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LEZIONE 01/04

Differenza tra popolare e autoriale.

Il saggio di Vittorio Imbriani del 1875 rilanciò l’interesse del cunto de li cunti. Imbriani è importante anche
perché apparteneva ad una famiglia napoletana di patrioti. In vario modo i tre fratelli Imbriani si
schierarono contro il potere borbonico, patendone la persecuzione. Imbriani si formò in Germania, con una
fortissima formazione filologica e si dedicò alla politica e alla letteratura negli anni 60 e 70 dell’800. Tra le
operazioni realizzate da Imbriani, quella più importante fu quella di raccoglitore di racconti popolari. Nel
caso del sud Italia la sua raccolta fu localizzata ad unico piccolo territorio ma non si limitò alla cultura
popolare meridionale: pubblicò “la novellaja milanese” e “la novellaja fiorentina”, raccolte di racconti
popolari settentrionali e toscani, qualificandosi come uno dei rappresentanti della demopiscologia (oggi
etnologia o antropologia culturale). Carattere duplice dell’identità di Imbriani: da un lato ricerca prodotti
popolari e pubblica le raccolte di racconti; dall’altra l’operazione di Imbriani all’interno di un interesse
complessivo nei confronti del popolo, nella sua psicologia e nella sua cultura. L’attenzione nei confronti del
popolo è intrecciata con la nascita del nazionalismo. Il fatto che il concetto di nazione si affermi sempre più
in Europa, comporta subito una conseguenza e cioè la comprensione del popolo che corrisponde a quella di
nazione: se esiste la Francia, chi è il popolo francese? Quali sono le loro abitudini? E così anche per l’Italia,
anche se con una forte differenziazione regionale. In Francia ed in Gran Bretagna o in Spagna, esisteva un
forte uniformità linguistico culturale. Le nazioni con una differenza più marcata erano la Germania e l’Italia.
La Germania era resa compatta da una lingua effettivamente condivisa, il tedesco moderno inventato da
Lutero che aveva tradotto la Bibbia in tedesco, mentre in Italia la Bibbia era ancora in latino. Quindi, se
Germania e Italia condividevano soltanto il fatto di un’unità statale tardiva (entrambe arrivano negli anni 60
all’unità) e una suddivisione territoriale significativa, la Germania possedeva in più un tratto di condivisione
linguistico culturale con la religione protestante in gran parte degli stati dell’epoca, cosa che in Italia era più
difficile da realizzare. Erano tutti cattolici ma le parlate locali differenziavano moltissimo e la circolazione dei
prodotti culturali non era garantita da un codice linguistico comune. La scelta di raccogliere racconti
popolari implicava il problema di veicolarle in una certa lingua comprensibile: o le si metteva a disposizione
nel dialetto locale o si poneva il problema di una normalizzazione linguistica. Quindi, il fatto che Imbriani
avesse una forte formazione filologica, una grande competenza linguistica e un forte sentimento
patriottico, l’interesse per la costituzione di una comune identità culturale italiana partiva da un interesse
nei confronti delle tradizioni popolari.

[Lettura file lezione 1 aprile “A) Popolare e autoriale, A1---Imbriani]

