed ora, come spesso accade quando si parla di soggetti con disabilità: è invece opportuno aprire l’orizzonte,
volgere uno sguardo al futuro per costruire un progetto di vita verso l’indipendenza del ragazzo

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Lez 40

05. Definisca di cosa si deve tener conto per la scelta degli obiettivi di intervento concordati con la famiglia
della persona con disabilità.

Diventa fondamentale creare un’alleanza con la famiglia: • non si può parlare di intervento psicoeducativo
se non si prende in considerazione la famiglia come principale ambiente educativo e come principale risorsa
per il bambino; • l’alleanza con la famiglia si configura in tutti i passaggi della presa in carico; • nel percorso
di alleanza con le famiglie è prioritario partire dalla risorse e non dalle difficoltà in una logica di
empowerment (collaborazione e potenziamento delle risorse già esistenti). Per prima cosa possiamo
coinvolgere le famiglie nel processo di valutazione. Tra l’altro è una cosa già prevista dai decreti attuativi
della Legge 104/92 per la stesura del profilo dinamico funzionale. Alcuni strumenti di assessment ci aiutano
in quanto sono già “predisposti” secondo questo modello: ad esempio, le scale Vineland per il
comportamento adattivo, oppure le scale di sviluppo che prevedono un confronto con i genitori per
l’ottenimento di determinate informazioni . Perché una valutazione così strutturata è un vantaggio? •
Perché la valutazione avviene a partire da dati condivisi, • Perché la valutazione non è percepita come
qualcosa “calato dall’alto”; • Perché la valutazione non venga percepita come un giudizio a cui
contrapporsi. Inoltre, la restituzione del risultato della valutazione funzionale, se effettuata secondo
modalità chiare e rispettose dell’equilibrio famigliare, può anch’essa concorrere all’alleanza fra
professionisti e famiglia. A seguito della valutazione, la scelta degli obiettivi concordati con la famiglia, deve
tener conto: • Del livello di funzionamento del bambino • Della sua età cronologica • Delle esigenze
presenti nel suo contesto di vita • Degli “apprendimenti che lanciano nuovi apprendimenti” (pivotal
behaviors) • Della motivazione del bambino Alcuni obiettivi saranno realizzabili soprattutto nel contesto di
vita del bambino e richiederanno in modo particolare l’alleanza con la famiglia. Esempi di obiettivi che
possono essere realizzati solo attraverso la collaborazione con la famiglia: • Autonomie personali • Gioco e
tempo libero • Comunicazione • Socializzazione al di fuori dalla scuola

06. Definisca il parent training.

Ora presentiamo brevemente una metodologia particolare di intervento a favore della famiglia: il parent
training. A partire dagli anni ’70 la tecnica del parent training è stata utilizzata per vari disturbi dell’età
evolutiva. Attualmente la maggior parte dei programmi di parent training enfatizzano la natura
collaborativa della relazione fra genitori e professionisti. La funzione del professionista nel parent training è
molto vicina più vicina a quella di un coach della funzione genitoriale che a quella di un esperto che dà
consigli su come gestire al meglio i propi figli. Il professionista però è un ESPERTO NEI PROBLEMI DEL
BAMBINO. Ciò che può variare nei vari programmi sono i contenuti: questo perché i programmi possono
essere indirizzati a problemi diversi, o a tipologie diverse di bambini. Possiamo avere dei contenuti
informativi, oppure rivolti alla modificazione del comportamento del bambino, oppure rivolti allo sviluppo
delle competenze relazionali fra genitori e figli, oppure ancora rivolti allo stile di coping genitoriale Molto
spesso, in un programma di parent training possono coesistere più contenuti, e questo avviene soprattutto
quando il programma è rivolto ai genitori di bambini che presentano problemi complessi. Non esiste un
“parent training standard”, così come non esiste un trattamento riabilitativo standard. Il primo passaggio
consiste in una valutazione dei bisogni e delle risorse dell’utenza. Dopo la valutazione dei bisogni /risorse,
bisogna pianificare il percorso: metodologia (primo fra tutti: elemento di riconoscibilità per il gruppo),
risorse, strategie, strumenti. Alla fine del percorso è importante fare una valutazione degli esiti, così come
si dovrebbe fare nei trattamenti riabilitativi.

