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LA MARIOLOGIA E LA NOSTRA DEVOZIONE

Linee teologiche (G. Moioli)


Lo studio che condurremo
«1. dovrebbe aiutarci a sfrondare di ogni psicologismo indebito la nostra «devozione a Maria» per
ritrovare il contenuto della fede. Le affermazioni della fede sono solide, non sono psicologistiche,
non indulgono a un sentimentalismo più o meno vago, più o meno incontrollato.
L'introdurci nell'austerità delle affermazioni della fede ci farà quindi superare il sospetto, nei
confronti della Madre del Signore, di un maternalismo ingiustificato, o di una nostra proiezione
ambigua del bisogno della madre.
Maria è madre, ma di Gesù di Nazareth. Questo è il dato. Questo è ciò che sta all'inizio. Al suo
singolarissimo ruolo accanto a Cristo è proporzionata allora la « collaborazione alla salvezza » che
essa realizza: appunto come Madre del Salvatore. E importante capire il senso di questo dato. E
come ritrovare un respiro, una dimensione di singolarità o di universalità e di profondità unica di
Maria, della sua carità nei nostri confronti.

2. In questa logica ci è dato di “comprendere” che, proprio perché Maria è la Madre del Salvatore,
essa collabora in modo singolare ed universale alla nostra salvezza; e la sua collaborazione - di
donna e di madre - può essere giustamente qualificata come materna, al di là di ogni immediato
psicologismo.
In questo senso possiamo vivere un rapporto filiale con lei. In questo senso non devono essere
esorcizzate nel riferirci a lei - come a Gesù Cristo - le diverse componenti della nostra personalità
fino a farci guardare con sospetto qualunque effusività, qualunque spontaneità.
Quando è la fede ad assumere questi aspetti della personalità, ad integrarli e a unificarli nella
direzione giusta, non dobbiamo essere troppo diffidenti nel costruire un rapporto con colei che è
«madre nostra », perché « madre del nostro Salvatore ».
Se fosse la psicologia, o un'idea comunque di maternità, a guidare il rapporto con Maria,
indubbiamente questo condurrebbe in una direzione sbagliata. E sappiamo che, purtroppo molto
spesso, la storia della devozione alla Madonna ha conosciuto espressioni o manifestazioni di questo
genere; ma, se è la fede a verificare l'autenticità del rapporto con Maria, io credo che, giustamente,
tutte le componenti della nostra personalità possono trovare la loro armonizzazione.
E’ importante capire che la “devozione” a Maria va “integrata” nella visione di fede.
“Integrare” Maria nella visione di fede significa riconoscere la sua singolarità, la singolarità del suo
ruolo, del suo modo di essere in rapporto con Gesù Cristo, da cui prende forma il suo modo di
essere in rapporto con me.
Se ella intercede per me, se mi ama, mi ama non perché mi ferma a sé, ma per il rapporto che vive
con Cristo, perché lei stessa è tutta riferita a Cristo.
Devo dunque rispettare, riconoscere il suo posto e non porla mai in alternativa a Gesù Cristo, al
rapporto con lui.

3. Va intesa in questa visione la “mediazione” di Maria, la sua “intercessione” per noi.


Quando parliamo di “mediazione di Maria” non dobbiamo intenderla come una realtà intermedia.
Maria, come del resto Gesù Cristo, non è una realtà intermedia tra Dio e l'uomo. “Mediatrice” non
significa intermediaria. Essa è singolare - e ne decifreremo il senso nelle meditazioni che faremo -
ma omogenea ai credenti. Sta dalla parte dei salvati. Sta dalla nostra parte.
E, tuttavia, la sua collaborazione alla salvezza è singolare, perché soltanto lei è la madre del
Signore. Soltanto lei realizza un rapporto unico, singolare, con Gesù Cristo.
La sua singolarità non la pone fuori o sopra la Chiesa, ma il suo essere-nella-Chiesa, o il suo modo
di essere la Chiesa, non può elidere mai la singolarità che la caratterizza, rispetto alle altre “
membra” di Cristo.
Nessuno di noi, nessuno nella Chiesa è madre di Gesù Cristo.
Questo è il suo ruolo, assolutamente unico.
Per questa ragione ha un rapporto con tutti noi che è il più profondo e il più universale,
commisurato sull'unicità del “dono” ricevuto, della vocazione ad essere la madre di Gesù.
In questo senso si può dire che la cooperazione di Maria all'azione del Salvatore non solo non esce
dall'ambito cristico, ma propriamente rimane nell'ambito del suo riferimento “materno” a Gesù,
senza cadere nel sospetto di un discorso meramente sentimentale-psicologistico.
Maria non è anzitutto e comunque una “madre universale”: è la madre fisica e storica di Gesù di
Nazareth; e il discorso sulla maternità di Maria nei nostri confronti si colloca non sul piano
naturistico, ma su quello di una libertà che collabora, in totale adesione e ubbidienza, con la libertà
divina.
Si capisce così il senso dell'altro aspetto della “mediazione”, che è la preghiera, l'intercessione.
L'intercessione è una caratteristica della preghiera cristiana; è il pregare gli uni per gli altri: è cioè
un modo per esprimere la carità.
Questo vale nel caso nostro - io prego per un altro o chiedo a un mio fratello di pregare per me -;
vale nel caso dei nostri defunti e dei Santi; e vale nel caso di Maria. Soltanto che anche qui bisogna
riconoscere che la preghiera di Maria per noi è commisurata sulla sua singolarità.
Allora, quando la invochiamo “mediatrice”, quando le diciamo: “Prega per me, per noi...”, le
riconosciamo la singolarità di un intercedere, che è assolutamente suo.
Vuol dire che mentre le diciamo: “Maria, prega per me”, sappiamo che ciò significa:
“Io riconosco che tu sei vicina a Gesù Cristo come nessuno, che tu partecipi della
carità di Gesù Cristo come nessuno, che tu vuoi la mia salvezza, che tu sai quello che
è bene per me come nessun altro: perché tutto è misurato sull'amore che tu hai per
me e sulla vicinanza tua con Gesù Cristo”.
E un credere che l'intercessione è chiesta a colei che sappiamo avere un ruolo caratteristico: che le
riconosciamo, che è singolare, che è suo.
Ancora una volta deve entrare questo principio: il principio della singolarità che essa ha con Cristo
e che dobbiamo rispettare.

