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ASSOCIAZIONE ITALIANA DI CULTURA CLASSICA


Delegazione di Torino

ATTI DEL CONVEGNO NAZIONALE DI STUDI

L’UOMO ANTICO
E LA NATURA
Torino 28-29-30 Aprile 1997

a cura di Renato Uglione

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ASSOCIAZIONE ITALIANA DI CULTURA CLASSICA


Delegazione di Torino

ATTI DEL CONVEGNO NAZIONALE DI STUDI

L’UOMO ANTICO
E LA NATURA
Torino 28-29-30 Aprile 1997

a cura di Renato Uglione

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7

i
Machina est medium.
La tecnica tra uomo e natura nel mondo antico

Vittorio Marchis
Politecnico di Torino

«Deus ex improviso apparens.


0£Òc; ànò prix<xvrjq 87U(pave{q. id est, Deus ex
improviso apparens. In eos dicitur quibus in rebus per-
plexis praeter spem exoritur aliquis qui salutem adferat,
negotiisque difficultatem expediat. Sumptum est a con­
suetudine tragoediarum in quarum plerisque machinis
quibusdam deus aliquis ostendebatur: idque non scena
ipsa, sed e sublimi qui repente commutatis rebus fabu-
lae finem imponeret. Id quod testatur & M. Tullius lib.
De natura deorum primo, ut cum sic ait: Quod quia
quemadmodum natura efficere sine aliqua mente pos-
sit, non videtis, ut tragici poetae, cum explicare argu-
menti exitum non potestis, confugistis ad deum: cuius
operam profecto non desideraretis, si immensam et
interminatam in omneis partes magnitudinem regionum
videretis. Nec dubium est quin Tullius imitatus hic sit
illud ex Platonis Cratylo: Ei \ir\ àpa 5q, warcep oi
TpaY(p5o7toioì, èrceiSàv xt àjtopcoaiv, èiri xàq
prjxotvàq à7to(pei>Youai, Qeoùq aì'povxeq, id est, nisi
sane quemadmodum tragoediarum scriptores, sic ubi
haeserint, ad machinas confugiunt, deos sustollentes.
Quem Platonis locum ob ignoratimi proverbium
Latinus interpres perperam aut certe obscure vertit.
Nimirum hunc in modum. Nisi forte quemadmodum
tragici, quoties ambigunt, commentitiis quibusdam
machinamentis ad deos confugiunt. Ad eundem lapi­
dari impegisse videtur qui Lysandri vitam transtulit e
Plutarcho. Quum enim Lysander instituisset innovare
remp. perpenderetque negotium esse difficilius quam
ut vulgaribus cottsiliis posset expediri, fecit quod poe­
tae solent in tragoediis, fictis oraculis ac deorum religio-

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ne studuit quod constituerat effìcere. Graeca sic habet,
wa7C£p èv xpaycpSia prixavriv at'pcov kpòq xobc;
rcoMxaq Xóyia 7t\)0óxpTicixa Kal xpiiaitoùq a\)vexi0ei
Kaì Kax£aK£Tjaaev, id est, Quemadmodum in tragoe-
dia machinam tollens apud cives, responsa velut a
Pythio reddita et oracula componebat apparabatque;
Idem subobscure, sed sane quam eleganter indicat
Arist. Lib. xcov jiexòc xà (puoucà primo, ’Ava^ayópaq
x£ yàp, inquiens, pT|XavTÌ 5CPnTai vcp rcpòq xqv
Koapo7touav, ox ’ àv yàp à7topf|GTi 5iàxiva aixiav
àvàyicriq èaxi, xóxe eà,kei aùxòv. èv 5è xou; aXXov;
rcàvxa paXXov aixiaxai xcov yivogévcov r\ vouv. Quae
quidem verba sic licebit vertere: Nam Anaxagoras
mente perinde, quasi deo quopiam tragico, qui repente
solet ostendi, utitur ad condendum mundum. Etenim
cum haeret in explicanda causa, quare necessario sit,
tum illam adducit. Porro reliquis in rebus, quidvis
potius causam facit eorum quae fiunt, quam mentem.
Unde Graccorum tragoediis illud pene solenne est:
710M.01I pop(paì xcov Saipovicov: id est Multae formae
deorum & c. Cum inducto numinc fabulam explicant:
veluti in Oreste Eurip. Apollo in mediis tumultibus
apparens res turbatissimas subito componit. Huius rei
exemplum videtur ab Homero ductum, qui quemad­
modum Iliad. I. Palladem adduxit, ut ferocicntem
Achillem compesceret, ita compluribus aliis locis
numen aliquod allegat. Quod quidem Horat. In Arte
poet. vetat in comoediis fieri, nisi rerum difficultas
maior sit, quam ut possit humana ope explicari: Nec
deus intersit, nisi dignus vindice nodus I Inciderit. Qua
ratione Plaut. In Amphit. Iovem induxit eoque tragico-
comoediam vocat Lucianus in Philosoph. Kaì xò xou
taSyou, 0£Òv arcò grixavTjq èrc£i<jK>.T|0qva{ poi xouxov
0|iT|v arcò xq<; xx>xtk. Id est, Ac iuxta proverbium, arbi-
trabar hunc mihi perinde quasi deum quempiam repen­
te apparentem, a fortuna fuisse adductum. Allusit
eodem in lib. De mercede servientibus: OìkeToi yàp
xTjq xoiauxriq xpaycp5(a<; oòxoi y£, r[ xiv’ à'kXov ek
jiTixotvqq 0£Òv èrcì xcp Kapxx|aup Ka0£^óg£vov. id est,
Nam peculiariter ad huiusmodi tragoediam pertinent.

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Aut alium deum quempiam de repente exortum, atque
in antennis confidentem. Huc respexit Eurip. In
Iphigenia Aulidensi, 0eòq èyd) 7té(pr|và aoi géyiaxcx;. id
est, Equidem deus tibi maximus apparui. Lucianus in
Sectis, é7uaxàq, tò xcov xpaycpSiwv xouxo, 0eò<; ex
prixavriq eTtupaveu;. id est, Assistens iuxta tragoedo-
rum proverbium: Deus ex improviso ostensus. Apud
Athenaeum lib.6 lucrionem quendam querentem facit
poeta nescio quis, quod piscium venditores vix ostensos
pisces statim subducerent, k<x! Gòcxxov à7t07tép7touai
xob<; covrniévouq / 'Arcò prixctvrjc; 7t totani vxs<; toa7tsp oi
0eoi. Id est, Et venditos inox eximunt aspectui, I
Venduntque; tamquam e machina ritu de(or)um.
Proinde quoties salus ex insperato ostenditur, id deo
solet ascribi. Ita Plinius libr. 25. Quippe edam in reper­
ti alias invenit casus, alias, ut vere dixerim, deus. Idem
libr. 27. Hic ergo casus, hic est ille, qui plurima invenit
in vita deus1.

Questa lunga citazione, che costituisce per intero il sessantottesi-


mo adagium della Chilìadis prima, Centuria prima dell*Adagiorum
Opus di Erasmo da Rotterdam pubblicato a Lione nel 1550, può
essere assunta come la chiave di lettura di questo saggio, che intende
parlare di macbinae nel contesto delle visioni della natura del mondo
antico. Il dualismo tra «naturale» e «artificiale», come pure il para­
dosso di una epistemologia della macchina fondata su metodiche
filologiche e solo in seconda istanza storico-tecnologiche, sono le
anticipazioni delle conclusioni, quasi il teorema da dimostrare, a cui
si vorrà giungere alla fine di questo scritto. Percorrendo apparente­
mente in maniera anomala gli ambiti e i contesti del cosiddetto
mondo antico, si analizzerà il concetto di macchina nella sua evolu­
zione semantica, ma soprattutto il suo ruolo nella cultura e in quella
che con un termine intraducibile i francesi chiamano «civilisation».
L’idea di macchina è più comune, e innata nell’uomo, di quanto non

1 Desiderius Erasmus Roterodami, Adagiorum Opus, Lugduni MDL, Chil.I,


Cent.I, pp. 58-59. *

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si possa pensare: essa è in un certo senso «naturale» e non artificiale,
ed è piuttosto l’astrazione che oggi associamo ad una tecnologia
positivamente autoreferenziale a farci pensare ad un sistema che
razionalmente (ed assolutamente in modo artificiale) è autonomo e
svincolato dagli idola del passato.
«Senza la tecnica l’uomo non esisterebbe, né sarebbe esistito mai.
Così, né più, né meno» fu l’incipit di una conferenza sul tema «Qué
es la tècnica?»2 che il filosofo Jose’ Ortega y Gasset (1883-1955)
tenne nel 1933 alla Università di Santander, e su questa affermazio­
ne bisognerebbe incentrare ogni considerazione sulle tecniche, in
una dimensione non soltanto «tecnologica», ma soprattutto «antro­
pologica».
Tecnica-macchina-industria è una catena di concetti che porta
automaticamente alla «modernità», al futuro, ma esistono altre pro­
spettive per cui lo stesso paradigma di Alexandre Koyré «dal mondo
del pressappoco all’universo della precisione» si ribalta in una sorta
di «principio di indeterminazione», di «teorema di incompletezza».
La macchina implode nella sua principale funzione di medium, di
tramite, di intermediario, di traduttore, piuttosto che di strumento,
di mezzo, di utensile. «Macchina» è un termine con cui oggi sempre
più spesso identifichiamo la funzione, la finalità, il carattere sistemi­
co, annullandone la materica sostanza per enfatizzarne la virtuale
potenza. Questa potrebbe essere l’oscura premessa con cui mi accin­
go a ripercorrere (a ritroso) una storia passata e antica.
A giustificazione dell’anomala metodica impiegata in questa disa­
mina, si enfatizza la visione di una visione diacronica, che guarda a
un passato, che si allontana via via dai nostri occhi, sino a dissolversi
nell’orizzonte. 11 futuro ci è sempre alle spalle, come ricorda Robert
Pirsig nell’epilogo dello Zen e l'arte della manutenzione della motoci­
cletta.
I greci vedevano il futuro come qualcosa che ci arri­
va dietro le spalle, mentre il passato si allontana davanti
a noi. A pensarci bene, è una metafora più esatta della

2 J. Ortega y Gasset, Meditacion de la Tècnica y otros Ensayos sobre Ciencia y


Filosofia, (Alianza), Madrid 1982, pp. 13-96.