07. Definisca come strutturare al meglio un rapporto di alleanza tra Famiglie e Servizi

La collaborazione tra famiglia e Servizi deve strutturarsi tenendo in considerazione i seguenti punti: • il
professionista insegna al genitori in quanto esperto nella patologia, nelle tecniche e nelle procedure; • il
genitore insegna al professionista in quanto esperto del proprio bambino; • il professionista e il genitore si

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sostengono emotivamente in modo reciproco; • il professionista e i genitori sono alleati per l’ottenimento
di diritti/tutele a favore dei bambini

Lez 41

07. Cosa significa occuparsi di inserimento lavorativo di una persona con disabilità?

Occuparsi dell’inserimento lavorativo di persone con disabilità significa favorire il concretizzarsi di una
prospettiva occupazionale, ma anche concorrere alla ricostruzione di un’identità personale, sociale,
lavorativa (e quindi adulta), troppo spesso fragile, disgregata, insicura o addirittura inesistente. L’attenzione
non è più su quello che la persona non è in grado di fare in relazione ai suoi deficit e difficoltà, ma si dà
evidenza ed importanza alle sue possibilità di funzionare in un contesto lavorativo, che sia adatto ad
accogliere la persona nella sua interezza, valorizzandone le abilità. L’inserimento in gruppi produttivi
costituiti da lavoratori adulti determina infatti per queste persone la possibilità di giocare un ruolo adulto,
in una “situazione” adulta come è quella del mondo del lavoro, all’interno della quale le relazioni sono
finalizzate ad un compito produttivo e tessute su aspettative che devono rispettare elementi quali la
reciprocità, l’affidabilità, la prevedibilità, la responsabilità, il rispetto delle norme, la supremazia del
razionale sull’emotivo

08. Definisca le caratteristiche dell'inserimento lavorativo.

Parlare di inserimento lavorativo di persone con disabilità significa addentrarsi in un ambito di studio e di
applicazione di modelli professionali complessi. Questa complessità è determinata dalla necessità di seguire
le disposizioni vigenti di legge e di operare, nel quadro così definito, per cercare di risolvere un problema
articolato: trovare un buon posto di lavoro per le persone con difficoltà particolari, seguendo l’idea che
ciascuna persona abbia il diritto ad un’occupazione conforme alle proprie capacità ed alle abilità che ha
acquisito negli anni. A partire da una prospettiva universale, interattiva e multidimensionale, l’obiettivo
primario che si pone questa lezione è quello di andare ad indagare le strette relazioni esistenti tra mondo
del lavoro e disabilità nell’ottica di un’integrazione sempre più possibile. Cercheremo di descrivere in che
modo il lavoro è definibile come un facilitatore nella diminuzione della disabilità ed il risultato di un lavoro
di accompagnamento verso la vita indipendente che inizia sin dai tempi della riabilitazione in età evolutiva
e della scuola. Il tutto sempre tenendo in considerazione l’assunto base da cui parte questa riflessione: non
è fondamentale la diagnosi di una persona, ma come essa funziona e come l’ambiente interagisce con lei.