Il primo aspetto che Imbriani mette in evidenza di Basile è che c’è da una parta forma adatta ai racconti
impersonali e al tempo stesso suggello della personalità propria. Jolles parla del problema della forma
semplice e della sua coerenza rispetto alle esecuzioni individuali e la differenza tra novella e fiaba: tutte due
sono forme ma la novella è una forma artistica e reca il suggello dell’autore e la forma semplice, la fiaba, è
espressione collettiva e anonima. Da questa contrapposizione, Imbriani mette in evidenza il fatto che esiste
una forma adatta a questi racconti impersonali che hanno allo stesso tempo una specificità individuale.
Impersonalità/stile individuale, aspetti contemporaneamente presenti in Basile, dice Imbriani. Tipico
dell’arte popolare è proprio il suo valore “tipico”, la mancanza di individuazione che è esattamente il
contrario di uno stile individuale. Appena aggiungiamo un nostro tratto personale facciamo morire l’incanto
del funzionamento del linguaggio autonomo della fiaba popolare, come Jolles dirà dopo Imbriani
(autocorrezione della forma fiabesca-> se c’è un eccesso stilistico individuale, nella trasmissione successiva
la tradizione popolare torna a manipolare quel racconto e gli toglie la sigla troppo soggettiva). Di fronte a
questa dimensione di mancanza di individualità che Imbriani ha colto la cosa migliore è stenografarle
(registrazione grafica di un enunciato orale) così come vengono dette e pubblicarle in quel modo. Assicura
una forma di registrazione ravvicinata all’esecuzione orale e non si intacca l’incanto dell’espressione
popolare. Al contrario, inserirvi degli elementi che rendono omogeneo il tessuto stilistico della fiaba alla
lingua nazionale maggioritaria, significa far perdere l’incanto all’oggetto.

Da una parte c’è la voce del popolo, dall’altra c’è, in Basile, una dimensione letteraria molto consapevole. Di
questa consapevolezza, Basile si fa beffe: esiste una dimensione meta-, c’è una consapevolezza dello stile e
della sua storicità: è un elemento metalinguistico, di riflessione sulla forma. Come ha potuto distaccarsi
dalla sua cultura di gentiluomo letterato? -chiede Imbriani- con il napoletano. Il napoletano non soltanto è
una garanzia di rappresentazione diretta della voce del popolo, è anche uno strumento sofisticato che
consente l’autocontrollo. Secondo Imbriani la lingua napoletana consente da una parte la riproduzione
stenografica, quindi registrazione autentica della voce del popolo; dall’altra parte l’uso da parte di un
letterato della lingua napoletana gli consente di riflettere sui meccanismi della sua cultura (difetti ed eccessi
dello stile) e prenderne le distanze. Questo porta ad un’operazione raffinatissima, ogni volta che si ragiona
sul metodo che si usa.

Quando è che in Europa si diffonde il concetto di nazione? Nel medioevo erano tutte le persone che
condividevano la stessa lingua (la nazione catalana, la nazione napoletana). Quando è che diventa concetto
identitario? Si intreccia al cambiamento semantico della parola “popolo” che, da un livello sociale, cioè i
non aristocratici e i non preti, diventa espressione che vale per l’intera collettività di una nazione,
contenuta entro certi confini. Il cambiamento del significato di popolo e nazione si deve all’impatto della
Rivoluzione Francese. Esempio: il re di Francia veniva incoronato, prima della rivoluzione, per volontà di
dio. Alla fine della rivoluzione, nell’800, si dirà per volontà del popolo. Dall’alto al basso: è il popolo che
concede il potere. Il popolo e l’insieme degli abitanti di quel certo territorio governato dal re. Quando la
rivoluzione comincia ad essere esportata in tutta Europa, negli anni 90 del 700, anche le altre nazioni fanno
evolvere queste parole in questa direzione. Nel 1802 Fichte pubblica in Germania “discorsi alla nazione”. La
Germania che non ha una lingua neolatina, ma adotta un termine di etimologia latina(nazione) che aveva
avuto una nuova significazione attraverso la rivoluzione. Tutto ciò si incrocia con l’avvento del
romanticismo. Il romanticismo ha molte facce. Tra quelle importanti c’è un’attenzione per il concetto di
popolo perché fonda la nazione e il romanticismo da una parte esalta la soggettività individuale, ma
dall’altra parte questo soggettivismo forte è garantito dal fatto che c’è una valorizzazione dell’intera
collettività nazionale. I romantici sono stati i primi a raccogliere le fiabe popolari perché erano attenti alla
popolarità in quanto marca, elemento costitutivo della nazione.

