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Sistemi giuridici di Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Paesi nordici e

Albania
di Stefano Civitelli
In questi interessanti appunti che riassumono i volumi "La tradizione giuridica
occidentale" di V. Varano e V. Barsotti e "Diritto consuetudinario albanese" di
A. Simoni, vengono schematizzate le principali caratteristiche dei sistemi
giuridici dell'Occidente.
In particolare si evidenziano - dopo un'introduzione iniziale sul diritto
comparato, i suoi caratteri e le scuole di giuristi nel corso dei secoli - i principali
codici di riferimento, l'evoluzione storica delle leggi e la gerarchia delle fonti
giuridiche di Francia, Inghilterra, Stati Uniti d'America e Paesi nordici.
I paragrafi conclusivi sono invece dedicati a vari approfondimenti sul diritto
consuetudinario albanese, il Kanun, che, sebbene non più in vigore, permette
di ricostruire le basi della società e del conseguente sistema giuridico in
Albania.

Università: Università degli Studi di Firenze


Facoltà: Giurisprudenza
Esame: Sistemi Giuridici Comparati, a.a. 2006/2007
Titolo del libro: "La tradizione giuridica occidentale" e "Diritto
consuetudinario albanese"
Stefano Civitelli Sezione Appunti

1. Studio del diritto prima del 1900


Fin da ora occorre riflettere su un fatto che è sotto gli occhi di tutti, ossia la crescita di interesse per gli altri
sistemi giuridici, sia a livello pratico sia a livello teorico.
In effetti, il fenomeno della diversità dei vari sistemi giuridici è costante nel corso della storia; l’attenzione
consapevole degli studiosi del diritto nei suoi confronti è invece relativamente recente e risale agli inizi del
XX secolo.
Come curiosità storiche possiamo ricordare Platone che nell’opera Le Leggi fa una comparazione delle città
Stato della Grecia; la leggenda narra poi che i decemviri redassero la legge delle XII Tavole, una delle fonti
più antiche del diritto romano, dopo aver condotto un’indagine sulle città della Magna Grecia; Montesquieu
nella sua opera L’Esprit des Lois guarda per la prima volta al diritto come fenomeno sociale, e considera la
diversità dei vari diritti quale prodotto di diversità naturali, storiche, politiche, etniche e di altri fattori
dell’assetto sociale.
In ogni caso si tratta spesso, più che di consapevole uso del metodo comparativo, di geografismo e di
aspirazione a un modello di diritto superiore.
Il XIX secolo è invece caratterizzato da una chiusura netta nei confronti di ciò che è estraneo, è il secolo
delle codificazioni e dello statualismo.
Non mancano, pur in questo clima, alcuni eventi che testimoniano l’importanza della comparazione per la
cultura giuridica.
Sono, ad esempio, della seconda metà dell’800 la fondazione in Francia della Société de Législation
Comparée, in Germania nel 1878 il primo numero della Zeitschrift fr vergleichende Rechtswissenschaft, e
risale al 1894 anche la fondazione a Londra della Society of Comparative Legislation.
Si snoda poi nel corso del secolo XIX l’opera di Emerico Amari, autore nel 1857 della Critica di una scienza
delle legislazioni comparate.

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2. La nascita della disciplina del diritto comparato nel 1900


Al diritto comparato nella sua connotazione odierna può essere attribuita una data di nascita: il 1900, quando
si svolse a Parigi, sotto l’impulso di due grandi giuristi francesi, il Congresso internazionale di diritto
comparato.
L’idea utopica dei due grandi giuristi era quella di un diritto comune dell’umanità.
Il diritto comparato doveva servire a superare le barriere tra i diversi diritti e le diverse concezioni
giuridiche, create da mere contingenze e da accidenti storici, e non da profonde e intrinseche ragioni di
fondo.
In effetti, il periodo che va dal 1900 agli anni ’30, gli anni della depressione, dei totalitarismi, che
culmineranno in una guerra dalle proporzioni spaventose, è un periodo di lancio euforico del diritto
comparato sulla scia di tanti fattori: il c.d. clima dell’Aja, che produce convenzioni volte a istituire una corte
permanente di arbitrato per risolvere pacificamente le controversie fra Stati e una serie di convenzioni volte
ad unificare le norme di diritto internazionale privato.
La formazione di nuovi Stati dopo la prima guerra mondiale, ansiosi di dotarsi di un proprio diritto, fa sì che
siano aperti all’indagine sulle soluzioni più promettenti offerte da altri ordinamenti.
Il mondo che si sveglia dall’incubo dei campi di concentramento e della seconda guerra mondiale è un
momento caratterizzato da uno straordinario progresso tecnologico.
E’ un’epoca di esigenze nuove per cui è necessario un nuovo diritto, o meglio la consapevolezza che il
diritto è un fenomeno sociale in continua trasformazione.
In questo mondo è essenziale il contributo che la comparazione può portare allo sviluppo del nuovo diritto:
contributo che si esprime nella ricerca di valori, di regole, di istituti di portata tendenzialmente
sovranazionale e universale.

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3. Dal diritto nazionale al diritto internazionale nell'età


contemporanea
In sostanza, nell’epoca contemporanea, contrassegnata dalla facilità degli scambi e dallo straordinario
sviluppo dei mezzi di comunicazione, non è più lecito, per ragioni storiche e pratiche, considerare il diritto
come un fenomeno puramente nazionale.
Occorre poi rendersi conto che la progressiva integrazione economica e politica dell’Europa pone anche al
giurista problemi sempre nuovi di armonizzazione del diritto.
Le iniziative di questo tipo non mancano: si pensi alla Commissione Lando che ha prodotto, dopo un lungo
lavoro di compilazione e di rielaborazione, i Principles of European Contract Law; e si pensi pure
all’iniziativa promossa a Pavia da Giuseppe Gandolfi con l’aspirazione di arrivare a una codificazione del
diritto dei singoli contratti.
Anche se il cammino di approvazione del “Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa” è ancora
lungo, è da osservare con grande interesse, se non altro per il suo carattere politico-programmatico.
A livello mondiale: l’UNDIROT (l’Istituto Internazionale per l’Unificazione del Diritto Privato), fondato a
Roma nel 1926, ha elaborato di recente una disciplina uniforme dei “principi dei contratti commerciali
internazionali”; Geoffrey Hazard e Michele Taruffo hanno dato il via, con i loro Transational Principles and
Rules of Civil Procedure, al progetto ancora più ambizioso di mettere a punto regole destinate a valere
ovunque, in tutti i processi con elementi di internazionalità.
Che tutti gli eventi che abbiamo ricordato abbiano prodotto un forte sviluppo della comparazione è evidente
sia sotto il profilo scientifico sia sotto il profilo didattico.
Sotto il primo profilo è innanzi tutto aumentata la produzione di opere sistemologiche, e sotto il secondo
profilo è cresciuta la produzione di studi specialistici (sotto tale profilo è sufficiente indicare la crescente
diffusione degli insegnamenti comparatistici nelle nostre facoltà giuridiche).

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4. Definizione di diritto comparato


Il diritto comparato è quella parte della scienza giuridica che si propone di sottoporre a confronto critico e
ragionato più sistemi, o gruppi di sistemi, giuridici nazionali (c.d. macrocomparazione) o di più istituti (c.d.
Microcomparazione).

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5. Diritto comparato e diritto positivo


Il diritto comparato è diverso dai tradizionali rami del diritto positivo: non è un complesso di norme (come
ad esempio, il diritto privato o pubblico).
Anche il diritto internazionale privato, che indica quale diritto deve essere applicato in un caso con
collegamenti stranieri, è parte del diritto positivo nazionale, ed è quindi diverso dal diritto comparato.
Tuttavia, il diritto comparato è utile al diritto internazionale privato, sia al fine di “qualificare” i concetti
utilizzati dalle norme di conflitto, sia al fine di applicare correttamente il diritto straniero.
Il diritto internazionale pubblico, dal canto suo, è un sistema giuridico sopranazionale e globale diretto a
regolare le relazioni fra Stati, ed è quindi anch’esso diverso dal diritto comparato.
Vedremo tuttavia più avanti il contributo essenziale che la comparazione giuridica offre alla spiegazione dei
c.d. “principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili”.
Quanto fin qui detto a proposito del rapporto tra diritto comparato e diritto positivo è utile per capire perché
sarebbe più corretto usare l’espressione comparazione giuridica, anziché diritto comparato.
L’utilizzazione di tale espressione non significa affatto considerare la comparazione metodo anziché
scienza: essa, come ogni disciplina, è in parte metodo e in parte scienza.
Se di norma la comparazione non è diritto positivo, vi sono tuttavia ipotesi in cui la comparazione può essa
stessa presentarsi come diritto positivo, fonte, cioè, di norme direttamente regolatrici di rapporti:
si pensi all’art. 38 dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia: “la Corte, la cui funzione è di
decidere in base al diritto internazionale le controversie che le sono sottoposte, applica: (…) i principi
generali del dritto riconosciuti dalle nazioni civili.
La norma suggerisce un procedimento di comparazione attraverso il quale la Corte arriverà a distillare i
“principi generali”, che costituiranno la regola per il caso sottopostole, cioè il diritto positivo del caso
concreto;
oppure all’art. 2882 Trattato CE: “in materia di responsabilità extracontrattuale, la Comunità deve risarcire,
conformemente ai principi generali comuni ai diritti degli Stati membri, i danni cagionati dalle sue
istituzioni o dai suoi agenti nell’esercizio delle loro funzioni”.
Il ricorso a presunti principi generali comuni è la via per arrivare, da parte della Corte, al controllo della
legittimità degli atti comunitari: la premessa è che i diritti fondamentali costituiscono parte integrante dei
principi generali del diritto, di cui la Corte garantisce l’osservanza, e quindi, nel garantire la tutela di tali
diritti, essa è tenuta ad ispirarsi alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e non potrebbe
ammettere provvedimenti incompatibili con i diritti fondamentali riconosciuti e garantiti dalle costituzioni di
tali Stati.
Nel far ciò, la Corte di Giustizia farà comparazione, e della comparazione distillerà la regola “comune”, il
diritto positivo del caso concreto;
infine, si può pensare alla pratica commerciale internazionale in tema di contratti fra privati o fra privati e
Stati.
In genere, essi contengono una clausola di deferimento ad arbitri per la soluzione delle controversie
eventualmente insorgenti e l’indicazione del diritto applicabile.
A riguardo, sono frequenti le clausole che fanno riferimento ai principi comuni agli ordinamenti dei
contraenti.

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6. Diritto comparato e diritto straniero


La comparazione giuridica è diversa dallo studio del diritto straniero.
Lo studio di quest’ultimo è generalmente il presupposto della comparazione giuridica, ed è tuttavia
implicitamente comparatistico dal momento in cui pone continuamente a confronto la categoria giuridica
“straniera” con le categorie nazionali.
Mentre lo studio del diritto straniero può essere implicitamente comparatistico, il giurista nazionale che
“racconta” il proprio sistema senza “staccarsi” da questo non compie nessuna comparazione.

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7. Rapporti fra diritto comparato e altri rami della scienza giuridica


Stretti sono i rapporti che intercorrono fra il diritto comparato ed altre discipline non positive: la teoria
generale del diritto, la storia del diritto e la sociologia.
La comparazione è essenziale per costruire una teoria generale del diritto, della sua natura, dei suoi fini, che
si elevi sui particolarismi propri dei diritti locali.
Lo storico del diritto è comparatista nel senso che “valuta” il diritto storico oggetto del suo studio alla luce
della propria formazione di giurista nazionale moderno.
Il comparatista, dal canto suo, sa che il diritto straniero è comprensibile solo alla luce della sua storia.
Il sociologo del diritto, può essere tanto più convincente nella prospettazione delle sue ipotesi circa
l’interazione tra diritto e società se la sua indagine abbraccia un orizzonte più ampio di una singola società o
di un singolo diritto.
Da canto suo, il comparatista è, o deve essere, consapevole che l’analisi sulla law in action richiede
conoscenza dei meccanismi sociali.

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8. La scienza del diritto comparato: la funzione della conoscenza


per il comparatista
La prima fondamentale funzione è tipica di ogni scienza, ed è assai felicemente espressa da alcuni tra i padri
fondatori della moderna scienza comparatistico: “gli interessi immediati del comparatista sono interessi di
conoscenza pura”; “la migliore conoscenza dei modelli deve essere considerata come lo scopo essenziale e
primario della comparazione intesa come scienza”; “il compito della comparazione giuridica, senza il quale
essa non sarebbe scienza, è l’acquisizione di una migliore conoscenza del diritto.
Non si può, crediamo, non concordare con l’approccio teso a porre l’acquisizione di nuova conoscenza come
compito essenziale e primario del diritto comparato.
Vogliamo tuttavia sottolineare “essenziale e primario”, non necessariamente esaustivo.
Per quanto ci riguarda, privilegiamo l’approccio metodologico che vede la comparazione come strumento di
politica del diritto e a collocare il dato giuridico in un più ampio contesto culturale, alle prospettive di
riforme nell’ambito dei singoli ordinamenti e alla ricerca del modello migliore.
In questa prospettiva, quello della conoscenza è il presupposto imprescindibile di una ricerca volta a scelte
di valore, le quali sono dunque il risultato naturale e non meramente eventuale della comparazione.

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9. Diritto comparato: per un'universalità della scienza giuridica


La comparazione mira a restituire alla scienza giuridica il carattere di universalità che è proprio di ogni
scienza.
Lo studio del diritto è di regola ancora oggi accentrato sull’homo italicus o germanicus o gallius ecc…, non
sull’uomo in quanto tale.
Paradossalmente, si può arrivare a dire che l’unica facoltà non umanistica sia la facoltà giuridica, se per
umanesimo si intende l’interesse per i problemi e le creazioni dell’uomo, al di là dei gretti limiti locali.
Ma non fu sempre così, se solo si riflette sul fatto che nei suoi grandi periodi di fioritura la scienza giuridica
ha avuto carattere di universalità: si pensi al diritto romano, al giusnaturalismo dei secoli XVII e XVIII,
ecc…
Una misura di base può ritenersi mantenuta negli ordinamento di common law, che non hanno vissuto un
una rottura rivoluzionaria con il passato.
Nella tradizione di civil law, invece, il periodo dell’universalità è finito con la nascita dello Stato moderno e
si è consolidato con le grandi codificazioni civilistiche dell’800 che hanno profondamente minato il carattere
extrastatuale del diritto civile.
Dunque, può sostenersi che tra le funzioni della comparazione giuridica vi è anche quella di recuperare la
perduta universalità della scienza giuridica, andando oltre i confini nazionali, riscoprendo le analogie,
ricostruendo le varie tradizioni giuridiche, comprendendo le ragioni storiche-economiche-sociologiche-
culturali delle differenze, chiarendo le tendenze di sviluppo.

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10. Diritto comparato: per una comprensione delle culture


Si può ritenere che la comparazione mira a farci capire che non è barbarie la diversità di linguaggio, di
costumi, di istituti, di leggi.
“Comprendersi è un passo sempre necessario per la cooperazione e la pace.
Rompere il chiuso del proprio sistema giuridico significa allargare il proprio orizzonte e la propria
esperienza e perciò arricchirsi spiritualmente e rendersi conto dei propri limiti in uno spirito di modestia che,
a sua volta, comporta tolleranza e libertà.”

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11. Funzione del diritto comparato: per una migliore


comunicazione tra giuristi
Dal punto di vista pratico, il diritto comparato mira a far comunicare giuristi appartenenti a tradizioni
diverse assolvendo a compiti sia pratici che teorici.
Il comparatista si interroga, infatti, su come i diversi sistemi affrontino problemi analoghi.
In tal modo il comparatista giunge a conoscere come si organizzano, per esempio, il sistema inglese e quello
italiano, aiutando le due tradizioni a comunicare fra loro.
In questo quadro si inserisce un’altra possibile finalità del diritto comparato, quella cioè di fornire gli
strumenti per tradurre correttamente i testi giuridici.
Infatti, per ottenere tale risultato è necessario che l’interessato sia in grado di accertare che esista, nella
lingua verso la quale traduce, un vocabolo concettualmente analogo a quello della lingua di partenza.

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12. Funzione del diritto comparato: una migliore politica legislativa


I legislatori di tutto il mondo hanno sempre trovato che in molti settori non è possibile emanare buone leggi
senza essere al corrente delle soluzioni e della disciplina offerta negli stessi settori da altri Paesi.
La storia fornisce vari esempi di imitazione, o addirittura di trapianti massicci di interi sistemi normativi da
un Paese all’altro.
L’esempio classico è quello del Code Civil, che le armate napoleoniche imposero in molti Paesi europei ma
che rimase in vigore anche dopo la restaurazione e costituì il modello cui si ispirò, ad esempio, la nostra
prima codificazione unitaria.
Il processo di utilizzazione di esperienze straniere suggerisce qualche considerazione non secondaria: in
primo luogo il comparatista sa che anche se due testi normativi sono identici non è detto che la pratica
applicativa sia anch’essa identica, in secondo luogo ai fini dell’adozione di una soluzione accolta in un altro
ordinamento occorre verificare da un lato se tale soluzione funziona bene nel Paese che l’ha seguita e
dall’altro se può funzionare bene anche altrove senza provocare crisi di rigetto, tenuto conto delle differenze
tra le strutture politiche, economiche e sociali sottostanti a ordinamenti giuridici differenti.

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13. Funzione del diritto comparato: interpretare il diritto nazionale


Il ricorso alla comparazione può consentirci una migliore conoscenza anche del nostro diritto: ci si deve
interrogare se e in che limiti ci si può o ci si deve valere di una soluzione straniera per l’interpretazione del
diritto del proprio Paese.
Nei sistemi di common law che non hanno conosciuto il fenomeno della codificazione e che continuano ad
essere “sistemi aperti” in cui il giudice è chiamato ad esercitare una funzione esplicitamente creativa, è
frequente il caso di sentenze che si richiamano ad esperienze di altri Paesi.
Nei sistemi di civil law il discorso non è così netto a causa della presunta esclusività del sistema.
Tuttavia, non è affatto ignoto o impossibile il ricorso alla c.d. lex alii loci (legge degli altri luoghi); talvolta è
lo stesso codice che autorizza espressamente il giudice a cercare altrove la soluzione di casi omessi.
Così, per esempio, il notissimo art. 1 del codice civile svizzero afferma: “nei casi non previsti dalla legge il
giudice decide secondo la consuetudine e, in difetto di questa, secondo la regola che egli adotterebbe come
legislatore. Egli deve seguire in questi casi la dottrina consolidata e a giurisprudenza già formata”.
Negli altri Paesi dell’area di civil law, la giurisprudenza non concede alle argomentazioni derivanti dal
diritto comparato il ruolo che esse potrebbero svolgere nella interpretazione e nello sviluppo del diritto.
E’ soprattutto in Germania che il metodo comparativo viene spesso utilizzato in aggiunta ai mezzi di
interpretazione tradizionali per confermare e per promuovere un risultato.
Quanto all’Italia, si parla di “disattenzione di avvocati e magistrati italiani a quanto avviene all’estero”,
anche se qualche cenno può trovarsi talvolta nelle sentenze della Corte di Cassazione e della Corte
Costituzionale.
In ogni caso si è di recente sostenuto che anche nell’ordinamento italiano, a somiglianza di quanto avviene
nel diritto tedesco, può darsi un più ampio spazio alla lex alii loci, là dove debba farsi ricorso all’analogia,
che l’art. 122 disp. prel. c.c. non lega unicamente alle disposizioni nazionali.

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14. Diritto comparato: armonizzazione dei diritti nazionali


Si è già accennato al lavoro di armonizzazione che sta accompagnando la costruzione dell’UE e alle
iniziative intraprese in tale direzione anche a livello mondiale.
E’ indispensabile, nella realtà contemporanea, creare una certa unificazione-armonizzazione del diritto,
soprattutto di certi settori del diritto, a livello regionale o anche su scala mondiale.
L’armonizzazione, si è visto, è tra gli obbiettivi della CE; l’unificazione del diritto internazionale privato è
l’obiettivo della Conferenza dell’Aja sul diritto internazionale privato istituita nel 1893; molte convenzioni
internazionali si propongono di imporre una disciplina uniforme per i contratti internazionali; l’unificazione
del diritto del commercio internazionale e la creazione di una nuova lex mercatoria sono lo scopo di
organismi quali la Commissione delle Nazioni Unite per il commercio internazionale o l’Istituto
Internazionale per l’Unificazione del Diritto Privato istituita nel 1926.
L’unificazione-armonizzazione del diritto è un obiettivo molto sentito anche a livello per così dire di diritto
interno.
L’esempio classico è quello degli Stati Uniti d’America, dove molti strumenti e metodi sono usati per
avvicinare i diritti dei singoli Stati.
Non c’è dubbio che ogni operazione tendente all’unificazione o all’armonizzazione del diritto richieda
l’ausilio della comparazione.
Il problema del diritto uniforme emerge con particolare evidenza nel momento applicativo.
L’uniformità raggiunta a livello sopranazionale può essere infatti compromessa dalle interpretazioni che
della legge uniforme vengono offerte dalle corti dei vari Paesi.
Il problema è risolto laddove accanto alla legge uniforme è istituita una Corte sopranazionale che ne
garantisca uniformità di applicazione nei Paesi membri.
Ciò è quanto avviene, in maniera assai significativa, nella CE.
In mancanza di una Corte sopranazionale “bisognerebbe almeno che i tribunali Supremi dei vari Stati
membri, conoscessero e tenessero reciprocamente ben presenti la relativa giurisprudenza venutasi a creare
sul diritto uniforme”.

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15. Diversità dei diritti positivi nazionali


Tra le ragioni dell’esistenza e della necessità del diritto comparato, vi è senz’altro la presenza di una grande
varietà di sistemi giuridici: ogni Stato possiede, cioè, un diritto che gli è proprio.
Vi sono quindi tanti diritti, tanti sistemi giuridici, quanti sono gli Stati nazionali.
Ma ciò non basta, poiché talvolta concorrono all’interno di uno stesso Stato più sistemi giuridici (ad esempio
negli USA).
Inoltre alcune comunità non statuali hanno un loro diritto: diritto canonico, diritto musulmano, diritto indù,
diritto ebraico.
Infine esiste il diritto delle organizzazioni internazionali e, soprattutto importante, il diritto della CE, ed
esiste, più in generale, un sistema di diritto internazionale pubblico.
In che cosa consiste e in che cosa si manifesta la diversità degli ordinamenti?
La risposta più semplice, e per certi versi superficiale, sottolinea la diversità delle regole che nei vari sistemi
risolvono problemi analoghi.
Ma il fenomeno giuridico è più complesso, e le distinzioni e le divergenze tra i sistemi corrono a un livello
più profondo e attengono alla concezione stessa dell’ordine sociale, al modo in cui le regole vengono
concepite e interpretate.
E’ dunque importante, in via preliminare, esaminare, seppur sinteticamente, alcune questioni generali
connesse alle diversità profonde dei vari sistemi.

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16. Diritti positivi: importanza attribuita alla norma giuridica


Esse si traducono in differenze di vario ordine, relative all’importanza e al ruolo e quindi alla natura stessa
della norma giuridica e al modo in cui è prodotta e interpretata.
La norma giuridica può godere di un primato assoluto e in questo caso il diritto svolge un ruolo preminente
quale regolatore e organizzatore della società: è la concezione occidentale del diritto condivisa tanto dai
sistemi di common law che da quelli di civil law.
La norma giuridica può essere sottomessa a una regola superiore come, per esempio, a un ordine religioso: è
il caso del diritto islamico o del diritto indù.
La norma giuridica può infine assumere un ruolo strumentale di preparazione ad un particolare tipo di
società per poi scomparire, secondo la concezione marxista del diritto e dello Stato seguita nei Paesi
Socialisti.

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17. Diritti positivi: elaborazione e produzione della norma giuridica


Le fonti normative possono essere varie, e diverso può essere il rapporto tra loro.
Le principali fonti che troviamo nei sistemi moderni sono la legge, la consuetudine, la giurisprudenza e la
dottrina.
Il ruolo di tali fattori cambia da sistema a sistema e da epoca a epoca.
Nei vari sistemi possono essere dunque diversi i “protagonisti” del diritto: in un luogo il giudice, in un altro
il dottrinario.
Inoltre la norma giuridica può presentarsi con maggiore o minore generalità o astrattezza.
Alcuni ordinamenti, soprattutto gli ordinamenti di civil law e soprattutto le grandi codificazioni, tendono a
porre norme più generali e astratte, mentre gli ordinamenti di common law tendono a porre norme più
particolari e concrete.
Si deve infine tener conto del fatto che il quadro normativo può essere tendenzialmente stabile (un esempio
di tale stabilità è offerto dalle codificazioni ottocentesche) oppure mostrarsi più dinamico, mobile, ed esigere
frequenti aggiornamenti: è quanto accade negli ordinamenti contemporanei in cui la rapida evoluzione della
società sconsiglia di intraprendere opere destinate a durare nel tempo come i codici.
Ne consegue una netta prevalenza della legislazione speciale, mentre il codice tende a perdere la sua
centralità.

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18. Diritti positivi: interpretazione e applicazione della norma


giuridica
Con riguardo all’interpretazione può darsi un atteggiamento più formalista che attribuisce l’importanza
preminente al testo e predilige un approccio ermeneutico-letterale oppure può aversi una maggiore
attenzione allo spirito della regola e dunque un atteggiamento che attribuisce minore importanza
all’espressione formale.
Il primo approccio interpretativo è ascrivibile ai Paesi di common law, mentre il secondo è riscontrabile
negli ordinamenti di civil law.
In alcuni ordinamenti vi può essere un’attenuazione della regola di stretto diritto mediante ricorso a principi
equitativi.
Nell’epoca attuale tuttavia appare assai ridotto il ruolo dell’equità sia negli ordinamenti di civil law che in
quelli di common law.
Nei primi, all’equità il giudice può ricorrere solo nei limiti in cui il diritto positivo glielo consente, ossia
nelle ipotesi di equità c.d. sostitutiva o integrativa.
Negli ordinamenti di common law, il consolidamento dell’equity e la sua trasformazione in sistema, uniti
all’accresciuto ruolo del legislatore, rendono assai improbabile l’ipotesi di una new equity.
Vi possono essere infine differenze rispetto al grado di effettività della norma giuridica, ovvero se la norma
è effettivamente osservata e come si garantisce tale osservanza.
In questa prospettiva, rilevano le differenze relative all’organizzazione giudiziaria e, più in generale, relative
al ruolo della giurisdizione.

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19. Cause di diversificazione dei diritti nazionali: cause e origini


della diversità
I diritti dei popoli si differenziano per varie cause tra cui le condizioni naturali, l’evoluzione storica e la
volontà politica.
a. Condizioni naturali
Le condizioni naturali, quali il clima, la situazione geografica o la ricchezza di materie prime, impongono
proprie particolarità e specificità e quindi proprie esigenze, e le norme giuridiche ne sono in modo più o
meno importante, il riflesso.
L’esempio classico è l’Inghilterra, Paese ricco di fiumi e di laghi, in cui i corsi d’acqua sono utilizzabili solo
dai rivieraschi, mentre in America, Paese ove sono presenti vaste zone aride, sono utilizzabili anche da altri
proprietari per l’irrigazione.
b. Storia
Alle differenze e alle specificità della storia fanno eco le differenze dei vari diritti e le loro strutture
giuridiche.
c. Volontà politica
La volontà politica può accentuare le diversità e le varietà causate da condizioni naturali e storiche.
Questo è, per esempio, il caso della formazione degli Stati nazionali in Europa cha hanno portato, nel XIX
secolo, alle codificazioni.

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20. Superamento delle diversità dei vari diritti positivi


Il superamento delle diversità nei vari diritti può essere provocato, a sia volta, da una molteplicità di fattori,
fra i quali possono ricordarsi le condizioni naturali, ma soprattutto la circolazione di modelli e tecniche
giuridiche.

a. Condizioni naturali

Le condizioni geografiche così come possono separare nazioni e quindi portare a diritti diversi, possono
anche avvicinarli.
La prossimità geografica ha sempre stimolato la ricerca di uniformità di vita e di regole comuni.
Questa è anche la storia dell’UE.

b. La circolazione di tecniche e metodi giuridici

Alcuni grandi sistemi giuridici hanno segnato la civiltà, la cultura e la mentalità dei vari popoli.

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21. Influenze nei diritti nazionali: diritto romano, canonico,


islamico, Code Civil, pandettistica tedesca e Common law
Hanno più o meno influenzato diversi diritto nazionali, provocando importanti somiglianze di termini,
categorie, concetti, metodi, strutture.
Si possono fare numerosi esempi:
Diritto romano: dal V secolo a.C. al V secolo d.C. lo jus quiritium ha mano a mano ceduto il posto allo jus
gentium, ovvero ad un diritto fatto per popoli di origine diversa.
Il diritto romano si è imposto in due tempi: prima attraverso le conquiste militari, poi attraverso la rinascita
degli studi nell’Europa medievale.
Diritto canonico: per lungo tempo le giurisdizioni ecclesiastiche sono state le sole competenti per le
questioni che avevano un legame più o meno stretto con la religione e solo in un secondo momento le
giurisdizioni laiche estesero progressivamente le loro competenze in settori di appartenenza della Chiesa.
Diritto islamico: la shari’a ha valenza universale, in quanto insieme di precetti rivelati da Dio agli uomini.
Le sue fonti primarie sono il Corano, ossia l’insieme delle dichiarazioni religiose di Maometto, e la Sunnah,
ossia i comportamenti del Profeta, ispirati da Dio e quindi esemplari.
Code Civil: del 1804, applicato d’autorità nei territori conquistati da Napoleone (Belgio, Paesi Bassi,
territori renani della Germania, parte della Svizzera e parte dell’Italia).
Dopo la propria indipendenza, tali Paesi hanno mantenuto, o comunque fortemente imitato, il Code Civil:
l’influenza del modello francese è stata enorme, e la si ritrova non solo in gran parte del continente europeo,
ma anche in altri continenti che hanno subito la colonizzazione di Spagna, Portogallo o Francia, quali
l’America Latina, il Québec, la Louisiana, i Paesi francofoni dell’Africa, ecc…
Schemi teorici elaborati dalla pandettistica tedesca: hanno dato luogo a molte imitazioni da parte della
dottrina austriaca, ungherese e italiana del ‘900, che ha prodotto l’apparato concettuale del codice civile del
1942.
Common law: circa un terzo del mondo vive oggi in un regime giuridico influenzato dalla common law
inglese (Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda, India e Paesi anglofobi dell’Africa e del Sud-Est
asiatico).
Anche in questo caso la common law si impone con il processo di colonizzazione e poi viene mantenuta
dagli Stati dopo l’indipendenza.

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22. Comparazione giuridica e classificazione: le famiglie giuridiche


I comparatisti ritengono praticamente impossibile, e forse vano, entrare nel dettaglio del diritto di ogni
sistema, e ritengono invece che il punto di messa a fuoco più appropriato per un primo approccio alla
comparazione sia l’introduzione degli studenti alle caratteristiche essenziali delle più importanti tradizioni
giuridiche o famiglie giuridiche.
Preliminarmente è importante qualche chiarimento terminologico sui concetti di sistema giuridico e di
tradizione giuridica.
Per sistema giuridico si intende “un complesso operativo di istituzioni, procedure e norme giuridiche”
vigenti in un dato territorio o per un gruppo particolare di persone.
La tradizione o famiglia giuridica raccoglie invece quei sistemi giuridici, quegli ordinamenti che
condividono “un complesso di atteggiamenti profondamente radicati, storicamente condizionati, sulla natura
del diritto, sul ruolo del diritto nella società e nell’assetto politico, sull’organizzazione e il funzionamento di
un sistema giuridico, e sul modo in cui il diritto è, o deve essere, creato, applicato, studiato, perfezionato e
insegnato”.
L’obiettivo di questo corso è fornire gli strumenti per cogliere le differenze e le similitudini tra la civil law,
la tradizione giuridica continentale che affonda le sue origini nel diritto romano e che si estende per quasi
tutta l’Europa, nell’America centrale e meridionale, in molti Paesi dell’Asia e dell’Africa, e la common law,
che inizia il suo tragitto in Inghilterra nel 1066, per diffondersi anch’essa in molte parti del mondo, dagli
Stati Uniti al Canada, alla Australia e a molti Paesi dell’Africa e dell’Asia.
Si tratta in pratica, di offrire agli studenti i materiali per comprendere le due più antiche e diffuse tradizioni
giuridiche del mondo occidentale contemporaneo; le due tradizioni insomma il cui il giurista occidentale si
trova più spesso ad operare.
E’ pure bene aggiungere fin da ora che siamo d’accordo con l’esigenza, largamente diffusa, di evitare la
secca contrapposizione tra civil law e common law, e di considerarle come due aspetti di una medesima
grande tradizione giuridica occidentale, che non a caso è il titolo di questo manuale.
Riteniamo che le convergenze attuali tra le due tradizioni siano sempre più vistose e importanti.
Restano tuttavia, a nostro avviso, delle differenze importanti, che marcano in maniera abbastanza profonda i
due gruppi di ordinamenti.

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23. Il carattere relativo di ogni classificazione del diritto


E’ importante avere presente che ogni classificazione è inevitabilmente imperfetta e relativa, e quindi da
considerare nel suo valore strumentale, legato al fine che si propone e ad esso condizionata.
Ogni classificazione vale infatti con riferimento al momento storico in cui l’osservatore si colloca.
Inoltre, nella comparazione giuridica, nessuna classificazione può pretendere di inquadrare completamente
qualsiasi aspetto del diritto.
Per esempio, la dicotomia fondamentale tra civil law e common law, pur adatta a studiare e comprendere
diversità importanti con riferimento a molti aspetti del diritto, potrebbe risultare inadeguata e priva di
potenzialità esplicative con riferimento ad altri aspetti: ad esempio al diritto costituzionale.
Qui potrebbe essere più utile raggruppare i sistemi in modo diverso, basandosi per esempio sulla forma di
Stato o sulla presenza o meno del controllo giurisdizionale di costituzionalità delle leggi.

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24. Le classificazioni degli ordinamenti in famiglie giuridiche: P.


Arminjon, B. Nolde e M. Wolff
Alcuni dei più importanti tentativi di classificazione degli ordinamenti in famiglie giuridiche sono:

P. Arminjon, B. Nolde e M. Wolff propongono negli anni ’50 una suddivisione dei sistemi moderni di diritto
in base al loro contenuto intrinseco, indipendente quindi da fattori esterni come quelli geografici o razziali, e
individuano 7 famiglie di diritti:
i. gruppo francese, che deriva la sua autonomia dal Code Napoléon;
ii. gruppo tedesco, che raccoglie la tradizione dei codici civili austriaco (ABGB), tedesco (BGB) e svizzero
(ZGB);
iii. gruppo scandinavo, contrassegnato da proprie codificazioni e da significativi esperimenti di unificazione
regionale;
iv. gruppo inglese (e derivati), ove è preminente il diritto giurisprudenziale;
v. gruppo indù;
vi. gruppo islamico, ambedue fondati su antiche tradizioni religiose e culturali;
vii. gruppo russo (sovietico), traente la sua autonomia dal rilievo attribuito al governo dell’economia.

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25. Le classificazioni degli ordinamenti in famiglie giuridiche: Réne


David
Réne David sosteneva che i sistemi potevano essere raggruppati correttamente in famiglie solo in
considerazione del fattore ideologico e del fattore tecnico-giuridico, e procedeva ad una prima
classificazione così concepita:
i. sistema di diritto occidentale (a sua volta suddiviso in gruppo francese e anglo-americano);
ii. sistema di diritto sovietico;
iii. sistema di diritto musulmano;
iv. sistema di diritto indù;
v. sistema di diritto cinese.
Tuttavia, successivamente, David procede ad una revisione della classificazione originaria che conduce ad
una riduzione del numero delle famiglie a 4:
i. famiglia romano-germanica;
ii. famiglia di common law;
iii. famiglia dei diritti socialisti;
iv. sistemi filosofici o religiosi (diritto musulmano, indù, ebraico, diritto dell’estremo oriente, diritto
dell’Africa nera e del Madagascar).

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26. Le classificazioni degli ordinamenti in famiglie giuridiche: K.


Zweigert e H. Kötz
K. Zweigert e H. Kötz propongono quale criterio distintivo delle varie famiglie giuridiche l’idea di stile.
Lo stile è un termine convenzionale che racchiude elementi già considerati in varia misura da altri studiosi.
Tali elementi sono 5:
1. Evoluzione storica: elemento particolarmente evidente se guardiamo agli ordinamenti di common law,
che sono frutto di un cammino privo di interruzioni in cui il presente può essere spiegato e capito solo
attraverso il ricorso alla storia.
Per quanto riguarda i diritti continentali, è più corretto individuare due filoni distinti, quello francese e
quello tedesco: in quest’ultimo si è infatti sviluppata, nel XIX secolo, una tecnica giuridica formale che
adottava concetti giuridici della massima precisione, e che non ha mai ottenuto grande seguito in Francia, la
cui tradizione culturale era semmai più attenta agli aspetti politici e sociali.
2. Particolare mentalità giuridica: sia il diritto tedesco sia il diritto francese sono caratterizzati dalla tendenza
all’astrazione della norma giuridica.
In Inghilterra, il diritto ha origine nel foro, ha carattere casistica e i grandi protagonisti sono i giudici.
3. Istituti giuridici particolari: possono essere così caratteristici da concorrere ad attribuire un certo stile a un
sistema.
Nella common law sono peculiari istituti come il trust, o l’agency, o la consideration, il regime delle prove,
ecc…; mentre nella civil law sono tipici istituti quali il negozio giuridico, la causa, l’abuso del diritto o
l’arricchimento senza causa.
4. Fonti del diritto e metodi per la loro interpretazione: nelle varie famiglie giuridiche il rapporto tra le fonti
varia e diverse sono le regole di interpretazione.
L’esempio classico è quello del diverso valore del diritto giurisprudenziale delle famiglie di common law e
di civil law.
5. Ideologia: intesa come dottrina politico-economica, oppure come credenza religiosa incidente sul diritto.
In base allo “stile” dei vari sistemi, si ottiene la seguente classificazione:
i. sistema romanistica;
ii. sistema germanico;
iii. sistema anglo-americano;
iv. sistema scandinavo;
v. sistema dei paesi socialisti;
vi. ulteriori sistemi di diritto, in cui confluiscono sistemi tanto diversi tra loro come il diritto dell’estremo
oriente, il diritto islamico, il diritto indù.

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27. Le classificazioni degli ordinamenti in famiglie giuridiche:


Mattei e Monateri
Mattei e Monateri sostengono che le classificazioni tradizionali possono considerarsi superate perché non in
grado di cogliere le grandi linee della carta geografica di un mondo profondamente mutato, anche sul piano
giuridico.
E’ proposta dunque una classificazione che tiene conto di alcuni importanti mutamenti.
Il primo è dovuto al crollo dei regimi socialisti dell’Europa orientale; il secondo mutamento è invece legato
ai successi della medesima ideologia in Cina.
A questo evento può aggiungersi, come terzo fattore di ripensamento, l’accresciuta importanza e la
straordinaria evoluzione del diritto giapponese negli ultimi 30 anni.
In quarto luogo, l’accresciuta presa di coscienza del mondo islamico riguardo alle proprie peculiarità
culturali e giuridiche.
La raggiunta indipendenza di tutto il mondo africano costituisce l’ultimo cambiamento epocale.
Alla luce di questi mutamenti è proposta una classificazione che tiene conto di concezioni del diritto diverse
da quelle tipiche dell’occidente:
i. Famiglia caratterizzata dall’egemonia del diritto come modello di organizzazione sociale: è la tradizione
giuridica occidentale, in cui la distinzione tra civil law e common law si pone come una sotto-distinzione
all’interno di una famiglia dotata di un tasso notevole di omogeneità, quello fornito appunto dall’egemonia
professionale, ossia dalla separazione fra diritto e politica e dalla secolarizzazione del diritto, separazione fra
diritto e tradizione religiosa e/o filosofica.
Della famiglia fanno parte:
- sistemi di common law;
- sistemi di civil law;
- sistemi c.d. misti, ossia tutti i sistemi in cui nell’ambito delle microscelte il momento giuridico non
incontra una concorrenza notevole da parte di circuiti di organizzazione sociale alternativi.
ii. Famiglia caratterizzata dall’egemonia della politica come modello di organizzazione sociale: la famiglia
contiene tutti i sistemi in cui non c’è stato divorzio tra diritto e politica.
Comprende:
- molti Paesi ex-socialisti dell’Europa orientale;
- i Paesi in via di sviluppo, africani e latino-americani;

Il modello in questione è chiamato “diritto dello sviluppo e della transizione”, vedendo così nella
transitorietà un elemento caratterizzante fino a quando i Paesi da collocare in questa famiglia saranno protesi
verso un obiettivo politico al cui raggiungimento il cui diritto è funzionalizzato.
iii. Famiglia caratterizzata dall’egemonia della tradizione religiosa o filosofica come modello di
organizzazione sociale: comprende:
- Paesi musulmani;
- Paesi indù;
- Paesi dell’Estremo Oriente, a tradizione confuciana, buddista, taoista, ecc… (Cina e Giappone).

Si tratta di Paesi in cui c’è diritto e c’è politica, ma appare prevalente la presenza di regole strettamente

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religiose nei sistemi musulmani e di regole tradizionali a matrice filosofica nei sistemi del lontano oriente.
Caratteristiche comuni dei sistemi appartenenti a tale famiglia sono la prevalenza del principio gerarchico su
quello democratico e l’enfasi sui doveri piuttosto che sui diritti.
L’aspetto interessante della classificazione è il suo carattere dinamico, che risponde bene alle continue
evoluzioni politiche ed economiche delle società contemporanee.
Ciò significa che un ordinamento, o gruppo di ordinamenti, può muoversi lungo i lati di un ipotetico
triangolo, i cui vertici sono segnati da Tradizione, Politica, Diritto, mano a mano che l’evoluzione politica,
economica, sociale lo allontana da una famiglia e lo accosta all’altra.
Civil law e common law sono decisamente nell’orbita del Diritto; i Paesi post-socialisti sono più vicini al
vertice della Politica ma hanno iniziato la loro marcia di avvicinamento al Diritto; il diritto cinese si colloca
fra Tradizione e Politica; il diritto giapponese si trova tra Tradizione e Diritto; il diritto musulmano tra
Tradizione e Politica; il diritto indù tra Tradizione e Diritto.

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28. La crisi del diritto nei secoli VI-XI


La tradizione di civil law ha, fin dalle origini, il suo centro in Europa continentale.
Si può parlare di tradizione giuridica di civil law in senso proprio a partire dalla fine del XI secolo, inizi del
XII.
E’ in questo periodo, infatti, che vengono istituite le prime università, ed è in queste università che il diritto
viene riscoperto, insegnato e studiato come scienza.
Prima del XII secolo, il sistema giuridico europeo continentale si fonda essenzialmente sulle consuetudini.
Il diritto romano declina con la caduta dell’Impero romano.
Circolano compilazioni scritte di diritto romano e nel VI secolo si cominceranno a redigere anche
compilazioni di leggi barbariche, e il processo continuerà fino al XI secolo.
Tuttavia, tali compilazioni non rappresentano fedelmente il diritto applicato nell’Europa medievale, o perché
regolano settori marginali (leggi barbariche), o perché sono troppo complicate (leggi romane).
Di qui la sostituzione di un diritto c.d. volgare, cioè spontaneamente applicato dalle popolazioni.
In sostanza il diritto perde la sua funzione e la sua importanza in una società in cui i processi si risolvono
mediante il ricorso a un sistema di prove irrazionali e le sentenze mancano della forza per essere eseguite.
La concezione di una società garante di diritti è ancora lontana.
Domina piuttosto l’ideale cristiano, fondato sulle idee di fratellanza e carità.
Il contesto in cui inizierà a formarsi la tradizione di civil law si caratterizza quindi per la sua fisionomia
disorganica, e lo stato di arretratezza in cui versa il diritto.
Tale contesto è il prodotto anche, e naturalmente, delle condizioni politiche, economiche e sociali
dominanti.
A livello politico, manca un’autorità centrale forte; la società e l’economia sono agricole, chiuse,
autosufficienti, poco inclini ai traffici e agli scambi.

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29. Il rinascimento giuridico: dopo l'anno 1000


Il periodo del rinascimento giuridico si inserisce in un’età, all’indomani dell’anno 1000, che è di profondo
rinnovamento in tutti i campi, ed è legato al rifiorire delle città e dei commerci.
Solo il diritto, e non più gli ideali cristiani, si mostrano in grado di assicurare l’ordine e la sicurezza di cui il
progresso ha bisogno.
Rinascimento giuridico vuol dire essenzialmente rinascimento dello studio del diritto romano:
Quale diritto romano?
Il diritto romano che si studia è il diritto del Corpus Juris Civilis, voluto da Giustiniano e pubblicato nella
prima metà del VI secolo, che sostituì tutto il diritto precedente.
Il Corpus Juris Civilis si articola in quattro parti:
a. Codex, che è una raccolta dei decreti imperiali;
b. Digesta, di gran lunga la parte più importante e più usata, che è una raccolta delle opinioni di 39
giureconsulti su una grande varietà di materie;
c. Institutiones, articolate in tre parti (personae, res, actiones), è un testo introduttivo al diritto, ma dotato di
valore normativo;
d. Novellae, ossia gli atti normativi promulgati dopo la pubblicazione del Corpus Juris Civilis.
La codificazione giustinianea si propone, allo stesso modo in cui si proporranno i grandi codici
ottocenteschi, come una rottura con il passato: tutto il diritto preesistente è spazzato via.
Il giurista di civil law (ri)nasce come interprete di un testo autorevole: il giurista è tale perché studioso di un
testo, non perché si interessa dei conflitti da risolvere.
Infine, fin dalla compilazione giustinianea, la tradizione di civil law ha nella dottrina il suo fulcro principale,
come testimonia l’attribuzione di forza di legge alle opinioni dei giureconsulti e alle Institutiones.
Perché il diritto romano?
La considerazione di partenza, per rispondere a tale quesito, è che per superare i diritti locali, e per
rispondere così ai bisogni concreti di una società sempre più mobile e aperta, il diritto viene concepito e
insegnato nelle università come modello di organizzazione sociale.
L’importante è trovare le regole giuste, e insegnarle in modo da diffondere di nuovo l’ideale di una società
fondata sul diritto.
In secondo luogo, il diritto romano è dotato di un grande prestigio, è un diritto ricco e raffinato, accessibile
perché conservato in un’unica grande opera, nella lingua custodita dalla Chiesa, il latino, collegato all’idea
di una civiltà luminosa.
Infine, il diritto romano è strettamente collegato con l’ideologia imperiale: il diritto romano è valido perché
deriva da una manifestazione di volontà dell’imperatore, è uno strumento della sua autorità.
L’epoca di cui si discorre è quella in cui la società tende a trovare nel Sacro Romano Impero una base
unitaria del proprio regime politico.