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nostra: come si può guardare al futuro? Si possono solo
fare proiezioni dal passato, anche quando il passato
dimostra che queste proiezioni sono spesso errate. E
come si può veramente dimenticare il passato? Che
cos’altro conosciamo?’
Ancora nel secolo dei lumi Adam Yves Goguet nel{'Origine delle
leggi’ delle arti e delle scienze (Napoli 1762) poteva scrivere che per
costruire le piramidi «una macchina semplicissima ed agevolissima
secondo Erodoto a maneggiarsi, situata sopra il primo strato (di
blocchi di pietra) serviva ad innalzarvi le pietre destinate alla fabbri­
ca del secondo». La semplicità e l’utilità della macchina sono le sue
doti principali. «Debbono mettersi ancora nel numero delle prime
invenzioni meccaniche - continua il Goguet - le differenti sorti di
macchine atte a trasportare i pesi. La treggia ha dovuto essere il più
antico di tutti i carriaggi».
La Meccanica, che gli antichi consideravano come parte della
Matematica stessa, era tra le scienze più «pratiche», ma al contempo
delle matematiche conservava la struttura «assiomatica». Le macchi­
ne elementari, come gli «elementi» euclidei della geometria, sono
alla base di un sistema in cui la complessità non è altro che combina­
zione di forme e funzioni. La tensione essenziale del Goguet, giocata
ai confini tra storia e scienza, tra politica e mitologia, sembra essere
tutta rivolta alla ricerca della ragione evolutiva di una «tecnologia
sociale» sino all’affermazione che «è impossibile che fin da’ primi
tempi, ne’ quali le società avranno cominciato a prendere buon
regolamento, non sia stato fatto l’uso della leva e del piano inclinato.
Le opere che si sa essere state eseguite ne’ secoli non permettono di
dubitarne».
La corsa a ritroso nel tempo allarga l’orizzonte che si frammenta
in molteplici fliere causali ed evolutive. Le macchine hanno trovato
le loro epifanie nei Tbeatri: Jacques Besson (1569) e Johannis Van
Zyl (1761) segnano gli estremi di questo genere letterario, prima che
si inizi la grande era del macchinismo. Ma ancora in pieno

5 Robert Pirsig, Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta (1974), tr.
it. (Adelphi), Milano 1981, p. 395.

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Illuminismo, più recentemente degli scritti citati di Erasmo da
Rotterdam, a cui è stato affidato il compito di segnare in questo sag­
gio il leit Motiv della «machina», i lessici e i dizionari, i manuali di
metrica e quelli di retorica, non si astengono dal frequentare la mac­
china, che è ancora interamente «classica».
Machina, -ae\ Machinatio, -onis (Vitruvius);
Machiaamentum, -i (Livius) Instrumentum, quo moles
facile impellitin\ EPIT. Ingens, alta, stupenda, mirabilis,
bellica, mavortia, martia, terribilis, violenta, athenea,
aerea, slridens, bonifica, hostilis. PHR. Torquet nunc
lapidem, mine ingens machina tignimi (Horatius). Urbes
sternere machinis longe saxa rot antibus (Seneca).
Machina mundi (Lucretius). Stridente tardimi machina
ducens onus (Seneca). Omnes adhibere machinas ad
(Cicero). Dolimi machinamve commoliri (Cicero)4.
La macchina, grande, alta, stupenda e ammirevole, può diventare
(e ciò accade spesso sui campi di battaglia e durante gli assedi) terri­
bile, violenta, stridente, orribile, nemica. La macchina per antono­
masia, per tutto il Medioevo è stata la macchina da guerra, talora
così orribile da trovare nel suo antropomorfismo (si pensi di'Arabica
machina di Roberto Valturio)5 la sua forma più innaturale. E allora
perché non ricordare i processi di nominazione delle macchine, i
battesimi dei cannoni che si chiamano «sputafuoco», «cacasassi»,
«ammazzatutti»... ?
La storiografia non vuole confusioni, soprattutto quando esistano
chiari elementi di confine temporale; soltanto la rinascimentale e
umanistica riscoperta dei Vitruvio e dei numerosi veteres mathemati-
ci giustifica uno sfasamento temporale tale da ravvicinare l’antico (e i
suoi modelli) a tempi più «moderni». Quali differenze esistano tra
gli originali classici e le «traduzioni» (nel senso più complesso del
termine) dei Cesariano, dei Barbaro, dei Baldi, dei Pigafetta, degli

4 Jacobus Vanierius, Lexicum Poeticum, Mediolani 1756.


5 Vittorio Marchis, Macchine fra realtà e fantasia. L’orizzonte tecnico di Roberto
Valturio, in Le macchine di R. Valturio a cura di P.L. Bassignana, (Allemandi),
Torino 1988, pp. 117-141.

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Aleotti, non è questa la sede per una discussione; ma rimane viva la
continuità di paradigmi per cui lo iato medievale spesso non ha cau­
sato discrasie, soltanto mutazioni.
Modus, modernus e modulus hanno etimi comuni e confusi dove
la «misura» è tramite, medium: ponte di conoscenza6. In questo
senso deve essere considerata la macchina.
Scegliendo a puro titolo esemplificativo l’anonimo De rebus belli-
cis\ dove in territori ostili sunt [geritesi quae paludibus fluminibus-
que defensae nec inveitivi facile queunt [...] ergo huiusmodi nationes,
quae aut talibus subsidiis aul civitatum castellorumque moenibus
defenduntur, diversis et novis armorum sunt machinis prosequendae si
riconosce che la macchina è unico mezzo di conquista, e quindi
anche di conoscenza di queste realtà ignote. Per la conoscenza della
macchina, ne qua difficultas in excitandis armorum generibus oriatur,
l’anonimo inventore o progettista aggiunge alla descrizione imagi-
nem tormentorum nibil a vero distantem [...] ut sit facilis imitandi
confectio. La descrizione grafica è la chiave di volta per una cono­
scenza tecnica che vuole diventare operativa e sarà proprio l’incom­
pletezza (o la totale carenza) del disegno a lasciare nell’ombra molte
delle macchine vitruviane.
Quando si legge la descrizione che Erone di Alessandria fa della
propria %£ipoPaÀA,ioxpa, è il péxpov, ossia la dimensione del fascio
di nervi che costituisce l’accumulatore di energia, a definire le pro­
porzioni dell’intera macchina. La macchina è descritta «more geo­
metrico» (si analizzi lo stile specifico di questo esempio di letteratu­
ra tecnica nell’Appendice III) e le sue dimensioni diventano attributi
di una struttura che perde ogni sua caratteristica funzionale a favore
di una descrizione analitica ed «elementare». Ancora una volta il
paradigma euclideo geometrico è assunto a norma. La schematica e
simbolica rappresentazione grafica (si potrebbe parlare di iconismo

6 Giovanni Di Pasquale e Vittorio Marchis, Alcune considerazioni sul pes


romanus, in «Nuncius», 11, 1996, pp. 669-675.
7 De rebus bellicis, VI 4-5, Paris, Bibliothèque nationalc, Ms. lat. 9662, ed. crit.
L’arte della guerra a cura di Andrea Giardina, (Alberto Mondadori), Milano. Vedi
Appendice III.

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simbolico) con cui è giunto sino ad oggi lo schema di questa macchi­
na8 risulta di difficile interpretazione perché il segno è «simbolo» e
non rappresentazione realistica di una «cosa»: il disegno tecnico di
questa macchina anticipa una delle più peculiari esigenze che saran­
no deiringegneria «ensi come li art de jometrie le commande et
ensaigne»9.
U back flash a Vitruvio è facile e quasi naturale.
Machina est continens e materia coniunctio maxi­
mas ad onerum motus habcns virtutes. Ea movetur ex
arte circulorum rotundationibus, quam Gracci
k'ukXiktìv Kwqaiv appellant10.

