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Cahiers des études anciennes


LI | 2014 :
Vision et regard dans la comédie antique
II Un enjeu au niveau dramaturgique
II, 2 Le regard et son expression scénique

Lo sguardo nascosto nella commedia di


Plauto e Terenzio
Lo sguardo nascosto nella commediadi Plauto e Terenzio

SALVATORE MONDA
p. 245-276

Entrées d’index
Index de mots-clés : Nouvelle Comédie, Plaute, Térence

Texte intégral
1 Il pubblico teatrale — quello antico al pari del moderno — ha familiarità con la convenzione secondo la quale uno o più
personaggi che agiscono sulla scena osservano non visti gli altri protagonisti e talvolta ne commentano i discorsi a parte,
spesso rivolgendosi alla platea degli spettatori1. Al giorno d’oggi sulla pagina scritta si interviene in vario modo a
segnalare al lettore la presenza di sequenze di questo tipo, laddove nel mondo greco-latino — come si sa — il poeta faceva
a meno di un apparato di annotazioni extratestuali poiché all’occorrenza le stesse battute potevano assumere la funzione
di didascalie interne e di vere e proprie istruzioni di regia2. Se nella commedia antica lo sguardo nascosto di un
personaggio è il più delle volte un espediente drammaturgico accidentale, messo in atto al momento di un’entrata in
scena, in alcuni casi esso viene deliberatamente realizzato al fine di carpire informazioni, o anche soltanto per osservare
senza essere visti. In questo caso l’a parte si risolve in una vera e propria scena di origliamento e di voyeurismo3. Infine,
più raramente, l’azione di guardare o sbirciare senza essere notati ha luogo fuori scena e viene quindi narrata da chi ne è
stato il protagonista. Questi due tipi di situazione teatrale assumono funzioni differenti nell’economia di una pièce e
mostrano di rispondere a delle convenzioni specifiche.
2 Plauto e Terenzio nelle loro commedie utilizzano l’espediente di un personaggio che spia in entrambe le forme,
mimetica e narrativa. Della prima darò soltanto qualche esempio più significativo, poiché una scena in cui qualcuno
osserva di nascosto le azioni altrui è piuttosto frequente e, in sostanza, il confine che la contraddistingue dai frequenti a
parte è talmente sottile che talvolta risulta poco significativo4. Proverò, tuttavia, a individuare le funzioni e le costanti di
un tale genere di sequenza nel teatro comico latino, cercando, dove possibile, di fornire anche il quadro prossemico di una
simile azione5. Occorre, tuttavia, precisare subito che si tratta di una soluzione drammaturgica non ignota alle
convenzioni della Νέα. Nella scena di riconoscimento della Donna tosata di Menandro, ad esempio, Moschione spiando
Glicera e Pateco, viene a conoscenza dei rapporti di parentela che lo legano ai due6. L’origine di sequenze del genere si
colloca oltre i confini del genere comico : come spesso accade, anche in questo caso il modello menandreo va piuttosto
ricercato nella tragedia di Euripide. Per fare un solo esempio, possiamo ricordare, nell’Ippolito, la famosa scena in cui
Fedra origlia dietro la porta le parole che il protagonista rivolge alla nutrice e le commenta col coro, che, trovandosi
nell’orchestra, in una posizione troppo distante dalla skené, chiede alla donna maggiori dettagli su quanto sta avvenendo
all’interno del palazzo7.
3 Come accennavo sopra, la situazione in cui dei personaggi spiano le azioni altrui si verifica sulla scena nella forma del
classico a parte. Nello Stico, ad esempio, ai versi 196-237, l’ancella Crocozio, che è alla ricerca del parassita Gelasimo, lo
vede mentre questi recita il famoso monologo sulla sua condizione e decide di stare lì non vista ad ascoltarlo. Più avanti, ai
versi 243-246, la ragazza confessa persino di essersi divertita a sentire i suoi buffi discorsi. Nell’Asinaria, ai versi 585-618,
gli schiavi Libano e Leonida scorgono entrare in scena i due giovani innamorati, Filenio e Argirippo, e decidono di
origliare i loro discorsi. Leonida dice : opprime os : is est ; subauscultemus (« chiudi la bocca. È proprio lui. Mettiamoci
ad origliare »). La scena, che si prolunga in questo modo per un po’ e finalmente al verso 619 ha come esito l’incontro
delle due coppie di personaggi, serve solo a suscitare il riso attraverso i commenti (a parte) degli schiavi alle parole
d’amore dei due ragazzi. Tuttavia, in altri casi l’espediente ha una funzione di maggiore rilevanza strutturale, con un esito
preciso nello sviluppo dell’azione scenica. Nella medesima commedia (Asianaria 880-908), il parassita osserva in
disparte assieme ad Artemona il senex Demeneto che banchetta con Filenio e il figlio Argirippo. In realtà si tratta di una
trappola che Diabolo e lo stesso parassita (810-827) hanno ordito ai danni del vecchio, il quale si esibisce, non sapendo di
essere osservato, in una serie infinita di insulti nei confronti della moglie Artemona, finché questa, dopo aver visto e
ascoltato ogni cosa, non decide di affrontarlo (909-941). La scena è necessaria per la conclusione della commedia : il