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30. Il rinascimento giuridico: il ruolo delle università


Si è anticipato più volte che il rinascimento giuridico è legato all’insegnamento che si impartisce nelle
università.
Come funziona l’università medievale?
Gli studenti si riunivano ed ingaggiavano un insegnante che spiegasse loro il testo, per un anno.
In particolare, emerse a Bologna un professore, chiamato Irnerio, intorno al quale si raccolsero studenti da
ogni parte d’Europa, e a lui si unirono mano a mano altri docenti.
Verso il 1150 si calcola che a Bologna vi fossero circa 2000 studenti di diritto.
Infine, questi si unirono in due gruppi più ampi, o ghilde, quello degli “ultramontani” (studenti provenienti
dal nord delle Alpi) e quello dei “citramontani” (studenti provenienti dal sud delle Alpi).
Ognuno dei due gruppi era organizzato come una associazione con personalità giuridica.
I docenti erano pagati direttamente dagli studenti nelle rispettive classi.
Dal canto loro, i professori costituirono la propria associazione, il Collegium Doctorum, che aveva il diritto
di esaminare e ammettere i candidati al dottorato e di imporre le relative tasse.
Dato che il dottorato legittimava all’insegnamento, i professori si riservavano il diritto di ammettere i dottori
nella propria corporazione.
Ma questo era tutto il potere che avevano.
All’inizio, dunque, e finché non caddero sotto il controllo della Chiesa, le università furono istituzioni libere,
centri di cultura autonomi.
La struttura di Bologna fu esportata dai suoi ex studenti, divenuti dottori, in molte altre università che
fiorirono in tutta Europa nel XII e nel XIII secolo.

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31. Le scuole di giuristi fiorite nelle università


Le grandi scuole di giuristi che hanno contribuito in maniera determinante alla rinascita e alla diffusione del
diritto romano sono state quella dei glossatori, quella dei canonisti, quella dei commentatori e quella degli
umanisti, ciascuna contrassegnata da un metodo e da un approccio al diritto, ma anche da una propria
visione socio-politica.

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32. Le scuole di giuristi: i Glossatori


Glossa significa “annotazione a un testo biblico o giuridico”, ma la glossa non è soltanto un’opera di
chiarificazione del testo, svolta con la preoccupazione di restare fedeli al valore dei verba.
L’esegesi analitica dei glossatori fu sempre animata da spirito di sintesi.
I singoli passi del Corpus Juris Civilis furono sempre considerati nei loro reciproci rapporti, e pertanto in
riferimento al complesso del sistema giuridico.
I giuristi bolognesi ebbero sempre viva l’idea del diritto come complesso unitario e armonico.
La concezione autoritaria del diritto romano da cui partono i glossatori rende il loro atteggiamento simile a
quello che il teologo ha di fronte alle scritture, con tutti i limiti necessariamente imposti allo sviluppo libero
e creativo della ragione.
L’opera dei glossatori raggiunge il suo culmine alla metà del XIII secolo, con la Magna Glossa,
comprendente circa 96000 glosse, opera di semplificazione e punto di arrivo della presa di coscienza da
parte dei glossatori dell’importanza dei problemi dell’applicazione concreta del diritto romano.
Quel che tuttavia accade con la Magna Glossa, che determina anche la crisi del metodo dei glossatori, è che
essa stessa, e non più il Corpus Juris Civilis, diviene il fulcro di ogni insegnamento.

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33. Le scuole di giuristi: i canonisti


Nel panorama medievale spicca l’importanza della Chiesa, custode vigile della tradizione e della cultura che
provengono dal mondo romano.
La Chiesa si presenta come un’istituzione fortemente gerarchica, dotata precocemente di un organizzazione
centralizzata ed efficiente.
E’ in questo contesto che si sviluppa, parallelamente all’opera dei glossatori, quella dei canonisti, che si
segnalano per un lavoro di riorganizzazione delle fonti canoniche.
Fra il 1139 e il 1142, Graziano da Chiusi pubblicò il Decretum Magistri Gratiani, la prima compiuta
consolidazione de diritto della Chiesa.
Il Decretum costituisce la base del diritto canonico rimasta praticamente in vigore fino all’emanazione del
primo Codex Juris Canonici nel 1917.
Deve tuttavia essere sottolineato il contributo che il diritto della Chiesa dette alla costruzione dello jus
commune.
Infatti, l’organizzazione capillare della Chiesa favorì una rapida diffusione del diritto canonico.
Particolarmente significativo, infine, è il contributo dei canonisti alla costruzione del processo, di cui i
civilisti poco si interessano.
La definizione delle liti, l’esercizio della giurisdizione era da un lato compito dei pratici, dall’altro era
prerogativa del potere politico.
La Chiesa si fece promotrice della lotta contro le ordalie, e regolò in maniera assai rigorosa il procedimento
di accertamento dei fatti: un processo caratterizzato da scrittura, segretezza, inquisitorietà e lontananza dei
giudici dal fatto.
E’ quello della Chiesa il processo che diventa tipico in tutto il continente europeo, oltre che delle
giurisdizioni ecclesiastiche, e funge da veicolo per la diffusione dello jus commune.

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34. Le scuole di giuristi: i commentatori


Con la scuola dei commentatori, l’approccio al diritto romano muta.
Mentre la glossa è una chiarificazione dei testi, preoccupata di restare aderente ai verba, la scuola del
commento è soprattutto diretta a mettere in luce il sensus, il significato razionale, il principio giuridico
racchiuso nel testo, e a richiamare l’attenzione sulla pratica del diritto
Con il tramonto dell’Impero e la nascita di nuovi modelli di organizzazione politica, la cultura giuridica
tende a liberarsi della soggezione alla romanità imperiale.
La novità dei commentatori è lo spirito di libertà, di critica, di indipendenza di fronte all’opinione della
glossa e, in generale, al valore dell’autorità.
Non è un caso, visto quello che si è appena detto, che uno dei grandi centri di fioritura del commento sia la
Francia.
Del resto, anche in Italia sono le mutate condizioni politiche, l’emergere degli Stati particolari e degli jura
propria che nascono, a far sentire un’esigenza di libertà nella scienza giuridica.
Il rapporto tra diritto romano e jura propria è, nel commento, ribaltato e non poteva essere altrimenti: al
primo viene ora attribuito carattere sussidiario.
I commentatori studiano lo jus proprium cercando di coordinarlo e contrapporlo al diritto romano, che viene
considerato come un complesso mirabile di principi giuridici da adattare alle esigenze che sorgevano come
fondamento solido per la costruzione di un diritto nuovo.
L’autorità dei maestri è tale che spesso le communis opinio dovevano essere seguite in assenza di disciplina
di legge.

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35. Le scuole di giuristi: gli umanisti


La scuola degli umanisti espresse la reazione all’appiattimento provocato dalla communis opinio.
Sorta in Francia nel XVI secolo, si diffonde in realtà in tutta Europa.
Allo studio del diritto romano, a fini pratici, gli umanisti oppongono un diverso approccio.
Loro obiettivo è di restituire al diritto romano la sua portata autentica e il senso originale; sistemare il diritto
romano così ricostruito per estrarne lo spirito e la filosofia; recuperare la originale eleganza linguistica.
Anche i giuristi tedeschi dei secoli XVI-XVIII subirono l’influenza degli umanisti.

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36. Lex mercatoria


Nel corso dei secoli in cui si susseguono le scuole dei giuristi che si dedicano allo studio e alla diffusione del
diritto romano e in cui fiorisce il diritto canonico, si sviluppa un atro sistema giuridico: quello della
comunità dei mercanti.
Nei grandi centri mercantili italiani dell’epoca, le corporazioni dei mercanti gettano le basi di un sistema di
diritto commerciale terrestre e marittimo destinato a costituire un’altra componente essenziale della
tradizione giuridica occidentale.
La lex mercatoria, nata come diritto di una comunità particolare, diviene ben presto un diritto commerciale
comune a tutta l’Europa.

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37. Il fenomeno della recezione del diritto


L’insegnamento universitario ha corso il rischio di restare, ma non è mai restato, esclusivamente
accademico.
In qualche modo, il modello che le università proponevano è diventato positivo: non si è infatti proposto, o
imposto, un modello nuovo (come è avvenuto ad esempio in Inghilterra).
Un avvenimento importante fu il IV Concilio Laterano (1215) che vietò ai chierici di partecipare ai processi
in cui si faceva ricorso al soprannaturale.
La conseguenza fu una nuova procedura, mutuata dal modello canonico, più razionale, più complessa e
scritta, cioè un ritorno all’idea di diritto anche nel campo della procedura.
L’amministrazione della giustizia si tecnicizzò, divenne compito esclusivo di giuristi colti, formati nelle
università, e quindi nello studio del diritto romano.
In tal modo, il diritto impegnato nelle università cominciò ad esercitare una notevole influenza sulla pratica
del diritto.
Il diritto romano non viene mai imposto, ma i giuristi, utilizzando le distinzioni e i concetti del diritto
romano, che essi propongono come diritto migliore, più facilmente accessibile e conoscibile, sicuramente
hanno una forte autorità persuasiva.
Il diritto romano viene recepito come idea, non come vero e proprio diritto uniforme.
D’altra parte, se guardiamo alle varie fonti, alle consuetudini, alla legge, alla giurisprudenza, vediamo che la
loro condizione contribuisce in ogni caso a favorire la recezione, la diffusione del diritto romano studiato
nelle università.

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38. Le consuetudini e il loro ruolo nella diffusione del diritto


romano
Le consuetudini preesistenti alla rinascita del diritto crollano perché tipiche di una società e di una economia
chiuse, variano da borgo a borgo, sono troppo difficili da conoscersi e provarsi.
Infatti possono sperare di resistere di fronte all’influenza e ai vantaggi del diritto romano solo se raccolte in
grandi compilazioni che le rendano più facilmente accessibili e conoscibili.
E’ il caso del celebre “specchio sassone” (tedesco).
Se poi le compilazioni, anziché limitarsi a raccogliere e sistemare le vecchie consuetudini cercano di
presentare un sistema giuridico completo, allora i compilatori compiono un’opera creatrice e armonizzatrice
dei particolarismi locali che di fatto implica ricorso al diritto romano come ratio scritta.
E’ il caso, ad esempio, delle c.d. Siete Partidas (spagnolo).
Questo delle grandi compilazioni delle consuetudini, è uno dei fattori decisivi per la vasta recezione del
diritto romano in tutta Europa, compresa la Francia.
Nonostante la diffidenza del re nei confronti del diritto romano, la Francia è sede importante delle scuole del
commento e degli umanisti, due dei movimenti più ricchi per lo studio e la diffusione del diritto romano.

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39. La legislazione e il suo ruolo nella diffusione del diritto romano


Nel contesto medievale, la legislazione svolge un ruolo modesto, non tocca che raramente il diritto privato,
concentrandosi soprattutto sul diritto pubblico, sul diritto dell’amministrazione e sul diritto penale.
Il diritto romano è la risposta più immediata e più valida per la regolamentazione dei rapporti privati.

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40. La giurisprudenza e il suo ruolo nella diffusione del diritto


romano
Anche la giurisprudenza svolge in Europa un ruolo secondario che favorisce la recezione del diritto romano:
Germania
In Germania l’influenza del diritto romano fu molto più profonda che in altri Paesi europei.
La ragione è da ricercarsi nella situazione politica: la disgregazione dell’Impero che porta a un lungo
periodo di frammentazione degli ordinamento politici.
Il feudalesimo germanico è diverso dal feudalesimo inglese o francese, controllati da un potere regio più o
meno forte.
La frammentazione portò indubbiamente a favorire la recezione del diritto romano.
Non vi era infatti un diritto privato comune tedesco.
La Germania medievale non ha organi centrali giudiziari e politico-amministrativi che possano gettare le
fondamenta di un diritto tedesco unificando le fonti locali.
Pertanto la giurisprudenza può aver avuto una certa importanza a livello locale, ma non a livello nazionale:
di qui la naturale e totale romanizzazione del diritto privato tedesco e l’impossibilità di parlare di un
Deutsches Privatrecht, cui contribuisce non poco anche la prassi della richiesta di pareri che i giudici
rivolgono alle università in casi dubbi che saranno evidentemente risolti alla luce del diritto romano.
Paesi latini
Anche qui la giurisprudenza è debole, anche qui la recezione è pressoché totale.
Bisogna attendere il XVIII secolo perché in Savoia, a Napoli e nella penisola iberica i giudici siano liberi
dall’obbligo di seguire la communis opinio doctorum.
In sostanza, c’è nell’Europa medievale una giurisprudenza debole che non è in grado di resistere
all’influenza del diritto romano.
L’eccezione è ancora una volta, e non casualmente, la Francia: il primo Stato moderno del continente
europeo.
In certi settori grande è l’influenza del diritto romano, ma il vero diritto comune è dato proprio dalla
giurisprudenza dei parlamenti raccolta in repertori.

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41. Premesse storiche della codificazione del diritto


Da quanto si è detto, emerge che il diritto romano esercita una notevole influenza, particolarmente marcata
in Germania e nei Paesi latini, ma non si sostituisce mai alle varie fonti locali del diritto, come al contrario
avvenne per la common law che, come vedremo, schiacciò inesorabilmente i particolarismi locali e costruì
sentenza dopo sentenza un diritto uniforme per tutta l’Inghilterra.
Ciò che quindi caratterizza l’organizzazione giuridica dell’Europa continentale fino alla rivoluzione francese
è la permanenza di una molteplicità di fonti giuridiche.
La caratteristica più saliente di questo periodo, nonostante la forza di penetrazione del diritto romano, è il
particolarismo giuridico, con quel che ne segue in termini di confusione e contraddittorietà delle norme.

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42. Crisi dell’assetto medievale del diritto


In sostanza si apre un panorama di crisi dell’assetto medievale che ha un duplice volto, coinvolgendo tanto
la tradizione metodologico-scientifica quanto la situazione politico-sociale medievale:

a. Crisi dei metodi scientifici tradizionali

La scienza giuridica tradizionale che era stata lo strumento fondamentale per l’evoluzione del diritto
comune, risente della crisi del sistema normativo: non ha più a forza di fornire risposte certe e non riesce più
ad adattare l’ordinamento alle mutate circostanze.

b. Crisi della situazione politico-sociale tipica del medioevo

Quello che emerge è la tendenza verso una nuova forma di governo assoluto, livellatore di particolarismi,
accentrato.
Obiettivo particolare della politica assolutistica è il processo di semplificazione delle fonti normative e
l’autoritaria riconduzione allo Stato (ossia al Sovrano) dell’intera attività di produzione e applicazione del
diritto.
Gli strumenti per raggiungere l’obiettivo sono il potenziamento della legislazione e il controllo
dell’amministrazione della giustizia esercitato per delega del Sovrano.
In sostanza, si toglie potere ai giuristi in nome della certezza del diritto, ma quale certezza?
Quella del diritto preesistente: cioè si persegue la semplificazione e la razionalizzazione entro i limiti delle
fonti in vigore.
Il Sovrano, nella concezione medievale, non ritiene di poter riformare il diritto privato secondo la sua
volontà; tuttavia, egli vede nell’opera di riorganizzazione delle fonti in vigore uno dei mezzi per consolidare
il suo potere e per impedire che i giudici violino il suo comando.
Si ricorda in proposito che i codici settecenteschi contengono una sorta di divieto di interpretazione creativa.

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43. Assolutismo e crisi del diritto medievale: il caso della Francia


L’esempio tipico della crisi e del mutamento è dato dalla Francia che, fin dal XVI secolo è il primo Stato in
cui emergono: la tendenza a limitare le autonomie e i poteri dei nobili; la tendenza a costruire uno Stato
centralizzato con un corpo di leggi unico per tutto il territorio nazionale; la critica verso la scienza giuridica
medievale formulata dalla scuola degli umanisti, e l’idea che il diritto romano comune non può essere
considerato eterno, ma appartiene ad una fase e ad un ambiente determinati della civiltà giuridica che sono
ormai finiti (ci si può servire, se del caso, del diritto romano per estrarne la filosofia e lo spirito);
l’esaltazione del diritto come fenomeno nazionale più aderente alle caratteristiche dei popoli e dei luoghi.
A tutto ciò si aggiunge, da un lato, l’affermazione di un ceto potente di giuristi pratici, soprattutto intorno al
Parlamento di Parigi, che appare estremamente sensibile ai richiami di un diritto nazionale; dall’altro, la
fioritura di una nuova grande scuola di pensiero: la scuola del diritto naturale.

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44. Crisi del diritto medievale: rivoluzione francese,


giusnaturalismo e razionalismo
Uno dei tratti caratterizzanti del giusnaturalismo è il soggettivismo, in contrapposizione all’oggettivismo
medievale: prima si diceva che il diritto naturale era una realtà oggettiva anteriore ed estranea al soggetto,
che riceve da tale realtà le norme del proprio agire, norme inserite in un ordine universale esterno
all’individuo e non poste dal suo intelletto; i soggettivisti invece sostengono che il diritto naturale è norma
umana posta dall’attività del soggetto, sganciata da ogni presupposto oggettivo (specialmente di ordine
teologico) e manifestantesi nella ragione.
Connotati fondamentali del giusnaturalismo sono la concezione laica del diritto che ha per fonte la ragione;
la teoria per cui il sovrano non ha un potere illimitato, ma è un legislatore in grado di dichiarare e riformare
il diritto conformemente a legge di natura; il ruolo centrale dell’individuo e del principio di uguaglianza fra
individui; la funzione garantista dello Stato.
La rivoluzione, quindi, non è solo il fatto traumatico a tutti noto, non è solo la presa della Bastiglia, ma è un
movimento che ha alle sue spalle nuove forze intellettuali, nuovi modi di concepire l’uomo, la società,
l’economia, lo Stato.
Schematicamente esse sono: l’appena ricordato giusnaturalismo; la dottrina della separazione dei poteri, che
esprimerà anche un profondo e duraturo senso di diffidenza nei confronti del potere dei giudici; il
razionalismo, e la sua fede nella capacità della ragione di produrre nuove regole, che sono l’antitesi del
particolarismo giuridico; il liberalismo, centrato sui concetti dominanti di proprietà e di contratto e sulla
reazione contro la società dei privilegi; lo statualismo, che vede Stato e individuo padroni assoluti della
scena sociale e giuridica; il nazionalismo, che vede nel sistema giuridico l’espressione di idee nazionali e
dell’unità della cultura nazionale.

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45. Le codificazioni civilistiche del XIX secolo


In questa sezione ci occuperemo delle grandi codificazioni civilistiche che percorrono tutto il secolo XIX.
Cominceremo dal Code Civil des Français, l’archetipo delle codificazioni che più compiutamente riassume i
contenuti della “Rivoluzione”; passeremo poi ai codici dei paesi tedeschi, da quelli di Prussia del 1794 e di
Austria del 1811, ancora figli dell’assolutismo illuminato, a quello tedesco del 1900, figlio di un grande
dibattito dottrinale, per chiudere la nostra rassegna con l’esame delle due codificazioni italiane.
Ci limiteremo a parlare delle codificazioni privatistiche.

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46. Il Code Civil des Français del 1984


Non è solo il fulcro del diritto civile francese e il teso cui ogni giurista fa costante riferimento, ma
rappresenta anche il modello delle codificazioni privatistiche dei sistemi a base romanistica.
Il Code Civil può definirsi il primo vero codice dell’età moderna.
Il Code Civil rappresenta una svolta non solo perché riformula i rapporti civili, ma anche perché assume il
modello garantistico a guida di una coerente organizzazione del diritto.
Esso segna il trionfo dei gruppi borghesi usciti vittoriosi dalla rivoluzione.
Il codice garantisce la libertà di agire in senso economico, così come le costituzioni garantiscono le libertà
politiche dei cittadini nei loro rapporti con lo Stato.

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47. Le origini storiche del Code Civil


Il Code Civil “vuol essere un atto di rottura con il passato” e una proiezione verso il futuro.
Esso contribuisce a ridurre la preesistente complessità.
Con il codice il diritto non proviene più dal basso, ma si pone dall’alto e si consuma, inoltre, il passaggio
dalla extrastatualità del diritto al diritto nazionale.
La legge diventa l’unica fonte capace di esprimere la volontà generale e il Principe esprime con la legge lo
spirito della nazione; attraverso il principio della separazione dei poteri avviene la monopolizzazione del
potere legislativo da parte dello Stato borghese.
Insomma, il Code Civil, tende presuntuosamente verso tre direzioni: unità, completezza ed esclusività.
Il Code Civil non è solo la conseguenza degli eventi rivoluzionari del 1789 e della volontà di Napoleone.
Alle sue spalle ci sono secoli di storia che culminano nella rivoluzione, intesa anche come complesso di
nuove forze intellettuali, nuovi modi di concepire l’uomo, la società, l’economia, lo Stato.
Alle sue spalle, c’è un Paese in cui fin dal 1454 si sente l’esigenza di creare un diritto consuetudinario
francese comune attraverso la redazione delle consuetudini.
Non mancarono tentativi di unificare il diritto, che tuttavia non riuscirono a raggiungere compiutamente lo
scopo se è vero che alla vigilia della rivoluzione erano ancora in vigore 60 Coutumes Générales e 300
Coutumes Locales.
Una dottrina dotata di grande prestigio coltivò a lungo l’idea di un’unità di fondo del diritto francese,
rendendo così possibile l’opera di codificazione.
Due sono i nomi di particolare importanza: Domat (1625-1696) e Poithier (1699-1772); il primo fu un
grande sistematico e riordinò il diritto romano secondo i bisogni del tempo e alla luce delle nuove idee
giusnaturalistiche; il secondo, maestro sia del diritto romano sia del diritto consuetudinario, esercitò una
grande influenza sui redattori del Code Civil.

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48. La Rivoluzione francese e il droit intermédiaire


Tra la prima riunione dell’assemblea nazionale (1789) e la presa del potere da parte di Napoleone (1799), si
impose in Francia un diritto rivoluzionario, noto con l’espressione diritto intermedio (droit intermédiaire),
che sovvertì nel volgere di pochi anni l’Ancien Régime, sostituendovi la concezione di una società
illuminata centrata sull’individuo e sullo Stato.
Vennero dunque aboliti i rapporti che legavano il re ai nobili, al clero e ai giudici; la divisione territoriale in
province; il regime fondiario feudale; l’ordine giudiziario; il sistema fiscale; il regime ereditario.
Al tempo stesso, fu dato impulso alla codificazione che l’assemblea costituente aveva fra i suoi espliciti
obiettivi.
Un primo progetto di codice fu predisposto da Cambacérès nel 1793, in 697 articoli, ma fu respinto perché
troppo complesso; un secondo nel 1794, in 297 articoli, fu anch’esso respinto perché troppo sintetico; un
terzo progetto fu infine ripresentato da Cambacérès nel 1796, ma le discussioni su di esso furono interrotte
dalla presa del potere da parte di Napoleone nel 1799.

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49. L’impulso di Napoleone alla codificazione del Code Civil


Fu da allora che le vicende relative al codice presero un corso rapido.
Era un impegno che Napoleone aveva particolarmente a cuore: egli nominò subito una nuova Commissione
che in soli 4 mesi terminò i lavori.
La Commissione era composta da 4 membri: due erano rappresentanti dei Paesi del nord, a prevalenza di
diritto consuetudinario; due erano anche i rappresentanti dei Paesi del sud, a prevalenza di diritto scritto.
Il progetto predisposto dalla Commissione insediata da Napoleone doveva essere approvato da vari organi,
fra i quali il Tribunato, dove ancora sedevano alcuni oppositori di Napoleone.
Il Tribunato, infatti, manifestò subito la sua ostilità, rifiutandosi di approvare le prime sezioni del codice e
costringendo Napoleone a ritirare il progetto.
Quando Napoleone chiese di nuovo l’approvazione nel 1803, dopo aver rinnovato la composizione del
Tribunato, il progetto fu approvato senza alcuna resistenza, con 36 atti normativi poi riuniti in una legge del
1804 sotto il nome di “Code Civil des Français”, che entrò in vigore il 1°Gennaio 1806.
Esso riflette l’esistenza di 3 condizioni fondamentali: un potere politico deciso a volere la codificazione; una
scelta rivolta a favore di regole d’insieme di largo respiro a carattere non casistico, non frammentario, non
provvisorio; una matura elaborazione di queste regole di insieme ad opera di una dottrina affiatata e
prestigiosa.

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50. Stile e struttura del Code Civil


Di queste condizioni risentono beneficamente lo stile e la struttura del codice.
Per quanto riguarda lo stile letterario del codice, che ha contribuito in maniera decisiva al suo successo e alla
sua circolazione, esso è redatto in modo semplice ed elegante, per poter essere compreso anche dal suo
giurista.
Caratteristica di un certo stile è anche il modo in cui la norma è formulata.
Il codice, con le sue “regole d’insieme di largo respiro”, si colloca a metà strada tra i principi generali e le
regole casistiche, di dettaglio, che lascia a “leggi speciali o atti amministrativi generali”.
Per quanto riguarda la struttura, il Code Civil si compone di 2281 articoli, distribuiti in un titolo introduttivo
e 3 libri, rispettivamente dedicati alle “persone”, ai “beni e alle varie modifiche della proprietà”, ai “diversi
modi di acquisto della proprietà”.

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51. Titolo introduttivo del Code Civil


Si compone di soli 6 articoli e contiene un paio di norme sulle quali è bene soffermare la nostra attenzione.
L’art. 5 vieta al giudice di disporre in via generale e regolamentare, cioè vieta al giudice, in ossequio al
principio della separazione dei poteri, di seguire la prassi sviluppata dai Parlements pre-rivoluzionari che
partecipavano al governo del regno.
In altre parole, l’art. 5 vieta al giudice di sostituirsi al legislatore emanando regole generali di condotta, e
vieta dunque anche di risolvere controversie sulla base di decisioni precedenti che altrimenti uscirebbero
convertite, da questo procedimento, in regole generali di condotta.
Nell’art. 4 i redattori del codice, però, prendono anche atto che il codice non può essere completo e
autosufficiente.
Il giudice francese deve sapersi muovere nelle regole poste dal legislatore e deve sempre decidere la
controversia.
Nel codice non troviamo una specifica indicazione dei criteri che devono essere seguiti nel ricercare la
soluzione concreta; viene tuttavia ritenuto pacifico che il giudice si avvalga dei canoni, peraltro ben noti alla
tradizione giuridica francese, dell’interpretazione letterale, logica, analogica e teleologica.

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52. I tre libri del Code Civil


Primo libro del Code Civil: “Des personnes”
Di questo libro si segnala l’art. 8, secondo il quale titolare dei diritti civili è qualsiasi cittadino francese, a
sottolineare il forte carattere nazionale della codificazione.
La riflessione ulteriore che il primo libro del codice provoca è quella sulla centralità dell’individuo: fra
questo e lo Stato, che esce dalla “Rivoluzione”, non c’è posto per gruppi intermedi significativi a parte la
famiglia.

Secondo libro del Code Civil: “Des biens et des différentes modifications de la propriété”
Questo libro ruota attorno all’affermazione del dogma della proprietà, definita come “diritto di godere e
disporre della cosa nella maniera la più assoluta”.
Della centralità della proprietà è traccia anche nella previsione di diritti reali in numero chiuso, a fronte della
tendenza alla frammentazione tipica del regime feudale.

Terzo libro del Code Civil: “Des différents manières dont on acquiert la propriété”
Questo libro contiene la disciplina di una serie assai poso omogenea di istituti, tutti funzionalmente collegati
dal fatto che si tratterebbe di differenti modi di acquisizione della proprietà.
Al centro del libro è collocato l’altro pilastro dell’individualismo e della libertà di agire in senso economico:
il dogma del volere, come è stato chiamato, che si esprime nella libertà contrattuale.
Il codice Napoleone costituisce una sintesi fra esperienza giuridica del nord della Francia, a base
consuetudinaria, e quella del sud, a base romanistica: ciò facendo finisce per dare più spazio a elementi di
origine germanistica, di quanto non faccia il codice civile tedesco, che seguì la tradizione romanistica molto
più fedelmente

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53. Il processo di adeguamento nel tempo del Code Civil


Dalla struttura del codice, emerge chiaramente che esso è l’archetipo dei codici borghesi emanati nel corso
del XIX secolo, e in quanto tale, riflette la struttura economica e sociale del suo tempo.
Per esempio, manca un inquadramento giuridico del rapporto di lavoro, e il diritto di famiglia ruota intorno
alla figura del marito/padre.
Eppure, questo codice ha da poco compiuto il secondo secolo di vigenza.
Sorge in maniera piuttosto naturale una domanda: come può sopravvivere un codice entrato in vigore due
secoli fa?
Preliminarmente, si deve considerare che il Code Civil è un monumento della cultura giuridica francese e
forse, più in generale, della cultura francese.
Qualche tentativo di affrontare organicamente la riforma è stato fatto, ma è fallito.

Naturalmente, molti sono stati gli interventi adeguatori del legislatore, della giurisprudenza e della dottrina:
a. Legislatore: il diritto di famiglia è stato interamente e profondamente riformato per rispondere alle
esigenze dal riconosciuto nuovo ruolo della donna nella società.
Anche in materia di diritto dei contratti è intervenuto il legislatore limitando sempre più l’autonomia
contrattuale, sì “da non potersi più parlare di libertà di contrarre e di autonomia contrattuale, così come le
avevano intese i redattori del Code” e prevedendo una tutela rafforzata per il contraente debole, lavoratore,
conduttore, consumatore.
b. Giurisprudenza: ha contribuito in modo notevole ad adeguare le norme del Code Civil alle nuove esigenze
attraverso una interpretazione evolutiva favorita dal particolare livello semantico di alcune disposizioni del
codice.
Ad esempio le norme sulla responsabilità extracontrattuale hanno subito, dal 1804, solo modifiche
insignificanti.
La facciata del Code è dunque rimasta quella che era, ma il diritto della responsabilità opera nella prassi in
modo profondamente diverso.
A fronte della timidezza del legislatore, troviamo una giurisprudenza “creativa”, che sfrutta gli spazi lasciati
aperti dal legislatore e supera il criterio tradizionale della colpa, estendendo via via le ipotesi di
responsabilità senza colpa al settore degli infortuni sul lavoro a quello dell’esercizio di attività pericolose, a
quello dei danni da prodotto.
c. Dottrina: anche la dottrina ha contribuito in maniera crescente all’adeguamento del codice.

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54. La scuola giuridica dell’exégèse

Nei primi decenni successivi alla sua entrata in vigore, la dottrina visse un periodo poco fertile in cui si
limitò ad effettuare una esegesi grammaticale e logica del testo legislativo.
Il principio di divisione dei poteri, nonché l’annientamento del prestigio dei giuristi ad opera della
rivoluzione, portarono in Francia alla condanna di ogni attività creativa dell’interprete, e all’idea del
monopolio del legislatore.
La scuola che domina lungo tutto il XIX secolo è appunto la scuola c.d. dell’exégèse.
Questo quadro muta, tuttavia, verso la fine del XIX secolo in quanto l’esegesi non è più in grado di fornire
ai giudici gli strumenti sufficienti a far evolvere il Code, ormai troppo ancorato a principi superati.
Si approda così alla scuola c.d. della libera ricerca scientifica e si favorisce, dunque, un’interpretazione che
tenga conto delle esigenze di una società in continua trasformazione.

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55. La diffusione del modello del Code Civil


Come è noto, le armate napoleoniche, ma anche il suo valore intrinseco, hanno favorito una larghissima
circolazione del modello Code Civil.
A parte il cammino autonomo seguito da Austria e Svizzera, molti Paesi europei ed extra-europei seguono,
nel corso del XIX secolo, il modello francese.
Il Belgio, indipendente dal 1830, ha mantenuto in vigore il Code Civil, fatto peraltro oggetto di interventi
legislativi di riforma, e talvolta di interpretazioni giurisprudenziali anche molto diverse da quelle francesi.
Il “Burgerlijk Wetboek” olandese del 1838, che resta in vigore fino alla promulgazione dei vari libri del
nuovo codice fra il 1970 e il 1992, è basato sul modello francese, di cui spesso si limita a tradurre le
disposizioni.
Quando l’Italia codifica, raggiunta l’unificazione politica, il modello cui fortemente si ispira il codice del
1865 è, ancora una volta, quello francese.
Il Còdigo Civil spagnolo del 1889, tuttora in vigore, si basa essenzialmente sul codice francese.
Il Portogallo, a sua volta, passa da un codice civile di matrice francese a quello introdotto esattamente un
secolo dopo, nel 1967, che è invece debitore nei confronti del codice civile tedesco.
Per la sua chiarezza, e per il suo collegamento con l’ideologia della rivoluzione, il codice napoleonico
esercita una grande influenza sui Paesi del centro e del sud America nel momenti in cui, nei primi decenni
del XIX secolo, questi si sottraggono al dominio spagnolo.
Forti legami con la tradizione francese mantengono curiosamente due territori, Louisiana e Québec, immersi
in Stati federali, gli USA e il Canada, solidamente appartenenti alla tradizione di common law.
La Francia è stata, come è noto, una grande potenza coloniale: l’influenza della tradizione giuridica e del
codice francese è perciò visibile, in varie gradazioni, in molti Stati africani e asiatici oggi indipendenti.

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56. Allgemeines Landrecht Prussiano del 1794 (ALR)


Se volgiamo lo sguardo ai territori tedeschi, la cui caratteristica principale è la frammentazione, notiamo che
partecipano al movimento della codificazione portandovi un contributo autonomo che non è mai la
rivoluzione come fatto politico.
In Prussia e in Austria, la codificazione ha alle spalle il giusnaturalismo razionalista di sovrani illuminati,
rispettivamente Federico II e la sua contemporanea Maria Teresa.
La prima codificazione è quella prussiana, l’Allgemeines Landrecht fr die Preussischen Staaten.
Essa è diversa da tutte le altre perché aspira a raccogliere ed esporre tutto il diritto, da quello costituzionale e
al diritto ecclesiastico, al diritto civile, e non il solo diritto privato, e perché, con i suoi 17000 articoli, si
propone di disciplinare nel dettaglio ogni possibile fattispecie.
Federico II riprese decisamente l’idea di un progetto di codice che già era stata di Federico Guglielmo I, con
due obiettivi precisi: sul piano formale quello della razionalità e chiarezza della norma; sul piano sostanziale
quello di fondare la norma stessa sulla ragione naturale e sulle tradizioni costituzionali dei singoli territori.
La guerra dei sette anni rinviò la realizzazione di un progetto.
Un primo progetto fu sottoposto al vecchio sovrano nel 1786, ma non ne raccolse l’approvazione;
rielaborato, fu portato all’attenzione, nel 1787, del pubblico tedesco e quello di tutta Europa.
Un’ulteriore rielaborazione, sulla base delle osservazioni raccolte, ebbe luogo fra il 1787 e il 1790, finché
dopo varie vicissitudini e rinvii, l’ALR fu pubblicato nel 1794 sotto l’Imperatore Federico Guglielmo II.
Il codice prussiano si articola in una introduzione contenente norme generali di più evidente matrice
giusnaturalista (in particolare, si segnalano, norme che sanciscono la prevalenza del bene comune sugli
interessi individuali; che i diritti degli uomini sono fondati sulla libertà naturale che ciascuno ha di
perseguire il proprio bene senza ledere il diritto altrui; che i diritti del singolo traggono la loro origine dalla
nascita, dal ceto (stand) e dagli atti a cui la legge attribuisce efficacia costitutiva).

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57. Allgemeines Landrecht Prussiano: diritti reali e Associazioni


Per quanto riguarda lo Stand, il castello giusnaturalistico non si è ancora liberato dalle incrostazioni feudali.
Alla luce della massa disomogenea di materie disciplinate nell’ALR, la tentazione è di collocarlo tra le
raccolte di leggi del ‘700 più che fra le codificazioni moderne, contrassegnate dall’omogeneità delle materie.
Invece, considerando lo stile dell’ALR, la concisione che caratterizza i suoi precetti, la buona formulazione,
il buon collegamento, lo avvicinano assai alle codificazioni moderne.
I suoi limiti, però, sono: acritica fede nella ragione; sfiducia nei confronti dell’autoresponsabilità dei
cittadini; visione ormai superata della società; fede nella possibilità di un diritto assolutamente giusto e, di
conseguenza, presunzione di poter regolare, una volta per sempre, tutti i possibili rapporti intersoggettivi.
L’influenza dell’ALR fu probabilmente inferiore ai suoi meriti e al suo valore intrinseco.
Nelle antiche terre prussiane e in Westfalia, resto in vigore fino all’introduzione del BGB: ma non andò oltre
questi confini spaziali e temporali.
Ben presto la sua fama decadde: il Code Civil e il codice civile austriaco lo sopravanzarono in chiarezza
concettuale.
Inoltre, tramonta ben presto l’antica struttura sociale e politica propria dell’assolutismo illuminato che
l’ALR aveva presente, e che fu sopraffatta dalla vittoria della società borghese.
Dato infine che l’ALR aveva voluto consapevolmente ridurre la dottrina e la giurisprudenza a semplici
guardiani della legge, la scienza giuridica lo ricambiò con disprezzo arrogante e più ancora con totale
trascuratezza.

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58. Il codice civile austriaco del 1811: Allgemeines Brgerliches


Gesetsbuch Fr Die Deutschen Erblande (ABGB)
Come si è anticipato trattando del codice prussiano, anche in Austria la codificazione ha alle spalle il
giusnaturalismo razionalista di sovrani illuminati.
L’iniziativa di codificare il diritto civile venne infatti da Maria Teresa: si tratta di un codice longevo, ancora
oggi in vigore in Austria, sia pure in forma parziale.
L’opera di codificazione iniziò nel 1753, con la nomina di una Commissione incaricata di redigere un codice
del solo diritto privato che tenesse conto del diritto romano e del diritto della ragione, e che unificasse il
soggetto di diritto (diversamente da quanto accadeva in Prussia).
Il risultato dei lavori della Commissione fu un primo progetto presentato nel 1766.
Maria Teresa respinse questo primo progetto e, nel 1772, nominò una seconda Commissione: nel 1786, sotto
l’Imperatore Giuseppe II, venne pubblicata la prima parte di un codice.
Con Leopoldo II l’opera di codificazione proseguì sotto la guida di Carl Anton Von Martini, il cui progetto,
presentato nel 1796, fu promulgato in via sperimentale nella Galizia Occidentale e successivamente anche
nella Galizia Orientale.
Della sperimentazione dei pareri, tenne conto l’ultima Commissione, nominata nel 1801 e presieduta dal
Conte Rottenhann, ma fortemente influenzata dalla presenza di Franz Von Zeiller, allievo di Von Martini.
Respinto e riesaminato per ben tre volte, il codice fu finalmente promulgato nel 1811.
Benché diverso (diverse tradizioni e cultura giuridica, diverse vicende da cui emergono, diversa disciplina
degli istituti), l’ABGB ha tuttavia molti punti di contatto con il Code Napoléon.
La matrice kantiana dell’ABGB è chiaramente visibile nella preferenza verso forme di governo che
assicurano una legislazione comune sancendo l’uguaglianza dei cittadini fra di loro e nei confronti dello
Stato, e nella peculiare concezione dell’individuo e dell’autonomia che irrinunciabilmente gli compete.
Forte è il risalto esplicito che ancora conserva il richiamo al giusnaturalismo: così il § 7 dell’ABGB, per
colmare le lacune legislative, dopo l’analogia consente, se necessario, il ricorso ai “principi del diritto
naturale, avuto riguardo alle circostanze raccolte con diligenza e maturamente ponderate”; il § 10 esclude
dal sistema delle fonti le norme consuetudinarie “se non nei casi nei quali la legge si riporta alle medesime”
e dichiara che all’individuo competono “diritti innati che si conoscono con la sola ragione”, indipendenti
cioè da contingenze storico-politiche, diritti che l’ordinamento non può vanificare.
Grande è anche in questo codice il rilievo attribuito alla proprietà: “la proprietà considerata come diritto è la
facoltà di disporre a piacimento ed a esclusione di ogni altro della sostanza e degli utili di una cosa”.

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59. La composizione dell'Allgemeines Brgerliches Gesetsbuch Fr


Die Deutschen Erblande
L’ABGB si compone di 1502 articoli, ed è quindi un codice breve, più breve del Code Civil, oltre che chiaro
e intelleggibile.
La brevità è causa di lacune, che verranno colmate negli anni 1914-1916 da tre Novelle, influenzate del
diritto tedesco, e specialmente concernenti il diritto dei contratti.
Il codice si articola in 3 Parti, precedute da una Introduzione: I – Diritto delle persone. II – Diritti sulle cose.
III – Disposizioni comuni.
Si è detto sopra che l’ABGB è un codice illuminista.
E’ tuttavia un codice in stridente contrasto con la realtà sociale dell’Austria del 1811.
Infatti c’è un § 16 in cui si dice che “ogni uomo, in virtù dei suoi diritti innati, che vengono resi manifesti
dalla ragione, ha diritto di essere trattato come persona”: ma la popolazione delle campagne è assoggettata a
servitù della gleba fino al 1848!
Inoltre c’è un § 1146 che afferma che “i diritti e i rapporti fra proprietari terrieri e i loro lavoratori sono
regolati dalle costituzioni delle province e dalle disposizioni di ordine pubblico”: ma le disposizioni di
ordine pubblico contengono molti privilegi di tipo feudale!
I cambiamenti cominciano e intravedersi con l’ondata rivoluzionaria del 1848 che provoca l’abolizione della
servitù della gleba e la diffusione delle idee di libertà e di partecipazione della borghesia alla vita pubblica.
Ma la restaurazione portò ad alcuni passi indietro: per esempio, riportò il matrimonio dei cattolici sotto il
regime del diritto canonico e le relative controversie ai tribunali ecclesiastici.
Bisogna in sostanza aspettare gli anni ’70 e ’80 perché l’ABGB, con i suoi ideali di libertà e di
individualismo, si mettesse in sintonia con una realtà economica e sociale della vita austriaca.
Il dopo-codice è simile a quello della Francia e della Prussia, con prevalenza di scuole ispirate all’esegesi
del testo.
I primi cambiamenti avvengono a partire dal 1848, con l’apertura alla Germania e alla ricca dottrina tedesca.
L’influenza dell’ABGB all’estero è minima.
Sostanzialmente la migrazione è verso il centro Europa e i Balcani.

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60. Il codice civile tedesco del 1900: Brgerliches Gesetzbuch (BGB)


Si è più volte fatto riferimento alla situazione politica e giuridica della Germania medievale, caratterizzata
dalla debolezza del potere imperiale e dal corrispondente aumento del potere dei Principi elettori e delle città
Stato, dalla mancanza di una giustizia regia forte, e di un ceto di giuristi imperiali influente.
Tutti fattori, questi, che ostacolarono la rielaborazione delle consuetudini e la graduale costruzione di un
diritto privato comune tedesco, e favorirono invece la recezione del diritto romano.

Sistemi giuridici di Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Paesi nordici e Pagina 61 di 235
Stefano Civitelli Sezione Appunti

61. La scienza giuridica: la Scuola storica


Quali sono i presupposti, i motivi ispiratori, della scienza giuridica tedesca?
La crisi dell’illuminismo e del razionalismo porta all’affermazione di nuove idee, nuove correnti di pensiero,
che vedono nel popolo e nel suo incessante evolversi le radici di ogni manifestazione culturale, dalla poesia
alla lingua al diritto.
Il vero diritto, nella nuova idea romantica, non è il prodotto di un legislatore razionale, è il diritto
consuetudinario, i cui portatori sono il popolo e, come suoi rappresentanti, i giuristi.
E’ questa la radice della Scuola storica e del suo fondatore, Friedrich von Savigny.
In polemica con A. Thibaut, sostenitore della necessità di una codificazione unitaria per tutta la Germania,
Savigny insegnò che il diritto, prodotto incessantemente mutevole della vita sociale, prodotto del
“Volksgeist” (dello spirito del popolo) come la lingua, non può e non deve essere cristallizzato nelle formule
di un codice.
Meglio è lasciare operare il “Volksrecht” (il diritto consuetudinario prodotto dal popolo) quale si esprime
nel “Juristenrecht” (nel diritto dotto, elaborato dai giuristi).
La Scuola storica attribuisce alla consuetudine il ruolo di fonte primaria.
Dell’oggetto di studio della Scuola storica fanno sì parte le consuetudini germaniche, ma soprattutto il diritto
romano e in special modo il diritto romano delle fonti giustinianee, cui si rivolge l’esclusiva e aristocratica
attenzione di Savigny.
Il diritto romano antico è visto come espressione di un mondo spirituale e concettualmente superiore e più
puro, di valore eterno, suscettibile di essere adottato come diritto vigente, una volta riordinato in maniera
sistematica e dogmatica.

Sistemi giuridici di Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Paesi nordici e Pagina 62 di 235
Stefano Civitelli Sezione Appunti

62. La scienza giuridica: la Scuola Pandettistica


Lo sforzo di elaborare un ordine, un sistema e un apparato concettuale fu compiuto soprattutto dai successori
di Savigny, ossia dalla Scuola Pandettistica.
Il contenuto della scienza giuridica pandettistica si esprime nell’attribuzione di un compito al giurista e nella
costruzione di un metodo:
Compito del giurista non è di creare regole giuridiche al fine di colmare le lacune del diritto tedesco, quanto
di predisporre gli strumenti di conoscenza del diritto, ristrutturando il diritto civile tedesco.
Il concettualismo è il carattere distintivo della scienza tedesca.
Il metodo seguito dal giurista tedesco si ispira a quello della matematica e delle altre scienze esatte.
E’ un metodo:
a. concettuale: identificazione dell’elemento concettuale costitutivo in presenza del quale le ipotesi da
considerarsi rientrano nella categoria oggetto di definizione, e in assenza del quale le ipotesi non rientrano
nella categoria;
b. dogmatico: i concetti così definiti non ammettono eccezioni, sono dogmi;
c. sistematico: in presenza di più definizioni, proposte da più giuristi, la definizione corretta è quella che si
armonizza bene con le altre del sistema.

