Sei sulla pagina 1di 60

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO

FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA

CORSO DI LAUREA IN LETTERE

DISSERTAZIONE FINALE

ESTETICA E TEORIA DEL ROMANZO NELL'OPERA


NARRATIVA DI MILAN KUNDERA

RELATORE CANDIDATO
Prof. Roberto Gilodi Lucio Serafino

ANNO ACCADEMICO 2009/2010


Indice

Note introduttive......................................................................................2

1. Considerazioni preliminari.................................................................6

1.1 Delimitazione dell'opera di Kundera...................................................6


1.2 Mappa dei romanzi: due “cicli” cechi ed uno francese ......................7
1.3 I “tre tempi” della storia del romanzo................................................10

2. L'emancipazione dell'“io” autoriale................................................12

2.1 Narratore e autore..............................................................................12


2.2 La voce dei personaggi......................................................................14
2.3 La voce dell'autore.............................................................................16
2.4 Il mondo dell’autore..........................................................................18

3. Unità tematica ..................................................................................20

3.1 Meditazione romanzesca...................................................................20


3.2 Unità tematica....................................................................................21
3.3 Variazione su tema.............................................................................22
3.4 Essenzialità........................................................................................26
3.5 Personaggi.........................................................................................28
3.6 La Storia............................................................................................30
3.7 Il valore poetico del Caso..................................................................33

4. Polifonia romanzesca.........................................................................39

4.1 Definizione........................................................................................39
4.2 Moltiplicazione dei punti di vista......................................................40
4.3 Combinazione di più linee narrative..................................................42
4.4 Ampliamento dei confini romanzeschi: mescolanza di più generi....43
4.5 Ampliamento dei confini romanzeschi: fusione di più livelli
di finzione................................................................................................46

Note conclusive.......................................................................................54

Bibliografia.............................................................................................55
Note Introduttive:

L’opera di ogni romanziere contiene implicitamente una


visione della storia del romanzo, un’idea di che cos’è il
romanzo; ed è proprio quest’idea, insita nei miei romanzi, che
ho cercato di far parlare1.

Questa affermazione di Milan Kundera costituisce il postulato da cui


prende avvio la nostra tesi: dietro le scelte formali di un romanziere (e,
potremmo dire, di ogni artista in generale) si cela una precisa idea
estetica della propria arte (e dietro di essa, potremmo aggiungere, una
determinata visione del mondo).
Ora, nei suoi tre saggi sul romanzo (L’Arte del Romanzo, I Testamenti
Traditi e Il Sipario), Kundera espone e spiega puntualmente le proprie
scelte artistiche, dando prova di un'estrema consapevolezza della storia
del “romanzo europeo”2 e della propria collocazione estetica all'interno
di essa. Il più delle volte, in questi preziosi testi, Kundera segue
un’impostazione deliberatamente non sistematica, senza la “minima
ambizione di fare della teoria”, ma, al contrario, nei termini di una
“confessione di uno che fa della pratica”3.
Questa tesi si configura, invece, in un’ottica più scientifica, come
un'analisi dal punto di vista del lettore e del critico. Ci proponiamo,

1
KUNDERA, Milan, L’Arte del Romanzo, Adelphi, Milano 1986, p. 9
2
Impieghiamo qui l'espressione “romanzo europeo” nel senso definito da Kundera
stesso: “Se parlassi di romanzo occidentale, mi si potrebbe rimproverare di
dimenticare il romanzo russo. Se parlassi di romanzo mondiale, occulterei il fatto
che il romanzo di cui tratto non è né il romanzo cinese né quello antico, ma il
romanzo che per nascita, per costituzione è legato all'Europa. Quando dico
romanzo europeo intendo usare l'aggettivo in senso husserliano: non come una
determinazione geografica, ma spirituale, che ingloba anche l'America o, per
esempio, Israele. Ciò che chiamo romanzo europeo è una storia che va da
Cervantes a Faulkner” (KUNDERA, Milan, Il cielo stellato dell'Europa centrale, in
KUNDERA, Milan, Il cielo stellato dell'Europa Centrale, in RIZZANTE, Marco,
(a cura di), “Milan Kundera”, Riga, 2002, 20 p. 23)
3
KUNDERA, Milan, L’Arte del Romanzo, cit., p.10
ovvero, attraverso la lettura dei romanzi e l'analisi delle loro principali
caratteristiche formali, di dedurre la visione estetica esposta nei saggi: di
comprendere, in altre parole, in che modo tale concezione estetica sia
tradotta nella pratica romanzesca; di valutare, infine, la portata
innovativa di tale estetica del romanzo: a nostro parere, una delle più
originali e feconde nel contesto del romanzo contemporaneo.

Il primo capitolo sarà dedicato all'introduzione di alcune questioni


preliminari: in primo luogo, la delimitazione dell'opera kunderiana. In
secondo luogo, la delimitazione del nostro campo di lavoro: dal
momento che il nostro oggetto di studio sarà costituito prevalentemente
dai dieci romanzi pubblicati da Kundera fino ad oggi, presenteremo una
breve “mappa” orientativa, suddividendoli in tre “cicli”. In terzo luogo,
abbiamo preferito non dilungarci eccessivamente nell'esposizione
sistematica dei concetti teorici esposti dallo stesso Kundera nei suoi
saggi. Pur tenendone conto (e spesso citandoli nel testo), il nostro punto
di osservazione voleva restare il più possibile ancorato al testo dell'opera
romanzesca. In questo primo capitolo orientativo, pertanto, ci siamo
limitati ad una breve illustrazione della teoria kunderiana dei “tre tempi”
della storia del romanzo, utile ad un'immediata contestualizzazione
dell'opera di Kundera all'interno della storia del romanzo europeo .

Il secondo capitolo affronta l'importante questione della tecnica


narrativa messa in campo da Kundera nei suoi romanzi. Si possono
distinguere, in prima analisi, due fasi: narrazione in prima persona e
moltiplicazione delle voci narrative nel primo romanzo, Lo Scherzo;
narrazione in terza persona nei romanzi successivi. In questa seconda
fase, tuttavia, sono ravvisabili altri due momenti: nel primo, Kundera
mette in campo una sorta di narratore-autore sul modello di Sterne e
Diderot (interventi diretti nel testo attraverso digressioni e inserti
metaromanzeschi; rottura del patto finzionale; accentuato carattere ludico
della narrazione). Nel secondo, tale narratore-autore viene dotato da
Kundera di alcuni caratteri peculiari (in particolare, un carattere
meditativo e un'estrema non-finzionalità), funzionali alla realizzazione di
un'estetica del romanzo personale ed originale.
Nel terzo e nel quarto capitolo, esporremo i due grandi principî
compositivi a cui possiamo ricondurre tutti i romanzi di Kundera: unità
tematica e polifonia. Questi due temi, come vedremo, sono strettamente
interconnessi e costituiscono il fulcro attraverso cui si realizza l'idea
estetica di Kundera.
Nei romanzi di Kundera, il principio di unità tematica prevale su quello
dell'unità d'azione. Questo non significa farne dei romanzi d'avanguardia,
o delle storie senza personaggi e senza azione (sul modello del Nouveau
Roman). Significa, come vedremo, che, anziché mirare all'esaurimento di
una trama, essi mirano primariamente all'esplorazione di una questione
esistenziale, attraverso il principio “musicale” della variazione su tema.

Tale costruzione musicale si concretizza nella struttura polifonica dei


romanzi. Osserveremo, innanzitutto, come il termine “polifonia” sia
definito da Kundera nei suoi saggi in un'accezione leggermente
differente da quella adottata da Bachtin, concentrandosi, più che sul
concetto di plurivocità, su quello di linea narrativa. Secondo Kundera, la
polifonia si realizza, in primo luogo, attraverso la moltiplicazione delle
linee narrative; tali linee, inoltre, devono appartenere a diversi generi,
come avviene nel Terzo libro dei Sonnambuli di Broch. Tuttavia, a
differenza di quanto avvenga in Broch, le linee devono avere pari peso
all'interno del sistema complessivo e risultare inseparabili le une dalle
altre. Ora, la tesi che sosterremo nel corso di questo capitolo sarà non
solo quella secondo cui Kundera riesce, attraverso il principio di unità
tematica, a realizzare tali condizioni di uguaglianza ed indivisibilità
polifonica, portando così a compimento la lezione del suo “maestro”
Broch; bensì, rifacendoci a quanto sostenuto da François Ricard nel suo
splendido saggio Le dernier Après-midi d'Agnès4, mostreremo come
Kundera sappia spingere la polifonia romanzesca ad un livello ancora
4
RICARD, François, Le dernier Après-midi d'Agnès, Gallimard, Paris 2003
successivo, intrecciando fra loro non solo linee narrative di differente
genere, ma anche di diverso statuto ontologico. Egli sviluppa, cioè una
narrazione che riesce a sovrapporre in modo coerente diversi livelli di
finzione (o di realtà), conducendo a risultati, a nostro avviso, inediti e di
grande valore artistico.
1. Considerazioni preliminari

1.1 Delimitazione dell'opera di Kundera

Esistono due concezioni di ciò che è opera. Si può intendere tutto quello
che l'autore ha scritto: è il punto di vista, ad esempio, della celebre
collezione della Pléiade, che ama pubblicare tutto di un autore, ogni
lettera, ogni nota di diario; oppure l'opera è solo quello che l'autore
ritiene valido al momento del bilancio. Sono sempre stato un accanito
fautore di questa seconda concezione.5

Ora, il “bilancio” personale di Kundera lo ha portato ad indicare come


appartenente alla sua opera autentica solo ciò che, nell'insieme dei suoi
scritti, rientra in qualche misura nell'arte del romanzo. In questo senso,
egli ha operato una sorta di “autocensura” editoriale della propria opera,
escludendo dal proprio corpus tutto il resto dei suoi scritti (le poesie
giovanili, i discorsi critici, quelli politici).
In accordo con tale scelta operata dall'autore, l'opera di Kundera che
prenderemo in considerazione in questa tesi sarà costituita dai suoi dieci
romanzi, composti fra il 1959 e il 19996: Lo Scherzo, Amori Ridicoli7, La
5
KUNDERA, Milan, “Nota dell'autore per la prima edizione Ceca de Lo Scherzo
dopo la liberazione del paese dall'occupazione russa”, 1991, in CHVATIK,
Kvetoslav, Il mondo romanzesco di Milan Kundera, Dipartimento di Scienze
Filologiche e Storiche, Trento 2004, p. 40).
6
Abbiamo ritenuto necessaria tale premessa in quanto non tutti i critici condividono tale
impostazione: ad esempio, nel suo ampio lavoro su Kundera, Martin Rizek concentra la
propria analisi sul contesto socio-culturale in cui lo scrittore si trova ad operare e decide,
pertanto, di prendere in esame anche i testi esclusi da Kundera dal proprio “canone” (le
poesie giovanili, i testi critici e politici, le traduzioni) (cfr. (RIZEK, Martin, Comment
devient-on Kundera?, L'Harmattan, Paris 2001).
7
Due precisazioni su Amori Ridicoli: 1) Si tratta di un romanzo o di una raccolta di
racconti? Evidentemente, per la sua struttura e forma, sarebbe più corretto farlo
rientrare nel secondo genere. Tuttavia, nella sua “Nota dell'autore per la prima
edizione Ceca di Amori Ridicoli dopo la liberazione del paese dall'occupazione
russa” (pubblicata in CHVATIK, Kvetoslav, Il mondo romanzesco di Milan
Kundera, cit., pg 241-243), Kundera tende a considerare quest'opera come un
romanzo, di forma particolare, certo, ma in fin dei conti non troppo differente da
quella del Libro del Riso e dell'Oblio. Per certi versi, a nostro avviso, tale
affermazione sarebbe per molti aspetti criticabile: la struttura frammentaria del
Libro del Riso e dell'Oblio, romanzo per certi versi affine a Amori Ridicoli, è
compensata -come vedremo- dagli elementi unificante della voce dell'autore e
dell'unità tematica, qui ancora quasi del tutto assenti. Tuttavia ricordiamo che,
secondo l'autore dei Testamenti Traditi, “non esiste differenza ontologica fra
racconto e romanzo” (KUNDERA, Milan, I Testamenti Traditi, Adelphi, Milano
Vita è Altrove, Il Valzer degli Addii, Il Libro del Riso e dell'Oblio,
L'Insostenibile Leggerezza dell'Essere, L'Immortalità, L'Identità, La
Lentezza, L'Ignoranza. A queste dieci si aggiungono altre quattro opere,
che, pur non essendo romanzi, rientrano comunque all'interno del
“medesimo territorio estetico”8: Jacques e il suo padrone (variazione
teatrale su Jacques Le Fataliste di Diderot, pubblicato a Praga nel 1971)
e tre saggi: L'Arte del Romanzo (1985), I Testamenti Traditi (1992) e Il
Sipario (2004), testi di “confessione estetica”9 e meditazione sul
romanzo.

1.2 Mappa dei romanzi: due “cicli” cechi ed uno francese

Il nostro lavoro si concentrerà in particolare sui dieci romanzi di


Kundera. Di norma, essi vengono suddivisi in due grandi insiemi: il
primo è costituito dai primi sette titoli, scritti in lingua ceca; il secondo,
dagli ultimi tre, scritti in lingua francese. Tuttavia, non è l'aspetto
linguistico in sé a definirne i limiti10: come vedremo, infatti, le differenze
fra i due cicli sono essenzialmente riconducibili a questioni di forma.