4. Rispettare questo ruolo di Maria significa non confondere certe forme di devozione con la fede.
La devozione alla Madonna può esprimersi e manifestarsi con spontaneità e semplicità, ma sempre
nella prospettiva della fede.
Se non si confonde l'espressione spontanea della devozione con qualcosa di irrazionale o di
emotivo, e se non si fa della fede l'equivalente della intellettualità pura, allora credo ci sia posto per
una interazione reciproca, per una fede che trova anche i suoi modi semplici di esprimersi.
Così, non sarà obbligatorio che io vada ad un Santuario, ma, se ci vado, se mi trovo a condividere
un'espressione popolare, non devo tirarmi da parte sdegnosamente...
Il giudizio secondo la fede non è quello dell'intellettuale arido e asettico; è piuttosto quello
di chi sottopone al discernimento della fede, della Parola di Dio ogni espressione, non per
eliminarne la spontaneità, ma per ricondurla al senso della fede. E la fede diventa il criterio di tutti i
comportamenti, di tutti gli atteggiamenti umani. L'importante è chiedersi: “Queste forme
devozionali servono a fare un cristiano, oppure no? Sono coerenti con la fede?”.
Se ci muoviamo in questo modo, credo che possiamo trovare un orientamento equilibrato, che ci
permette di non essere delle persone che esorcizzano continuamente ciò che può essere la
dimensione di spontaneità, di affettività del sentimento religioso, senza tuttavia identificare la fede
con le manifestazioni spontaneistiche, perché la fede è misurata sulla Parola del Signore.

5. Di qui può nascere il richiamo al rapporto tra forme di devozione e conservazione o progresso
sociale. Si deve dire che il problema non è, immediatamente, di essere progressisti o conservatori: è
piuttosto quello di non scambiare la fede con una ideologia di conservazione o di progresso.
La norma di autenticità, per un cristiano, non è, infatti, né il progresso né la conservazione : è
sempre la fede e la coerenza con la fede, cioè con una Parola letta e interpretata nella Chiesa, dentro
il senso della Chiesa.
La fede, per principio, non è conservatrice se non della coerenza con se stessa.
Bisognerà allora far agire la fede per tutte le espressioni del sentimento religioso, anche per quelle
che si riferiscono a questo capitolo particolare che è la mariologia: superando il rischio di
trasformare in ideologia di conservazione o di progressismo il linguaggio della devozione. Così, se
è la fede a determinarne l'autenticità, non sarà possibile, nei confronti della devozione a Maria,
strumentalizzare alcun aspetto di lei in funzione di una ideologia (ad esempio, assolutizzando
l'ideale della donna, o della donna-madre...), ne sarà lecito “demitizzare” ogni espressione
spontanea fino a rendere insignificante il discorso mariologico.
Il discernimento secondo la fede mi lascia la libertà sia per dire che non devo far mie tutte le
devozioni, sia per non identificare la fede con una razionalità che impedisca al sentimento di
esprimersi. La fede, come obbedienza a una Parola, è - lo ripetiamo - la misura di tutti gli
atteggiamenti umani: è una autocritica continua, è un giudizio che non annulla la persona nel suo
esprimersi, ma la rende libera. In questo senso un uomo di fede è un uomo libero, perché ubbidisce
ultimamente alla Parola di Dio, evidentemente letta nella tradizione della Chiesa e trovando una
garanzia nella Chiesa»1.

1
G. MOIOLI, Il mistero di Maria, Milano 20052, pp. 12-17.

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