Non interessa però la varietà del gcnus con cui l’energia imprime
alla macchina il moto: sia esso scansorium, spirabile ovvero tracio-
rium ciò che importa è che et organa et machinarum ratio ad usum
sunt necessaria, sine quibus nulla res potest esse non impedita.
L’origine della macchina coincide con l’origine delle cose, ed in ulti­
ma istanza dalla natura stessa: omnis autem est machinatio rerum
natura procreata ac praeceptrice et magistra mundi versatione
institutau.
Pinnae [...] cum percutiuntur ab impetu fluminis, cogunt progre-
dientes versari rotavi: l’antico mito cantato da Antipatro di
Tessalonica ne\YAntologia palatina12 è diventato una realtà, senza
essere innovazione da mutare le sorti della società e le donne posso­
no finalmente obbedire all’invito "Ia^exe xeTpa p\)A,aTov,

i àA,£xp{8eq, euÒexe paicpà perché «Cerere ha imposto un nuovo

8 Si veda il disegno riportato neirAppcndice III e ripreso dal Melchisedech


Thevenot et Philippe de la Hire, Veleno» matbematicorum Athenaei, Bithonis,
Apollodori, Heronis, Pbilonis, et aliorum opera, grece et latine pleraque moie pri­
viton edita, ex manuscriptis codicibus bibliothecae regiae, Paris 1693.
9 Villard de Honnecourt, Album (1265 ca.), Paris, Bibliothèquc nationale,
Ms. 19093, f.lv. Si veda anche Alain Erlande-Brandenburg et al., Vilard de
Honnecourt. Disegni, (Jaka Book), Milano 1988 e Vittorio Marchis, Storia delle
macchine, (Laterza), Roma-Bari 1994, pp. 43 ss.
10 Vitruv. DeArch. X 1,1. Si veda anche, più diffusamente, l’Appendice III.
" Ibid. X 1,4.
12 Anth. Pai. IX 418. Si veda anche l’Appendice III.

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lavoro alle Ninfe dell’acqua, ed esse balzano al sommo vertice di una
ruota e fanno in modo che il suo asse giri; il moto viene portato da
qui ai raggi e alle concave macine di Nisiro». U ritorno all’età dell’o­
ro, al poter gustare di nuovo i doni di Demetra «senza fatica», non è
soltanto un racconto ingenuo, un mito irrazionale e illogico. Anche
Porfirio noNAntro delle ninfe fa uso di una metafora meccanica per
descrivere l’uomo e il mondo: il telaio è la macchina, il tessuto il suo
prodotto.
Perciò il poeta osò dire che «su questi telai tessono
manti purpurei, meraviglia a vedersi». La carne, infatti,
si forma sulle ossa, e negli esseri viventi le ossa sono la
pietra, perché simili a pietra; perciò si dice che anche i
telai sono di pietra e non di altra materia [...] Così
anche in Orfeo, Kore, patrona di tutto quanto viene
seminato, è rappresentata mentre lavora al telaio1’.
La macchina, il ferro che di essa è la materia più essenziale, rima­
ne strumento e oggetto di conoscenza, come lo stesso Lucrezio pro­
pone, tra mythos e lògos, tra antropologia e storia.
Nunc tibi quo pacto ferri natura reperta
sit facilest ipsi per te cognoscere [...]“
Mach ina e macina talora possiedono un’altra ambigua valenza: la
confusione delle parole rafforza la metafora in un allitterante verso
di Ennio: macina15 multa tninax molitur16 maxima murisI7. La macina
macina il grano, ma anche i muri, e la sua minaccia è multa e maxi­
ma. Il parallelismo tra moles e machina è una dominante nella lette­
ratura latina e nel mondo antico in genere. Convivere con la macchi­
na non vuol dire capirne automaticamente (meccanicamente) il
significato.

° Porphuriou perì toù én odìsseia tòn nutnphón àntrou, 14. Si veda anche, più
diffusamente, l’Appendice IH.
M Lucr. De rerum natura, V 1281-2.
15 machina.
16 minitatur.
17 Ennius, Annales, 408.

207
La macchina, seppure presente nella vita quotidiana, è un qualco­
sa di estraneo, alieno, di cui spesso non si riesce a comprendere
appieno la potenzialità, di cui non si comprende il funzionamento e
al cui supporto, spesso alla fine, si rinuncia per una empirica e più
«immediata» azione.
Mexà 8è xoùxo oi rieta)7tovvf|Gioi wq ai xe inca­
vai oùSèv wcpéXouv Kai reo x^paxi xò àvxixeixiaga
èyiyvexo, vopioavxeq arnpov eìvai arcò xeov Tcapóvxcov
Seivcov èÀ,eTv xqv rcó?uv rcpòq xqv 7tepixe(xioiv rcape-
aKeuà^ovxo18.
Le macchine da guerra, quando funzionano, sono la faccia reale,
e terribile, della realtà: altrimenti la vera funzione della macchina
rimane metafora di ciò che spesso solo il mito riesce a spiegare.
Infatti Epicarmo afferma che où yàp av0pco7toq xé^vav xiv’
eupev, ó 8è 0eòq xò mv19. Prometeo ha portato agli uomini mocci
xé%vai20, quella xéxvrj di cui Esiodo ricorda l’ingannevole
carattere21. Afrodite 7tpa>xr| xéicxovaq avSpaq 87iix0ov(ouq èSiSa^e
/ 7ioiTjaai aaxtvaq (xe) Kaì appaxa mucida xa^Kcp22. Efesto
KÀ,uxó|ir|xiq, glorioso per la sua destrezza, «insegnò opere egregie
sulla terra ai mortali»25.
Il pTixocvorcoióq «è il personaggio del demiurgo arcaico», è un
mago che porta con sé prestigio e poteri superiori che gli fornisce la

IK Tucidides, Historiae, II 77,1: «In seguito a ciò i Peloponnesi, dal momento


che le macchine non servivano a nulla c la fortificazione dei Plateesi si elevava con­
tro il terrapieno, convinti di non poter conquistare la città con i mezzi d’assalto
che avevano, si prepararono a cingerla di un muro».
19 Epicarmus, DK 23 B 57: «e mai un uomo scoprì una tecnica, ma un dio
tutto».
20 Aesch. Prom. 505-6: Ppagéi 8è pù0q) 7tàvxa ci)A,Xf|P8T|v pà0e / rcaaat
xéxvai ppoxoTaiv è* flpopr|0éa)q: «io posso raccogliere tutto in una parola: tutte
le arti sono un dono di Prometeo ai mortali».
21 Aesiodus, Theog., 547: 8oXniq 8’ où A.f|0exo xéxvrjq: «dell’ingannevole arte
non si scordò».
22 Inni omerici, Eis Aphroditen, 12-13: «per prima agli uomini fabbri terrestri
insegnò a fare le carrette e i carri variopinti di bronzo».
2) Inni omerici, Eis Ephaiston, 2-3: àyXaà epya àv0po)7touq é8i8a£ev.

208
mètis,24 Più che ingegnere è stregone, più che «fare le cose», «sa fare
le cose» c per questo ne insegna i secreta.
Ritornando al deus ex machina è proprio Platone a riproporre il
tema in un contesto che vede la disputa socratica intrattenere il suo
interlocutore sull’origine delle parole prime.
IfìKPATHI: Tegola jlèv oigai (paveiaBai, co
'Eppóyeveq, ypàggaoi Kaì auXXapaTq xà 7tpàygaxa
pepigli piva mxà8riA.a ytyvópeva • òjicoq 8è <xvàyicr|.
Où yàp è'xopev xo'óxou péXxiov zie, òxi èrcavevéyKCD-
pev Tcspl à?tT|0eta<; xoiv rcpcoxciw òvopàxcov, zi prj apa
poùA.8i, aSaicep oi xpaycpSorcotoì èzceiSàv xi àrcopwaiv
87tì xàq prixavàq mxacpeiyouat Beoùq ai'povxeq, mi
Tipeìq ouxcoq eircóvxeq àTtaXXaycopev, oxi xà rcpcoxa
òvópaxa oi 08oi è'0eaav mi 5ià xauxa òp0o)<; è'xei25.
Sempre la metafora del deus ex machina rimane più che presente
in un mondo ancora in bilico tra «el azar» e «el artesano», come
afferma José Ortega y Gasset.
AiriIOOI: xpacpévxcx 5’ onj0i<; r\ Àùcri mxf|yayev,
Kaì xovSe xàvSpò<; ri\|/àpr|v 0\)paTo<; c$v, rcaaav
£uvà\|/a<; prixavriv 8ucPo\)À.(a<;26.
XOPOI: àXk' è^àvotye prixocvàq zac, Xicnxpou, àc;
aKrjyiv àywv obxoq oòk eiaSé^exai27.
E ancora nel Fedone, quando si deve trovare una scappatoia, una
soluzione finale e definitiva, non si può fare a meno di chiamare in
causa la prjxavfj.

24 Jean-Pierrc Vcrnant, Mito e pensiero presso i Greci, (Einaudi), Torino 1978,


p.333.
25 Plato, Cratylus, 425d: «Socrate: Ridicole, io penso, Ermogene, ci parranno
le cose quando le avremo dinanzi agli occhi imitate con lettere e sillabe. Pure è
necessario. Infatti non abbiamo nulla di meglio a cui riferirci circa la verità dei
primi nomi, a meno che tu, come i tragici quando non trovano una via d’uscita
ricorrono alle macchine facendo apparire gli dei, tu non voglia che anche noi ci
caviamo d’impiccio cosi, affermando che i primi nomi li posero gli dei, e perciò
tutto va bene».
26 Aeschylus, Agametnnony 1607 ss.
27 Aristophanes, Acharn., 390.

