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Angelo Di Berardino
La tradizione cristiana.
Ma come, perché e quando si è passati subito alla mattina del ‘primo giorno’
della settimana (sistema ebraico) o del giorno del sole (sistema ormai diffuso)? Solo
per comodità o in ragione della risurrezione di Cristo? Non abbiamo una risposta
sicura. Credo che abbiano potuto influire due elementi: il desiderio di fare memoria
della risurrezione di Cristo e il sistema romano di scandire il giorno, da mezzanotte a
mezzanotte. Il primo di essi sembra il più valido. Soltanto dopo la mezzanotte
cominciava il dies dominicus, e pertanto la celebrazione non poteva precedere
quell’ora. Il fatto di vivere in ambiente pagano, dove il dies solis cominciava a
mezzanotte, anche il dies dominicus aveva la stessa scansione temporale. La
domenica, il primo giorno della settimana e anche l’ottavo, è il giorno della
creazione; si arricchisce non solo di significati nuovi, ma anche di gesti e atti: era
anche il giorno principale della predicazione e dell’istruzione cristiane.
La domenica non era un giorno di festa, come questa era comunemente intesa
da pagani e giudei, ma era funzionale all’assemblea riunita che faceva soprattutto
l’anamnesi, elemento fondante della comunità stessa, di Cristo morto e risorto e del
suo messaggio, che attualizza mediante quei riti che ripetevano l’ultima cena, quella
pasquale. L’anamnesi e l’eucarestia dovevano generare la gioia del cristiano – non i
divertimenti come avveniva nella società -, e costruivano la sua identità personale e
comunitaria. La festa cristiana era incentrata esclusivamente sulla celebrazione
liturgica, ma non era una festa con le regole di quella tradizionale: festa, potremmo
dire solo “liturgica”, non sociale e pubblica, ma intima, come per gruppi di iniziati. Il
calendario cristiano, incentrato sul “primo giorno” dopo il sabato, è indipendente e
parallelo a quello pagano; non aveva risonanze esterne alla comunità. Questo loro
calendario apparteneva esclusivamente alla vita interna della comunità, e anche come
segno esterno di identità senza conseguenze per la società civile. La domenica
cristiana non aveva il carattere religioso delle festività giudaiche o pagane, ma era
funzionale ai singoli fedeli e alla comunità per la crescita spirituale e religiosa, perché
ogni giorno è giorno del Signore, giorno di festa (cfr. Origene, Hom. in Gen. 10,3).
Non esiste una qualitas specifica di quel giorno, come avveniva per il mondo pagano
o giudaico in quanto non c’è distinzione tra giorno sacro e giorno profano. Come dice
Clemente Alessandrino: è il “giorno del Signore” (domenica) ogni giorno che si
“rigetta un pensiero vile e si sceglie uno gnostico, perché glorifica la risurrezione del
Signore in se stesso” (Strom. 7,12,76: SC vol. 428, p. 234); “Celebriamo come festa
solenne tutta la vita, convinti che Dio sia dappertutto” (Strom. 7,7,35: SC 434,131).
Durante la seconda metà del terzo secolo le comunità cristiane erano aumentate
di numero e anche di consistenza di membri in ogni comunità. Il numero delle sedi
episcopali al tempo del concilio di Nicea erano circa un migliaio, ma di diversa
grandezza in relazione agli abitanti delle città. Non siamo in grado di offrire una
statistica del numero di cristiani per lo stesso periodo, perché ci mancano gli
strumenti per poterlo fare. Inoltre il fenomeno delle conversioni si espande, una volta
che per opera degli imperatori Galerio (†311), di Licinio e di Costantino era stata
concessa ai cristiani la piena libertà di culto e di riunione. L’opera di
evangelizzazione e di catechesi ora richiedeva maggiori energie, personale più
numeroso e maggior tempo a disposizione. I cristiani, che per tre secoli, erano stati
costretti a riunirsi con difficoltà per ragioni di tempo, e talvolta disturbati nelle loro
riunioni, avvertivano l’esigenza di potersi dedicare al culto non solo indisturbati, ma
anche senza essere assillati da preoccupazioni di tempo con pregiudizio della gioia
festiva.
Tutta la liturgia si svolgeva sotto la presidenza dei vescovi, coadiuvati dal clero
locale. Nello spazio urbano ridotto i cristiani non abitavano lontano dal luogo di culto
e pertanto non dovevano percorrere lunghe distanze . Invece nelle città grandi non era
possibile che tutti partecipassero alla stessa celebrazione; ciò induce ad un
decentramento pastorale e la celebrazione era affidata ai presbiteri. Inoltre ora si
costruiscono grandi edifici cultuali cristiani sul modello delle basiliche pubbliche
romane. L’imperatore Costantino finanzia la costruzione di molte di esse. Le stesse
comunità cominciano a fare gara nel dotarsi di una grande chiesa. Proprio in quegli
anni Eusebio di Cesarea descrive il clima di entusiasmo con queste parole: “Si ebbe
inoltre lo spettacolo da tutti auspicato e desiderato: feste di dedicazione (di chiese) in
ogni città, e consacrazione di edifici di preghiera appena costruiti, adunanze di
vescovi a tal fine, concorso di gente da terre lontane e straniere” (Storia eccl. 10,3,1).