Sistemi giuridici di Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Paesi nordici e Pagina 63 di 235
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63. La struttura del Brgerliches Gesetzbuch (BGB)


Se già intorno alla metà del XIX secolo si manifestano le prime tendenze volte all’unificazione del diritto
tedesco attraverso la codificazione di settori marginali del diritto, è l’unificazione politica della Germania
nel 1870, seguita da un emendamento costituzionale che assegna all’Imperatore la competenza a legiferare,
che costituisce il presupposto politico che conduce finalmente la Germania alla codificazione.
Dopo un lungo lavoro progettuale di due successive Commissioni (ma è la prima, nominata nel 1874, di cui
fa parte soprattutto Bernhard Windscheid, uno tra i massimi esponenti della Scuola Pandettistica, a fornire
quell’impronta dottrinale che caratterizzerà il BGB), il codice civile tedesco fu promulgato nel 1896, ma
entrò in vigore il 1° Gennaio 1900.
Esso è il frutto maturo della Pandettistica tedesca, che trova la sua consacrazione del Libro I – Parte
Generale.
Pochissime concessioni furono fatte a chi chiedeva (in particolare Otto von Gierke) maggiore attenzione per
il diritto germanico, e alle istanze socialiste.
A queste ultime si ritenne di dare risposta il alcune clausole generali che rinviano ai buoni costumi, alla
buona fede, ecc…

Il BGB si suddivide in 5 libri, per complessivi 2385 articoli:


Primo libro: Parte generale
Contiene i caratteri concettuali comuni dei rapporti giuridici.
Qui si trovano le norme generali sulle persone fisiche e sulle persone giuridiche, alcune definizioni
riguardanti i beni, e, soprattutto, il concetto di negozio giuridico.
I libri da due a cinque del BGB contengono un numero considerevole di eccezioni alle regole generali
determinate dalla natura dell’istituto: ad esempio, la nullità del contratto non riguarda i contratti
matrimoniali.
Secondo libro: Obbligazioni
Concerne i rapporti obbligatori, e pertanto la disciplina dei contratti e quella delle obbligazioni nascenti da
atto illecito.
Terzo libro: Diritti sui beni
Contiene la disciplina della proprietà, ancora ancorata alla concezione individualistica, e dei diritti reali, ma
anche del pegno e dell’ipoteca.
Quarto libro: Diritto di famiglia
Ispirato ad una concezione conservatrice e patriarcale analoga a quella del Code Civil.
Quinto libro: Successioni

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64. La filosofia alla base del Brgerliches Gesetzbuch (BGB)


Il BGB chiude l’epoca delle vittorie del liberalismo.
In un certo senso il BGB è rappresentativo di un mondo in via di dissoluzione, di una storia già consumata.
E’ un codice conservatore che non attribuisce alcun compito sociale al diritto privato.
Questo atteggiamento si riflette sulla struttura patriarcale del diritto di famiglia, insensibile ai primi fermenti
di emancipazione della donna; sul rapporto di lavoro ancora ignaro della nuova industria e del nuovo
sindacalismo; ecc…
Il BGB aspira a prospettare un sistema chiuso caratterizzato da:
a. definitività, in quanto la costruzione dogmatica si avvale di concetti immutabili e conclusivi;
b. completezza, in quanto si nega che possano esistere lacune;
c. esclusività, in quanto l’interprete può riferirsi a precetti diversi dalla legge solo in casi tassativi.
Ciò comporta l’esclusione della consuetudine e il primato assoluto della legge nel sistema delle fonti, la
drastica identificazione tra diritto e legge, non più intesa in senso illuministico ma come manifestazione
della ragione dello Stato da osservare più per la forma, per la sorgente da cui trae validità, che per il suo
contenuto.
La valvola di sfogo di questo sistema è costituita dalle clausole generali.
Naturalmente, le clausole generali un pericolo lo nascondono.
Se la disciplina dogmatica del giudice si allenta, c’è il rischio che si affermi la tentazione di “fuga nelle
clausole generali” e che si favorisca la nascita di una giurisprudenza equitativa priva di principi guida,
soprattutto facile in periodi di dittatura, quando i giudici e la giurisprudenza sotto esposti a pressioni
politiche e ideologiche.

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65. Il diritto tedesco fino al 1918


Pure essendo “l’ultimo frutto del XIX secolo, più che il preludio del XX secolo”, il BGB è tuttavia
sopravvissuto fino a noi attraversando l’Impero, Weimar, il Nazismo, due guerre mondiali, la Costituzione
del 1949, la DDR, la riunificazione tedesca, senza grandi modifiche.
Il diritto tedesco è relativamente stabile fino al 1918, fino cioè alla caduta dell’Impero e alla proclamazione
della Repubblica.

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66. Il diritto tedesco durante Weimar


Il periodo della Repubblica di Weimar, dal 1918-1920 fino alla nomina di Hitler a Cancelliere nel 1933, è
invece un periodo caratterizzato da interventi profondi sia del legislatore che della giurisprudenza.
La giurisprudenza, la c.d. Scuola del diritto libero, fa uso delle clausole generali per adeguare il diritto alle
mutate condizioni sociali ed economiche.
La legislazione segna di una nuova impronta sociale e liberale alcuni settori del diritto.
Per esempio, nel diritto del lavoro si hanno profonde riforme a tutela del lavoratore.

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67. Il diritto tedesco nel Nazismo


Il 30 Gennaio 1933 Hitler viene nominato Cancelliere, e ha inizio il periodo più buio della storia tedesca.
Il nazionalsocialismo è un movimento totalitario in quanto pretende di realizzare uno Stato autoritario,
razzista, in quanto fondato sulla glorificazione del popolo tedesco, e rivoluzionario, in quanto si propone
come lotta, come ricerca permanente di soluzioni nuove.

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68. Ripercussioni nella sfera giuridica del nazionalismo tedesco


Quali le ripercussioni nella sfera giuridica di un movimento con queste caratteristiche?
I 12 anni di questo potere autoritario e sanguinario fortunatamente non sono stati sufficienti per distruggere
definitivamente l’ordine giuridico precedente.
Quando, nel 1937, il Ministro della Giustizia annunciò la morte del BGB e la sua sostituzione con un
“codice popolare”, che tenesse conto delle idee del regime, era troppo tardi.
Quali queste idee?
Innanzi tutto l’idea fondamentale che il diritto non può che essere sempre un mezzo di garanzia.
In secondo luogo una nuova teoria delle fonti del diritto che porta al rifiuto del principio tradizionale della
preminenza della legge.
La legge è strumento di organizzazione sociale e deriva essa stessa da una “fonte primaria”, costituita dalla
razza.
La persona che come oracolo dichiara e proclama il diritto sorto da questa fonte è il Fhrer.
Il manifesto normativo del nazismo furono le leggi razziali, le leggi di Norimberga del 1935.
Per quanto riguarda la giurisprudenza occorre naturalmente distinguere fra tribunali speciali, proni al
regime, e giurisdizioni ordinarie, la cui posizione nei confronti del nazismo è più ambigua.
In generale, può dirsi che le giurisdizioni superiori sono rimaste più rispettose dell’antico diritto, scartato
solo dopo molte esitazioni quando appariva del tutto incompatibile con la nuova ideologia, mentre le
giurisdizioni inferiori, i giudici più giovani, sono state più sensibili alla dottrina nazionalsocialista.
In ogni caso, non può non segnalarsi che i giudici interpretino le clausole generali in senso più fedele della
nuova dottrina.
In sostanza non può negarsi un atteggiamento di compromesso di giudici con il regime.
D’altro canto, questo aveva abolito le garanzie di indipendenza della magistratura e in particolare la
fondamentale garanzia dell’inamovibilità.

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Stefano Civitelli Sezione Appunti

69. Il diritto tedesco nel secondo dopoguerra


La Costituzione del 1949 non è naturalmente estranea all’evoluzione e alla riforma del diritto tedesco, anzi
ne costituisce il fondamentale motivo ispiratore.
Gli interventi del legislatore si caratterizzano per la loro apertura sociale (nuovo diritto del lavoro, nuovo
diritto delle locazioni abitative, ecc…); per il loro spirito egualitario (si realizza soprattutto nel diritto di
famiglia, la parità); per il loro spirito liberale e umanitario (specialmente nel settore del diritto penale, con
una modernizzazione della teoria delle pene e l’umanizzazione della loro esecuzione).
Da segnalare, sul piano giurisdizionale, il ruolo determinante assunto dalla Corte Costituzionale Federale, il
cui compito è di vegliare sul rispetto dei principi costituzionali e dei diritti fondamentali dell’individuo.

Sistemi giuridici di Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Paesi nordici e Pagina 70 di 235
Stefano Civitelli Sezione Appunti

70. La diffusione del modello del Brgerliches Gesetzbuch (BGB)


Se grande è stato il prestigio e l’influenza che la Pandettistica ha avuto in tutta Europa, compresa
l’Inghilterra, modesta e limitata nel tempo è stata invece la circolazione del modello BGB, ritenuto
“prodotto tipico della dottrina tedesca, che, nonostante le sue qualità tecniche, si sarebbe difficilmente
adattato ad una realtà diversa”.
Le zone verso le quali si estese l’influenza del BGB e in particolare della sua parte generale, vanno dal
Brasile al Portogallo, all’Europa centrale e meridionale, al Estremo Oriente.
Ma l’influenza più profonda e duratura si è avuta in Grecia.

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71. Il codice civile svizzero del 1912 (Zivilgesetzbuch, ZGB)


Già nel secolo XIV, il territorio della odierna confederazione elvetica era autonomo dal Sacro Romano
Impero.
E mentre in quest’ultimo vi fu un’ampia ricezione del diritto romano, il Svizzera, invece, non venne meno la
centralità delle consuetudini germaniche.
Il risultato è che, nel corso del XVIII secolo, mentre sul resto del continente europeo cominciavano a
diffondersi le idee favorevoli alla codificazione, il diritto del territorio elvetico consisteva essenzialmente
nelle consuetudini di origine germanica, applicate da giudici laici elettivi.
La conquista napoleonica (1798) portò alla creazione dello Stato unitario svizzero e all’idea di un diritto
privato unitario.
Tuttavia, all’indomani del Congresso di Vienna, si dette vita ad un sistema federale in cui ciascun cantone
manteneva la propria indipendenza.
Ma l’ideale illuministico della codificazione aveva ormai preso piede.
Uno dopo l’altro, i cantoni decisero di introdurre un proprio codice civile.
Si divisero però circa il modello da seguire:
nella zona meridionale e nella parte occidentale della Svizzera, fu seguito il Code Civil;
nella zona centrale, fu seguito il modello austriaco;
negli anni tra il 1853 e il 1855 il cantone di Zurigo si dotò di un codice che influenzerà molto il futuro
codice svizzero del 1912 e che fu redatto da giuristi locali formati alla scuola di Savigny.
Il cantone di Zurigo adottò dunque una visione sistematica del diritto privato, pur mantenendosi anche molto
attento alle tradizioni e alle consuetudini locali.

Sistemi giuridici di Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Paesi nordici e Pagina 72 di 235
Stefano Civitelli Sezione Appunti

72. Storia della codificazione svizzera del sistema giuridico


Per quanto la Svizzera tenesse molto al suo isolamento rispetto alla realtà politica del resto d’Europa,
inevitabilmente, intorno alla metà del XIX secolo, si cominciò ad avvertire l’esigenza di rendere unitario il
sistema giuridico.
Il cammino verso un codice unitario del diritto privato svizzero si svolse attraverso alcune tappe importanti:
a. nel 1848 la confederazione raggiunse l’integrazione nazionale;
b. nel 1874 entrò in vigore la Costituzione federale con la quale si ampliavano i poteri centrali e si conferiva
alla federazione la competenza in materia di regolamentazione dei rapporti obbligatori e del diritto
commerciale;
c. nel 1881 entrava in vigore una codificazione unitaria del diritto delle obbligazioni (OR);
d. nel 1898 una modifica costituzionale estendeva la potestà legislativa della federazione a tutto il diritto
civile.
Solo la procedura civile rimaneva di competenza cantonale, e tale continua ad essere anche oggi.
Il protagonista assoluto della codificazione svizzera fu Eugen Huber.
Nel 1884, Huber fu infatti incaricato dall’Associazione dei giuristi svizzeri di effettuare una ricognizione del
diritto civile dei vari cantoni al fine di preparare la sua unificazione.
Nel 1894, ebbe l’incarico dal Ministro della Giustizia di preparare un progetto che nel 1900 era già pronto
per essere sottoposto alla valutazione degli esperti.
Approvato dal Parlamento nel 1907, il codice (ZGB) entrò in vigore il 1° Gennaio 1912.

Sistemi giuridici di Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Paesi nordici e Pagina 73 di 235
Stefano Civitelli Sezione Appunti

73. Struttura e caratteristiche dello Zivilgesetzbuch (ZGB)


Huber, pur conoscendo i modello pandettistici, era spinto verso il ramo germanistico della Scuola storica.
Ne è scaturito un codice che rifiuta il modello del BGB nei suoi aspetti romanistica ed eccessivamente dotti.
Nello ZGB non è presente una parte generale, ma una breve introduzione di 10 paragrafi.
Lo ZGB risulta composto, oltre cha dell’introduzione da 4 libri: Diritto delle Persone; Diritto di Famiglia;
Diritto delle Successioni; Diritti Reali.
Ad essi si aggiunge, come quinto libro, ma formalmente separato, l’OR.
Tra le caratteristiche peculiari dello ZGB vi è la “deliberata incompletezza”.
Il codice svizzero infatti, diversamente dal BGB, non va oltre la delineazione di tratti salienti di ciascun
istituto giuridico.
Sta al giudice, sulla base di un’attenta valutazione del caso concreto, elaborare la regola da applicare
seguendo le linee tracciate dal codice (1600 paragrafi lo ZGB, a fronte dei 2385 piuttosto estesi del BGB).
Come e più della codificazione tedesca, lo ZGB fa leva su clausole generali, ma, diversamente
dall’impostazione tedesca, il legislatore svizzero attribuisce espressamente un ruolo centrale alla
giurisprudenza che è chiamata a svolgere una decisiva funzione di integrazione del diritto codicistico.
Lo ZGB inaugura una nuova impostazione antidogmatica e antipositivistica del rapporto fra giudice e
legislatore.

Sistemi giuridici di Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Paesi nordici e Pagina 74 di 235
Stefano Civitelli Sezione Appunti

74. Successo e diffusione dello Zivilgesetzbuch (ZGB)


La modernità delle soluzioni adottate nel codice svizzero e l’equilibrio con cui Huber seppe seguire una via
intermedia tra il difficile concettualismo del BGB e l’apparente chiarezza del Code Civil, insieme
all’espresso riconoscimento del potere creativo della giurisprudenza, rientrano senz’altro tra i “meriti
intriseci” che contribuiscono a spiegare il successo dello ZGB e la sua diffusione.
Il successo dello ZGB è misurabile nella circostanza che tutti gli ordinamenti nei quali si è proceduto a
codificare il diritto privato, nel periodo successivo alla sua entrata in vigore, ne hanno tenuto conto.
Il noto caso della Turchia, la quale si è rivolta al modello svizzero quando ha voluto adottare un codice per
modernizzare il proprio diritto durante la rivoluzione culturale, guidata da Kemal Atatrk.
Il codice civile turco del 1926 è infatti programmaticamente ricalcato sullo ZGB e ciò ha portato, non senza
difficoltà, alla laicizzazione del diritto turco.

Sistemi giuridici di Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Paesi nordici e Pagina 75 di 235
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75. I codici giuridici di alcuni Stati pre-unitari in Italia


Anche dopo la restaurazione del Congresso di Vienna, il Code Napoléon indica il modello cui tendono a
ispirarsi molti codici degli stati pre-unitari della penisola.
Eccezioni sono il Lombardo-Veneto, cui nel 1815 viene esteso l’ABGB austriaco; e la Toscana e gli Stati
Pontifici, in cui in sostanza continua ad avere vigenza il diritto comune.
La diffusione del modello francese in Italia prepara il terreno alla rapida codificazione del 1865.

Sistemi giuridici di Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Paesi nordici e Pagina 76 di 235
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76. Il codice civile italiano del 1865


Come i codici pre-unitari, il codice civile del 1865 è filiazione diretta del codice napoleonico.
Era opportuno, anzi necessario, che all’unificazione politica si accompagnasse rapidamente l’unificazione
legislativa; esisteva in Italia una disciplina ormai pressoché omogenea del diritto civile, mentre mancava una
dottrina di prestigio e di largo respiro; il Code manifestava una permanente intensa vitalità per le idee che
aveva alla sua base e per la sua corrispondenza alla società italiana del momento.
Inoltre, l’unità d’Italia si era fatta con i francesi, il cui codice sembrava più liberale dell’ABGB, e contro gli
austriaci, il che comunque rendeva poco popolari i modelli austriaci.
Alcune differenze rispetto al codice francese esistono.
L’art. 32 prel. c.c. si riferisce espressamente ai mezzi tecnici, cioè l’analogia e il ricorso ai principi generali
dell’ordinamento giuridico per colmare le eventuali lacune, laddove, come ben si ricorda, il codice francese
tace su questo punto; l’art. 2 c.c. apre ai gruppi intermedi ammettendo la possibilità di attribuire personalità
giuridica agli enti morali; l’art. 3 c.c. afferma il principio secondo il quale l’esercizio dei diritti civili è
concesso anche allo straniero senza condizioni di reciprocità; l’art. 148 c.c. sancisce l’indissolubilità del
matrimonio.
Tuttavia il principio cardine del codice resta l’individualismo.
La partizione in 3 libri, identica a quella francese, risponde alla scelta per l’individualismo proprietario:
a. I libro: Delle Persone
Parla dei diritti del singolo in quanto tale.
b. II libro: Dei beni, della proprietà e delle sue modificazioni
Discorre della massima estrinsecazione pratica dei diritti della persona e definisce il diritto di proprietà
all’art. 436 in maniera identica all’art. 544 del Code Civil.
c. III libro: Dei modi di acquistare e di trasmettere la proprietà e gli altri diritti sulle cose
Raggruppa una serie disparata e disomogenea di materie, come il libro terzo del Code Civil (Successioni,
donazioni, obbligazioni, contratti, ecc…) che hanno una logica solo, appunto, se visti come funzionali alla
proprietà, come strumenti per acquistarla e trasferirla.

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77. Nuovo Paragrafo


Quando la rivoluzione industriale si manifesta anche da noi, il codice, figlio del codice Napoleone, mostra
tutti i suoi limiti.
Alcune esigenze dello sviluppo economico vennero soddisfatte con la promulgazione del codice di
commercio del 1882.
La crisi esplode tuttavia dopo la fine della prima guerra mondiale, è una crisi fatta di contrasti sociali
acutissimi, è una crisi che porta con sé la coscienza delle aspirazioni popolari, e dell’esigenza di una più
equa sistemazione dei rapporti fra le classi sociali.
In sostanza, la riforma nasce come risposta a profonde trasformazioni economico-sociali, nel momento in
cui queste raggiungono un livello di chiarezza e di stabilità.
Fu in questo momento che si cominciò a pensare seriamente ad una riforma del codice del 1865.
Un primo passo fu l’emanazione di una legge nel 1923 che delegava al Governo la riforma, in esecuzione
della quale fu nominata una Commissione reale che predispose, fra il 1924 e il 1937, i progetti preliminari
dei primi tre libri del codice.
I primi due libri del codice civile Persone e Famiglia, e Successioni, entrarono in vigore rispettivamente nel
1939 e 1940.
Su di essi possono farsi le seguenti affermazioni:
- impostazione tradizionale dell’istituto familiare, sia sotto il profilo dei rapporti personali (non si tenne in
alcun conto l’esigenza di valorizzare il ruolo della donna); sia sotto il profilo dei rapporti patrimoniali;
- impostazione altrettanto tradizionale delle successioni, d’altro canto, occorre riconoscere che in questa
materia è difficile innovare, se ci si tiene agganciati al principio della trasmissione dei beni mortis causa e
della efficacia della volontà privata del testatore.

Gli altri libri del codice sono dedicati rispettivamente alla Proprietà, alle Obbligazioni, al Lavoro, e alla
Tutela dei diritti, per un totale di 2969 articoli.
Nel suo complesso, il codice entrò in vigore nel 1942.
L’elaborazione degli ultimi 4 libri del codice fu molto affrettata e si spiega con l’ansia del fascismo di fare
del codice l’espressione della propria ideologia.
In realtà i giuristi italiani riuscirono a resistere a questa pretesa, valendosi di quella “neutralità del giurista”,
che in epoca di dittatura diventa un valore prezioso.
Concessioni vennero sì fatte, ma spesso sostanzialmente verbali, sicché non fu troppo difficile, alla caduta
del regime, ripulire il codice di molte delle sue incrostazioni fasciste.
Anche il riconoscimento di valore giuridico alla Carta del Lavoro (l. 14/41), che dal 1927 aveva costituito
il vero testo costituzionale del fascismo, venne imposto dai giuristi contro la pretesa di codificare i principi
generali dell’ordinamento giuridico fascista e si risolse in una enfatica, ma vuota, petizione di principio.

Sistemi giuridici di Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Paesi nordici e Pagina 78 di 235
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78. Innovazione del codice italiano del 1942: l'unificazione del


diritto privato
L’innovazione più importante del codice del 1942 è costituita dall’unificazione del diritto privato.
L’obiettivo viene raggiunto estendendo in maniera soddisfacente a tutti i rapporti, regole fino a quel
momento esclusive del commercio.
Tutta l’attività economica produttiva viene così disciplinata in un unico testo normativo, e anzi ne diviene il
centro, facendo leva dal punto di vista soggettivo sull’imprenditore, dal punto di vista oggettivo sui concetti
di impresa e azienda.
Viene infine dato risalto al lavoro subordinato.
Ecco quindi i libri:
Libro IV: “Delle Obbligazioni”
Dedicato al rapporto obbligatorio in generale e alle fonti delle obbligazioni.
In proposito spicca il nuovo ruolo del contratto, che non è più solo un modo di acquisto della proprietà, ma è
fonte di obbligazioni.
Libro V: “Del Lavoro”
E’ il libro più innovativo, ma anche quello in cui più si avverte l’impronta del regime.
Libro III: “La Proprietà”
Costituisce pur sempre, insieme all’impresa e al lavoro, uno dei tre filoni fondamentali del nostro codice, ma
la sua sistemazione è sostanzialmente assai lontana dal mito intangibile del Code Civil.
Libro VI: “Della Tutela dei Diritti”
Disciplina una congerie disparata di materie e istituti, che secondo alcuni troverebbero un collegamento
teleologico, avendo tutti una funzione strumentale per assicurare, in via preventiva o in via successiva,
l’attuazione del diritto soggettivo, ma che, più propriamente, può essere definito residuale.

Il codice del 1942 non è niente di analogo al Code Civil; certamente sarebbe stato sciocco, caduto il
fascismo, riportare in vigore il vecchio codice del 1865, ma il codice del 1942 non è certo una svolta
fondamentale.
Le vecchie idee erano logore, ma non erano ancora mature le nuove, anche se del rinnovamento, come
testimonia la sistemazione della proprietà cui si è appena accennato, si avvertono i primi sintomi.
Caduto il regime fascista, non si è messo mano seriamente a nuove codificazioni civilistiche.
In Italia, come altrove, le trasformazioni della società sono troppe e troppo rapide per consentire quella
riflessione, quella sedimentazione delle idee, che sono il presupposto fondamentale di un processo
codificatore.

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79. Processo di decodificazione del codice italiano del 1942 nel post-
fascismo
In luogo di un processo di codificazione, si è piuttosto e correttamente parlato di un “processo di
decodificazione”, che ha finito per travolgere il codice.
A rendersi conto di ciò, basta pensare all’impatto che sull’impianto originario del codice hanno avuto la
legislazione speciale, la giurisprudenza, la Costituzione del 1948.
Adeguamento del codice ai valori costituzionali: legislazione speciale e giurisprudenza
Assai ampio è il rilievo che lo stesso codice del 1942 attribuisce alla legislazione speciale che non si può più
considerare come meramente esplicativa del codice, ma come “portatrice di autonomi principi regolatori”.
Assai rilevante appare fin dall’inizio la legislazione speciale nel campo delle attività economiche.
Il codice, in sostanza, continua ad essere “il regno della libertà e dell’autonomia dei privati”, ma solo “al
livello della microeconomia, dei piccoli traffici, dell’attività domestica”.

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80. L'entrata in vigore della Costituzione in Italia


La legislazione speciale trae poi nuova linfa dall’entrata in vigore della Costituzione e del controllo di
costituzionalità delle leggi.
La Costituzione modifica, infatti, radicalmente i principi di base del diritto privato e, ponendosi come
strumento di tutela dei diritti fondamentali, inclusi la proprietà e la libera iniziativa economica, toglie al
diritto privato e al codice civile quella funzione costituzionale che lo accompagnava fin dalla codificazione
napoleonica.
Notevole è stato pure il ruolo della giurisprudenza, insieme o al seguito della dottrina, nell’adeguamento del
codice anche ai valori costituzionali.
Di grande rilievo è stato il ruolo della Corte Costituzionale.
A solo titolo di esempio, si può ricordare poi quanto hanno fatto giurisprudenza costituzionale e
giurisprudenza ordinaria per ampliare i limiti del risarcimento dei danni alla persona.
Dapprima si è riconosciuto il c.d. danno biologico, inteso come “menomazione dell’integrità psicofisica
della persona”, che segna il “superamento di una concezione essenzialmente patrimonialistica del diritto
privato”.
Più di recente, “non potendosi invocare il danno biologico fuori dai casi di accertamento da parte del medico
legale di una patologia della vittima”, si è venuta profilando in giurisprudenza una nuova categoria: quella
del c.d. danno esistenziale, come “peggioramento oggettivamente riscontrabile delle proprie condizioni di
esistenza”, a seguito della lesione di diritti di rilevanza costituzionale.
Pure da ricordare è la recente fondamentale pronuncia con la quale le Sezioni Unite della Corte di
Cassazione (sent. 500/99) hanno affermato il principio della risarcibilità dei danni conseguenti a lesione di
interessi legittimi di fronte al giudice ordinario, sgomberando “il campo da una delle più vistose e risalenti
sacche di immunità di cui ha goduto la pubblica amministrazione”.
Fino ad ora, abbiamo visto, con riferimento ai più importanti codici che abbiamo esaminato, quale è stata
l’opera adeguatrice delle fonti interne, del legislatore, della dottrina, della giurisprudenza.
Naturalmente, dobbiamo sapere che in Italia, come negli altri Paesi dell’UE, il codice civile muta ed evolve
anche sotto l’influenza del diritto comunitario.
Valga un esempio per tutti, riguardante il nostro codice: gli artt. 1469 bis-1469 sexies che regolano i c.d.
contratti dei consumatori, sono stati aggiunti in attuazione alla direttiva 93/13/CEE.

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Stefano Civitelli Sezione Appunti

81. Definizione di norma giuridica


Il codice rappresenta, come si è più volte orma i ricordato, una rottura con il passato.
Con il codice si chiude una vicenda plurisecolare in cui giganteggia il dottrinario.
Con il codice si afferma il monopolio del legislatore, che fra l’altro esprime, nelle democrazie che via via si
formano, la sovranità popolare.
Con il codice si consolida la distinzione fra diritto pubblico e privato, espressione delle correnti di pensiero
economico, sociale e politico dominanti nel XVII e nel XVIII secolo.
Il codice, infine, impersona l’ideale di norma giuridica espresso dalla tradizione di civil law, che, per effetto
dello sforzo sistematico della dottrina, viene concepita come regola di condotta, dotata di quella generalità
che le consente di situarsi fra la decisione della lite, considerata come applicazione concreta della
disposizione, e i principi, dotati di maggiore latitudine, di cui essa può essere considerata un’applicazione.
La generalità riconosciuta alla norma giuridica spiega come nei Paesi di civil law il compito del giurista sia
concepito essenzialmente come compito di interpretazione delle formule legislative.

Sistemi giuridici di Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Paesi nordici e Pagina 82 di 235
Stefano Civitelli Sezione Appunti

82. La ricerca della giustizia nella civil law e nella common law
Se in tutta la tradizione giuridica occidentale, il diritto è inteso come una costante ricerca di giustizia,
sembrano potersi desumere due diversi modi di intraprendere questa ricerca: nella civil law, si cerca la
soluzione di giustizia con una tecnica che ha come punto di partenza la legge; nella common law, la si cerca
principalmente prendendo le mosse dal caso concreto e dalla decisione giurisprudenziale.
I diversi approcci alla ricerca della regola conforme a giustizia conducono ad una diversa idea della regola di
diritto: nella civil law, la regola è concepita in forma prevalentemente legale e dottrinale; nella common law,
la regola è concepita in forma prevalentemente giurisprudenziale.
Si comprende dunque come tra civil law e common law, il tema delle fonti del diritto sia sempre posto tra
quelli più studiati; è il terreno in cui le differenze sono più marcate.
Tuttavia, si osserva ormai una certa convergenza.
Sia sufficiente anticipare, riguardo alle esperienze di civil law, che la legge non può più considerarsi la sola
fonte del diritto, essendo ormai ampiamente riconosciuto che la giurisprudenza concorre, insieme alle altre
fonti, a determinare il “diritto”.
Per quanto concerne i sistemi di common law, si ha un notevolissimo aumento della produzione legislativa e
non mancano neppure esempi di codice, da intendersi propriamente come corpi di norme sistematicamente
organizzate.
Anche il funzionamento pratico della regola del precedente può difficilmente essere considerato come un
fattore determinante per la distinzione tra le due tradizioni giuridiche.
Da un lato, infatti, le corti dei Paesi di civil law sono piuttosto attente al valore dei precedenti; dall’altro lato,
nei Paesi di common law numerose tecniche possono rendere piuttosto elastico il significato della regola
stare decisis.

Sistemi giuridici di Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Paesi nordici e Pagina 83 di 235
Stefano Civitelli Sezione Appunti

83. La gerarchia delle fonti giuridiche


La gerarchia delle fonti è oggi molto più complessa di quanto non faccia intendere, ad esempio, l’art. 1 delle
nostre Preleggi.
Costituzioni e Trattati internazionali tendono ovunque a prevalere sulla legge; così come, in un discorso
sulle fonti, non può essere trascurato il ruolo di giurisprudenza e dottrina.

Sistemi giuridici di Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Paesi nordici e Pagina 84 di 235
Stefano Civitelli Sezione Appunti

84. Gerarchia delle fonti: le Costituzioni scritte


I Paesi appartenenti alla tradizione di civil law presentano tutti, al vertice della gerarchia, Costituzioni
scritte, alle cui disposizioni si riconosce un prestigio particolare.
Il precetto costituzionale diventa il punto di riferimento dell’ordinamento, al quale devono ispirarsi
legislatori, giudici, amministratori e cittadini.
Il particolare prestigio, la forza della Costituzione, si riflette nella previsione di speciali procedure di
revisione e di controllo di costituzionalità delle leggi.
In ogni caso, anche Paesi di common law hanno Costituzioni (Stati Uniti) così come alcuni Stati civil law
sono sprovvisti di controllo di costituzionalità sulle leggi (Francia).
Ciò conferma la relatività di qualunque classificazione degli ordinamenti giuridici.
La presenza di un sistema di controllo di legittimità delle leggi è un elemento pregnante e caratterizzante di
un ordinamento.
Tradizionalmente si individuano due grandi modelli di controllo giudiziario di costituzionalità delle leggi.
Nel sistema diffuso, il potere di controllo spetta a tutti gli organi giudiziari ordinari, i quali lo esercitano
incidentalmente, ossia in occasione della decisione di una controversia concreta.
Nel sistema accentrato, il potere di controllo è attribuito ad un solo organo giudiziario appositamente
istituito.
Nel primo modello, noto anche come “americano”, il giudice, nella decisione della causa, disapplica le leggi
che ritiene in contrasto con la Costituzione, e tale decisione ha efficacia inter partes; tuttavia, se attraverso il
sistema delle impugnazioni, la controversia giunge alla corte posta al vertice della giurisdizione, la decisione
di quest’ultima, in un sistema di common law, vincolerà tutti i giudici inferiori attraverso il principio dello
stare decisis.
Il secondo modello viene talvolta definito come “austriaco”.

Sistemi giuridici di Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Paesi nordici e Pagina 85 di 235
Stefano Civitelli Sezione Appunti

85. Il sistema giuridico diffuso o accentrato: le varianti nazionali


Nella versione classica del modello accentrato, il controllo di costituzionalità viene esercitato in via
principale, sulla base della richiesta di organi politici; è astratto, ossia non è connesso alla soluzione di una
controversia concreta; e la pronuncia del giudice ha efficacia erga omnies ed ex nunc (retroattiva).
Fu solo nel 1929 che la legittimazione ad instaurare davanti alla corte il processo di controllo delle leggi, fu
attribuita anche alla corte suprema civile e penale, e alla corte suprema amministrativa, in occasione di un
processo di fronte ad esse.
Il sistema americano si trova in molte delle ex colonie inglesi, come il Canada, l’Australia, l’India, la
Danimarca e la Svezia.
La diffusione che ha avuto il sistema accentrato, porta a vedere istituite Corti Costituzionali in Italia,
Germania, Portogallo, Spagna ed anche in diversi Paesi dell’Europa orientale quali Russia, Polonia,
Romania e Ungheria.
Tuttavia, in ciascuno dei Paesi menzionati, pur seguendo uno dei modello tradizionali, la giustizia
costituzionale si è adattata al sistema istituzionale in cui si è trovata ad operare ed ormai molte sono le
varianti dei sistemi “diffuso” e “accentrato”.
Con riferimento all’Italia, si è parlato, per esempio, di sistema ibrido, in quanto assomma in sé alcune delle
caratteristiche di entrambi i modelli classici: il controllo è svolto da una corte ad hoc cui tuttavia la
questione di legittimità perviene attraverso il filtro del giudice a quo il quale deve sollevarla per decidere la
causa che pende dinnanzi a lui.
Insieme ai sistemi di controllo giurisdizionale di costituzionalità, può esistere anche un controllo di carattere
“politico”, l’esempio è quello della Francia.
L’esclusione di un controllo propriamente giudiziario di costituzionalità delle leggi si spiega nel persistere
della diffidenza nei confronti dei giudici.
La Costituzione della V Repubblica affida dunque al Conseil Constitutionnel soltanto un controllo di
costituzionalità preventivo, prima che il procedimento di formazione sia concluso, prima cioè della
promulgazione.
Non è ammesso alcun sindacato una volta che la legge è entrata in vigore.

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Stefano Civitelli Sezione Appunti

86. Gerarchia delle fonti giuridiche: i Trattati internazionali


In alcune Costituzioni continentali si riconosce espressamente ai trattati internazionali valore superiore alle
leggi ordinarie.
Il caso della Francia è di particolare importanza.
La Cour de Cassation ha deciso che i giudici hanno il potere di disapplicare una legge successiva
contrastante con un trattato internazionale regolarmente ratificato.
La questione della collocazione dei trattati internazionali nella gerarchia delle fonti ha acquistato un
particolare rilievo con riferimento al rapporto fra diritto comunitario e diritto degli Stati membri dell’UE.
Come è noto, la Corte di Giustizia di Lussemburgo ha elaborato una giurisprudenza ormai consolidata in
virtù della quale le norme comunitarie direttamente applicabili, o atte a produrre effetti diretti negli
ordinamenti degli Stati membri, prevalgono sulle leggi interne successive.
La dottrina della supremazia del diritto comunitario è quindi penetrata nei vari ordinamenti nazionali, i cui
giudici sono arrivati ad affermare il proprio potere di disapplicare le leggi interne contrastanti con la norma
comunitaria che sia direttamente applicabile e produca effetti diretti.

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Stefano Civitelli Sezione Appunti

87. Gerarchia delle fonti giuridiche: le leggi


La legge è, fra le fonti del diritto, quella che la tradizione legata alla rivoluzione e alla codificazione colloca
al vertice della gerarchia, dove resta fino alla stagione delle Costituzioni.
Il codice, dal canto suo, è una legge che, nonostante la sua importanza, riveste, sotto il profilo formale, lo
stesso valore di qualunque altra legge.
Abbiamo sottolineato, a proposito dei codici, la loro longevità; ma abbiamo anche visto che a tutta una serie
di esigenze dettate dallo sviluppo economico, sociale e tecnologico, non rispondono più i codici ma una
massiccia legislazione speciale.
D’altra parte, è proprio la rapidità dei cambiamenti che sconsiglia di metter mano a nuovi codici.
Il particolare rapporto che sussiste tra legge speciale e codice è bene illustrato da un esempio tratto
dall’ordinamento tedesco: il § 823 del BGB dice che “chi dolosamente o colposamente lede illecitamente la
vita, il corpo, la salute, la libertà, la proprietà o un altro diritto altrui, è obbligato verso l’altro al risarcimento
del danno da ciò derivante”.
Nel 1909, a seguito dell’aumento dei veicoli a motore, e dei relativi incidenti, viene emanata una legge in
base alla quale il conducente e il proprietario sono soggetti a responsabilità oggettiva, salvo che non provino
di non aver causato il danno.
La legge limita la responsabilità al risarcimento del danno patrimoniale e stabilisce un tetto massimo.
La vittima può tuttavia instaurare un procedimento ex § 823 per un ammontare illimitato, e anche per danni
non patrimoniali, se prova la colpa del danneggiatore.

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88. Gerarchia delle fonti giuridiche: i regolamenti


Il regolamento, e in particolare il regolamento governativo, è la tipica fonte secondaria che nella gerarchia si
colloca al di sotto della legge e non può ad essa derogare.
Nella V Repubblica francese è stato previsto un potere regolamentare non subordinato al potere legislativo,
e dunque per sua natura autonomo.
Il potere regolamentare del Governo è sottratto al controllo del Conseil Constitutionnel e sottoposto alla
giurisdizione del Conseil d’Etat.
Quest’ultimo si è attribuito il potere di controllare la legittimità dei règlements governativi con riferimento
non solo al riparto delle competenza fra Parlamento ed Esecutivo, ma anche con riferimento al “diritto
superiore”, ossia ai principi generali contenuti nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1789, ai
Preamboli delle Costituzioni del 1946 e del 1958, e alla “tradizione repubblicana”.
A seguito di questa decisione, l’autorità del Conseil d’Etat è stata assimilata a quella di una corte
costituzionale.

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Stefano Civitelli Sezione Appunti

89. Gerarchia delle fonti giuridiche: le consuetudini


Il monopolio acquisito dal legislatore sulla produzione normativa ha relegato sullo sfondo, in una posizione
marginale la consuetudine.
La marginalità del diritto consuetudinario è dimostrata dal fatto che è ovunque esclusa validità di fonte
legale alle consuetudini contra legem.
E’ ovunque invece riconosciuta la consuetudine c.d. secondum legem, la consuetudine cui la legge
espressamente rinvia.
Discussa è infine la validità della consuetudine praeter legem, riguardante cioè materie non regolate dalla
legge: probabilmente essa è consentita dall’art. 8 delle nostre Preleggi.

Sistemi giuridici di Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Paesi nordici e Pagina 90 di 235
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90. Modelli di organizzazione giudiziaria


Il modello ispiratore della struttura e dell’organizzazione attuali delle corti e dello status del giudice è quello
che ha origine nella Francia rivoluzionaria.
Anche la giustizia era parte dell’Anciem régime; contro quella giustizia e quei giudici la rivoluzione
manifestò tutta la sua ostilità.
In particolare, tale reazione si diresse:
a. contro i Parlements e soprattutto contro la prassi degli Arrêts de règlement, con i quali essi “enunciavano
norme generali e astratte cui si sarebbero attenuti in futuro nella decisione delle controversie concrete”;
b. contro i giudici professionisti, sostituiti nel 1791 da giudici elettivi;
c. contro l’interpretazione giurisprudenziale della legge, mediante l’istituzione di un “Tribunal de Cassation”
con la funzione di vigilare sulle corti e sul loro rispetto delle leggi.
Tale assetto prevede innanzi tutto un sistema di corti di norma articolato su tre gradi: prima istanza, appello
e corte suprema.
La prima istanza si articola di norma in due livelli, uno a competenza limitata, l’altro a competenza generale
(ad esempio, giudice di Pace e Tribunale oggi in Italia).
L’appello si configura in genere come riesame in fatto e in diritto del giudizio di primo grado, entro i limiti
dell’impugnazione.
La corte suprema si può a sua volta atteggiare come “cassazione” o come “revisione”.
Il modello “cassazione” è quello francese secondo il quale la corte annulla, se del caso, la sentenza
impugnata (con rinvio a un giudice di pari grado a quello la cui decisione è stata impugnata).
Il modello “revisione” è quello tedesco, e si presenta invece dichiaratamente come un vero e proprio terzo
grado di giudizio, in cui la corte decide il caso anche nel merito.

Sistemi giuridici di Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Paesi nordici e Pagina 91 di 235
Stefano Civitelli Sezione Appunti

91. Caratteristiche giuridiche dei paesi di civil law


Sempre in ragione dell’antica diffidenza nei confronti della discrezionalità dei giudici, le corti di ultima
istanza dei Paesi di civil law difettano in generale di strumenti efficaci di selezione dei ricorsi, caratteristici,
invece, delle omologhe corti di common law.
Esse sono invece sommerse da un numero sempre crescente di ricorsi; ciò non consente loro di concentrarsi
sulle questioni veramente importanti e svolgere la funzione di nomofilachia che è propria di una vera corte
suprema.
La seconda caratteristica dell’organizzazione giudiziaria dei Paesi di civil law è data dalla pluralità di
giurisdizioni.
A fianco, cioè, della giurisdizione ordinaria, competente a conoscere delle cause civili e penali, figurano uno
o più sistemi di giustizia “specializzata”, oltre, come si è visto, a un sistema di giustizia costituzionale.
In Francia sussiste il divieto, per i giudici, di interferire nell’attività amministrativa che ha portato
all’introduzione e allo sviluppo di un importante sistema di giustizia amministrativa, che vede al suo apice il
Conseil d’Etat.
In Germania, oltre alle corti ordinarie e a quelle amministrative, troviamo anche le corti tributarie, del
lavoro, sociali.
Il modello dualista francese è quello più diffuso (ad esempio, in Italia).
Altra caratteristica comune ai Paesi di civil law è che il potere giudiziario è esercitato principalmente da
giudici di professione.
Si tratta, in buona sostanza, di funzionari dello Stato, da cui si differenziano per le garanzia di indipendenza
che li circondano, prima fra tutte l’inamovibilità della sede e delle funzioni.
In molti Paesi l’indipendenza del giudice è rafforzata dalla previsione di organi di autogoverno della
magistratura, quali il Consiglio Superiore della Magistratura che troviamo in Italia o in Francia.
Per quanto riguarda, infine, lo stile delle sentenze, caratteristiche comuni sono l’esistenza di una
motivazione, a garanzia della trasparenza del processo decisionale, ma anche la sua impersonalità: la
sentenza di civil law non palesa i voti espressi dai membri del collegio.

Sistemi giuridici di Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Paesi nordici e Pagina 92 di 235
Stefano Civitelli Sezione Appunti

92. Il ruolo della giurisprudenza nel sistema delle fonti


Il movimento della codificazione, con tutto il corredo di idee che si porta appresso, segna il passaggio dal
diritto alla legge, e definisce il ruolo del giudice come quello di operatore di una macchina progettata da
altri, dal legislatore.
La giurisprudenza, in questo contesto, non è formalmente fonte del diritto; le sentenze non hanno
formalmente efficacia al di là dei casi che decidono.
La realtà è diversa.
Nessuno oggi contesterebbe seriamente il ruolo del diritto giurisprudenziale, anche se il giudice trincera la
propria attività creativa dietro lo schermo della interpretazione e della concretizzazione della volontà del
legislatore.
“Un codice, per quanto completo possa apparire, è a malapena entrato in vigore che mille questioni
inaspettate si presentano al giudice”, che è chiamato a riempire gradualmente i vuoti che il legislatore lascia,
utilizzando le tecniche ermeneutiche che questi gli propone, e le valvole di sfogo (quali le clausole generali)
che consapevolmente gli offre.

Sistemi giuridici di Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Paesi nordici e Pagina 93 di 235
Stefano Civitelli Sezione Appunti

93. Il ruolo creativo della giurisprudenza in common law e civil law


Semmai, si dovrebbe sottolineare che il ruolo creativo della giurisprudenza è di grande importanza nei
periodi di stabilità della società e del diritto, in cui può essere sufficiente la gradualità e l’occasionalità degli
interventi del giudice a colmare lacune del diritto scritto, e via via adeguarlo alle nuove esigenze.
A ciò si deve aggiungere che i sistemi di civil law, non meno che quelli di common law, concordano nella
diffidenza verso un’eccessiva, e troppo aperta, attività creatrice da parte di soggetti, i giudici, privi di
legittimazione democratica.
Anche la seconda affermazione, che tradizionalmente si fa, e cioè che i giudici di civil law non sarebbero
vincolati dai precedenti, deve essere precisata alla luce di quello che effettivamente accade in tali
ordinamenti, dove un diritto vivente, come “diritto che risulta dalla consolidata interpretazione
giurisprudenziale delle disposizioni di legge” è pacificamente ammesso.
Talvolta, anzi, vi sono addirittura situazioni in cui è forte la tentazione di parlare di dottrina del precedente
anche nella civil law.
In Spagna, la doctrina legal quale si esprime nella giurisprudenza consolidata del Tribunal Supremo, non è
fonte del diritto, ma affianca all’art. 1 del Codigo Civil le fonti classiche del diritto, e la sua violazione può
costituire oggetto di ricorso in Cassazione.
In Messico, cinque sentenze consecutive di una camera della Corte suprema sono vincolanti per tutti i
giudici inferiori, federali o statali.
In Francia e in Germania, la corte suprema viene convocata in una speciale composizione quando una delle
sezioni intende allontanarsi da una precedente sentenza della corte stessa.
Per quanto infine limitatamente al singolo caso, il giudice di rinvio in Italia e in Francia deve uniformarsi al
principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione.
A questi esempi dobbiamo poi aggiungere che i giudici tendono a seguire i propri predecessori, e che non
amano vedere troppo spesso riformate in appello le proprie sentenze (il che potrebbe avere conseguenze
negative sulla progressione di carriera); e che i valori della certezza, della prevedibilità e dell’uguaglianza
richiedono che casi simili siano decisi allo stesso modo.
Se tutto ciò è vero, si capisce come la giurisprudenza consolidata nelle corti supreme abbia un’autorità
fortemente persuasiva nei sistemi di civil law, anche se non può costituire l’unica base per una decisione,
non poi così lontana da quella delle corti supreme di common law.

Sistemi giuridici di Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Paesi nordici e Pagina 94 di 235
Stefano Civitelli Sezione Appunti

94. Differenze basilari tra common law e civil law


Tuttavia, dobbiamo in realtà continuare a tener conto di alcune differenze importanti.
Innanzi tutto, al metodo induttivo della common law si contrappone il metodo deduttivo della civil law,
secondo il quale il giudice non va di caso in caso, ma applica una determinata norma ai fatti della causa in
forza di un atto di sussunzione.
Ne deriva una sentenza in cui scarsissimo rilievo viene attribuito ai fatti e di cui circola e si conosce talvolta
la sola “massima”.
E’ evidente che in questo contesto non è possibile usare il precedente nello stesso modo in cui ciò avviene in
un ordinamento di common law, dove tutto il procedimento di basa sulla distinzione dei fatti.