1994, p.203), i quali non sono che “una piccola e una grande forma della medesima
arte” (“Prefazione” in L. Proguidis, La Conquête du Roman, Paris, Les Belles
Lettres, 1997, p.XIII, citato in RICARD, François, Le dernier Après-midi
d'Agnès,cit., p. 36). Ci sembra pertanto opportuno considerare Amori Ridicoli
come un'opera appartenente al corpus dei romanzi di Kundera. 2) Qual è il primo
romanzo di Kundera: Lo Scherzo o Amori Ridicoli? Come giustamente fa notare
Rizek (RIZEK, Martin, Comment devient-on Kundera?, cit., p.87), sebbene la
bibliografia occidentale sia abituata ad indicare come primo romanzo di Kundera
Lo Scherzo (comparso nel 1965 in Cecoslovacchia e nel 1968 a Parigi), bisogna
ricordare che una prima raccolta di Amori Ridicoli compare già nel 1963 (e che uno
dei racconti era già stato edito in rivista nel 1959). D'altro canto, bisogna notare
che tale prima raccolta fu ampiamente rimaneggiata e modificata (e ripubblicata
prima nel 1965 e poi nel 1968), prima di raggiungere la sua forma definitiva,
pubblicata a Parigi nel 1970. Infine, lo stesso autore, nella “Nota dell'autore per la
prima edizione Ceca de Lo Scherzo dopo la liberazione del paese dall'occupazione
russa” (in CHVATIK, Kvetoslav, Il mondo romanzesco di Milan Kundera, cit. p.
40), considera Lo Scherzo come la sua “Opus n°1” e Amori Ridicoli come “Opus
n°2”. In questo caso, ci rimettiamo senza riserve all'opinione dell'autore.
8
RICARD, François, Le dernier Après-midi d'Agnès, cit., p. 37 [Tutte le citazioni da
questo volume sono presentate nella nostra traduzione dal francese].
9
L'espressione è di Kundera, ed è riportata da RICARD, Ibid., p. 40
10
Ricordiamo per inciso che, sebbene scritti in lingua ceca, solo i primi due romanzi
del ciclo ceco furono effettivamente pubblicati in prima edizione a Praga: la prima
edizione degli altri romanzi cechi coincide con la loro traduzione francese.
Questa prima grande suddivisione, per quanto valida, non risulta del tutto
esauriente: essa rischia di mettere in ombra, da un lato, i numerosi
elementi di continuità che accomunano il primo e il secondo ciclo;
dall'altro, gli elementi di discontinuità interni allo stesso primo ciclo.
Iniziamo proprio da quest'ultimo aspetto. Sono certamente ravvisabili nei
sette romanzi “cechi” numerosi elementi di continuità: la caratteristica
che principalmente li lega non è tanto, come abbiamo detto, l'impiego
della lingua ceca, quanto, a nostro avviso, la struttura architettonica
ampia e complessa su cui sono costruiti. Tale struttura è rigorosamente
divisa in parti (di norma sette11, dotate di titolo), a loro volta suddivisi in
capitoli (numerati) di lunghezza relativamente breve.
Tuttavia, ad un'analisi attenta, è possibile suddividere questo insieme in
due ulteriori sottoinsiemi interni , i quali differiscono sotto diversi punti
di vista12: nel “primo ciclo” ceco facciamo rientrare i primi quattro
romanzi, composti a Praga durante gli anni '60: Lo Scherzo (pubblicato
nel 1965), Amori Ridicoli (composto fra 1959 e 1968), La Vita è Altrove
(1969) e Il Valzer degli Addii (1971-1972). Il “secondo ciclo” ceco
raggruppa invece gli altri tre romanzi, scritti a Rennes e a Parigi negli
anni '70: Il Libro del Riso e dell'Oblio (1978), L'Insostenibile Leggerezza
dell'Essere (1982) e L'Immortalità (1988).
I primi quattro romanzi, nonostante la loro indubbia originalità, non

11
Spesso viene posta l'attenzione (talvolta, a nostro avviso, anche in maniera eccessivamente
approfondita) sul ritorno frequente, nei romanzi di questo ciclo, del numero sette: esso è
costituito da sette romanzi, ciascuno dei quali, a sua volta, è rigorosamente
composto da sette parti. L'unica eccezione, Il Valzer degli Addii, romanzo centrale
del ciclo, è costruito su cinque “giornate”, riprendendo la struttura in cinque atti del
Colloquio, racconto centrale di Amori Ridicoli. (cfr. KUNDERA, Milan, L'Arte del
Romanzo, Adelphi, Milano 1988 p.137) Più che interessarci di per sé, tale elemento
ci sembra rappresentativo di una sorta di rigore matematico, meticolosamente
messo in opera da Kundera nella composizione di questi romanzi.
12
Diversi critici concordano nel suddividere il “ciclo ceco” in ulteriori sottoinsiemi,
ma diverse sono le ripartizioni proposte. Nel suo studio su Il mondo romanzesco di
Milan Kundera, Chvatík propone di considerare, da un lato, i romanzi
“antropologici, sociali e filosofici” (Lo Scherzo, La Vita è Altrove, Il Libro del Riso
e dell'Oblio), dall'altro, le “opere sull'amore che si caratterizzano per la leggerezza
del racconto” (Amori Ridicoli, Il Valzer degli Addii, L'Insostenibile Leggerezza
dell'Essere) e, a parte, L'Immortalità, come “sintesi ben riuscita dei motivi e dei
temi dei due gruppi” (CHVATIK, Kvetoslav, Il mondo romanzesco di Milan
Kundera, cit., p.168-169). Noi, ci rifacciamo, invece, alla suddivisione proposta da
Ricard, in Le dernier après-midi d'Agnès, cit., p. 39-45
rompono ancora in maniera radicale con le grandi convenzioni
romanzesche di unità d'azione, rispetto della cronologia, prevalenza del
discorso di tipo narrativo, relativo nascondersi dell'autore. Prevale
ancora, insomma, nel “primo ciclo”, l'elemento epico (legato allo
svolgersi e al risolversi di un'azione romanzesca). I tre romanzi
successivi appaiono, invece, molto più audaci e caratterizzati da una
notevole libertà dalle norme convenzionali del romanzo: narrazione
spezzata, molteplicità ed eterogeneità degli elementi, presenza attiva del
narratore, ampio spazio alla riflessione. Prevale -come avremo modo di
approfondire in seguito- un principio di costruzione “musicale”.
Gli ultimi tre romanzi finora pubblicati - La Lentezza (1994), L'Identità
(1996), L'Ignoranza (2000)- costituiscono, infine, il cosiddetto “ciclo
francese”. Qui Kundera abbandona la struttura ampia e strutturata in
parti, a favore di una forma breve, costruita su un unico livello di
articolazione, che si esaurisce nell'arco di una cinquantina di capitoli. Se,
come ha spesso fatto lo stesso Kundera, possiamo paragonare la struttura
dei due cicli cechi alla forma musicale della sonata, quella dei romanzi
francesi è assimilabile alla forma della fuga13.
Tuttavia permane, lungo questi tre cicli, un'estrema coerenza e fedeltà ad
una stessa visione estetica. Kundera compie cioè “un'evoluzione
letteraria continua” che lo conduce -sono parole sue- “a molte sorprese,
ma […] a nessun cambiamento essenziale nel mio orientamento estetico”
14
. Nel romanzo in forma di fuga del ciclo “francese” ritroviamo “lo
stesso tipo di analisi esistenziale in forma di variazione” e i medesimi
giochi polifonici che caratterizzano le ampie composizioni precedenti (e
che analizzeremo nel corso di questa tesi): la principale novità, e allo
stesso tempo la grande sfida del nuovo ciclo, consiste appunto nel
“riuscire, nel minimo spazio testuale, a conservare il massimo di

13
Cfr. RIZZANTE, Massimo, L'arte della fuga romanzesca. Sull'Ignoranza di Milan
Kundera, in RIZZANTE, Marco, (a cura di), “Milan Kundera”, Riga, 2002, 20, p.
321-332
14
“Nota dell'autore per la prima edizione Ceca di Amori Ridicoli dopo la liberazione
del paese dall'occupazione russa” in CHVATIK, Kvetoslav, Il mondo romanzesco
di Milan Kundera, cit., p. 241
profondità, di varietà e di complessità semantica”15.
Possiamo quindi affermare che i tre cicli che abbiamo distinto si
configurano come delle variazioni all'interno di uno stesso processo di
ricerca, come un cambio di punto di vista su una identica questione
fondamentale16.

1.3 I “tre tempi” della storia del romanzo

Nei suoi saggi sul romanzo, Kundera elabora la teoria dei cosiddetti “tre
tempi” della storia del romanzo.
Il “primo tempo” è fatto risalire ai due maestri fondatori Rabelais e
Cervantes, la cui eredità viene raccolta dal romanzo settecentesco di
Sterne, Fielding e Diderot. In questa prima fase, il romanzo è
caratterizzato da una grande libertà compositiva (tale quasi da farci
pensare che siano frutto di un'improvvisazione) e da uno spiccato spirito
ludico: il suo scopo è, principalmente, quello di divertire il lettore (nel
senso etimologico di devertere: distrarlo, portarlo fuori dal corso della
quotidianità). In questa fase, pertanto, il romanzo non disdegna le
digressioni, gli episodi, le ramificazioni molteplici della trama principale,
la quale costituisce solo una sorta di occasione, di pretesto per
l'invenzione.
Il “secondo tempo” è quello del romanzo del XIX secolo, inaugurato da
Scott e Balzac. Sulla base di un'estetica di tipo realista, questa fase del
romanzo pone fine alla grande libertà che caratterizzava quella
precedente, introducendo delle rigide norme compositive: nasce la regola
della verisimiglianza intesa come mimesis naturae, che impone
“l'obbligo di suggerire al lettore l'illusione del reale”17; il precetto di unità
d'azione, basato sulla logica linearità causale e temporale; l'obbligo di
nascondere l'autore dietro un narratore e di collocare l'azione in
15
RICARD, François, Lo sguardo degli amanti, in RIZZANTE, Marco, (a cura di),
“Milan Kundera”, Riga, 2002, 20, p. 312
16
Sull'opera di Kundera come un insieme unito e coerente, cfr. CHVATIK, Kvetoslav, Il
mondo romanzesco di Milan Kundera, cit. p. 19
17
KUNDERA, Milan, I Testamenti Traditi, Adelphi, Milano 1994, p. 80
un'ambiente storico-sociale coerente e definito.
Ora, la base su cui si costruisce il progetto estetico kunderiano consiste
esplicitamente nella volontà di affrancare il romanzo da questi limiti,
restituendogli così la libertà del “primo tempo”. Questo non significa,
naturalmente, riproporre invariato tale modello: ciò che Kundera eredita
da Cervantes, Sterne e Diderot è propriamente la libertà di reinventare
l'arte del romanzo, portandolo lontano dai limiti e dagli automatismi, alla
ricerca del nuovo. “Il romanziere del nostro secolo, che rimpiange l'arte
degli antichi maestri del romanzo” -specifica, inoltre, Kundera- “non può
riannodare il filo là dove è stato tagliato e saltare a piè pari l'immane
esperienza dell'Ottocento: se vuole ritrovare la spregiudicata libertà di un
Rabelais o di uno Sterne deve conciliarla con le esigenze della
composizione”18. Coniugare improvvisazione e composizione, leggerezza
e densità, libera divagazione e solida struttura, diventa quindi uno dei
cardini della sfida estetica di Kundera.

In questo senso, l'opera di Kundera può rientrare appieno in quel “terzo


tempo” del romanzo, i cui maestri sono da lui stesso indicati in Musil,
Broch, Kafka e Gombrowicz, “la pléiade dei grandi romanzieri
dell'Europa centrale [...]: questi autori sono modernisti, cioè coltivano la
passione per la ricerca di nuove forme, ma allo stesso tempo sono liberi
da ogni ideologia avanguardistica (fede nel progresso, nella rivoluzione,
ecc.). Non cercano una rottura radicale; non pensano che le possibilità
formali del romanzo siano esaurite: vogliono solo allargarle
radicalmente”.19

18
Ibid., p. 29
19
KUNDERA, Milan, Il cielo stellato dell'Europa Centrale, in RIZZANTE, Μarco,
cit., p. 23
2. L'emancipazione dell'“io” autoriale

2.1 Narratore e autore

La teoria letteraria ci insegna che, in un romanzo, autore e narratore


costituiscono due entità ben distinte. Anche nel caso in cui la narrazione
sia affidata non ad un personaggio, ma ad un narratore esterno
all'azione20, infatti, le sue parole non vanno mai attribuite direttamente
all'autore (alla sua persona reale, biografica), ma vanno sempre
circoscritte alla dimensione fittizia del racconto.
A questo proposito, grande fortuna ha avuto la distinzione teorica,
introdotta dal critico Wayne Booth nel suo Rethoric of Fiction, fra autore
reale e autore implicito21: con il primo si intende, per l'appunto, l’autore
in carne ed ossa, considerato nella sua identità biografica, come colui che
fisicamente scrive il testo; il secondo termine definisce, invece, il suo
alter-ego romanzesco, la mente creativa a cui noi attribuiamo la
produzione del testo e che incontriamo effettivamente solo all’interno di
esso.
Questa distinzione è valida per qualunque tipo di narrazione, compresa
quella che, per sua stessa definizione, presuppone che autore e narratore
siano la stessa persona: l'autobiografia.

[…] Persino quando si riscontrino corrispondenze fra i tratti personali del


narratore e quelli dell'autore reale come ricostruibile da affermazioni più
dirette (lettere, diari, ecc.), i due vanno distinti rigorosamente, per la
stilizzazione, e magari idealizzazione, accennata, e perché il narratore è
esente da sviluppi temporali, fissato come qualunque personaggio alle
pagine del libro.22

20
In termini tecnici il narratore è detto omodiegetico nel primo caso ed eterodiegetico
nel secondo.
21
BOOTH, Wayne, The Rethoric of Fiction, University of Chicago, 1961
22
SEGRE, Cesare, Avviamento all'analisi del testo letterario, Einaudi, Torino, 1975,
p. 14
Ora, il lettore che, apprese queste nozioni, dovesse aprire un romanzo di
Kundera, si troverà immediatamente disorientato: chi è a parlare, il
narratore o l'autore?
Uno dei tratti più caratteristici dell'estetica romanzesca kunderiana è
costituito, infatti, dal non celarsi dell’autore e dal suo manifestarsi
direttamente nel romanzo sotto forma di una voce pensante chiaramente
identificata.
Ora, esplorando la storia del romanzo, ci accorgiamo che l'impiego di
tale tecnica narrativa rientra in quell'ampia e metodica operazione di
affrancamento del romanzo dai limiti di verosimiglianza imposti dal
romanzo ottocentesco e di reintegrazione del “primo tempo” del
romanzo. Se l'estetica realista, infatti, imponeva rigorosamente all'autore
di rimanere celato dietro la realtà del testo narrato, i romanzieri del
“primo tempo”, invece, si divertivano ad intervenire continuamente
all'interno del romanzo. I due principali modelli sono costituiti, in questo
senso, dal Tristam Shandy di Sterne e Jacques Le Fataliste di Diderot.
Questi due fondamentali romanzi, infatti, fra i loro numerosi elementi
innovativi (prevalenza della digressione sull'azione, sperimentalismo
tipografico, etc.), annoverano la presenza di una sorta di narratore-
autore, il quale sovente interviene in prima persona nel testo:
interrompendo il corso degli eventi narrati e rivolgendosi direttamente al
lettore, questa voce autoriale introduce ampie digressioni e osservazioni
metaletterarie, provocando la rottura del patto finzionale23 ed
accentuando il carattere ludico della narrazione.
Tuttavia, vedremo come Kundera non si limiti a riproporre tale e quale il
modello del narratore-autore settecentesco, ma sappia assimilarlo e
riproporlo in maniera originale, mettendolo al servizio del proprio
sistema polifonico.
Dal punto di vista della tecnica narrativa, possiamo suddividere l'opera
romanzesca di Kundera in tre fasi successive.