209
Ei yctp ek |iàv xéov aXkcùv xà i^covxa yiyvoiTo, xà 5è
^cùvxa 0vf|aKoi, xiq M-Tixavri jxr\ oùx't Ttàvxa Kaxa-
vaXcoBrjvai eiq xò xeBvàvai; 0\)8è pia poi òokei, ecpr\
ò Képr\q, co IcoKpaxeq, àXXa poi 8oKEiq Tcavxàrcaciv
àA,r\0r\ àìy£iv2S.
I riferimenti tra la Sfinge e la pEYapiXTi prixavri ritornano in
Aristofane, sia negli Acarnesi sia nelle Vespe, sempre con un tema
dominante che associa alla macchina una non sincera fides, un dolus,
come più di una volta, nell’opera già citata di Erasmo, appare sotto-
lineato con sottile erudizione29.
E difficile a questo punto trarre una conclusione unitaria, soprat­
tutto sullo scenario «naturale» che ha caratterizzato il contesto in cui
questo saggio è stato concepito.
Delle macchine spesso si sono ricordate le funzioni perché sono
segni o indizi (oripeta, XEKpqpia) degli effetti di un progresso (tec­
nologico) raggiunto, e non di una capacità acquisita nel fare qualco­
sa. La macchina è spesso stata ricordata in quanto invenzione, non
in quanto innovazione. Se il mito dell’invenzione (fuoco, ferro, ...),
ed in generale molti dei miti legati alle scoperte delle tecniche, sono
«miti del dono», le macchine diventano paradossalmente memoria
per il solo tramite della scrittura, e non in virtù della loro materialità
e testimoniano quella tensione essenziale che nell’uomo è alla base
della conoscenza della natura.
La «macchina» è peraltro sempre (forse inconsciamente) «astu­
zia», soluzione ingegnosa, aggiramento e non frutto di azione specu­
lativa, condotta «senza interesse»: prj%avav non è tcoieiv. Altro
ancora è la xéxvR, la |iTj0i£, l’èprceipia, l’eùpouAXa.
Non solo la |xrixavf| è tramite tra la fisica dei fenomeni e la meta­
fisica delle idee, ma diviene essa stessa argomento retorico, artificio
necessario per un processo in cui la X£%vr| lascia campo aperto
aU’£7tiaxf|p.TV Ma a chi volesse a conclusione di questo astruso sillo­
gismo ipotizzare una rozzezza della tecnica nel mondo antico, a

28 Plato, Phaedo, 72d.


29 Dcsiderius Erasmus Roterodami Adagiorum Opus, Lugduni MDL, Chil.II,
Ccnt.III, pp.516-7 e Chil.II, Cent.VII, pp.630-1.

210
favore del paradigma del «pressappoco», prima dell’ingresso nell’u­
niverso della precisione, basterà fare riferimento alla macchina di
Antikythera30 e valutarne la raffinatezza esecutiva dei meccanismi e
degli ingranaggi.
Si potrebbe infine concludere con il celebre verso di Aètius Kaì
oi pèv jruXoeiòcoq, oi 5è xpo^ou SiKrjv TtepiòiveTaBai31. Parlare di
macchina prima della meccanica, di macchinazione prima di mac­
chinismo sembrerebbe un paradosso, ma invece la storia ci dà torto.
Aristotele nella Metafìsica afferma che la memoria genera l’esperien­
za e l’esperienza genera a sua volta la scienza e l’arte. La trottola che
gira, lo stesso mondo intorno a cui le conoscenze scientifiche si
affannano a definire teorie la cui indeterminatezza potrebbe essere
affermata solo a posteriori, sono essi stessi il paradigma della mac­
china, che - ante luterani - non è cosa, oggetto, ma invero medium.

,0 Derek De Solla Price, Gearsmoni thè Greece. The Antikythera Mechanism -


A Calendar Computerfrom ca. 80 BC, (Science History Pubi.) New York 1975.
il Aètius, II 2,4; DK 13 A12: «c gli uni dicono che il mondo gira vorticosa­
mente come una macina da mulino, gli altri come una ruota».

211

!
Bibliografìa

Giuseppe Cambiano, Platone e le tecniche, (Einaudi), Torino 1971.


UMBERTO Capitani, Scienza e pratica nella cultura latina, (Sansoni), Firenze
1973.
BENJAMIN Farrington, Scienza e politica nel mondo antico. Lavoro intellet­
tuale e lavoro manuale nell'antica Grecia, (Feltrinelli), Milano 1982.
Karoly Kerenyi, Miti e misteri, (Boringhieri), Torino 1979.
VITTORIO Marchis, Storia delle macchine. Tre millenni di cultura tecnologi­
ca, (Laterza), Roma-Bari 1994.
RODOLFO Mondolfo, Polis, lavoro e tecnica, (Feltrinelli), Milano 1982.
WILLIAM H. Stai-il, La scienza dei Romani, (Laterza), Roma-Bari 1974.
GIUSTO Traina, La tecnica in Grecia e a Roma, (Laterza), Roma-Bari 1994.
JlìAN-PlERRE VERNANT, Mito e pensiero presso i Greci, (Einaudi), Torino
1978.

212

:
Appendice I (*)

da: Greek Lexikon -


Perscus Project - Tufts University <http://wivw.perseusJnfts.edu/>

bathron, to, (baino) that on which anything steps or stands, hence,


1. base, pedestal, to b. kai ho thronos Hdt. 1.183; of a statue, IDEM=Hdt.
5.85, Xen. Horse. 1.1; daimonòn hidrumata.. exanestreptai bathron Aesch.
Pers. 812; throne, hupsélon Dikas b. Soph. Ant. 854.
2. stage, scaffold, Hdt. 7.23.
3. generally, solid base, amphirutou Salaminos b. Soph. Aj. 135 (anap.), cf.
ti=Soph. Phil. 1000, ti=Soph. OC 1662; ó patròion hestias b., i.e. house of
my father, IDEM=Soph. Aj. 860: metaph., Eunomia bathron poliòn Pind.
O. 13.6: pi., foundations, Uiou.. exanastèsas bathra Eur. Supp. 1198; en
bathrois einai stand firm, IDEiM=Eur. Tro. 47; ek bathron aneirèsthai
utterly, IDEM=Eur. El. 608, cf. D.H.8.1, Lyc.770, AP9.97 (Alph.).
4. step, Soph. OC 1591; rung of a ladder, Eur. Phoen. 1179.
5. bench, seat, Soph. OT 142, ti=Soph. OC 101, Phryn.Coni.3.5; ta b., of a
lecture-room or school, Plat. Prot. 315c, au=Plat. Prot. 325e, etc.; ta bath­
ra spongizón Dem. 18.258; seats in thè council-chamber, Lys. 13.37.
6. b. Hippokratous machine for reducing dislocation, Ruf.ap. Orib.49.26.
7. metaph., ponous aphigmai kapi kindunou bathra thè verge of danger,
Eur. Cycl. 352.

(*) La traslitterazione dei testi greci in questa Appendice è stata effettuata adottan­
do la convenzione riportata nella tabella sottostante, non facendo uso degli spiriti,
e segnando l’accentazione solo nei casi consentiti dalla grafia.
a a n v
b p x i
£ Y o o
d 5 P K
e e r £
z k S
è n t x
th 0 u u
i i ph <P
k K eh X
X ps
m p ò (0