Sistemi giuridici di Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Paesi nordici e Pagina 95 di 235
Stefano Civitelli Sezione Appunti

95. Il ruolo della dottrina in giurisprudenza


La dottrina e i dottori, come abbiamo ripetutamente ricordato, hanno avuto un ruolo preponderante nella
formulazione ed evoluzione della tradizione di civil law, ed una collocazione privilegiata fra le fonti del
diritto, dai giureconsulti romani, poi accolti con forza normativa nella codificazione giustinianea, agli
esponenti delle grandi scuole fiorite nelle università europee, che hanno preparato gli schemi per la
codificazione.
Il codice ha allontanato, almeno formalmente, la dottrina dalla produzione del diritto, ma essa conserva a
ben vedere un suo ruolo di protagonista della cultura giuridica di civil law.
In primo luogo, laddove si codifica, la preparazione degli schemi è sicuramente compiuto dalla dottrina; la
progettazione di strumenti europei di dritto uniforme è nelle mani di commissioni di giuristi, così coma la
redazione dei principi internazionali del diritto dei contratti.
Anche nei Paesi che non hanno codificato, e che possono essere considerati parte della civil law, come la
Scozia o il Sud Africa, il peso della dottrina continua ad essere assai marcato.
Inoltre, la prassi e la dottrina assumono di nuovo la veste di protagonisti nella produzione del diritto della
globalizzazione.
L’influenza della dottrina nell’evoluzione del diritto è poi visibile ovunque, e talvolta è riconosciuta
ufficialmente dal legislatore.
Si pensi al codice civile svizzero, nel quale il giudice è invitato, se le circostanze lo richiedono, a creare
diritto facendosi però guidare dalla dottrina e dalla giurisprudenza consolidate.
Ancora, e in rapporto con l’autorità delle decisioni dei giudici, le critiche diffuse della dottrina nei confronti
di una norma giudizialmente prodotta inducono spesso le corti a riesaminarla.
E questo è vero anche se in certi Paesi le sentenze non fanno riferimento alla dottrina, e il altri addirittura la
legge vieta di citare autori giuridici.
E’ altrettanto vero che i commenti dottrinali sembrano costituire uno strumento di lavoro indispensabile per
qualunque operatore del diritto.

Sistemi giuridici di Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Paesi nordici e Pagina 96 di 235
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96. Confronto tra common law e civil law


L’espressione common law viene innanzitutto impiegata nella contrapposizione con civil law.
Questa è l’accezione che più interessa il comparatista in quanto volta a confrontarla con la tradizione
romanista.
In questo senso quella di common law è la famiglia che affonda le sue radici nel diritto inglese e che
comprende numerosissimi ordinamenti a causa del notevole successo e della estesa circolazione del
modello.
A partire dal XVII secolo le compagnie coloniali iniziato ad esportare la common law nelle Americhe, in
India e in Africa e l’espansione si spinge fino all’Australia e alla Nuova Zelanda.
Naturalmente, la common law ha avuto un diverso grado di penetrazione nei numerosi Paesi con cui ha
avuto contatti e tale varietà è imputabile a diversi fattori: il tipo di rapporto istituzionale che si instaura tra la
madrepatria e la colonia; la durata della presenza inglese; il grado di sviluppo e di efficienza del diritto
autoctono.
A ciò deve aggiungersi l’influenza che il modello di common law ha avuto a causa del suo prestigio e in
taluni casi della sua efficienza.
E’ importante tuttavia sottolineare subito che tra i vari ordinamenti della famiglia di common law vi possono
essere differenze notevoli e che queste si vanno accentuando sempre di più soprattutto se si considerano le
due principali esperienze di questa famiglia: Inghilterra e Stati Uniti.
Benché tra il versante inglese e il versante americano sussistano ormai differenze importanti, tuttavia la
presenza di alcuni fattori particolari conferisce alla famiglia di common law una certa omogeneità.
Innanzi tutto, anche dopo l’indipendenza, molte ex colonie hanno considerato parte del loro diritto positivo
il diritto inglese precedente la loro separazione.
Spesso dunque non si verifica una frattura netta tra il diritto del periodo coloniale e quello successivo.
Tra i fattori che contribuiscono a rendere omogenea la common law vi è la presenza del Privy Council: una
corte sovranazionale per il Commonwealth, che nel periodo coloniale esercitava il controllo di legittimità
(judicial review) sulla legislazione delle colonie per assicurarne la conformità con il diritto della
madrepatria.
Anche la natura giurisprudenziale degli ordinamenti di common law, e dunque il loro carattere di sistemi
“aperti”, li rende piuttosto omogenei.
Infine, ma non meno importante, tra i fattori unificanti è da considerarsi la comunanza linguistica, che
favorisce l’omogeneità e la completa interscambiabilità di categorie e concetti giuridici.
L’importanza del confronto common law/civil law è dunque principalmente sistemica.
Tale binomio ha costituito infatti la base di partenza per i primi studi comparatistici, che originariamente
tendevano a porre in risalto le diversità fra le due grandi famiglie della tradizione giuridica occidentale.
Diversità che si misuravano principalmente sul valore del precedente, sull’assenza di codici e sulla scarsa
penetrazione del diritto romano nei Paesi di common law.

Sistemi giuridici di Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Paesi nordici e Pagina 97 di 235
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97. Common Law: significato e natura


Se consideriamo la tradizione giuridica occidentale nel suo complesso, e dunque civil law e common law
insieme, viene immediatamente in considerazione una particolare figura di giurista, cui è riconosciuto
glande prestigio, ignota, per esempio, ai sistemi africani o alle tradizioni dell’estremo oriente.
Il protagonista del diritto è, nei sistemi civil law, il giurista dotto e, nei sistemi di common law, il pratico e il
particolare il giudice.
Ed è proprio dal ruolo che il giudice riveste nell’ordinamento e dunque dal modo in cui le corti hanno
affermato il loro successo, che è bene prendere le mosse per cominciare a parlare della common law e della
sua natura di diritto giurisprudenziale.

Sistemi giuridici di Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Paesi nordici e Pagina 98 di 235
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98. Common law e equity


La contrapposizione tra common law ed equità è di natura storica ed è interna allo sviluppo del diritto
inglese.
La common law in senso stretto è infatti quel ramo del diritto inglese elaborato, caso dopo caso, dalla
giurisprudenza delle corti di Westminster a partire dalla conquista normanna (1066).
L’equity è invece il ramo del diritto inglese, anch’esso di origine giurisprudenziale, sviluppato dalla Corte di
Cancelleria fin dal XVI secolo e caratterizzato da rimedi processuali estranei al rigore della common law.
La dicotomia tra common law ed equità svolge un ruolo fondamentale nella storia delle istituzioni inglesi e i
due rami del diritto sono amministrati, fino alla seconda metà del XIX secolo, da corti diverse.

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99. Common law e statute law


La contrapposizione tra common law e statute law trova le sue radici nella diversa fonte di produzione della
regola giuridica.
In questo senso, infatti, common law significa diritto giurisprudenziale (comprensivo di common law in
senso stretto ed equità).
Statute law è, invece, il diritto di creazione legislativa.

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100. Common law e il diritto inglese


La common law affonda le sue radici nel diritto inglese, nel diritto elaborato dalle corti centrali di Londra.
Ma che cosa deve intendersi per “diritto inglese”?
Il diritto inglese è il diritto del Regno d’Inghilterra, del quale, fin dal 1536, fanno parte il Galles e l’isola
di Wight.
Non è invece il diritto della Gran Bretagna, perché formatasi dalla fusione del Regno d’Inghilterra e
quello di Scozia, la quale ha da sempre conservato il proprio ordinamento giuridico, diverso da quello
inglese.
Non è dunque corretto parlare di “diritto britannico”.
Il diritto inglese non è neppure il diritto del Regno Unito, formato da Inghilterra, Scozia e Irlanda del
Nord, in quanto le riforme sulla devolution del 1998 hanno modificato a fondo la centralità del Parlamento
di Westminster, comportando lo spostamento di una significativa porzione di poteri normativi ad aree
geografiche aventi particolari caratteristiche: Scozia, Galles, Irlanda del Nord.

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101. Le origini della Common Law e l’affermazione delle corti


centrali di Westminster
Il diritto inglese, che non ha subito in nove secoli alcun processo di codificazione, non consiste dunque in un
sistema di norme e istituti separabili in tutto o i parte dal suo passato, ma nelle tecniche e nella
giurisprudenza accumulatesi dal XII secolo ad oggi.
Il punto di partenza di questa storia e di tanta parte delle istituzioni politiche e giuridiche inglesi è la c.d.
“Conquista” del 1066, quando Guglielmo di Normandia sconfigge l’ultimo sovrano sassone.

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102. Struttura unitaria della monarchia normanna


L’apparato istituzionale normanno è strettamente funzionale al potere di vertice: i vassalli al seguito di
Guglielmo sono sue persone di fiducia, titolari di piccoli feudi, nessuno in grado di opporsi al re.
Lo schema feudale comprende il re, i Lords e i sub-tenants.
I primi sono legati al sovrano sia per ciò che riguarda il godimento dei fondi sia per ciò che riguarda il
profilo politico-militare; i secondi sono legati ai Lord per quanto riguarda la terra, il suo godimenti e la sua
condizione, ma sono legati anch’essi direttamente al sovrano per quanto concerne il profilo politico-militare.
La monarchia normanna è caratterizzata dunque da una struttura unitaria (i signori feudali inglesi non
conquistano mai quella posizione di potere tipica invece dei proprietari dei grandi feudi in Francia e
Germania, a volte più potenti degli stessi governanti) e da una mentalità precocemente burocratica.
Tale capacità organizzativa è testimoniata dal famoso Domesday Book, un libro del catasto in cui non solo
vengono censite le proprietà, ma viene determinata anche l’appartenenza dai beni in funzione di
individuazione delle classi sociali.
La centralizzazione delle corti
La struttura precocemente unitaria dello Stato si palesa anche nell’amministrazione della giustizia e nella
sua organizzazione.
Suo carattere originario e permanente è quello della centralizzazione delle corti e della concentrazione a
Londra di giudici e avvocati.
La common law altro non è che il prodotto giuridico di un capolavoro amministrativo che si traduce nella
formazione di un nuovo diritto comune a tutto il regno e destinato a sostituirsi alle consuetudini localo.
Mentre la società medievale del continente europeo è caratterizzata dalla compresenza di diversi ordini
giuridici, in Inghilterra si afferma molto precocemente, tramite l’opera delle corti, un diritto uniforme.

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103. Le corti regie di Westminster


Le origini della common law si trovano nella corte londinese dei sovrani normanni, la curia regis, in cui il
re, coadiuvato dai grandi vassalli (Lords) e dagli alti funzionari, presiede alla direzione dello Stato, e quindi
anche all’amministrazione della giustizia.
La curia regis è la corte feudale per i grandi vassalli, ma è anche la corte alla quale si ricorre nei casi di
“breach of the King’s peace”, cioè nei casi di violazione della pace del regno e nei casi in cui le corti locali
non siano riuscite a rendere giustizia.
La giurisdizione della curia regis ha dunque un originario carattere eccezionale; infatti la competenza del re
in materia di giustizia è limitata in quanto la maggior parte dei compiti di amministrazione della medesima
sono delegati a feudatari nell’ambito del sistema di governo del territorio loro attribuito.

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104. Le corti regie di Westminster: l’Exchequer


Gradualmente, si specializzano all’interno della corte regia tre organismi, l’Exchequer, il Common Pleas e il
King’s Bench: le Corti di Westminster, che prima operano come commissioni della curia regis e in un
secondo momento come vere e proprie corti, autonome detentrici della funzione giurisdizionale,
precocemente composte da giuristi a tempo pieno e precocemente dedite alla repertoriazione delle loro
decisioni.
L’Exchequer nasce come sezione speciale della curia regis con compiti prevalentemente contabili che
consistono nell’amministrazione del tesoro reale e nella raccolta delle entrate.
Diviene autonoma alla fine del XIII secolo suddividendosi in: Exchequer of Account and Receipt organismo
con funzioni contabili e amministrative, e Court of Exchequer, la vera e propria corte.
La Court of Exchequer è abolita dalle grandi riforme del XIX secolo, quando la sua competenza in materia
fiscale passa alla Chancery Division della High Court e quella strettamente di common law alla King’s
Bench Division.

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105. Le corti regie di Westminster: Court of Common Pleas e


King’s Bench
La Court of Common Pleas è la corte delle udienze comuni, competente a conoscere delle liti fra
commoners, le controversie tra privati.
Essa viene a costituire uno stabile organo giudiziario in grado di svolgere un’attività processuale
quantitativamente rilevante.
Il King’s Bench è in origine presieduta dal sovrano, ma afferma comunque precocemente la sua
indipendenza dal sovrano.
Dal 1268, il King’s Bench si compone di giudici tecnici del diritto, presieduti da un Chief Justice, carica
nella quale si succedono da allora i più insigni giuristi del regno d’Inghilterra.
La sua competenza riguarda le cause che interessano la Corona, cioè in cui il re è direttamente coinvolto
come organo sovrano.
Per quanto riguarda le cause penali, la corte giudica dei reati che potremmo definire, con terminologia
moderna, di ordine pubblico.

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106. Le corti speciali: ecclesiastiche, mercantili e marittime


Indipendenti dalla giurisdizione ordinaria e dunque dalle corti di common law, si affermano precocemente in
Inghilterra anche importanti tribunali dotati di giurisdizione speciale, che sviluppano un diritto di
derivazione romano-canonica: le corti ecclesiastiche, le corti mercantili e le corti marittime.
Guglielmo I, in risposta all’aiuto del Papa nella realizzazione della sua “conquista”, assicura l’indipendenza
alla Chiesa e le conferisce esclusiva giurisdizione in materia ecclesiastica.
Tale giurisdizione concerne le questioni che coinvolgono direttamente i chierici o i beni della Chiesa, molti
reati tra i quali la bestemmia e l’eresia, alcune questioni testamentarie e quelle matrimoniali.
Queste corti ecclesiastiche giudicano in base al diritto canonico.
Le corti mercantili applicano, invece, la lex mercatoria, ossia il diritto comune della pratica dei commerci
fino al XV secolo, quando inizia il declino che porta al loro completo assorbimento da parte delle corti
ordinarie di common law.
Le corti marittime applicano un diritto fondato in larga misura nello ius gentium e nelle relazioni
internazionali.
Il loro declino ha luogo nel momento in cui il diritto della navigazione viene ricompreso nella competenza
delle corti di common law.

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107. L'istituzione della giustizia itinerante


Al declino delle corti locali contribuisce in maniera determinante l’istituzione della giustizia itinerante, che
certamente ha tra i suoi scopi quello di avvicinare al popolo, che difficilmente può intraprendere lunghi e
difficili viaggi nella capitale, la giustizia reale.
Il sovrano normanno non istituisce corti nelle province del regno, ma vi si reca con i suoi giudici, o li invia a
rendere giustizia.
L’istituzione, fin dal 1072, della giustizia itinerante serve ad emarginare la giustizia feudale e ad estendere la
giurisdizione della monarchia (e quindi la common law) a tutto l’Inghilterra.
Un altro organo locale di giustizia, oltre che di polizia e amministrazione, che contribuisce all’affermazione
della giurisdizione regia, è lo Sheriff.
Tale figura, fortemente sottomessa al sovrano, è elettiva e ha durata di un singolo anno.

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108. Il sistema dei Writs


Dagli inizi del XII secolo la Corte regia inizia gradualmente a sostituire le corti locali, le quali tuttavia non
vengono abolite, ma cadono semplicemente in desuetudine, poiché i litiganti preferiscono la giustizia del
sovrano.
Quali sono dunque, oltre alla fama d’imparzialità e di rigore, le ragioni del successo delle corti reali?
Innanzi tutto le corti reali si servono di talune finzioni giuridiche per attrarre nella propria giurisdizione le
cause più varie, e ciò accade principalmente in materia penale (attraverso la finzione del concetto di
“violazione della pace del regno”).
Ma soprattutto le corti reali concedono “in esclusiva” rimedi più efficaci, sconosciuti dalle corti locali
(come, ad esempio, l’esecuzione coattiva delle decisioni).
Si può dire, allora, che le corti del re si mettono in concorrenza con le autorità locali e riescono a prevalere
mostrando di essere il grado di offrire un prodotto migliore, ossia una giustizia più efficiente.
Tale efficienza si manifesta sia sotto il profilo sostanziale che processuale.
Ed infatti, da un lato la curia regis offre nuove forme di tutela quando il caso concreto lo richiede creando
nuovi writs; dall’altro offre un processo molto più rapido e razionale, poiché a fianco del giudice compare la
giuria.

Sistemi giuridici di Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Paesi nordici e Pagina 109 di 235
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109. Caratteristiche dei Writs


Tra gli strumenti che contribuiscono all’espansione della giurisdizione regia nei secoli XII e XIII è di grande
importanza il writ.
Il writ (o breve) è un ordine del sovrano, redatto in forma di lettera, scritto in latino, su pergamena, munito
del sigillo reale.
Si tratta di uno strumento autoritario, un comando diretto allo sheriff o al Lord che presiede una corte, volto
a sottrarre la trattazione di una causa ai signori feudali o alle corti locali.
Presupposto, salvo che non si tratti di una causa di diretto interesse per la Corona, è che la lite sia prima
portata di fronte alle corti locali e che la parte non abbia soddisfazione nella sua sede naturale.
Il writ è uno strumento imprescindibile per la tutela del diritto, tant’è che nella common law un diritto
soggettivo può dirsi esistente in quanto vi è un writ che lo rende azionabile.
L’attore che intende adire la giustizia regia deve infatti per prima cosa procurarsi un writ adatto alla sua
situazione.
Si comprende allora che se si creano nuovi writs per tutelare nuove situazioni si ottiene l’affermazione di
nuovi diritti e la conseguente espansione della common law.
Questo è ciò che avviene in Inghilterra fino al 1258, anno in cui il sistema entra in crisi.
Con il sistema dei writs, i sovrani inglesi medievali sono i soli europei ad avere in pratica “legiferato” in
materia di diritto privato.
Non vi è infatti differenza pratica tra attribuire un diritto e concedere un writ, cioè un rimedio.
Naturalmente si tratta di legislazione rozza, piena di lacune che dovranno essere colmate dai giudici, ma si
tratta pur sempre di un’attribuzione di diritti e doveri.
Tornando al raffronto sistemologico tra common law e civil law si può osservare ancora una volta la
divergenza storica tra i due sistemi: la common law è fin dall’inizio diritto positivo volto a risolvere
controversie concrete, mentre il diritto romano studiato nelle università del continente europeo è un diritto
ideale.

Sistemi giuridici di Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Paesi nordici e Pagina 110 di 235
Stefano Civitelli Sezione Appunti

110. Il funzionamento dei Writs


Quale è la spinta che ha condotto all’affermazione del writ come strumento essenziale dell’esercizio del
potere delle corti di common law?
Nel XII e nel XIII secolo la cancelleria “vende” i singoli writs agli interessati, incassando notevoli proventi
per il tesoro reale.
Vi è anche un interesse politico, che sarà la causa della crisi del sistema dei writs, poiché con la creazione e
concessione di nuovi rimedi si estende la competenza e dunque il potere delle corti reali.
Per comprendere il funzionamento del writs bisogna distinguere due diversi tipi di writ.
I writs ordinari sono consolidati nella prassi giudiziaria e annotati in un apposito Registrum Brevium.
L’attore che intende usufruire della giustizia regia e la cui pretesa sia tra quelle riconosciute nel Registrum,
deve ottenere, dietro pagamento, il writ idoneo a tutelare la sua situazione.
I writs straordinari, a causa del loro carattere eccezionale, non sono invece elencati nel Registrum e sono
ottenuti dai poveri per concessione gratuita o, al contrario, sono ottenuti dietro il pagamento di un prezzo
altissimo.
Tali writs possono passare all’altra categoria ad essere iscritti nel Registrum se si consolidano nella pratica.
Il writ è materialmente elaborato nella segreteria del cancelliere, al quale spetta anche il compito di istruire
preliminarmente il ricorso per cui si chiede la concessione del writ medesimo.
Destinatari del writ possono essere i Lord o gli sheriff.
L’inosservanza dell’ordine contenuto nel writ è considerata un’offesa diretta al sovrano e può comportare
l’imprigionamento del responsabile.
La concessione del writ non significa ottenere una pronuncia favorevole, ma solo una chiave per aprire la
porta della giustizia regia.
Ovviamente vi è una forte e comprensibile opposizione dei nobili verso un aumento della giurisdizione regia
a scapito della loro.
Tale opposizione si manifesta in tre documenti fondamentali per la storia delle istituzioni inglesi, emanati
nel corso del XIII secolo: Magna Charta, 1215; Provisions of Oxford, 1258; Statute of Westminster II, 1285.

Sistemi giuridici di Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Paesi nordici e Pagina 111 di 235
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111. La crisi del sistema dei Writs


La Magna Charta rappresenta il punto di partenza per la tutela dei diritti di libertà nella struttura
costituzionale inglese.
Con essa i baroni riescono e porre un argine al potere del re disponendo che il diritto esistente avrebbe
vincolato allo stesso modo il re e i vassalli.
Altri principi sono volti a tutelare i baroni contro l’ingerenza del sovrano rispetto alle loro specifiche
prerogative giudiziarie.
Si stabilisce che la competenza per le controversie che sorgano con riguardo alle terre oggetto del dominio
feudale dei baroni sia dei baroni stessi; e inoltre fa la sua apparizione nel panorama istituzionale europeo la
fondamentale garanzia del due process, ossia del giusto processo, che troverà collocazione del Bill of Right
della costituzione americana del 1787.
Il secondo documento che mostra le grandi tensioni tra il sovrano e i signori locali, è costituito dalle
Provision of Oxford, imposte dai baroni, quale corrispettivo del loro aiuto in armi e in denaro ad Enrico III
nel 1258.
Con tale documento si intende sottrarre al sovrano il potere di governo del regno per affidarlo ad un
“comitato riformatore”.
Ma soprattutto, per quello che qui più interessa, con le Provision of Oxford si produce la c.d.
cristallizzazione del sistema dei writs.
Viene infatti negato al cancelliere il potere di emettere nuovi writs straordinari se non con l’approvazione
esplicita del re e del suo gran consiglio.
Si comprende come si blocchi il fertile meccanismo di sviluppo della common law e come la giustizia entri
in un grave stato di crisi.
Crisi che sarà superata solo attraverso la lenta e complessa elaborazione dei writs presenti nel Registrum al
1258.

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112. Lo Statute of Westminster II, 1285


Questo importante atto, pur mantenendo il divieto di nuovi writs, salvo se autorizzati dal Parlamento,
consente tuttavia alla cancelleria di utilizzare le formule conosciute per ammettere nuove azioni in
fattispecie diverse ma simili a quelle previste nel Regstrum.
La tecnica dell’action on the case: dal trespass al trespass on the case
Le stesse corti, poste dinanzi all’esigenza di offrire tutela a situazioni concrete sempre nuove, cominciano a
riconoscere la validità e l’ammissibilità di nuove azioni quali forme derivate dai writs consolidati, dando
così definitivo impulso a quel processo di elaborazione giurisprudenziale evolutiva che costituisce l’essenza
stessa della common law.
Il writ su cui operano principalmente le corti per ampliare la propria competenza è il trespass.
Il writ of trespass è concesso inizialmente a chi ha subito una illecita e violenta invasione della sua sfera
giuridica personale o patrimoniale.
Interpretando in modo estensivo gli elementi caratterizzanti il writ of trespass, i giudici cominciano a offrire
tutela per i danni causati da responsabilità indiretta o colposa per giungere infine alla tutela contrattuale.

Sistemi giuridici di Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Paesi nordici e Pagina 113 di 235
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113. L’evoluzione del Writ of Trespass


Vediamo meglio come avviene l’evoluzione del writ of trespass.
Secondo lo schema classico, il writ of trespass è rilasciato nell’ipotesi di una transgressio che presuppone un
atto materiale di forza e dunque una violazione in armi dell’ordine pubblico e della pace del regno.
Nel XII secolo si conoscono tre tipi di trespass: to person, to goods, to land (alla persona, ai beni, alla terra).
Partendo dallo schema tradizionale, nei secoli XIV e XV le corti hanno elaborato il writ of trespass on the
case.
In questa ipotesi il writ non riguarda più i casi di applicazione diretta e illecita della forza fisica.
In pratica, diventa irrilevante l’allegazione dell’uso formale della forza, mentre acquista rilievo il dato
sostanziale che l’attore, personalmente o con riferimenti ai suoi beni, sia stato vittima di un danno causato
dal comportamento negligente o doloso di un altro soggetto.
Nel writ of trespass on the case si fanno rientrare tutti i casi di comportamenti dannosi che non possono
essere considerati vere e proprie ipotesi di trespass.
Si viene a creare, insomma, un’azione sussidiaria generale esperibile per un complesso eterogeneo di casi di
condotta dannosa e di illecito civile.

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114. L’assumpsit: origine della tutela contrattuale


L’estensione analogica dell’action on the case operata dalle corti continua per tutto il XV secolo e nel XVI
secolo se ne differenzia una particolare forma, volta alla concessione del rimedio nell’ipotesi di danno
derivante dalla non corretta condotta contrattuale della controparte: si tratta dell’assumpsit.
Nel writ of trespass on the case in assumpsit l’attore allega che il convenuto si è assunto di fare qualcosa, si
è assunto un obbligo, ma, non avendolo adempiuto o avendolo adempiuto inesattamente, ha con ciò arrecato
danno alla persona o ai beni dell’attore.
L’assumpsit subisce una progressiva espansione diventando un’azione per danni, di natura contrattuale e
non più delittuale, che sanziona in via generale l’inadempimento.
Dal trespass on the case si sviluppa, dopo quella di assumpsit, a metà del XVI secolo, anche l’azione di
trover.
Si tratta di un’azione di danni a tutela di chi è privato di un bene mobile.
Si fonda sulla finzione che l’attore abbia smarrito i suoi beni e il convenuto li abbia ritrovati e convertiti al
proprio uso, rifiutando di restituirli.
Diviene presto irrilevante il titolo con cui la conversione è avvenuta e dunque il trover diventa un’azione
generale per danni contro lo spossessamento immobiliare.
Ritornando al trespass, poiché questo è, nella sua forma classica, concesso a chi subisce le conseguenze
dannose di un’illecita invasione della sua sfera giuridica, e il rimedio è costituito dall’imprigionamento del
responsabile e dal risarcimento dei danni, tutte le nuove azioni che da questo writ scaturiscono portano
l’impronta delle azioni delittuali e sfociano, pertanto, nel solo risarcimento.
Rimane completamente estranea, sia all’assumpsit che al trover, la possibilità di esecuzione forzata in forma
specifica.
Questa è la ragione che spiega perché la common law conosce solo il risarcimento del danno come sanzione
per l’inadempimento contrattuale ed è anche la ragione che spinge, al fine di ottenere un decreto di
esecuzione in forma specifica, verso la procedura di equity.
“Ubi remedium ibi ius” e “remedies precede rights”
A questo punto non si può non osservare la somiglianza fra l’affermazione e lo sviluppo iniziale della
common law e il diritto romano.
In entrambe le tradizioni infatti il rimedio precede il diritto e la tutela dei diritti si realizza solo previo
ottenimento di particolari documenti da un organo non giurisdizionale (pretore o cancelliere); e tali
documenti sono raccolti in un registro.

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115. La Court of Chancery e lo sviluppo dell'Equity


L’equity è il sistema di diritto sviluppato e creato dalla Chancery Court che, a partire dal XIV secolo ha
affiancato il sistema di common law, imprimendo all’ordinamento inglese quel carattere dualista che non è
scomparso neppure oggi.

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116. Le ragioni dell’affermazione dell’equity


Le origini dell’affermazione della giurisdizione della Chancery Court sono legate alla crisi della giustizia
amministrativa delle corti di Westminster.
Alcuni aspetti di tale crisi sono stati osservati con riferimento all’irrigidimento della common law.
Tra in motivi della crisi vi è senz’altro anche la presenza, presso le corti di common law, di una procedura
sempre più formalistica.
A ciò deve aggiungersi il moltiplicarsi di episodi di corruzione di giudici e giurati.
Non deve dimenticarsi, poi, che la concessione del writ da parte del cancelliere rientra nel suo potere
discrezionale e che tale concessione è solo la chiave per aprire le porte delle corti di common law, ma non le
impegna assolutamente ad una pronuncia favorevole all’attore.
Insomma, la common law, agli inizi del XIV secolo, comincia a mostrarsi inadeguata di fronte ai bisogni
sempre nuovi della vita sociale inglese.
E’ proprio la crisi delle corti di Westminster che spinge i ricorrenti a rivolgersi direttamente al sovrano quale
titolare del potere e fonte di giustizia, affinché giudici con aequitas.
La petizione viene rivolta innanzi tutto al cancelliere che, se lo ritiene opportuno, la trasmette al re perché
questi adotti la sua decisione in seno al consiglio della Corona.
Quando poi diventa sempre più difficile per il sovrano riunirsi con il suo consiglio, viene a svilupparsi una
giurisdizione autonoma del cancelliere, che cresce rapidamente in poteri e sviluppa presto un ampio corpo di
regole e principi, che costituiscono, appunto, l’equity.

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117. Caratteristiche essenziali dell’equity


L’equity si qualifica come un insieme di regole complementari rispetto a quelle di common law.
Il cancelliere interviene non per violare la common law, ma solo per temperarne il rigore quando la sua
integrale applicazione costituirebbe una ingiustizia.
Inoltre l’equity è caratterizzata da grande inorganicità e asistematicità.
Essa infatti, al contrario della common law, non è un sistema autosufficiente; in fondo, si può ravvisare tra le
due, un rapporto simile a quello che, nei Paesi in cui è presente la codificazione, sussiste tra il codice e la
legislazione speciale: il primo senza la seconda gode di notevole autonomia ovvero si pone, nonostante
l’attuale fase di crisi, come sistema tendenzialmente organico e completo, ma alla seconda, senza il primo,
spesso mancano i punti di riferimento.
Altro elemento caratterizzante l’equity è la discrezionalità.
Non esiste infatti un vero e proprio diritto a ottenere dal sovrano la sua giustizia secondo equità, e quindi
non è configurabile un diritto alla pronuncia della Chancery Court.
Le corti di common law si sono concentrate su due gruppi di rimedi: quelli volti a recuperare la terra, di cui
l’attore è stato illecitamente privato, e quelli volti ad ottenere il risarcimento dei danni.
Sono dunque i nuovi rimedi elaborati e offerti dalla Chancery Court (l’esecuzione in forma specifica, la
tutela preventiva, ecc…) più incisivi ed efficaci da quelli ottenibili dalle corti di common law, che decretano
il successo di questa corte.
Inoltre, in considerazione del modello processuale adottato dalla Chancery Court, è opportuno osservare che
il cancelliere è per lungo tempo un ecclesiastico, il quale, per la gestione delle pratiche giudiziarie, in breve
molto numerose, si avvale di chierici che conoscono bene il diritto canonico e le sue procedure.
Allora, se il processo che si svolge presso le corti di Westminster è caratterizzato fin dalle origini dalla
pubblicità, dall’oralità e dalla presenza della giuria, il processo di equità si presenta come segreto, scritto,
inquisitorio e senza giuria.
Mentre le corti di common law agiscono prevalentemente sui beni, il cancelliere può agire sui diritti di
proprietà anche mediante ordini diretti alle persone, la cui eventuale inottemperanza può essere sanzionata
con la pena pecuniaria e soprattutto con l’arresto per contempt, ossia per oltraggio alla corte.
E’ bene avere presente che il rapporto tra i due rami del diritto inglese ha avuto anche momenti di aspro
contrasto.
Il conflitto più appariscente è riferibile all’inizio del XVII secolo, in connessione alla contesa fra le tendenze
assolutistiche della monarchia, che si appoggia soprattutto alla Chancery Court, e le resistenze del
Parlamento, coalizzato invece con le corti di common law.
Tale conflitto si risolve nel 1616, quando Giacomo I Stuart emana un decreto che dichiara la supremazia
dell’equity in caso di conflitto.
La supremazia è tuttavia impiegata in maniera moderata da parte di cancellieri politicamente avveduti e ciò
contribuisce a garantire la pacifica convivenza tra common law ed equity.

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118. Equity e common law: flessibilità e rigidità


Se un contratto non viene eseguito, la common law offre alla parte lesa dall’inadempimento il solo
risarcimento del danno.
Il cancelliere invece, tenendo conto che in certi casi il risarcimento può non soddisfare il credito, elabora per
suo conto la figura dell’esecuzione in forma specifica del contratto; attraverso lo strumento dell’injunction
può altresì emettere ordini di fare e di non fare.
In materia di vizi del consenso, la common law ha riguardo solamente alla violenza fisice come motivo di
annullamento del contratto.
La dottrina della violenza morale è opera della cancelleria.
Tra gli istituti più significativi elaborati dalla Chancery Court vi è il trust, rapporto fiduciario.
La sua configurazione più semplice è quella in cui Tizio cede un bene a Caio, con l’intesa però che questi lo
amministri in favore di Sempronio, che così ne percepirà i frutti.
La common law non riconosce alcun valore al rapporto fiduciario e considera Caio il titolare puro e
semplice del bene.
Il cancelliere, invece, non nega che la titolarità del bene spetti a Caio, ma riconosce e tutela l’obbligazione
che questi assume, secondo i dettami della propria coscienza nei confronti di Tizio.
Concludendo, l’equity si afferma, tra il XIII e il XV secolo, come giustizia secondo coscienza ed è infatti
amministrata dal cancelliere, che, come si è detto, è un ecclesiastico “custode della coscienza del re”.
L’equity nasce dunque come giustizia “morale” contrapposta a quella “legale”, ed è una misura di giustizia
essenzialmente relativa ed elastica, pronta ad adeguarsi alla necessità della singola situazione.
Se questa è l’impostazione originaria, con il passare del tempo l’equity cambia natura e fisionomia.
Dopo le vicende del 1616 comincia ad assumere i caratteri di rigidezza e inflessibilità già propri della
common law.
L’ufficio stesso di cancelliere non viene più affidato, a partire dal 1673, a ecclesiastici, ma a uomini politici,
per lo più giuristi.
Le decisioni giudiziarie non nascono più liberamente seguendo i dettami superiori dell’aequitas e
adeguandosi alle esigenze del caso concreto.
Le decisioni sono regolarmente conservate in appositi Reports e cominciano a seguire piuttosto la strada dei
precedenti.
In questo modo l’equity finisce proprio per diventare un secondo e ben definito complesso di casi giudiziali,
di istituti, di dottrine e di regole acquisite, che si pone al fianco della common law.

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119. Riforme nel diritto inglese nella seconda metà del XIX secolo
Le corti di Westminster e la Chancery Court amministrano la giustizia civile di maggior valore economico e
la giustizia penale relativa ai reati più gravi.
Accanto a loro, l’Admiralty Court e le corti ecclesiastiche amministrano il terzo sistema di diritto che
caratterizza, nella sua evoluzione, l’ordinamento inglese: il sistema ispirato alla civil law.
Diversa è invece la situazione con riferimento alla c.d. giustizia minore.
In particolare, la situazione concernente la giustizia civile non può dirsi in origine molto avanzata se si
riflette sul fatto che le controversie civili di modesto valore economico sono attribuite alla competenza delle
county courts solo nel 1846.
Sino ad allora, non disponendo i poveri di beni mobili o immobili, questi avvertono scarsamente il bisogni di
adire le corti superiori.
Le cause penali relative ai reati meno gravi sono, invece, di competenza del Justice of the Peace fin dal
lontano 1361.
Agli inizi del XIX secolo vi è dunque ancora in Inghilterra una notevole tendenza verso la centralizzazione
della giustizia civile, man mano che declina l’importanza delle corti locali, ed una opposta tendenza alla
decentralizzazione della giustizia penale, man mano che vengono estesi i poteri e le attribuzioni dei giudici
di pace.

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120. County Courts Act e le riforme processuali nella


giurisprudenza inglese
Il County Courts Act, 1846

Nel 1846, viene introdotta, come si è accennato, una rete di corti locali, le county courts, distribuite in 500
distretti, ciascuno dei quali fa capo ad un giudice togato.
Esse incontrano immediatamente il favore della popolazione e danno un forte impulso all’espansione del
credito.

Le riforme processuali

Nella prima parte del XIX secolo, il legislatore intraprende inoltre alcune riforme processuali.
Fra di esse meritano di essere ricordati lo Uniformity of Process Act del 1832, che prevede l’uniformità
delle citazioni di tutte le corti di common law, e il Real Property Limitation Act del 1833, che riduce il
numero delle azioni reali da 60 a 3.
Secondo il Common Law Procedure Act del 1854, inoltre, le parti sono autorizzate a rinunciare al processo
con giuria; il convenuto può avvalersi sempre delle eccezioni di equità; alle corti di common law è attribuito
il potere di ordinare la discovery dei documenti e di emettere injunction.
Con il Chancery Practice Amendment Act del 1852, poi, si introduce l’esame orale dei testimoni e si
attribuisce alla corte di equity il potere di disporre delle questioni incidentali di common law, e di concedere
il risarcimento dei danni.

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121. I Judicature Acts (1873-1875): la riorganizzazione delle corti


Le numerose corti concorrenti vengono tutte ricomprese in un’unica Supreme Court of Judicature che si
articola in due livelli di giurisdizione.
In prima istanza essa include la High Court of Justice, competente in materia civile, e la Crown Court,
competente in materia penale; in seconda istanza essa comprende la Court of Appeal.
La High Court of Justice prevede in origine 5 sezioni, ridotte a 3 nel 1881: Queen’s Banch, competente a
conoscere delle cause precedentemente attribuite alle tre originarie corti regie; Chancery, competente a
conoscere delle cause precedentemente attribuite alla Court of Chancery; Probate, Divorce and Admiralty,
con competenza in materia di successioni, matrimoni e diritto marittimo.
Queste sezioni operano, al loro interno, come giudici monocratici.
In secondo grado, viene istituita, come si è detto, un’unica Court of Appeal, che prevede una sezione civile e
una penale, entrambe organi collegiali.
Il giudizio di appello si caratterizza come un riesame della causa a seguito del quale la corte può sostituire la
propria decisione a quella impugnata, così come ordinare un nuovo processo.
Il termine Appeal non deve infatti trarre in inganno: le sentenze della High Court sono normalmente
esecutive e definitive, e la possibilità di proporre impugnazione non costituisce un diritto della parte
soccombente, ma è solo una possibilità che può realizzarsi qualora si verifichino alcune condizioni.
Con l’Appellate Jurisdiction Act del 1876, viene poi confermata la giurisdizione di ultima istanza della
House of Lords.
Essa, nella sua funzione giurisdizionale, svolge a partire dal 1876 un incisivo ruolo di “corte suprema” e a
ciò contribuiscono sia l’autorità nelle sue pronunce, che hanno efficacia vincolante per tutti i giudici
inferiori, sia il numero esiguo di ricorsi che tale corte deve decidere.
Non esiste infatti un diritto di accesso alla massima istanza, ma un sistema per cui si richiede, per accedervi,
il permesso della corte che ha pronunciato la sentenza impugnata o, in mancanza di esso, un permesso della
stessa House of Lords.
A ciò deve aggiungersi che le decisioni della House of Lords, come quelle della Court od Appeal, si
presentano con una forma ed uno stile peculiari, hanno infatti natura personale ed è il frutto del concorso
individuale di ciascun membro del collegio: non esiste la “decisione della corte” anonima e impersonale che
generalmente caratterizza le pronunce dei giudici di civil law, bensì le diverse opinions dei singoli giudici.

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122. Caratteristiche del Judicial Committee of the Privy Council


Per avere un quadro tendenzialmente completo delle corti superiori, si deve ricordare il Judicial Committee
of the Privy Council.
Il Privy Council è il consiglio privato della Corona, che trova le proprie origini nell’antica curia regis.
Il Judicial Committee costituisce ancora, per ipotesi molto particolari, l’ultima istanza in alcuni Paesi del
Commonwealth, quali lo Sri Lanka.
Il Privy Council è tornato a svolgere funzioni importanti nel 1998, in attuazione della devolution, essendogli
stata conferita la competenza a dirimere i conflitti fra le nuove autonomie e l’autorità centrale (le c.d.
“devolution issues”).
I Judicature Acts rivoluzionano dunque tutto l’antico assetto delle corti inglesi.
Il vertice della giurisdizione inglese, così come tratteggiato dalle riforme del XIX secolo, è stato modificato
con una importante legge del 2005: il Constitutional Reform Act.
A causa soprattutto della contiguità tra potere legislativo e giudiziario che scaturiva dal ruolo di giudice di
ultima istanza dell’Appellate Committee della House of Lords, questa è stata sostituita da una nuova
Supreme Court, del tutto separata ed indipendente dal Parlamento e composta da 12 giudici.
A competenza del nuovo organo di vertice della giurisdizione viene semplicemente trasferita, senza alcuna
modifica per quanto attiene alla procedura, la jurisdiction della House of Lords e quella del Privy Council
relativa alle “devolution issues”.

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123. I Judicature Acts (1873-1875): l’amministrazione congiunta di


common law ed equity
Un secondo momento di grande rilievo, connesso alle riforme introdotte dai Judicature Acts, attiene
all’amministrazione “congiunta” di common law ed equity.
A partire dalla riforma, infatti, le varie sezioni della High Court e la Court of Appeal devono applicare tutte
le regole e i principi del diritto inglese nel suo complesso, senza considerare che si sono sviluppate at law o
in equity.
Il medesimo giudice applica cioè, una volta investito dell’azione, sia le regole di common law sia le regole
di equity e la legge prevede, in via generale, che, in caso di contrasto tra le due sulla stessa materia,
prevalgano le regole di equity.
Tuttavia, la distinzione tra i due rami del diritto inglese riveste un importanza non solo storica.
E’ sufficiente pensare che il rimedio di equity risente ancora della propria origine “eccezionale” e dunque la
sua connessione rientra fra i poteri discrezionali della corte, ossia verrà accordato solo ove si dimostri
l’inadeguatezza del rimedio di common law.

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124. I Judicature Acts (1873-1875): il rule making power e le nuove


regole processuali
Una conseguenza necessaria del rinnovo delle strutture giudiziarie è l’emanazione di nuove regole
processuali che vengono indicate nel primo allegato del Judicature Act del 1875.
In esso si prevede tuttavia che la concreta regolamentazione del processo possa essere effettuata mediante
“rules of court” formulate, ogni volta che se ne presenti la necessità, da apposite commissioni composte da
giudici ed avvocati, le cui proposte possono essere approvate o respinte, ma non modificate dal Parlamento.
E’ questo il rule making power delle corti inglesi.
Lo spirito delle nuove regole emanate nel 1883, è di assicurare l’uniformità, la semplicità e l’efficace dei
procedimenti, eliminando dunque ogni obsoleto tecnicismo.
Soprattutto, viene riformato il sistema dei writs ottenendo una notevolissima semplificazione della
procedura presso tutte le corti.
Sono infatti abolite le forme di azione e i numerosi writs vengono sostituiti da un unico “writ of summons”.
Ciò ha prodotto il vantaggioso risultato di non far più dipendere il successo dell’azione principalmente dalla
sua corretta impostazione iniziale.

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125. Definizione di Attorney e narrator


Con il consolidarsi del potere delle corti regie e il graduale complicarsi e formalizzarsi del sistema dei writs,
diventa sempre più difficile per i litiganti stare in giudizio di persona.
E’ pertanto sempre più frequente il ricorso ad un attorney come rappresentante di parte, cioè a dei
professionisti che ricevono la loro formazione giuridica attraverso la pratica.
All’attorney si affianca presto la figura del narrator, provvisto di una superiore dignità professionale e dotato
di maggior prestigio.
In ogni caso, l’apprendimento del diritto avviene attraverso la pratica, la frequentazione costante di giuristi
esperti.
L’insegnamento delle università è tenuto in scarsa considerazione e ciò costituisce un impedimento alla
penetrazione in Inghilterra del diritto romano.
In particolare la preparazione per la professione giuridica si svolge nelle Inns of Court, ove gli apprendisti
sono istruiti, anche attraverso la simulazione di processi, dai membri più anziani ed esperti della professione.
Inizialmente anche gli attorneys fanno parte delle Inns annesse alle corti regie, ma nel tardo medioevo ne
sono esclusi e si ritirano nelle Inns of Chancery con i solicitors.
Al di sopra di tutte queste categorie di pratici vi è quella, prestigiosa e potente, dei serjeants at law, eredi dei
narratores e scelti fra i migliori giuristi.
Fra i serjeants vengono reclutati i nuovi giudici.

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126. Nascita dei Barristers e dei Solicitors


Nel corso del XVII secolo inizia il processo che porterà alla definitiva affermazione, con l’esclusione delle
altre categorie, dei barristers e dei solicitors, eredi delle funzioni rispettivamente dei serjeants e degli
attorneys.
L’istruzione dei solicitors consiste nella pratica in uno studio legale per un periodo di 5 anni cui si aggiunge
l’obbligo di sostenere alcuni esami presso una Law School.
La loro capacità di stare in giudizio innanzi alle corti superiori è piuttosto limitata, mentre è da sempre
riconosciuta la possibilità di stare in udienza di fronte alle county courts e ai giudici di pace.
Il solicitor prepara il materiale informativo e probatorio e tutta la documentazione che serve ai barrister per
le argomentazioni da sostenere di fronte alle corti superiori.
L’istruzione dei barristers avviene invece ancora il piccola parte nelle Inns of Courts.
Entrare in una Inn è costoso e attualmente richiede una laurea riconosciuta (non necessariamente in
giurisprudenza) e il superamento di un esame.
Tradizionalmente i barristers esercitano attività di patrocinio di fronte alle corti superiori, e non hanno
contatti con il cliente, i quali sono invece tenuti dal solicitor.
Il sistema tradizionale appena accennato, che attribuiva ai barristers il monopolio del patrocinio presso le
corti superiori ed era causa di notevoli complicazioni e di un aggravio dei costi del processo in quanto
richiedeva necessariamente la presenza delle due diverse figure di legale, è stato in parte riformato dal
Courts and Legal Services Act (1990), che ha attribuito la possibilità di stare in udienza presso le corti
superiori anche ad altre categorie professionali, e in particolare ai solicitors.
Con la riforma del 1990 i barristers hanno perso, dunque, il monopolio del patrocinio presso le corti
superiori e con esso l’esclusiva per l’ammissione alla magistratura, però hanno acquistato la possibilità di
avere rapporti direttamente con il cliente.
Sebbene alcune contrapposizioni nette siano scomparse, non pare tuttavia possa ancora parlarsi di un’unica
figura di avvocati in Inghilterra.
E’ bene ricordare che negli ultimi decenni l’importanza delle facoltà giuridiche è certamente cresciuta ed
oggi la maggioranza dei solicitors, e anche la stragrande maggioranza dei barristers, riceve un educazione
giuridica universitaria.