09. E' possibile parlare anche di produttività in ambito di disabilità e lavoro?

Lez 42

08. Definisca i principali passaggi storici sul tema lavoro nella definizione della persona.

Sin dall’inizio dell’800 l’inserimento in attività lavorative è stata una delle prime forme terapeutiche per i
cosiddetti “diversi”: a testimonianza di ciò Cerati (1993) riporta che, nel 1813, un medico degli Stati Uniti,
riferendosi ad alcuni suoi pazienti psichiatrici, scriveva “probabilmente uno degli strumenti più efficaci per
stimolare la capacità di autocontrollo del paziente è un lavoro regolare". Nel primo dopoguerra del secolo
scorso, venne poi introdotto negli ospedali psichiatrici italiani il concetto di “ergoterapia” (così come riporta
puntualmente una pubblicazione del 1961 dell’ospedale di Firenze) e il principio che “con l’ergoterapia il
malato valorizza sé stesso, riesce a convincersi di essere ancora capace ed utile quando, con la propria
operosità, sa di concorrere alla prosperità dell’istituto che amorevolmente l’accoglie. […] Inoltre con il
lavoro si creano condizioni particolarmente adatte per l’igiene sia spirituale che organica del malato, se ne
stimola l’orgoglio, si crea l’emulazione e l’esempio”. In tempi più recenti, le considerazioni post-moderne
sul ruolo del lavoro nella definizione della persona all’interno della società sembrano essere concordi sul
fatto che l’attività lavorativa resta il fattore più importante per la costruzione della certezza sociale nella
crisi della società moderna. Per dirla con Schlesky (Mentasi M., Parolini L.,Re E., 2000), vi sarebbero solo

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due campi di vita in cui l’uomo moderno fa esperienze che gli consentano di valutare direttamente ed in
prima persona i propri successi ed insuccessi: la famiglia e il lavoro.

09. Perché il lavoro è un bisogno dell'uomo?

Negli ultimi anni, il significato, la funzione ed il ruolo del lavoro per le singole persone e per la società civile
sono al centro del dibattito della comunità. Ciò che viene più volte sottolineato è, da un lato, che il lavoro
rimane, in ogni caso, il motore principale dell’integrazione e della coesione sociale e, dall’altro, che
l’identità e la realizzazione personale trovano un forte sostegno proprio nel riconoscimento sociale
derivante dal lavoro. Il lavoro, implicando un continuo confronto con il reale (Lhuiler, 2002), è la scena
dove, in modo simultaneo e dialettico, si giocano il rapporto con sé stessi (reale psichico), il rapporto con gli
altri (reale dei rapporti sociali) e il rapporto con il contesto sociale (ambiente) più allargato. Centrale è, in
primis, il rapporto con sé stessi, perché è là che la persona viene chiamata, con le sue risorse, le sue
capacità, i suoi desideri coscienti e non, le sue motivazioni e, perché no, i suoi limiti intrinseci.
Secondariamente, è rilevante il rapporto con l’altro (gli altri), giacché l’attività lavorativa presuppone un
coordinamento e un riconoscimento che provengono dall’altro, ma anche una negoziazione, una co-
costruzione tra l’investimento di desideri personali e di validazioni sociali (divisioni dei compiti, prescrizioni,
cooperazioni, ruoli, mansioni, ecc.). Da ultimo, il fatto che il lavoro è un rapporto con il reale in senso lato,
in quanto implica un continuo “incontro con l’inatteso”, con situazioni e problemi nuovi, questioni e
domande alle quali non si sa come rispondere, per le quali non si è del tutto preparati (Valera, 2005). Il
lavoro, connotabile come esperienza simbolica, offre all’individuo “la possibilità di esprimere
concretamente le sue potenzialità espressive e di discorso sociale produttivo” (Lhuiler, 2002); non lavorare
significa vivere quindi senza una parte della propria identità sociale adulta (che da Freud stesso è definita
come possibilità/capacità di amare e lavorare), senza legittimazione di ruolo e di status, senza codici di
appartenenza: in altri termini, essere “clandestini” dentro il sistema sociale o comunque emarginati e, nel
peggiore dei casi, discriminati. Da non tralasciare il fatto che, disporre di un reddito personale che il lavoro
consente di ottenere e di spendere, offre le opportunità di base per essere più facilmente in grado di
articolare e costruire le proprie e necessarie relazioni sociali. Il lavoro è quindi un bisogno dell’uomo, cioè
uno di quegli aspetti apparentemente particolari - come quello dell’amicizia, del vero, del bello, dell’amore,
dell’arte e della natura - ma che hanno come caratteristica fondante quella di costituire una spinta alla
realizzazione di tutta la persona. A partire da questa concezione di persona e di lavoro emerge con
chiarezza che, se è indiscussa la centralità del lavoro per il benessere del singolo individuo, a maggior
ragione questo diventa lo strumento essenziale per la promozione e l’integrazione sociale delle persone
con disabilità.