213
mèchaAn-è, Dor. ma_chaAna, he, (mèchos):
l. contrivance, esp. machine for lifting weights and thè like, crane, Hdt.
2.125, IGl 1 (2).161 A69, al. (Delos, iii B. C.); m. tetrakòlos, dikòlos,
Rev.Phil.44.251 (Didyma, ii B. C.); m. lithagògos Poli. 10.148; ichthubolói
m., of Poseidon’s trident, Aesch. Seven 132 (lyr.); laoporois m., of Xerxes’
bridge of boats, IDEM=Aesch. Pers. 114 (lyr.), cf. au=Aesch. Pers. 722;
freq. of irrigation machines, POxy.985 (i A. D.), etc.; also of oil-presses,
Wilcken ti=POxy. Chr.176.10 (i/ii A. D.), etc.
2. engine of war, méchanas prosagein Thuc. 2.76, etc.; helein mèchanais
IDEM=Thuc. 4.13.
3. theatrical machine by which gods, etc., were made to appear in thè air,
Plat. Crat. 425d, ti=Plat. Cleit. 407a; airein m. Antiph.191.15, Alex.126.19:
hence, prov. of anything sudden and uncxpected, apo méchanès theos
epephanés Men. 227; hósper apo m. Dem. 40.59, cf. Aristot. Poet. 1454bl.
4. area of land irrigated by a machine, POxy.1830.13 (vi A. D.),
PLond.5.1765 (vi A. D.), PSIl.77.14 (vi A. D.).
II. any artificial means or contrivance for doing a thing, etoi kléròi.., è allei
tini m. Hdt. 3.83; ei tis esti m., ithi kai peiró IDEM=Hdt. 8.57, etc.; esp. in
pi. mèchanai, shifts, devices, wiles, Hes. Th. 146; panta sophismata kai
pasas m. epepoièkee es autous Dareios Hdt. 3.152; mèchanais Dios by thè
arts of Zeus, Aesch. Ag. 677; cheros.. ektinonta méchanas acts of violence,
IBID=au=Aesch. Ag. 1582; Orestèn mèchanaisi men thanonta, nun de
mèchanais sesòsmenon Soph. El. 1228; kratei machanais.. thèros
IDEM=Soph. Ant. 349 (lyr.); sophistón m. Plat. Laws 908d: prov., mècha­
nai Sisuphou Aristoph. Ach. 391:—
• Phrases: pasas prospheronte m. Eur. IT 112; mèchanèn prosoisteon
Aristoph. Thes. 1132; pasan spoudèn kai m. prospheromenos Plb.1.18.11;
epeisègagon m. IDEM=Plb.29.25.1; méchanas heurèsomen, hòste apal-
laxai Aesch. Eum. 82; plekein Eur. Andr. 66; porizesthai Plat. Sym. 19lb;
ekporizein Aristoph. Wasps 365; zétein IBID=au=Aristoph. Wasps 149;
antlein machanan exhaust one’s resources, Pind. P. 3.62; kat’ eman m.
IBID=au=Pind. P. 3.109=lr: c. gen. objecti, exeure m. tin’ Admètói kakón
contrivance against ills, Eur. Ale. 221 (lyr.); but m. sótèrias a way, means of
procuring or providing safety, Aesch. Seven 209; muriòn ousón m. apal-
lagés Xen. Cyrop. 5.1.12; oudemia m. [esti] hokós ou c. fut. ind., Hdt.
2.160; mé ou c. inf., IBID=au=Hdt. 2.181=lr, au=Hdt. 3.51; to mè ou
(prob.) IDEM=Hdt. 1.209; tis m. mè ouchi..; Plat. Phaedo 72d.
2. freq. in adverb. phrases, mèdemièi m. by no means whatsoever, by no
contrivance, Hdt. 7.51, etc.; hous oudemiéi m. dei titróskein Hp.Art.ll; so
méte technéi mète m. mèdemiai Foed.ap.Th.5.18, cf. IG12.39.23; opp.

214
pasèi technèi kai m. Lys. 19.53; pasèi m. Aristoph. Lys. 300 (lyr.); tropói è
m. hèitinioun Lex ap.Dem. 21.113.

mèchaAn-èma, atos, to, = foreg., machine, Hp.Art.42; mechanical device,


Arist.Mech.848a36; esp. engine of war, used in sieges, mostly in pi., Dem.
18.87, Plb. 1.48.2, Plu.Marc.14, etc.
II. subtle contrivance, freq. in Trag., as Aesch. Prom. 469,au=Aesch.
Prom. 989; of thè robe in which Agamemnon was entangled,
IDEM=Aesch. Lib. 981; logou m. poikilon Soph. OC 762; ta Hèras m.
Eur. Her. 855; oudeni mèchanématioud’ apatèi Antiph. 5.22; ta pros tous
polemious m. Xen. Cyrop. 1.6.38; pros to megethos tès archés
IBID=au=Xen. Cyrop. 8.6.17; m. eis to peithesthai tois nomois
IDEM=Xen. Const. Lac. 8.5; dei méchanematos tinos hopós ta.. chrèmath’
hexó Aristoph. Eccl. 872.

méchaAn-ikos, é, on, resourceful, inventive, Xen. Mem. 4.3.1, v.l. in


IDEM=Xen. Fieli. 3.1.8. Adv. -kòs D.S. 18.27.
2. c. gen. rei, tón cpitédeiòn -òteros Xen. Const. Lac. 2.7.
II. of or for machines, mechanical, organa m. Aristot. Poi. 1336all; hai..
kinèseis hai m. IDEM=Arist.Mech. 848al4; m. apodeixeis in mechanics,
IDEM=Arist.APo.76a24: mèchanika, ta, thè Science of mechanics, title of
work ascribed to Aristotle: he -kè (se. techné) Aristot. Met. 1078al6,
AP9.807; m. poiéma Sotad.15.6; m. erga PFlor. 152.4 (iii A. D.): Subst.
mèchanikos, ho, engineer, Plut. Per. 27, Sammelb.310. Adv. -kòs Callix.2.

mèchaAno-diphès [ij, ou, ho, (diphaò) inventing artifices or machines,


Aristoph. Peace 790.

mèchaAnophoros, on, for conveying military machines, hamaxai, nées,


Plu.Ant.38, Arr.An.2.22.6.

méchaAno-poieó, use machines, Hp.Fract. 15:-


Med., IBID=au=Hp. Fract. 20:-

215
mèchaAno-poios, ho, maker of engines or machines, engineer, Plat. Gorg.
512b, Xen. Cyrop. 6.1.22, Ostr.Bodl. i 304 (ii B. C.), Sallust.8.
2. machinist of thè theatre, Aristoph. Peace 174, ti=Ar. Fr. 188.
3. metaph., m. tés holès hupotheseòs Jul.Or.2.59b.
IL Adj. m. plèthos multitude of siege-engines, Memn.37.

méchaAno-stasion [staA], to, base of an irrigation machine,


Sammelb.4481.10 (v A. D.)

trochos, ho, (trechò) wheel, Hom. U. 6.42, au=Hom. II. 23.394, etc.; gè
epèmaxeumenè trochoisin Soph. Ant. 252; en pteroenti t... kulindomenon,
of Ixion, Pind. P. 2.22; trochous mimeisthai to imitate wheels, of one who
bends back so as to form a wheel, Xen. Sym. 2.22, au=Xen. Sym. 7.3:
metaph. of fortune, po'tmos en.. theou trochèi kukleitai S.Fr.871; also
manias trochèi E. Pirith.Oxy.2078 ti=E. Fr.1.14.
2. potter’s wheel, Hom. II. 18.600; trochèi clatheis [luchnos] (cf. trochèla-
tos ) Aristoph. Eccl. 4; trochou rhumaisi teukton.. kutos Antiph.52.2, cf.
Plat. Rep. 420e.
3. wheel of a stage-machine, Ar.Fr.188; also of a water-wheel, ho t. tès
mèchanés POxy.1292.13 (i A. D.); t. kai mèchanè PSI9.1072.9 (iii A. D.).
4. wheel of torture, Anacr.21.9; epi tou t. streblousthai Aristoph. PI. 875,
ti=Aristoph. Lys. 846, Dem. 29.40; helkesthai Aristoph. Peace 452; epi ton
t. anabènai Antiph. 5.40; anabibazein tina epi ton t. Andoc. 1.43; en tèi t.
endedemenon Plu.2.509c; tèi t. prosèloun [‘Ixiona] IBID=au=Plu. 19e, cf.
Lue. DDeor.6.5.
5. rotating wheels used in sieges as a defence against projectiles, Diod.
17.45.
IL childs hoop, Antyll.ap.Orib.6.26.5, S.E.P.1.106.
III. round cake, kèroio, steatos t., Hom. Od. 12.173, au=Hom. Od.
21.178; t. héliou thè sun’s disk, Aristoph. Thes. 17 (v. infr. B); coil of a ser-
pent, Orph.L.136.
2. large pili (cf. trochiskos au=Orph. L. 2), Sor.1.65, POxy.2144.25 (iii A.
D.).
IV. thalattés gés te t. circles or zones of land and sea, Plat. Oriti. 113d, cf.
au=Plat. Oriti. 115c, au=Plat. Oriti. 116a, au=Plat. Oriti. 117c sq.,
Plu.Luc.39.
V. circuit of a wall or fortification, Kuklèpios t. S.Fr.227, cf. Sch.A Plat.
Laws 681a (v. facsim. fol.au=Plat. Laws 175v).

216
VI. ring playing on thè bit of a bridle, Xen. Morse. 10.6, Poli. 1.184.
2. ring for passing a rope through, on board ship, IBID=au=Poll. 1.94=lr.
VII. whirlwind, LXXPs.76(77).18.
Vili, washpot (?), Gal.l8(2).671.
IX. a fish or sea-monster (Lat. rota, Plin. HN9.8), Ael.NAl3.20.
X. metaph., ho t. tès geneseós Ep.Jac.3.6; ho tés heimarmenès te kai gene-
seós t. Simp.in Cael.377.14.
B. trochos, ho, circular race, Hp.Vict.2.63, au=Hp. Vict. 3.68, ti=Hp.
Insomn.89; me pollous t. hamillètèras hèliou not many racing courses of
thè sun, i.e. not many days (codd. trochous wheels), Soph. Ant. 1063; pai-
des ek trochòn pepaumenoi Eur. Med. 46.
2. place for running, race-course, IDEM=Eur. Hipp. 1133 (lyr.).
II. an animai, Herodor.58J. (Trypho ap.Ammon. Diff.p.131 V. distd. thè
two senses as above.)
troch-os, on, running, tripping, melos Pi.Fr.177.
IL round, aspides Lyd.Mag.1.10 (Sup.); but trochòtais is prob. cj.