vecchio Demeneto è raggirato e l’amore di Filenio verrà condiviso dai giovani Diabolo e Argirippo.
4 Anche Terenzio, nella sua fabula più « plautina », L’Eunuco, presenta una situazione scenica di questo tipo. Ai versi
539-545 Antifone è alla ricerca di Cherea, che non si è più fatto vivo, dopo che gli era stato affidato l’incarico di
organizzare un pranzo con gli amici. Ma il giovane, alla vista Panfila — come racconta al servo Parmenone (307-345) — ha
perso la testa e, dimentico di ogni altra cosa, si è perdutamente innamorato della ragazza. Così, travestito da eunuco,
viene introdotto da Parmenone in casa della meretrix Taide, dove Panfila si trova. Antifone vede Cherea con quell’abito e
non comprende il motivo. Così si mette in disparte e cerca di carpire qualche informazione circa lo strano comportamento
dell’amico. Cherea pensando di non essere visto si chiede se per caso ci sia qualcuno che lo stia spiando, qualcuno che gli
domandi cosa stia facendo così, vestito da eunuco. E allora Antifone lo accontenta ed entra in scena per chiedergli tutto,
con un’inquisitio che corrisponde più o meno a quella che Cherea aveva previsto. Naturalmente qui Terenzio, con un
gioco tipicamente plautino, si prende gioco della convenzione dell’a parte8 : la scena risulta molto divertente e assai
vivace, grazie anche alla grande varietà metrico-ritmica9. La breve sequenza di origliamento di Antifone, subito seguita
dalle dovute spiegazioni di Cherea, ha la funzione di fugare ogni possibile dubbio da parte del giovane circa la strana
condotta dell’amico. Donato, commentando il verso 539, ci informa che quella di Antifone è un’aggiunta di Terenzio
rispetto al modello menandreo : bene inuenta persona est cui narret Chaerea ne unus diu loquatur ut apud Menandrum
(« è stato opportunamente aggiunto un personaggio al quale Cherea riferisce le sue azioni, per fare in modo che questi
non parli da solo troppo a lungo, come avviene in Menandro »)10. Se ciò fosse vero, Terenzio avrebbe trasformato un
monologo presente nell’originale in un dialogo preceduto da una scena di origliamento.
5 Vi è pure il caso in cui un personaggio finge di non accorgersi della presenza in scena di un altro che lo sta osservando e
ne approfitta per fornire false informazioni. C. W. Marshall ha definito questa tipologia « pseudo-eavesdropping
scene »11. Accade, ad esempio, nel Persa, quando Tossilo ai versi 83-98. si fa spiare da Saturione per fargli credere ciò che
vuole. Anche l’ancella Milfidippa, ai versi 991-1010 del Miles gloriosus, finge di non accorgersi che Pirgopolinice e
Palestrione la stanno ascoltando (992 : dissimulabo hos quasi non uideam neque esse hic etiamdum sciam : « farò finta
di non vederli, né di sapere che sono già qui »), in modo tale da far credere al soldato che la sua padrona, Acroteleuzio, è
perdutamente innamorata di lui. Nell’Anfitrione, invece, Sosia, dopo essere stato a lungo spiato di nascosto da Mercurio12,
al verso 292, si avvede finalmente della presenza del dio (che, naturalmente, non riconosce) : Mercurio, a sua volta, sa di
essere osservato e si diverte a intimorire l’altro pronunciando a voce alta (300 : clare) le sue minacce. In tutte queste
scene l’attore che doveva fingere di non avvedersi della presenza di altri sul palco avrà adottato un tono di voce un po’ più
elevato del solito.
6 Il lessico delle scene di spionaggio e origliamento talvolta coincide con quello del generico a parte. L’attore che compie
l’azione di osservare di nascosto si ritrae, spesso annunciando il suo movimento di scena con il verbo al futuro, ad
esempio concedam o concessero : in genere ciò avviene in concomitanza con l’apertura di una porta o l’avvistamento di
qualcuno che entra in scena provenendo da uno dei due accessi laterali. Così, chi è intenzionato a spiare va a posizionarsi
in una parte del proscaenium in cui può simulare l’azione di chi osserva non visto, con un minimo margine di realismo e
un grande impiego di illusione teatrale condivisa con il pubblico13.
7 Nell’Epidico l’omonimo protagonista della commedia intende spiare Stratippocle e Cheribulo, e così, al verso 103,
annuncia la sua decisione (e il suo movimento), dicendo : huc concedam, orationem unde horum placide persequar (« mi
farò da parte, in questo posto dal quale io possa seguire in tutta tranquillità i loro discorsi »). G. E. Duckworth, nel
commento a questo verso14, dopo aver citato altri esempi di tale formula, a cominciare da Pseudolo 414, che presenta
poche varianti (nunc huc concedam unde horum sermonem legam : « ora mi farò da parte, in questo posto dal quale io
possa cogliere i loro discorsi »), osserva : « concedere in these passages = a strong cedere and usually indicates motion
from one part of the stage to another »15. Anche nel dramma greco, naturalmente, le battute anticipano il movimento
dell’attore : nel già citato a parte della Donna tosata menandrea Moschione, per poter origliare senza essere notato, invita
se stesso a farsi da parte, dicendo ἐπάναγε, « fatti indietro » (783).
