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Introduzione

Vita finita e infinita nella lungua greca

Grazie alla reciproa dipendenza del pensiero e della pa-


rola appare chiarissimo che le lingue non servonO pro-
priamente a esporre la verita già nota, ma puttosto a
scoprire la verità che era prima ignota. La loro diversità
non e una diversità di suoni e di segni, ma di visioi del
mondo.
WILIELM vON IIUMBOLDT, Uber das vergleichende
Spruuhstu-
dium in Beziehung aufdie verschiedenen Epchen der Stprachent
wicklung 1820, in Gesammele Sclhriften, IV, Berlin, 1905,
p. 27.

Non sempre e non subito le esperienze dell'uomo producono


pensieri. Da esse possono sorgere inmmagini, e anche parole,
che non necessariamente sono state precedute da pensieri.
L'uomo già rielaborava le proprie esperienze prima ancora di
essere un pensatorc. Nel linguaggio si rispecchiano nozioni
prefilosofiche e rielaborazioni dell'esperienza che vengono poi
riprese e sviluppate dal pensiero. Questa condizione può essere
definita come reciproca dipendenza dei pensieri e della parola:
una condizione naturale che esiste anche oggi in ogni lingua e
letteratura vivente, al di fuori della scienza. Essa e caratterizzata
dal fatto che il nesso, da cui si presentano collegati pensiero e
parola, dipende dal
linguaggio e non da pensieri da cui la
parola sia sottomessa e donminata. Il linguaggio puð avere esso
stesso una sua sapicnza e può operare distinzioni attraverso le
quali l'esperienza viene elevata a consapevolezza e resa elemen-
to di una comune sapienza prefilosofica dei parlanti.
Un'ampia gamma di significati eè legata alla parola latina vlae
ai suoi derivati romanzi, come pure alla parola Leben, a ife, a liu
nelle
gio lingue
lingue scandinave.
nellequotidiano I Greci
sa due vocaboli possedevano
distinti, nel loro
che avevano linguag-
la medesima

radice di vila, e tuttavia risultavano differenti l'uno dall'altro


nella forma fonica: bios e zöé. Uno sviluppo fonetico mentre la
lingua greca « andava facendosi » - li aveva prodotti secondo
leggi proprie, che si possono stabilire con esattezza.' Quello che
sorprende è il fatto che si siano conservati uno accanto all'altro.

I. Cfr. F.0. Lindemann: Grec Beíouev èßíov, in SO, XXXIX, 1963, p. 99. Si
veda, anche, la prima versione della mia ricerca Leben und Tod nach griechiseher
Auffassung, in Mensch, Schicksul und Tod, 1963, p. 12, che Lindemann non
conosceva.
18 ntroduzione

Cio è stato possibile grazic a una capacità di conoscere e di


distinguere del tipo di cui si parlava prima: le nozioni e le
distinzioni che ne risultano avevano una precisa risonanza nella
lingua greca, ed opportuno che noi ci impadronamo di esse
prima di entrare nel regno delle immagini e delle visioni.
Zoé « suona » in greco in modo alquanto diverso da biíos. La ra-
gione di ciò non sta nell'originario aspetto fonico della parola
z0ë, bensi nel tatto che adesso noi ne comprendiamo il suono»
in un senso pu ampio, che non c solo quello acustico: e cIOë allo
stesso nmodo in cuii vocaboli di una lingua, c o ncerti loro « suoni
armonici» (i (quali suoni armonici corrispondono poi alle varie
sfumature possibili del significato di base), « risuonano» alle

orccchie di coloro che hanno una più intima faniliarità con


quella lingua. La parola zöë aveva a s s u n t o questo « s u o n o » in

un periodo molto antico della storia della lingua greca: in essa


risuona» la vita di tutti gli esseri viventi. Qucsti vengono
definiti in greco zôon, al plurale zôu. Il signilicato di züé e quello
di vita, senza ulleriorn caratternzzazioni. Quando invece si dice bíos,
in esso « risuona » qualcosa di diverso. Diventano infatti visibili
di u n a vita ben definita,
per cosi dire i contorni, i tratti specifici
le linee che distinguono un'esistenza da un'altra: qui risuona « »

la vila carallerizzata. Di conseguenza in greco bios e anche il


nome orignario per biografia. Questa é la sua applicazione piu
sebbene n o n antica. Persino agli animali viene attribuito
tupica,
un bios quando si vuole distinguere il loro modo di esistere da
quello delle piante, per le quali si parla unicamente di phyiszs- a
meno che non si voglia caratterizzare un modo di vivere e si
vita di pianta»."L'uomo vile vive
parli allora di phytoû bíos, « una

bios di coniglio:' chi inventò questo detto intendeva la vita


il
di un animale -
un
del coniglio - come una vita tipicamente carat-

terizzata dalla viltà.