217
*

MACHINE ENGINE

ampclos
aphctcs
akontistcrion
arate
archimcchanikos
archiicktòn
aulctcs
ballistra
bclos
hamikuklios bclosphcndonc
anabolikos bdostasia
antisipcptos brontcion
aiòra hclcpolis
bathron karbatiòn
boukranion katapaltcs
dianankasmos kaiaskcuasmu
ergon kcsiros
ckkuklcma kcstrosphcndonc
ciskuklcò klinostrophion
phrcatotupanon korax
gaulos lithobolos
kcraunoskopcion lithobolos
kcrukcion mangananos
klimakis mcgalotcchnos
mafrosparton mcchancma
mcchanéma mcchanarios
mcchanc mcchanc
mcchanikos mcchanctcs
mcchanodiphés mcchanikos
mcchanophoros mcchanographos
mcchanopoicò mcchanopona
mcchanopoios mcchanopoios
mcchanostasion holkos
holkos organon
pclostrophion oxubaphon
plinthion organitcs
purckbolos organikos
thcsauros organopoios
strophcion palintonos
sustcma pctrobolos
sumbolion pctrobolos
tonios purphoros
tribolos purophoros
trochos sambukc
skelos
skutalis
tcichomachcs
trapcza
hdralctcs

Tabella I - Le ricorrenze dei lemmi “machinc" e “enginc" (fonti greche) nel glossario del “Project
Pcrscus"

218
Appendice II

da: Latin Lexikon -


Perscus Project - Tufts University <http://www.perseus.tufts.edu/>

màchina, ae, f. = mediane, a machine, i. e. any artificial contrivance for


performing work, an engine, fabric, frame, scaffolding, staging, easel, war-
like engine, military machine, etc.
I. Lit.
A. In gen.: moles et machina mundi, Lucr. 5, 96: omnes illae columnae
machinà apposita dejectae sunt, Cic. Verr. 2.1.55.S 145: torquet nunc lapi-
dem, nunc ingens machina tignum, Hor. Ep. 2, 2, 73: trahuntque siccas
machinae carinas, id. C. 1.4.2: frumentaria, Dig. 33, 7, 12.-
B. Esp.,
1. A platform on which slaves were exposed for sale: amicam de machinis
emere, Q. Cic. Petit. Cons. 2, 8.~
2. A painter’s easel, Plin. 35, 10,37, § 120.-
3. A scaffold for building: de machinà cadere, Dig. 13, 6, 5; Plin. 19, 2, 8, §
30.-
4. A military machine, warlike engine: machinis omnium generum expugna-
re oppidum, Sali. J. 21: aut haec in nostros fabricata est machina muros,
Verg. A. 2.46: murales, Plin. 7, 56,57, § 202: arietaria, Vitr. 10, 19.-
II. Trop., a device, pian, contrivance; esp. a trick, artifice, stratagem: at
nunc disturba quas statuisti machinas, i. e. abandon your schemes, Plaut.
Ps. 1.5.137: totam hanc legem ad illius opes evertendas tamquam machi-
nam comparari, Cic. Agr. 2.18.50: omnes ad amplificandam orationem
quasi machinae, &ast Quint. 11, 1, 44: dolum aut machinam commoliar,
Caecil. ap. Cic. N. D. 3, 29, 73: quantas moveo machinas! Plaut. Mil. 3.2.1:
aliquam machinabor machinam, Unde aurum efficiam, id. Bacch. 2.2.54.

màchinàtio, ònis, f. [machinor], artificial contrivance, mechanism, machi-


nery (class.).
1. Lit.: cum machinatione quadam moveri aliquid videmus, ut sphaeram,
Cic. N. D. 2, 38, 97: data est quibusdam bestiis machinatio quaedam, et
sollertia, power of contrivance, design, id. ib. 2, 48, 123.-
B. Transf. (abstr. prò concreto), a machine, engine: tantae altitudinis
machinationes, Caes. B. G. 2.31: tanta, id. ib. 2.30; 4, 17: navalis, id. B. C.
2, 10: tale ma chinationis genus, Liv. 37, 5.-
II. Trop., a trick, device, machination, contrivance; artifice, fraud: judex

219
tamquam machinatione aliqua tum ad severitatem, tum ad remissionem
animi est contorquendus, Cic. de Or. 2, 17, 72: dolus malus est omnis calli-
ditas, fallacia, machinatio ad circumveniendum, fallendum, decipiendum
alterum adhibita, Dig. 4, 3, 1; 14: per machinationem obligatus, by artifice,
by fraud, ib. 45, 1, 36.

mòles, is, f. [prob. for mog-les; root magh-; cf. magnus; Gr. mochthos,
mogein, mogis; cf.: mochlos, moliri, molestus; Germ. Muhe], a shapeless,
huge, heavy mass, huge bulk.
I. Lit.
A. In gen. (poet.): Chaos, rudis indigestaque moles, Ov. M. 1.7: vasta se
mole moventem Pastorem Polyphemum, Verg. A. 3.656: taurus et ipsa
mole piger, Juv. 12, 12: stetit aequore moles Pinea, i. e. a fleet of large
ships, Prop. 4 (5), 6,19.-
B. Esp.
1. A mass, pile, a cliff or ridge of rock: in mole sedens, Ov. M. 2.12;
13.923.-
2. A mass or pile of waves: venti, tantas audetis tollere moles, Verg. A.
I.134; 5.790.-
3. A huge, massive structure, esp. of stone; a dam, pier, mole; a foundation,
etc. (freq. and class.): molem atque aggerem ab utràque parte litoris jacie-
bat, Caes. B. C. 1, 25: moles oppositae fluctibus, moles, Cic. Off. 2, 4, 14;
cf. id. Verr. 2.4.53.§ 118: aditus insulae muniti mirificis molibus, id. Att. 4,
16, 13: exstructa moles opere magnifico, incisaeque litterae, virtutis testes
sempiternae, a monument, id. Phil. 14.12.33: moles propinqua nubibus,
Hor. C. 3.29.10: insanae substructionum moles, huge buildings, piles, Cic.
Mil. 31.85; Hor. C. 3.1.34: sepulcri moles, i. e. a tomb, Lue. 8, 865: molem
aggeris ultra venire, Juv. 16,26.-
4. A huge engine or machine, used at sieges: velut celsam oppugnat qui
molibus urbem, Verg. A. 5.439.-
5. Warlike apparatus, munitions of war: belli, Tac. LI. 1, 61: non alias majo-
re mole concursum, with a greater mass, id. A. 2, 46.-
II. Trop.
A. Greatness, might, power, strength, great quantity, heap: moles pugnae,
Liv. 26, 6: molem invidiae austinere, Cic. Cat. 1.9.23; cf.: moles mali, id. ib.
3, 7, 17: vis consili expers mole ruit sua, Hor. C. 3.4.65: rerum, Suet. Aug.
84: fortunae, Tac. A. 15, 52: Herculea, Sii. 12, 143: densa ad muros mole
feruntur, a vast crowd, immense body, Verg. A. 12.575: curarum, multitu-
de, crowd, Tac. A. 12, 66: tantae corporum moles in fugam consternati
sunt, Liv. 38,46,4.-
i
;
220

!
:
B.Difficulty, labor, trouble: transveham naves haud magna mole, without
great difficulty, Liv. 25, 11: tantae molis erat Romanam condere gentem, so
much labor did it cost, Verg. A. 1.33: Corbuloni plus molis adversus igna-
viam militum, quam, etc., Tac. A. 13, 35.

221 :
;: :

I
MACHINE ENGINE
antlia
apparatus i
arbuscula
arca
artemon
ascendo agger
automatus ancon
ballista apparatus
ccrvicula arbuscula
chamulcus arics
coclea ballista
cxostra capitulum
fractaria catapulta
fundibalum ccstrosphcndonc
grus corax
haustrum cschara
machilla hclcpolis
machina machina
machinalis machinamcntum
machinamentum machinatio
machinarius machinator
machinatio mensor
machinator molcs
machinula munitor
menila onager
molcs organum
molimcntum pons
opus pracfìcio
pegni a rudens
pegmaris scorpio
sambuca terebra
secula tormentum
tudicula tragularius

Tabella li - Le ricorrenze dei lemmi “machinc" e “engine” (fonti latine) nel glossario del “Project
Perseus"

222


Appendice III
(Antologia di testi)

