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Lo zar rosso
AA.VV.
ISBN: 9788896034149
STALIN
Lo Zar rosso
Biografie
© 2013 Focus
ISBN 978-88-96034-14-9
Questo testo è diventato un ebook nel giugno 2013
STALIN
Ambizioso, dotato di grande fascino, il dittatore sovietico fu in realtà l’ultimo erede di un modo di
governare autoritario e centralista inaugurato 5 secoli prima dallo zar Ivan il Terribile. Sconfisse i
nazisti ma fece strage anche di chiunque gli si opponesse.
Il 21 dicembre di ogni anno Irina festeggia il compleanno del suo idolo: Stalin,
al secolo Iosif Vissarionovič Džugašvili, nome di battaglia “Koba”. Sul suo eroe
non ha dubbi: «Ha fatto della Russia una superpotenza e ha salvato l’Europa e il
mondo dal nazismo» dice. Irina non è sola, sulla Piazza Rossa. In un recente
sondaggio russo, Stalin è arrivato terzo nella top-ten degli uomini più importanti
della storia patria. È l’onda lunga di un culto della personalità imposto oltre 70
anni fa dal rivoluzionario che si fece zar.
STELLA NASCENTE.
Dal 1913 aveva scelto il nome Stalin (in russo, “d’acciaio”) ma per i compagni
più intimi continuò a essere Koba (nome in codice preso a prestito dal
protagonista di un romanzo su un ribelle del Caucaso, come lui che era nato in
Georgia).
Sul pedigree rivoluzionario dell’ex seminarista Džugašvili, oltre a sette
condanne al confino (e sei fughe) c’è, secondo voci ricorrenti, l’ombra del
tradimento: avrebbe fatto il doppio gioco, vendendo alcuni compagni alla polizia
segreta zarista. Di fatto, nel primo governo sovietico, al “magnifico georgiano”
(parole di Lenin) fu affidato il commissariato (ovvero il ministero) delle
nazionalità: come dattilografa scelse la sua futura moglie Nadja, come
segretario il fratello di lei. Era quello il nucleo della di là da venire corte dello
“zar rosso”.
Nel politburo (l’organo di governo del partito, cuore del potere sovietico)
c’erano invece gli attori del dramma che attorno a quella corte si sarebbe
consumato: Trotzkij (l’intellettuale-generale fondatore dell’Armata Rossa) e
Kamenev, che con Zinovev (influente capo dell’internazionale comunista) e lo
stesso Stalin fu “triumviro” del dopo-Lenin.
Solo lui, il leader malato, aveva colto l’ambizione di quel georgiano risoluto e di
grande fascino. In un testamento segreto chiese di allontanarlo dal potere. Ma
quando Lenin morì, nel 1924, il politburo preferì ignorare quel saggio consiglio e
lo lasciò al suo posto: segretario del comitato centrale del partito, una carica
creata nel 1922 apposta per lui e che gli garantì subito enormi poteri. Così, fu
Koba a prendere in mano la situazione in quel momento cruciale.
MODELLO VINCENTE.
«Ai funerali, Stalin lesse un giuramento di fedeltà a Lenin nonostante i violenti
contrasti che li avevano divisi pochi mesi prima» spiega Andrea Graziosi,
docente di Storia contemporanea all’Università di Napoli e autore di una
dettagliata Storia dell’Urss da Lenin a Stalin (il Mulino) basata anche su
documenti inediti. «Subito dopo, Stalin si affrettò a proporre la creazione del
culto del leader morto». Lenin doveva essere la prima divinità dell’Olimpo
rivoluzionario. A questo scopo fu imbalsamato e fatto accomodare nel mausoleo
sulla Piazza Rossa. A protestare contro l’idea – che introduceva il culto della
personalità – c’erano, in prima fila, la vedova di Lenin (che Stalin aveva già
ammonito:“Attenta, o il partito nominerà un’altra moglie di Lenin”) e Trotzkij.
«Trotzkij osservò che quello era il modo in cui la Chiesa ortodossa conservava i
suoi santi e trovò l’idea “assolutamente medioevale”» spiega Graziosi. Aveva
centrato il punto: Stalin aveva in mente proprio quel tipo di potere, lo stesso che
da secoli conoscevano i russi, centralizzato e assolutista. Koba aveva un modello
ben chiaro in testa: Ivan il Terribile, lo zar che 5 secoli prima aveva
ricompattato la Russia attorno al potere centrale di Mosca, facendo fuori tutta
“la Casta” del tempo: i boiari, gli aristocratici che ammorbavano la sua corte.
VECCHIO CORSO .
Tra i boiari bolscevichi, Trotzkij era il primo sulla lista nera di Koba-Ivan.
Temutissimo leader dell’opposizione interna, per molti era lui l’erede naturale di
Lenin. Pensava che la rivoluzione russa avrebbe prima o poi contagiato il
mondo. Ma ci voleva tempo. Stalin offrì invece, con un’inversione a U che
procurò la vittoria politica a lui e la condanna all’esilio a Trotzkij (poi fatto
assassinare in Messico nel 1940), l’alternativa del “qui e subito”: il socialismo in
un solo Paese. Un Paese di cui lui sarebbe stato il vozd, la guida.
Nel 1927, con il pretesto dell’ennesima crisi agricola, fu Stalin a volere la legge
marziale che sarebbe di fatto durata fino alla sua morte, nel 1953. E due anni
dopo, mentre l’Occidente scivolava nella Grande depressione, fu sempre lui a
indicare il primo nemico interno da combattere: i piccoli proprietari terrieri, che
i russi chiamavano kulaki. La “liquidazione dei kulaki come classe” (parola
d’ordine di Koba) fu affrontata con solerzia e fu la prova generale del terrore
staliniano.