10. Quali sono le ricadute positive connesse ad una buona esperienza lavorativa per una persona?

Il lavoro, dal canto suo, resta l’ambito in cui l’uomo è ancora autonomo nella sua esperienza di sé; viene
letto come un’attività, una condizione unica nel dare senso alla propria quotidianità, poiché consente di
vivere dignitosamente la vita sociale, nella piena ottemperanza di tutti i doveri e nella totale rivendicazione
dei diritti detenuti. Ciò che il lavoro costringe a fare è guardare alla persona nella sua complessità di bisogni,
desideri, aspirazioni, ma anche limiti. Nell’ottica di una progettualità da costruire “con” l’altro, il lavoro
sostiene la persona con disabilità, non pietisticamente, ma realisticamente costringendola a mettere in
gioco in prima persona quelle che sono le sue capacità e funzionalità, allo scopo di raggiungere l’obiettivo
socialmente costruito. L’uomo non conosce sé stesso quando pensa a sé stesso, ma percepisce le sue
facoltà, quello di cui è capace, il suo valore di persona, lavorando, “in actu exercitio” per dirla con Tommaso
d’Aquino (Quaestiones Disputata de Veritate, q. X, art.8,c). Un uomo conosce il proprio Io solo in azione, nel
mentre di una condotta; per questo condividiamo il pensiero di coloro che dicono che un individuo, senza
lavoro, e in senso più generale senza “azione”, conosce meno di sé stesso, smarrisce il senso del proprio
vivere e quindi anche il fatto di essere riconosciuto come persona. L’uomo non conosce sé stesso quando
pensa a sé stesso, ma percepisce le sue facoltà, quello di cui è capace, il suo valore di persona, lavorando,

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“in actu exercitio” per dirla con Tommaso d’Aquino (Quaestiones Disputata de Veritate, q. X, art.8,c). Un
uomo conosce il proprio Io solo in azione, nel mentre di una condotta; per questo condividiamo il pensiero
di coloro che dicono che un individuo, senza lavoro, e in senso più generale senza “azione”, conosce meno
di sé stesso, smarrisce il senso del proprio vivere e quindi anche il fatto di essere riconosciuto come
persona. La psicologa Marie Jahoda (Palmonari E., 1993) descrive bene quelle che sono le funzioni del
lavoro: accanto a una funzione “esplicita” di carattere economico (il denaro necessario per far fronte alle
proprie esigenze di vita, che deriva dal contratto di scambio che l’individuo stipula con il datore di lavoro),
ella individua alcune attività “latenti” tra le quali il fatto che il lavoro provveda ad una strutturazione del
tempo quotidiano, assicuri regolari esperienze significative di interazione sociale al di fuori della famiglia,
permetta di rispondere al bisogno di agire sul proprio ambiente, determini una diretta connessione tra
mete individuali e scopi sociali e, ultimo ma più importante, contribuisca alla definizione di aspetti
importanti dello status sociale e dell’identità personale. A questo proposito Jahoda afferma come
“l’esperienza lavorativa può procurare soddisfazione per i risultati raggiunti; può fornire riscontri positivi sui
propri progetti di vita e può rappresentare un punto di riferimento per riconoscersi, per arricchire o
confermare il proprio modo di concepire sé stessi, nella concreta situazione che si sta vivendo”.

Lez 43

07. Cosa si intende per collocamento mirato?

Per collocamento mirato dei disabili si intende quella serie di strumenti tecnici e di supporto che
permettono di valutare adeguatamente le persone con disabilità nelle loro capacità lavorative e di inserirle
nel posto adatto, attraverso analisi di posti di lavoro, forme di sostegno, azioni positive e soluzioni dei
problemi connessi con gli ambienti, gli strumenti e le relazioni interpersonali sui luoghi quotidiani di lavoro
e di relazione.