Hymn. Hom., Eiq "Htpaiaxov 5


vvv 8è Si’ f/H(paiaxov kAa)xox8xvt|v epya Saévxeq
Apollod. Biblioth. XIV 42, 1-2
ò Aiovvatoq Ka0’ ripépav À.óyoiq xe <piÀ.av0pamon;
èxprjxo Kaì xo\)<; 7rpo0upoxàxou<; èxipa ScopeaTc; Kaì
7cpòq xa a'uvSeircva rcape^àppave. Siórcep
àv\)7téppÀ,r|xov <piÀ.oxipiav eia<pépovxe<; oi xexvTxai
noTJkà 7cpoae7cevoo\)vxo péXr| Kal pTixavripaxa £éva
Kai Suvàpeva rcapéxeaOoa peyàÀ.a<; xpe(aS-
Pappus Colteciio Vili 1070,4-13
noX'kà 8è Kal x<»pls *wv prixaviKcov e£co0ev òrc’
ai)XTi(; è7cixeÀ,eTxai, Kal xiva xaTq yecopexpiKatq
etpóSon; SDaxeipiaxa pexataxpouaa xoTq òpyàvoK;
ei<; paSieaxepav ìfraye KaxaaK8DT|v. aòxiKa youv xò
KatanSpevov AnÀaaKÒv rcpópÀ/r|pa xrj cpòaei axepeòv
i)7iapxov oi>x olóv x’ f|v KaxaaKe\)daat xcp yecope-
xpiKcp Àóycp KaxaKoA,o\)0oi)vxa^, ènei piT|Sè xàq xeni
Kcóvau xopà<; pàSiov èv erculeo ypàtpeiv fjv, xoTq 8’
òpyavon; pexaA.r|(p0èv eiq xeiP0,uPY^av *a!
KaxaaK8\)Tiv eTUxrjSeiov ... av àvax0eui
Aristoph. Pax 173-179
oip’ à<; 8é8oiKa, KoÒKexi aKamxcov Xéyco.
co p-rixavoTcoié, jcpóaexe xòv vovv, àq èpe
tì8t| axpécpei xi rcveupa icepl xòv òp(paA.óv,
Kei pii qn>À.à£ei<;, xopxàaco xòv KàvOapov.
àxàp èyyuq eìvai xeov Oecov èpol Sokcd-
Kal 8f| KaOopco xrjv oÌKiav xtjv xo\> Aióq.
xu; èv Aiò<; Oòpaiaiv; oòk àvoi^exe;
Anth. Pai. 1X418 (Antip. Thess.)
"Iaxexe %eTpa puA.aTov, àÀ,expi8e<;, eì58exe paKpà,
ktiv òpOpov 7tpoXéyii yfjpuq àXeKxpuóvcov.
At|ù yàp Nòptpaiai xepcov èrcexe&axo póx0ov<;-

223
ai 8è Kax' aKpoxàxr|v àÀÀópevai xpo^iriv
alcova Siveóooaiv, ò 8’ àicxiveaaiv èÀ,iKxaT<;
axpcocpa Niaoplcov KoT^.a pàprj poÀ.aKCùv.
reoópe0’ àpxouoo pióxoo rcàtav, ei Sixa póxOoo
SawoaOai Arjooq épya Si8acKÓpe0a.
Hero, Cheiroball.
K£<p. a:
reyovéxioaav Kavóveq Sòo rceXeKivcoxoi oi AB, TA, èv
xexpaycovou; rce^EKivou;, Sv 9?)pev éoxco ò AB,
àpptjv 8è ò VA.
Kai xò pèv prjKoq èxéxco ò AB rcóSaq y Kai SaxxóXooq
8, xò 8è rcA,àxo<; èxéxco 8aKxóÀ.oo<; y, xò Se nàxoq
SaKxóXooq 8.
‘0 8è VA xò pijKoq exéxco 7ió8a<; y, xò 8è 7iXàxo<; eoe;
SaKxóXooq p, xò 8è rcàxoc; 8(xkxuàov a 8.
’Exéxco 8è xò pà0o<; ò ocoXtiv xoo AB Kavóvoq SaKto-
Xov a.
Too 8è AB Kavóvoq t] pèv AZ aeacoA.r|vi(j0co oòaa
rcoScov P 8aKx\)Àcov <;• Xoucri apa éaxìv f| ZB
SaKxóXcov <;.
’A7teiÀ,r|<p0co 8è xoo AB Kavóvoq ti [pèv] A0 7xo8òq a
Kai 8aKxóÀcov 8, ti 8è AK rcoSòq a Kai 8aKxóta)o a •
À.OUIT] apa ti 0K éaxai SaKxóÀcov
Kecp. e:
Ile7coir|a0coaav 8è Kai KCOvoeiSri 8óo xà ABTA,
EZH0, éxov ÉKàxepov xò pèv p?iko<; SaKxóXcov ta.
Tò 8è 7tàxo<; xcov AB, EZ Kopocpcov eKaaxoo Kcovoei-
8oo<; exéxco 8aKxóÀ,oo xò Tipico, xò 8è xrjq pàceox;
èKacxoo xSv TA, H0, 8aKxóA.oo evóq.
’Exéxcoaav 8è Kaxà pt]ko<; GcoXrjvaq xexpaycóvooq,
Kai xóppooq èv xau; AB, EZ xopocpaiq, waxe
Kavovicov yivopévcov copcpocov KpiKoiq, àppocxcov
xoa<; xóppoiq Kai xoTq coXrjciv, èKKopi£eo0ai ércì xcov
aoXr|vcov Kai xcov xóppcov èv xoTq Kcovoei8éai
yeyóvociv.
"Ecxcocav 8è xà pèv Kavóvia copcpoTj xoT<; KpiKoiq
xà KAMN, 0OnP, KpiKoi 8è oi KA, 00 • àvaKaprcàq
8è èxéxcoaav xà Kavóvia 7cpòq xoTq rcépaci, xàq MN,
flP, oyoq èxoóaaq 8aKxóÀ.oo xò Tipico.

224
r

Mero, Cheiroball. In : Thévenot, Veterum Malhematicorum... opera, Paris 1693.

225
:
Vitruv. De arch. X 1,3.
Ex his sunt quae jirixaviKcoq, alia òpyaviKco^, moven-
tur. Inter machinas et organa id videtur esse discrimen
quod machinae pluribus operibus ut vi maiore cogun-
tur effectus habere, uti ballistae torculariorum prela;
organa autem unius operae prudenti tactu perficiunt
quod est propositum, uti scorpionis seu anisocyclorum
versationes. Ergo et organa et machinarum ratio ad
usum sunt necessaria, sine quibus nulla res potest esse
non inpedita.
Vitruv. De arch. X 1, 1-4
1. Machina est continens e materia coniunctio maximas /
ad onerum motus habens virtutes. Ea movetur ex arte
circulorum rotundationibus, quam Graeci K\)KÀ,iKr|v
Kivqaiv appellant. Est autem unum genus scansorium,
quod graece (XKpopaxiKÓv dicitur; alterum spirabile,
quod apud eos 7tveupaxiKÓv appellatur; teitium tracto-
rium, id autem Graeci Papoutacóv vocitant. Scansorum
autem machinae ita fuerunt conlocatae, ut ad altitudi-
nem xignis statutis et transversariis conligatis sine peri-
culo scandatur ad apparatus spectationem; at spirabile,
cum spiritus ex expressionibus / inpulsus et plagae
vocesque òpyaviKox; exprimantur; 2. tractorium vero,
cum onera machinis pertrahuntur, ut ad altitudinem
sublata conlocentur. Scansoria ratio non arte sed auda­
cia gloriatur; ea catenationibus [et transversariis et plexis
conligationibus] et erismatorum fulturis continentur. Quae
autem / spiritus potestate adsumit ingressus, elegantes artis
subtilitatibus consequetur effectus. Tractoria autem maio-
- res et magnificentia plenas habet ad utilitatem opportunita-
tes et in agendo cum prudentia summas virtutes. 3. Ex his
sunt quae iiqxaviKcoq, alia òpyaviKco<; moventur. Inter
machinas et organa / id videtur esse discrimen, quod
machinae pluribus operibus ut vi maiore coguntur effectus
habere uti ballistae torculariorumque prela; organa autem
unius operae prudenti tactu perficiunt quod est proposi­
tum, uti scorpionis seu anisocyclorum versationes. Ergo et
organa et machinarum ratio ad / usum sunt necessaria, sine

226
:

quibus nulla res potest esse non inpedita. 4. Omnis autem


est machinatio rerum natura procreata ac praeccptrice et
magistra mundi versatione instituta.
Vitruv. De arcb. X 5, 1-2
1. / Fiunt etiam in fluminibus rotae eisdem rationibus,
quibus supra scriptum est. Circa earum frontes adfi-
guntur pinnae, quae, cum percutiuntur ab impetu flu-
minis, cogunt progredientes versari rotam, et ita modio-
lis haurientcs et in summum referentes sine operarum
calcatura ipsius fluminis / inpulsu versatae praestant,
quod opus est ad usum.
2. Eadem ratione etiam versantur hydraletae, in quibus
eadem sunt omnia, praeterquam quod in uno capite
axis tympanum dentatum est inclusum. Id autem ad
perpendiculum conlocatum in cultrum versatur cum
rota pariter. / Secundum id tympanum maius item den­
tatum planum est conlocatum, quo continetur. Ita den-
tes tympani eius, quod est in axe inclusum, inpellendo
dentes tympani plani cogunt fieri molarum circinatio-
nem. In qua machina inpendens infundibulum submi-
nistrat molis frumentum et eadem versatione / subigitur
farina.
Plin. Nat. Risi. XXXIV 1, 1-3
Metalla nunc ipsaeque opes et rerum pretia dicentur,
tcllurem intus exquirente cura multiplici modo, quippe
alibi divitiis foditur quaerente vita aurum, argentum,
electrum, aes, alibi deliciis gemmas et parietum ligno-
rumque pigmenta, alibi temeritati ferrum, auro etiam .
gratius inter bella caedesque. Persequimur omnes eius
fibras vivimusque super excavatam, mirantes dehiscere
aliquando aut intremcscere illam, ceu vero non hoc indi-
gnatione sacrae parentis exprimi possit. Imus in viscere
et in sede manium opes quaerimus, tamquam parum
benigna fertilique qua calcatur. Et inter haec minimum
remediorum gratia scrutamur: quoto enim cuique
fodiendi causa medicina est? Quamquam et hoc summa
sui parte tribuit ut fruges, larga facilisque in omnibus
quaecumque prosunt. Illa nos peremunt, illa nos ad

