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CARLO CATANZARO

Eleonora Baeli
Con contratto stipulato il giorno 9 di agosto del 1640 da Don Giuseppe Prato luogotenente del
Protonotaro, Don Onofrio Baeli comprò da Don Giovan Battista Scattino la Tenuta di San Nicolò
al Capo di Milazzo.
Adempiuti gli oneri economici a favore del venditore e della Regia Tesoreria, con altro atto
del notaro Giuseppe Zamparrone, in data 21 marzo 1641, fu trasferito al Baeli, per sè, i suoi eredi
e successori, il titolo di barone della predetta Tenuta. Il privilegio araldico fu confermato poi, con
atto regio del 10 maggio del 1641, sotto il Viceré e Capitano Generale Francesco di Mello di
Braganza conte di Assumar.
I ricchissimi Baeli godevano di grande prestigio tra la nobiltà locale e avevano fama di essere
persone assai colte, pur se alquanto bizzarre.
Una delle loro più chiacchierate estrosità era la singolare abitudine, da quando avevano
comprato la Tenuta di San Nicolò, di far cena a volte, nelle sere d’estate, verso il tramonto, su un
largo e piatto scoglio che emergeva durante le ore di bassa marea nella parte estrema del
Promontorio. E questo scoglio venne poi detto la “Tavola dei Baeli”.
La Tavola, contornata da comodi cuscini, veniva apparecchiata con finissime tovaglie di
Fiandra e preziosa argenteria. |8
Pescati sul posto poco prima venivano offerti ai commensali ricci di mare e ostriche,
gamberetti crudi annegati in succo d’arancia con sale e pepe, aragoste e cicale lessate al momento
in acqua di mare, rosee bottarghe della tonnara di Malpetito. il tutto accompagnato dal magnifico
vino bianco di Cirucco. In chiusura grossi semi di finocchio selvatico, lentamente masticati,
favorivano la digestione e profumavano l’alito.
Dopo la cena un grande lume acceso veniva lasciato sulla Tavola insieme alle tovaglie e
all’argenteria. I partecipanti al banchetto, accompagnati dalla servitù, risalivano la costa verso
piu comode posizioni e da lì, compiaciuti, assistevano all’arrivo dell’alta marea che disperdeva
nei fondali ogni ricchezza lasciata sul grande scoglio.
Alla servitù e ai contadini della nobile famiglia era severamente proibito di avvicinarsi alla
Tavola, solo i marinai della zona, per esclusivo privilegio potevano ripescare nella notte con le
loro lampare la splendida argenteria, le preziose tovaglie e i morbidi cuscini.
Eleonora, la bella nipote di Don Onofrio, partecipava con entusiasmo a questi inconsueti
banchetti, accettava la discreta corte degli ospiti, ma disdegnava ogni proposta di matrimonio; ed
erano in molti i giovani nobili che aspiravano alla sua mano.
Il vero motivo di questi reiterati rifiuti non era la pretenziosità della ragazza, ma un suo amore
segreto per Giacomo Foti, figlio venten|9ne del campiere della Baronia di San Nicolò e suo
assiduo istruttore equestre.
I due giovani, coetanei, erano sempre in giro per la Tenuta e avevano acquisito una tale abilità
che riuscivano a condurre con destrezza i loro cavalli persino sull’impervia scogliera o negli
anfratti più reconditi, così a salire e scendere dall’alta costa dell’Arenella o a raggiungere per
stretti e pietrosi sentieri l’estremo scoglio del Messinese, ultima propaggine del Promontorio
verso l’arcipelago delle Eolie.
Un grande amore quello di Giacomo ed Eleonora, con le mille voci del vento tra gli ulivi, il
profumo delle ginestre e l’eco inquietante della risacca,l’abbandono sotto il sole splendente o nel
turbamento dei temporali tra basse nubi e striduli gabbiani.
Eleonora era nata libera, come una di quelle aquile che qualche volta incontrava nelle sue felici
scorribande. Viveva con il suo Giacomo tra sole e vento il quotidiano ed esaltante miracolo della