8 Come si nascondeva alla vista degli altri un personaggio impegnato a spiare e origliare ? Anche se è preferibile
immaginare che tali sequenze venissero recitate in maniera non troppo naturalistica — contrariamente ai gusti e alle
consuetudini di noi moderni — possiamo, tuttavia, supporre l’esistenza di elementi scenografici che venivano utilizzati
durante questo genere di situazioni. I teatri della Magna Grecia sembra fossero provvisti di piccole finestre poste in alto
sulla skené. Spesso sui vasi pestani di IV secolo a. C., nei quali sono riprodotte situazioni teatrali, nella parte superiore
troviamo raffigurati dei volti o dei busti16. In alcuni casi questi personaggi si affacciano da finestrelle e sembrano
partecipare — a distanza — all’azione scenica. Tali finestrelle fanno parte della scenografia e non costituiscono semplici
elementi decorativi. Possiamo ricordare alcuni vasi, la cui decorazione pittorica è attribuita ad Asteas : il cratere in cui
sono raffigurati Zeus con una scala, Hermes e Alcmena affacciata alla finestra (fig. 1, cf. infra p. 272)17, o quello in cui
compaiono Dioniso e alcuni attori, tra cui una donna acrobata (fig. 2, cf. infra p. 272)18, o ancora quello in cui è
rappresentata la pazzia di Eracle, e dall’alto, in una loggia, Alcmena e Iolao assistono con disapprovazione (fig. 3, cf. infra
p. 273)19. Volti e busti si trovano anche in contesti figurativi non sicuramente teatrali, come ad esempio nell’anfora di
Python in cui è dipinta la nascita di Elena dall’uovo (fig. 4, cf. infra p. 273)20.
9 Tuttavia, che le finestrelle non fossero semplici decorazioni della skené, ma ricoprissero anche una precisa funzione
nella performance, è provato da un cratere a calice di Paestum (fig. 5, cf. infra p. 274) che raffigura un uomo che sale sulla
scala per raggiungere una donna affacciata alla finestra (probabilmente si tratta, ancora una volta, di Giove e Alcmena)21.
Non possiamo dire se tali finestre fossero tipiche soltanto di forme di teatro quali i phlyakes, o costituissero elementi fissi
anche della skené greca e, in seguito, del frons scenae romano22. Dubito, tuttavia, che potessero servire nelle sequenze di
origliamento della commedia nuova e della palliata. Mi pare più probabile che tali sequenze si svolgessero direttamente
sul proscaenium e che l’attore che ne era protagonista recitasse sul palco allo stesso livello degli altri personaggi : nessuna
battuta ci fa pensare a movimenti di scena che coinvolgono una finestra. Invece, nel teatro greco-romano un possibile
luogo utile per spiare e origliare è la porta. Nei vasi talvolta compaiono porte semiaperte con personaggi fermi sulla
soglia : è il caso di un cratere campano con Oreste e Pilade in una scena dell’Ifigenia in Tauride (fig. 6, cf. infra p. 274)23.
Nelle miniature presenti in alcuni manoscritti terenziani, che — come è noto — risalgono ad un esemplare illustrato
d’epoca tardoantica24, le figure ritratte sulla porta indicano, invece, personaggi che entreranno nella scena successiva,
come accade, ad esempio, a Clitifone, assente in Heautontimorumenos 512-561 e comunque raffigurato sull’uscio di casa
nel ms. di Leiden, Bibl. der Rijksuniversiteit, Voss. lat. Q 38 (saec. X-XI), f. 65r. (fig. 7, cf. infra p. 275) : il giovane entrerà
solo nella scena seguente, al verso 562. Al contrario, nelle testimonianze vascolari la porta di casa semiaperta sembra
servisse anche per spiare, oltre che per indicare un’uscita. In un vaso fliacico, che rappresenta la nascita di Elena, il
personaggio femminile (forse Leda) che si nasconde sulla porta è rappresentato nell’atto di origliare (fig. 8, cf. infra
p. 275)25. In un noto frammento di cratere apulo le due porte laterali si trovano all’interno di paraskenia a colonnato26. La
scena che vi è riprodotta è tratta dalla Stenebea di Euripide : la figura femminile a sinistra (la protagonista o la sua
nutrice) è ritratta proprio nell’atto di spiare Bellerofonte (fig. 9a-b, cf. infra p. 276)27. Nel teatro greco uno dei possibili
luoghi dai quali un attore poteva recitare una scena di origliamento era proprio il colonnato presente nei paraskenia. Se
fossimo certi dell’esistenza di tali strutture anche nei teatri in legno d’età repubblicana, potremmo immaginare che un
personaggio ne utilizzasse le colonne per nascondersi alla vista degli altri. Ma il confronto con i teatri greci e italici (alcuni,
tuttavia, privi di paraskenia28) non è sufficiente a provarne l’esistenza nella struttura dell’antico scenae frons romano :
quindi resta più probabile, nelle sequenze di origliamento, l’uso di porte semiaperte — siano esse inserite all’interno di
paraskenia, oppure del tipo che si affaccia direttamente sul proscaenium — che fanno intravedere al pubblico la presenza
di un attore che spia.
10 Al termine della già citata scena del Miles gloriosus, nella quale Milfidippa ha fatto in modo che Pirgopolinice pensasse
di spiarla, scopriamo che in realtà, per tutto il tempo, c’era realmente qualcuno che stava origliando. Sono Filocomasio e