227
inferos agunt, quae occultavit atque demersit, illa, quae
non nascuntur repente, ut mens ad inane evolans rcpu-
tet, quae deinde futura sit finis omnibus saeculis exhau-
riendi eam, quo usque penetratura avaritia. Quam inno-
cens, quam beata, immo vero etiam delicata esset vita, si
nihil aliunde quam supra terras concupisceret, breviter-
que, nisi quod secum est!
Lucr. V 1281-1296
Nunc tibi quo pacto ferri natura reperta
sit facilest ipsi per te cognoscere, Memmi.
Arma antiqua manus ungues dentesque fuerunt
et lapides et item silvarum fragmina rami,
et fiamma atque ignes, postquam sunt cognita primum. 1285
Posterius ferri vis est aerisque reperta.
Et prior aeris erat quam ferri cognitus usus,
quo facilis magis est natura et copia maior.
Aere solum terrae tractabant, aereque belli
miscebant fluctus et vulnera vasta serebant 1290
et pecus atque agros adimebant. Nam facile olLis
omnia cedebant armatis nuda et inerma.
Inde minutatim processit ferreus ensis
versaque in opprobrium species est falcis ahenae,
et ferro coepere solum proscindere terrae 1295
exaequataque sunt creperi certamina belli.
Anon. De rebus bellicis
6. De bellicis machinis
1. In primis sciendum est quod imperium Romanum
circumlatrantium ubique nationum perstringat insania
et omne latus limitum tecta naturalibus locis appetat
dolosa barbaries. 2. Nam plerumque memoratae gentes
aut silvis teguntur aut extolluntur montibus aut vindi-
cantur pruinis; nonnullae vagae solitudinibus ac sole
nimio proteguntur. 3. Sunt quae paludibus fluminibus-
que defensae nec inveniri facile queunt, et tamen quie-
tem pacis lacerant inopinatis incursibus. 4. Ergo huius-
modi nationes, quae aut talibus subsidiis aut civitatum
castellorumque moenibus defenduntur, diversis et novis
armorum sunt machinis prosequendae. 5. Verum ne

228
qua difficultas in excitandis armorum generibus òriatur,
imaginem tormentorum nihil a vero distantem colori-
bus adumbratam orationi subieci, ut sit facilis imitandi
confectio.
7. Exposilio ballistae quadrirotis
1. Exemplum ballistae, cuius fabricam ante oculos posi-
tam subtilis pictura testatur. 2. Subiecta namque rota-
rum quattuor facilitas, duobus subiunctis et armatis
equis, ad usus hanc bellicos trahit; cuius tanta est
utilitas prò artis industria ut omni latere in hostem
sagittas impcllat, sagittarii libertatem et manus imitata.
3. Habet foramina per quattuor partes, quibus prò
commoditate rerum circumducta et flexa faciliime ad
omnes impetus parata consistat. 4. Quae quidem a
fronte cochleae machina et deponitur celerius et erigi-
tur sublevata. 5. Sed huius temo in quamvis partem
necessitas vocet cita et facili conversione deflexus erigi-
tur. 6. Sciendum est autem quod hoc ballistae genus
duorum opera virorum sagittas ex se non, ut aliae, funi-
bus sed radiis intorta iaculatur.
Anon., peÀ.orcoum 59,11-22: ’Erce'i yàp oì pei^oveq
kvkXoi tcpaxouoi twv èA.aaaóvcDv xcov rcepi (xò) aùxò
Kévxpov Keipévcov, Ka0CX7t8p èv XOTq |IOX^.lKOTq
àrceSei^apev, Sià 8e xò bpoiov Kaì xoTq po^A-ou; paov
Kivouai xà pàpr|, oxav òq èyyuxaxa xou pàpoq xò
òrcopóxAiov 0(OGiv (e^ei yàp xtjv xo\) Kevxpou xà^iv •
rcpooayópevov oùv rcpòq xò pàpoq [8è] èAaoooT
kukAov, Si’ oh xfjv e\)Kivr|Giav auppaivei ytvea0ai)-
xò aòxò 5t] vorjxeov éaxi mi rcepi xò òpyavov. ò yàp
àyiccóv éaxi poxAò<; àvxeaxpapjievoq* òrcopóxAiov
pev yàp yivexai xò èv (pecco xou xóvou) pepoq aùxou,
f| 8e xo^Txk; veupà xò pàpoq, r\ xiq aKpou xo\)
àyiccovoq exopévrj xò pàpo^ è^arcoaxeAAei. èàv oùv
xiq xòv xóvov òxi rcAeTcxov àrc’àAAfjAcov Siaaxfioaq
arcò xrjq rcxépvnq 0rj, 8r|Aovóxi xò pev òrcopóxAiov
èyyiov eoxai xo\> pàpoq, f] 8è Sòvapiq paicpóxepov
arcò xoi) òrcopoxAiou • xoòxod 8e yevopevou
aupPrioexai xr^v è^arcoaxoÀJiv xou péXouq ocpoSpàv
mi piaiov yiveo0at.

229
«Infatti i cerchi maggiori vincono i minori che giaccio­
no sullo stesso centro, come abbiamo dimostrato nel
libro sulle leve, così per un motivo simile si muovono
facilmente i pesi con le leve, quando si pone il fulcro il
più vicino possibile al peso (ha infatti il posto del cen­
tro; pertanto, quando è avvicinato al peso, diminuisce il
circolo per cui accade che si ha il movimento facile). La
stessa cosa va concepita anche per la macchina da guer­
ra. Il braccio [di una catapulta] c una leva invertita; il
fulcro diviene, infatti, una parte di esso [quella situata
nel mezzo delle funi in torsione], il peso la corda che è
attaccata all'estremità del braccio e lancia il peso. Se
pertanto si sistemano le funi in torsione separandole il
più possibile le une dalle altre a partire dal tallone, il
fulcro sarà chiaramente più vicino al peso e la forza più
lontana dal fulcro. Se questo viene fatto, accadrà che la
scarica del proiettile sarà veemente e violenta».
Porph., jtepl xou èv ’05uaoe{a xcov vup<pcov avxpou,
14: 5iò Kai à7i£TÓÀ,|i'naev eitceTv ò TtoiqxTiq òxi èv
xoùxciq 'cpàpE5 ùcpaivouaiv àX,i7tóp<p\)pa, Gaùpa
i8éo0ai\ èv òaxoTq pèv yàp Kai 7tepi òaxa q oapKo-
rcoua, X(0oq 5e xaùxa èv ^cpoiq M0<p èoiKÓxa- 5tò Kai
oi iaxoi oùk àrc’aAAriq iSÀ/nq, akX' aitò xou ÀdGou
èppf|0qaav. xà 8' aAinópcpupa (pàpri avxiKpuq r\ è^
aipàxcov av siri è^ixpaivopévrj aàp£- è£ aipaxoq pèv
yàp àXoupyn spia Kai èK £cocov èpà<pr| Kai xò èpiov,
81’ aijiaxoq 8è Kai è£ aipàxcov f| aapKoyovia. Kai
Xixcov ye xò aSjia xfl vj/uxil o qptpieaxai, Gaùpa xcp
òvxi iSeaBai, eixe rcpòq xtjv aùaxaaiv à7top^é7toiq
eixe Ttpòq xqv Ttpòq xoùxo aùvSeaiv xt\c, \|n)XTjq. oùxco
Kai Ttapà xcp ’OpcpeT ti Kópq, T^Ttep èaxi 7tavxò<; xoù
a7teipopevo\) ecpopoq, iaxoupyoùaa 7tapa5i5oxai, xcov
7taXaiSv Kai xòv oùpavòv 7t£7tA.ov EÌpTjKÓxcov oiov
0£(ov oùpavicov 7t£piPA,Tipa.
«Perciò il poeta osò dire che su questi telai “tessono
manti purpurei, meraviglia a vedersi”.
La carne, infatti, si forma sulle ossa e intorno a esse, e
negli esseri viventi le ossa sono la pietra, perché simili a
pietra; perciò si dice che anche i telai sono di pietra e

230
non di un’altra materia, i manti purpurei, poi, sarebbe­
ro evidentemente la carne, cioè il tessuto che si forma
dal sangue: infatti le vesti di lana sono color porpora
per il sangue, la lana è tinta con prodotti di origine ani­
male, e la carne si forma con il sangue e a partire dal
sangue. 11 corpo poi è la tunica che avvolge l’anima
come una veste, spettacolo davvero meraviglioso a
vedersi, sia che si contempli la composizione d’insieme
o il legame dell’anima con il corpo. Così anche in Orfeo
Kore, patrona di tutto quanto viene seminato, è rappre­
sentata mentre lavora al telaio: e gli antichi dicevano
che il cielo è un peplo, come fosse la veste degli dèi
celesti».

231

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