23
Per “patto finzionale” si intende l’accordo implicito che si stabilisce tra autore e
lettore, in virtù del quale quest’ultimo “sospende l’incredulità” e accetta come vera
la realtà fittizia del romanzo.
2.2 La voce dei personaggi: Lo Scherzo

Nello Scherzo, così come nei primi due racconti di Amori Ridicoli
(Nessuno Riderà e La mela d'oro dell'eterno desiderio) i personaggi
narrano direttamente in prima persona.
Di particolare interesse risulta la struttura narrativa dello Scherzo. Questo
romanzo si costruisce, infatti, sulla moltiplicazione delle voci narrative,
tecnica che trova la sua prefigurazione nel genere del romanzo epistolare
del XVIII secolo, in particolare in Richardson. La narrazione in prima
persona è affidata, a turno, a quattro dei personaggi della storia: Ludvik,
Helena, Jaroslav e Kostka: ognuna delle sette parti del romanzo ha per
titolo il nome del personaggio a cui è affidata la narrazione.
In secondo luogo, esso si caratterizza per la notevole complessità
dell'intreccio24. L'azione si svolge nella Cecoslovacchia degli anni '60 e
si esaurisce in soli tre giorni: tuttavia, attraverso un ampio uso
dell'analessi25, il romanzo accoglie numerosi episodi appartenenti al
passato dei personaggi, estendendo il proprio campo fino al 1948 (anno
in cui Ludvik viene espulso dall'Università per aver scritto ad un'amica,
per scherzo, una cartolina con tre righe beffarde sull'ottimismo
socialista).
Ora, la combinazione di questi due elementi fa in modo che il lettore si
trovi spesso di fronte ai medesimi eventi narrati da punti di vista
differenti. Si realizza, ovvero, un efficace gioco prospettico, all'interno
del quale il lettore si trova a dover continuamente tornare sui propri
passi, senza mai poter giungere ad un giudizio definitivo.
Il lettore si trova a dover ricostruire i nessi temporali e causali che nel
testo si trovano intrecciati in modo quasi incomprensibile. Ma, come fa

24
È generalmente nota la distinzione, introdotta dai formalisti russi, tra fabula e intreccio.
Con il primo termine si indica la sequenza lineare degli eventi narrati, osservati nel loro
ordine cronologico; il secondo termine, invece, si riferisce alla disposizione in cui tali
eventi vengono effettivamente presentati dall'autore all'interno del romanzo.
25
L'analessi è la narrazione retrospettiva di un evento che appartiene al passato dei
personaggi (l'equivalente del flashback cinematografico).
notare acutamente Lodge, il senso del romanzo non è dato al lettore
dall'effettiva ricostruzione della fabula (come avviene, ad esempio, in un
romanzo poliziesco, in cui gli “indizi” sono disseminati nel romanzo e il
lettore scopre la verità quando riesce a ricomporre esattamente l'ordine
degli eventi); il senso del romanzo, qui, risiede nell'operazione
ermeneutica stessa:

L'attività di interpretazione e ricerca del senso della storia, l'attenzione agli


indizi e ai suggerimenti forniti dal testo, il correggere costantemente
un'interpretazione rivelatasi errata alla luce di una nuova informazione,
ricalca lo sforzo degli stessi personaggi di dare un senso alle proprie vite.26

Sia l'alto livello di complessità dell'intreccio (“grazie al quale eventi


molto distanti nello spazio e nel tempo si trovano giustapposti nel testo,
interagendo semanticamente gli uni con gli altri”27), sia tale
moltiplicazione dei punti di vista attorno ad un medesimo oggetto (il
quale, “illuminato da angolazioni contraddittorie, perde presto ogni unità
e stabilità per mettersi a vacillare nella sua stessa identità e
significazione”28), costituiranno due costanti dell'estetica -e dell'ironia-
kunderiana.
L'impiego dei narratori multipli resta invece un caso isolato nella
produzione romanzesca di Kundera: dal secondo romanzo in poi la
narrazione passa alla terza persona. Probabilmente Kundera ha presto
avvertito i limiti di una tecnica che, pur rompendo con l'artificio del
narratore onnisciente, per altri versi non fa che “obbedire ancora più
servilmente all'imperativo dell'illusione realista e, di conseguenza,
limitare ancora di più la libertà del romanziere”29.

26
LODGE, David, After Bakhtin: essays on fiction and criticism, Routledge,
London/New York 1990, p.163 [Tutte le citazioni da questo volume sono presentate
nella nostra traduzione dall'inglese]
27
Ibid., p. 162
28
RICARD, François, Le dernier Après-midi d'Agnès, cit., p. 98
29
Ibid., p. 124-5
2.3 La voce dell'autore

Già partire dal terzo racconto di Amori Ridicoli, infatti, la narrazione


passa alla terza persona. Il narratore che incontriamo da qui fino alla fine
del “primo ciclo” ceco (dunque in Amori Ridicoli, La Vita è Altrove e nel
Valzer degli Addii), presenta molte affinità con il narratore-autore del
Tristam Shandy e di Jacques Le Fataliste, quali il tono ludico e gli
interventi metaromanzeschi: la voce del narratore si rivolge
direttamente al lettore (talvolta fra parentesi), rompendo il patto
finzionale.
Ciò può avvenire attraverso semplici riferimenti alle parti del romanzo:

Guardatelo: percorre la stessa strada dove, all'inizio della parte


precedente, l'abbiamo visto arrossire davanti a una sconosciuta.30

Frantisek andava su e giù per un corto tratto del viale […]: andrà su e giù
in quel modo fino al giorno dopo, fino all'inizio del prossimo capitolo.31

Altre volte ciò avviene mettendo in luce il carattere di finzionalità degli


eventi narrati: essi non compaiono in quanto reali, ma solo perché
funzionali al disegno dell'autore, del quale si sottolinea il potere,
l'autorità:

La storia di Eduard possiamo farla utilmente iniziare nella casa di


campagna del fratello maggiore […].32

No, non temete! Eduard non ha iniziato a credere in Dio. Non voglio
coronare il mio racconto con l'effetto di un paradosso così palese.33

Questo narratore-autore, inoltre, presenta già alcuni caratteri peculiari


della narrazione kunderiana, quale emergerà, nella sua piena
30
KUNDERA, Milan, La Vita Altrove, Adelphi, Milano 1987, p.192
31
KUNDERA, Milan, Il Valzer degli Addii, Adelphi, Milano 1989, p.186
32
KUNDERA, Milan, Amori Ridicoli, Adelphi, Milano 1988, p. 213
33
Ibid., p. 249
consapevolezza, nel secondo e nel terzo “ciclo”. Tali caratteri sono
riconducibili alla tendenza generale del narratore ad assumere un tono
meditativo, a tratti quasi saggistico.
Tale aspetto si esplicita in diversi modi:
a) Il procedere per interrogative:

Il giorno in cui il dottor Havel partì per le terme, la sua bella moglie
aveva le lacrime agli occhi. […] La prospettiva di tre settimane di
separazione risvegliava in lei i tormenti della gelosia.
Cosa? Questa attrice, ammirata, bella, tanto più giovane, era gelosa di un
signore in là con gli anni che, negli ultimi mesi, non usciva di casa senza
prima infilarsi in tasca un flaconcino di pastiglie contro i perfidi attacchi
del dolore?
E invece era così, e non si riusciva a capire il perché.34

b) Lo spiccato interesse per la parola (ricorso frequente espressioni


come “soffermiamoci su questa parola”, “chiariamo questa parola”),
espresso nell'amore per l'etimologia e la definizione breve:

Jaromil viveva nel paese della tenerezza, che è il paese dell'infanzia


arificiale.35

c) L'ampio ricorso all'espediente tipografico del corsivo;


d) La tendenza alla classificazione:

[La madre di Jaromil] lesse e pianse. Forse non sapeva perché piangeva,
ma non è difficile indovinarlo; dai suoi occhi sgorgavano almeno quattro
tipi di lacrime: […] lacrime di rimpianto per l'amore perduto; […]
lacrime di umiliazione; […] lacrime di consolazione; […] lacrime di
ammirazione.36

Kundera prepara, tuttavia, un terzo e fondamentale passo: “il ricorso alla


34
KUNDERA, Milan, Amori Ridicoli, cit. p.175
35
KUNDERA, Milan, La Vita è Altrove, cit., p.136
36
Ibid., p.80
terza persona permette al romanziere di liberare la prima persona
grammaticale per il suo uso proprio e di comparire egli stesso nel
romanzo”37.

2.4 Il mondo dell’autore: Il Libro del Riso e dell'Oblio

Il Libro del Riso e dell'Oblio segna, per molti aspetti, un punto di svolta
fondamentale nell'estetica romanzesca di Kundera.
Uno degli aspetti principali di tale svolta consiste proprio nella
comparsa, nella sua forma “matura”, del narratore-autore kunderiano.
Tre i principali segnali di tale svolta:

a) Per riferirsi a sé stesso, il narratore passa dal “noi” impersonale alla


prima persona singolare;

b) In secondo luogo, questo “io” autoriale si trova esplicitamente


identificato sotto il nome di “Milan Kundera”38;

c) Infine -ma soprattutto-, l’autore diventa protagonista in prima persona


del romanzo, inserendo alcuni episodi “autobiografici”, tratti dalla
propria storia personale. In questo romanzo, ad esempio, troviamo
narrata, parallelamente alle vicende dei personaggi, l'espulsione di
Kundera dal Partito Comunista avvenuta nel 1948-50; il racconto
dell’epoca, successiva al 1968, in cui l'autore si trova a dover scrivere
oroscopi sotto falso nome; il dialogo con la redattrice R., interrogata
dalla polizia sul suo conto; l’incontro, avvenuto nel 1971, con lo storico
Hübl; e, infine, la malattia “silenziosa” e la morte del padre di Kundera.

Siamo andati, quindi, ben oltre l'esempio di Sterne e Diderot. Nel


Tristam Shandy e in Jacques Le Fataliste, infatti, pur intervenendo

37
RICARD, François, Le dernier Après-midi d'Agnès, cit., p. 124
38
Il nome di Kundera appare esplicitamente a p. 66 del Libro del Riso e dell'Oblio
(KUNDERA, Milan, Il Libro del Riso e dell'Oblio, Bompiani, Milano 1980) e
ricomparirà nell’Immortalità (KUNDERA, Milan, L'Immortalità, Adelphi, Milano
1990, p.72)
direttamente nel romanzo, la voce dell'autore rimaneva sempre e
comunque filtrata da un velo letterario: non era mai la voce biografica
dell’autore a parlare, ma sempre una sua maschera romanzesca. Qui,
invece, l'“io” narrante non solo porta lo stesso nome dell'autore, ma
condivide con lui anche esperienze di vita vissuta!
Ora, è possibile per questo affermare che autore reale ed autore implicito
arrivino in Kundera a coincidere?
Alla luce di quanto affermato precedentemente, la risposta è,
ovviamente, negativa. Siamo, anzi, d’accordo con David Lodge, laddove
egli sostiene che tale manifestazione dell’autore nei romanzi di Kundera
non semplifichi, bensì renda più complesso il gioco romanzesco: ci
troviamo cioè di fronte non più a due, bensì a “tre versioni dell’autore
[reale, implicito e “io” autoriale], le quali sono, ovviamente,
strettamente connesse fra loro, ma che non arrivano mai a coincidere
perfettamente”39.
La seconda domanda che bisogna porsi è, allora: si può parlare, in questo
caso, di narrazione autobiografica?
A livello formale, in effetti, i racconti di cui Kundera è protagonista
costituiscono, certamente, dei racconti autobiografici. Tuttavia, la vera
domanda da porsi è: l'intento che si nasconde dietro la loro introduzione
nel tessuto romanzesco è effettivamente autobiografico?

Sapremo rispondere a questa domanda solo dopo aver analizzato i due


grandi principi compositivi su cui sono costruiti i romanzi di Kundera:
unità tematica e polifonia.

39
LODGE, David, After Bakhtin, cit., p. 163
3. Unità tematica

3.1 Meditazione romanzesca

Nel più metaromanzesco fra i suoi romanzi, L'Immortalità, Kundera


intrattiene una serie di splendide conversazioni con un suo amico (e
personaggio) professor Avenarius, molte delle quali contengono delle
preziose dichiarazioni di poetica. In una di queste, Kundera afferma:

Mi dispiace che quasi tutti i romanzi che sono stati scritti risultino troppo
obbedienti alla regola dell'unità di azione. Voglio dire che il loro
fondamento è un'unica catena di azioni ed eventi legati da un rapporto di
causalità. Questi romanzi assomigliano a una via stretta lungo la quale i
personaggi vengono mandati avanti a colpi di frusta. La tensione
drammatica è la vera maledizione del romanzo, perchè trasforma tutto,
anche le pagine più belle, anche le scene e le osservazioni più
sorprendenti, in una semplice tappa che conduce alla soluzione finale, in
cui è concentrato il senso di tutto ciò che veniva prima. Il romanzo si
consuma come un fascio di paglia nel fuoco della propria tensione. […] Il
romanzo non deve somigliare ad una corsa ciclistica, bensì a un
banchetto con molte portate.40

Liberare il romanzo dall'imperativo della tensione drammatica significa


valorizzare la componente che si contrappone all'azione: la riflessione.
Poco sopra, abbiamo notato come il narratore-autore dei romanzi di
Kundera tenda ad assumere un tono e dei caratteri di tipo meditativo41.
Le scelte formali di un romanziere (e di un artista in generale) non sono
mai casuali, bensì rispondono sempre ad una precisa concezione estetica
(più o meno consapevole) della propria arte. Nel caso di Kundera, tale
autoconsapevolezza dei propri obiettivi estetici è decisamente alta. Egli
stesso ci conferma, infatti:

40
KUNDERA, Milan, L'Immortalità, Adelphi, Milano 1990, p. 257
41
Cfr. capitolo 2.3 di questa tesi
L'interrogazione meditativa (meditazione interrogativa) è la base sulla
quale sono costruiti tutti i miei romanzi.42

Depotenziare l'azione a favore della meditazione significa, secondo


Kundera, rimpiazzare il principio di unità d'azione con quello di unità
tematica.

