Raffaele K. Salinari
BODY MAPS
Cartografare la sieropositività
«In tutti gli uomini è la mente che dirige il corpo verso la salute o verso la malattia,
come verso tutto il resto». Così affermava Antifonte, filosofo greco del V secolo a.C..
Gli fa eco, negli anni Cinquanta del secolo scorso, Gaston Bachelard che, nel suo
L’intuizione dell’istante, afferma: «È il pensiero che conduce l’essere. È per mezzo
del pensiero, oscuro o chiaro, per mezzo di ciò che è stato compreso, e per mezzo
soprattutto di ciò che è stato voluto, che gli esseri trasmettono la loro eredità».
Ciò che è stato compreso e ciò che è stato voluto dunque, costituiscono l’intento di
trasmettere una eredità, una memoria di se stessi. Nella riflessione dell’epistemologo
francese, maestro di Canguilhem e di Foucault, è il pensiero poetico che conduce
l’essere, che costruisce la nostra idea del mondo dentro e fuori di noi; è il pensiero
che Aristotele chiama nous poetikos o intelletto agente; si organizza attraverso quella
forma particolare di immaginazione che si sviluppa durante una rêverie.
Al contrario della pura fantasia, infatti, la rêverie recupera la nostra relazione col
mondo come insieme di fenomeni, poiché deriva dal confronto tra la nostra
immaginazione e la realtà essenziale delle cose, a partire dall’immaginare la
metamateria della quale è fatto il nostro stesso corpo. Quando il mago Prospero ne La
tempesta di Shakespeare dice la famosa frase: «Siamo fatti delle stessa materia con
cui sono fatti i sogni», forse si riferisce proprio alle rêverie delle quali Bacherald ha
studiato il potere di generare la nostra realtà corporea, o almeno la percezione che di
essa abbiamo.
La rêverie si chiarisce infatti come «un particolare atteggiamento dell’Io che,
dimentico in un momento di grazia della propria identità contingente, si abbandona
all’immaginazione fantastica con una libertà simile a quella del sogno, pur restando
tuttavia in stato di veglia».
Tramite l’immagine poetizzante si diventa dunque creatori di se stessi - soma/sema
potremmo dire - e così si può pensare anche di intraprendere azioni in opposizione
alle forze materiali che, negando la nostra esistenza personale come nel caso di una
malattia, stimolano un processo di guarigione attraverso la funzione ri-creatrice
dell’Immagine. Questa visione, apparentemente filosofica, visionaria, del ruolo che
nella nostra esistenza giocano le immagini poetiche, e dunque le forme artistiche, ha
trovato nei secoli ampie testimonianze della sua fattiva capacità di rafforzare i
processi di reazione nei confronti di quelle patologie che nascono da un deficit del
sistema immunitario, come testimoniano queste esperienze artistiche del tutto
originali nate da malati di AIDS.
Le testimoni
«Il mio nome è Elizabeth Sangu. Ho lasciato il mio villaggio nel 1995, dopo che mio
marito era stato trasferito per lavoro a Dar es Salaam. Era la prima volta che
viaggiavo su un autobus e non avevo mai visto così tante macchine in tutta la mia
vita. Ho finalmente ritrovato mio marito dopo due anni di separazione. Il suo nome
era Lucas Ponamali. Il suo cognome significa «La morte sta arrivando». Ho vissuto
con mio marito solo per un breve periodo di tempo. Morì nel 1996. Nel 2000 ho
deciso di avere una relazione con un altro uomo. Nel 2002 sono rimasta di nuovo
incinta. Quando mio marito morì non sapevo che era morto di AIDS così mi sono
fatta il test, come si usa qui in Tanzania. Sono andata in ospedale e mi hanno detto
che era sieropositiva e che non potevo allattare al seno. Sono rimasta scioccata, avevo
paura di condividere queste informazioni con qualcuno. Ho pensato che tutto questo
significava morte e che la gente avrebbe avuto paura di me. Sono andata in
depressione, perché ero ancora abbastanza forte e bella. Ho dato alla luce il 2 maggio
2003 per una bambina ed ero così felice. Ma dopo il parto la mia salute si è
deteriorata molto. Dopo la nascita è cominciato un periodo di difficoltà e lotte. Stavo
gestendo una piccola impresa che sforna chapati e vendevo molto. Ma la gente
poteva vedere i cambiamenti su di me e hanno smesso di comprare. Quindi,
procurarsi il denaro per ottenere il cibo era difficile. A causa della malattia e della
denutrizione ho iniziato a sviluppare infezioni opportunistiche, continuamente. E i
miei figli? Potrei morire in qualsiasi momento e li lascerò orfani. Il loro padre è già
morto e forse anche l’altro mi seguirà tra poco. A volte ho pensato al suicidio. Ma ciò
che è stato più doloroso per il mio cuore è che ho infettato la mia bambina. Allora ho
cominciato a disegnare la mia Body map, la mia mappa del corpo, con le mie zone di
forza e quelle di maggior debolezza. Sopporta con dignità mi sono detta: sulla mia
mappa del corpo è centrale la parola «utu», che in swahili, la mia lingua, significa la
dignità di una persona. Tutte le persona che mi danno sostegno fanno ciò che fanno
perché sanno che io sono un essere umano e mi apprezzano come persona. Oggi tutti
sanno che se io sono sieropositiva, ma anche che sono un essere umano. Se mi è stata
data la possibilità di diffondere la mia storia per inviare un messaggio vorrei dire alla
tutti: vivete positivamente!»