Sistemi giuridici di Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Paesi nordici e Pagina 127 di 235
Stefano Civitelli Sezione Appunti

127. I giudici delle corti reali nell'ordinamento giuridico inglese


Le corti reali vedono precocemente la presenza di giudici professionisti i quali, sono scelti tra i serjeants at
law.
A partire poi dal XIV secolo si è consolidata la consuetudine di reclutare i giudici inglesi fra le file degli
avvocati più prestigiosi.
Storicamente i giudici superiori inglesi (i giudici, cioè, della High Court, della Court of Appeal e della
House of Lords) erano nominati dalla Corona su proposta del Lord Chancellor (o nel caso delle corti delle
impugnazioni e dei capi delle corti, formalmente su proposta del ministro).
Da quanto appena detto appare che il Lord Chancellor era, fino al Constitutional Reform Act del 2005, in
pratica il solo incaricato della nomina di tutti i giudici e dunque massimo responsabile per l’ordine
giudiziario inglese.
Ma non può sfuggire che la figura del Lord Chancellor se da un lato godeva di grandissimo prestigio,
dall’altro costituiva anche una notevole anomalia nel sistema inglese.
Esso infatti, a ben guardare, partecipava di tutte le funzioni di governo, nominava i giudici ed era egli stesso
giudice.
Era membro del Governo e dunque una figura squisitamente politica che restava in carica fin quando il
gabinetto godeva della fiducia del Parlamento

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128. Constitutional Reform Act 2005 e Judicial Appointments


Commission
Molte di queste anomalie e contraddizioni sono state eliminate dal ricordato Constitutional Reform Act 2005
che ha anche profondamente riformato il sistema di reclutamento dei giudici.
Per quanto attiene alla figura del Lord Chancellor questi non è più da considerarsi un magistrato e gli
vengono sottratte le funzioni giurisdizionali che sono attribuite al Lord Chief Justice.
Il Lord Chancellor continua tuttavia a svolgere un ruolo importante con riferimento al sistema di
reclutamento dei giudici, che avviene secondo il seguente schema.
Una nuova Judicial Appointments Commission seleziona i candidati per ciascun posto che si renda vacante
presso qualunque corte e comunica la scelta al Lord Chancellor, il quale, a seconda dei casi, o nomina
direttamente la persona scelta o la raccomanda per la nomina alla Regina.
Il Lord Chancellor non è tuttavia vincolato rigidamente alla volontà della Commissione poiché può anche
respingere la proposta o chiedere alla Commissione di riconsiderarla.
La Judicial Appointments Commission è un “Executive Non-Departmental Public Body” ed è composta da
15 membri (magistrati, laici e rappresentanti delle professioni legali) nominati dalla regina su proposta del
Lord Chancellor.
La selezione da parte della Commissione avviene, sempre tra i barristers e i solicitors, in base al merito, ma
è interessante osservare che il Constitutional Reform Act espressamente prevede per la Commissione
l’obbligo di prendere in considerazione anche l’elemento della “diversity” tra le persone che vengono scelte,
e ciò evidentemente per rispondere all’esigenza di una magistratura maggiormente rappresentativa delle
varie espressioni della società inglese.
Per quanto attiene alle garanzie, il Constitutional Reform Act distingue due casi.
I magistrati di livello inferiore alla High Court possono essere rimossi per incapacità e cattiva condotta dal
Lord Chancellor di concerto con il Lord Chief Justice; i magistrati della High Court e delle corti superiori
possono essere rimossi solo dalla Regina su risoluzione congiunta delle due camere del Parlamento.

Sistemi giuridici di Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Paesi nordici e Pagina 129 di 235
Stefano Civitelli Sezione Appunti

129. Il numero dei giudici inglesi


Vi è ancora un dato relativo alla magistratura importante al fine di comprenderne il funzionamento, che
concerne il numero dei giudici.
Tradizionalmente si sottolineava che i giudici inglesi erano di notevole livello tecnico e… pochi.
L’affermazione resta sostanzialmente valida anche oggi, soprattutto se guardiamo ai giudici togati a tempo
pieno, che sono poco più di 1000, dei quali solo 150 sono giudici delle corti superiori, quelli cioè che
possono considerarsi giudici nel senso costituzionale del termine.
Inoltre, poiché solo tali giudici, in virtù della pienezza della loro giurisdizione, sono riconosciuti quali
prestigiosi depositari del potere giudiziario, questo risulta essere tutto concentrato a Londra.
Come è possibile questa disparità numerica, considerando che la società inglese non è meno litigiosa di
quella dei Paesi dell’Europa continentale e che le funzioni attribuite al potere giudiziario sono pressoché
corrispondenti?
Si può rispondere che ciò è possibile principalmente per due ordini di motivi:
a. il ricorso, nei secoli, ad organismi alternativi per la soluzione delle controversie sfruttando la
partecipazione di giudici laici;
b. la particolare struttura del processo civile, infatti solo poco più dell’1 % delle cause iniziate annualmente
di fronte alle corti ordinarie arriva al trial, ossia al dibattimento presieduto da un giudice di professione.

Sistemi giuridici di Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Paesi nordici e Pagina 130 di 235
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130. La magistratura laica inglese: i Justices of the Peace


(magistrates)
Tra gli strumenti impiegati dai sovrani normanni per amministrare in modo efficiente il proprio potere vi è la
nomina dei commissioners, reclutati tra la piccola nobiltà locale di provata fedeltà.
Inizialmente, i loro doveri sono amministrativi e di polizia, ma a partire dal regno di Edoardo III essi
assumono i caratteri già ben definiti degli attuali Justices of the Peace, con compiti sempre più
spiccatamente giurisdizionali.
Il Justice of the Peace (chiamato attualmente magistrate) continua ad essere un giudice laico nella maggior
parte dei casi; solo a Londra e in alcune grandi città il magistrate è ormai un giudice professionista che
prende il nome di stipendiary magistrate.
A partire dal Constitutional Reform Act del 2005, i magistrates sono nominati dal Lord Chancellor dopo
essere stati selezionati dalla Judical Appointments Commission e vengono generalmente scelti tra gli
abitanti più in vista della contea, e in particolare tra le persone alla fine della proprio regolare attività
lavorativa.
Il numero dei magistrates è piuttosto elevato: circa 30000 in tutta l’Inghilterra.
I magistrates non ricevono compenso, ma possono chiedere un’indennità per il mancato guadagno.
I magistrates sono laici, tuttavia, a partire dal 1966, per svolgere il loro servizio sostengono un corso in
materie giuridiche e sono comunque sempre assistiti da funzionari part-time retribuiti (clerks) scelti tra i
barristers o, più frequentemente, tra i solicitors.
Tutte le cause penali passano al vaglio dei magistrates, o per essere direttamente decise (e ciò accade
all’incirca nel 95 % dei casi, o per essere sottoposte ad una istruttoria preliminare.
I magistrates si riuniscono, di solito, come collegio di 3 membri e decidono, sia della colpevolezza sia della
pena, a maggioranza; non irrogano di solito pene detentive, ma pene pecuniarie.
Contro le decisioni dei magistrates è possibile proporre appello alla Crown Court che, quando giudica in
grado di impugnazione, non prevede la presenza della giuria.

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131. Nuovo Paragrafo

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132. La magistratura laica inglese: gli Special Tribunals


Gli special tribunals sono organi giurisdizionali estranei al sistema di corti ordinario, tuttavia molto
importanti per il numero (oltre 2000) sia per le competenze.
A questi organi, infatti, il legislatore ha affidato la risoluzione della maggior parte delle controversie tra
Stato e cittadini, o anche tra privati cittadini che sorgano nell’applicazione delle norme costituenti
espressione dell’idea di welfare state (intensa attività legislativa in senso sociale, welfare state, avutasi in
Inghilterra a partire dagli anni tra le due guerre mondiali).
Gli special tribunals sono dunque organi alternativi alle corti ordinarie caratterizzati, rispetto a queste
ultime, da maggiore accessibilità, minori costi e minore durata dei procedimenti.
E’ impossibile un inquadramento sistematico degli special tribunals esistenti: ciascuno ha caratteristiche sue
proprie in quanto a composizione (di norma un presidente e due membri), al rapporto fra giuristi (di norma il
presidente è giurista), esperti e laici, rappresentanti di categorie contrapposte; quanto a procedura, posizione
e ruolo delle parti e del giudice, quante impugnazioni, tipo e pregnanza del controllo delle corti ordinarie;
quanto a stile, divulgazione e autorità delle decisioni.
Quello che tuttavia è certo, è che si tratti di organi giurisdizionali che devono ispirarsi ai principi di
openness, fairness, impartiality (trasparenza, onestà, imparzialità).

Sistemi giuridici di Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Paesi nordici e Pagina 133 di 235
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133. Il modello adversary di processo civile nella giurisprudenza


inglese
La netta distinzione in due fasi costituisce senz’altro una delle caratteristiche evidenti del processo civile.
La distinzione tra pre-trial e trial, ossia fra fase pre-dibattimentale e dibattimento, è fondamentale per
comprendere la natura e il funzionamento del processo adversary.
Il pre-trial, che inizia con le primissime battute del processo e si conclude con l’avvio del dibattimento, è la
fase in cui gli avvocati delle parti hanno la più ampia possibilità di dimostrare la propria abilità ed
esperienza nella condizione della causa.
In questa fase “the case is in the hands of the parties” e sono rarissimi gli interventi del giudice.
Le funzioni fondamentali del pre-trial sono essenzialmente tre:
a. la preparazione della causa per il dibattimento: si intendono tutti gli atti che vanno dalla proposizione
della domanda all’udienza ove si danno le ultime disposizioni per il trial; inoltre si scambiano i pleadings
(ora statements of case), ossia le memorie attraverso cui le parti definiscono con chiarezza e precisione le
questioni realmente controverse, così che sono queste saranno decise dalla corte; si svolge inoltre un altro
momento caratterizzante il processo civile adversary, la discovery (ora discolsure), che consiste nello
scambio di elementi che possano costituire prove per il dibattimento;
b. la decisione della causa senza dibattimento: la fase pre-dibattimentale offre, inoltre, alla parte numerosi
strumenti procedurali intesi a definire la controversia evitando il dibattimento, e tali strumenti si rivelano
particolarmente importanti e incisivi se si pensa che le actions tried rappresentano solo l’1-1,5 % di tutte le
azioni proposte; tra i meccanismi che possono condurre alla soluzione del processo senza giungere al trial
sono di particolare interesse:
i. la transazione giudiziale;
ii. il “payment into court”, nelle azioni a contenuto pecuniario, il convenuto può, senza ammettere la propria
responsabilità, depositare presso la corte una somma di denaro a soddisfazione della pretesa dell’attore;
iii. il “default judgment”, si riferisce alla sanzione per la mancata osservanza degli adempimenti richiesti da
una norma o da un provvedimento del giudice; può essere pronunciato anche semplicemente contro la parte
che ha omesso di dichiarare la propria intenzione di difendersi in giudizio oppure non ha notificato un atto
difensivo (insomma la contumacia costituisce presunzione di colpevolezza);
c. l’adozione di provvedimenti provvisori e cautelari in attesa del dibattimento: la fase pre-dibattimentale
offre altresì alle parti la possibilità di ottenere alcuni importanti provvedimenti di carattere provvisorio; in
particolare è possibile chiedere al giudice l’emanazione di una interlocutory injunction volta ad ottenere una
tutela rapida e immediata o tendente ad assicurare lo status quo ante; costituisce generalmente un ordine di
non fare ed è un provvedimento che trova origine nell’equity, e rientra dunque nel potere discrezionale del
giudice.
Il trial è il dibattimento, caratterizzato da quell’oralità, concentrazione e immediatezza tipici del processo
civile adversary.
Le prove vengono infatti assunte oralmente davanti al giudice nel dibattimento e le regole che disciplinano
l’assunzione delle prove sono ancora piuttosto rigorose.
E’ per questo che si parla di “presenza morale” della giuria.
Il dibattimento, in cui si attua l’interrogatorio e il controinterrogatorio dei testimoni, si dice concentrato
perché tende a risolversi in una sola udienza o in più udienze in stretta successione tra loro.

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Infine, secondo il modello classico dell’adversary system, la distribuzione dei poteri tra giudice e parti
risponde a un’idea del processo come libero scontro tra contendenti che, nel rispetto delle regole, si sfidano
davanti a un giudice passivo.
Corollari di questa idea di processo sono i due principi della party-presentation e pary-prosecution.
In base al primo, spetta in via elusiva alle parti il potere di andare alla ricerca delle prove ed allegarle a
confronto dei fatti affermati.
In base a secondo, sono le parti ad iniziare un procedimento fissandone l’oggetto, e a farlo proseguire fino
alla sua conclusine.

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134. Le riforme recenti delle giustizia civile inglese (1990-1999)


A fronte di una situazione che vedeva una crisi piuttosto profonda della giustizia civile, si è andato
affermando in Inghilterra, a partire dai primi anni ’90, un movimento riformatore inteso a rendere il sistema
di amministrazione della giustizia più economico, efficiente e accessibile.
Innanzi tutto, nel 1990 viene adottato il Cours and Legal Services Act che rompe il monopolio dei
barristers per ciò che attiene al patrocinio presso le corti superiori, e dunque rende possibile una diminuzione
dei costi del processo.

Nel 1991 viene poi adottato il County courts jurisdiction Order che, ampliando la competenza delle
conuty courts, produce un notevole alleggerimento del lavoro della High Court e di conseguenza un
importante semplificazione, poiché la procedura presso le county courts è più rapida e meno complessa.
Sono dunque gli eccessivi costi, tempi e complessità procedurali, che derivano da un’esasperata cultura
adversary delle parti e dei loro avvocati, la causa principale dei mali della giustizia civile inglese.
In particolare, il criticato approccio esasperatamente adversary si manifesta soprattutto nella fase pre-trial,
ove gli avvocati, in assenza del controllo del giudice, cercano di sfruttare a proprio vantaggio tutte le
possibilità offerte dalla procedura.
Per questi motivi è parso dunque necessario un radicale cambiamento di prospettiva e di cultura del
processo, che ha condotto all’idea del case management.
Secondo tale idea il giudice deve svolgere un ruolo “attivo” in tutte le fasi del processo.

In particolare, vengono individuate diverse corsie processuali (tracks) in relazione al valore e alla
complessità della causa:
a. small claims track: riservata alle controversie di valore inferiore alle £ 5000 che prevede una procedura
estremamente informale presso le county courts;
b. fast track: riservata alle controversie di valore compreso tra le £ 5000 e le £ 15000 ma non
particolarmente complesse dal punto di vista del diritto, che prevede una discovery semplificata sotto lo
stretto controllo del giudice;
c. multi treck: riservata alle controversie di valore superiore alle £ 15000 o comunque particolarmente
complesse che prevede una procedura simile a quella tradizionale, tuttavia il giudice svolge un ruolo più
attivo.
L’Access Justice Act del 1999 ha tra gli obiettivi quello di facilitare l’accesso alla giustizia e favorire una
rapida conclusione di tutte le questioni dinnanzi alla corte, avvenga essa per conciliazione, per rinvio a
forme alternative di risoluzione, o per disposizione sommaria da parte di un giudice diventato certamente
più attivo.

Sistemi giuridici di Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Paesi nordici e Pagina 136 di 235
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135. La gerarchia delle fonti e la nozione inglese di costituzione


I testi inglesi in tema di fonti del diritto configurano un’impostazione gerarchica che non pare a prima vista
molto diversa da quella continentale.
Vi si trovano infatti elencate la Costituzione, il diritto comunitario, la legge, i precedenti e la consuetudine.
A ben guardare, tuttavia, le differenze sono profonde a partire dall’idea stessa di Costituzione.
Nel panorama del costituzionalismo moderno, contrassegnato da documenti scritti che non risalgono mai al
di là dell’epoca delle rivoluzioni americana e francese, il Regno Unito fa infatti eccezione sotto un duplice
profilo: da un lato presenta vari atti normativi solenni di età remota, quali la Magna Charta del 1215, il Bill
of rights del 1688, l’Act of Settlement del 1701; dall’altro ancora oggi nel Regno Unito non è presente una
Costituzione intesa come documento scritto di rango superiore alla legge ordinaria del Parlamento.
Esiste tuttavia un “diritto costituzionale”, un insieme di regole che disciplinano i rapporti dello Stato e
contribuiscono a definire la forma di governo, ricavabili da atti di varia epoca e da fondamentali
convenzioni.
Non esiste dunque nel Regno Unito alcuna “legge superiore” e non è ammissibile nessun controllo
giurisdizionale di costituzionalità, ma vige invece il principio della supremazia del Parlamento.
In questo quadro si inserisce lo Human Rights Act del 1998, una notevole legge in materia costituzionale
cha ha posto fine a un lungo dibattito sul ruolo della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti
dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, ratificata dall’Inghilterra fin dal 1951.
Lo Human Rights Act, che consente finalmente l’ingresso della Convenzione nel diritto inglese ammettendo
la tutela di alcuni diritti previsti dalla Convenzione da parte delle stesse corti inglesi, è di particolare
interesse se parliamo di gerarchia delle fonti e quindi di controllo di costituzionalità.
L’Act prevede infatti che tutte le disposizioni legislative (passate e future) siano lette e applicate in
conformità alla Convenzione, e inoltre attribuisce ai giudici, in caso di contrasto tra la legge interna e la
Convenzione stessa, il potere di pronunciare una “dichiarazione di incompatibilità”.
Tale dichiarazione può costituire una novità di grande rilievo nell’ambito dei rapporti tra potere giudiziario e
potere legislativo.
Per cercare dunque di cogliere cosa ha distinto, e forse ancora distingue, la common law, che si afferma
come abbiamo visto, nel corso di una ininterrotta storia i cui principali protagonisti sono i giudici, dagli
ordinamenti dell’Europa continentale, dominati, a partire dalla rivoluzione francese, da un legislatore
codificatore centralizzato e forte, è bene prendere le mosse dalla giurisprudenza.

Sistemi giuridici di Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Paesi nordici e Pagina 137 di 235
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136. Il principio Stare Decisis nella giurisprudenza inglese


La prassi secondo cui casi analoghi devono essere decisi in modo analogo, incarna un principio di giustizia
riconosciuto e applicato all’interno di tutta la tradizione giuridica occidentale poiché rispondente ad esigenze
e idee condivise quali la certezza del diritto, la prevedibilità delle decisioni, la parità di trattamento.
Ciò che invece è peculiare dei sistemi di common law è la doctrine of binding precedent, ossia la regola
secondo la quale i precedenti giudiziari sono vincolanti e devono quindi essere seguiti per i successivi casi
simili.
Nella sua accezione più rigida, tale regola indica l’obbligo per il giudice chiamato a decidere una
controversia, di non discostarsi dal precedente scaturito dalla decisione di un caso analogo anche nell’ipotesi
in cui dovesse considerare detta decisione sbagliata o ingiusta.

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137. Inasprimento della regola Stare Decisis nel diritto inglese


Il diritto inglese è, nelle sue stesse origini, un diritto giurisprudenziale: è case law.
Quindi l’obbligo di attenersi alle norme che sono poste dai giudici e di rispettare i precedenti giudiziari è
nella logica stessa di un diritto giurisprudenziale.
Solo dopo la prima metà del XIX secolo, la regola del precedente vincolante si impone in modo rigoroso.
Prima di quel momento le corti si sono preoccupate di dare coesione alla giurisprudenza sforzandosi di
guardare a ciò che è stato giudicato in precedenza, ma per lungo tempo non si è mai posto il principio
dell’obbligo di seguire i precedenti.
Anzi, fino al XV secolo la forza vincolante del precedente è dibattuta e, in fondo, respinta.
La teoria del precedente è dunque antica, ma la rigida affermazione del principio stare decisis è invece
relativamente recente.
Ponendo la case law nell’ampio contesto che le è proprio, si possono meglio comprendere le cause che
conducono, nella seconda metà del XIX secolo, a quell’irrigidimento della regola dello stare decisis cui si è
accennato.
Tra le varie cause, un posto di spicco spetta senz’altro alle importantissime riforme dell’amministrazione
della giustizia introdotte dai Judicature Acts (1873-1875).
Nello stesso periodo si va inoltre perfezionando in Inghilterra il sistema di repertoriazione delle sentenze.
Nel 1865 viene infatti istituito un organo semi-ufficiale: l’Incorporated Council of law reporting, che inizia
la razionalizzazione delle raccolte inglesi e la compilazione dei Law Reports, contenenti una selezione dei
più importanti casi decisi dalle corti superiori.
Insieme alle ragioni di ordine tecnico, deve essere considerato anche un dato culturale di ordine generale:
nell’XIX secolo si impone nel mondo occidentale una concezione scientifica delle discipline sociali.
Nell’Europa continentale questa spinta si concretizza nei codici; in Inghilterra l’idea della codificazione non
riesce ad attecchire, essendo troppo distante dalla concezione della common law come diritto
giurisprudenziale.
Ma l’esigenza di dare un assetto sistematico e coerente al diritto riesce comunque a trovare la sua strada e si
manifesta nell’irrigidimento della doctrine of precedent.
Infine, nel XIX secolo, si consolida in Inghilterra la teoria secondo sui il precedente giudiziale è
giuridicamente vincolante in modo assoluto, in quanto ciò che viene enunciato nella decisione precedente
non è l’opinione di un giudice più antico, ma la verbalizzazione di una regola di diritto consuetudinario
positivo.
Si afferma così la teoria dichiarativa del precedente giudiziario.
E’ importante sottolineare come l’elaborazione della regola non ha mai rappresentato il frutto di una etero-
imposizione nei confronti del potere giudiziario, il vincolo del rispetto del precedente non è previsto in alcun
atto legislativo, emergendo piuttosto da una scelta degli stessi giudici.

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138. Teoria e prassi della regola Stare Decisis


Teoria e prassi della regola stare decisis

Le definizioni classiche della regola sono apparentemente semplici: “secondo la regola inglese del
precedente, una corte è tenuta a seguire tutti i casi decisi da una corte ad essa superiore nella gerarchia, e le
corti in grado di impugnazione (tranne la House of Lords) sono vincolate al rispetto delle proprie decisioni
precedenti”.
Per comprendere però il concreto significato della regola stare decisis e il suo effettivo funzionamento, e
quindi i vari strumenti a disposizione del giudice per eluderla, è utile da un lato avere presente
l’organizzazione giudiziaria inglese in cui si collega la distinzione tra operatività verticale ed orizzontale
della regola, e dall’altro la distinzione tra ratio decidendi e obiter dictum:
Operatività verticale ed orizzontale della regola del precedente
In modo molto schematico si ricorda che il primo grado di giudizio, per le cause civili di scarso valore
economico e per i reati di minore allarme sociale, si svolge rispettivamente presso le county courts e le
magistrate’s courts; la competenza generale in prima istanza è attribuita alla High Court in materia civile e
alla Crown Court in materia penale; il secondo grado di giudizio si svolge presso la Court of Appeal; e la
House of Lords, ora Supreme Court, rappresenta la massima istanza.
Per i giudici inferiori, la regola del precedente, è un corollario della gerarchia delle corti; i giudici superiori
trovano invece nella dottrina del precedente in senso orizzontale un modo per perpetuare nel tempo la
propria influenza, esercitando così la funzione nomofilattica.

Cominciamo dalla giurisdizione più elevata nella gerarchia.


La House of Lords deve ormai rispettare le decisioni della Corte di Giustizia europea, ma vincola tutte le
corti inferiori, a meno che la sua pronuncia non sia “abrogata” da una legge successiva o sia stata emessa per
incuriam, cioè omettendo di osservare una contraria norma di legge o un diverso precedente.
Inoltre, fino al 1966, era sottoposta anche all’osservanza di propri precedenti.
In quell’anno, tuttavia, la House of Lords ha annunciato, in una dichiarazione stragiudiziale, nota come
“Practice Statement”, che per il futuro non si sarebbe più sentita vincolata ai propri precedenti quando ciò
fosse apparso conveniente ai fini di giustizia.
Anche se la House of Lords si è servita molto cautamente del potere attribuitasi con il Practice Statement,
questo riveste una considerevole importanza in quanto legittima formalmente la concezione secondo la quale
i giudici svolgono un ruolo notevole nella creazione de diritto, con ciò superando in maniera aperta la teoria
dichiarativa della common law.
Le decisioni della Court of Appeal vincolano tutte le corti inferiori e dunque la regola stare decisis opera
efficacemente in senso verticale, mentre l’operatività della regola in senso orizzontale è stata oggetto di
discussioni.

La Court of Appeal ha infine affrontato il problema con la nota sentenza Young v. Bristol Aeroplane Co. del

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1944, ove afferma che essa vincola anche se stessa, con tre eccezioni, che si sono rivelate di portata piuttosto
ampia: “(1) la corte ha facoltà di decidere a quale di due sentenze in conflitto, da essa stessa emesse, si
atterrà; (2) la corte ha l’obbligo di rifiutare di attenersi ad una sentenza da essa stessa emessa, la quale non
sia, a suo parere, compatibile con una sentenza della House of Lords; (3) la corte non ha l’obbligo di
attenersi ad una sentenza da essa stessa emessa se si accerta che detta sentenza era stata pronunciata per
incuriam”.
La High Court vincola solo le corti inferiori, mentre le decisioni di queste ultime non vincolano alcuno e non
hanno nemmeno efficacia persuasiva considerando anche che, non essendo incluse nei Reports, non sono
facilmente reperibili.

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139. La distinzione tra ratio decidendi e obiter dictum


Al fine di comprendere le possibilità di manovra dei giudici rispetto ad un precedente vincolante, è
importante la distinzione tra ratio decidendi e obiter dictum.
Ciò che vincola il giudice successivo non è l’intera decisione, ma solo la sua ratio decidendi, ossia la regola
giuridica legata ai fatti rilevanti de caso.
L’applicazione della ratio ad un caso futuro avviene attraverso un processo, in senso lato, analogico.
Se il giudice successivo considera i fatti ad un livello di estrema concretezza difficilmente la ratio potrà
essere estesa, poiché è sempre possibile trovare elementi divergenti tra la situazione passata e quella
presente: l’interpretazione sarà restrittiva.
Se invece i fatti vengono ricostruiti ad un alto livello di astrazione in essi potranno essere classificati un gran
numero di fattispecie concrete e quindi la ratio potrà avere un’interpretazione estensiva.
L’individuazione delle somiglianze e delle differenze nei fatti essenziali è dunque un momento chiave
dell’evoluzione della regola di common law.
Non esistono metodi sicuri per determinare la ratio di un caso.
Assai spesso è presente un elemento di incertezza ove si esplica la discrezionalità dell’interprete ed è proprio
tale discrezionalità che permette alla dottrina del precedente vincolante di sopravvivere in modo efficiente.

L’espressione obiter dictum può essere spiegata con una definizione di carattere negativo: obiter dictum è
ciò che non rientra nella ratio nel caso, è il commento incidentale fatto dal giudice, che non risulta
necessario per la definizione della controversia.
La sentenza è formata dalle singole opinioni dei giudici che compongono l’organo collegiale.
Le varie opinioni separate possono concordare tra di loro interamente o solo sul risultato della decisione e
non sui motivi, e in questo caso di parla di opinioni concorrenti; le opinioni separate possono anche essere in
disaccordo sia rispetto al judgment sia rispetto al reasoning e allora si parla di opinioni dissenzienti.

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140. Distinguishing e overruling nel diritto inglese


Se la presenza di più opinioni concorrenti rende spesso assai difficile la determinazione della ratio
decidendi, l’opinione dissenziente costituisce senz’altro un obiter dictum.
Una decisione in cui sono presenti numerose opinioni concorrenti, o addirittura dissenzienti, ha senz’altro
un’autorità minore rispetto ad una decisione unanime.
Nella prima ipotesi il giudice successivo si sentirà più libero di operare un distinguishing rispetto alla
seconda ipotesi, in cui il peso del precedente è senz’altro maggiore.
Anche l’”età” del precedente può in qualche misura incidere sulla sua forza: sia l’eccessiva anzianità che
l’eccessiva giovinezza indeboliscono il precedente, che nel primo caso rischia di non essere più in sintonia
con il comune sentire e dunque obsoleto, mentre nel secondo manca di quelle conferme ripetute che
contribuiscono ad intensificare il suo valore.
Diversa dalla tecnica del distinguishing è la nozione di overruling, la quale indica l’abrogazione della
regola giurisprudenziale vincolante e in particolare indica il potere riconosciuto ad una corte di discostarsi
da un precedente non altrimenti distinguibile.
L’overruling segue l’operatività del precedente nella gerarchia delle corti.
Così, nella prospettiva verticale, le corti superiori possono overrule i precedenti delle corti inferiori, mentre,
nella prospettiva orizzontale, solo la House of Lords, a partire dal 1966, può overrule i suoi stessi precedenti.
L’overruling di un precedente ha efficacia retroattiva, opera cioè dalla data del precedente annullato.
Questa impostazione costituisce un corollario della teoria dichiarativa della common law: l’overruling non è
il semplice cambiamento di una regola, ma è, nella prospettiva di un giudice che non crea diritto ma lo copre
di una tradizione preesistente, la correzione di un errore che è sempre stato tale.

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141. Anticipatory Overruling e il Prospective Overruling


Fra le tecniche di manipolazione del precedente sono da ricordare l’anticipatory overruling e il prospective
overruling.
Nel primo caso una corte inferiore si sottrae al rispetto del precedente di una corte superiore quando risulti
ragionevolmente certo essa stessa non seguirà più quel particolare precedente; questa tecnica consente, in
pratica, ai giudici inferiori di anticipare la futura decisione abrogativa di un precedente ormai obsoleto che ci
si attende dalla corte superiore.
Lo scopo del prospective overruling è, invece, quello di abrogare il precedente limitando l’effetto retroattivo
di tale abrogazione.
Seguendo questa tecnica, il giudice decide il caso di specie attenendosi al precedente vincolante, ma la
regola da questo posta, ritenuta superata, viene modificata per tutti i casi che si presenteranno in futuro.
Insomma la teoria inglese afferma che il precedente è strettamente vincolante non solo in senso verticale, ma
anche in senso orizzontale, poi però intuiscono le possibilità che le tecniche del distinguishing e
dell’overruling offrono al giudice per allontanarsi da un precedente sgradito e che gli permettono di mediare
le esigenze di certezza e flessibilità interne al sistema.
Quello inglese è un sistema di case law, ove le sentenze dei giudici hanno contemporaneamente la funzione
di dirimere la controversia concreta e di creare regole di diritto oggettivo valide per il futuro.

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142. Rapporto tra legge e giurisprudenza nel diritto inglese


Con il Bill of Rights del 1688 viene consacrato il principio della supremazia del Parlamento secondo cui
depositario del potere legislativo è “the King in Parliament”, ossia un organo complesso costituito dalla
House of Common, dalla House of Lords e dal Sovrano.
Ciò porta a collocare senz’altro la legge al primo posto nella gerarchia delle fonti.

Benché la legge abbia una posizione di rilievo in tutta la storia del diritto inglese, per quasi un secolo e
mezzo, dopo il 1688, il Parlamento si astiene dal legiferare nelle materie di prevalente interesse delle corti, e
lascia che la common law si sviluppi indisturbata.

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143. L’aumento della produzione legislativa nel diritto inglese del


XIX secolo
Con l’inizio del XIX secolo, il Parlamento intraprende una consistente attività legislativa, volta in gran
parte a eliminare alcune delle caratteristiche più antiquate della common law.
Il diritto comincia ad identificarsi con la volontà del legislatore e numerose riforme, che giungono a mutare
alcuni dei fondamenti secolari della common law, sono attuate attraverso gli Act del Parlamento.
Infine, con l’inizio del XX secolo, la common law entra “in the age of statutes” ed è soprattutto nel secondo
dopoguerra, al tempo della edificazione del welfare states, che può collocarsi la massima fioritura della
legislazione inglese.
Sempre per comprendere l’importanza e la posizione della legge tra le fonti del diritto, è utile ricordare che
se il giudice inglese prende una decisione senza prendere in considerazione una disposizione rilevante, tale
circostanza è motivo di appello, e quel precedente non si considera vincolante in quanto emesso per
incuriam.
Apparentemente, dunque, il ruolo della legge nell’ambito delle finti del diritto inglese è chiaro: gli statutes,
quantitativamente e qualitativamente ormai rilevantissimi, sono da porsi al vertice della gerarchia.
Tuttavia, per quanto concerne il rapporto tra legge e giurisprudenza, vi è una certa discrasia tra le
declamazioni teoriche e la realtà concreta.
Non si può infatti non ricordare che la common law nasce e si afferma come diritto giurisprudenziale.
Allora, a fianco alla supremazia formale della legge, si percepisce una sua inferiorità sostanziale rispetto alla
common law.
Nonostante l’enorme produzione legislativa, la parte più fondamentale del diritto inglese resta la common
law.
Nessuno statute, per esempio, prescrive ancora in termini generali che un uomo debba pagare i suoi debiti,
adempiere le sue obbligazioni contrattuali o pagare i danni: gli statutes presuppongono l’esistenza della
common law.
Pur prevalendo sulle altre fonti, la legge vive concretamente nei limiti che le sentenze le assicurano.
Naturalmente, il rispetto della legge si impone sempre a giudici, amministratori e cittadini, tuttavia lo statute
assume vitalità solo quando è applicato dalle corti: lo statute entra nel circuito giurisprudenziale e da questo
viene assorbito.
Ed infatti, la sentenza che interpreta lo statute è un precedente vincolante: se tale precedente è errato o
inadeguato, esso potrà essere rimosso o da un giudice superiore attraverso l’overruling o da una legge del
Parlamento.
Un’altra considerazione può giustificare, almeno in parte il permanere di una certa prevalenza del diritto
giurisprudenziale su quello legislativo.
Bisogna infatti considerare che il Parlamento si cautela lasciando poco spazio all’interpretazione del giudice,
poiché non impiega clausole ampie, ma piuttosto cura una formulazione puntigliosa, analitica e casistica
delle proprie disposizioni.

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144. Caratteristiche dello stile legislativo inglese


Caratteristiche dello stile legislativo inglese è confermata dalla circostanza per cui ogni statute contiene una
sezione finale in cui il medesimo legislatore fornisce l’interpretazione autentica dei principali termini usati.
Infine, non si può non tener conto di eventi recenti che tornano ad esaltare il ruolo e la funzione del giudice,
pur in presenza del principio della supremazia del Parlamento.
Ma oggi è certo, in Inghilterra come nel resto dell’UE, che il giudice può disapplicare le leggi nazionali
contrastanti con le norme comunitarie.
Ma c’è di più: nell’ottobre del 2000 è entrato in vigore lo Human Rights Act che è stato definito come la più
significativa redistribuzione di potere politico in Gran Bretagna dal 1688.
Questa legge dà effetto a molte norme della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo
e delle Libertà Fondamentali prevedendo che alcuni diritti, tutelati dalla Convenzione, siano direttamente
giustiziabili presso le corti inglesi.
Due sono le indicazioni che lo Human Rights Act dà ai giudici.
In primo luogo, le leggi inglesi devono essere interpretate in modo da essere compatibili con i diritti tutelati
dalla Convenzione; in secondo luogo, attribuisce ai giudici superiori il potere di emettere una dichiarazione
di incompatibilità: sarà il Governo a dover decidere se introdurre una legge che modifichi la norma
dichiarata incompatibile.

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145. La codificazione della Common Law


Il pensiero auspicante una codificazione generale della common law non fa presa in Inghilterra, tuttavia
l’idea di codificazione non è estranea a questo ordinamento.
Innanzi tutto, alcune importanti leggi hanno innovato grandi parti del diritto sostanziale, pur se in modo
settoriale.
Ma è in materia processuale che si può osservare l’esplicazione più compiuta dell’esperienza di
codificazione inglese.
Ciò che continua a distinguere la tradizione di common law attiene all’atteggiamento rispetto al codice.
In particolare, i common lawyers con condividono l’idea che il codice rappresenti quella cesura con il
passato, né condividono l’idea di completezza di esso e della sua centralità che hanno per lunghissimo
tempo caratterizzato l’esperienza di civil law.
Per favorire la razionalizzazione della common law, e per certi aspetti anche la sua codificazione, è stata
istituita nel 1965 la Law Commission, i cui compiti sono: tenere sotto controllo tutto il diritto di loro
competenza, cosicché possa attuarsi uno sviluppo sistematico e una riforma, inclusa in particolare la
codificazione di detto diritto, l’eliminazione di anomalie, la soppressione di disposizioni obsolete e superflue
e in genere la semplificazione e modernizzazione del diritto.
Pur funzionando ormai da 40 anni, non pare tuttavia che la Law Commission sia riuscita a superare le
resistenze politiche e culturali necessarie a promuovere la progressiva codificazione della common law.

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146. Interpretazione della legge nel diritto inglese: literal rule,


golden rule e l'influenza del diritto comunitario
Rispetto a leggi ricchissime di dettagli e redatte molto spesso in maniera prolissa e pedante, l’interprete
inglese dichiara la propria fedeltà assoluta al testo e da sempre si limita ad una interpretazione restrittiva.
La principale regola che rispecchia l’approccio interpretativo ermeneutico restrittivo è la literal rule,
secondo la quale l’interprete deve innanzi tutto attribuire ad una determinata disposizione il senso reso
palese dal tenore letterale delle parole.
Questo atteggiamento riesce ad esprimere ossequio verso il principio della supremazia della legge e
contemporaneamente testimonia del carattere eccezionale della legge, che quindi va affermata nei limiti dei
suoi termini.
Altri due criteri ermeneutici affiancano quello letterale venendo però in rilievo solo qualora attraverso
quest’ultimo non sia possibile giungere ad un risultato soddisfacente.
Il giudice, laddove il linguaggio utilizzato dal legislatore non sia univoco, può far ricorso alla golden rule,
che consente di discostarsi dal significato più naturale della norma se questo porti ad esiti assurdi e di
scegliere, invece, il significato che conduca ad un risultato ragionevole.
Nell’ipotesi in cui neppure tale metodo consenta di raggiungere un risultato accettabile, il giudice può
ricorrere alla mischief rule, della anche regola dello Heydon’s case (un noto precedente del 1584), che
ammette di interpretare la norma in modo tale da rimuovere effettivamente la specifica carenza che aveva
spinto il legislatore ad emanare quella legge.
Consente quindi di cercare lo scopo della norma.

Ma dove può guardare il giudice in questa sua opera di ricerca?

Mentre la risposta tradizionale escludeva il ricorso ai lavori preparatori, a partire da una importante
decisione del 1992 tale ricorso è invece ammesso.
E’ soprattutto il contatto con il diritto comunitario che ha portato l’approccio del giudice inglese rispetto
agli statutes ad allontanarsi dai canoni ermeneutici classici.
Con l’ingresso della Gran Bretagna nella CE, nel 1972, infatti, le corti inglesi sono chiamate ad applicare
atti normativi non provenienti dal loro Parlamento e redatti con una tecnica diversa da quella loro familiare.
Vi sono, infine, alcune presunzioni, impiegate dalle corti inglesi per interpretare i testi legislativi.
Le più note: le leggi penali debbono interpretarsi in senso favorevole all’imputato, si deve presumere che il
Parlamento non intenda limitare le libertà individuali, si deve presumere che il Parlamento non intenda
limitare i “property rights”, le leggi fiscali devono essere interpretate in modo restrittivo, ecc…
Le presunzioni non fanno che rispecchiare il principio della protezione di alcuni diritti fondamentali: “life,
liberty and property”.

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147. Valore della consuetudine nel diritto inglese


Insieme alla giurisprudenza e alla legge è ricordata tra le fonti del diritto anche la consuetudine, che svolge
ormai un ruolo assai limitato nell’ordinamento inglese, ove il carattere di “consuetudine immemorabile” è
posto come condizione per la sua efficacia.
Con questa espressione si intende che la consuetudine può dirsi vigente solo se si può provare che essa è
stata ininterrottamente osservata fin da epoca anteriore al 1189, il che risulta in pratica molto arduo se non
impossibile.
Quello che è piuttosto utile ancora una volta ribadire è che il diritto inglese non è un diritto consuetudinario.
L’idea di un giudice che trova la soluzione dei casi nella consuetudine immemorabile del regno, su cui si
fonda la teoria dichiarativa della common law, non è altro che una finzione volta principalmente a
mascherare il ruolo creativo delle corti.

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148. Il ruolo della dottrina nel diritto inglese


Si chiude il breve discorso in tema di fonti dicendo che i signori del diritto in Inghilterra sono i pratici:
giudici ed avvocati.
L’altra faccia di questa medaglia attiene allo scarso rilievo della dottrina.
In Inghilterra le università svolgono un ruolo quasi inesistente nella formazione de giurista, che avviene
invece presso le Inns of Courts.
Ma è da ricordare che l’Inghilterra è il Paese nel quale alcune opere di dottrina, ancorché spesso scritte da
giudici, sono state qualificate “books of autority”.
E soprattutto l’evoluzione recente mostra come l’università svolge ormai un ruolo fondamentale
nell’educazione del giurista anche in Inghilterra.
Infine, deve essere ancora una volta richiamato il notevole aumento della produzione legislativa, il quale
contribuisce a valorizzare il ruolo della dottrina.
Lo stile degli statutes inglesi richiede, infatti, l’opera di chiarificazione e sistematizzazione della dottrina,
soprattutto nei settori nei quali la common law non offre schemi concettuali adeguati.

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149. La Common Law negli Stati Uniti


“Il diritto degli Stati Uniti è, come quello inglese, un diritto essenzialmente giurisprudenziale.
Questa affermazione, che è senz’altro vera se si considerano la struttura del diritto e la stessa nozione di
regola giuridica, solleva invece qualche riserva allorché si guarda l’importanza che hanno rispettivamente,
nel diritto odierno, la legislazione e la giurisprudenza”.
In via preliminare si osserva infatti da un lato la presenza di una Costituzione scritta, che pone una forma di
Stato federale da cui discende la distinzione tra leggi statali e federali e che prevede inoltre un sistema
giudiziario nazionale a fianco di quello dei singoli Stati; dall’altro bisogna avere presente sia il relativamente
recente aumento della produzione legislativa, sia l’importanza delle law schools.
E’ inevitabile prendere lo spunto dalla Costituzione de 1787, la cui importanza si riflette su ogni aspetto del
diritto americano.

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150. La ricezione della Common Law nelle colonie e l’indipendenza


americana
I primi insediamenti inglesi nel continente nord americano risalgono agli inizi del XVII secolo.
Quale diritto si applica nelle colonie?
Il noto Calvin’s case del 1608 offre una risposta in fondo poco soddisfacente: “la common law inglese è
applicabile nella misura in cui le sue regole siano appropriate alle condizioni di vita che regnano nelle
colonie stesse”.
L’eccezione, infatti, si rivela più importante del principio generale: se si considera l’alto tecnicismo della
common law e si considera che la sua affermazione è legata all’opera di un ceto di giuristi altamente
sofisticato, si comprende facilmente come la sua applicazione sia sostanzialmente improbabile.

Il quadro appena accennato lentamente muta e, all’inizio del XVIII secolo, la common law comincia a farsi
strada.
Verso la metà del XVIII secolo si afferma, quale reazione all’imperialismo inglese, il movimento per
l’indipendenza, e quanto nelle colonie la situazione sia cambiata con riferimento all’élite politica e culturale
è provato dal fatto che molti dei 56 firmatari della Dichiarazione d’Indipendenza sono giuristi.
Ma quel che è importante è che nella Dichiarazione d’Indipendenza si manifesta in modo chiaro l’intenzione
dei padri fondatori di dotare la nuova nazione di ideali universali imperniati sul riconoscimento e sul rispetto
delle libertà fondamentali.

Le 13 colonie, staccandosi dalla madrepatria, sono diventate Stati sovrani.


Ma dopo la guerra d’indipendenza, nel 1781, è ormai evidente la convenienza di stabilire un’unione
permanente che duri anche in tempo di pace.
Ecco dunque che si elaborano gli Articles of Confederation, approvati nel 1781 e ratificati nel 1782.

Gli Articles riconoscono la piena sovranità degli Stati membri dell’Unione, sottraendo loro solo quei poteri
politici che vengono attribuiti espressamente al Congresso degli Stati Uniti, composto da un rappresentante
per ciascuno Stato.
L’Unione nasce tuttavia piuttosto debole, principalmente perché al Congresso non sono stati dati poteri
sufficienti e strumenti efficaci per costringere i singoli Stati al rispetto dei doveri confederali.
In questa situazione un gruppo di lungimiranti uomini politici decide di convocare, nel 1787, una
Convenzione a Philadelphia.
Scopo della Convenzione è di trasformare e rafforzare l’Unione prevista dagli Articles of Confederation.
La Convenzione di Philadelphia redige in breve tempo un progetto di Costituzione che viene sottoposto al
voto degli Stati per la ratifica, che avviene, Stato per Stato, tra la fine del 1787 e l’inizio del 1788.

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151. L’importanza della Costituzione e del Bill of Rights


“Il pensiero giuridico domina gli Stati Uniti ad un livello straordinario.
Ogni atto del Governo, ogni legge passata dal Congresso, ogni atto ratificato dal Senato, ogni ordine del
Presidente è analizzato alla luce di considerazioni giuridiche e sottoposto ai rischi della sfida giudiziaria.
Nessun altro Paese del mondo conferisce al giudiziario un potere paragonabile a quello che gli è conferito
negli Stati Uniti”.
Questi sono i motivi che spingono ad assumere, quale punto di partenza per lo studio del diritto americano,
la Costituzione.

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152. Gli articoli originari della Costituzione Americana


La Costituzione americana è il risultato di un compromesso che riflette le notevoli tensioni tra i federalisti e
gli anti-federalisti.
Per esempio, in riguardo alla composizione del Congresso, si vede a fianco di una camera ove sono
rappresentati gli Stati in considerazione della loro grandezza, una camera ove sono invece rappresentati in
modo paritario.
Gli articoli originari della Costituzione sono 7, a cui si sono aggiunti, nel corso del tempo, 27 emendamenti:
pochissimi se si pensa che più di due secoli sono passati da quando i padri fondatori si riunirono a
Philadelphia e che i 13 Stati sono ora 50.
Dei vari emendamenti, i primi 10 costituiscono il Bill of Rights, ossia la carta dei diritti fondamentali, e sono
stati adottati nel 1791, mente l’ultimo, ratificato nel 1992, tutela il trattamento economico dei senatori e dei
rappresentanti.
Tra gli emendamenti che si collocano fra i due estremi temporali ora richiamati, sono molto importanti
quelli adottati a seguito della guerra civile, volti ad abolire la schiavitù.
Gli articoli originari dettano le basi istituzionali della forma di governo, che è stata definita presidenziale, e
individuano la distribuzione dei poteri tra Stati e Federazione.
L’impianto formale della Costituzione riflette la classica tripartizione dei poteri: l’art. I disciplina il potere
legislativo, l’art. II l’esecutivo, l’art. III il giudiziario; ma deve essere detto subito che, in considerazione del
sistema istituzionale americano, all’idea della separazione si affianca quella di “checks and balances” che
punta a realizzare una condizione di tendenziale equilibrio fra i tre rami; ciascun potere, infatti, pur godendo
della massima autonomia cui si accompagna la mancanza del rapporto di fiducia che nei sistemi
parlamentari lega legislativo ed esecutivo, ha la possibilità di “controllare” l’altro ed è, a sua volta,
“controllato”.

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153. Articolo I della Costituzione americana


Il potere legislativo federale è attribuito al Congresso, organo bicamerale.
Il Senato è composto da due rappresentanti per ogni Stato membro, che vengono rinnovati per ogni due
anni.
La Camera dei Rappresentanti è, invece, formata su base nazionale, in modo proporzionale alla popolazione
degli Stati, da deputati con mandato biennale.
Il Congresso ha competenza legislativa solo per le materie espressamente previste: moneta, tasse, difesa,
diritto d’autore, diritto marittimo, commercio con l’estero e tra i singoli Stati.
Oltre i poteri espressamente conferitigli ha anche il potere di promulgare le leggi “necessarie e adatte”
all’esercizio di quanto esplicitamente attribuito.
La “necessary and proper clause” e la “intestate commerce clause” si sono rivelate nel tempo strumenti
molto utili all’ideale federalista, poiché hanno portato, tramite l’interpretazione estensiva svolta dai giudici
federali, ed in un lima istanza dalla Corte Suprema, ad un notevole ampliamento del potere di intervento del
legislatore nazionale.
Nei settori principali del diritto privato la competenza rimane ai singoli Stati: diritto di famiglia, successioni,
responsabilità civile, contratti, diritto societario.
Tutte queste materie sono disciplinate non solo e non tanto dalle leggi statali, ma, trattandosi di materie che
tradizionalmente rientrano nella common law, sono governate dalla giurisprudenza delle corti locali.
Sotto il profilo quantitativo, l’estensione del diritto federale rispetto a quello degli Stati ha subito profondi
mutamenti nel corso della storia.
Nel XIX secolo il Congresso è intervenuto assai poco in materia di diritto privato, mentre nel XX secolo ha
invece legiferato con abbondanza in materia economica e nei settori della tutela dell’ambiente e dei
consumatori.