Acroteleuzio, sicuramente nascoste dietro una porta socchiusa (1089-1090) : Pa. : Philocomasio dic, si est istic, domum ut
transeat : hunc hic esse. / Mi. : Hic cum <mea> era est, <hinc> clam nostrum hunc sermonem sublegerunt :
« Palestrione : Di’ a Filocomasio, se sta lì, di tornare in casa : lui sta qui. Milfidippa : È già qui con la padrona : hanno
origliato di nascosto questo nostro discorso »29. Palestrione, quando dice si est istic, indica a Milfidippa la casa più
distante, quella di Periplectomeno, comunicante con questa (hic) di Pirgopolinice, alle loro spalle : quindi Filocomasio e
Acroteleuzio — i cui ruoli, privi di battute, in questo caso saranno stati affidati a due attori secondari, o semplici
comparse — hanno ascoltato tutto standosene sulla porta della casa di Periplectomeno, dalla parte opposta rispetto alla
casa del soldato. Che l’azione delle due donne si svolgesse sulla porta è una convincente ipotesi di W. G. Arnott, il quale ha
suggerito che Plauto possa aver omesso nella traduzione un’espressione, come πρὸς τῇ θύρᾳ, « sulla porta », presente nel
modello30. W. G. Arnott confronta questa scena con i versi 821 sq. del Dyscolos, in cui Gorgia entra in scena dicendo a
Callippide e Sostrato di aver ascoltato tutti i loro discorsi stando sulla porta mentre usciva di casa, e con il verso 477 del
Mercator, col quale Eutico confessa a Carino di aver sentito le sue parole ab ostio, « sulla porta »31.
11 Immagino una tale posizione — sull’uscio semiaperto — anche per Lachete nell’Hecyra di Terenzio. Il vecchio, durante
il discorso di Sostrata e Panfilo, ai versi 577-606, ha ascoltato le loro parole senza farsi notare : noi lo sappiamo soltanto
perché, quando si manifesta in scena, Lachete dice (607) : quem cum istoc sermonem habueris procul hinc stans accepi,
uxor : « moglie, stando un po’ in disparte, ho ascoltato tutto ciò che tu e lui vi siete detti ». Naturalmente, come vedremo
meglio più avanti, non occorre ipotizzare che tutte le scene di origliamento, durante una performance antica,
richiedessero che un personaggio si sistemasse sulla porta : talvolta si sarà fatto uso di altre posizioni sul palcoscenico,
oppure, come avviene per la forma più comune di a parte, sarà stato sufficiente all’attore collocarsi ad una certa distanza
dagli altri, affidandosi alla capacità di immaginazione del pubblico.
12 Un’espressione, che generalmente in latino indica l’azione di chi sta per tendere un agguato, è utilizzata per una scena
di origliamento in un frammento plautino : ex occulto32 ; nel fr. dub. 229 sq. MONDA il movimento di ritrarsi per osservare
in disparte è descritto nelle parole pronunciate — come al solito con l’impiego del futuro — da un personaggio per noi
purtroppo ignoto : sed leno egreditur foras ; / hinc ex occulto sermonem astu sublegam : « ma ecco il lenone che esce
fuori : da qui di nascosto coglierò con astuzia il suo discorso »33. L’espressione ex occulto si trova anche nell’Eunuco, al
verso 787, e in Pacuvio, fr. 185 RIBBECK³ : in entrambi i luoghi indica lo stare nascosti, non visti, per tendere un agguato.
Nel frammento plautino, invece, essa segnala chiaramente l’intento di spiare e possiamo considerarla un sinonimo degli
avverbi clam e clanculum, quest’ultimo soprattutto adoperato nelle scene di origliamento. Da notare anche l’uso di hinc34,
che indica la posizione che l’attore va ad assumere su un’estremità del palco35, in questo caso lontano dalla porta da cui
esce il lenone.
13 Un a parte può anche realizzarsi attraverso movimenti di scena distribuiti in più tempi. Nei Menecmi, ad esempio, il
parassita Penicolo vede arrivare Menecmo II e decide di stare a guardare cosa fa (465 : obseruabo quid agat hominem ;
post adibo atque adloquar : « osserverò cosa fa ; dopo lo avvicinerò e gli parlerò »). Dopo un po’ l’attore che impersona
Penicolo, come si può immaginare dalle sue parole (478 : nequeo quae loquitur exaudire clanculum : « qui nascosto non
riesco a sentire le cose che dice »), doveva iniziare a spostarsi dal suo punto d’osservazione per cercare di ascoltare
meglio. Nella Casina il servo Calino, dopo aver pronunziato un breve monologo in cui progetta di rimediare alla sconfitta
subita come pretendente della ragazza (424-436), è ancora in scena quando sente la porta che si apre ed entrano i suoi
rivali, il vecchio padrone e il fattore Olimpione. Pronuncia il solito concedam huc (434), per tirarsi in disparte, ma non si
ferma nella posizione che ha scelto : per origliare il loro discorso senza farsi scorgere, poco dopo si allontana ancora,
spostandosi lungo la parete, e lo fa dicendo : recessim cedam ad parietem, imitabor nepam ; / captandust horum
clanculum sermo mihi (443-444 : « a ritroso mi ritraggo verso la parete, imiterò lo scorpione ; devo ascoltare di nascosto
quello che hanno da dire »). Si tratta con ogni evidenza di un a parte non statico, poiché la descrizione del movimento,
all’indietro36, che Calino fa lungo la parete per nascondersi alla vista degli altri personaggi, oltre che annunciata, doveva
anche essere eseguita dall’attore37.