3.2 Unità tematica

Ogni romanzo di Kundera si costruisce come un’interrogazione


meditativa attorno ad un tema, inteso come una specifica problematica
esistenziale43.
In un certo senso, si potrebbe obiettare che la dimensione tematica
costituisce una componente costitutiva di pressoché qualunque romanzo.
Ora, la grande innovazione del romanzo kunderiano consiste, per
l'appunto, nel portare tale dimensione tematica al centro della
costruzione romanzesca, di farne il nucleo attorno al quale gravitano tutti
gli altri suoi elementi. La dimensione epica del romanzo (legata alla
narrazione di un'azione, di un'avventura) viene subordinata al principio
“musicale” dell'unità tematica.
Tale aspetto risulta meno evidente nei romanzi del primo “ciclo ceco”, i
quali, sebbene anch'essi fondati su tale principio, si trovano ancora molto
legati ad una trama romanzesca (si pensi, in particolare, al Valzer degli
Addii, il meno “tematico” fra i romanzi di Kundera). A partire dai
romanzi del “secondo ciclo” ceco, invece, questo aspetto si manifesta in
maniera sempre più consapevole. L'esempio migliore è costituito ancora
una volta dal Libro del Riso e dell'Oblio. La struttura del romanzo
(certamente il più “sperimentale” fra i lavori kunderiani) si presenta, ad
una prima lettura, frammentaria e sconnessa: ognuna delle sette parti che
lo compongono narra una storia diversa, i cui personaggi non hanno
42
Ibid., p.53
43
Cfr. Ibid. p. 124
alcun legame gli uni con gli altri (l'unico personaggio che compare due
volte è Tamina, esule politica ceca, protagonista della quarta e della sesta
parte), provocando disorientamento nel lettore. Tuttavia non è possibile
parlare, per questo romanzo, di una raccolta di racconti. Qual è allora il
principio che lo rende un corpo unico?

3.3 Variazione su tema

E' lo stesso Kundera, in uno dei suoi interventi metaromanzeschi, a


fornirci la chiave interpretativa per questo romanzo. Nella Sesta parte del
Libro del Riso e dell'Oblio leggiamo:

Questo libro è, dal principio alla fine, un romanzo in forma di variazioni.


Le varie parti si susseguono come le successive tappe di un viaggio che
ci conduce all'interno di un tema, all'interno di un pensiero, all'interno di
una sola ed unica situazione, la cui comprensione, per me, si perde
nell'immensità.44

Ecco allora che il romanzo che prima appariva sconnesso e disordinato


assume un senso e un rigore costruttivo ben precisi: le diverse parti che
compongono il romanzo non sono tenute insieme da un principio epico,
bensì da un principio tematico; la frattura del discorso narrativo avviene
a favore di un discorso tematico perfettamente coerente45.

3.3.1 Temi e motivi

In Kundera il tema si declina, il più delle volte, sotto la forma di una o


più parole-tema46, intese come nuclei fondamentali attorno ai quali
44
KUNDERA, Milan, Il Libro del Riso e dell'Oblio, Bompiani, Milano 1980, p. 178
[corsivi nostri]
45
Cfr. RICARD, François, Le dernier Après-midi d'Agnès, cit., p. 152
46
KUNDERA, Milan, L'Arte del Romanzo, cit., p. 124. Notiamo per inciso che, come
al tono saggistico del narratore-autore corrispondeva la concezione estetica di
Kundera di “romanzo come meditazione interrogativa”, qui allo stesso modo
Kundera-autore e Kundera-narratore condividono uno specifico interesse per la
parola: la linea che separa narratore-autore e autore implicito è davvero
gravitano tutti gli elementi del romanzo.
Per quasi tutti i romanzi di Kundera è possibile indicare con facilità un
tema centrale (di norma, il titolo) e una serie di parole-tema su cui si
costruisce la riflessione (spesso, i titoli delle singole parti). Ad esempio,
“l'insostenibile leggerezza dell'essere” costituisce il tema portante
dell'omonimo romanzo, il quale poi si costruisce come riflessione attorno
ad alcune parole-tema: “la pesantezza, la leggerezza, l'anima, il corpo, la
Grande Marcia, la merda, il Kitsch, la compassione, la vertigine, la forza,
la debolezza”47.
Mantenendo un lessico musicale, Kundera distingue dai temi i motivi:
“elementi della storia o del tema che ricorrono più volte nel corso del
romanzo, in un contesto sempre diverso”48. Nell'Insostenibile Leggerezza
dell'Essere, sono motivi: l'”Es muss sein” dell'ultimo quartetto di
Beethoven, il proverbio tedesco “Einmal ist keinmal”, la bombetta di
Sabina, la metafora del bambino trasportato da una cesta sul fiume,
l'Anna Karenina di Tolstoj, il mito di Edipo.
Ripresentandosi più volte, spesso in una forma pressoché identica, tali
motivi creano una sorta di refrain49: una melodia immediatamente
riconoscibile e ripetitiva la quale, dalla situazione particolare narrata, ci
riconduce idealmente alla questione principale; dalla variazione ci riporta
per un attimo al tema. Questo riproporsi continuo dei medesimi motivi
sempre variati conferisce alla narrazione quella “musicalità” che,
secondo l'autore dei Testamenti Traditi, costituisce la maggiore conquista
del romanzo novecentesco50.

3.3.2 Grandi temi

Poco sopra abbiamo affermato come nell'opera romanzesca di Kundera

sottilissima.
47
Ibid., p.124
48
Ibid., p.123
49
Il termine è desunto dal lessico musicale e coincide con il ritornello, o ripresa:
“Ripetizione di una frase musicale identica tra l'uno e l'altro periodo in cui si
articola la forma compositiva” (Enciclopedia della musica, Garzanti, 1996)
50
KUNDERA, Milan, I Testamenti Traditi, cit., p. 30
sia sostanzialmente riconoscibile una concezione estetica unitaria51. Ora,
tale unità complessiva emerge in modo particolarmente evidente a livello
tematico. L'unità tematica, in sostanza, è un principio valido non solo per
la costruzione di ogni singolo romanzo, ma che può essere applicato
all'intera opera narrativa kunderiana osservata nel suo insieme.
Grandi temi sono, ad esempio: “la leggerezza e la pesantezza”, “l'anima e
il corpo”, “la frontiera”, “il caso”, “il lirismo”, “la Storia”, “il Kitsch”,
“la lentezza”, “l'identità”.
Prendiamo, ad esempio, uno dei temi centrali dell'Insostenibile
Leggerezza dell'Essere, che dà il titolo alla sua Prima e Quinta parte: “la
pesantezza e la leggerezza”. Questo tema, qui assolutamente centrale,
compare di sfuggita, in molti altri romanzi: già il Dottor Havel, in Amori
Ridicoli, ne fa uno dei nuclei argomentativi della sua teoria sulla “fine
dell'era di Don Giovanni”:

Don Giovanni portava sulle spalle un fardello drammatico che il Grande


Collezionista neanche immagina, perchè nel suo mondo ogni fardello ha
perso il suo peso. I macigni sono diventati piume52.

Troviamo una riflessione simile nell'ultima parte del Valzer degli Addii,
laddove Jakub, ripensando a se stesso come “assassino” di Ruzena, si
compara all'eroe di Delitto e Castigo:

Raskol'nikov aveva vissuto il suo delitto come una tragedia e aveva finito
per soccombere sotto il peso del suo atto. E Jakub si meraviglia che il suo
atto sia così leggero, che non pesi nulla, che non lo opprima. E si chiede
se in questa leggerezza non vi sia molto più orrore che non nelle vicende
isteriche dell'eroe russo.53

Ancora: nella Sesta parte del Libro del Riso e dell'Oblio, Tamina,
schiacciata dal peso dei suoi ricordi, cede all'invito del misterioso
51
Cfr. paragrafo 1.2 di questa tesi.
52
KUNDERA, Milan, Amori Ridicoli, cit., p. 120
53
KUNDERA, Milan, Il Valzer degli Addii, cit., p. 228
giovane Raphael e lo segue sulla sua auto sportiva rossa verso un luogo
“dove le cose siano senza peso”. Tuttavia, al termine della sua avventura
nell'isola dei bambini,

Tamina avverte il malessere che emana dalle cose senza peso. Quel sacco
vuoto che sente nello stomaco è appunto questa insopportabile assenza di
peso. E come ogni estremo può da un momento all'altro rovesciarsi nel
suo contrario, la leggerezza portata al massimo si è trasformata nella
spaventosa pesantezza della lievità.54

Ora, se guardassimo a queste ricorrenze in un'ottica puramente


diacronica, esse non costituirebbero altro che delle prefigurazioni
dell'Insostenibile Leggerezza dell'Essere; dalla prospettiva sincronica che
noi sosteniamo, invece, esse si configurano come singole variazioni, di
pari valore e complementari le une alle altre, di un'unica, grande
riflessione55.
Questa prospettiva trova una sorta di conferma in un'altra delle
conversazioni fra Kundera stesso e il professor Avenarius, nella Quinta
parte dell'Immortalità. Questi domanda all'autore:

- E come si intitolerà il tuo romanzo?


- “L'insostenibile leggerezza dell'essere”.
- Ma mi pare che lo abbia già scritto qualcuno.
- Io! Ma avevo sbagliato titolo. Quel titolo doveva appartenere solo
al romanzo che sto scrivendo adesso.56

I romanzi di Kundera, pertanto, seppur concepiti come meditazioni


interrogative su una tematica esistenziale, non hanno la pretesa di
esaurire completamente tale tema: il loro carattere interrogativo
non prevede, cioè, alcuna risposta definitiva, bensì, al contrario,
un'esplorazione continua e infinita, che si riverbera da un romanzo
54
KUNDERA, Milan, Il Libro del Riso e dell'Oblio, cit., p. 201
55
Cfr RICARD, François, Le dernier Après-midi d'Agnès, cit., p. 64
56
KUNDERA, Milan, L'Immortalità, cit., p. 258
all'altro.

3.4 Essenzialità

La Sesta parte del Libro del Riso e dell'Oblio contiene un'altra importante
dichiarazione poetica di Kundera:

La forma delle variazioni è la forma nella quale la concentrazione è


portata al massimo; essa consente al compositore di parlare solo
dell'essenziale, di giungere dritto al cuore delle cose. Materia delle
variazioni è un tema che spesso non eccede le sedici misure. Beethoven
va al di dentro di queste sedici misure come se scendesse in un pozzo giù
nelle viscere della terra.57

Tale poetica dell'essenzialità costituisce, secondo l'autore dell'Arte del


Romanzo, un altro fondamentale elemento che il romanzo novecentesco
importa dall'arte musicale. In questo senso, il compositore ceco Leoš
Janáček costituisce, per Kundera, un modello al pari di Broch in quella
che egli stesso definisce “arte dello sfrondamento radicale”58: “il mio
imperativo è janacekiano: […] solo la nota che dice qualcosa di
essenziale ha il diritto di esistere”. Il che significa “sbarazzare il romanzo
dall’automatismo della tecnica romanzesca, dal verbalismo romanzesco,
renderlo denso”59.

Quando Balzac, Flaubert o Proust vogliono descrivere il comportamento


di un individuo all’interno di un ambiente sociale, ogni trasgressione
della verisimiglianza diventa fuori luogo ed esteticamente incoerente; ma
quando il romanziere punta il suo obiettivo su una problematica
esistenziale, l’obbligo di creare per il lettore un mondo verisimile non
s’impone più come regola e necessità. L’autore può permettersi allora di
trascurare quell’apparato di informazioni, descrizioni e motivazioni che

57
KUNDERA, Milan, Il Libro del Riso e dell'Oblio, cit., p. 177
58
KUNDERA, Milan, L’Arte del romanzo, cit., p. 98
59
Ibid., p. 107-8
serve a dare a ciò che racconta l’apparenza della realtà.60

Tale poetica dell'essenzialità, la quale rientra in quell'ampia manovra di


affrancamento dalle norme della verisimiglianza di cui Kundera si fa
promotore, si ripercuote, pertanto, sulla costruzione dei personaggi.

3.5 Personaggi

Il lettore dei romanzi di Kundera conosce nulla o ben poco dell’aspetto


fisico e del passato dei personaggi. Di alcuni di loro non conosce
neppure il loro nome, ma solo la sua lettera iniziale (K., nell'Insostenibile
Leggerezza dell'Essere, S. nel Libro del Riso e dell'Oblio), o un
soprannome (Voltaire, nel Libro del Riso e dell'Oblio, Rubens
nell'Immortalità) o una caratteristica (il Quarantenne, la Rossa e la
Cineasta nella Vita è Altrove)61.
Le informazioni che riceviamo su di loro sono, insomma, solo quelle
essenziali alla definizione di quello che Kundera definisce il loro
specifico “codice esistenziale”62. Questo si definisce, nuovamente,
attraverso una serie di parole-chiave: “nel caso di Tereza: il corpo,
l'anima, la vertigine, la debolezza, l'idillio, il paradiso. Per Tomas: la
leggerezza, la pesantezza”63. Anche la costruzione dei personaggi,
dunque, gravita attorno al principio dell'unità tematica.
I personaggi costituiscono, in un certo senso, lo strumento fondamentale
dell'autore, indispensabile alla sua analisi romanzesca dell'esistenza.
Come uno scienziato, per studiare un determinato fenomeno, deve
possedere un microscopio e dotarlo delle lenti e dei filtri appropriati al
caso specifico, così Kundera costruisce ogni suo personaggio come un
“io sperimentale”64 funzionale allo studio di una particolare situazione
60
KUNDERA, Milan, Kafka. La frontiera dell'inverosimiglianza non è più
sorvegliata, in RIZZANTE, Μarco, (a cura di), Riga, 2002, 20, p. 41
61
La poetica dell'essenzialità in generale, e questo trattamento dei personaggi sono elementi
tipici del romanzo novecentesco del “terzo tempo”.
62
KUNDERA, Milan, L’Arte del Romanzo, cit., p. 53
63
Ibid., p. 50
64
Ibid., p.53
esistenziale, di un tema. Strumento di analisi, quindi; ma anche, e
sopratutto, oggetto primario di studio: se è vero, infatti, che ogni
romanzo si concentra sullo studio di una precisa questione esistenziale, il
fine ultimo di questo interrogarsi perpetuo è il problema fondamentale
attorno al quale gravitano tutti i romanzi: “quello dell'identità di un
individuo, di un personaggio”65.“Tutti i romanzi di tutti i tempi indagano
l'enigma dell'io”66.