«Per realizzare quell’obiettivo, Mosca distribuì alle regioni quote di arresti»
spiega Graziosi. Che presto i funzionari locali cominciarono a superare in una
sfida sanguinaria. In cifre: decine di migliaia di persone uccise nelle requisizioni
e oltre 1 milione di deportati, le cui terre furono annesse alle fattorie
collettivizzate (i kolchos).
L’operazione innescò una devastante carestia che uccise da 4 a 10 milioni di
persone in Ucraina. «La carestia fu spiegata dalla propaganda non come
conseguenza della collettivizzazione, ma come effetto dei sabotaggi» dice
ancora lo storico. Un ritornello ripreso ogni volta che repressione indiscriminata
e deficit organizzativi provocavano lo stop di una fabbrica o uno sgarro alle
quote produttive imposte dal piano di industrializzazione forzata dell’Urss.
A RITMO DI JAZZ.
PRETESTO .
A far calare una cappa di sospetto e paura sulla corte di Koba e, a cascata, su
tutta l’Urss, fu un assassinio che, per l’effetto-choc, è la versione sovietica
dell’attentato al presidente Usa John Kennedy. A cadere fu Sergej Kirov,
fedelissimo di Koba e capo del partito a Leningrado (oggi San Pietroburgo),
freddato il 1° dicembre 1934 da un sicario nei corridoi dei suoi uffici. Era il
pretesto che Stalin aspettava per firmare la legge d’emergenza che segnerà
quel decennio: i processi per terrorismo e attività controrivoluzionarie (reati
definiti in un solo articolo del Codice penale, il 58, abbastanza generico da
includere chiunque) andavano celebrati entro 10 giorni e le sentenze dovevano
essere eseguite immediatamente, senza appello. I mandanti dell’omicidio Kirov?
Stalin non aveva bisogno di indagare (ma fece sapere alla stampa che lo
avrebbe fatto personalmente): Kamenev (che tra l’altro aveva fatto l’errore di
sposare una sorella di Trotzkij) e Zinovev. Erano i due “boiari” che lo avevano
salvato ignorando il testamento di Lenin, ma anche gli unici concorrenti
potenziali.
I “pesci piccoli” furono liquidati subito: l’assassino, altri 14 coimputati e i
relativi famigliari. Poi, nel solo mese successivo, furono fucilate altre 6.500
persone in qualche modo legate a Kamenev e Zinovev. «Stalin non aveva ancora
piani precisi per il crescente terrore» spiega Montefiore. I due “pesci grossi”
furono tenuti da parte fino al 1936 per un rito destinato a ripetersi: il processo-
farsa. «Stalin ordinò personalmente di condannare a morte Kamenev e Zinovev
come agenti trotzkisti. Promise loro la grazia per ottenerne le confessioni, ma
quando il polit-buro gli comunicò il parere contrario in proposito, rispose con un
telegramma: “Va bene”» spiega Montefiore.
NEL TRITACARNE.
T ERRORE.
RITORNO DI FIAMMA.
Secondo lo Strassler center for genocide studies della Clark university (Usa), la
dittatura di Stalin fece oltre 20 milioni di morti, tra purghe, gulag e carestie da
collettivizzazione. È stato messo in dubbio che, isolato nella sua reggia, lo “zar
rosso” fosse responsabile in prima persona di ciò che accadeva nell’impero. Ma
dagli archivi è spuntata più di una prova a suo carico. Per esempio un appunto
datato 3 maggio 1933: “Permettere le deportazioni: Ucraina 145.000, Caucaso
Settentrionale 71.000, Basso Volga 50.000 (un mucchio!), Bielorussia 42.000
[...]”. Il totale della lista è di 418 mila deportati. «Nessun altro dittatore
supervisionò così da vicino il lavoro della sua polizia segreta» commenta
Montefiore. Irina però non gli crederebbe, sicura della buona fede del
compagno Stalin. Anche per questo lo zar Koba, nella Russia dello zar Putin, è
tornato così popolare.
Aldo Carioli
PER SAPERNE DI PIÙ
LIBRI
Robert Conquest, Stalin. La rivoluzione, il terrore, la guerra. Una riflessione sulla personalità di
Stalin. Edito da Mondadori Oscar Storia (2003)
Boris Souvarine, Stalin. Il libro che per la prima volta, nel 1935, raccontò i misfatti del dittatore russo,
scritto da uno dei fondatori del partito comunista francese. Edito da Adelphi (2003)
Andrea Graziosi, L’Urss di Lenin e Stalin: storia dell’unione sovietica 1914-1945 . La parabola
dell’Urss dalle origini fino al trionfo sul nazismo. Edito da Il Mulino (2010)
VIDEO
Il discorso di Stalin all’Armata rossa nel dicembre del 1941, sei mesi dopo l’invasione tedesca della
Russia http://www.youtube.com/watch?v=NHW73nZXpcc
IMMAGINI
Stalin arringa un gruppo di lavoratori a Baku (Azerbaijan) nel 1914. (Getty Images)
Stalin nel 1917. (Getty Images)
Una litografia del 1933 che rappresenta Stalin come il “Grande timoniere”. (Getty Images)
Stalin (primo a destra seduto) a Yalta, alla fine della seconda guerra mondiale. Al suo fianco il
presidente Usa Franklin Delano Roosvelt (al centro) e il premier britannico Winston Churchill. (Getty
Images)
Stalin con il suo successore Nikita Krushev, poco prima della morte.