14 La situazione più interessante dal punto di vista della realizzazione scenica è rappresentata dall’Aulularia, anche perché
è proprio uno sguardo furtivo che mette in moto l’intera trama. Si tratta di un vero e proprio leitmotiv. Fin dall’inizio il
senex Euclione ha paura di essere spiato quando nasconde la sua pentola d’oro. Si rivolge alla vecchia ancella Stafila
apostrofandola con le parole : circumspectatrix cum oculis emissiciis (41 : « spiona, con gli occhi che guardano
ovunque »)38. Ma il vero protagonista dello sguardo nascosto è Strobilo, il servo di Liconide39. Al verso 605 si presenta in
scena con il preciso ordine, ricevuto dal padroncino, di spiare la casa di Euclione (is speculatum huc misit me : « è lui che
mi ha mandato qui a spiare »), poiché il giovane vuole capire se è vero che la figlia del vecchio, della quale è invaghito, sia
promessa sposa all’anziano vicino Megadoro. Così Strobilo si nasconde sull’altare dove, non visto, può rendersi conto di
ciò che sta accadendo (606-607 : nunc sine omni suspicione in ara hic adsidam sacra. / Hinc ego et huc et illuc potero
quid agant arbitrarier : « ora, senza dare troppo nell’occhio, me ne starò seduto qui, sull’altare. Da questo luogo potrò
capire cosa stiano facendo sia di qua che di là (indica le due case) »). Inaspettatamente, in luogo delle notizie sulla
ragazza, il servo scopre l’esistenza di una pentola d’oro e persino il posto in cui Euclione l’ha nascosta. Dopo una
divertente scena di equivoci che coinvolge Strobilo ed Euclione, il quale pensa di essere stato derubato, il servo decide
deliberatamente di spiare il vecchio che sicuramente cercherà un nuovo nascondiglio per la pentola d’oro : tantisper huc
ego ad ianuam concessero (666 : « me ne starò in disparte per un po’, qui presso la porta »). Così Strobilo, ascoltando
Euclione intenzionato a nascondere la pentola nel bosco di Silvano, informa il pubblico anche del punto in cui si metterà
per osservare il vecchio : iam ego illuc praecurram atque inscendam aliquam in arborem / indeque obseruabo aurum
ubi abstrudat senex (678-679 : « lo precederò sul posto e salirò su un albero : da lì osserverò dove il vecchio nasconde
l’oro »).
15 La terza scena di spionaggio di Strobilo è solo narrata e ci porta al discorso successivo, relativo al racconto di situazioni
che riguardano lo sguardo nascosto nell’antefatto o fuori scena. Ma osserviamo ancora Strobilo. Lo schiavo ribadisce il
tutto (con poche varianti) nel racconto della sua impresa ormai avvenuta, quando si presenta in scena con la pentola in
braccio : nam ut dudum hinc abii, multo illo adueni prior, / multoque prius me conlocaui in arborem, / indeque
expectabam aurum ubi abstrudebat senex (705-707 : « infatti, dopo che mi allontanai di qui, giunsi sul posto molto
prima di lui e così mi misi su un albero da dove spiavo il luogo in cui il vecchio avrebbe nascosto l’oro »). Questa breve
sequenza, seguita dal monologo di Euclione che chiede aiuto al pubblico in teatro, è il preludio di una divertente scena di
equivoci tra lo stesso Euclione e Liconide.
16 In entrambe le scene di « spionaggio mimetico » va osservato che Strobilo rende sempre noto il posto in cui si
nasconde : prima sull’altare, poi vicino alla porta (molto probabilmente quella del tempio della dea Fides). Quel che più
importa è che si tratta di una indicazione, per così dire, di regia : l’attore nel momento in cui pronuncia quelle parole va
effettivamente a collocarsi sull’altare o accanto alla porta. Nella scena raccontata, invece, la sua posizione è sull’albero. Ma
si tratta — è naturale — di un fuori scena e, dal punto di vista della recitazione, non possiamo tenerne conto.
17 Il riferimento alla porta ci riconduce ancora una volta alle raffigurazioni vascolari di personaggi intenti a spiare e
origliare sull’uscio semiaperto. In quanto all’altare, va notato che esso costituisce un luogo che mette colui che vi sale
sopra in condizione di osservare bene dall’alto e di non essere a sua volta osservato dagli altri personaggi, pur
mantenendo, tuttavia, l’attenzione del pubblico focalizzata su di sé. Non si tratta dell’antico altare — detto in greco anche
θυµέλη, secondo la definizione di Polluce, IV, 101 — che occupava un posto fisso nell’orchestra, ma di un altare mobile, che
veniva posto sul palco, in prossimità di una delle porte, solo quando il dramma ne avesse richiesto la presenza (ad
esempio per consentire a uno schiavo di commedia di trovarvi rifugio)40.
18 Nella Mostellaria il servo Tranione con le sue parole annuncia l’arrivo del vecchio padrone Teopropide : concedam a
foribus huc ; hinc speculabor probe (429 : « mi allontanerò dalla porta ; da qui osserverò a meraviglia »). Da quel che
possiamo intendere, il suo è un movimento che dalla porta di casa, dove Teopropide è diretto, procede verso un altro
luogo del proscaenium, da dove può osservare meglio. Anche in tal caso quel luogo potrebbe essere dietro o sopra l’altare,
della cui presenza in questa commedia sappiamo con sicurezza a partire dal verso 1094.