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154. Articolo II della Costituzione americana


Il potere esecutivo è attribuito al Presidente degli Stati Uniti il quale è insieme Capo dello Stato e Capo
dell’esecutivo, e deve essergli riconosciuta sul piano propriamente politico una posizione di marcata
preminenza in virtù del fatto di non essere scelto dal Congresso ma di ricevere una diretta investitura
nazionale dal corpo elettorale, ancorché secondo un sistema indiretto.
Il Presidente è eletto, infatti, per 4 anni (rinnovabili una sola volta), da un collegio di “Grandi Elettori”, che
sono a loro volta eletti dal popolo.
Un importante attribuzione costituzionale concerne il comando delle forze armate del quale è esclusivo
titolare il Presidente, nonostante la competenza formale di dichiarazione di guerra sia riconosciuta
espressamente solo al Congresso.
Si ricorda inoltre che il Presidente ha il potere di stipulare trattati internazionali ed inoltre ha il potere di
nominare ambasciatori, consoli, altri rappresentanti diplomatici e, per quel che ci interessa, i giudici della
Corte Suprema e tutti gli altri pubblici ufficiali degli Stati Uniti.
Il Presidente degli Stati Uniti può essere rimosso dall’incarico solo con un procedimento di impeachment,
che prevede la messa in stato di accusa da parte della Camera dei Rappresentanti e il giudizio di condanna
del Senato, presieduto in quell’occasione dal Chief Justice della Corte Suprema.

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155. Articolo III-IV-V-VI-VII della Costituzione americana


Articolo III

Qui si prevede la giurisdizione federale attribuendola espressamente a una Corte Suprema e conferendo al
Congresso il potere di creare, eventualmente, corti federali inferiori.

Articoli IV-V-VI-VII

Gli articoli successivi prevedono norme molto eterogenee.


Di particolare importanza: l’affermazione che i cittadini di tutti gli Stati hanno uguali diritti; il complesso
procedimento per emendare la Costituzione; la dichiarazione secondo cui la Costituzione e le leggi federali
sono la “supreme law of the land”.

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156. Caratteristiche del Bill of Rights


Si è già detto che i primi 10 emendamenti della Costituzione rappresentano il Bill of Rights, ossia la carta
dei diritti fondamentali dei cittadini americani.
I primi 10 emendamenti, approvati in brevissimo tempo e già in vigore nel 1791, possono in fondo
considerarsi una vittoria degli anti-federalisti, poiché in origine limitano esclusivamente il potere del
governo federale: solo nel 1878, il XIV emendamento estende la tutela dei diritti limitando anche i poteri dei
singoli Stati.
Molte delle garanzie contenute nel Bill of Rights fanno parte del patrimonio della common law: garanzia del
“due process” contenuta nel V e nel XIV emendamento, diritto alla giuria nel processo civile, ecc…
Ciò che è innovativo del Bill of Rights è la completezza dell’elenco dei diritti che, unitamente all’idea di
rigidità, conduce a una efficace tutela delle libertà individuali, che si svolge principalmente attraverso il
controllo giudiziario di costituzionalità delle leggi.
Il contenuto essenziale del Bill of Rights
La maggior parte delle tutele previste riguardano le modalità che le procedure per l’attuazione della giustizia
federale penale e civile devono rispettare.
In questa prospettiva si spiegano il IV emendamento, che protegge la persona, l’abitazione e la
corrispondenza da perquisizioni e sequestri illegittimi; il V emendamento, che prevede il rinvio a giudizio
solo da parte della giuria, il diritto a non testimoniare contro sé stessi, in divieto del bis in idem, e tutela la
vita, la libertà e la proprietà attraverso il “due process of law”; il VI emendamento, relativo al processo
penale, ove all’imputato si riconosce il diritto al giudice naturale e alla giuria, a presentare testimoni a favore
e interrogare quelli a carico, nonché ad essere assistito dal difensore; il VII emendamento, che prevede la
garanzia della giuria anche nelle cause civili di un certo rilievo; l’VIII emendamento, che pone il divieto di
pene crudeli e insensate.
Il Bill of Rights include anche importanti garanzie estranee al corpo processuale.
Il I emendamento tutela la libertà di parola, di stampa, di riunione e di culto.
Il V emendamento proibisce l’espropriazione senza indennizzo.

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157. La Due Process Clause nel diritto americano


E’ utile allora fermare l’attenzione sul Due Process of Law: clausola tra le più importanti e che più fa
discutere i costituzionalisti americani.
Vi è un legame piuttosto stretto tra questa formula assai vaga e la nozione di “Rule of law”, con cui si
intende sottrarre i consociati all’arbitrio del potere, istituendo un governo di leggi e non di uomini.
In riferimento all’evoluzione più recente della giurisprudenza americana, alcune importanti sentenze della
Corte Suprema successive all’11/9/2001, in cui a Corte si è in fondo limitata ad intervenire su qualche
aspetto di una aggressiva legislazione antiterrorismo, salvandone però la sostanza, si nota che quella relativa
al due process è una materia molto complessa e suscettibile di interpretazioni assai controverse, all’interno
della quale la teoria americana ha tradizionalmente individuato una non semplice distinzione:

- Procedural Due Process, si riferisce ad un giudizio “fair” sotto il profilo tecnico-processuale.

- Substantive Due Process, ha tentato di impiegare la formula del Due Process come garanzia dei diritti
sostanziali di libertà e proprietà.

Altri interessanti esempi che rivelano una interpretazione estensiva della Due Process Clause, sono riferibili
ai c.d. “penumbra rights”, ovvero quei diritti che sono tutelati dalla Corte Suprema in quanto riescono, in
senso lato, a rientrare nella sfera di azione del Due Process: in generale il diritto di privacy e il diritto della
donna ad interrompere volontariamente la gravidanza nella prima fase della gestazione.

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158. Il X emendamento nella Costituzione americana


La Costituzione americana istituisce un sistema piuttosto originale in cui si verifica una sovrapposizione di
due serie di organi: se a livello federale vi sono il Congresso, un Presidente e un sistema delle corti, anche a
livello locale troviamo un potere legislativo, un Governatore e un’autonoma organizzazione giudiziaria.
Sorge dunque il problema della distribuzione del potere e della divisione delle competenze tra federazione e
Stati.
Il X emendamento aggiunge un principio generale importantissimo: la competenza legislativa degli Stati è la
regola e la competenza federale l’eccezione.
Il diritto federale nasce dunque limitato ma superiore al diritto statale: limitato in quanto esercitabile solo
nella misure entro cui viene espressamente attribuito e superiore perché la Costituzione e le leggi degli Stati
Uniti sono la “legge suprema del Paese”.
Tuttavia i rapporti tra competenze federali e statali sono complicati dalla circostanza che anche nelle materie
di competenza del Congresso, la competenza degli Stati non è esclusa ma residuale e dunque concorrente.

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159. L’articolo III della Costituzione americana e l’organizzazione


giudiziaria
Alla disciplina del potere giudiziario federale, la Costituzione degli Stati Uniti dedica l’art. III: il primo
paragrafo istituisce la Corte Suprema, conferisce al Congresso il potere di creare corti federali inferiori e
determina le garanzie di indipendenza dei giudici; mentre il secondo paragrafo individua la competenza
delle corti, che possono conoscere solo dei casi e delle controversie espressamente previsti.
A fianco dell’organizzazione giudiziaria federale sono presenti le corti di ciascuno Stato: si pone dunque un
dualismo perfetto tra giudiziario nazionale e locale.
Ciò è parte dell’originalità del federalismo americano, poiché in numerosi altri Stati federali, come per
esempio la Germania e la Svizzera, gli organi giudiziari federali si trovano solo al vertice della gerarchia.
Le corti federali
Le corti di primo grado prendono il nome di District Courts, quelle di secondo grado solo le Court of
Appeal, e infine vi è la Corte Suprema degli Stati Uniti.
I giudici che compongono queste corti godono delle ampie garanzie previste dall’art. III, ossia rimangono in
carica a vita, potendo essere destituiti sono attraverso il procedimento di impeachment, e la loro retribuzione
non può essere diminuita finché essi sono in carica.
Il Congresso può inoltre istituire altri tribunali federali, i quali tuttavia hanno competenza limitata e non
godono delle garanzie di cui all’art. III.

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160. Articolo III della Costituzione americana: U.S. District Courts,


U.S. Courts of Appeal, U.S. Supreme Court
Si tratta di corti specializzate.

a. U.S. District Courts


Sono 94, e vi appartengono poco più di 600 giudici.
In ciascuno Stato è presente almeno una District Court che opera generalmente come organo monocratico.

b. U.S. Courts of Appeal


Sono 13, articolate su circuiti territoriali, e vi appartengono circa 200 giudici (da un minimo di 6 per il primo
circuito comprendente gli Stati del Maine, Massachussetts, New Hampshire, Rhode Island, Puerto Rico; ad
un massimo di 28 per il nono circuito comprendente gli Stati dell’Alaska, Arizona, California, Colorado,
Idaho, Montana, Nevada, Oregon, Washington, Guam, Hawaii).
E’ un organo collegiale formato da tre giudici.

c. U.S. Supreme Court


E’ l’unica prevista espressamente dall’art. III, ed è composta da 8 Associate Justices e da un Chief Justice.
L’appellativo di Justice è riservato ai membri della Corte Suprema mentre tutti gli altri sono semplicemente
Judges.
Il numero dei giudici è definito con legge ordinaria dal Congresso.
La circostanza che la Corte Suprema sia istituita dalla Costituzione, ma che il numero dei suoi giudici,
nominati dal Presidente con il consenso del Senato, sia stabilito con legge ordinaria, è una chiara
manifestazione dell’idea dei “checks and balances”.

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161. Competenza della Corte Suprema americana


L’art. III prevede due ipotesi di competenza della Corte Suprema: original jurisdiction (competenza in primo
grado nel caso, assai raro, di controversie in cui sia parte uno Stato e di controversie riguardanti
rappresentanti diplomatici) e appellate jurisdicion (competenza in grado di impugnazione contro le decisioni
sia delle corti federali d’appello sia delle corti supreme statali, nelle ipotesi di controversie in cui si applichi
il diritto federale o di controversie tra cittadini appartenenti a Stati diversi dell’Unione).
La Corte Suprema è composta attualmente da 9 Justices, i quali decidono pochi casi di grande importanza.
Si tratta di una corte che opera una severa selezione delle questioni da trattare.
Come esempio dell’importanza e dell’impatto delle questioni decise dalla Corte Suprema e del suo ruolo di
costante interprete della Costituzione, si cita il caso Plessy v. Ferguson del 1896.
In questo caso, la Corte Suprema, dovendo decidere sulla legittimità della regolamentazione segregata dei
mezzi di trasporto, sostenne che la segregazione razziale era costituzionalmente valida purché i servizi
offerti fossero uguali per i bianchi e per i neri: sancendo il c.d. principio “separate but equal”.

Il precedente Plessy v. Ferguson è superato solo nel 1954, anno in cui venne deciso all’unanimità il caso
Brown v. Board of Education of Topeka.
In questa sentenza, permettendo finalmente ai bambini neri di andare a scuola con i bambini bianchi, si
sostiene che la segregazione razziale è costituzionalmente illegittima per sé.
Con Brown v. Board of Education si compie l’overruling, ancorché implicito, di Plessy v. Ferguson e si apre
la strada alla legislazione sui diritti civili.
Per quanto concerne la procedura seguita dalle corti federali, momento importante è il 1934, anno in cui il
Congresso incarica la Corte Suprema di redigere norme di procedura civile valide per tutto il sistema
federale, riservandosene tuttavia l’approvazione.
La Corte svolge rapidamente il compito assegnatole elaborando le Federal Rules od Civil Procedure
approvate nel 1938, cui si sono via via uniformati anche i singoli Stati.

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162. Cenni sull'organizzazione giudiziaria degli Stati Uniti


E’ piuttosto difficile parlare in termini generali dell’organizzazione giudiziaria dei 50 Stati.
In via di approssimazione è possibile tuttavia affermare che in ciascuno Stato sono presenti 3 gradi di
giurisdizione (ma in circa degli Stati manca il livello intermedio).
Inoltre in molti Stati sono presenti organi giurisdizionali specializzati.

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163. I giudici federali nel diritto americano: i Justices


Per quanto concerne la magistratura federale, il sistema di reclutamento è il medesimo per i giudici delle
corti di ogni grado: nomina del Presidente con il consenso del Senato.
Tuttavia, in ragione del particolare ruolo che la U.S. Supreme Court riveste nell’ordinamento, la scelta
relativa ai giudici che la compongono segue un iter particolare in cui l’impronta personale del Presidente è
molto forte.
Benché il nome del futuro Justice sia sempre proposto dal Presidente, il ruolo del Senato non deve essere
sottovalutato.
Nella nomina dei giudici della Corte Suprema, il Presidente non è guidato solo dagli orientamenti politici del
candidato, ma anche da considerazioni di “equilibrio”: si cerca di evitare che tutti i Justices provengano da
una medesima area geografica e inoltre un giudice ebraico sarà, almeno tendenzialmente, sostituito da un
altro giudice ebraico, un giudice nero da un nero, un giudice donna da un’altra donna.
I giudici federali sono nominati a vita e possono essere rimossi dalla carica esclusivamente attraverso il
procedimento di impeachment.
I giudici federali sono circondati da una grande tradizione di autonomia e prestigio.
L’indipendenza dei Justices rispetto all’esecutivo è testimoniata da numerosi esempi, tra cui si ricorda quello
noto del Presidente Eisenhower, repubblicano e conservatore, che nominò i giudici Warren e Brennan, che
porteranno avanti le istanze progressiste con particolare riferimento alla tutela delle minoranze e alla
disgregazione razziale nelle scuole.
Ebbene, Eisenhower definì la nomina di Warren come il proprio peggiore errore politico.
La Corte Suprema è presieduta dallo Chief Justice.
Mentre il Presidente degli Stati Uniti è direttamente coinvolto nella scelta dei Justices, delega invece questo
potere all’Attorney General, il Ministro della Giustizia, quando si tratta degli altri giudici federali.
In tali casi svolgono un ruolo importante i senatori dello Stato in cui deve essere coperta la vacanza.
E’ importante per un Presidente nominare un alto numero di giudici poiché questi saranno portatori della sua
ideologia oltre il suo mandato.

Chi sono i candidati alla carica di giudice federale?


Le scelte presidenziali si rivolgono generalmente ai giudici delle corti inferiori, ai professori delle facoltà
giuridiche, ai “public officers”.
Si realizza dunque negli Stati Uniti una notevole mobilità nelle professioni legali, da cui scaturisce un
“Bench” molto meno omogeneo rispetto alla tradizione inglese, ove, abbiamo visto, i giudici vengono
necessariamente reclutati tra gli avvocati di maggior prestigio.

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164. La scelta dei giudici statali nel diritto americano


Ancora una volta, tentando di generalizzare, è possibile individuare tre modelli per la scelta dei giudici
statali.
Il primo e più tradizionale modello si basa sul principio dell’elezione popolare, e la durata della carica può
variare dai 6 ai 12 anni.
Un secondo modello, che ricalca quello federale, prevede la nomina da parte del Governo previo consenso
del Senato.
Negli ultimi decenni è andato ad affermarsi in alcuni Stati un sistema misto, di cui possono individuarsi due
importanti varianti.
Secondo il California Plan, il Governatore sottopone il nome di un candidato alla Commission on
Qualifications; se il nome è approvato, il candidato si considera nominato per 1 anno, trascorso il quale si
presenta all’elettorato per la conferma; se confermato, rimane in carica per 12 anni.
Secondo il Missouri Plan, una commissione mista di giudici, avvocati e laici sceglie 3 candidati per ogni
posto vacante; il governatore deve nominare uno dei tre, il quale dopo il 1 anno di carica, si presenta
all’elettorato per ottenere un mandato regolare, che può essere di 6 o 12 anni.
Questo sistema ha ottenuto un notevole successo.

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165. Marbury V. Madison: il controllo giurisdizionale di


costituzionalità delle leggi
Il potere di giudicare della legittimità costituzionale delle leggi federali e statali, ossia il potere di judical
review esercitato dalle corti americane, cui si è più volte accennato, non è previsto espressamente dalla
Costituzione, ma è affermato dal Chief Justice Marshall nella più famosa e citata sentenza della storia del
diritto americano: Marbury v. Madison del 1803.
E’ utile ripercorrere sommariamente i fatti del caso.
Marbury viene nominato giudice di pace dal presidente federalista Adams, poche ore prima che scada il suo
mandato.
Madison, funzionario della nuova amministrazione Jefferson (anti-federalista), non completa la procedura di
notificazione dell’incarico a Marbury, profittando del fatto che, nella fretta degli ultimi giorni di gestione del
potere, l’amministrazione Adams non ha fatto in tempo a portarla a termine.
Marbury, considerando la notifica un atto dovuto, agisce in giudizio presso la Corte Suprema, presieduta tra
l’altro da Marshall (appartenente al suo stesso partito), per obbligare Madison a notificargli la nomina.
La Corte Suprema è all’epoca un organo ancora piuttosto debole, e si trova dunque tra la scelta di accogliere
la domanda del ricorrente rischiando di apparire schierata con l’opposizione, e rischiando quindi di aprire un
contrasto istituzionale, e la scelta di respingere la domanda apparendo tuttavia ubbidiente al volere del
Governo.
Il giudice Marshall nega il rimedio ponendo la questione del rapporto fra il Judiciary Act e la Costituzione:
concludendo che la disposizione del primo (che conferisce a Marbury il diritto di accesso alla Corte
Suprema) è incompatibile con la distinzione tra la competenza in primo grado e in grado di impugnazione
prevista dalla seconda.
L’art. III della Costituzione elenca infatti esplicitamente i casi in cui la Corte Suprema è competente in
primo grado, ed essendo chiaro che il caso di Marbury non rientra tra questi, poiché egli non è un
ambasciatore né un rappresentante diplomatico né un console, la legge votata dal Congresso non può
consentirgli di adire direttamente la massima istanza federale.
Marshall giunge alla conclusione che: “o la Costituzione è superiore ad ogni atto legislativo non conforme
ad essa, o il potere legislativo può modificare la Costituzione con una legge ordinaria”.
E qui risiede gran parte del significato della “concretezza” del modello diffuso, per cui il giudizio sulla
legittimità costituzionale di una legge è strettamente funzionale alla soluzione di una controversia reale ed
effettiva.
Il modello di controllo di costituzionalità delle leggi americano, individuato da Marshall in Marbury v.
Madison è comunemente definito diffuso, poiché non esiste un giudice costituzionale ad hoc, ma è svolto da
tutti i giudici ordinari nel momento in cui devono risolvere una controversia concreta.
Si è tuttavia aggiunto che per il buon funzionamento di questo sistema, è importante la presenza della regola
stare decisis.
E’ utile fare un esempio che spieghi l’importanza di tale rapporto.
E’ possibile l’ipotesi in cui la corte federale d’appello di un determinato circuito disapplichi, ritenendola
costituzionalmente invalida, una legge federale: tale decisione vincolerà tutte le corti distrettuali presenti nel
circuito.
La medesima legge può tuttavia essere applicata dalla corte d’appello di un diverso circuito.

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Ciò è possibile poiché l’operatività orizzontale (ossia tra corti di pari grado) della regola del precedente è
piuttosto debole.
Tuttavia, trattandosi di una questione di costituzionalità, questa non solo giungerà, tramite il sistema delle
impugnazioni, dinnanzi alla Corte Suprema, ma verrà da questa risolta e tale decisione vincolerà tutti i
giudici inferiori, comprese le corti d’appello che hanno deciso in modo tra loro difforme.

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166. Il rapporto tra giurisdizione federale e statale nel diritto


americano
Il Congresso federale ha la possibilità di legiferare solo le materie espressamente attribuitegli dalla
Costituzione e, in tutti i casi in cui tale attribuzione non avviene, il potere legislativo risiede nei singoli Stati.
Similmente per ciò che concerne il rapporto tra giurisdizione statale e federale, è configurabile la prima
come regola e la seconda come eccezione.
L’art. III della Costituzione prevede la competenza federale in due ipotesi fondamentali: la prima trova
origine nella natura della controversia e il giudice federale è competente quando debba essere applicata la
Costituzione o un legge federale (federal question jurisdiction); la seconda trova origine nelle persone dei
ricorrenti e il giudice federale è competente quando parte in causa sono il Governo degli Stati Uniti, i
rappresentanti diplomatici stranieri e quando la controversia (di valore superiore a $ 75000) sorge tra
cittadini appartenenti a Stati diversi dell’Unione (diversity jurisdiction).
Raramente, tuttavia, tale competenza è esclusiva: il più delle volte le parti possono adire le giurisdizioni
statali, con eventuale ricorso alla Corte Suprema degli Stati Uniti contro la decisione dell’organo statale di
ultima istanza, e la Corte Suprema accetterà di conoscere la causa solo se questa rientra nelle sue
competenze.
Apparentemente dunque la distinzione tra giurisdizione statale e federale è chiara, ma la situazione si
complica se si considera che in alcune ipotesi, e principalmente dei frequenti casi di diversity jurisdiction, le
corti federali sono chiamate ad applicare il diritto statale.
L’applicazione del diritto statale da parte della Corte Suprema nei casi di diversity jurisdiction è stabilita dal
Judiciary Act del 1789, il quale parla generalmente di “law” degli Stati.
La sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti nel caso Swift v. Tyson del 1842 porta ad interpretare
“law” come legge in senso tecnico e quindi impone alle corti federali di applicare lo statute law dello Stato
territoriale nei casi di diversity jurisdiction, ma in assenza di questo (cioè in casi di vuoti di tutela) tale
interpretazione impedisce alle corti federali di ricorrere alla common law di quello stesso Stato,
autorizzandole in pratica a creare una common law generale.
L’impostazione adottata in Swift v. Tyson crea tuttavia numerosi problemi sia sul piano pratico, sia sul
piano costituzionale.
Per quanto attiene al primo profilo, può verificarsi un ingiustificato dualismo di soluzioni giuridiche a
seconda che si investa del giudizio un organo statale oppure un organo federale.
La situazione è tanto peggiore in quanto può dipendere da una delle parti porre le condizioni (cambiando,
per esempio, residenza da uno Stato ad un altro) perché gli organi federali possano, o meno, essere aditi.
Nel secondo profilo, prevedendo la competenza delle corti federali tra soggetti di diversa cittadinanza, si
vuole assicurare pari giustizia alle parti di Stati diversi e non autorizzare la creazione di un diritto federale in
materie in cui il Congresso non può legiferare.
In considerazione dei vari problemi che la soluzione adottata in Swift v. Tyson pone, tale precedente viene
superato nel 1938 con Erie Railroad Co. v. Tompkins: la Corte Suprema degli Stati Uniti afferma in modo
chiaro che “fuorché nelle materie regolate dalla Costituzione federale e dalla leggi del Congresso, il diritto
che deve essere applicato in ogni fattispecie è il diritto di uno Stato particolare. Che il diritto di questo Stato
sia formulato dal suo Parlamento con legge scritta o dalla sua corte suprema in una decisione non è cosa che
riguarda le autorità federali”.

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167. Fattori di semplificazione e uniformazione del diritto


americano
Secondo quanto affermato nel caso Erie Railroad Co. v. Tompkins, non esiste negli Stati Uniti una common
law federale, ma solo la common law dei singoli Stati cui devono aggiungersi, per aver un quadro completo
delle fonti, le leggi statali e quelle adottate dal Congresso nelle materie in cui ciò è ammesso dalla
Costituzione e la Costituzione stessa accompagnata dalla giurisprudenza che ne ha via via offerto
l’interpretazione.
A fronte della sua notevole complessità sono tuttavia presenti nell’ordinamento americano alcuni importanti
fattori unificanti, i quali, tra l’altro, mettono in luce le peculiarità del sistema rispetto a quello inglese.
Si tratta della presenza delle law schools e della conseguente importanza della dottrina, oltre naturalmente
alla Costituzione e alle leggi federali.

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168. Le Law Schools e la dottrina negli Stati Uniti


Negli Stati Uniti, a differenza dell’Inghilterra, l’università non ha avuto concorrenti nell’educazione
giuridica e l’importanza dell’accademia ha lasciato tracce notevoli anche sullo stile delle sentenze
americane.
Inoltre, i giudici delle corti superiori sono spesso reclutati tra le file dei docenti delle migliori università.
Le law schools sono dunque fondamentali nella formazione del giurista americano e qui è bene sottolineare
l’aggettivo “americano” e non del Texas o di altro Stato.
Le università, soprattutto le più prestigiose, tendono infatti ad insegnare, insieme al diritto statale, anche i
“principi generali del diritto”, ossia i principi comuni del diritto americano.
Se è vero infatti che non esiste una “federal common law” questo non significa che sia assente, sotto la
superficie variegata delle regole statali, una tradizione comune.
Dunque l’università svolge negli Stati Uniti un ruolo unificante.
Langdell e il case method
La grande trasformazione e affermazione delle law schools si è avuta soprattutto a partire dal 1860.
Da questa data, infatti, Cristopher Columbus Langdell sostiene la necessità di un insegnamento scientifico
del diritto e inizia il suo lavoro come Preside presso la Harvard Law School.
Soprattutto Langdell introduce il case method: un metodo di insegnamento socratico e quindi dialogico e
non cattedratico, il quale porta con sé un nuovo e importante genere letterario, il casebook, ossia un manuale
in cui si offre allo studente una raccolta selezionata di casi.
Langdell propone di studiare i casi della giurisprudenza, cercando di scorgervi i principi di diritti che
esprimono.
Il fine ultimo è quello di ordinare i principi così reperiti in un sistema logico e coerente.
Si rinnova dunque l’importanza del diritto giurisprudenziale.
Langdell ha rivoluzionato l’insegnamento del diritto ad Harvard.
Antidogmatico nel momento in cui non insegna concetti giuridici ma aiuta lo studente ad affinare il metodo
per ricavarli dalla decisione, e al tempo stesso dogmatico quando intende formulare teorie di tale ampiezza
da coprire vaste aree della common law e razionalizzare, giustificadole, le più vistose differenze.
E’ in quest’epoca che si realizza anche negli Stati Uniti un notevole irrigidimento della dottrina del
precedente: formalismo giuridico.

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169. Il superamento del formalismo giuridico nel diritto americano


Il superamento del formalismo giuridico inizia con Roscoe Pound, ritenuto il fondatore della scuola
sociologica, che sottopone a critica la vecchia formalistica teoria dell’interpretazione e della decisione
giudiziale come processi mentali di deduzione meccanica da un dato normativo precostituito.
Si riacquista così consapevolezza della potenzialità creativa dell’opera del giudice, che si volge a suggerire
nuovi sviluppi del diritto.
Nella giurisprudenza si propone, quindi, che entrino, accanto alla dovuta considerazione dei precedenti,
anche la valutazione delle nuove esigenze della società.
Poud ritiene il diritto un mezzo per ordinare gli interessi sociali: il giudice deve perciò conoscere i problemi
sui quali le sue decisioni incidono.
Secondo questa linea di pensiero, il professore, oltre che giurista, deve essere sociologo, economista e
scienziato della politica.
Le dottrine della scuola sociologa sono rielaborate e portate al loro estremo a partire dai tardi anni ’20 dal
realismo giuridico.
Con il realismo, l’attenzione dei giuristi americani passa dalla scoperta della regola giuridica da applicarsi al
caso concreto all’analisi ravvicinata del processo decisionale.
Se nel periodo del formalismo giuridico la regola de precedente ha subito un irrigidimento, con il realismo
avviene il fenomeno contrario e le tecniche di manipolazione del precedente si affinano per far sì che la
soluzione del caso sia sempre adeguata al contesto sociale ed economico.
Le teorie post-moderne
Il Realismo influenza profondamente tutti i settori della vita giuridica, e la norma diviene oggetto di analisi
sociologica, politologica, economica, ed infatti gli studi giuridici sono sempre più sofisticati ed eclettici.
Tra queste scuole si ricorda la Economic Analysis of Law, che utilizza il criterio dell’efficienza accanto a
quello della giustizia, nel valutare, spiegare o prescrivere regole giuridiche in qualsiasi voglia campo del
diritto.
Si ricordano inoltre i Critical Legal Studies, che estremizzano gli aspetti più critici del realismo e si afferma
che non c’è differenza alcuna tra il ragionamento giuridico e quello politico.

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170. Le Law Schools e la professione legale negli Stati Uniti


Le Law Schools sono il luogo in cui emerge e si afferma l’originario pensiero giuridico americano, ma sono
anche e soprattutto il luogo in cui ci si prepara per l’esercizio della professione legale, che negli Stati Uniti
ha carattere unitario.
Per ottenere la qualifica di lawyer, innanzi tutto è necessario un diploma conseguito in una delle Law
Schools accreditate.
Per essere ammessi in una di queste scuole è indispensabile avere superato un esame amministrato su scala
nazionale.
In secondo luogo, per ottenere il patrocinio presso le corti, nonché il titolo formale di Attorney at Law è
necessario superare un esame (il Bar Exam) che, pur regolato in linea di principio dalle leggi di ciascuno
Stato, verte in gran parte sui principi generali del diritto americano.

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171. Il Restatement e l’idea di codificazione nel diritto americano


Tra i fattori tendenzialmente unificanti del diritto americano vi è il Restatement, importante e originale
prodotto della dottrina, il cui fine è dare un po’ d’ordine, in alcune delle principali aree del diritto di
competenza dei singoli Stati, ad una giurisprudenza eccessivamente frammentata e complessa.
In questo modo, tutti i campi importanti del diritto americano vengono rielaborati nei volumi dei
Restatements, i quali hanno avuto un successo notevolissimo.
I Restatements, per la costituzione sistematica e la redazione astratta delle loro regole, ricordano i codici
continentali.
Oltre all’originale esperienza del Restatement, l’idea della codificazione è legata, negli Stati Uniti, al nome
di David Dudley Field, avvocato di successo a New York nella seconda metà del XIX secolo, che
predispone un progetto di codice di procedura civile ed un progetto di codice civile.
Il primo viene adottato a New York nel 1848 e successivamente è preso a modello in numerosi altri Stati.
Minor successo ha, invece, la proposta di un codice civile.
Non si può non ricordare, però, che il codice, anche nei casi in cui è presente, non gode certo della centralità
tipica dei Paesi dell’Europa continentale, e si pone nel complesso sistema delle fonti in modo peculiare,
ossia come una legge ordinaria che deve fare i conti con la common law.

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172. Lo Uniform Commercial Code nel diritto americano


Tra i fattori che conducono alla razionalizzazione del diritto americano si sono ricordate le leggi uniformi.
Infatti la Costituzione e le leggi federali non sono mai state sufficienti a rispondere al forte bisogno di una
disciplina omogenea in settori differenti e ulteriori rispetto a quelli attribuiti dalla Carta fondamentale al
Congresso.
Per rispondere a queste esigenze viene istituita nel 1992 la National Conference of Commissioners on
Uniform State Laws con il compito di formulare leggi per quelle materie che sembrano particolarmente
bisognose di una unificazione americana interna, al fine di presentarle poi agli organi legislativi dei singoli
Stati per promulgarle con meno variazioni possibili.
Questa Conferenza ha elaborato numerose leggi uniformi.
Il risultato più importante e di maggior successo della Conferenza è lo Uniform Commercial Code.
Lo Uniform Commercial Code, nonostante il titolo piuttosto ampio, disciplina esclusivamente il diritto dei
contratti commerciali e della vendita commerciale.
Lo Uniform Commercial Code presenta struttura sistematica e contenuto tipici di un codice.

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173. La regola Stare Decisis nel diritto americano


Si afferma generalmente che negli Stati Uniti la regola stare decisis ha un’efficacia meno rigida rispetto
all’Inghilterra.
Tuttavia, anche alla luce di quanto si è detto sulla regola inglese e sulla divergenza tra declamazioni teoriche
e prassi effettiva, tale affermazione deve essere chiarita e per farlo è utile riconsiderare la distinzione tra
portata verticale ed orizzontale del precedente.
Negli Stati Uniti infatti, le decisioni delle corti superiori vincolano senz’altro le corti inferiori appartenenti
alla medesima giurisdizione.
Sotto questo profilo non vi è dunque alcuna differenza con l’impostazione teorica della madrepatria.
Le differenze sussistono invece in considerazione della portata orizzontale del precedente.
Innanzi tutto, la Corte Suprema federale, diversamente dalla House of Lords, non si è mai sentita legata alle
proprie decisioni.
Un esempio di mutamento di giurisprudenza può essere: Erie Railroad Co. v. Tompkins, ha espressamente
overruled Swift v. Tyson.
La più alta istanza federale, dovendo interpretare una Costituzione scritta, rigida e composta da clausole
piuttosto indeterminate, ha sviluppato un approccio ermeneutico di tipo teologico, adeguando la lettera della
carta allo spirito dei tempi.
L’atteggiarsi relativamente flessibile del principio del precedente vincolante è dovuto anche al fatto che il
procedimento per emendare la Costituzione è altamente complesso e talvolta l’unica via per il cambiamento
passa proprio attraverso i Justices.
In secondo luogo, rileva la struttura federale dell’ordinamento e la sua pluralità di giurisdizioni.
Le corti federali di pari grado non sono tra loro vincolate, così come non lo sono, ovviamente, tra loro le
corti supreme statali.
Ciò non toglie però che tali sentenze possano avere una grande efficacia persuasiva.

La minore forza della regola stare decisis non attiene tuttavia solo al suo affievolito funzionamento a livello
orizzontale.
Vi sono altri fattori, relativi alle tecniche del precedente, che possono contribuire a spiegare la situazione
americana.
Le corti americane, da un lato meno legate alla teoria dichiarativa della common law e dall’altro più
permeabili al realismo giuridico, hanno sviluppato tecniche nuove, quali il Prospective Overruling e
l’Anticipatory Overruling, che rendono il sistema più flessibile.
Nel primo caso, come si è osservato con riferimento al sistema inglese ove tali tecniche sono assai poco
apprezzate, il cambiamento di giurisprudenza opera solo per il futuro, e nel secondo caso un giudice
inferiore disattende il precedente vincolante di un giudice sovraordinato nella convinzione che questo è
comunque sul punto di mutare giurisprudenza.
Tra i fattori culturali che negli Stati Uniti rendono meno rigida la regola del precedente vi è lo sviluppo dello
studio dottrinale del diritto nelle Law Schools: la mentalità critica del giurista, e quindi anche del giudice, è
infatti direttamente proporzionale a quest’ultimo.

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174. Gli Statutes nel diritto americano


Si è già detto in più occasioni che la Common Law è entrata nell’età degli Statutes, e ciò è soprattutto vero
con riferimento agli Stati Uniti, ove, tra l’altro, sono presenti sia leggi locali sia leggi federali.
Ancor più difficile che in Inghilterra è dunque considerare la legge, del Congresso o dei Parlamenti Statali,
un semplice accessorio rispetto alla giurisprudenza.
Altri due elementi devono però essere considerati per comprendere il ruolo della legge nel sistema delle
fonti dell’ordinamento americano.
Ancora una volta il riferimento è alla Costituzione e alla dottrina.
La presenza della Costituzione ha in qualche modo familiarizzato il giurista americano con le disposizioni
scritte di portata generale.
Le clausole aperte della Carta fondamentale si sono mostrate una buona palestra per l’esercizio ermeneutico
del giudice, che si pone dinnanzi allo ius scriptum in modo meno rigido rispetto al collega inglese.
Mentre il giudice inglese è guidato dalle singole parole della norma, il giudice americano è avvezzo a
cercare la policy ad essa sottesa.
Infine, negli Stati Uniti, esistono esempi di codificazione del tutto sconosciuti in Inghilterra, e fra queste
un’importanza particolare è assunta dello UCC.
Sembra che in America gli Statutes ben si armonizzino con il corpus della Common Law.

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175. La tradizione giuridica dei paesi nordici


La contrapposizione civil law/common law, come tutte le classificazioni, non risolve però il problema, e
costruirsi una “carta mentale” rigidamente aderente ad essa può essere rischioso anche rimanendo all’interno
della tradizione giuridica occidentale.
Uno dei casi più problematici è costituito dall’insieme degli ordinamenti “scandinavi” o “nordici”, ossia
dagli ordinamenti di Svezia, Finlandia, Danimarca (con due territori autonomi, Groenlandia Færøer),
Norvegia e Islanda: “famiglia” autonoma con pari dignità di quelle francesi, romanistiche, tedesche o
angloamericane.
Per la necessità di un principiante medio, i sistemi giuridici nordici possono certamente essere sistemati nel
gruppo europeo-continentale dei sistemi giuridici romano-germanici.
Se un approccio così pragmatico è di massima condivisibile, ciò non diminuisce però l’utilità di
un’informazione minima, non tanto sulle varie proposte di classificazione degli ordinamenti nordici, ma
proprio sulle ragioni che rendono difficile la loro classificazione.
L’osservazione del nord Europa è istruttiva, mostrandoci come sia possibile l’affermazione di un
positivismo legislativo molto marcato pur in assenza di codificazioni nel senso proprio dell’esperienza
continentale, e aiutandoci a non cadere nell’errore di vedere i codici come l’unica forma di inquadramento
concettuale dell’esperienza giuridica occidentale al di fuori dell’area di common law.
Anche qui, per comprendere gli equilibri di oggi occorre guardarsi indietro, e non poco, visto l’elevata
continuità storica (questa sì, simile al diritto inglese) della tradizione nordica.

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176. Gli Stati nordici: rapporti tra Svezia, Norvegia Finlandia e


Islanda
Per inquadrare meglio i dati più strettamente giuridici, è meglio fornire subito qualche dato storico di base
relativo ai legami intercorsi nei secoli tra gli attuali Stati nordici, legami che hanno lasciato segni profondi e
che permettono di suddividere la “famiglia” nordica in due sottoinsiemi, ognuno con un ordinamento
trainante.
Il primo sottoinsieme è costituito da quella che a volte viene definita come tradizione nordica orientale, con
la Svezia modello storico per i vicini finlandesi; e il secondo dalla tradizione nordica occidentale, in cui è la
cifra culturale della Danimarca ad avere influito fortemente sull’attuale diritto norvegese e islandese.
Il rapporto più stretto è indubbiamente quello che intercorre tra Svezia e Finlandia.
Sino al 1809 infatti un “diritto finlandese” semplicemente non esisteva, e i territori dell’attuale Finlandia
erano nient’altro che una provincia del regno di Svezia, acquisita con le campagne di espansione coloniale
del medioevo.
A seguito delle sfortunate scelte della Svezia durante le guerre napoleoniche, il territorio finlandese passa
sotto il controllo russo, con il privilegio di mantenere il proprio diritto, ossia quello svedese.
Per molto tempo, l’ordinamento finlandese, costituì un isola di diritto svedese “congelato” all’interno
dell’impero russo.
Non può stupire quindi che, una volta raggiunta l’indipendenza nel 1917, il diritto svedese sia rimasto il
principale punto di riferimento per i giuristi finlandesi, molti dei quali, tra l’altro, appartenevano alla
minoranza di lingua svedese.
Vicende storiche altrettanto risalenti sono alla base della centralità del diritto danese rispetto a Norvegia e
Islanda.
Dopo essere stata regno autonomo in epoca medievale, la Norvegia sarà sottoposta alla Corona danese fino
al 1814, recependo quindi le innovazioni legislative decise a Copenaghen.
A seguito del Trattato di Kiel, la Norvegia è legata alla Svezia in un’unione personale, in cui il re di Svezia
era anche sovrano di Norvegia, mentre quest’ultima manteneva le istituzioni autonome.
Tale unione vivrà momenti molto tesi, che alla fine dell’’800 sembrarono addirittura poter sfociare in un
conflitto armato, e si scioglierà definitivamente nel 1905.
Le modalità di questa Unione, in cui vi era completa separazione tra i due ordinamenti, non comportarono
alcun avvicinamento della tradizione giuridica norvegese a quella svedese, lasciando la prima aderente ai
suoi presupposti di partenza danesi.
Nel caso dell’Islanda, la sovranità danese ha avuto termine solo nel 1944; il riferimento al modello di questo
Paese è però rimasto basilare a causa delle ridotte dimensioni del Paese e della sua comunità di giuristi, per
lungo tempo formati in Danimarca, che rende spesso una necessità pratica adeguarsi alle soluzioni là
adottate.
Un fattore, la cui importanza è utile sottolineare già da ora, è quello linguistico.
Ognuno dei Paesi nordici dispone di una lingua nazionale; tuttavia, questo pluralismo linguistico non pone
particolari ostacoli alla circolazione della idee in generale e alla comunicazione tra giuristi in particolare in
quanto le lingue sono comunque simili (danese, norvegese e svedese) o comunque diffuse negli altri Stati (in
Islanda il danese, il Finlandia lo svedese).

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177. Le fonti legislative nei paesi nordici


Con la common law, la tradizione giuridica dei Paesi nordici condivide l’alto grado di continuità storica
degli ordinamenti che la esprimono.
La tradizione nordica è l’esito di un processo evolutivo che prende le mosse dall’unificazione dei regni
scandinavi, databile approssimativamente nell’XI secolo, senza che successivamente siano intervenuti
stravolgimenti rivoluzionari.
Diversamente dalla common law, nel caso del nord Europa il cemento culturale della tradizione giuridica
non è stato tuttavia fornito dalla giurisprudenza di grandi corti centrali, ma da una precoce affermazione di
fonti che hanno carattere prevalentemente legislativo.
I testi normativi più antichi giunti sino a noi risalgono al XIII secolo, e sono costituiti dalle c.d. “leggi
provinciali” adottate ognuna in una particolare regione dei regni nordici continentali.
La natura di questi testi, nonostante vengano usualmente ricordati come “leggi”, è piuttosto varia; in alcuni
casi sembra trattarsi si compilazioni non ufficiali del diritto vivente, in altri effettivamente di testi
autoritativi in qualche modo assimilabili a moderni atti legislativi.
Accanto alla “legislazione provinciale”, esistevano poi testi normativi (“leggi cittadine”) adottati dalle città,
in particolare quelle costiere, che rappresentavano importanti centri commerciali con giurisdizione
autonoma.
Ai nostri fini, la discussione sulla natura dei testi normativi del medioevo nordico è però di limitato
interesse, e importa unicamente mettere in luce l’apparizione in epoca molto risalente di materiali giuridici
redatti nelle lingue nazionali e non in latino o altra lingua “colta”, e che, pur in presenza di apporti esterni,
esprimono una cultura giuridica che nelle sue partizioni di fondo è essenzialmente autoctona.

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178. Testi normativi unificati nei regni nordici


Un passo importante è costituito dalla redazione di testi normativi unificati per ognuno dei regni nordici: nel
caso della Danimarca nel 1241; mentre per la Norvegia, nel 1274; e per la Svezia, intorno al 1350.
L’unificazione non è totale, in quanto si manteneva comunque una normativa distinta per le campagne e per
le città; una bipartizione, questa, che verrà eliminata solo nel ‘6-700.
Anche a prescindere da questa bipartizione, l’unificazione non fu però immediata, e in particolare per la
Svezia sembra che i nuovi testi abbiano per un tempo rilevante convissuto nella prassi con le leggi
provinciali.
Sino ai secoli XVII-XVIII, i testi che abbiamo citato non subirono modifiche o revisioni di particolare
rilievo.
L’attaccamento alle radici è d'altronde ben mostrato dal fatto che in Svezia nel 1608, Carlo IX autorizzò le
corti ad utilizzare come fonti sussidiarie le antiche leggi provinciali.
La necessità di disporre di testi più moderni, diventa particolarmente sentita in tutto il nord Europa verso la
metà del XVII secolo, su impulso del pensiero giusnaturalista e razionalista.

I primi a giungere alla revisione dei testi medievali furono i danesi, con la promulgazione, da parte di
Cristiano V nel 1683, del Danske Lov, promulgato in una versione molto simile per la Norvegia (Norske
Lov) nel 1687.
E’ stato discusso se questo testo sia più propriamente classificabile come una compilazione, sottolineando il
suo carattere di riordinamento di norme vigenti, o piuttosto come una codificazione, ricordando come esso
volesse fissare i principi di base tralasciando le norme più transeunti.
A parte il problema delle definizioni, è certo che esso non rappresenta comunque un punto di rottura, o
comunque di svolta radicale nell’evoluzione dell’ordinamento.

Lo stesso vale per il corrispondente testo che verrà promulgato in Svezia nel 1734, dopo circa mezzo secolo
di iter legislativo, ossia lo Sveriges Rikes Lag (“legge del regno di Svezia”), che diventerà ovviamente
diritto vigente anche in Finlandia.
Il Rikes Lag poneva fine alla bipartizione tra diritto rurale e diritto cittadino, applicandosi a tutto il territorio
della Svezia, anche se venivano mantenute corti distinte, che saranno unificate solo nel 1971.
Nel contenuto, si era data in linea di massima la preferenza alle soluzioni della legislazione cittadina per le
materie di commercio, e a quelle della legislazione rurale per il regime della proprietà immobiliare.
Si tratta di un opera a carattere nettamente casistico che non privilegia né la sistematicità, né la capacità di
astrazione, ma la concretezza nella descrizione dei fatti a cui collegare effetti giuridici.
La lingua è volutamente arcaica, in misura sufficiente a incutere rispetto senza pregiudicare la
comprensione.
Al tempo stesso, al di fuori della casistica, l’interprete è lasciato all’oscuro, non soccorrendo clausole
generali e presupponendo “lo svolgimento dal parte del giudice di una attività integrativa secondo coscienza
e sapienza”.
L’estrema, didascalica, corrispondenza alla realtà della propria epoca e la scarsità di clausole generali non li
rendevano di facile adattabilità e mutate condizioni.
Come il Landsrecht prussiano, anche il Rikes Lag e il Danske Lov erano l’immagine di società he stavano
per cambiare la propria architettura sociale e politica.