3.5.1 Figure ricorrenti

Esattamente come i temi e i motivi, in un certo senso anche i personaggi


di Kundera ritornano da un romanzo all'altro. Questo non significa che
essi si ripresentino, alla maniera di Balzac, tali e quali nei diversi
romanzi nella sua Comédie Humaine: è meglio parlare, nel caso di
Kundera, di un ritorno delle medesime figure67.
Tra le figure più ricorrenti: l'esule (Jakub nel Valzer degli Addii, Tamina
nel Libro del Riso e dell'Oblio, Tereza e Tomas nell'Insostenibile
Leggerezza dell'Essere, Irena e Josef nell'Ignoranza ); il libertino e il
donnaiolo (Ludvik nello Scherzo, il dottor Havel in Amori Ridicoli, il
Quarantenne nella Vita è Altrove, Bertlef nel Valzer degli Addii, Karel nel
Libro del Riso e dell'Oblio, Tomas nell'Insostenibile Leggerezza
dell'Essere, Rubens nell'Immortalità); la suicida, il cui suicidio spesso
non riesce (la giovane suicida dell'Immortalità), e talvolta getta il
personaggio nel ridicolo (Helena nello Scherzo).
Tale ritorno di figure ricorrenti può essere letta a ragione come una
ulteriore applicazione della tecnica della variazione.
C'è un solo caso in cui uno stesso personaggio ricompare a distanza di
qualche romanzo: il ritorno di Jaromil, protagonista della Vita è Altrove,
nella terza parte dell'Immortalità. Tuttavia si tratta di un'operazione del
65
KUNDERA, Milan, I Testamenti Traditi, cit., p. 31
66
KUNDERA, Milan, L’Arte del Romanzo, cit., p. 41
67
Cfr. RICARD, François, Le dernier Après-midi d'Agnès, cit., p.75-83. Per figura,
intendiamo una categoria “più generale del personaggio”, il quale possiede un
nome e un destino singolari ed irripetibili, ma “meno astratta del tipo o del
carattere” (Ibid., p.75).
tutto diversa dalla tecnica impiegata da Balzac, e che non fa altro che
confermare quanto abbiamo sostenuto finora:

Ah, il mio Paul […]. Nella mia mente si confonde con Jaromil, il
personaggio di un romanzo che ho scritto esattamente vent'anni fa e che
in uno dei prossimi capitoli lascerò per il professor Avenarius in un
bistrot del boulevard Montparnasse.
[...].
Paul e Jaromil naturalmente non si assomigliano affatto. L'unica cosa che
li unisce è appunto la loro appassionata convinzione che “bisogna essere
assolutamente moderni”.68

Jaromil torna alla memoria del narratore-romanziere per la sua affinità


tematica con il suo attuale personaggio, Paul: i due diventano, così, l'uno
l'alter-ego, la variazione dell'altro.

3.6 La Storia

I personaggi dei romanzi di Kundera sono collocati in un'epoca storica e


in un luogo ben definiti, perlopiù circoscritti all’Europa della seconda
metà del ‘900. Spesso, inoltre, i grandi eventi storici si intrecciano alle
loro storie particolari. Molto presenti, ad esempio, sono i riferimenti e le
riflessioni sulla storia della Cecoslovacchia e dell'Europa comunista (La
Vita è Altrove, Lo Scherzo, L'Insostenibile Leggerezza dell'Essere, Il
Libro del Riso e dell'Oblio e L'ignoranza, in quest'ordine, ripercorrono
sostanzialmente le fasi successive della storia del paese dalla Seconda
Guerra Mondiale fino al ritorno degli emigrati).
Ora, come si spiega tale precisione storica nel contesto della poetica
dell'essenzialità e di svincolamento dalle norme della verisimiglianza
esposte fino ad ora?
Di fronte a questa domanda, postagli da Christian Salmon in una celebre
conversazione (poi confluita nell'Arte del Romanzo), Kundera risponde
68
KUNDERA, Milan, L'Immortalità, cit., p. 155
citando Heidegger e la sua definizione dell’esistenza come in-der-Welt-
sein (essere-nel-mondo): compito del romanzo è esplorare il mistero
dell'identità umana; ma l'uomo non è nulla se osservato
indipendentemente dalla propria situazione specifica, ovvero al di fuori
della propria realtà storico-sociale. In altre parole: “l’uomo e il mondo
sono legati come la lumaca e il suo guscio”69.
La presenza della Storia nei romanzi di Kundera, tuttavia, non fa di essi
dei romanzi storici. La Storia interessa Kundera solo nella misura in cui
essa genera “una condizione esistenziale rivelatrice” per i suoi
personaggi70.
Nella sua prefazione alla Vita è Altrove, Kundera esprime tale concetto
con la chiarezza che lo contraddistingue:

Anche se la storia di Jaromil e di sua madre si svolge in un'epoca storica


ben definita, e descritta in maniera veridica (senza il minimo intento
satirico), il mio proposito non era di descrivere un'epoca. […] In altre
parole: una situazione storica è per un romanziere un laboratorio
antropologico nel quale egli si concentra sulla sua domanda
fondamentale: Che cos'è l'esistenza umana?71

3.6.1 Kundera “dissidente”?

La presenza di elementi storici nei romanzi di Kundera (e in particolare i


riferimenti alla storia della Cecoslovacchia), ha favorito, soprattutto ai
suoi esordi, delle letture di stampo politico.
Quando, nel settembre del 1968, l'editore Gallimard pubblicò a Parigi la
prima edizione francese de Lo Scherzo, era passata appena qualche
settimana dall’invasione sovietica della Cecoslovacchia: in Occidente,
pertanto, il romanzo fu letto in modo essenzialmente ideologico, come
una critica dello stalinismo o un romanzo a tesi. Con la celebre

69
KUNDERA, Milan, L’Arte del Romanzo, cit., p. 59
70
Ibid., p. 61
71
KUNDERA, Milan, La Vita è Altrove, cit., Introduzione.
Prefazione di Louis Aragon alla prima edizione francese del romanzo72 si
inaugurava una ricezione di Kundera che sarà dominante per tutti gli anni
Settanta, e a cui l'autore stesso si è sempre opposto fermamente, come
modello di letteratura “dissidente”73: “Kundera, malgré lui, divenne per
gli intellettuali di Parigi e del mondo occidentale un campione della
critica al totalitarismo”74.
In realtà, come lo stesso Kundera e la migliore critica sottolineano, Lo
Scherzo era stato terminato già nel dicembre del 1965 e pubblicato del
tutto legalmente nella Cecoslovacchia comunista nella primavera del
1967, dunque un anno prima della celebre “Primavera di Praga”. Già
all'epoca, infatti, la critica letteraria ceca si occupò ben poco dell’aspetto
politico del libro, mettendone invece in evidenza la matrice
“esistenzialista” (Un romanzo dell’esistenza è il titolo di una recensione
di Kožmin del 196775).
Ora, con ciò non intendiamo affermare la totale assenza dell'elemento
politico nei romanzi di Kundera: tuttavia, sottovaluteremmo e
tradiremmo la reale portata della sua opera se facessimo di tale elemento
il suo fulcro. È quanto afferma Kožmin nella sua recensione allo
Scherzo:

Lo Scherzo di Kundera è, nel panorama della nostra letteratura, la critica


più matura all'epoca del culto della personalità. Ma disconosceremmo la
sua struttura semantica se vedessimo in questo romanzo solo una
ricostruzione storica degli anni '50 e un loro atto d'accusa. Oltre alla sua
specificità storica, questo magnifico romanzo possiede un'altra
dimensione: esso è fondato su alcune costanti eterne.76

L'antimodello di Kundera, in questo senso, è costituito dal romanzo che


72
ARAGON, Louis, Ce roman que je tiens pour une ouvre majeure, prefazione a
KUNDERA, Milan, La Plasainterie, Gallimard, Paris 1968, tradotto e pubblicato
da RIZZANTE, Marco, in “Milan Kundera”, Riga, 2002, 20, p. 91-95
73
Cfr. CHVATIK, Kvetoslav, Il mondo romanzesco di Milan Kundera, cit. p. 19-20
74
RIZZANTE, Marco, Editoriale, in “Milan Kundera”, Riga, 2002, 20, p. 7
75
KOŽMIN, Zdeněk, Il romanzo dell'esistenza, in RIZZANTE, Marco, “Milan
Kundera”, Riga, 2002, 20, p. 87-9
76
Ibid., p. 89
fa della critica al totalitarismo il proprio orizzonte esclusivo: 1984.

L'influenza nefasta del romanzo di Orwell deriva dall'implacabile


riduzione della realtà al suo aspetto puramente politico e nella riduzione
di questo aspetto a quanto esso ha di paradigmaticamente negativo. Io mi
rifiuto di giustificare una simile riduzione con la scusa della sua utilità
propagandistica nella lotta contro il male totalitario, poiché questo male è
appunto la riduzione della vita alla politica e della politica alla
propaganda.77

3.7 Il valore poetico del Caso

Il Caso è un tema ricorrente della riflessione romanzesca di Kundera. La


casualità di un evento ne diminuisce o ne aumenta il significato
all'interno della nostra vita? Nell'Insostenibile Leggerezza dell'Essere
Kundera, attraverso il suo “io sperimentale” Tomas, riflette su questo
quesito. Dapprima sembra propendere per la prima ipotesi:

Rigirandosi accanto a Tereza addormentata, si ricordò di quello che lei gli


aveva detto anni prima durante una conversazione senza importanza.
Stavano parlando di un amico di Tomas, Z., e lei aveva dichiarato: “Se
non avessi incontrato te, mi sarei certamente innamorata di lui”. Già
allora quelle parole avevano messo addosso a Tomas una strana
malinconia. Si era infatti reso conto all'improvviso che era soltanto un
caso se Tereza amava lui e non l'amico Z. [...]
Tutti noi consideriamo impensabile che l'amore della nostra vita possa
essere qualcosa di leggero, qualcosa che non ha peso; riteniamo che il
nostro amore sia qualcosa che doveva necessariamente essere; che senza
di esso la nostra vita non sarebbe stata la nostra vita. Ci sembra che
Beethoven, in persona, torvo e scapigliato, suoni al nostro grande amore
il suo “Es muss sein”: [così deve essere].

77
KUNDERA, Milan, citato da MORELLO, André-Alain, Ritorno allo Scherzo: La
fine della Storia e la fine del romanzo, in RIZZANTE, Marco, “Milan Kundera”,
Riga, 2002, 20, p. 108
Tomas […] constatò che dalla storia d'amore della sua vita non risuonava
nessun “Es muss sein”, bensì un “Es konnte auch anders sein”: poteva
benissimo essere altrimenti.78

Poco più avanti, invece, Kundera valuta il punto di vista opposto, quello
che ritroveremo in Tereza (e che Kundera sembra condividere):

Quando Tomas tornò a Praga da Zurigo, fu preso da una sensazione di


malessere al pensiero che il suo incontro con Tereza fosse stato
determinato da sei improbabili coincidenze.
Ma non è invece giusto il contrario, che un avvenimento è tanto più
significativo e privilegiato quanti più casi fortuiti intervengono a
determinarlo?
Soltanto il caso può apparirci come un messaggio. Ciò che avviene per
necessità, ciò che è atteso, che si ripete ogni giorno, tutto ciò è muto.
Soltanto il caso ci parla.
[…] Non certo la necessità, bensì il caso è pieno di magia. Se l'amore
deve essere indimenticabile, fin dal primo istante devono posarsi su di
esso le coincidenze, come gli uccelli sulle spalle di Francesco d'Assisi.79

Ora, come abbiamo già avuto modo di notare, l'ambigua figura del
narratore-autore, fa in modo che i romanzi di Kundera si trovino sempre
“alla frontiera” fra realtà e finzione, fra autore ed opera. Di conseguenza,
molti dei temi che questi romanzi propongono per bocca del narratore-
autore, come questa teoria del Caso, si riflettono direttamente nella
concezione estetica di Kundera.
A proposito del Caso, sempre nell'Insostenibile Leggerezza dell'Essere,
leggiamo infatti:

All'inizio del romanzo che Tereza teneva sotto il braccio quando era
arrivata da Tomas [l' Anna Karenina di Tolstoj], Anna incontra Vronskij

78
KUNDERA, Milan, L'Insostenibile Leggerezza dell'Essere, Adelphi, Milano 1985,
p. 42
79
Ibid., p. 56-57
in strane circostanze. Sono sul marciapiede di una stazione dove poco
prima qualcuno è finito sotto un treno. Alla fine del romanzo sarà Anna a
gettarsi sotto un treno. Questa composizione simmetrica, nella quale un
identico motivo appare all'inizio e alla fine, può sembrarvi molto
“romanzesca”. Sì, sono d'accordo, ma a condizione che la parola
“romanzesca” non la intendiate come “inventata”, “artificiale”, “diversa
dalla vita”. Perchè proprio in questo modo sono costruite le vite umane.
Sono costruite come una composizione musicale. L'uomo, spinto dal
senso della bellezza, trasforma un avvenimento casuale (la musica di
Beethoven, una morte alla stazione) in un motivo che va poi ad iscriversi
nella composizione della sua vita. Ad esso ritorna, lo ripete, lo varia, lo
sviluppa, lo traspone, come fa il compositore con i temi della sua sonata.
[…] Non si può quindi rimproverare al romanzo di essere affascinato dai
misteriosi incontri di coincidenze (come l'incontro tra Vronskij, Anna, il
marciapiede della stazione e la morte, o l'incontro fra Beethoven, Tomas,
Tereza e il cognac), ma si può a ragione rimproverare all'uomo di essere
cieco davanti a simili coincidenze nella vita di ogni giorno, e di privare
così la propria vita della sua dimensione di bellezza.80

Il passo ha un esplicito valore metanarrativo e costituisce una delle molte


dichiarazioni di poetica incluse da Kundera nei suoi romanzi. Da questa
in particolare, emerge la volontà di Kundera di reintegrare il Caso
all'interno dell'estetica romanzesca.
Kundera, come abbiamo detto, intende svincolarsi dalla norma di unità di
azione81. Nella Poetica, Aristotele definisce l'“unità della favola” come
“mimesis di un'azione perfettamente compiuta in se stessa”. In
particolare, l'imitazione mimetica di un'azione significa, per Aristotele,
sostituire alla molteplicità e al disordine della vita reale l'ordine, l'unità e
la necessità nella poesia, al caos sostituire il telos82.
L'estetica di Kundera, invece, intende restituire valore poetico al Caso e
alla coincidenza. Ma come si realizza ciò nella pratica romanzesca?

80
Ibid., p. 60
81
Cfr. paragrafo 3.1 di questa tesi.
82
Cfr. GILODI, Roberto, Milan Kundera e le peripezie del verisimile, in Rivista di
Estetica, vol. 34-35, no 48, 1994, p. 119-139.
Riabilitando il nemico numero uno dell'unità d'azione: l'episodio.