19 Quando è in scena un personaggio che, anziché partecipare all’azione, si mette momentaneamente a osservare lo
spettacolo, ponendosi sullo stesso piano del pubblico, è facile cedere alla tentazione di interpretare una simile sequenza in
senso metateatrale. In un caso penso che il testo ci possa fornire qualche utile traccia in questa direzione41. Nel
Truculento il giovane Diniarco decide di stare di vedetta per guardare cosa succede : nunc speculabor quid ibi agatur,
quis eat intro, qui foras / ueniat ; procul hinc obseruabo, meis quid fortunis fuat (707-708 : « ora sbircerò cosa accade
laggiù, chi va dentro e chi esce fuori ; da qui osserverò in lontananza quale sia la mia sorte »). Così dicendo paragona
implicitamente se stesso a uno spettatore, che da lontano (ibi … procul hinc) — nel suo caso anche fisicamente,
collocandosi in un’estremità del pulpitum — può assistere (speculabor … obseruabo) alle entrate e alle uscite di scena dei
personaggi (quis eat intro, qui foras / ueniat), senza prendere parte all’azione. L’illusione, naturalmente, dura poco e
Diniarco subito dopo è costretto a prendere parte all’azione dialogando con l’ancella Astafio.
20 Come accennavo all’inizio, meno frequente, ma comunque ben rappresentata, è la scena in cui un personaggio fa un
resoconto di ciò che lui stesso o altri hanno visto e sentito spiando. In sostanza si tratta di un espediente drammaturgico
paragonabile a quello attraverso il quale il poeta riesce a dar conto di quanto accade o è accaduto dove l’occhio degli
spettatori non può arrivare : ad esempio all’interno di una casa o di un tempio (come in Anfitrione 1053-1071 ; Rudens
641-655 ; Terenzio, Hecyra 361-402)42. Anche questo tipo di scena ha i suoi paralleli nella commedia nuova :
nell’Arbitrato di Menandro, ad esempio, Onesimo entra in scena, ai versi 878-907, uscendo dalla casa di Cherestrato ; nel
monologo racconta come il suo padrone, Carisio, abbia spiato, stando sulla porta (πρὸς ταῖς θύραις, 883), i discorsi del
vecchio Smicrine e della figlia Panfile. Non mancano, però, i casi in cui il modulo narrativo è adottato anche per
descrivere qualcosa che avviene in esterno, ma a notevole distanza e fuori dalla vista del pubblico : non solo per
annunciare le entrate in scena dei personaggi43, ma anche per un dettagliato resoconto in diretta di un evento particolare,
come, ad esempio, il naufragio della nave che trasportava le due ragazze, Palestra e Ampelisca, nella descrizione che
Sceparnione fa a Demone ai versi 148-180 della Rudens44.
21 In Plauto la più nota sequenza diegetica relativa ad un episodio di spionaggio nasce dal caso : nel Miles gloriosus
Sceledro, il fedele servo di Pirgopolinice si trovava sul tetto di casa quando ha visto, attraverso l’impluvio, Filocomasio
baciare uno sconosciuto, e ora racconta a Palestrione l’accaduto : forte fortuna per inpluuium huc despexi in proxumum :
/ atque ego illi aspicio osculantem Philocomasium cum altero / nescioquo adulescente (287-289 : « per caso da lassù ho
dato un’occhiata attraverso l’impluvio in casa del vicino e ti vedo Filocomasio che si sbaciucchia con un altro ragazzo, uno
sconosciuto »). Il racconto era già stato anticipato da Sceledro poco prima, mentre Palestrione a parte lo osservava : nisi
quidem ego hodie ambulaui dormiens in tegulis, / certo edepol scio me uidisse hic proxumae uicinae / Philocomasium
erilem amicam sibi malam rem quaerere (272-274 : « certo, se oggi non dormivo mentre camminavo sul tetto, sono
sicuro, per Polluce, di aver visto Filocomasio, l’amica del mio padrone, qui dal vicino in cerca di guai »). Anche in Terenzio
non mancano esempi di episodi di origliamento in forma narrata. Nella prima scena dell’Andria il senex Simone si
sostituisce al prologo nella funzione di rendere noto al pubblico l’antefatto della commedia e fa un resoconto all’ex schiavo
Sosia di ciò che ha visto mentre, a più riprese, ha spiato suo figlio Panfilo (83-136), dal momento in cui quello ha iniziato a
frequentare Criside, la donna di Andro, fino al funerale di quest’ultima, durante il quale è riuscito ad ascoltare le parole
che il ragazzo diceva a Glicerio, parole che riferisce nel suo racconto (134). Nell’Eunuco c’è un’interessante scena di
spionaggio di tipo diegetico. Al verso 574 Cherea, spiegando all’amico il motivo del suo travestimento, dice uiderem,
audirem, essem una quacum cupiebam (« vederla, udirla, stare insieme a colei che desideravo »), anticipando così la
successiva scena di voyeurismo a cui è condotto dal desiderio di vedere l’amata. Poco dopo l’ekphrasis, in cui Cherea
descrive ad Antifone la tabula nella quale erano rappresentati Giove e Danae, che — si noti — è la fanciulla a osservare,
rappresentando per lei un’inconsapevole anticipazione di quanto le sta per accadere45, il giovane, che paragona se stesso a
Giove, narra all’amico come, sempre travestito da eunuco, ha potuto spiare attraverso il ventaglio la fanciulla assopita
dopo il bagno e fa intendere che, approfittando dell’assenza delle ancelle, l’abbia finalmente sedotta (601-606) :