Una volta divenuti consapevoli della differenza di significato
tra zõë e bios, si incomincia ad avvertirla anche nell'uso dei verbi,
e cio già in Omero, pur non intendendosi dire qui che tale uso

fosse del tutto consapevole. Nel presente e nell'imperfetto, che


Indican0 un corsO non delimitato della vita, zen viene usato più
Omero compare u n imperativo biõtð
spesso di bioùn.Quando in
deve mori-
«egli deve vivere c o m e contrapposto a l'altro
» «

r e » - o l'aoristo torte bronai, ugualmente in contrappOsizione


a

«morire »,' si tratta di una forma intensiva in cui la vita acquista


un pes0 in quanto vita limitata di u n u o m o . Zóein, la
speciale
2. Cosi l'autore di commedie Epicrate, fr. 1 1, 14, Edmonds.
3. Aristotele, De generatione animalium, 736 b.
4. Demostene, XVIII, De corona, 263.
5. Tliade, vil, 429; x, 174; xv, 511.
Vita finita e infinita nella lingua greca 19

condizione non meglio caratterizzata e non particolarmente


sottolineata della vita che continua, Omero la esprime spessoo
con una duplice determinazione che corrisponde al minimo
vitale:"« Vivere e vedere la luce del sole », « Vivere e tenere
aperti gli occhisulla terra», « vivere ed essere». Questo scorre-
re della vita è facile presso gli dè: per questo sono detti rheia
zoontes, « Coloro che vivono facilmente». Ma quando uno di loro
(Poseidone nell'lliade)' vuole affermare il suo proprio modo di
vivere contro Zeus, lo esprime con il verbo béomai, che è più
strettamente connesso con bíos.
Non si può porreil segno di uguale fra bios e la « vita » di cui si
occupa la moderna « biologia». La parola biológos definiva pres
soi Greci il mimo, colui che imita la vita in quanto vita caratteri
stica di un singolo e attraverso l'imitazione la fa apparire ancora
più caratteristica. Rispetto a thánatos, la morte, bíos non si pone
in un'antitesi tale da escluderla. Al contrario: della vita caratte-
ristica fa parte una morte caratteristica. Una tale vita viene
addirittura caratterizzata dal suo modo di cessare. Una frase
greca esprime con la massima concisione questo concetto, de-
finendo una morte caratteristica « il venir meno della vita con
una morte propria». In greco zõë si contrappone a thánatos
escludendolo. Dal punto di vista greco la biologia moderna
dovrebbe chiamarsi piuttosto zoologia. Zöé è la vita considerata
senza nessuna caratterizzazione ulteriore e senza limiti. Il fatto
che zõë sia sentita senza limite costituisce per l'odierno osserva-
tore del fenomeno « vita » soltanto uno dei suoi aspetti, e non il
«tutto» di cui si occupa oggi la biologia. Perciò neppure qui si
puo porre senza riserve il segno di uguale: zõé, come si è detto, è
il livello minimo della vita, con il quale soltanto la biologia ha
inizio.
Zõë ha raramente contorni, se pure esistono, ma in
compenso
ha il suo sicuro opposto in thánatos, la morte. Ciò che in zõë
« risuona» in
modo certo e chiaro è «non morte». E qualcosa
che non lascia avvicinare a sé la morte. Per questo motivo la
possibilità di equiparare psychëcon zõé, l'« anima» con la « vita »,
e di dire psychë per zõë, come avviene in Omero,' può valere e l
Fedone di Platone come una prova dell'immortalità dell'anima.
Una definizione greca di zõë è « tempo dell'essere » - chrónos
toù einai-," ma non nel senso di un tempo vuoto, in cui l'essere

6. Ibid., xxIv, 558; 1, 88; Odissea, xxiv, 263.


7. Iliade, xv, 194.
8. Diodoro Siculo, XXXIX, 18: idiwi àreßiw davátwu.
9. Iliade, xXI, 161.
10. Platone, Phaedo, 105 d-e.
11. Esichio, s.u. EwD.
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vivente per cosi dire entra e nel quale rimane fin che muore!
Questo « tempo dell'essere» è da intendersi come un essere
Continuo, che viene racchiuso nel bíos fintanto che questo dura -
allora si chiama « zõé del bios» - " oppure da cui il bíos viene
estratto come un frammento e assegnato a questo o a quello. Il1
frammento estratto può allora chiamarsi « bíos della zõé »."
Plotino defini zõéi l « tempo dell'anima», ossia il tempo in cui
questa, nel corso delle sue ripetute nascite, procede e trapas-
da bios
sa
un all'altro." Egli
poteva dire ciò perchénella lingua
greca esistevano già zõi e bíos, I'una e l'altra parola con il suo
Suono» particolare: l'una per la vita non caratterizzata, la cui
unica definizione - se non vogliamo chiamarla con i Greci
t e m p o dell'essere» - può essere che « non e non vita ; l'altra