Jane
«Il mio nome è Jane, vengo da Trinidad. Il mio punto di forza è il punto rosso in gola.
È come un uovo con il fuoco. Quando ero bambina non avevo paura di parlare. In una
società in cui i bambini dovevano essere tranquilli, io parlavo senza paura. Poi mi
sono ritrovata a parlare per gli altri, al fine di aiutarli. Sto parlando di persone
confinate negli ospedali, altri sieropositivi come me. Mi vedo come un essere molto
forte; è questa forza interiore che voglio scaturisca dalla mia mappa. C’è nel disegno
della mia mappa del corpo una corda di fibra naturale che viene utilizzato per
costruire la jupa (la nostra capanna tradizionale). L’ho scelta come simbolo centrale
perché mi aiuta ad alzarmi. Il mio slogan è «Anche questo passerà». Lo dico sempre.
È per questo che sono ancora qui oggi. Al villaggio eravamo abituati a usare i colori
fondamentali per dipingere il corpo durante i riti di passaggio: la nascita, la pubertà,
la morte, così nella mia mappatura del corpo ho usato molto il colore rosso e il colore
nero. Perché, quando stavo usando il colore rosso, stavo mostrando le cose che mi
fanno stare male, quelle che mi danno dolore fisico, mentre il nero è oscurità, il buio
dell’anima in solitudine. Quando sei solo, quando la sieropositività ti isola, sei
sempre nel buio. La società cerca di non vederti come un essere umano. Con questo
colore ho dunque disegnato sulla mia mappa corporea anche le discriminazioni, il
linguaggio offensivo usato verso di me. Quando ho riguardato la mappa mi sono
accorta di aver disegnato in qualche modo anche la relazione con i mie figli; per loro
ho usato il colore verde e, per la prima volta da tanto tempo, ho usato anche il colore
giallo; vedete, il giallo è un simbolo del sole. Il sole può brillare su di voi, anche se
siete sieropositive e discriminante».
Irene
«Ciao, il mio nome è Irene, nata e cresciuta a Sikhendu villaggio Kimilili, Kenya.
L’angolo in basso a sinistra del mio corpo è la mappa dei giorni della prima infanzia.
I miei genitori avevano una fattoria con una varietà di animali e piante. La mamma
aveva un bellissimo giardino di fiori intorno alla casa. Le frecce che partono dal mio
glorioso corpo mistico, quello verde, portano al mio credo spirituale, alla speranza,
simboleggiata dalla colomba con un nastro rosso. Questo simboleggia la liberazione e
il perdono di Dio. In fondo al mio fianco/intestino, ho disegnato una piccola borsa
come punto di potere che indica la donna forte di volontà, sicura e assertiva, come
sono io. Il mio simbolo personale è il segno della pace. Sulla mia mappa corporea, il
virus è centrata nello stomaco. Questo è stato il primo sintomo che mi portato alla
diagnosi. Nell’autunno del 1996, ho cominciato ad avere forti dolori allo stomaco. Ho
informato il medico che ero un portatore di anemia falciforme e la sua risposta è
stata: «facciamo un test HIV». Ho subito accettato. Al mio incontro di follow-up, il
medico mi ha detto: «Ho una brutta notizia. Sei sieropositiva». A questo punto mi
sono bloccata e ho cominciato a guardare nel vuoto. Ero sotto shock, mentalmente ho
cominciato a visualizzare ciò a cui una persona sieropositiva poteva assomigliare in
un contesto africano. Nella mia mente quella persona sembrava un ramo secco. Mi è
stato poi assegnato un medico che mi ha detto: «Tu sarai morta in sei mesi». Un paio
di mesi più tardi, ho perso il mio fratello maggiore a seguito di complicazioni HIV.