Eusebio quindi riporta il suo discorso pronunciato a Tiro, in Fenicia, in occasione
della dedicazione della basilica, avvenuta nel 315/316, basilica imponente e ricca di
marmi, che descrive con numerosi dettagli.
Fino all’anno agli inizi del quarto secolo, i cristiani avevano avuto il loro
calendario totalmente staccato dal ritmo del tempo pubblico, con le riunioni
settimanali che culminavano in quella di Pasqua. Quel calendario, di esclusivo
significato religioso, se da una parte emarginava le comunità cristiane dal calendario
religioso pagano e dal ritmo di vita cittadina, dall’altra dava loro un’identità
comunitaria e costituiva un fattore di coesione e di fraternità. L’osservanza della
domenica distingueva i cristiani dagli altri e li accomunava tra di loro, facendoli
sentire partecipi di uno stesso culto e di una stessa comunità. L’individuo s’identifica
con la sua appartenenza che non lo fa sentire solo, ma inserito in una nuova civitas.
Tuttavia i cristiani, per le altre esigenze, si adattavano al calendario comune, e per
questo non davano importanza al riposo di tradizione giudaica.
Legislazione costantiniana.
La data del 321 dei due testi in realtà potrebbe riflettere le difficoltà ad
applicare la legge del riposo domenicale, legge pubblicata diversi anni prima da parte
di Costantino. Il primo indizio è l’iscrizione di Aquae Iasae, già citata. Il secondo
argomento si deduce dalla concessione della manomissione in chiesa degli schiavi
alla presenza del vescovo e della comunità in giorno di domenica (Codice di
Giustiniano 1,13,1) del 316. Questo rescritto imperiale fa riferimento a una legge
generale precedente.
Qualche studioso pensa che Costantino, ancora adoratore del Sol Invictus, con
il riposo settimanale lo abbia inteso onorare, perché usa il sintgama dies solis. Ora
tale sintagma era comprensibile da tutti, pagani e cristiani, che dovevano leggere la
legge affissa nei fori cittadini. I governatori, a cui la legge era indirizzata, erano
ancora quasi tutti pagani. Inoltre la denominazione dies solis sarà adoperata ancora
per molto tempo dalla cancelleria imperiale, anche sotto imperatori certamente
cristiani e impegnati ad abolire il paganesimo, come per esempio da Valentiniano I
nel 368 (o 370, oppure 373) con una legge che proibisce l’esazione delle tasse nel
dies solis (CTh 8,8,1, ripetuta in 11,7,10). L’emanazione di questa legge, nonostante
fossero passati molti anni dal 321, fa intravedere la difficoltà pratica che s’incontrava
per l’uso di un nuovo calendario nell’amministrazione della giustizia fiscale proprio
da parte delle stesse autorità, che non rispettavano ancora l’astensione da certe attività
giudiziarie nel dies solis. Anche altre leggi successive usano l’espressione dies solis:
da parte di Teodosio la disposizione del 20 maggio del 386 (oppure nel 394), (Codice
Teodosiano 15,5,2), quella del 392 (o.c. 2,8,20) che proibisce gli spettacoli circensi
nei festis solis diebus. La ragione addotta per la proibizione è che l’affluenza agli
spettacoli (spectaculorum concursus) impedisce la celebrazione dei divini misteri, sia
perché alcuni cristiani preferiscono tali spettacoli alla partecipazione al culto e sia
perché il grande coinvolgimento popolare e le agitazioni nelle strade impediscono un
corretto svolgimento del culto nelle chiese. La prima volta che ricorre la dicitura
cristiana dies dominicus nei testi ufficiali è in una legge, emessa in Occidente da
Valentiniano II ad Aquileia il 3 novembre del 386 e ricevuta a Roma il 24 novembre;
in essa si parla del dies solis per indicare la domenica, anche se si specifica meglio
con l’aggiunta della terminologia cristiana: solis die, quem dominicum rite dixere
maiores (CTh 2,8,18; ripetuta in 8,8,3; 11,7,13). In questa legge l’espressione dies
dominicus viene abbinata a quella pagana tradizionale e corrente nella cancelleria
imperiale. Ancora in una legge del 389, la quale riorganizza tutto il calendario
giudiziario, per indicare la domenica si usa una circonlocuzione: dies solis, qui
repetito in se calculo revolvuntur (CTh 2,8,19). Un testo, che tradisce la redazione di
una mano cristiana (CTh 2,8,23), pubblicato nel 399 a Costantinopoli da Arcadio, usa
per la prima volta esclusivamente la terminologia cristiana: die dominico, cui nomen
ex ipsa reverentia inditum est.