08. Quali sonoi principali benefici del collocamento mirato?

Le principali misure a favore delle persone disabili in età lavorativa sono le seguenti: ●sono previste quote
di assunzione obbligatorie per le aziende sia pubbliche sia private, scaglionate secondo il numero di addetti.
Il sistema prevede, inoltre, il monitoraggio dell’adempimento delle quote obbligatorie in caso di
peggioramento della disabilità o di rinuncia del lavoratore disabile; ●creazione di strutture tecniche
regionali e provinciali di supporto per valutare le capacità lavorative dei disabili e le loro possibilità di
inserimento nel contesto lavorativo; ●l’iscrizione delle persone disabili che siano disoccupate ed aspirino a
un’occupazione conforme alle proprie capacità lavorative in un apposito elenco speciale; ●sgravi fiscali per
le aziende che assumono persone disabili e la possibilità per le aziende di firmare convenzioni con i servizi
pubblici per il collocamento mirato dei disabili; ●istituzione di Fondi Regionali per interventi a favore
dell’occupabilità di persone disabili. Questi Fondi sono finanziati dalle sanzioni amministrative e dai
contributi dei datori di lavoro previsti per legge e dovrebbero ridurre i contributi d’imposta per strutture
che supportano attivamente l’integrazione dei disabili; ●attivazione di servizi di supporto e misure di
accompagnamento per i disabili sul luogo di lavoro; ●predisposizione di interventi formativi per
l’inserimento lavorativo dei disabili.

09. Quali sono le principali caratteristiche delle Cooperative di tipo B?

Le cooperative sociali sono imprese che nascono con lo scopo di perseguire l’interesse generale della
comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini (art. 1 Legge 391/1991). Questo
scopo è raggiunto attraverso le gestione di servizi socio-sanitari ed educativi e lo svolgimento di attività
diverse, finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate. 2. Cooperative sociali di tipo B:
svolgono attività produttive finalizzate all’inserimento nel mondo del lavoro delle persone con svantaggi
fisici o psichici, le ragazze madri, ex detenuti, ex tossicodipendenti, ecc. Le cooperative sociali di tipo B
possono svolgere qualsiasi attività di impresa (agricola, industriale, artigianale, commerciale e di servizi) con

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l’obiettivo di destinare almeno il 30% dei posti di lavoro così creati a persone svantaggiate, altrimenti
escluse dal mercato del lavoro. Le persone disabili devono costituire almeno il 30% della compagine sociale.
Le Cooperative sociali di tipo B sono imprese a tutti gli effetti che mettono a disposizione servizi e personale
specializzato, oltre ad effettuare inserimenti lavorativi di soggetti svantaggiati in strutture con
caratteristiche imprenditoriali. Questo modello imprenditoriale ha risposto ai bisogni ed alle esigenze
espressi da cittadini svantaggiati sia in ambito lavorativo, che di partecipazione attiva nella società. • Soci
ordinari che esercitano un’attività retribuita (che devono rappresentare la maggioranza dei soci aventi
diritto di voto); • Soci volontari (in misura non superiore al 50% del numero complessivo di soci) che, come
nelle Organizzazioni di Volontariato, hanno diritto solo al rimborso delle spese; • Persone giuridiche
pubbliche e private; • Soci “persone svantaggiate” che, compatibilmente con il loro stato di salute fisica e
psichica, partecipano alla attività lavorativa degli altri componenti la base sociale. Il numero di tali soci deve
essere pari almeno al 30% dei lavoratori (soci e non soci) della cooperativa.

Lez 44

07. Cosa si intende per matching domanda/offerta in riferimento al lavoro per una persona con disabilità?

Il matching domanda/offerta (o mansione/candidato, lavoratore con disabilità/azienda che dir si voglia),


nelle sue linee generali ed essenziali, si realizza attraverso una sorta di “patto” con l’impresa che si
concretizza nella presa in carico, da parte del promotore, del cliente-utente con disabilità fino al momento
in cui la sua “occupabilità” non risponde ai bisogni dell’impresa stessa e diviene per quest’ultima, a buon
diritto, un investimento sicuro. Si tratta quindi di favorire l’incontro tra la soggettività della persona (abilità
utilizzabili, conoscenze specifiche, capacità relazionali, aspettative relative al lavoro) e l’oggettività
dell’azienda (caratteristiche ambientali specifiche, strumenti di lavoro, compiti che il lavoro richiede, vincoli
strutturali e relazionali, abilità implicate nello svolgimento del compito) mediante la definizione di un
programma personalizzato che sia il riflesso delle due componenti. In altri termini, quello del matching è un
percorso che parte dall’individuo e dall’analisi delle sue attitudini e competenze e che, in parallelo, assuma
come riferimento costante il contesto aziendale e lavorativo nel quale il soggetto potrebbe operare.