Ero sconvolta e inconsolabile, ed ero così arrabbiata. Ho smesso di prendere le
medicine. Avevo cominciato a sperimentare un dolore paralizzante e formicolio nelle
mie mani e piedi. Poi ho iniziato ad usare i rimedi naturali per affrontare queste
condizioni, che sono apparentemente irreversibili. Io faccio il mio esame del sangue
ogni tre mesi. Attualmente il mio conteggio CD4 è 540 con un carico virale di
18.000. I farmaci invece hanno fatto aumentare il mio numero di CD4, ero uno
zombie per la maggior parte del tempo e avevo perso la possibilità di svolgere la mia
vita quotidiana. Ora sto meglio e ho un sacco di energia che mi ha permesso anche di
istituire una clinica nella mia città natale a sostegno delle persone infette da HIV. Il
sito web è www.ladyirene.org. Questo è il messaggio che vorrei per i meno fortunati
o quelli che verranno dopo di me: ho capito abbastanza per aprire una strada anche
per voi! Ma soprattutto ciò che resta è l’amore e il mio desiderio è che voi amiate e
curiate voi stessi come io ho amato e curato me per voi. Condivido la mia storia con
voi, perché mi state a cuore! Pace».
Le Body maps
Questo «avere a cuore», questo esporsi per gli altri, questa alterità radicale, è così
descritta da Levinas nel suo Altrimenti che essere: «La responsabilità per Altri - al
contrario dell’intenzionalità e del volere che l’intenzionalità non riesce a dissimulare
– non significa affatto lo svelamento di un dato e la sue ricezione o percezione, ma
l’esposizione di me ad altri, preliminare ad ogni decisione. Attraverso questa
alterazione l’anima anima il soggetto. È il pneuma stesso delle psiche. Dire così
significa esaurirsi nell’esporsi, fare segno facendosi segno».
La mappatura del proprio corpo, il body mapping, è esattamente questo «fare segno
facendosi segno»: una tecnica elaborata negli anni Novanta dai gruppi di attivisti anti
Aids specie in Africa del Sud e nelle zone a maggior sieropositività di Paesi come la
Tanzania ed il Kenia. Oggi l’arte di ritrarre, a grandezza naturale, il proprio corpo,
questa forma di totemizzazione di se stessi, viene utilizzata dai gruppi di
sensibilizzazione e di aiuto ai sieropositivi per creare un campo di proiezione per
ricordi, realtà e visioni, una vera e propria mappa psico-corporea che illustra i punti
di forza e quelli di debolezza del soggetto.
La full sized-silhouette dal vivo del corpo è ulteriormente dipinta ed elaborata fino a
che non rappresenta una mappa individuale della persons prospettive di vivere con la
sieropositività, dei suoi sogni per un futuro che in ogni modo ci sarà se non ci si fa
prendere dal buco nero della depressione e della solitudine. E comunque, come dice
Bachelard, dobbiamo pensare che tutti gli spazi delle nostre passate solitudini, gli
spazi in cui abbiamo sofferto la solitudine, goduto la solitudine, desiderato la
solitudine, sono incancellabili in noi, precisamente perché l’essere non vuole affatto
cancellarli, sa istintivamente che gli spazi della sua solitudine sono costitutivi.
E così, dopo aver oggettivato l’«ombra» gettata sull’anima dalla malattia che la
oscura a suo modo, nasce un confronto con il contorno di quei ricordi, pensieri,
intuizioni, sintomi e segni patologici memorizzati nel corpo, esternalizzati dalla
pittura.
Si cartografa così un luogo di autocoscienza, non uno spazio ma un luogo, che apre al
cammino di autocoscienza tra semiotica e semeiotica, che spesso fa riaffiorare
esperienze dolorose ma anche l’irripetibile unicità di ognuno, la forza inimmaginabile
che nasce entro se stessi quando si devono dare messaggi positivi a chi dipende
ancora da te: i bambini, i familiari, gli amici, la comunità che ad un certo punto muta
il suo atteggiamento e ti guarda come ad un testimone di un percorso di resistenza al
male che diventa la metafora drammaticamente vitale della più generale condizione
umana. D’altra parte la conoscenza del reale è una luce che proietta sempre da
qualche parte delle ombre, dice ancora Bacherald.
Il desiderio dell’uomo, sostiene Jung, è che la morte e la sua fredda morsa diventino
il grembo materno, esattamente come il mare, che pur inghiottendo il sole, lo fa
rinascere nelle sue profondità… mai la vita ha potuto credere alla morte.
Le Body maps rappresentano dunque non solo una forma d’arte che rispecchia
l’intimità corporea, lo psichismo del soggetto, ma una vera e propria rêverie su se
stessi, una cartografia dell’immaginazione immaginante che tende a generare
resistenza nel presente e memoria nel futuro.
Qui, a differenza delle mappe geografiche, sempre politicamente condizionate ed
orientate nel descrivere uno spazio standardizzato e standardizzabile, ognuno traccia
le proprie coordinate corporee, creando i punti cardinali sui quali orientare i segni del
suo essere con la malattia. Le Body maps vanno così nella direzione di quella
fantastica trascendentale antimoderna auspicata in certi romantici come Novalis,
dove la funzione immaginativa è motivata non dalle cose ma da una maniera di
dotare universalmente le cose di un «secondo senso», di un senso che sarebbe la cosa
più universalmente condivisa del mondo.
Mundus Imaginalis
La neuroendocrinologia