Ch. : […] ego limis specto sic per flabellum clanculum ; simul alia circumspecto, satin explorata sint. Video esse.
pessulum ostio obdo.

An. : quid tum ?

Ch. : quid « quid tum », fatue ?

An. : fateor.

Ch. : an ego occasionem mi ostentam, tantam, tam breuem, tam optatam, tam insperatam amitterem ? Tum pol ego is
essem uero qui simulabar.

Cherea : […] io la guardo con la coda dell’occhio così, di nascosto, attraverso il ventaglio ; nel frattempo mi guardo
intorno, per assicurarmi che sia tutto tranquillo. Vedo che è così. Metto il chiavistello alla porta.

Antifone : E quindi ?

Ch. : Come « e quindi ? », sciocco !

An. : Va bene, lo riconosco !

Ch. : Avrei dovuto lasciarmi scappare una così bella occasione che mi si presentava, tanto fuggevole, tanto desiderata,
tanto insperata ? Allora, perdinci, sarei stato realmente ciò che fingevo di essere !
22 Quel sic con cui Cherea inizia il suo racconto indica che l’attore in scena non si limitava a narrare, ma doveva anche
mimare i gesti che aveva compiuto mentre sbirciava. Lo sguardo « indiscreto » sulla fanciulla46, che avviene fuori scena ed
è narrato dallo stesso Cherea, non ha una funzione drammatica particolare, ma rappresenta il culmine di un crescendo di
sensazioni sensoriali che dalla vista (il primo incontro, poi la visione anticipatrice della tabula di Giove e Danae, infine lo
sguardo nascosto attraverso il ventaglio) perviene al contatto fisico (la seduzione della ragazza). È stato notato che si
tratta dell’unico caso in commedia in cui la violenza nei confronti di una ragazza non avviene nell’antefatto, bensì nel
tempo dell’azione scenica47. Gli spettatori sanno già che Panfila è di nascita libera e che la convenzione della palliata vuole
che poi comunque il giovane, che si è reso responsabile della violenza, nel finale la sposi : questa situazione è priva di
sorprese per il pubblico. Ma chi non sa di aver violentato una cittadina ateniese è Cherea, il quale, ancora nei panni
dell’eunuco, afferma di aver abusato di una conserua (858)48. Nel corso della commedia la meretrix Taide è protagonista
onnisciente, ma non nasconde agli altri le sue intenzioni e riferisce, a chi ne fa richiesta, quanto è a sua conoscenza :
eppure, sospetti ed equivoci si alimentano in modo quasi naturale, in presenza di un pubblico che — come Taide — sa
molto più di Cherea e di tutti gli altri personaggi.
23 Come esistono scene in cui un personaggio finge di non accorgersi della presenza di qualcuno che lo sta osservando,
così accade pure che in un racconto si possa inventare un episodio di spionaggio al fine di perpetrare un inganno. Ai versi
235-254 dell’Epidico, ad esempio, il protagonista narra di aver notato due donne alle sue spalle (237 : post me49) e di
averle spiate per origliare i loro discorsi : ego abscessi sciens / paululum ab illis (237-238 : « mi sono deliberatamente
allontanato un po’ da loro »). Ma è tutto inventato, una trovata per ingannare il vecchio Perifane. La presenza del
pronome ego rende tutta la vicenda più realistica. Infatti, durante un racconto, l’affermazione di aver assistito ad un
evento in prima persona può essere una garanzia di veridicità dei fatti narrati. Una tale autopsia — questa volta realmente
accaduta — si verifica, ad esempio, nella Cistellaria, in una scena in cui il servo Lampadione racconta alla lena Melenide
come si sono svolti i fatti (611-621), come fu lui che espose la bambina e fu sempre lui che poté vedere senza essere notato