[A2---Jolles] Jolles sintetizza la posizione dei romantici. Per Arnim il “come” raccontare, è lo specifico della
fiaba. Quando si maneggia una fiaba, questa ci spinge a raccontarla nel modo suo. Se la fiaba fosse fissata
definitivamente, finirebbe per provocare la morte del mondo delle fiabe. Una fissazione definitiva è quella
della tradizione scritta; la tradizione orale appartiene alla fluidità ma con continuità delle forme o strutture
di base. Dalla parte della tradizione orale abbiamo narratore/evento e dalla tradizione scritta abbiamo
autore/opera. Il racconto fissato definitivamente è l’opera, l’intero mondo delle fiabe è dalla parte del
narratore/evento. L’erudito vorrebbe raggiungere la condizione di chi ha ascoltato le fiabe ma non lo può
ottenere. Grimm dice che la struttura della fiaba non è stata modificata, perché c’è chi dice che la fiaba va
intesa in base al suo sistema meramente narrativo. Arnim dice che la fiaba è anche una situazione
comunicativa e quindi è anche la lingua con cui si racconta. Imbriani poteva dire, quindi, che Basile era stato
capace di fare quello che Grimm e Arnim non erano riusciti a fare: mantenere la struttura della fiaba
esistente in lingua napoletana e, dall’altra parte, dare la forma del proprio stile.

[A3---Calvino] Calvino dopo essersi affermato nel 47 con il suo primo romanzo, era entrato all’Einaudi.
Lascia il partito comunista dopo 2-3 anni, resta per tantissimo tempo nella casa editrice. Alla metà degli
anni 50 nasce un nuovo progetto dell’Einaudi che è quello di una raccolta delle fiabe nel mondo. Pubblicano
le fiabe di Andersen e una serie di altre fiabe e si pone il problema di cosa fare con le fiabe italiane: mentre
in Danimarca e Germania c’erano raccolte ottocentesche di fiabe o raccolte più antiche, le fiabe italiane non
erano mai state raccolte in quanto “italiane” (si pone sempre il problema della nazione). Calvino riceve
l’incarico di fare lui questo libro che diviene di grandissimo successo. Calvino dice che il problema era quello
della selezione delle fiabe. Esistono tante raccolte parziali di varie realtà locali o regionali e molte volte ha
trovato la stessa fiaba in diverse raccolte, in diversi dialetti. Aveva bisogno di una versione di base. Calvino
ragiona come Grimm: la fiaba resta fiaba anche se cambiano le parole, tanto la struttura è quella e non
interveniamo a modificarla. Calvino ha fatto in questo modo. La novella ha un elemento di valore aggiunto
che riguarda quel che su di essa tesse e ritesse, ogni volta, chi la racconta: il materiale che il narratore
riceve, viene poi rielaborato da quel narratore. È tutto un fare, disfare e rifare. Passando di bocca in bocca,
nella tradizione orale, ogni volta c’è una dimensione nuova. Calvino era ben consapevole di star scrivendo
un libro e di approcciare, quindi, alla tradizione scritta. C’è un fattore aggiunto nella tradizione orale che è
proprio il passaggio di novità esecutiva, di specificità che ogni volta si conferisce all’evento della narrazione.
Calvino osserva che l’intervento del narratore che talvolta incide sulla narrazione e quindi sul materiale che
maneggia, riguarda le parole e l’evento narrativo nel suo complesso. Calvino dice che lo stile è un fatto di
situazione, non solo di parole e ordine della frase. Lo stile è anche un modo in cui si introduce un certo
personaggio; è il modo in cui si sottolinea un aspetto del passaggio narrativo, per esempio. Ecco perché si
dice che ognuno tesse e ritesse. Tra l’altro è chiaro che la metafora “tessile” è alla base di “testo”. Esiste il
“filo” della storia, la “trama” del romanzo. Sono metafore tessili. Racconto assimilato all’attività artigianale
della tessitura. Propone nel 1956, nell’introduzione alla sua raccolta di fiabe italiane, una declinazione
singolare di stile. Nel 1974 scrive un intervento dedicato a Basile che si chiama “la mappa delle metafore”,
perché le metafore sono il tratto stilistico predominante nel cunto de li cunti. Tornano le espressioni affini e
analoghe a quelle di jolles: la lingua di forma vuol dire il modo che la forma fiaba impone al narratore; la
lingua d’autore è lo specifico di quell’autore lì. Se Imbriani ha detto con chiarezza che Basile ha saputo
conciliare personalità spiccata e impersonalità popolare, 100 anni dopo Calvino dice che Basile è andato
verso la lingua di forma, “tinteggiando un chiaroscuro fiabesco-caravaggesco”.