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179. La codificazione giuridica mancata in Svezia


Particolarmente interessante, per quanto riguarda l’incontro con il movimento per la codificazione, è
l’esperienza svedese.
Dopo il disastro del 1809, si avvia una breve stagione in cui appare possibile un radicale rinnovamento del
Paese.
Prevale tuttavia un approccio piuttosto prudente.
Si decide infatti di procedere ad una mera “distinzione, semplificazione e miglioramento della legislazione”,
senza l’adozione in toto di modelli codicistici continentali.
Si giunge quindi, nel 1811, alla creazione di una Commissione per la riforma legislativa, composta da
accademici, giuristi ed alti funzionari.
Nel 1826 è presentata una “Proposta di legge civile generale”.
La maggior parte delle soluzioni sostanziali e delle partizioni in capitoli del Rikes Lag è mantenuta, e la
ricezione di modelli stranieri può essere osservata solo a livello di singole disposizioni, alcune delle quali
appaiono influenzate dal Code Civil.
Su alcuni punti la formazione liberale dei redattori appariva evidente, concretizzandosi in proposte di
difficile digeribilità politica per i conservatori, come la parità fra uomini e donne in materia successoria e la
libertà di alienazione dei terreni.
Una volta presentata, la Proposta venne inviata, secondo la procedura dell’epoca, alla Corte Suprema per un
parere preventivo.
Ciò richiederà vari anni.
Quando finalmente giungerà il parere della Corte Suprema, sarà totalmente negativo.
La “Proposta di legge civile generale” venne considerata come eccessivamente aderente a modelli di oltre
frontiera ed eccessivamente innovativa, con argomentazioni tratte di peso dall’armamentario della Scuola
storica che negli anni precedenti aveva acquistato sempre maggior prestigio in Svezia.
L’idea di una riforma legislativa generale si rimette in moto con l’ascesa al trono, nel 1844, di Oscar I,
sovrano di idee schiettamente liberali.
L’idea di una riforma radicale del Rikes Lag continuerà però a non incontrare sufficiente consenso e si avvia
ad una “tranquilla e, se così si vuol dire, poco pietosa sepoltura”.

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180. L’avvio della cooperazione legislativa tra Paesi nordici


Sino alla metà del XIX secolo, nonostante le affinità culturali, le riforme legislative erano andate
procedendo nei Paesi nordici in modo reciprocamente autonomo, e anche il dibattito dottrinale non era
caratterizzato da un elevato grado di permeabilità al di là delle frontiere nazionali; “il concetto di dottrina
giuridica nordica non va dato per scontato nel periodo che precede il 1800”.
Il punto di svolta è rappresentato dall’avvio, nel 1872, degli “Incontri nordici dei giuristi” che, riunivano
ogni 3 anni giuristi teorici e pratici per la discussione di problemi di comune interesse.
Saranno il diritto civile e il diritto commerciale ad essere toccati in modo più incisivo dalla cooperazione
messa in moto dagli “Incontri nordici”.
Una volta creato il clima culturale adatto, la collaborazione nei processi di riforma fu particolarmente
intensa, ma, va tenuto presente, senza la creazione di alcuna struttura ad hoc né la formazione di vincoli
giuridici in trattati internazionali.
La scarsità di strutture istituzionali non ha impedito di raggiungere un elevato grado di uniformità.
Le leggi comportano una netta modernizzazione del diritto civile nordico, ma non assolutamente la
scomparsa delle peculiarità della tradizione dell’area.
Dopo il primo conflitto mondiale, la cooperazione legislativa continuò estendendosi ad altri settori.
Nella seconda fase della cooperazione legislativa nordica, un’importante novità era rappresentata dalla
partecipazione diretta della Finlandia, precedentemente resa possibile dalla sua sottoposizione all’Impero
zarista.
La cooperazione legislativa nordica sopravvive anche al secondo conflitto mondiale, dopo il quale si mette
mano ad alcune importante aree sino ad allora non toccate dal processo di modernizzazione.
Un ottimo esempio al riguardo è costituito dalla responsabilità civile extracontrattuale.
I Paesi nordici arrivano al secondo dopoguerra senza una chiara definizione legislativa del diritto comune
della responsabilità civile.
L’ultima fase dell’evoluzione legislativa nordica, avviata a partire dagli anni ’70, è stata in buona parte
legata alla realizzazione del particolare modello di welfare state che ha reso gli ordinamenti nordici una
sorta di “laboratorio sociale” dell’Europa.
Particolarmente notevoli e studiati dagli osservatori stranieri, le innovazioni, all’epoca decisamente
pionieristiche, in materia di protezione del consumatore, assistenza legale ai non abbienti, unioni di fatto,
tutela dei lavoratori.
In questo caso la Svezia assunse un deciso ruolo di pioniere, che in alcuni casi ha comportato difficoltà con
gli altri ordinamenti dell’area, che avrebbero preferito un approccio più prudente.

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181. Caratteristiche delle leggi negli Stati nordici


Le riforme degli anni ’70 hanno definitivamente confermato la centralità della legislazione nello scenario
culturale degli ordinamenti nordici.
Se questo li avvicina senza dubbio più alla tradizione di Civil Law che a quella di Common Law, non vanno
tuttavia sottovalutate la peculiarità che il materiale legislativo nordico mantiene rispetto a quello con cui
sono abituati a confrontarsi i giuristi francesi, tedeschi o italiani.
Nonostante il Rikes Lag, il Danske Lov e il Norske Lov non siano mai stati abrogati, poco del loro testo
originale è rimasto in vigore, e di questo poco gran parte ha importanza pratica ridotta.
La comprensione delle peculiarità della legislazione nordica deve quindi svolgersi a partire dall’esame dei
materiali moderni.
La legislazione recente dei Paesi nordici è normalmente una legislazione di elevata qualità linguistica.
Mediamente i testi sono di facile accessibilità per il laico.
Il comparatista è di norma colpito dal frequente uso di clausole generali o comunque di richiami a criteri di
valutazione abbastanza indefiniti, quali ad esempio i richiami alla “ragionevolezza”.
I riferimenti alla “ragionevolezza” non vanno automaticamente interpretati come attribuzioni di
discrezionalità al giudice o come il riconoscimento di un suo ruolo “forte”.

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182. I lavori preparatori nel sistema delle fonti nel diritto dei paesi
nordici
Nella lettura dei testi normativi va tenuto conto di un elemento di norma particolarmente trascurato nelle
sintesi sui diritti nordici, costituito dalla tendenza dei lavori preparatori ad essere considerati come una fonte
del diritto pariordinata alla legge in senso stretto.
Vediamo come si pone il problema.
Niente conforta di più un avvocato che poter citare, a sostegno della sua tesi, una serie di passaggi tratti dalle
relazioni governative di accompagnamento ai disegni di legge.
Chi volesse realizzare una scala ideale dei sistemi giuridici europei, basata sull’importanza che i lavori
preparatori hanno nella gerarchia delle fonti, dovrebbe indubbiamente collocare i Paesi nordici, e in
particolare Svezia e Finlandia, a uno dei due estremi, con l’estremo opposto occupato dal diritto inglese.
Le origini storiche di questa posizione dei lavori preparatori non sono completamente chiare.
Essi sono giunti ad occupare una posizione molto alta nella gerarchia delle fonti alla fine del secolo scorso,
in modo sostanzialmente inosservato, e la loro importanza non fa che accrescere ulteriormente a seguito
dell’elaborazione delle “grandi leggi” civilistiche dalla fine del secolo scorso in poi.
Il peso attribuito ai lavori preparatori è uno di quei tipici dati “occulti” su cui gli stessi giuristi nazionali
hanno a lungo trascurato di portare l’attenzione.
Esso, d'altronde, non ha una base di diritto positivo, né questa lacuna è corretta dalla dottrina o dalla
giurisprudenza.
Il manuale più classico e diffuso di “metodo giuridico pratico”, su cui si formano oggi i giovani giuristi
svedesi, riporta che “una corte non deve esitare a distaccarsi dalla soluzione proposta dai lavori preparatori,
se ritiene che un’altra soluzione sia migliore”.
Significativamente, tale affermazione segue alla constatazione secondo la quale la prassi operativa delle
corti svedesi denoterebbe invece una vincolatività di fatto del c.d. motiv.
Ancora più significativamente, nella stessa opera si specifica che “di regola una situazione del motiv
configgente con una chiara regola del testo della legge non deve essere seguita”.

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183. Ricaduta sull'attività legislative dei Paesi nordici dei lavori


preparatori sul sistema delle fonti
Al di fuori dei casi più problematici, ma rari (come il conflitto tra motiv e testo di legge), i redattori di testi
legislativi potevano essere sicuri della fedeltà delle corti alle indicazioni contenuti nei lavori preparatori.
Nella pratica, ciò finiva per consentire un “doppio livello” legislativo potendo inserire una norma di
dettaglio alternativamente nel testo o nei lavori preparatori, senza per questo diminuirne in modo effettivo
l’effettività.
La flessibilità offerta da tale possibilità di modulazione, è stata ampiamente utilizzata dai legislatori.
La scelta tecnica consisteva pertanto nel lasciare al testo la formulazione dei principi di fondo, riversando la
regolamentazione più puntuale nei lavori preparatori, con i riferimenti alla “ragionevolezza” a fungere da
caveat per invitare alla lettura della relazione d’accompagnamento.
Le clausole di “ragionevolezza” contenute negli articoli di una legge, possono risultare, almeno in parte,
ingannevoli per l’osservatore straniero.
Infatti, la disposizione che apparentemente attribuisce ampia discrezionalità all’interprete è suscettibile di
trasformarsi in una norma casistica al momento della lettura dei lavori preparatori, quando questi
specifichino espressamente le ipotesi applicative.
Le forme del processo legislativo prevedono la preventiva nomina di Commissioni governative a
composizione tecnico-giuridica che, sulla base di determinate direttive, stendono un progetto di legge
accompagnato da una ponderosa relazione.
Il rapporto della Commissione preparatoria viene sottoposto, per un parere, ad un’ampia serie di soggetti
(dalle facoltà di giurisprudenza, alle corti superiori, ai sindacati, ad associazioni, ecc…) e dei pareri espressi
viene tenuto conto nel disegno di legge governativo, anch’esso accompagnato da un’ampia relazione.
Le statuizioni della relazione di accompagnamento al disegno di legge governativo, specie se conformi alle
proposte della Commissione preparatoria, sono investite di una doppia legittimità, democratica, perché
comunque sottoposte al Parlamento e ad un confronto ampio e trasparente, e culturale, perché redatte con
assistenza tecnica molto qualificata.
La forza dei lavori preparatori come fonte del diritto è però un dato che comincia ad entrare in crisi anche
dove, come in Svezia, essa era sino ad oggi più marcata.
Le ragioni sono varie e non tutte facilmente identificabili.
Da tenere conto è senza dubbio la scena politica molto più instabile e variegata degli anni d’oro delle social-
democrazie, che ha condotto a discutere il problema di quale sia effettivamente la legittimazione
democratica di una norma non contenuta nel testo in articoli approvato dall’assemblea parlamentare, ma
nella relazione scritta da un Ministro.
La riflessioni sulle peculiarità della tradizione nazionale è stata poi, in Svezia e Finlandia, indotta al
momento dell’accesso nell’UE, il 1° Gennaio 1995.
Svezia e Finlandia si sono infatti trovate a dover recepire, in breve tempo, tutto l’acquis communautaire,
modificando e adattando una molteplicità di norme legislative e regolamentari.

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184. La Costituzione nel sistema delle fonti del diritto negli Stati
nordici
Se è ancora presto per dire in che misura l’ingresso nell’UE modificherà la tradizione nordica, è certo utile
ricordare un’ulteriore potenziale fattore di cambiamento, ossia l’aumentata importanza del controllo
giudiziario di costituzionalità.
Per quanto tutti i Paesi nordici dispongano di Costituzioni rigide, in linea generale in controllo giudiziario di
costituzionalità sull’attività del legislatore è stato sino ad oggi poco incisivo.
Sotto quest’aspetto, la posizione più arretrata è stata per molto tempo quella svedese/finlandese.
In Svezia la Costituzione del 1974 prevede un controllo diffuso di costituzionalità secondo il quale “se una
corte o un altro organo pubblico rilevano che una norma è in conflitto con una disposizione della
costituzione o di un’altra legge sopraordinata, tale norma può essere disapplicata”.
Tale controllo è però sostanzialmente disarmato dal prosieguo della stessa disposizione, ove si stabilisce che
quando una norma provenga dal Governo o dal Parlamento (quindi, un atto legislativo o regolamentare) essa
può essere disapplicata solo quando “il vizio è evidente”.
Dietro quest’approccio è facile intravedere la fortunata peculiarità di Stati che non hanno sperimentato le
terribili derive del potere legislativo, vissute nei Paesi europei passati attraverso le dittature, a cui si è
aggiunta in epoca social-democratica una certa diffidenza verso un potere, come quello giudiziario, privo di
legittimazione democratica.
Anche qui è inevitabile osservare come tali presupposti siano inevitabilmente destinati a perdere la loro
forza originaria.
Basti pensare al fatto che, attualmente, il legislatore svedese è sottoposto al controllo, per quanto riguarda il
rispetto delle norme comunitarie, dei giudici di Lussemburgo, la cui “legittimazione democratica” in
prospettiva svedese è quantomeno dubbia.
Differente, almeno in linea di principio, è a questo riguardo la posizione di Norvegia e Danimarca dove, pur
in assenza di disposizioni costituzionali esplicite, è da lungo tempo incontestato il potere delle corti di
disapplicare una norma di legge in contrasto con la Costituzione, senza necessità di una particolare
“gradazione” del contrasto.

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185. Corti, giudici e processo nei Paesi nordici


I cenni appena svolti circa la relativa debolezza dei sistemi di controllo di costituzionalità nell’area nordica
inducono naturalmente a pensare a un ruolo complessivamente minore della giurisprudenza, ma non deve
estendersi ad affermare una generica marginalità dei giudici.
Nel caso del nord Europa, invece, un’istituzione non meramente transeunte di corti centrali avviene in epoca
relativamente tarda sostanzialmente con l’istituzione nel 1614 della Corte d’Appello di Stoccolma e in
Danimarca con l’istituzione nel 1661 della Corte Suprema.
Questo non voleva dire che il sistema giuridico traesse la sua legittimità esclusivamente dai comandi
legislativi; esso, anzi, basava la sua forza proprio sul forte radicamento locale del sistema giudiziario.
Nelle zone rurali, le corti di prima istanza, erano composte da “1 giudice e 12 contadini residenti nella
circoscrizione”.
E’ importante ricordare che il prestigio di queste corti non deriva dalla loro componente togata, che anzi per
molto tempo sarà di basso livello, composta da sostituti retribuiti dai titolari effettivi, che non potevano
neanche contare sul prestigio sociale proprio dei titolari, mentre i membri laici potevano contare, sul piano
locale, su una notevole autorevolezza.
L’istituzione delle corti centrali ha rappresentato senza dubbio uno stimolo all’elaborazione di un pensiero
giuridico raffinato, e in alcuni casi alla penetrazione del diritto romano.
Esistevano, tuttavia, ostacoli importanti al travaso di conoscenze tra la cultura delle élites che sedevano nelle
corti di vertice e la generalità dei giudici, ostacoli che verranno rimossi solo in epoca piuttosto tarda.
Un primo ostacolo derivava, semplicemente, dall’assenza di un sistema di pubblicazione o comunque di
conoscibilità dei precedenti; e poi, anche una volta rese conoscibili le motivazioni delle decisioni, per molto
tempo le corti di vertice mantennero una visione del proprio ruolo più attenta all’esigenza di fornire una
giustizia del caso concreto, che a dare orientamento alla giurisprudenza delle corti inferiori.
L’affermazione della necessità di una giurisprudenza coerente come integrazione delle prescrizioni
legislative ha incontrato d’altronde forti resistenze, oltre che in molti magistrati anche in una parte della
dottrina.
Se pur con lentezza, però, la giurisprudenza ha comunque progressivamente assunto un ruolo sempre più
significativo, e lo stile delle sentenze è diventato sempre più idoneo allo svolgimento di una funzione
nomofilattica.
La progressiva affermazione dell’importanza della giurisprudenza di vertice per l’orientamento delle corti
inferiori si è riflessa anche nello sviluppo di sistemi di selezione dei casi da decidere da parte delle corti
supreme.
Se sotto l’aspetto della selezione dei casi, le corti nordiche sembrano seguire un percorso comune alla
maggior parte degli ordinamento occidentale, specialmente di common law, abbastanza peculiare dell’area è
invece il fenomeno della scarsità di giurisprudenza in importanti settori del diritto.
Relativamente scarsi sono, infatti, i ricorsi riguardanti le aree centrali del diritto civile (contratti,
responsabilità civile) a causa della concorrenza di altri sistemi di dispute resolution.

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186. Le alternative al processo ordinario nei Paesi nordici


Il panorama delle “alternative” al processo ordinario, è nei Paesi nordici piuttosto vasto e, oltre a
giurisdizioni statali speciali come nel caso del processo del lavoro, comprende anche una moltitudine di
organi privati o semi-pubblici, che si aggiungono all’ordinario arbitrato commerciale che viene utilizzato in
maniera massiccia.
Tutti questi organi finiscono di fatto per far sì che le corti supreme solo raramente si pronuncino su dati
problemi, così che sorgono preoccupazioni circa una presunta incertezza del diritto vigente.
Questa situazione ha, soprattutto in Svezia, condotto a interventi legislativi volti a rendere il processo
ordinario competitivo rispetto alle forme “alternative”.
Il modello processuale attualmente utilizzato, sulla base della “parte sul processo” introdotta in Svezia nel
1948, delle riforme successivamente introdotte in Finlandia sulla base del modello svedese, e della “Legge
processuale” danese del 1916, è caratterizzato da: oralità, concentrazione e immediatezza.
Per quanto riguarda il reclutamento dei giudici, esso è sostanzialmente basato su un sistema di tipo
burocratico, in cui il reclutamento iniziale è in genere affidato alle stesse corti (in Svezia le corti d’appello),
primariamente sulla base dell’esito di periodi di tirocinio.
Per quanto riguarda invece l’avvocatura, essa ha avuto nelle società nordiche uno sviluppo piuttosto tardivo,
e solo in epoca recente è andata assumendo un prestigio paragonabile a quello delle sue corrispondenti di
civil law e common law.
E’ significativo, al riguardo, il fatto che in Svezia e Finlandia tuttora la parte può stare in giudizio in ogni
gradi di giurisdizione senza assistenza di difensore, né l’esercizio dell’attività difensiva è monopolio dei
giuristi.

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187. Diritto consuetudinario albanese


Della storia, della cultura, di quell’unità politica che adesso si chiama Albania, l’occidente conosce molto
poco.
Questa astinenza conoscitiva ha reso l’Albania più distante dall’Europa di quanto non sia.
Ci raffiguriamo spesso il modo albanese come un modo crudele, basato sul Kanun, erroneamente tradotto
con il termine “onore”: “in nome dell’onore, il Kanun della tradizione, si può perdere un figlio, ucciderlo;
l’onore è ferito quando la donna è toccata, sporcata”.
Il Kanun si identifica con l’onore, che l’uomo sia obbligato ad uccidere la moglie o la sorella disonorata.
In realtà, Kanun, non significa “onore”, che in albanese si definisce con il termine nder, ma è il nome di una
raccolta di norme consuetudinarie, tramandate nei secoli e messe in ordine agli inizi del XX secolo da un
francescano kosovaro: padre Kostantin Shtjefën Gjeçov.
Una raccolta in cui è stabilito che “la donna non cade nella vendetta di sangue” e che “il marito non ha
diritto sulla vita della moglie”.
E’ quindi l’istituto della gjakmarrja, della vendetta di sangue, il punto cruciale in cui si insisteva e si insiste
tuttora per giustificare la tesi della barbarie regolata dal Kanun.
Il codice albanese non è certamente quello descritto dai politici e dai giornalisti italiani.
Le sue leggi non si discostano molto dalle leggi coeve di popoli ben più civili.
La faida, in albanese gjakmarrje, possiede una sua rigida regolamentazione che favorisce la composizione
non violenta tramite “negoziati” e impedisce che dalla violenza altra violenza si generi.

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188. I retaggio del Kanun nel diritto albanese


Il Kanun non è più in vigore; le sue norme, pur descrivendo i valori fondanti l’etica albanese, sono un
retaggio del passato.
“Il Kanun è una legge che è stata raccolta come i chicchi di grano in questa grande povertà”.
Proprio questi chicchi di grano intendiamo esaminare.
Intendiamo presentare lo “spazio” dell’Albania attuale come il terreno di coltura nel quale quei chicchi sono
stati seminati, si sono radicati e riprodotti.
Ed è quindi sul Kanun che bisogna riflettere per capire l’Albania.
L’identità nazionale albanese emerse prepotente con l’inizio del lungo dominio ottomano, nella seconda
metà del XIV secolo.
L’esercito ottomano, perfetta macchina da guerra, conquistò molte terre balcaniche, spesso scontrandosi con
la caparbietà dei popoli occupati.
E fu in questo difficile contesto che apparve sulla scena la figura più carismatica della storia albanese
Giorgio Castriota Scanderbeg, l’eroe che guidò il suo popolo verso una presa di coscienza nazionale.
Il tema della religione, che per gli albanesi è secondario rispetto a quello della nazione, raggiunse il suo
punto cruciale con la conversione all’Islam: conseguenza della dominazione ottomana.
Dopo la morte di Scanderberg, nel 1468, gli albanesi rimasti in patria continuarono la battaglia contro gli
ottomani, guidati da Lek Dukagjini.
Il Kanun di Lek Dukagjini è diviso in 12 libri:
1. la chiesa;
2. la famiglia;
3. il matrimonio;
4. la casa, il bestiame e i poderi;
5. il lavoro;
6. prestazioni e donazioni;
7. la parola;
8. l’onore;
9. i danni;
10. i delitti infamanti;
11. il codice giudiziario;
12. privilegi ed esenzioni.
Il diritto consuetudinario, la cui applicazione veniva garantita dalla forza della tradizione e dall’autorità dei
vegliardi, capi tribù e capi bandiera, operò per un lunghissimo periodo: complice il fatto che l’Albania
diventò Stato solo nel 1912.
Attualmente, la legge dello Stato, a partire dalla Costituzione in quanto fonte primaria, è la “più alta autorità
da rispettare, in modo che si abbia uno Stato di diritto capace di difendere nella democrazia pluralista, i
diritti soggettivi e le libertà, in modo che l’Albania si innalzi al livello delle società civili più avanzate”.

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189. Idea nazionale e religione in Albania


Per i popoli balcanici, l’idea nazionale si fonda su 3 elementi determinanti: l’identificazione storica con un
popolo del passato, che stabilisce il territorio che il popolo è chiamato a occupare e rivendicare; la lingua; e
la religione, che oppone gli autoctoni cristiani ortodossi sia ai turchi mussulmani e al loro impero
multinazionale, sia ai cattolici occidentali e alle loro mire espansionistiche.
A differenza degli altri popoli balcanici, per gli albanesi, che le statistiche dividono in tre fedi (islamica,
ortodossa e cattolica), il tema della religione non costituisce un elemento essenziale dell’idea nazionale,
essendo le religioni legate a centri esterni all’Albania: Roma per i cattolici, il Patriarcato Ecumenico greco
per gli ortodossi, il Califfato Costantinopolitano per i mussulmani.
Le religioni in Albania sono state viste come un ostacolo all’autonomia del Paese, come una strada aperta
all’ingerenza negli affari albanesi da parte degli Stati esteri.

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190. Etnia, Stato, territorio in Albania


Il territorio su cui la nazione può attribuirsi un’esistenza politica è definito con l’identificazione storica tra la
popolazione attuale ed una popolazione del passato, elevata al rango di antenato o precursore: l’Impero
bizantino per i greci e quello dello Zar per i serbi.
Poiché su uno stesso territorio si sovrappongono rivendicazioni concorrenti, l’obiettivo di queste
associazioni storiche è anche quello di affermare l’autoctonia della nazione, cioè il diritto esclusivo ed
inalienabile di occupare un certo territorio.
Infatti, per i popoli balcanici, i diritti della nazione sul territorio non si fondano sulla genealogia e sulla
continuità del potere.
Sulla questione della Kosovo, il governo serbo ha ripetutamente avanzato tre tesi: che la Kosovo, alla metà
del XIV secolo, quindi prima di subire la dominazione ottomana, era per quasi due secoli sotto il dominio
serbo, perciò doveva essere restituita alla Serbia; che gli albanesi nella Kosovo non erano abitanti autoctoni,
ma insediati in quella regione dopo il c.d. “esodo serbo” del 1689; e che la Serbia gode sulla Kosovo il
diritto del vincitore, per averla liberata durante la guerra balcanica dalla dominazione ottomana.
Dall’Albania si risponde che: “il governo albanese chiese alle grandi Potenze di tener presente che la
stragrande maggioranza della popolazione della Kosovo era albanese; nella Kosovo gli albanesi furono
insediati dai tempi remotissimi, quindi prima e dopo l’arrivo dei serbi nei balcani; e con le loro rivolte
contro gli ottomani, gli albanesi della Kosovo agevolarono la vittoria delle monarchie balcaniche sulla
Turchia”.
Anche se la comunità albanese e quella serba hanno differenti identità religiose, le tensioni che da tempo
covavano in loro sono essenzialmente caratterizzate da diversità di carattere etnico, linguistico e storico.

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191. Gli albanesi eredi degli illiri


Se, come ha scritto il serbo Jovan Cvijic, la “storia giustifica la terra”, gli albanesi sono “da sempre insediati
sul suolo il lirico, poiché in virtù della comunanza linguistica sono i naturali eredi degli illiri, popolo
autoctono per antonomasia dei Balcani”.
Infatti “la discendenza diretta degli albanesi dei nostri giorni dagli antichi illiri è scientificamente provata”.
La grandissima estensione del territorio il lirico, che comprende tutta l’area occupata dalla Kosovo e dalla
Macedonia occidentale, paragonata alla ristrettezza dell’odierno territorio dell’Albania consente inoltre di
introdurre il tema della perdita del territorio, che ha un ruolo centrale nell’identità albanese, come pure il
tema degli albanesi quali “grandi sconfitti” della storia.
Se sul piano spaziale, passare dall’Illiria all’Albania dà il senso di una costante regressione del territorio, sul
piano letterario e mitologico questo passaggio dà il senso dell’antichità delle tradizioni a cui gli intellettuali
albanesi sempre si riferiscono.
L’Albania d’oggi è dunque l’ultima ridotta della gente il lirica, che perciò può e deve rivendicare il proprio
diritto storico sul territorio abitato anticamente.

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192. I primi movimenti nazionalisti in Albania e la Seconda Guerra


Mondiale
Furono le grandi Potenze, riunite al Congresso di Berlino del 1878, con a capo il “Cancelliere di Ferro
(Bismark), a manovrare una complicatissima rete di alleanze, promesse, minacce, concessioni e pretese,
assegnando fra l’altro i territori albanesi alla Grecia, alla Serbia e al Montenegro e facendo rientrare
l’Albania in quelle regioni rimaste sotto l’influenza ottomana.
Ma fu proprio il Congresso di Berlino che risvegliò l’animo degli albanesi: il fermento nazionale crebbe, da
una parte per le sempre più feroci persecuzioni turche, e dall’altra per la paura di un ulteriore
smembramento dell’Albania.
Iniziarono così i primi movimenti nazionalisti: nel 1878 il popolo albanese fece sentire la propria voce in
tutta Europa.
Le personalità più eminenti del mondo albanese fondarono la “Lega Albanese”, assumendo due grandi
compiti: quello politico, che consisteva nell’unire tutti i territori albanesi in uno Stato autonomo fuori
dall’Impero ottomano, e quello culturale, che consisteva nel promuovere la lingua, la cultura e la letteratura
albanese.
Nell’Ottobre del 1912, gli Stati confinanti con l’Albania (Grecia, Serbia e Montenegro) dichiararono guerra
al regime ottomano dei giovani turchi, dando così inizio alla prima guerra balcanica.
Temendo una spartizione del loro territorio, i patrioti albanesi si riunirono a Valona, e costituirono un
governo provvisorio, che il 28 Novembre del 1912 proclamò l’indipendenza dell’Albania, con Presidente
Ismail Qemali.
La Conferenza di Londra, iniziata nel Dicembre del 1912, riconobbe ufficialmente nel 1913 tale
indipendenza, decretando la creazione di uno Stato autonomo albanese, senza però definirne in modo esatto i
confini, e assegnando la Kosovo alla Serbia.
Nell’Aprile del 1939, le truppe di Mussolini sbarcarono in Albania, e Vittorio Emanuele III venne eletto re
d’Albania.
La guerra, 28000 morti su una popolazione di meno di un milione di persone, la distruzione dell’80 % del
patrimonio edilizio, resero l’Albania un Paese che dopo la vittoriosa lotta di liberazione doveva ricostruirsi
quasi da zero.
Essa divenne non solo “teatro di guerra” ma anche terra di rapina per ogni genere di sfruttatori senza
scrupoli.

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193. L’unità linguistica in Albania


La lingua rappresenta il maggior lascito degli illiri agli albanesi, e nel discorso degli albanesi la lingua è
considerata il fondamento della nazione.
La lingua albanese, per giungere al suo stadio attuale di lingua unificata, ha attraversato un difficile percorso
di oltre 2000 anni.
I vari dominatori (romani, greci, bizantini, slavi e ottomani) miravano all’assimilazione e all’annientamento
dell’etnia albanese, prima di tutto attraverso l’eliminazione della lingua come base di questa etnia.
Tra gli obiettivi fondamentali della “Lega Albanese” ci fu quello di sviluppare la lingua, la letteratura e la
cultura albanese.
Intorno alla metà del XIX secolo, in vari Paesi europei, gli intellettuali albanesi cominciarono a pubblicare
giornali, riviste e libri scolastici in lingua albanese.
Nel 1908, i leader provenienti da tutta l’Albania e i rappresentanti delle comunità albanesi all’estero si
riunirono in un congresso a Monastir (Macedonia) per stabilire definitivamente l’alfabeto albanese.
Si ritenne come l’alfabeto più appropriato quello latino, aggiungendo nove digrammi (ll, dh, gj, sh, nj, th, rr,
xh, zh) e due lettere con segni diacritici (ç, ë).
La lingua albanese è fondamentalmente unitaria, anche se sussistono due grandi gruppi dialettali: quello
settentrionale chiamato “ghego”, e quello meridionale chiamato “tosco”.
Speculando su una pretesa “divisione culturale” fra nord e sud, alcuni studiosi hanno talvolta parlato di
“gheghi” e di “toschi” come due entità separate.
E addirittura sono giunti a negare la stessa esistenza di un popolo albanese unitario.
La forzata uniformazione del linguaggio albanese operata dal congresso di ortografia tenutosi a Tirana nel
1972, convalidò l’uso di uno albanese standard.
L’unificazione del linguaggio albanese, era parte di quel vasto programma di omogeneizzazione
dell’Albania operato dal regime comunista, che attraverso l’eliminazione delle differenze avrebbe condotto
l’Albania ad una effettiva uniformità culturale, e di converso politica e ideologica.
L’unificazione della lingua albanese fu accompagnata, ed in un certo senso favorita, da una guerra totale alla
cultura ghega.
La guerra del dialetto ghego scatenata dal regime comunista di Enver Hoxha nasceva sia dal fatto che gran
parte dell’elite culturale comunista era di origine meridionale, sia dal fatto che questa variante linguistica era
espressione soprattutto della cultura ghego-cattolica.
Con il crollo del regime comunista nel 1991, uomini provenienti dal settentrione, come Sali Berisha,
Presidente della Repubblica fra il 1991 e il 1997, monopolizzarono la vita politica albanese; e si assistette
anche ad una rinascita della cultura settentrionale.
L’origine il lirica e l’unicità della lingua testimoniano, per gli albanesi, l’antichità della loro etnia.
Donde il diritto a rivendicare le loro terre.

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194. Scanderbeg (Giorgio Castriota) e l'indipendenza albanese


Nell’idea nazionale albanese, questo simbolo eroico è incarnato da Giorgio Castriota (1405-1468), detto
Scanderbeg, animatore della rivolta che alla metà del XV secolo scoppiò contro il dominio dei turchi.
Nato a Kruja, città dell’Albania centrale, da una famiglia di feudatari che avevano prestato giuramento di
fedeltà a Sultano, Scanderbeg venne condotto a 9 anni, insieme ai suoi fratelli, a Konye, allora capitale
dell’Impero turco, affinché fosse cresciuto come un “giannizzero”.
I “giannizzeri”, cioè i nuovi soldati, erano bambini cristiani, che, strappati alle loro famiglie in quanto
considerati i più belli o i più intelligenti a giudizio di una commissione incaricata della leva, erano avviati ad
un lungo tirocinio, studiavano l’arabo e il persiano, praticavano equitazione e scherma, diventavano esperti
di diritto islamico, alla cui fede dovevano convertirsi.
Giorgio Castriota, come giannizzero cambiò il proprio nome in Scanderbeg e cominciò una brillante carriera
militare all’interno dell’esercito ottomano.
Grazie alle sue capacità fu posto dal Sultano alla guida dell’esercito di occupazione dei Balcani.
Nel 1443, durante la battaglia di Nis, combattuta fra ottomani e ungheresi, Scanderbeg lasciò l’armata
ottomana e con uno stratagemma si fece consegnare la cittadella di Kruja, capitale del feudo del padre.
Dette così inizio ad una rivolta che impegnò le truppe ottomane per molti anni.
Il 28 Novembre 1443, Giorgio Castriota proclamava la sua ribellione al Sultano.
Dopo aver abbracciato il cattolicesimo, Scanderbeg divenne uno dei simboli della lotta contro gli ottomani, e
per questo fu finanziato generosamente sia dal Papa Pio II, sia dal re di Napoli Alfonso il Magnanimo.
Nel 1444, Scanderbeg convocò a Lezhë, città sotto il dominio di Venezia, una conferenza dei vari signori
albanesi, con lo scopo di formare una Lega, chiamata in seguito “Lega Albanese”, per opporsi al Sultano.
La “Lega di Lezhë” fu sostanzialmente un’alleanza carismatica, in quanto molti nobili, allarmati dalla paura
di perdere le proprie terre, si ritirarono dalla Lega, che morto Scanderbeg fu destinata ad una rapida
dissoluzione.
La morte di Scanderbeg, nel 1468 a Lezhë, segnò l’inizio della fine della ribellione albanese, che cessò
definitivamente nel 1501 con la conquista di Durazzo.
Con il 1501 iniziò il periodo d’occupazione ottomano, che si concluderà soltanto il 28 Novembre del 1912,
quando Ismail Qemali proclamerà a Valona l’indipendenza dell’Albania.

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195. La frammentazione religiosa in Albania


La conversione degli albanesi all’Islam, professato oggi da quasi ¾ della popolazione, viene interpretata
dagli studiosi balcanici come una loro sostanziale subordinazione ai turchi, come un tradimento della causa
comune europea e cristiana: tradimento consumatosi solo per condividere con gli ottomani l’opera di
saccheggio e di massacro delle popolazioni slavo-ortodosse.
L’interpretazione albanese è opposta e si incardina sulla rappresentazione di una nazione che sulle orme di
Scanderbeg contende palmo a palmo il territorio agli ottomani, costantemente minacciando i governatori
provinciali ottomani, e li costringe a riconoscere l’autonomia ora di questa, ora di quella parte del territorio.
Entrambe le visioni sono storicamente fuorvianti.
La conversione all’Islam fu la conseguenza dell’introduzione dell’ordinamento ottomano nelle terre
balcaniche.
I cristiani, infatti, nell’Impero ottomano, in virtù del suo ordinamento giuridico e politico rigidamente
teocratico, erano infatti considerati cittadini di seconda classe.
La conversione, anche solo esteriore, all’Islam, era per loro l’unica soluzione mediante la quale migliorare la
propria posizione sociale o mantenere le proprie fortune.
L’islamizzazione promossa dai turchi aggravò la frammentazione religiosa della società albanese.
Nel tentativo di superare queste divisioni religiose, che si erano convertite in divisioni politiche, Vaso Pasha
coniò quella frase che poi fu assunta a motto dell’Albania indipendente: “l’Albanità è la religione degli
albanesi”.
La religione, quindi, non fu più un elemento di discrimine fra gli albanesi, definitivamente riuniti attorno al
culto laico della nazione.
Le teorie di Vaso Pasha raccolsero, nel 1968, l’ammirazione di Enver Hoxha, tanto che, durante la
rivoluzione culturale albanese, il leader comunista le propagandò per giustificare “la lotta contro
l’oscurantismo”, come Hoxha definì gli eccessi contro i religiosi perpetrati nel tentativo di proclamare
l’Albania “primo Stato ateo del mondo”.
Nell’ottica esasperata dell’autarchia nazionalista promossa dal regime di Hoxha, le parole di Vaso Pasha
vennero intese come un appello per l’ateismo degli albanesi.
Donde l’avvio alla costruzione di un santuario, di cui è simbolo la piramide che oggi svetta al centro di
Tirana, che sarebbe dovuto diventare il “centro mondiale di culto della nazione albanese”.

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196. Il principe Lek Dukagjini


Il principe Lek Dukagjini visse nel XV secolo, ed è un mitico personaggio della storia albanese.
Egli era non solo il signore di quelle terre, ma anche il loro legislatore, poiché fu lui a compilare il Kanun
dei Dukagjini.
Le tradizioni relative al principe Lek Dukagjini sono contraddittorie: talune raccontano che fosse uno dei
compagni di Scanderbeg, altre lo proclamano successore di Scanderbeg alla guida della “Lega Albanese”;
altre ancora lo dipingono come uno dei suoi acerrimi oppositori, pronto, per invidia e per tornaconto
personale, a prestare omaggio feudale al Sultano turco.
A Lek Dukagjini è attribuito il Kanun.
E forse questa attribuzione, che non ha un riscontro storico, si connette all’idea primitiva e archetipica di
trovare il padre delle norme giuridiche scritte in un venerato legislatore simile a un Dio, emblema della
resistenza e della gloria del popolo.

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197. I miti alla base dell'identità albanese


Gli illiri, Scanderbeg e Enver Hoxha assurgono alla dignità di una medesima figura archetipica, che percorre
l’identità albanese nella sua storia.
E il continuo confrontarsi con altre società, unito all’abilità nel combattere i nemici, determina quella
profonda chiusura degli albanesi cos’ ben rappresentata dalla fina dei bunker, assolutamente inutili a fini di
difesa, con cui Enver Hoxha cinse i confini terrestri del Paese.
Con Enver Hoxha ebbe inizio un quarantennio non tanto di dittatura del proletariato, quanto di dittatura
personale, scomponibile in 4 periodi:
1. la nascita dell’Albania comunista (194?-1948), anni di durissima prova per colui che si accingeva ad
amministrare e guidare il Paese distrutto dalla guerra;
2. l’allineamento politico, economico e culturale dell’Albania al blocco Sovietico (1949-1961), anni in cui
l’Albania conobbe e sperimentò le soluzioni delle democrazie popolari beneficiando di un’assistenza
finanziaria che le permise di muoversi sulla via dell’industrializzazione;
3. l’allontanamento dal Comecon, alla fine degli anni ’60, a cui aveva aderito nel 1949, e dal Patto di
Varsavia, che abbandonò definitivamente nel 1968 schierandosi con la Cina di Mao, e avviando una propria
rivoluzione culturale;
4. l’isolamento, dopo la rottura con la Cina, sotto lo slogan “l’Albania conterà sulle proprie forze”.
Facendo leva sulla lingua e anche sulla tradizione secolare del Kanun, gli albanesi si auto-difendevano con
la caparbia volontà di resistere a ogni nemico, reale o presunto.

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198. Il Kanun di Lek Dukagjini


Il Kanun di Lek Dukagjini è considerato la più completa raccolta di disposizioni di diritto consuetudinario
albanese.
Il testo è il frutto del lavoro di selezione e ricostruzione compiuto da Shtjefën Kostantin Gjeçov, nato nel
1874.
Prima, il Kanun si tramandava di generazione in generazione solo in forma orale.
Molte delle tradizioni raccolte dal padre Gjeçov si riferivano a un codice normativo che regola in modo
ferreo la vita dei montanari e che da loro era conosciuto come Kanun, o codice delle montagne.
La versione definitiva del Kanun di Lek Dukagjini venne pubblicata postuma a Scutari nel 1933: 4 anni
prima, il 14 Ottobre del 1929, padre Gjeçov era stato assassinato nella Kosovo da un nazionalista serbo.
Il termine Kanun non è un termine autoctono albanese.
E’ entrato nell’albanese direttamente dal bizantino, che a sua volta lo ha mutato dal greco Kvov, in italiano
“riga”.
Metaforicamente indica l’applicazione giusta e onesta delle leggi non codificate.
Kanun è poi termine che si trova nel linguaggio giuridico turco, col significato di “legge della comunità”.
Nell’utilizzare il termine Kanun per un corpus di leggi consuetudinarie, Gjeçov doveva stabilire fin da
principio la radice cristiana di queste leggi.
Per Gjeçov, il Kanun era infatti la “raccolta di leggi della comunità cristiana albanese, redatta secondo i
dettami di Lek Dukagjini”.

Il Kanun di Lek Dukagjini, come tutti i codici, è una mappa.


Ma i segnali di orientamento lasciano a desiderare.
E’ diviso in libri, capi e paragrafi, e tale divisione non è razionale: la numerazione in articoli e paragrafi
prosegue senza soluzione di continuità per l’intero testo; i libri e i capi che dovrebbero riflettere una logica
di sistemazione dei vari istituti, raccogliendoli secondo le loro affinità, sono disposti in modo caotico.
I libri sono 12, i capi 24, gli articoli 159 e i paragrafi 1263.

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199. Il Kanun è il diritto consuetudinario albanese


Il Kanun di Lek Dukagjini è il diritto consuetudinario albanese; è il Kanun per antonomasia, anche se si
tramandano testimonianze di altri Kanun.
Non esiste un unico Kanun dell’Albania, ogni regione ha avuto il suo.
Frammenti di un diritto pan-albanese o frammenti di particolarismo giuridico?
Il diritto consuetudinario albanese è l’insieme di tanti frammenti di un unico diritto pan-albanese, o i vari
frammenti sono il segno di un particolarismo giuridico che spezza la nazione in nazioni, e l’identità
nazionale in molteplici identità locali?
Le risposte.
Il poeta e vescovo Mjeda sostenne che il Kanun di Lek Dukagjini altro non è che un diritto ghego-cattolico.
Sia Von Thalloczy che Nopcsa ritennero che gli ordinamenti consuetudinari albanesi derivassero da una
struttura unica, da un’unica tradizione condivisa nell’intera Albania.
Gli scritti di Ippen, Mjeda, Von Thalloczy e Nopcsa risalgono a prima del 1933, anno della pubblicazione
del Kanun di Lek Dukagjini, ma Gjeçov non ne tiene conto: per lui infatti il Kanun di Lek Dukagjini è
innanzi tutto espressione extragiuridica o metagiuridica dell’autocoscienza albanese, e poi codice di norme
giuridiche.

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200. Diritto consuetudinario albanese e groenlandese


Per capire cosa significhi trasporre un diritto consuetudinario in un testo scritto quale il Kanun di Lek
Dukagjini è utile riferirsi alla trascrizione dei diritto groenlandese compiuta negli anni ’50 da giuristi danesi.
L’inizio delle ricerca ebbe luogo nel 1948, anno in cui il sociologo e giurista danese Verner Goldschmidt
venne inviato dal suo governo in Groenlandia allo scopo di vedere se in quel Paese fosse opportuno
codificare il diritto penale consuetudinario locale, o non fosse meglio introdurre ed applicare il diritto penale
danese.
Cominciò così lo studio del diritto consuetudinario groenlandese.
L’indagine sulla situazione si concluse con la proposta di conservare tale diritto e di codificarlo.
La proposta venne accolta e Goldschmidt eseguì il lavoro d codifica, ed il codice venne applicato come un
“esperimento sociale” a cui dovevano far seguito ricerche sociologiche.

Confrontando l’opera di Goldschmidt con l’opera di Gjeçov, si notano alcune affinità e alcune differenze.
Innanzi tutto, Goldschmidt si occupa di un diritto vivente, di un diritto che pur modificato continua ad essere
applicato nella società groenlandese, tanto da giustificare la sua trascrizione in un codice ancora oggi in
vigore.
L’opera di Gjeçov tratta, invece, di un diritto ormai soppiantato dalla promulgazione.
Inoltre, l’opera di Goldschmidt si interessa alla reciproca relazione fra il diritto locale e quello straniero, in
concreto quello danese.
Invece il diritto albanese, applicato soltanto nelle terre albanesi, non ebbe alcun contatto con l’esterno.
L’osservazione che Goldschmidt compie sugli effetti che la codificazione groenlandese ebbe sulla società,
cioè che “dopo la codificazione, contrariamente a quanto era avvenuto prima, le comunità subirono meno
l’influenza della cultura danese, col conseguente inaridimento della tradizione eschimese, ormai racchiusa
all’interno di un codice scritto”, tratteggia un fenomeno che è avvenuto anche nella società albanese: dove
sia la trascrizione delle leggi consuetudinarie, che l’imposizione di codici europei, determinarono un
“impoverimento” della cultura locale.

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201. Il Kanun è diritto positivo


Patrizia Resta, curatrice dell’edizione italiana del Kanun di Lek Dukagjini, afferma che l’opera di Gjeçov è
caratterizzata da un’ambiguità “dovuta soprattutto alla trasposizione in termini di diritto positivo che ha
tentato”.
Ribadisce dunque che il Kanun è una “trasposizione in termini positivi delle consuetudini albanesi”.
Il che è vero, ma a patto che non si confondano le consuetudini trascritte in un testo con le leggi poste dal
potere politico, e cioè a patto che le consuetudini siano considerate diritto positivo sono in quanto vigono e
finché vigono.

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202. Il Kanun rielaborato da Gjeçov


Il fatto che il Kanun di Lek Dukagjini non sia stato concepito come codice si “diritto vivente”, ma come
raccolta di tradizioni superate, rafforza l’idea che l’opera di Gjeçov nasca come opera antiquaria e
memoralistica, scevra da qualsiasi utilizzo pratico.
Pur apparentemente presentandosi come uno studio, anzi come lo studio del diritto consuetudinario
albanese, il Kanun rielaborato da Gjeçov si può principalmente considerare un’opera letteraria, e solo
secondariamente un’opera giuridica.
Gjeçov rielaborò ciò che gli veniva narrato dagli anziani contadini albanesi, cercando di raccogliere tutti
questi elementi all’interno di una struttura unitaria.
Il Kanun è così opera di Gjeçov, nel senso che fu lui a dargli non solo veste scritta, ma anche veste unitaria,
unificando le consuetudini albanesi e dettando le regole di una uniformazione della lingua albanese
settentrionale.

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203. La donna, i figli e la famiglia nel Kanun


L’art. 29 del Kanun riporta una celebre definizione: “la donna è un otre, fatto solo per sopportare”.
Accanto a questa definizione, in altri luoghi del Kanun, si ripete il ritornello dell’assoluta subalternità della
donna nei confronti dell’uomo.
All’art. 28: “il sangue della donna non è da paragonarsi a quello dell’uomo”.
Al § 1227: “la donna, secondo la legge, non ha la personalità giuridica”.
La donna è quindi un’invisibile presenza all’interno della società albanese.