3.7.1 La riabilitazione dell'episodio83

Nella Quinta parte dell'Immortalità leggiamo:

L'episodio è un concetto importante della Poetica di Aristotele. Aristotele


non ama l'episodio. Tra tutti gli avvenimenti, secondo lui, i peggiori sono
gli avvenimenti episodici. L'episodio non è la necessaria conseguenza di
ciò che è venuto prima, né la causa di ciò che seguirà; si colloca al di
fuori di quella catena causale di avvenimenti che è la storia.
[…] La vita è piena di episodi, come un materasso è pieno di crine, ma il
poeta (secondo Aristotele), non è un tappezziere e deve togliere con cura
dalla trama tutte le imbottiture, anche se proprio di queste è fatta la vita
reale.
[...] Ma proprio qui noi constatiamo la relatività del concetto di episodio,
relatività che Aristotele non riuscì a capire: nessuno infatti può garantire
che un avvenimento del tutto episodico non serbi in sé una forza che un
giorno, inaspettatamente, lo farà diventare causa di ulteriori avvenimenti.
[…] Possiamo quindi completare la definizione di Aristotele e dire:
nessun episodio è condannato a priori a restare per sempre un episodio,
poiché ogni avvenimento, anche il più irrilevante, nasconde in sé la
possibilità di diventare prima o poi la causa di altri avvenimenti e
trasformarsi così in una storia o in un'avventura. Gli episodi sono come
mine. La maggior parte non esplode mai, ma proprio il più modesto un
giorno si trasforma in una storia che vi sarà fatale.84

Invece dell'unità d'azione, che prevede l'eliminazione di tutto ciò che è


casuale, incidentale, fortuito, in nome della coerenza narrativa, Kundera
privilegia l'unità tematica: l'azione romanzesca diventa pertanto
squisitamente “episodica”, frutto di un caso, di una coincidenza.
Variazione ed episodio sono pertanto due facce della stessa medaglia
83
Questo titolo è ripreso da Ricard (RICARD, François, Le dernier Après-midi d'Agnès,
cit., p. 149)
84
KUNDERA, Milan, L'Immortalità, cit., p. 322-323
dell'unità tematica. La scelta degli avvenimenti da narrare non avviene in
funzione della loro utilità drammatica, ma al fine dell'esplorazione delle
questioni fondamentali su cui il romanzo si sta interrogando.
In un passo precedente dell'Immortalità, Kundera dice ad Avenarius:

Non vedo l'ora di arrivare alla sesta parte. Nel romanzo entra un
personaggio completamente nuovo. E alla fine di questa sesta parte se ne
va così come è venuto e di lui non resta traccia. Non è causa di nulla e
non lascia alcun effetto. E proprio questo mi piace.85

3.7.2 Il caso dell'Immortalità

L'Immortalità, oltre a costituire, a nostro avviso, il culmine del romanzo


in forma-sonata e dello stile metaromanzesco di Kundera, mostra in
modo esemplare il ruolo del Caso nello sviluppo dell'azione romanzesca.
La morte della protagonista, Agnes, avviene attraverso la seguente serie
di passaggi: Kundera narra, in un passo del romanzo, di aver sentito un
giornalista di nome Bernard Bertrand riportare alla radio la notizia di una
giovane suicida, la quale, inginocchiandosi al centro di un'autostrada,
avrebbe causato un terribile incidente e la morte di alcuni automobilisti,
rimanendo lei, invece, del tutto indenne. Poco più avanti, ritroviamo il
giornalista Bernard Bertrand, ma, stavolta, in veste di personaggio vero e
proprio del romanzo: costui inizia una relazione con la sorella di Agnes,
Laura, fino a quando una lettera anonima non lo taccia dell'appellativo di
“asino integrale”; questo avvenimento causerà in lui una crisi depressiva,
che lo porterà a rompere con Laura, la quale a sua volta tenterà il
suicidio, causando forti tensioni fra sua sorella Agnes e il marito di lei,
Paul. Alla fine, Agnes decide di ritirarsi in Svizzera, dove morirà in un
incidente stradale. Proprio così: quello stesso incidente stradale causato
dalla giovane suicida, ma inserito appieno all'interno della trama
romanzesca. Ma (al di là degli splendidi giochi metaletterari) il punto
arriva oltre: nella Quinta parte (intitolata, coincidenza vuole, “Il Caso”),

85
Ibid., p. 258
durante uno dei molti dialoghi fra l'autore e il professor Avenarius,
scopriamo che proprio quest'ultimo è l'autore della lettera anonima
arrivata a Bernard Bertrand, ma che il suo reale obiettivo polemico era il
padre del giornalista, il deputato Bertrand Bertrand: l'intera trama del
romanzo si è basata sul caso, del tutto fortuito, di uno scambio di nomi.

3.7.3 Episodi postumi

Ora, la morte di Agnes avviene alla fine della Quinta parte. Nella Sesta
parte Kundera introduce il personaggio “episodico” di Rubens, e narra la
sua relazione occasionale con la Liutista, soprannome dietro cui si cela
-come il lettore attento riesce ad ipotizzare già da alcuni lievi indizi- la
stessa Agnes. Il collocare questo episodio al di là della morte del
personaggio è paradigmatico di ciò che interessa Kundera: non
l'esaurimento di una trama, bensì l'esplorazione di un tema. Il lettore
attento sa benissimo come andrà a finire la storia fra i due (Agnes muore
“per la seconda volta” alla fine della Sesta parte): tuttavia, questa vicenda
del tutto episodica gli permetterà di imbattersi nella bellissima teoria del
“quadrante” e di approfondire molti dei temi del romanzo.
Collocare un episodio al di là della morte del protagonista costituisce
l'ulteriore riprova della sua sostanziale inutilità ai fini dell'azione.

Non è la prima volta che troviamo episodi “postumi: nella Sesta parte
della Vita è Altrove, “l'osservatorio del romanzo”86 viene smontato e
rimontato in un punto successivo alla morte del protagonista, Jaromil,
presentando il personaggio episodico del Quarantenne. Nell'Insostenibile
Leggerezza dell'Essere, veniamo a sapere della morte di Tomas e Tereza
già nella Terza parte del romanzo, anche se la Quarta e la Quinta parte li
vedranno come protagonisti.

86
KUNDERA, Milan, La Vita è Altrove, cit., p. 310
4. Polifonia romanzesca

4.1 Definizione

Molti critici contemporanei sostengono che uno dei principi più


importanti dell’estetica di Kundera sia costituito dalla struttura polifonica
dei suoi romanzi87. Lo stesso Kundera utilizza più volte tale termine-
chiave nei propri saggi sul romanzo. Ma che cosa si intende esattamente
per polifonia? E, soprattutto, in che modo essa si realizza nella pratica
romanzesca?
Il termine è desunto dal lessico musicologico: la polifonia musicale,
spiega lo stesso Kundera, consiste nello “sviluppo simultaneo di due o
più voci (linee melodiche), le quali, pur essendo legate, conservano la
loro relativa indipendenza”88.
La definizione del concetto di polifonia romanzesca risale al grande
critico russo Michail Bachtin, a partire dalle sue teorie sulla plurivocità.
Per dovere di sintesi, non potremo qui che ricordarne i punti chiave;
difficile essere più chiari e concisi di Segre:

Ciò che Bachtin ha rivelato è che nel romanzo s'intrecciano molte voci e
molti linguaggi, al di là dell'eventuale caratterizzazione stilistica o
linguistica dei singoli personaggi attraverso i loro discorsi. Ci sono
anzitutto, nella parte non dialogica, i vari linguaggi sociali, espressione di
ideologie, classi, mestieri, ambienti […]. Il quadro della società
rappresentata rinvia alla complessità della società reale tramite i
riferimenti al quadro delle manifestazioni linguistiche”. 89

Nel suo celebre saggio su Dostoevskji90, Bachtin approfondisce questa


impostazione, indicando nell’opera del romanziere russo l'atto fondativo
87
Si vedano in particolare i lavori di Ricard, Rizzante e Chvatik indicati in bibliografia.
88
KUNDERA, Milan, L’Arte del Romanzo, cit., p. 109
89
SEGRE, Cesare, Intrecci di voci: la polifonia nella letteratura del Novecento, Einaudi,
Torino 1991, p. 3
90
BACHTIN, Michail, Dostoevskij, poetica e stilistica, Einaudi, Torino 1968.
di un nuovo tipo di romanzo, detto appunto polifonico. Gli autori dei
romanzi definiti monologici, ad esempio Tolstoj o Leskov, esibiscono,
nella rappresentazione dei propri personaggi, una notevole varietà
linguistica; tuttavia l'intero mondo rappresentato resta sempre sottomesso
all'orizzonte del loro autore. I romanzi di Dostoevskji, invece, pur
facendo scarso ricorso alle varietà linguistiche, sono costruiti
sull'incontro di una pluralità di voci e di coscienze indipendenti,
disgiunte e autonome: gli eroi non sono più un mero “oggetto della
parola dell’autore”, bensì “soggetti della propria parola immediatamente
significante”, “pure voci”, “portatrici di “un particolare punto di vista
sul mondo e su se stesse” 91.

4.2 Moltiplicazione dei punti di vista: Lo Scherzo

A proposito della struttura dello Scherzo, allora, possiamo in effetti


parlare di costruzione polifonica. La moltiplicazione delle voci e dei
punti di vista messi a punto in questo romanzo92 possono essere
ricondotti alla definizione bachtiniana di polifonia. I personaggi
intrattengono tra loro una sorta di dialogo involontario e inconsapevole,
nel quale il punto di vista di ciascuno illumina di nuova luce quello
appena esposto dagli altri, e in cui “nessuno ha l'ultima parola né detiene
il privilegio della verità”93.
Si tratta, in sostanza, di un vero e proprio “canone a più voci”, per usare
le parole pronunciate nel romanzo dallo stesso Ludvik per descrivere la
folkloristica Marcia dei Re della piccola città morava:

[…] una musica meravigliosa e polifonica in cui ciascuno dei banditori


declamava i suoi versi monotonamente su una sola nota ma ciascuno su
una nota diversa, per cui le voci si fondevano insieme in un accordo.94

91
Ibid., p. 11-12; 64-65; 72-73.
92
Per la struttura dello Scherzo, cfr. il paragrafo 2.3 di questa tesi.
93
RICARD, François, Le dernier Après-midi d'Agnès, Gallimard, Paris 2003, p. 98
94
KUNDERA, Milan, Lo Scherzo, Adelphi, Milano 1986, pag. 300. Il corsivo è di Kundera, il
cui intento, qui, è evidentemente metanarrativo: una sorta di dichiarazione di poetica.
4.3 Combinazione di più linee narrative

Tuttavia notiamo come, invitato da Salmon a definire la propria


concezione di polifonia, Kundera si allontani dalla definizione
bachtiniana, utilizzando il termine in un’accezione leggermente
differente.
L’autore dell’Arte del Romanzo, infatti, impiega il termine in un senso,
per certi versi, più vicino al suo originario significato musicale,
concentrandosi sul concetto di linea melodica. Trasposta nel romanzo, la
polifonia indica, in Kundera, il rifiuto della “composizione unilineare”95
a favore di un’”arte del contrappunto romanzesco”96 in cui diverse storie,
o linee narrative, procedano in modo parallelo e simultaneo, senza che
sia possibile indicarne una principale, e in modo che risultino tutte allo
stesso modo necessarie all’armonia complessiva (principio di
uguaglianza polifonica).
Ora, dovendo citare un esempio, Kundera chiama in causa proprio I
Demoni di Dostoevskji. Tale scelta ci conferma ulteriormente la
differenza rispetto a Bachtin: quest’ultimo, infatti, avrebbe indicato
l’essenza polifonica di questo romanzo nella modalità eminentemente
dialogica tramite cui si rivelano le autocoscienze dei personaggi;
Kundera, invece, ne individua la natura polifonica nella compresenza
simultanea di tre diverse linee ognuna delle quali, a rigore, avrebbe
potuto costituire un romanzo indipendente: “1) il romanzo ironico
dell'amore fra la vecchia Stavrogina e Stepan Verchovenskji; 2) il
romanzo romantico di Stavrogin e delle sue relazioni amorose; 3) il
romanzo politico di un gruppo rivoluzionario”97.
Osserviamo, ad esempio, la struttura dell'Insostenibile Leggerezza
dell’Essere. Come nello Scherzo, Kundera applica la strategia della
moltiplicazione dei punti di vista: gli stessi avvenimenti della relazione
fra Tereza e Tomas sono narrati due volte (dal punto di vista di lui, nelle
95
Indicativo della diversa accezione di “polifonico” in Bachtin e Kundera è, per l'appunto, la
scelta di due diversi termini per designarne contrario: “monologico” nel primo autore,
“unilineare” nel secondo.
96
KUNDERA, Milan, L'Arte del Romanzo, cit., p.98
97
Ibid., p. 110
parti I e V, e da quello di lei, nella II e IV). Allo stesso tempo, Kundera
moltiplica le linee narrative: alla storia Tereza-Tomas si alterna, a sua
volta, la storia Franz-Sabina, narrata nella Terza e Sesta parte. Queste
diverse linee narrative, introdotte come del tutto separate, vengono man
mano ad intrrecciarsi nel corso del romanzo. Il migliore esempio, in
questo caso, è fornito dal Valzer degli Addii, vero e proprio “balletto
narrativo”98 in cui, alla storia di Ruzena e Klima da cui la narrazione
prende avvio, si aggiungono quattro o cinque linee narrative, dapprima
totalmente estranee, ma che nel corso delle cinque “giornate” verranno
man mano ad intrecciarsi, fino a diventare insolubili.

4.4 Ampliamento dei confini romanzeschi: mescolanza di più generi

Secondo Kundera, tuttavia, le possibilità della polifonia romanzesca


possono andare più in là. Nei suoi saggi, infatti, egli definisce una terza
possibilità polifonica, esemplificata nella trilogia de I Sonnambuli
dell’austriaco Hermann Broch, e in particolare il Terzo libro. A proposito
di quest'opera, Kundera afferma:

[…] un fiume polifonico composto da cinque voci, cinque linee narrative


del tutto indipendenti l’una dall’altra, non accomunate né dall’azione né
dalla presenza degli stessi personaggi, e ben distinte anche sul piano
formale: linea A: romanzo; linea B: reportage; linea C: racconto; linea D:
poesia; linea E: saggio”99.
[Se] le tre linee dei Demoni, sebbene diverse come carattere, sono dello
stesso genere (tre storie romanzesche), in Broch i generi delle cinque
linee sono radicalmente diverse […]. Questa integrazione dei generi non
romanzeschi nella polifonia del romanzo costituisce l’innovazione
rivoluzionaria di Broch.100

98
L'espressione è di Ricard (RICARD, François, Le dernier Après-midi d'Agnès,
Gallimard, Paris 2003, p. 101)
99
KUNDERA, Milan, I Testamenti Traditi, cit., p. 29-30
100
KUNDERA, Milan, L'Arte del Romanzo, cit., p. 110
Insomma, la polifonia romanzesca consiste non solo nella
moltiplicazione dei punti di vista e nella combinazione di più linee
narrative romanzesche, ma anche nella compresenza, nello stesso
romanzo, di diversi generi.
In Broch, tuttavia, Kundera individua due limiti fondamentali (e,
nell’individuarli, assume implicitamente il loro superamento come
proprio programma estetico): da un lato, la semplice giustapposizione dei
diversi generi, che non si fondono in una vera unità “polifonica”;
dall'altro, il diverso “peso” dato alle diverse linee (di cui, ad uno sguardo
complessivo, una rischia di prevalere sulle altre). Non si realizzano, cioè,
quelle che, per l’autore dell’Arte del Romanzo, costituiscono “le
condizioni sine qua non del contrappunto romanzesco: 1. l’uguaglianza
delle varie linee; 2: l’indivisibilità dell’insieme”101.