[B2---Croce] Benedetto Croce ha proposto del cunto una versione nell’edizione originale, poi l’ha tradotto
in italiano e ha riflettuto su Basile. Scrive un saggio su Basile nel 1925. Lo stile di gaiezza barocca serve per
sollevare l’autore e i suoi lettori al di sopra del livello popolare, così che il lettore si muove tra la sua cultura,
che gli permette di apprezzare lo stile, e il livello incolto che invece è la materia popolare fiabesca. Mente
evoluta e mente rozza”. Croce dice che è lo stile barocco che permette al lettore di distanziarsi rispetto al
popolare.

[B3-B4-B5] Getto. La poesia è una forma di conoscenza. Attraverso gli strumenti petrarchisti, i marinisti
attingevano a soluzioni diverse e immettevano nuove forme della vita che fino a quel momento non erano
state trattate e avrebbero allargato l’universo poeticamente conoscibile. Giorgio Fulco aveva scoperto una
serie di inediti di Basile e trova un madrigale intitolato “donna cieca ad un occhio”: la bella zoppa ma anche
la bella orba. Il lavoro poetico di Basile in lingua italiana è accostabile al lavoro di Basile in lingua
napoletana, rispetto alla fiaba. Accoglie le narrazioni che non c’erano nelle novelle, non c’erano nel
patrimonio narrativo boccacciano e rinascimentale, dunque è una immissione. Questo ha a che fare di
nuovo col problema dello stile perché trovare quel materiale nuovo, inedito, inconsueto, significava, sì,
attingere ad un certo patrimonio narrativo, ma con quale lingua letteraria? con quali soluzioni espressive
farlo?

Calvino parla del chiaroscuro fiabesco-caravaggesco: ossimoro tra fiabesco (popolare) e caravaggesco
(autoriale). Il chiaroscuro è la tecnica che notoriamente contraddistingue l’opera di Caravaggio. Basile ha
assunto da questa dimensione, di mettere in contrasto aspetti della luminosità e aspetti tenebrosi. Questo
rapporto chiaroscurale è un’operazione di autore ma ancora una volta, utilizzando materiale narrativo
autonomo(popolare) e lavorando dentro, perché il chiaroscuro c’è anche nelle fiabe. Hansel e Gretel è
palesemente chiaroscurale.

Nigro. “scarrecare la panza” (riferimento all’apertura della prima giornata). Sta rimandando ad un mondo
fecale, del basso corporeo (Bachtin) che è un altro aspetto della popolarità. La fiaba in Basile è dentro il
sistema di simulazione illusionistica, in cui la struttura della cornice narrativa esterna si rivela essere essa
stessa una fiaba. È un movimento elicoidale che svela le forme costruttive della fiaba, mostrando che la
lingua di forma (della fiaba) così come l’ha concepita Basile, è una lingua di stile, di metafore, metonimie e
antropomorfismi. Basile avrebbe individuato nello stile popolare, degli aspetti che possono caratterizzare in
profondità una retorica accoglibile anche a livello colto, un armamentario di dispositivi retorici di figure di
stile, che fanno parte della fiaba ma sono analoghe a quelle che usa normalmente un autore, un
petrarchista, un autore colto di tradizione. Nella tradizione popolare c’è qualcosa di analogo alla
produzione artistica e consapevole. Basile è stato in grado di creare un cortocircuito tra i due livelli.

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