Tale condizione di discriminazione appare non sussistere nella definizione che Gjeçov, all’art. 9 § 18 dà
della famiglia: “la famiglia è un insieme di individui umani, che vivono sotto lo stesso tetto, con lo scopo di
moltiplicarsi per mezzo del matrimonio e svilupparsi fisicamente e spiritualmente”.
La definizione si richiama più a elementi della dottrina cattolica e della coeva morale sessuale borghese che
ha elementi presenti nella legislazione e nel costume albanese.
Il matrimonio religioso è definito dal Kanun come uno dei modi di unione tra l’uomo e la donna, non
l’unico modo ammesso.
Il figlio illegittimo è escluso dall’eredità, ma la determinazione di chi sia figlio illegittimo, per il Kanun, non
segue la definizione che ne da il codice civile italiano.
Se per quest’ultimo il figlio illegittimo, o naturale, è il nato fuori dal matrimonio, per il Kanun è illegittimo
solo colui che è nato al di fuori di una delle forme di matrimonio ammesse, che secondo l’art. 11 sono:
matrimonio religioso, concubinato, il rapimento della donna, il matrimonio “in prova”.

La società albanese è una società che all’apparenza pretende di essere egalitaria: “il codice delle montagne
albanese non fa distinzione fra uomo ed uomo. Un’anima vale quanto un’altra; davanti a Dio non c’è
distinzione”.
In effetti, è una società che accetta il gerarchismo, per cui “i figli debbono obbedienza e sottomissione ai
genitori”, “al padrone spetta il comando, al servo l’obbedienza”, e alla donna non spetta quasi niente.

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204. Influenza della sharia nel Kanun


All’origine non era in uso uccidere un maschio della famiglia dell’uccisore: lo prova quel detto della legge
secondo cui “il sangue va per il dito”.
Questo uso fu introdotto per facilitare la vendetta, tanto che venne esteso, per le prime 24 ore, anche alle
famiglie divise da quella dell’uccisore.
L’art. 125 che regolamenta la gjakmarrja, la faida, richiama una disposizione celebre ma enigmatica del
codice consuetudinario albanese: § 898 – “secondo il codice antico delle montagne albanesi, soltanto
l’omicida cadeva nella vendetta del sangue, cioè chi con il fucile o con altra arma uccideva una persona”.
Il codice posteriore abbraccia nella legge della vendetta, o del taglione, tutti i maschi della famiglia
dell’omicida, anche se in fasce, i cugini ed i nipoti più prossimi, ancorché divisi, possono incorrere nella
vendetta entro le prime 24 ore dall’avvenuta uccisione (§ 900).
Si ha, così, una contrapposizione tra due normative: una più antica in cui l’omicidio era punito con la morte
del solo omicida, mentre la famiglia e i loro averi venivano risparmiati; e una più moderna, in cui la famiglia
e gli averi erano messi a repentaglio dal riconosciuto diritto degli offesi di rivalersi contro i parenti
dell’omicida.
Appare degno di nota che Gjeçov affermi: “fu il governo turco che lo mise in opera, e la forza di alcune tra
le famiglie più cattive. E così si riconosca come il governo turco e le famiglie feudatarie fossero in grado di
mutare le leggi tradizionali”.
Ma la legge straniera (la sharia) ebbe un impatto estremamente marginale sulla legge del Kanun.
Allora è più esatto dire che la vendetta allargata non fu importata dai turchi, ma in età turca: chi volle
trasformarla in una sanziona collettiva non furono i dinasti ottomani o i loro governatori, ma i fieri capi dei
clan albanesi.

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205. Il Kanun: una sorta di romanzo dell’Albania


Il Kanun, oltre a descrivere il mondo delle montagne dell’Albania, è figlio del mondo agricolo precedente
della rivoluzione industriale.
Infatti, traducendo i nomi e i termini in altre lingue, alcune tradizioni comprese nel Kanun avrebbero potuto
vigere anche nell’Islanda medioevale o nell’Italia rinascimentale, o nella Francia moderna.
Il Kanun è il romanzo dell’Albania, non la raccolta delle sue leggi.
Il punto di vista storico e giuridico chiarisce le numerose aporie presenti nel testo e giunge a comprenderlo
nel suo significato, come testo che il Albania ebbe una risonanza e un’importanza al pari di quelle che
l’epica omerica ebbe in Grecia: una comprensione che rimane, pur con i suoi limiti, una preziosa
testimonianza della storia del popolo albanese.

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206. L’albanese è “un uomo d’onore”


L’essere riconosciuto uomo d’onore significa partecipare pienamente alla vita comunitaria.
Subire oltraggio e non reagire, o peggio reagire ma essere sconfitti, significa il più delle volte la rovina
sociale.
La difesa dell’onore, della fama, dello status nella società, è lasciata alla forza e all’astuzia del singolo, che
non è vincolato al rispetto di alcuna regola.
§ 595: “per l’onore offeso non c’è giudizio o tribunale”.
La legge dice: “perdonali se vuoi, oppure lava la tua fronte imbrattata”.
§ 596: “l’onore è patrimonio personale, né alcuno con vie giudiziarie può impedire il risarcimento
dell’onore. L’onore sulla fronte ci è stato impresso dal sommo iddio”.
§ 597: “l’onore oltraggiato non incorre in multe giudiziarie. L’oltraggio all’onore non si perdona mai”.
§ 598: “il disonore non si vendica con compensi, ma con spargimento di sangue o con un perdono
generoso”.
§ 599: “il disonorato è libero di vendicare il proprio onore”.
§ 600: “di fronte alla legge il disonorato è considerato persona morta”.

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207. Come si disonora un uomo: la fattispecie incriminatrice


Lo spargimento di sangue, anche se giustificato dalla difesa dell’onore, non viene ammesso dal Kanun come
atto lecito, ma può dare corso alla vendetta di sangue, alla gjakmarrja: “l’uccisione fatta per l’ingiuria avuta
non libera dalla vendetta”.
“Si disonora un uomo:
a. dichiarandolo bugiardo in presenza di uomini seri radunati a convegno;
b. sputandogli in faccia, minacciandolo di percuoterlo, spingendolo o percuotendolo;
c. guastandogli la mediazione o la fedeltà promessa (besa);
d. oltraggiandogli la moglie o semplicemente allontanandogliela;
e. prendendogli le armi di spalla o di cinta;
f. offrendogli l’ospitalità, oltraggiandogli l’ospite, l’operaio;
g. violandogli, a scopo di furto, la casa, l’ovile, i depositi di grano e dei latticini che ha nel cortile;
h. non pagandogli i debiti o non restituendogli i prestiti;
i. scoperchiandogli i vasi delle vivande mentre si trovano sul fuoco a cucinare;
j. essendo ospite, inzuppando il boccone prima di lui”.

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208. Morire senza onore nel diritto albanese


Le norme sull’onore delineano i principi su cui si basa il sistema legale, e si può quindi ragionevolmente
ritenere che questo sia il nucleo fondante dell’intero Kanun.
L’esaltazione dell’onore affonda le sue radici nella notte dei tempi, e rappresenta il fulcro di numerosi
ordinamenti giuridici arcaici.
La sola cosa di cui doveva avere paura l’uomo era la morte senza onore.

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209. Società albanese: una società della vergogna


Ci sono società della vergogna e società della colpa.
Quella albanese, così come emerge dal Kanun, è più vicina alle società della vergogna.
In tali società l’adeguamento alle regole non è ottenuto con l’imposizione di divieti, ma con l’imposizione di
modelli positivi di comportamento: coloro che non si adattano ai modelli incorrono nel biasimo sociale, e di
conseguenza in una sensazione di vergogna.
Nelle società della colpa, i comportamenti sono invece condizionati con l’imposizione di divieti: chi tiene un
comportamento vietato si sente oppresso da un senso di colpa.
Al pari di ogni altro modello scientifico, anche questo modello è soggetto a errori; infatti, non si incontrano
solo società della vergogna e solo società della colpa, ma, a seconda dei casi, prevarrà o il senso della
vergogna o il senso della colpa.
Nella società albanese sono presenti entrambi i modelli: le regole dell’onore rinviano a una realtà in cui la
vergogna è il massimo dei “mali”, e al contempo, nel Kanun, la violazione della legge è già di per sé un
“male”.
Il disonorato può, il nome del suo onore, uccidere; ma uccidendo condanna sé stesso e la sua famiglia a
gravi sofferenze, dato che la famiglia dell’ucciso può vendicarsi su uno qualunque dei maschi della famiglia.

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210. Un maschilismo atavico nella società albanese


Solo l’uomo può difendere l’onore, poiché questo è una sua qualità fondamentale; la donna, non avendo
personalità giuridica, non può difendere il proprio onore.
La normativa albanese negava alla donna qualsiasi facoltà di difesa se sorpresa nell’atto carnale con un
amante, e addirittura condannava ad una pena terribile (il rogo sul letamaio) la donna nubile o la vedova che
ne fosse rimasta incinta.

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211. La “besa” nel Kanun


Il sostantivo femminile “besa”, tradotto generalmente in italiano con la locuzione “parola data”, non indica
soltanto un dovere giuridico, quale il mantenimento della promessa, ma un dovere che ha connotati religiosi
e sacrali.
La besa non è una promessa; il Kanun è molto attento a definire i contorni della promessa.
L’art. 84 del Kanun afferma:
§ 511: “la promessa è quell’atto con cui uno si obbliga di dare qualcosa ad un altro per un servizio che sarà
prestato”:
§ 512: “la promessa si fa: per una difesa in giudizio, per un viaggio o pellegrinaggio da compiere, per
pattuire il prezzo del sangue, per stabilire una mediazione o le spese di una cura”.
Si nota una precisa area di intervento della promessa, un’area delimitata dai “casi ammessi dalla legge”, che
nel diritto albanese sono casi incidentali, non inerenti alla difesa dell’onore o alla vendetta.
Il § 525 dell’art. 84 stabilisce inoltre: “se il giudice, il commesso viaggiatore, l’intermediario, ecc… non
hanno compiuto la loro missione secondo gli impegni, il compenso promesso non si dà, e nemmeno il codice
può obbligare a mantenere le promesse per missioni non compiute”.

La besa, a differenza della promessa, non trova una sua definizione nel Kanun.
Il carattere parareligioso che la contraddistingue non permette al codificatore di stabilire una sua precisa
determinazione, lasciando che questa sia compiuta dai poeti e dai narratori.
La besa è dunque una “clausola in bianco”.

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212. Il significato della besa nel Kanun: la storia del cacciatore e il


drago
Per comprendere il significato della besa, nonché le sue implicazioni morali e giuridiche, si può analizzare la
fiaba intitolata La figlia del sole e della luna.
La fiaba narra delle sventure di un uomo, un cacciatore che, per amore di una donna trasgredisce al comando
di non recarsi in un luogo maledetto sede di un potente drago.
Il cuore della fiaba è l’incontro tra l’uomo e l’essere soprannaturale che lo minaccia di morte.
L’ultimo desiderio del condannato a morte è quello di recarsi dalla propria famiglia per dare l’ultimo saluto
ai propri congiunti.
Alle rimostranze del drago, indeciso se concedere tale permesso al cacciatore, l’uomo risponde dicendo: “mi
impegno con solenne giuramento a ritornar da te, farò con te un vero e proprio patto e prenderò a
testimonianza delle mie parole il signore del cielo e della terra”.
Il cacciatore, alle obiezioni del drago: “cosa mi dai perché ti lasci andare?” risponde risoluto: “ti do la mia
besa”.
La fiaba specifica che il giovane diede la sua besa al drago e quindi ridiscese dalla montagna.
Nella fiaba, interrogato sul perché non possa sottrarsi al destino, il cacciatore risponde: “ho dato la mia besa
al drago e non posso venire meno alla mia parola. Meglio morto che tradire la besa”.
Il protagonista torna dopo il periodo accordato, con grande meraviglia dell’essere soprannaturale, che gli
accorda salva la vita proprio in virtù della sua fedeltà al giuramento dato.

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213. Il giuramento nel Kanun


Si sottolinea che l’eroe dà la besa.
L’uso del verbo “dare” implica un rituale che sancisca il giuramento.
Di tale rituale si sono conservate tracce nella sezione del Kanun dedicata al giuramento: “il giuramento è un
atto religioso per mezzo del quale l’imputato cerca di sgravarsi di qualche grave colpa toccando con la mano
un oggetto sacro e invocando il nome di Dio a testimonianza della verità”.
“Un giuramento fatto solo a parole non è accettato dalla legge”.
L’art. 90 ribadisce i principi cardine del giuramento:
§ 539: “il giuramento deve essere reso da chi intende sgravarsi da un’accusa o imputazione”.
L’art. 89 riporta le modalità d giuramento:
§ 533: “sulle montagne albanesi il giuramento si fa in due modi:
1. sulla pietra;
2. sul Vangelo.
Le norme sul giuramento comprese nel Kanun inglobano il rituale della besa.
Infatti, il giuramento sulla pietra è un giuramento religioso che vincola il giurante per tutta la vita, a
differenza del giuramento giudiziario, il cui ambito d’azione è confinato al caso in esame.
La besa vincola il promettente per tutta la vita, a differenza della promessa che è sottoposta a un termine di
decadenza.

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214. La besa dal punto di vista giuridico


Da un punto di vista giuridico, la besa è una promessa unilaterale sprovvista di termine e garantita dalla vita
e dall’onore del promettente.
Può essere sia libera che coatta.
Enver Hoxha soleva ripetere che, in caso di attacco anglo-americano all’Albania, gli attaccanti “sarebbero
stati schiacciati dalla besa degli albanesi”.
Hoxha si riferisce alla besa coatta, all’obbligo di tutti gli albanesi di difendere la nazione; il traditore, oltre a
tradire la patria, tradiva la besa e nei confronti suoi e della sua famiglia erano ammesse le più atroci pene
quali “l’incendio della casa, la distruzione della terra coltivata, la fucilazione, il bando di una famiglia con
tutto quello che possiede”.

Sistemi giuridici di Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Paesi nordici e Pagina 220 di 235
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215. La besa come vincolo sociale


L’art. 157 del Kanun ricorda:
§ 1197: “nessuno, cioè né il villaggio, né la bandiera, né gli stessi Gjomarkaj, può dar piglio al tizzone e alla
scure per procedere all’esecuzione della pena, ma solo il padrone della casa che ha commesso il delitto”.
Ciò implica che la riaffermazione del vincolo della besa come vincolo sociale che riunisce tutti gli albanesi,
e l’obbligo di un suo riconoscimento da parte di tutti, anche da parte di chi ha commesso il reato.
Il Kanun, al § 1126: “la base del Kanun è la famiglia dei Gjomarkaj”.
Alla luce della besa, questa disposizione di deve intendere come: “la base del codice è la besa; la besa
vincola tutti gli albanesi a proteggere l’attuale ordinamento e quindi a proteggere e rispettare i Gjomarkaj,
che sono i capi riconosciuti dal codice”.

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216. Gerarchia delle formazioni sociali albanesi


Il § 19 del Kanun stabilisce la gerarchia delle varie formazioni sociali albanesi: “la famiglia si compone
delle persone di casa; più famiglie unite formano una fratellanza; più fratellanze una stirpe; più stirpi una fis
(tribù); più fis una bandiera; e tutte insieme, avendo una stessa origine, un medesimo sangue, una stessa
lingua e comuni usi e costumi, formano quella grande famiglia che si chiama nazione”.
Le formazioni sociali albanesi sono dunque ordinate intorno alla famiglia, vero motore della società.
Al pari di altre popolazioni mediterranee, in Albania la parola famiglia indicava non la famiglia nucleare
(composta dai genitori e dai loro figli), ma la famiglia allargata patriarcale (in cui più generazioni di parenti
convivevano sotto l’autorità di un capo famiglia).
Secondo il diritto consuetudinario albanese, gli individui che fanno parte della famiglia non hanno
responsabilità giuridica, civile e sociale se non attraverso il capo famiglia, che equivale al pater familias del
diritto romano.

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217. Il marito e il padre nel Kanun


Il Kanun definisce la famiglia come un “insieme di individui umani che vivono sotto uno stesso tetto con lo
scopo di moltiplicarsi per mezzo del matrimonio e svilupparsi fisicamente e spiritualmente”.
La definizione è evidentemente influenzata dalla dottrina cattolica, come concetto di famiglia scaturita dal
matrimonio: l’unione sancita dalla società fra due soggetti di sesso opposto, finalizzata alla riproduzione e
alla crescita dei figli.
Ma tale aspetto non esaurisce il significato giuridico del termine famiglia.
Infatti, accanto alla famiglia sorta per matrimonio, erano ammesse anche altre forme di unione fra uomo e
donna, quali il concubinato, il matrimonio “in prova” e il matrimonio per ratto.
Il Kanun afferma: “il marito compra il lavoro e la convivenza della moglie, non la sua vita”.
Pertanto “il marito non ha diritto sulla vita della moglie” mentre “il padre ha il diritto di bastonare, legare,
incarcerare e perfino uccidere il figlio o la figlia, senza che la legge lo punisca”.
La conseguenza: “se la donna incorre in una disgrazia per colpa del marito, la famiglia di lei chiederà
soddisfazione secondo le regole del codice”.
A differenza del diritto romano, dove la donna perdeva qualsiasi contatto con la famiglia di provenienza per
divenire parte integrante del nuovo gruppo a cui si univa, nel diritto albanese la donna rimane vita natural
durante parte integrante della famiglia originaria e quindi elemento estraneo alla nuova famiglia.
L’art. 13 § 34 elenca i diritti della moglie: “la moglie ha il diritto di avere dal marito il sostentamento, i
vestiti e le calzature”.
Il resto è rimesso al buon cuore dello sposo.

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218. La moglie e la concubina nel Kanun


Solo il matrimonio legittimo è considerato degno di protezione giuridica.
L’art. 32 del Kanun, delineando la figura della concubina, stabilisce che la “concubina non gode di alcun
diritto nella casa di chi l’ha presa”.
I figli che il convivente ha da lei sono considerati illegittimi e senza diritto ad alcuna parte d’eredità.
Gli eredi sono sempre i figli legittimi, purché maschi, le figlie mai.
Il legame che unisce la famiglia albanese è rappresentato, quindi, non da un legame affettivo, ma da un
obbligo giuridicamente vincolante, che impone precisi doveri al marito, alla moglie, ai figli, agli agnati, ai
parenti: quest’obbligo è la besa, il giuramento sacrale.

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219. Dalla responsabilità penale personale a quella collettiva


familiare nel Kanun
Nella famiglia, la responsabilità degli atti compiuti ricade sempre su tutti i suoi membri e non sui singoli.
Questa responsabilità indica una evoluzione del corpus legislativo albanese.
Alla responsabilità personale, eroica, per cui il singolo rivendica l’atto violento affermando il proprio diritto
alla difesa dell’onore, si sostituisce una più elementare responsabilità collettiva che coinvolge l’intera
famiglia.
E’ necessario interrogarsi sul perché di tale cambiamento.
Quali i motivi che hanno condotto la società albanese a privilegiare la responsabilità collettiva rispetto alla
responsabilità personale?
La responsabilità collettiva, o responsabilità per fatto altrui, nel diritto consuetudinario albanese, va vista
alla luce della famiglia, e non del singolo individuo, quale fondamento del sistema giuridico.
La famiglia è dunque l’asse materiale del Kanun.
La besa è l’asse spirituale della famiglia: è l’elemento che rende la famiglia un gruppo speciale rispetto ad
altri gruppi, quali le stirpi e la nazione.
La besa familiare è una besa coatta, la violazione della quale provoca una feroce persecuzione sia da parte
della famiglia che da parte del villaggio.

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220. L’omicidio nel Kanun


La premeditazione come aggravante
La premeditazione implica non solo la volontà di uccidere, ma soprattutto l’attivazione di un progetto che
abbia come finalità la morte del soggetto.
L’atto premeditato è sempre punito in modo più grave.
La premeditazione è dunque il primo elemento che deve comparire perché sia attivata la pena capitale da
parte della comunità.
Anche nel diritto consuetudinario albanese, la premeditazione è un’aggravante.
Nel Kanun, all’art. 118, viene minuziosamente descritto il comportamento dei congiurati in relazione alla
fattispecie dell’”agguato”: § 822 “l’agguato è quell’azione con la quale, nelle montagne e nelle pianure, si
sceglie il posto adatto e si tendono insidie contro i sanguinari o contro qualunque altro si vuole uccidere”.
Uccidere in un agguato implica certamente la premeditazione.
Chi uccide non può negare l’omicidio, perché altrimenti negherebbe la volontarietà del suo gesto e
impedirebbe l’attivazione della vendetta di sangue.

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221. Il reo nel Kanun


§ 844: “l’omicida, compiuto il delitto, dovrà avvisarne la famiglia dell’ucciso, perché non si dia luogo ad
errori nella ricerca del reo”.
In difetto ecco la sanzione, § 1194: “l’incendio della casa, la distruzione della terra coltivata, la fucilazione,
il bando di una famiglia con tutto quello che possiede si infliggono a colui il quale: […] e) uccide e
nasconde un delitto”.
Tale sanzione trova il suo fondamento nella volontà di stabilire un ordine contro ogni pericolo di anarchia:
un ordine che organizza il disordine, un ordine che giuridicizza la vendetta, e però pur sempre un ordine.

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222. Uccidere l’adultera nel Kanun


Nel Kanun, accanto all’uccisione lecita per antonomasia, l’omicidio per vendetta, esiste una normativa
relativa ad altre uccisioni lecite, messe in atto a seguito della scoperta di azioni disoneste.
L’art. 129 del Kanun prevede:
§ 920: “coloro che vengono uccisi in flagrante adulterio rimangono invendicati”.
§ 921: “il principio una colpa non giustifica un assassino, in fatto di adulterio perde il suo valore”.
L’uccisione dell’adultera ha una sua forma: deve essere compiuto mediante la “cartuccia rituale” che viene
consegnata al marito il giorno delle nozze.
L’uccisione per adulterio è uno dei pochi casi in cui il Kanun ammette l’omicidio ai danni di una donna.
Un altro caso: l’ultimo § dell’art. 17 in tema di fidanzamento (imposto dalla famiglia): “se la ragazza si
rifiuta di sposare il fidanzato, i parenti debbono consegnarla ugualmente, anche con la forza, assieme ad una
cartuccia. Se poi la ragazza tenta di fuggire, lo sposo la può uccidere usando quella cartuccia. In questo caso
il sangue resta invendicato perché la ragazza è stata uccisa dalla cartuccia dei suoi parenti”.
La donna può essere, inoltre, uccisa per il tradimento dell’ospitalità.
Sono queste le eccezioni, e la regola è la seguente: “la donna e il sacerdote non cadono nella vendetta del
sangue”.

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223. La vendetta nel Kanun


L’atto premeditato e illegale cade nella vendetta di sangue.
Nel Kanun si stabilisce, al § 896: “se l’uccisione avviene all’interno del proprio villaggio, l’omicida dovrà
fuggire dal Paese e nascondersi fra gli amici con tutti i maschi di casa, fossero anche bambini in culla, per
evitare il pericolo di essere uccisi”.
Il diritto consuetudinario albanese è per la responsabilità collettiva familiare di tutti i maschi, una
responsabilità duramente condannata da Gjeçov.
Gjeçov riferisce che originariamente il Kanun prevedeva una responsabilità personale per l’omicidio.
Il fatto è che la responsabilità collettiva familiare è insita nella struttura stessa del Kanun.
Senza la previsione di questa responsabilità tutto il Kanun non avrebbe senso.
La ratio di tale responsabilità è la seguente: il capo famiglia, proprio perché responsabile del fatto illecito
commesso da un membro della famiglia, è investito di un obbligo di controllo a beneficio dell’ordine
sociale.
La responsabilità collettiva familiare è stata nell’Albania del Kanun un fattore di stabilizzazione e al
contempo una conseguenza quasi naturale della besa, giacché la besa è solidarietà spinta all’estremo, tanto
nel bene che nel male.
Non a caso l’art. 157 del Kanun, assegna alla famiglia dell’offeso, per farsi giustizia da sé, un termine di 24
ore, scaduto il quale “la famiglia dell’ucciso dovrà dare garanzia della tregua”.
L’introduzione di questo termine, non presente nel “codice del passato”, implica che la vendetta albanese
non è “anarchica” come solitamente si dice.
Trascorse inutilmente 24 ore dall’omicidio la vendetta si blocca.

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224. La tregua nel Kanun


La tregua è l’istituto cardine della normativa sull’omicidio contenuta nel Kanun.
Viene definita puntualmente all’art. 122:
§ 854: “la tregua è quel periodo di libertà e sicurezza che la famiglia dell’ucciso accorda all’omicida e alla
sua famiglia, obbligandosi a non inseguirli a scopo di vendetta fino al giorno convenuto”.
§ 855: “è legge mandare mediatori e chiedere la tregua. Concedere la tregua è un dovere e cosa degna di
uomini forti”.
Spirate le 24 ore non c’è più motivo di custodirsi, perché entra in vigore la tregua dell’omicida e quindi il
sangue eventualmente versato non attiene più alla vendetta di sangue, ma è il segno di un nuovo omicidio.
Nelle 24 ore dall’omicidio, l’omicida deve presenziare ai funerali della vittima, in modo che la comunità
conosca la verità e sappia chi siano stati i contendenti.
Il Kanun afferma, al § 856: “quando dalla famiglia dell’ucciso viene accordata la tregua dell’omicida,
costui, sebbene assassino del morto, dovrà prender parte ai funerali e accompagnare il cadavere fino al
sepolcro, trattenendovisi anche al convito funebre. Questa tregua dura solo 24 ore”.
§ 857: “se poi l’assassino, nonostante la tregua avuta, si rifiuta di prender parte alla cerimonia e al convito
funebre, non è atto disonorevole se la famiglia dell’ucciso ritira la tregua, perché in quel modo a vergogna
aggiunge vergogna”.
La coerenza della normativa Kanunaria è qui palese e si mostra tramite una precisa sequenza di atti:
1. l’omicida ha l’obbligo di rivendicare l’omicidio;
2. l’omicida chiede la tregua: “l’omicida dovrà mandare a chiedere la tregua”;
3. è obbligo concedere la tregua;
4. durante la tregua, l’omicida deve partecipare al rito funebre e al banchetto funebre; se non lo fa, la tregua
viene ritirata e riprende vigore la normativa sulla vendetta; se lo fa, allo spirare delle 24 ore, i congiunti
dell’ucciso possono attuare la vendetta.

La tregua è garantita dalla besa

Se la besa viene tradita, la famiglia dell’omicida è disonorata e in più incorre nelle sanzioni previste dall’art.
157: “incendio della casa, la distruzione della terra coltivata, la fucilazione, il bando di una famiglia con
tutto quello che possiede si infliggono a colui il quale: […] f) uccide il sanguinario durante il periodo della
tregua”.
Spirata la tregua è discrezione della famiglia della vittima concedere altre tregue.
Il Kanun riporta: “dopo che l’ucciso sarà sepolto, il villaggio è nel diritto di ottenere la tregua per l’assassino
e per la sua famiglia”.
Dunque è il villaggio che deve farsi portatore della nuova richiesta di tregua.
Ma le richieste successive alla prima doverosa tregua possono essere anche eluse dalla famiglia dell’ucciso,
facendo rivivere l’originaria vendetta di sangue.
La tregua non cancella la vendetta originaria, la sospende.
Se la tregua del villaggio viene accolta, ha la durata di 30 giorni.

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225. La rilevanza della stirpe nel Kanun


Accanto alla tregua dell’omicida e a quella del villaggio, il Kanun prevede la tregua della stirpe: “la tregua
della stirpe, che la famiglia dell’ucciso accorda, si estende a tutte le famiglie delle stirpi del Paese senza
alcuna eccezione”.
A sua volta, la stirpe è oggetto della vendetta di sangue durante le prime 24 ore al pari della famiglia.
Ma la difficoltà di risalire alla genealogia esatta può fermare la mano dei vendicatori.
Per questo il Kanun fa riferimento a “tutti i maschi della famiglia dell’omicida, anche in fasce, i cugini e i
nipoti più prossimi”, ed esclude la “totalità della stirpe; per evitare ancora una volta che nel villaggio
sorgano disturbi su disturbi”.

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226. Come deve comportarsi la famiglia dell’omicida nel Kanun


La famiglia dell’omicida deve tenere un comportamento consono alla situazione di lutto che si è creata nel
villaggio: “la famiglia dell’omicida, ottenuta la tregua, dovrà comportarsi con urbanità e prudenza,
astenendosi, sia uomini che donne, dal recare qualsiasi noia o disturbo alla famiglia dell’ucciso. I membri
della famiglia dell’uccisore non dovranno mostrarsi orgogliosi o superbi”.
§ 867: “se la famiglia dell’omicida si comporta male verso quella dell’ucciso, il villaggio, insieme ai garanti,
la chiama all’ordine e, occorrendo, la più anche punire con la multa o con la privazione della tregua”.
La tregua ha una finalità dilatatoria, ponendo un limite all’utilizzo della mera forza, incanala l’atto della
vendetta all’interno di una serie di atti giuridici la cui finalità è quella di mantenere la quiete nella comunità
e di negoziare una soluzione non violenta di quella crisi collettiva che l’omicidio ha prodotto.

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227. La conciliazione nel Kanun


L’intervento della comunità, che domanda la tregua, può differire la fine della crisi innescata con l’omicidio,
ma non sanarla.
Allo scadere del tempo stabilito, 30 giorni, o la soluzione viene trovata tramite la consegna di un
guidrigildo, oppure riprende vigore la vendetta di sangue.
I 30 giorni sono dunque destinati all’attivazione di meccanismi di risoluzione indolore della controversia.
Il Kanun ammette che possa essere versato un guidrigildo, una somma a titolo di risarcimento, purché in
seguito si compia la cerimonia dell’“affratellamento”.
Dall’art. 140 § 988: “pacificati del tutto gli animi, i parenti dell’uccisore e quelli dell’ucciso si bevono
reciprocamente il sangue”.

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228. Il mediatore del sangue nel Kanun


Ottenuta la tregua del villaggio, la famiglia dell’uccisore deve inviare un “mediatore del sangue” per
chiedere la pacificazione del sangue e un guidrigildo per liberare la famiglia dalla vendetta.
A differenza del “mediatore della tregua”, che svolge il suo compito senza fini di lucro, il “mediatore del
sangue”, come definito dal § 965, cerca di indurre la famiglia dell’ucciso a riconciliarsi con quella
dell’uccisore e ne ottiene un profitto.
La pacificazione si compone dunque di due momenti: un momento privato, in cui la famiglia dell’ucciso
deve essere convinta a soprassedere all’applicazione della vendetta di sangue, e uno pubblico di rinuncia alla
vendetta e di accettazione del riscatto.
Lentamente si era venuta affermando una prassi sociale che, in misura dapprima limitata e via via sempre
più estesa, aveva limitato le vendette private.
Se il riscatto veniva accettato, chi lo riceveva (nel corso di una solenne cerimonia pubblica) otteneva solenne
soddisfazione del torto subito.
La popolazione intera, infatti, assisteva alla cerimonia della consegna e così constatava che l’offensore
aveva implicitamente ammesso di “non poter sostenere la rappresaglia”.
Il “prezzo del sangue”, istituto molto conosciuto e menzionato anche nel Corano, non era però affidato
all’arbitrio della famiglia dell’ucciso, né a quello della famiglia dell’omicida.
Bisognava riferirsi a una “tabella” stabilita in precedenza.
In una società onorata, quale quella albanese, ritenere che un defunto sia inferiore ad un altro avrebbe
significato la rottura irrimediabile fra le due famiglie, quella dell’omicida e quella della vittima, e la ricaduta
nella faida.
Muovendo dal principio che tutti i maschi sono uguali, il Kanun considera giusta ed equa la tabella: il prezzo
del sangue ha un unico parametro, il valore della vita.
Donde la seguente regola, sancita al § 892: “chi uccide un individuo sia maschio o femmina, ragazzo o
ragazza, sia anche infante, bello o brutto, autorità, giudice facente parte del tribunale, ricco o povero, nobile
o plebeo, subisce la stessa pena, e cioè: 6 borse in moneta, 100 montoni e mezzo bove di multa.

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229. I “garanti del prezzo del sangue” e i “garanti della vendetta”


nel Kanun
Il ruolo dei “mediatori del sangue” termina al momento della pacificazione.
Al loro posto vengono nominati i “garanti del prezzo del sangue” e i “garanti della vendetta”: i primi scelti
dalla famiglia dell’ucciso, i secondi dalla famiglia dell’uccisore.
I garanti della vendetta, vincolati vita natural durante al loro dovere, proteggono la famiglia dell’uccisore da
eventuali vendette tardive della famiglia dell’ucciso, e tengono a freno la famiglia dell’uccisore in modo che
non commetta azioni denigratorie nei confronti della famiglia dell’ucciso.
I garanti del prezzo del sangue sono coloro che materialmente consegnano oppure anticipano la somma
dovuta come prezzo del sangue alla famiglia dell’ucciso.
Solitamente questo compito era svolto da usurai che viaggiavano per l’intera Albania offrendo i propri
servigi.
In caso di mancato versamento del prezzo del sangue, la famiglia dell’ucciso non può riattivare la vendetta,
ma il prezzo del sangue sarà, infatti, versato dai garanti del prezzo del sangue, che si rivvarranno sulla
famiglia debitrice.
Il pagamento del prezzo del sangue e la successiva pacificazione determinano la chiusura della crisi apertasi
con l’omicidio, e dunque collocano la vendetta di sangue come estremo rimedio.

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Indice
1. Studio del diritto prima del 1900 1
2. La nascita della disciplina del diritto comparato nel 1900 2
3. Dal diritto nazionale al diritto internazionale nell'età contemporanea 3
4. Definizione di diritto comparato 4
5. Diritto comparato e diritto positivo 5
6. Diritto comparato e diritto straniero 6
7. Rapporti fra diritto comparato e altri rami della scienza giuridica 7
8. La scienza del diritto comparato: la funzione della conoscenza per il comparatista 8
9. Diritto comparato: per un'universalità della scienza giuridica 9
10. Diritto comparato: per una comprensione delle culture 10
11. Funzione del diritto comparato: per una migliore comunicazione tra giuristi 11
12. Funzione del diritto comparato: una migliore politica legislativa 12
13. Funzione del diritto comparato: interpretare il diritto nazionale 13
14. Diritto comparato: armonizzazione dei diritti nazionali 14
15. Diversità dei diritti positivi nazionali 15
16. Diritti positivi: importanza attribuita alla norma giuridica 16
17. Diritti positivi: elaborazione e produzione della norma giuridica 17
18. Diritti positivi: interpretazione e applicazione della norma giuridica 18
19. Cause di diversificazione dei diritti nazionali: cause e origini della diversità 19
20. Superamento delle diversità dei vari diritti positivi 20
21. Influenze nei diritti nazionali: diritto romano, canonico, islamico, Code Civil, 21
22. Comparazione giuridica e classificazione: le famiglie giuridiche 22
23. Il carattere relativo di ogni classificazione del diritto 23
24. Le classificazioni degli ordinamenti in famiglie giuridiche: P. Arminjon, B. Nolde e M. 24
25. Le classificazioni degli ordinamenti in famiglie giuridiche: Réne David 25
26. Le classificazioni degli ordinamenti in famiglie giuridiche: K. Zweigert e H. Kötz 26
27. Le classificazioni degli ordinamenti in famiglie giuridiche: Mattei e Monateri 27
28. La crisi del diritto nei secoli VI-XI 29
29. Il rinascimento giuridico: dopo l'anno 1000 30
30. Il rinascimento giuridico: il ruolo delle università 31
31. Le scuole di giuristi fiorite nelle università 32
32. Le scuole di giuristi: i Glossatori 33
33. Le scuole di giuristi: i canonisti 34
34. Le scuole di giuristi: i commentatori 35
35. Le scuole di giuristi: gli umanisti 36
36. Lex mercatoria 37
37. Il fenomeno della recezione del diritto 38
38. Le consuetudini e il loro ruolo nella diffusione del diritto romano 39
39. La legislazione e il suo ruolo nella diffusione del diritto romano 40
40. La giurisprudenza e il suo ruolo nella diffusione del diritto romano 41
41. Premesse storiche della codificazione del diritto 42
42. Crisi dell’assetto medievale del diritto 43
43. Assolutismo e crisi del diritto medievale: il caso della Francia 44
44. Crisi del diritto medievale: rivoluzione francese, giusnaturalismo e razionalismo 45
45. Le codificazioni civilistiche del XIX secolo 46
46. Il Code Civil des Français del 1984 47
47. Le origini storiche del Code Civil 48
48. La Rivoluzione francese e il droit intermédiaire 49
49. L’impulso di Napoleone alla codificazione del Code Civil 50
50. Stile e struttura del Code Civil 51
51. Titolo introduttivo del Code Civil 52
52. I tre libri del Code Civil 53
53. Il processo di adeguamento nel tempo del Code Civil 54
54. La scuola giuridica dell’exégèse 55
55. La diffusione del modello del Code Civil 56
56. Allgemeines Landrecht Prussiano del 1794 (ALR) 57
57. Allgemeines Landrecht Prussiano: diritti reali e Associazioni 58
58. Il codice civile austriaco del 1811: Allgemeines Brgerliches Gesetsbuch Fr Die 59
59. La composizione dell'Allgemeines Brgerliches Gesetsbuch Fr Die Deutschen 60
60. Il codice civile tedesco del 1900: Brgerliches Gesetzbuch (BGB) 61
61. La scienza giuridica: la Scuola storica 62
62. La scienza giuridica: la Scuola Pandettistica 63
63. La struttura del Brgerliches Gesetzbuch (BGB) 64
64. La filosofia alla base del Brgerliches Gesetzbuch (BGB) 65
65. Il diritto tedesco fino al 1918 66
66. Il diritto tedesco durante Weimar 67
67. Il diritto tedesco nel Nazismo 68
68. Ripercussioni nella sfera giuridica del nazionalismo tedesco 69
69. Il diritto tedesco nel secondo dopoguerra 70
70. La diffusione del modello del Brgerliches Gesetzbuch (BGB) 71
71. Il codice civile svizzero del 1912 (Zivilgesetzbuch, ZGB) 72
72. Storia della codificazione svizzera del sistema giuridico 73
73. Struttura e caratteristiche dello Zivilgesetzbuch (ZGB) 74
74. Successo e diffusione dello Zivilgesetzbuch (ZGB) 75
75. I codici giuridici di alcuni Stati pre-unitari in Italia 76
76. Il codice civile italiano del 1865 77
77. Nuovo Paragrafo 78
78. Innovazione del codice italiano del 1942: l'unificazione del diritto privato 79
79. Processo di decodificazione del codice italiano del 1942 nel post-fascismo 80
80. L'entrata in vigore della Costituzione in Italia 81
81. Definizione di norma giuridica 82
82. La ricerca della giustizia nella civil law e nella common law 83
83. La gerarchia delle fonti giuridiche 84
84. Gerarchia delle fonti: le Costituzioni scritte 85
85. Il sistema giuridico diffuso o accentrato: le varianti nazionali 86
86. Gerarchia delle fonti giuridiche: i Trattati internazionali 87
87. Gerarchia delle fonti giuridiche: le leggi 88
88. Gerarchia delle fonti giuridiche: i regolamenti 89
89. Gerarchia delle fonti giuridiche: le consuetudini 90
90. Modelli di organizzazione giudiziaria 91
91. Caratteristiche giuridiche dei paesi di civil law 92
92. Il ruolo della giurisprudenza nel sistema delle fonti 93
93. Il ruolo creativo della giurisprudenza in common law e civil law 94
94. Differenze basilari tra common law e civil law 95
95. Il ruolo della dottrina in giurisprudenza 96
96. Confronto tra common law e civil law 97
97. Common Law: significato e natura 98
98. Common law e equity 99
99. Common law e statute law 100
100. Common law e il diritto inglese 101
101. Le origini della Common Law e l’affermazione delle corti centrali di Westminster 102
102. Struttura unitaria della monarchia normanna 103
103. Le corti regie di Westminster 104
104. Le corti regie di Westminster: l’Exchequer 105
105. Le corti regie di Westminster: Court of Common Pleas e King’s Bench 106
106. Le corti speciali: ecclesiastiche, mercantili e marittime 107
107. L'istituzione della giustizia itinerante 108
108. Il sistema dei Writs 109
109. Caratteristiche dei Writs 110
110. Il funzionamento dei Writs 111
111. La crisi del sistema dei Writs 112
112. Lo Statute of Westminster II, 1285 113
113. L’evoluzione del Writ of Trespass 114
114. L’assumpsit: origine della tutela contrattuale 115
115. La Court of Chancery e lo sviluppo dell'Equity 116
116. Le ragioni dell’affermazione dell’equity 117
117. Caratteristiche essenziali dell’equity 118
118. Equity e common law: flessibilità e rigidità 119
119. Riforme nel diritto inglese nella seconda metà del XIX secolo 120
120. County Courts Act e le riforme processuali nella giurisprudenza inglese 121
121. I Judicature Acts (1873-1875): la riorganizzazione delle corti 122
122. Caratteristiche del Judicial Committee of the Privy Council 123
123. I Judicature Acts (1873-1875): l’amministrazione congiunta di common law ed 124
124. I Judicature Acts (1873-1875): il rule making power e le nuove regole processuali 125
125. Definizione di Attorney e narrator 126
126. Nascita dei Barristers e dei Solicitors 127
127. I giudici delle corti reali nell'ordinamento giuridico inglese 128
128. Constitutional Reform Act 2005 e Judicial Appointments Commission 129
129. Il numero dei giudici inglesi 130
130. La magistratura laica inglese: i Justices of the Peace (magistrates) 131
131. Nuovo Paragrafo 132
132. La magistratura laica inglese: gli Special Tribunals 133
133. Il modello adversary di processo civile nella giurisprudenza inglese 134
134. Le riforme recenti delle giustizia civile inglese (1990-1999) 136
135. La gerarchia delle fonti e la nozione inglese di costituzione 137
136. Il principio Stare Decisis nella giurisprudenza inglese 138
137. Inasprimento della regola Stare Decisis nel diritto inglese 139
138. Teoria e prassi della regola Stare Decisis 140
139. La distinzione tra ratio decidendi e obiter dictum 142
140. Distinguishing e overruling nel diritto inglese 143
141. Anticipatory Overruling e il Prospective Overruling 144
142. Rapporto tra legge e giurisprudenza nel diritto inglese 145
143. L’aumento della produzione legislativa nel diritto inglese del XIX secolo 146
144. Caratteristiche dello stile legislativo inglese 147
145. La codificazione della Common Law 148
146. Interpretazione della legge nel diritto inglese: literal rule, golden rule e l'influenza 149
147. Valore della consuetudine nel diritto inglese 150
148. Il ruolo della dottrina nel diritto inglese 151
149. La Common Law negli Stati Uniti 152
150. La ricezione della Common Law nelle colonie e l’indipendenza americana 153
151. L’importanza della Costituzione e del Bill of Rights 154
152. Gli articoli originari della Costituzione Americana 155
153. Articolo I della Costituzione americana 156
154. Articolo II della Costituzione americana 157
155. Articolo III-IV-V-VI-VII della Costituzione americana 158
156. Caratteristiche del Bill of Rights 159
157. La Due Process Clause nel diritto americano 160
158. Il X emendamento nella Costituzione americana 161
159. L’articolo III della Costituzione americana e l’organizzazione giudiziaria 162
160. Articolo III della Costituzione americana: U.S. District Courts, U.S. Courts of 163
161. Competenza della Corte Suprema americana 164
162. Cenni sull'organizzazione giudiziaria degli Stati Uniti 165
163. I giudici federali nel diritto americano: i Justices 166
164. La scelta dei giudici statali nel diritto americano 167
165. Marbury V. Madison: il controllo giurisdizionale di costituzionalità delle leggi 168
166. Il rapporto tra giurisdizione federale e statale nel diritto americano 170
167. Fattori di semplificazione e uniformazione del diritto americano 172
168. Le Law Schools e la dottrina negli Stati Uniti 173
169. Il superamento del formalismo giuridico nel diritto americano 174
170. Le Law Schools e la professione legale negli Stati Uniti 175
171. Il Restatement e l’idea di codificazione nel diritto americano 176
172. Lo Uniform Commercial Code nel diritto americano 177
173. La regola Stare Decisis nel diritto americano 178
174. Gli Statutes nel diritto americano 179
175. La tradizione giuridica dei paesi nordici 180
176. Gli Stati nordici: rapporti tra Svezia, Norvegia Finlandia e Islanda 181
177. Le fonti legislative nei paesi nordici 182
178. Testi normativi unificati nei regni nordici 183
179. La codificazione giuridica mancata in Svezia 185
180. L’avvio della cooperazione legislativa tra Paesi nordici 186
181. Caratteristiche delle leggi negli Stati nordici 187
182. I lavori preparatori nel sistema delle fonti nel diritto dei paesi nordici 188
183. Ricaduta sull'attività legislative dei Paesi nordici dei lavori preparatori sul sistema 189
184. La Costituzione nel sistema delle fonti del diritto negli Stati nordici 190
185. Corti, giudici e processo nei Paesi nordici 191
186. Le alternative al processo ordinario nei Paesi nordici 192
187. Diritto consuetudinario albanese 193
188. I retaggio del Kanun nel diritto albanese 194
189. Idea nazionale e religione in Albania 195
190. Etnia, Stato, territorio in Albania 196
191. Gli albanesi eredi degli illiri 197
192. I primi movimenti nazionalisti in Albania e la Seconda Guerra Mondiale 198
193. L’unità linguistica in Albania 199
194. Scanderbeg (Giorgio Castriota) e l'indipendenza albanese 200
195. La frammentazione religiosa in Albania 201
196. Il principe Lek Dukagjini 202
197. I miti alla base dell'identità albanese 203
198. Il Kanun di Lek Dukagjini 204
199. Il Kanun è il diritto consuetudinario albanese 205
200. Diritto consuetudinario albanese e groenlandese 206
201. Il Kanun è diritto positivo 207
202. Il Kanun rielaborato da Gjeçov 208
203. La donna, i figli e la famiglia nel Kanun 209
204. Influenza della sharia nel Kanun 210
205. Il Kanun: una sorta di romanzo dell’Albania 211
206. L’albanese è “un uomo d’onore” 212
207. Come si disonora un uomo: la fattispecie incriminatrice 213
208. Morire senza onore nel diritto albanese 214
209. Società albanese: una società della vergogna 215
210. Un maschilismo atavico nella società albanese 216
211. La “besa” nel Kanun 217
212. Il significato della besa nel Kanun: la storia del cacciatore e il drago 218
213. Il giuramento nel Kanun 219
214. La besa dal punto di vista giuridico 220
215. La besa come vincolo sociale 221
216. Gerarchia delle formazioni sociali albanesi 222
217. Il marito e il padre nel Kanun 223
218. La moglie e la concubina nel Kanun 224
219. Dalla responsabilità penale personale a quella collettiva familiare nel Kanun 225
220. L’omicidio nel Kanun 226
221. Il reo nel Kanun 227
222. Uccidere l’adultera nel Kanun 228
223. La vendetta nel Kanun 229
224. La tregua nel Kanun 230
225. La rilevanza della stirpe nel Kanun 231
226. Come deve comportarsi la famiglia dell’omicida nel Kanun 232
227. La conciliazione nel Kanun 233
228. Il mediatore del sangue nel Kanun 234
229. I “garanti del prezzo del sangue” e i “garanti della vendetta” nel Kanun 235

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