08. Perché risulta fondamentale la necessità di un inserimento lavorativo "mediato"?

La necessità di un inserimento “mediato” è invece, come sottolinea puntualmente Montobbio da più di


vent’anni (Montobbio E., Navone A.M., 2003) con la professionalità di quello che chiama “operatore della
mediazione”, il presupposto fondante per una reale integrazione lavorativa, intesa come processo e
progetto di adattamento che riconosca le difficoltà dell’individuo con disabilità ed elabori strumenti e
tattiche per superarla. Sulla scia di questi principi teorici di base, sono da tenere in considerazione alcune
condizioni che facilitino l’approccio al mondo del lavoro delle persone con disabilità. Sottolineiamo come
sia necessario innanzitutto individuare una pluralità di forze (Stato, Regioni, Enti locali, associazionismo,
aziende e sindacati) che devono attivarsi e coordinarsi, lavorando “in rete”, ognuno per la sua parte, ma
all’interno di un progetto che sia necessariamente globale. In un’ottica non suppletiva, ma di reciprocità,
secondo il Principio di sussidiarietà, che persegua una lettura dei bisogni ed una progettualità di risposta
vista da più angolature e quindi più ricca e creativa: questa nuova metodologia di lavoro, ben radicata sul
territorio di appartenenza, vede insieme competenze, saperi e professionalità diverse e diversificate che
contribuiscano al raggiungimento di obiettivi specifici e condivisi. In secondo luogo, una condizione
“economica”, inevitabile è che il lavoro sostenuto sia, senza dubbio, ottimizzante del rapporto costibenefici,
sia dal punto di vista quantitativo delle aziende, ma anche, e soprattutto, da quello qualitativo. Così come
dimostrano e confermano la maggior parte delle ricerche effettuate (Agfol, 2000) negli ultimi venti anni,
sfatando luoghi comuni e dicerie prive di rigore scientifico, quello dell’ottimizzazione costi-benefici, sembra
essere un obiettivo pienamente raggiunto laddove si lavori propositivamente all’inserimento lavorativo
delle persone con disabilità.

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09. Quali sono le nuove possibilità in Italia connesse all'inserimento lavorativo per una persona con
disabilità?

Nel corso degli anni sono emerse, perlomeno in Italia, nuove possibilità metodologiche e nuovi strumenti
che, da un lato, ben si adattano ai cambiamenti di scenario socio-legislativo e, dall’altro, sono sempre più
corrispondenti alle esigenze reali dei datori di lavoro e dei soggetti da introdurre al mondo del lavoro. Tra
questi, il tirocinio (formativo, prelavorativo o anche lavorativo), chiamato anche borsa di lavoro o stage, che
consente al soggetto di conoscere l’azienda e, allo stesso tempo, all’azienda di prendere contatto con il
soggetto, in modo da verificarne l’effettiva possibilità di condurre un inserimento destinati ad aver
successo. Temporalmente antecedente ai tirocini, ma strettamente collegato (talvolta addirittura parte
integrante) ad essi, è l’attività di osservazione, che consiste in progetti volti a condurre, con una
metodologia attendibile, una valutazione preliminare delle capacitàpotenzialità del soggetto svantaggiato.
Lo scopo è quello di definire le risorse su cui è possibile far leva e individuare, successivamente, un percorso
di formazione e/o inserimento lavorativo. Infine, uno strumento di inserimento lavorativo che sintetizza,
per la globalità della proposta che fa, quelli citati fino ad ora è costituito dai progetti di formazione
professionale, capaci di promuovere un pieno sviluppo delle abilità e delle competenze nell’ottica della
qualità di vita della persona disabile; non, come si potrebbe credere, un approccio superficiale che valuti
come suo nucleo centrale la sola questione medico-funzionale, ma che consideri il soggetto nella sua
unicità e complessità bio-psico-socioeducativa.

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