per la vita caratterizzata. Se posso usare un'immagine per de


finire il loro rapporto reciproco, che si presentava nella lingua e
non gia in una qualche filosofia, zõé è il filo su cui ogni singolo
bios viene infilato come una perla e che, al contrario di bios, si
puo pensare soltanto come infnito. Chi voleva parlare in greco
di una « vita futura», poteva usare il termine bios." Chi, come
Plutarco, riffetteva sulla vita eterna di un di0,"o annunciava
addirittura una vita eterna", doveva servirsi di zÕë, come
hanno fatto i cristiani con la loro aiõnios zõ."
La lingua greca era in grado di distinguere chiaramente una
vita non meglio caratterizzata, che sta alla basedi ogni bios, e
che si trova in tut'altro rapporto con la morte rispetto a una
«vita delle cui caratteristiche la morte fa parte. Nel fatto che
zõé e bíos non « suonino in greco allo stesso modo, e che « bios
della zõë » e « zõë del bios» non siano in greco un'insostenibile
tautologia, si esprime a livello puramente linguistico un'espe-
rienza ben definita. Questa esperienza si distingue dalla somma
di quelle esperienze che formano il bios, il contenuto della
biografia di ogni singolo uomo, a prescindere che questa venga
Scritta oppure no. L'esperienza della vita priva di caratterizza-
ZIone - appunto di quella che per i Greci « suona» zõë - è al

contrario indescrivibile. Essa non e il prodotto di astrazioni a


cui potremmo giungere soltanto qualora decidessimo di pre-
scindere, mediante un esperimento mentale, da ogni possibile
caratterizzazione.

12. Platone, Timaeus, 44 c.


13. Plutarco, Moralia, 114 D.
14. Plotino, Enneades, III, 7, 11, 43.
15. Diodoro Siculo, VIII, 15, 1.
16. De Iside et Osiride, 351 E.
G. I1.
17. Mt, 19. 16; Mc, 10, 17; Lc, 18, 18; Gv, 3, 36, ecc. Gesù di se stesso:
25: 14, 6.
Vita finitae infinita nella lingua greca 21

Che un simile esperimento lo real1zziamo oppure no, n01


sperimentiamo effettivamente la zõé, la vita scevra di connotati
qualitativi. Si tratta della nostr:a più intima, più semplice e più
ovvia esperienza. Quando avvertiamo che la vita è minacciata,
attraverso angoSCia, terrore e paura, sperimentiamo l'inconci-
liabile opposizione di vita e morte. La limitatezza della vita in
quanto bios può essere sperimentata, e parimenti può essere
sperimentata la sua in quanto
pochezza fino punto di
zöéSi al
giungere al desiderio di non essere più." vorrebbe o non

sperimentare il bios che ci viene assegnato con tutte le sue


caratteristiche peculiari, o essere del tutto privi di esperienza.
Nel primo caso la zõë dovrebbe continuare in un altro bíos. Nel
secondo, si verificherebbe ciò che finora non è stato mai speri-
mentato. Essere senza esperienza, anzi, la cessazione dell'espe-
rienza non è p i esperienza alcuna. Zõë è la primissima espe-
rienza, il cui inizio fu probabilmente avvertito come quando si
riprendono i sensi dopo uno svenimento. Una fine che potrem-
mo definire l'ultimissima esperienza non può essere richiamata
alla mente neppure quando si riemerge dallo stato privo di

esperienza.
La zõë non ammette l'esperienza della sua propria distruzio-
ne: essa viene sperimentata senza una fine, come vita infinita.
In questo si discosta da tutte le altre esperienze che si fanno nel
bios, nella vita finitla. Questa discrepanza della vita come zõë dalla
vita come bíos può trovare un'espressione religiosa o filosofica.
Dalla filosofia e dalla religione ci aspettiamo persino l'annulla-
mento di questa discordanza tra le esperienze del bios e il rifiuto
della zoé di ammettere la propria distruzione. La lingua greca si
ferma alla semplice distinzione tra zõé e bíos. Ma questa distin-
zione è chiara e presuppone l'esperienza della vila infinita. La
statue e
religione greca Sicomporta come sempre: essa mostra
immagini nelle quali il segreto si approssima all'uomo. Elemen-
ti che nel linguaggio di ogni giorno, riguardo ad avvenimenti e

quotidiani, risuonano gli uni accanto agli altri e in un


bisogni
modo spesso ambiguo e confuso, giungono come da lontano in
un tempo puro-il tempo della festa - e in un luogo puro: sulla
SCena di avvenimenti che non si svolgon0 nelle dimensioni dello
spazio, bensi in una dimensione propria, una dimensione po-
cercano le
tenziata dell'uomo, nella quale si attendono e si
appariioni degl1 dei.

Griechen und Römer, 1963.


18. Cfr. l'Epilogo del mio libro Die Religion der
Lidea religiosa del non-essere si basa sull'esperienza dellamorte, che perma-
ne accanto all'esperienza della vita infinita e da essa non è neutural1zzata.

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