4.4.1 Il saggio specificamente romanzesco

Come abbiamo detto, uno degli aspetti principali dell'estetica romanzesca


è costituito dal suo carattere meditativo attorno a delle parole-tema
riguardanti una precisa questione esistenziale; tale elemento, abbiamo
notato, si realizza nella pratica romanzesca attraverso il carattere
riflessivo, quasi saggistico, del narratore102.
Ora, nei romanzi troviamo un'altra caratteristica formale direttamente
connessa a tale aspetto: l'introduzione di saggi in forma di digressione
su un tema filosofico, storico-sociale, estetico, morale, etc. Questa
tecnica ricollega nuovamente Kundera ai romanzi del “primo tempo” e
alla loro tecnica digressiva; inoltre lo pone in linea con quegli autori del
“terzo tempo” che, a detta di Kundera stesso, hanno saputo reintrodurre
la “meditazione romanzesca” all'interno del romanzo: Musil, Broch e
Gombrowicz103.

101
Ibid., p. 112
102
Cfr. i paragrafi 2.3 e 3.1 di questa tesi.
103
KUNDERA, Milan, Il cielo stellato dell'Europa Centrale, in RIZZANTE, Μarco, (a cura
di), Riga, 2002, 20, p. 23.
Tali digressioni saggistiche sono presentate, talvolta, per bocca dei
personaggi: tale caso si presenta più di frequente, ovviamente, nei
romanzi del primo “ciclo” ceco, nei quali la voce del narratore-autore
non ha ancora raggiunto la sua piena maturità (il saggio musicologico
sulla canzone popolare morava pronunciato da Jaroslav nello Scherzo; la
teoria del dottor Havel sulla fine dell'era di Don Giovanni in Amori
Ridicoli), ma vi sono esempi anche nel “ciclo francese” (la teoria di
Pontevin sui “ballerini”, nella Lentezza). Il più delle volte, comunque,
esse sono presentate dallo stesso narratore-autore (le teorie sulla
grafomania e sulla frontiera nel Libro del Riso e dell'Oblio; la teoria del
Kistch nell'Insostenibile Leggerezza dell'Essere; le teorie sull'imagologia
e sull'homo sentimentalis nell'Immortalità).

4.4.2 Romans philosophiques?

Se la ricezione della critica occidentale era stata, nel corso degli anni '60
e '70, fondamentalmente politica104, “durante gli anni '80 [essa] ha
prodotto un ulteriore malinteso”: Il carattere meditativo dei romanzi di
Kundera ha fatto sì che venisse attribuita loro l'”etichetta di romans
philosophiques o romanzi-saggi”105.
Ora, in primo luogo, bisognerebbe domandarsi se tale classificazione in
sottogeneri del genere romanzo sia di per sé da considerarsi valida (e, dal
canto nostro, ci troviamo d'accordo con chi critica questo tipo di
approccio106). In secondo luogo, qualora anche decidessimo di accettare

104
Cfr. il paragrafo 3.6.1 di questa tesi.
105
CHVATIK, Kvetoslav, Un duplice malinteso, in RIZZANTE, Μarco, (a cura di),
Riga, 2002, 20, p. 122
106
Nel suo saggio intitolato “Milan Kundera e le peripezie del verisimile”, Roberto
Gilodi fa giustamente notare come “porre il problema di cosa sia il romanzo
filosofico in termini classificatori [sia] un approccio riduttivo e in ultima istanza
poco produttivo”, indicando tre motivi principali: 1) Le sottoclassificazioni del
genere romanzo risultano in diversa misura poco adeguate, per il fatto che “il
romanzo stesso, essendo un genere letterario a codificazione debole, tende a
sottrarsi ad ogni tentativo di sistemazione classificatoria”; 2) La grande varietà di
modi in cui, nella storia del romanzo, si è tradotto in termini narrativi un contenuto
filosofico rende difficoltosa una precisa definizione di romanzo “filosofico”; 3) “Il
confronto che il romanzo istituisce con la realtà […] è un rapporto di tensione
dialettica da cui si libera un contenuto di conoscenza”. Pertanto, in questo senso,
questo presupposto, dovremmo comunque rifiutare questa etichetta,
prendendo le parti dell'autore e della migliore critica:

Vorrei subito evitare possibili malintesi: non sono un partigiano del


romanzo filosofico, che non è altro che l’assoggettamento del romanzo a
una filosofia, l’illustrazione romanzesca di un pensiero. E’ il caso di
Sartre. E ancor di più di Camus: La peste.107

Nei romanzi di Kundera non ci sono personaggi privilegiati che si fanno


portavoce della concezione filosofica dell'autore (come Roquentin ne La
nausea di Sartre o Mersault ne Lo Straniero di Camus). Al contrario: la
struttura dei romanzi è fondamentalmente polifonica, il che in questo
caso significa che il narratore cerca la verità nella pluralità, nella
coscienza di tutti i personaggi del romanzo. In questo senso, la posizione
di Kundera è esattamente opposta all'esistenzialismo sartriano.108

Attraverso i suoi romanzi, Kundera intende “non porsi al servizio di una


filosofia, ma accrescere il potere romanzesco, ampliare il campo della
conoscenza romanzesca”109. Quest'ultima, a differenza della riflessione
filosofica, “non pretende di essere portatrice di un messaggio apodittico”,
bensì avanza ipotesi, riflette sui personaggi o sui temi chiave connessi
alla vicenda in un tono che “resti ipotetico, ludico e ironico”110.

“ogni romanzo è un romanzo potenzialmente filosofico”. (GILODI, Roberto,


Milan Kundera e le peripezie del verisimile, in Rivista di Estetica, vol. 34-35, n.
48, 1994, p. 119-139. Citazioni da p. 120-21)
107
KUNDERA, Milan, Il cielo stellato dell'Europa Centrale”, cit. p. 23.
108
CHVATIK, Kvetoslav, Il mondo romanzesco di Milan Kundera, cit., p. 21-22. Anche
se sostanzialmente convergenti, abbiamo riportato le due citazioni, dell'autore e del critico,
per sottolineare la nostra preferenza per quest'ultima. L'esempio portato da Kundera de La
peste di Camus non è, a nostro avviso, perfettamente calzante in questo contesto: non vi è,
infatti, nel capolavoro di Camus, un personaggio che incarni in toto l'idea filosofica
dell'autore (come è ad esempio Mersault ne Lo straniero). Inoltre, ricordiamo che, come
sappiamo dai Carnets (pubblicati postumi nel 1962 in uno dei due volumi della Pléiade
dedicati a Camus), La peste era stato originariamente costruito sulla compresenza di quattro
voci narrative, secondo una modalità molto simile a quella dello Scherzo kunderiano; solo
in un secondo momento il narratore è stato ridotto al solo dottor Rieux. Tuttavia, il romanzo
ha mantenuto, anche nella sua versione definitiva, una struttura, in un certo senso,
polifonica, in cui è assente una verità univoca.
109
KUNDERA, Milan, Il cielo stellato dell'Europa Centrale”, cit. p. 23
110
KUNDERA, Milan, L’Arte del Romanzo, cit., p. 98
Lo stesso discorso vale per la definizione di romanzo-saggio. Da un lato,
infatti, è vero che le digressioni meditative di Kundera condividono
alcuni aspetti con il vero e proprio genere del saggio: il ricorso alla
definizione, alla classificazione, alla creazione di una sorta di lessico
tecnico specifico. Dall'altro, tuttavia, essi differiscono completamente
nella finalità. I saggi kunderiani, infatti, non si prefiggono la reale
dimostrazione “scientifica” di una tesi: essi rientrano, invece, in quella
logica propriamente romanzesca intesa come interrogazione perpetua su
una verità che, per definizione, sfugge ad ogni formulazione definitiva.
Essi propongono, “in una parola, una verità romanzesca”111.

4.5 Ampliamento dei confini romanzeschi: fusione di più livelli di


finzione

Ora, non vogliamo qui limitarci a sostenere che, attraverso il principio


unificante di unità tematica descritto nel capitolo precedente, Kundera
riesce a realizzare nei suoi romanzi quelle condizioni di uguaglianza ed
indivisibilità polifonica lasciate in sospeso da Broch, portando a
compimento la lezione del suo “maestro”. Bensì sosterremo112 come
Kundera sappia spingere la polifonia romanzesca ad un livello ancora
successivo, intrecciando fra loro non solo linee narrative di differente
genere, ma anche di diverso statuto ontologico. Egli sviluppa, cioè una
narrazione che riesce ad intrecciare in modo coerente diversi livelli di
finzione (o di realtà), conducendo a risultati del tutto nuovi.

4.5.1 Racconti onirici

Una prima, fondamentale linea del contrappunto romanzesco di Kundera


è costituita dalla narrazione onirica. Definiamo immediatamente tale
espressione con le parole di Kundera:

111
RICARD, François, Le dernier Après-midi d'Agnès, cit., p. 136
112
Ci dichiariamo nuovamente debitori verso il magnifico saggio di François Ricard, Le
dernier Après-midi d'Agnès, cit.
L'immaginazione che, affrancata dal controllo della ragione e dall'assillo
della verosimiglianza, penetra in paesaggi inaccessibili alla riflessione
razionale. Il sogno è soltanto un modello di questa immaginazione, che
personalmente considero la più grande conquista dell'arte moderna113.

Kundera, in particolare, riconosce a Kafka il merito di aver fatto entrare


il sogno, “l’immaginazione che è propria del sogno”, nel romanzo114.
Questa immaginazione, sottolinea Kundera, non ha nulla a che vedere
con l'immaginazione fantastica dei romantici tedeschi del XIX secolo
(Novalis, Tieck, Armin, Hoffmann), la quale aveva completamente un
altro significato: “allontanarsi dalla vita reale, mettersi alla ricerca di
un'altra vita; l'immaginazione dei romantici non aveva molto a che fare
con l'arte del romanzo”115. I romanzi di Kafka realizzano invece “la
fusione totale fra sogno e realtà. A un tempo, lo sguardo più lucido sul
mondo moderno e l'immaginazione più sfrenata”116.
Ora, come Kafka, anche Kundera vuole portare il sogno all'interno del
romanzo. Ma in che modo egli ci riesce?

Ovviamente sarebbe ridicolo voler imitare [Kafka]. […] Il mio modo di


farlo non è una fusione fra sogno e realtà, ma un confronto polifonico. Il
racconto onirico è una delle linee del contrappunto.117

Innanzitutto i sogni, nei romanzi di Kundera, non si presentano come


semplici visioni, ma quasi sempre come delle avventure, come racconti
onirici, dotate di tutti gli ingredienti abituali della narrazione
(personaggi, scenario, azione, dialoghi, etc.). Naturalmente, queste
avventure e tutti i loro ingredienti saranno slegati dai normali criteri di
verisimiglianza; tuttavia, a livello formale, la loro narrazione avviene
secondo nella stessa maniera delle storie “reali” dei personaggi. Ora, fa
113
KUNDERA, Milan, L'Arte del Romanzo, cit., p. 118-9
114
Ibid., p. 119-20
115
KUNDERA, Milan, Kafka. La frontiera dell'inverosimiglianza non è più sorvegliata, in
RIZZANTE, Marco, (a cura di), “Milan Kundera”, Riga, 2002, 20, p. 41
116
KUNDERA, Milan, L'Arte del Romanzo, cit., p. 120
117
Ibid. p. 119-120
notare acutamente Ricard, “è proprio tale attributo formale a permettere a
questi sogni, nonostante appartegano ad un ordine di verisimiglianza
differente, di entrare a pieno diritto a far parte della composizione
polifonica romanzesca, in rapporto di armonia e di uguaglianza con le
altre linee narrative”118. Infatti, nonostante mostrino un mondo altro
rispetto alla realtà “ordinaria” in cui si situano le storie dei personaggi, i
sogni dei romanzi di Kundera non appaiono mai come un mondo più o
meno vero, più o meno significativo del primo.
In secondo luogo: di norma, la letteratura introduce il sogno o con una
funzione profetica o psicanalitica o semplicemente, a scopo ornamentale.
Il romanzo kunderiano si rapporta con i sogni in maniera del tutto nuova,
ovvero per il loro valore propriamente estetico119. E' lo stesso Kundera,
in uno dei suoi romanzi, a suggerire questo termine:

Quei sogni non erano solo eloquenti, erano anche belli. Questo è un
aspetto che è sfuggito a Freud nella sua teoria dei sogni. Il sogno non è
soltanto una comunicazione (magari una comunicazione cifrata), ma
anche un’attività estetica, un gioco dell’immaginazione, che è di per sé
un valore. Il sogno è la prova che immaginare, sognare ciò che non è
accaduto, è tra i bisogni più profondi dell'uomo.120

Il sogno, dunque, non è introdotto come “la causa, l'effetto o il segno di


qualcos'altro, ma per sé stesso e per la propria enigmatica bellezza;
guardandosi bene dal subordinarlo in qualche modo al racconto
principale o ad un altro elemento della composizione”121. Per il
romanziere il sogno costituisce, in sostanza, un diverso terreno di gioco
in cui esplorare l'identità dei personaggi e i temi portanti del romanzo:
essendo basato su regole completamente diverse (l'inverosimiglianza non
è più fischiata dall'arbitro), esso porterà a dei risultati completamente
nuovi, ma non per questo meno determinanti di quelli di ogni altra

118
RICARD, François, Le dernier Après-midi d'Agnès, cit., p.107
119
Ibid., p.108
120
KUNDERA, Milan, L'Insostenibile Leggerezza dell'Essere, cit., p. 65
121
RICARD, François, Le dernier Après-midi d'Agnès, cit., p. 108
componente del romanzo.
Tale uguaglianza formale nel trattamento dei due diversi territori
ontologici -del sogno e della realtà dei personaggi- permette l'instaurarsi,
fra loro, di diversi gradi di “distanza”, a partire dalla loro separazione
ben definita, fino a delle forme di avvicinamento tali da renderli
sostanzialmente indistinguibili.
Il primo caso è esemplificato nell'Insostenibile Leggerezza dell'Essere: la
catena di sogni di Tereza costituisce una storia “interiore” parallela a
quella “reale” della relazione fra lei e Tomas. Tuttavia, i due mondi
restano sempre distinti e ben riconoscibili dal lettore.
Alcune volte, tuttavia, la separazione non è così chiara, e il lettore
capisce di trovarsi all'interno di un sogno solo dopo una o due pagine: ne
sono esempio il sogno della collina di Petrin nella Quarta parte
dell'Insostenibile Leggerezza dell’essere; o l'inizio della Quarta parte
dello Scherzo (in cui Jaroslav compare per la prima volta come
protagonista di una vicenda che -il lettore lo capisce solo nel capitolo
successivo- egli stesso sta sognando). Altre volte tale momento di
esitazione del lettore dura molto più a lungo. Il caso più eclatante è
costituito dalla Seconda parte de La Vita è Altrove, in cui viene
presentato -e poi del tutto abbandonato- un personaggio di nome Xavier,
la cui breve avventura è del tutto estranea ed indipendente rispetto alla
vicenda del protagonista del romanzo, il poeta Jaromil. Solo dopo molte
pagine, nella Quinta parte del romanzo, il lettore scopre che Xavier era
frutto di una fantasia di Jaromil stesso:

[...] molti anni prima aveva scritto una lunga prosa poetica, una sorta di
racconto fantastico su un ragazzo che si chiamava Xaver. Scritto? Non
proprio, aveva piuttosto sognato le sue avventure, e un giorno avrebbe
voluto scriverle.122

Vi sono casi, infine, in cui sogno e “realtà” si fondono insieme, fino a


non permettere più di distinguerne il confine. È il caso dell'avventura di
122
KUNDERA, Milan, La Vita è Altrove, Adelphi, Milano 1987, p. 228
Tamina nell'isola dei bambini, che costituisce la Sesta del Libro del Riso
e dell'Oblio e che si conclude con la morte dell'eroina. L'episodio, che si
apre in maniera “normale”, comincia gradualmente a introdurre elementi
poco verosimili, che man mano conducono il sempre più disorientato
lettore in un racconto di natura evidentemente fantastica. Resta tuttavia
impossibile stabilire con certezza se si tratti di un sogno o di un racconto,
di un delirio di Tamina o di una rappresentazione metaforica della sua
morte (come in diversi punti il romanzo farebbe supporre); e, in verità,
neppure della “realtà” della sua morte possiamo essere certi. Tutto ciò
che sappiamo è che che siamo stati impercettibilmente condotti, senza
soluzione di continuità, e senza che ce ne accorgessimo, da un mondo ad
un altro.
Sulla stessa tecnica sono costruiti gli ultimi capitoli del primo romanzo
francese di Kundera, L'Identità, dove il viaggio in Inghilterra dei due
protagonisti, Chantal e Jean-Marc, acquista tratti onirici man mano più
evidenti, fino a trasformarsi, a ritmo incalzante, in un vero e proprio
incubo. Da questo incubo, alla fine, i protagonisti si svegliano -e noi
lettori con loro: ma resta per tutti aperto il dubbio espresso dal
romanziere:

E io mi domando: chi ha sognato? Chi ha sognato questa storia? Chi l'ha


immaginata? Lei? Lui? Tutti e due? Ciascuno per l'altro? E a partire da
quale momento la loro vita reale si è trasformata in quell'atroce
fantasticheria? […] In quale preciso momento il reale si è trasformato in
irreale, la realtà in fantasia? Dov'era la frontiera? La frontiera dov'è?123

123
KUNDERA, Milan, L'Identità, Adelphi, Milano 1997, p. 175. Ricard definisce
L'Identità come “il romanzo più kafkiano di Kundera” (RICARD, François, Le
dernier Après-midi d'Agnès, cit., p. 112): per una volta, ci troviamo in disaccordo
con lui. Qui, è vero, è realizzata in modo mirabile la tecnica della “sfumatura” da
realtà a sogno. Tuttavia, alla fine, i due personaggi si svegliano dall’incubo. A
nostro parere il Premio Kafka va, invece, al Libro del Riso e dell’Oblio:
immaginazione onirica e “realtà” si fondono senza mai scindersi e senza bisogno di
giustificazione alcuna. Si confrontino, a titolo di esempio, il bellissimo Cavaliere
del Secchio, racconto di Kafka del 1921, con le pagine in cui Kundera descrive “la
danza in cerchio” che prende il volo, motivo ricorrente del Libro del Riso e
dell'Oblio (KUNDERA, Milan, Il Libro del Riso e dell'Oblio, cit., p. 75-6; p. 83-
84).
4.5.2 Episodi del passato

Abbiamo già visto, nelle sue linee di base, il modo in cui Kundera tratta
la Storia nei suoi romanzi124. Nell'Arte del Romanzo, Kundera lo
riassume in quattro principi:

Primo: tratto tutte le circostanze storiche con la massima economia […],


come uno scenografo che allestisce una scena astratta con pochi oggetti
necessari all'azione; […] Secondo: delle circostanze storiche prendo in
considerazione solo quelle che creano per i miei personaggi una
situazione esistenziale rivelatrice; […] Terzo: la storiografia scrive la
storia della società, non quella dell'uomo. Perciò gli avvenimenti storici
di cui parlano i miei romanzi sono spesso quelli che la storiografia ha
dimenticato. […] Quarto: la storia deve essere capita e analizzata in se
stessa come situazione esistenziale.125

Soffermiamoci su quest'ultimo punto: cosa significa “capire la storia in


se stessa come situazione esistenziale”?
Il Libro del Riso e dell'Oblio si apre con la descrizione di un episodio
storico: nel febbraio del 1948 il dirigente comunista Klement Gottwald
pronuncia un discorso di fronte a centinaia di migliaia di cittadini; la
giornata è fredda e il suo compagno Clementis, al suo fianco, gli porge
gentilmente il proprio berretto. La sezione propaganda diffonde in tutto il
paese la fotografia di Gottwald con il berretto di pelo in testa e il
compagno al fianco. Quattro anni dopo, Clementis è accusato di
tradimento e impiccato. La sezione propaganda lo cancella
immediatamente dalla storia: in quella celebre fotografia, da quel giorno
in poi, Gottwald compare solo sul balcone e di Clementis non resta che il
berretto.
Ora, in questo caso la Storia non è funzionale ai personaggi del romanzo:
l'episodio mette in scena personaggi ed eventi storici nel ruolo di
protagonisti. Tuttavia, un episodio come questo non ha nulla a che vedere
124
Cfr. paragrafo 3.6
125
KUNDERA, Milan, L’Arte del Romanzo, cit., p. 60- 62
con la storiografia o con la biografia romanzata. Esso possiede, certo, il
rigore e la precisione della storiografia; tuttavia, con quest’ultima esso
non condivide affatto le finalità: “questa ricostruzione di un episodio del
passato, e la ricerca che l’hanno preceduta, non hanno assolutamente
come fine la conoscenza o la spiegazione del passato in quanto passato.
La loro funzione è un'altra, ed è essenzialmente ed unicamente
romanzesca”126.
Questa scena diventa significativa solo alla luce della dimensione
tematica dei romanzi di Kundera: gli episodi storici costituiscono,
ovvero, un'ulteriore esplorazione, a un diverso “grado di realtà”, di una
stessa questione esistenziale, di uno stesso tema sotteso al romanzo;
diventano, in altre parole, una nuova linea polifonica127.
Questi episodi storici non devono avere come protagonisti
necessariamente personaggi pubblici della vita politica: essi abbracciano,
in generale, la totalità del mondo del passato. Nella Seconda e nella
Quarta parte dell’Immortalità, la storia di Agnes, Paul e Laura,
ambientata nella Francia del XX° secolo, viene interrotta da un lungo
racconto ambientato nella Germania del XIX° secolo, avente come
protagonisti Goethe, la sua ammiratrice Bettina Brentano ed altri loro
contemporanei, fra cui Beethoven. Fanno parte del passato, inoltre, anche
i personaggi romanzeschi e mitici: per i primi, è il caso della Lentezza, in
cui la storia di Vincent e Julie si confonde con la passeggiata di Madame
de T. e del giovane cavaliere, protagonisti di un celebre racconto del
XVIII secolo di Vivant Denon; per i secondi, è il caso dell'Ignoranza, in
cui alla storia di Josef e Irena, emigrati dalla Cecoslovacchia durante
l'occupazione russa che ai dopo la liberazione del paese decidono di
tornarvi, si affianca il mito dell'esilio e del nostos per eccellenza: il mito
di Ulisse.
Fra il mondo del passato e il mondo dei personaggi si instaurano, inoltre,
continui parallelismi. Nelle vicende di Agnes e di Goethe narrate
nell'Immortalità, ad esempio, ritroviamo personaggi (Bettina-Laura),
126
Ibid., p. 115
127
A riprova di ciò basti notare come la scena riportata come esempio si ripresenti più volte
nel corso del romanzo, divenendo un motivo ricorrente del tema maggiore dell'”oblio”.
gesti (il gesto del desiderio di immortalità, la mano sul seno), situazioni
(gli occhiali rotti), che sembrano il doppio gli uni degli altri. Nella Vita è
Altrove, alla figura del protagonista, il poeta Jaromil, si alternano
costantemente, nel corso del romanzo, le figure di poeti illustri realmente
esistiti (Lermontov, Rimbaud, Maiakovski, Breton), fino al punto di
sovrapporsi in un'unica figura di Poeta, diventando l'uno lo specchio, la
ripetizione, la variazione degli altri.
Si costituisce cioè un rapporto ermeneutico secondo il quale, da un lato,
il presente si trova costantemente subordinato al passato (come sua
ripetizione, eterna variazione, modulazione di un tema già fissato);
dall'altro, il passato stesso si trova illuminato da una nuova luce, ironica
e romanzesca, assumendo nuovi significati dalle variazioni nel presente.

4.5.3 Il mondo dell'autore

Infine, come abbiamo già osservato128, lo stesso autore entra a far parte
del romanzo, inserendovi episodi tratti dalla propria biografia.
Avevamo lasciato in sospeso una domanda: si tratta di vera e propria
autobiografia?
Riassumiamo quanto osservato finora: per Kundera il romanzo si
definisce come una meditazione interrogativa su una questione
esistenziale, condotta attraverso l’esplorazione e l’unione
contrappuntistica di diverse linee, costruite come variazioni su uno
stesso tema: tali linee narrative, oltre ad appartenere a diversi generi,
spaziano su diversi piani ontologici: dei personaggi, del sogno e della
Storia.

Ecco pertanto la risposta alla nostra domanda: anche il mondo dell’autore


risulta significativo non di per sé (come volontà autobiografica di
esposizione e valorizzazione della vita individuale o dell'esperienza
interiore dell'autore), ma come ulteriore variazione ed esplorazione del

128
Cfr. paragrafo 2.4 di questa tesi.
tema attorno cui gravita il romanzo: diventa, cioè, una quarta linea della
polifonia romanzesca kunderiana.
Note conclusive

La sola ragion d’essere di un romanzo è scoprire ciò che solo


un romanzo può scoprire. Il romanzo che non scopre una
porzione di esistenza fino ad allora ignota è immorale. La
conoscenza è la sola morale del romanzo.129

Attraverso le tre grandi linee direttive del narratore, dell'unità tematica e


della polifonia, abbiamo mostrato come l'arte del romanzo di Kundera
riesca a coniugare il carattere ludico dei romanzi del “primo tempo”, il
rigore compositivo del romanzo ottocentesco e la musicalità
novecentesca, inscrivendosi, in maniera originale e consapevole,
all'interno della storia del romanzo europeo.
In particolare, abbiamo visto come il romanzo si definisca, in Kundera,
nei termini di una meditazione interrogativa su una questione
esistenziale, condotta attraverso l’esplorazione e l’unione
contrappuntistica di diverse linee narrative, costruite come variazioni su
uno stesso tema. Con François Ricard, inoltre, abbiamo mostrato che tali
linee, oltre ad appartenere a diversi generi letterari, spaziano su diversi
piani ontologici: dei personaggi, del sogno, della Storia e dell'autore.
Se è vero, come crediamo, che esistono ancora molte possibilità
inesplorate del romanzo, ci sentiamo in diritto di affermare che Kundera
abbia saputo svelare una di queste possibilità: attraverso l'originale
costruzione polifonica descritta in questa tesi, egli ha saputo ampliare i
confini del romanzo, conducendolo a dei risultati del tutto inediti.

129
KUNDERA, Milan, L’Arte del romanzo, cit. p. 18
Bibliografia:

1) Fonti primarie:

a) Romanzi :

KUNDERA, Milan, Lo Scherzo, Adelphi, Milano, 1986

Amori Ridicoli, Adelphi, Milano, 1988

La Vita è Altrove, Adelphi, Milano, 1987

Il Valzer degli Addii, Adelphi, Milano, 1989

Il Libro del Riso e dell'Oblio, Bompiani, Milano, 1980

L'Insostenibile Leggerezza dell'Essere, Adelphi, Milano, 1985

L'immortalità, Adelphi, Milano, 1990

La Lentezza, Adelphi, Milano, 1995

L'Identità, Adelphi, Milano, 1997

L'Ignoranza, Adelphi, Milano, 2001


b) Saggi:

KUNDERA, Milan,L'Arte del Romanzo, Adelphi, Milano, 1988

I Testamenti Traditi, Adelphi, Milano, 1994

Il Sipario, Adelphi, Milano, 2005

2) Fonti secondarie:

a) Monografie e saggi :

BACHTIN, Michail, Dostoevskij: poetica e stilistica, Einaudi, Torino


1968.

CHVATIK, Kvetoslav, Il mondo romanzesco di Milan Kundera,


Dipartimento di Scienze Filologiche e Storiche, Trento 2004

COMPAGNON, Antoine, Il demone della teoria: letteratura e senso


comune, Einaudi, Torino 2000

LODGE, David, After Bakhtin: essays on fiction and criticism,


Routledge , London/New York 1990, p. 154-195 (in inglese)

RICARD, François, Le dernier après-midi d'Agnès: essai sur l'oeuvre


de Milan Kundera, Gallimard, Paris 2003 (in francese)
RIZEK, Martin, Comment devient-on Kundera?: images de l'écrivain,
écrivain de l'image, L'Harmattan, Paris 2001 (in francese)

SEGRE, Cesare, Avviamento all'analisi del testo letterario, Einaudi,


Torino, 1975

SEGRE, Cesare, Intrecci di voci: la polifonia nella letteratura del


Novecento, Einaudi, Torino 1991

b) Numeri di riviste:

RIZZANTE, Marco, (a cura di), “Milan Kundera”, Riga, 2002, 20

c) Articoli di riviste:

GILODI, Roberto, « Milan Kundera e le peripezie del verisimile »,


Rivista di Estetica, vol. 34-35, no 48 (1994), p. 119-139

KAMKHAGI, Vanessa, « Rabelais, Flaubert et Kundera: la


démystification du monde moderne », Confronto letterario,
vol. 14, no 28 (novembre 1997), p. 773-789 (in francese)
Desidero ringraziare il prof. Gilodi.
Un grazie speciale alla mia famiglia, alla
piccola Arianna e al suo amico Gatto Nero.
Infine ringrazio gli amici della Panchina, la
Cumpa dei Carciofi Fritti, i Violini Secondi, i
Klandestini e i Terminal Traghetti.

Potrebbero piacerti anche