natura, il mistero di una terra selvaggia emersa dal mare, impastata di fossili conchiglie e odorose
radici.
L’idea di un aristocratico matrimonio, che l’avrebbe portata per sempre nelle austere stanze di
un palazzo, tra ricevimenti e obbligati rituali, alla ragazza faceva sgomento. Non è che pensasse
di sposare il figlio del campiere, ma la giovane voleva vivere il suo amore cosi come le andava
senza regole e condizioni. I Baeli erano piuttosto preoccupati. La storia |10 dei due innamorati si
era diffusa in paese ingenerando una bufera di feroci allusioni, di squallidi pettegolezzi e di
impietosi giudizi sia sulla dissennata stranezza della ragazza che, ancor più, sulla eccessiva e
scandalosa tolleranza della nobile famiglia baronale già sospetto di bizzarria.
Che i Baroni di San Nicolò fossero piuttosto strani lo sapevano tutti, ma nessuno si aspettava
che lo fossero a al punto da far finta di niente, volutamente, ignorando questa tresca amorosa di
Eleonora con il figlio del campiere; un esempio di deprecabile libertinaggio che alla benpensante
aristocrazia paesana suonava scandaloso oltrechè provocatorio per chi aveva figlie da maritare.
Sui due amanti se ne dissero in giro di tutti i colori: che la baronessina solesse congiungersi
tutta nuda con il suo Giacomo su un soffice letto di umide alghe, preparato apposta in riva al
mare, e i cavalli lì a due passi a guardare! Che i due giovani nei caldi pomeriggi estivi riposassero
insieme su un aereo talamo costruito con assi di legno tra le fitte fronde di un secolare carrubbo!
Non ci furono stranezze e perversioni che la frustrata fantasia erotica di tanti rispettabili signori
non osò immaginare e riferire come vere, viste e accertate.
I Baeli, con grande compostezza, non si degnarono mai di contrastare questi insulsi
pettegolezzi, né mai rimproverarono alcunché alla ragazza. |11
Si era alla fine di agosto e la famiglia Foti, con un generico pretesto e una generosissima
buonuscita, fu cortesemente e perentoriamente licenziata. Sapesse o non sapesse il campiere della
passione amorosa del figlio Giacomo per la baronessina non aveva dopotutto alcuna importanza.
La giovane Eleonora appresa la notizia del licenziamento dei Foti per tutto il giorno non uscì
dalla casa di villeggiatura al Capo di Milazzo. Disse di essere un po’ indisposta e restò nella sua
stanza a disegnare su grandi fogli fiori di scilla, di capperi e stramonio, contorti tronchi di ulivo
e siepi di ficodindia.
Verso sera la ragazza chiese il permesso di fare una passeggiata a cavallo. Si spinse fino al
Faro che a quell’ora veniva acceso con un grande lume a petrolio – e poi andò oltre, verso
l’estremità del Promontorio.
Sulla strapiombante scogliera la giovane spronò per l’ultima volta il suo cavallo al galoppo e
da lì sparì in mare per sempre.
Quel luogo porta ancor oggi il nome di “Salto del cavallo”.
La leggenda vuole che nel giorno in cui avvenne questo salto gli abitanti della non lontana
isola di Lipari accendano fuochi e luci per dare alla sfortunata ragazza un punto di riferimento
per l’approdo e preparino grandi festeggiamenti per accogliere la bella innamorata.
In realtà il giorno in cui il fatto è avvenuto coincide con la festa liparitana di San Bartolo. |12
Ma è altrettanto vero che fuochi e luci si accendono in quella sera nella terra di Eolo per
onorare l’arrivo della giovane innamorata. Ed è anche vero che sconfortato dalla vana
attesa spesso il cielo d’agosto piange proprio in quel giorno con una improvvisa pioggia la tragica
fine della bella Eleonora.

[da C. Catanzaro, Dicerie, Tecnodid, Napoli 2000]

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