una donna che la raccolse : ego eam proieci : alia mulier sustulit, / ego inspectaui (619-620 : « fui io ad abbandonarla :
un’altra donna la raccolse, l’ho vista con i miei occhi »). Anche qui l’anafora di ego evidenzia ancor più la funzione di
testimonianza autoptica del racconto.
24 Lo sguardo nascosto fuori scena, portato in pubblico in forma diegetica, può contenere la specificazione del luogo da cui
si è osservato, come abbiamo visto nella scena del Miles gloriosus in cui Sceledro era sul tetto e guardava attraverso
l’impluvio. Anche in un frammento di Atellana, dal Bucco adottato di Pomponio (fr. 23 RIBBECK³ = 21 FRASSINETTI), un
personaggio a noi sconosciuto racconta di aver spiato per cauum : clandestino tacitus taxim perspectaui per cauum
(« clandestinamente, in silenzio, di nascosto mi misi a spiare attraverso il buco »). In genere si intende cauum nel senso di
foramen, il foro di una parete o di una porta, anche se non sarebbe impossibile che qui Pomponio si riferisca al cauum
aedium, cioè il cortile interno della domus50, una situazione del tutto simile a quella di Sceledro, che per impluuium ha
osservato Filocomasio all’interno del cortile.
25 In alcuni passi plautini il luogo adatto ad osservare senza essere notati assume un termine ben preciso, conspicillum.
Questa rara parola è usata solo nelle sequenze di tipo narrativo. All’inizio della Cistellaria chi racconta non è il
personaggio che nell’antefatto ha spiato, ma colei che è stata l’oggetto di tale azione51. La meretrix Selenio riferisce di
essere stata seguita durante le Dionisie da Alcesimarco : per Dionysia / mater pompam me spectatum duxit. Dum redeo
domum, / conspicillo consecutust clanculum me usque ad fores (89-91 : « durante le Dionisie mia madre mi ha
accompagnata a vedere la processione. Mentre facevo ritorno a casa, lui, osservandomi di nascosto, mi ha seguita fino alla
porta di casa »). Si tratta della narrazione di una scena di pedinamento. Che Alcesimarco spiasse le due donne è chiarito
proprio dal termine che la ragazza usa : conspicillum52. L’esito dello sguardo furtivo dell’adulescens rappresenta lo
scoccare dell’amore. Un topos di questo genere di narrazioni riguarda proprio il desiderio amoroso che nasce nel
protagonista maschile nel preciso istante in cui vede una fanciulla53 : un fatto che non si verifica mai sulla scena, ma che
fa parte dell’antefatto o di un recente fuoriscena. Lo sguardo che è all’origine del desiderio è sempre nascosto all’occhio
dello spettatore e viene narrato dall’innamorato ad alcuni personaggi tipici : un amico o lo schiavo confidente54. Oppure il
topos dell’amore a prima vista fa parte del racconto del prologo, come in Rudens 42-44. Ma cerchiamo di capire meglio
cosa sia un conspicillum55. Innanzitutto di questi versi possediamo il probabile originale greco, il fr. I ARNOTT delle
Synaristosai (Le Donne a banchetto) di Menandro56. A parlare è probabilmente Plangon : Διονυσίων <γὰρ> ἦν / ποµπή
<…> / ὁ δ’ ἠκολούθησεν µέχρι τοῦ πρὸς τὴν θύραν, / ἔπειτα φοιτῶν καὶ κολακεύων <ἐµέ τε καὶ> / τὴν µητέρ’ ἔγνω µε (« c’era
infatti una processione delle Dionisie [...] Mi ha seguita fino alla porta : lì, aggirandosi di continuo e adulando me e mia
madre, fece la mia conoscenza »). Nel frammento greco non si fa parola di un posto da cui il ragazzo osserva le due donne.
In Plauto, invece, il termine conspicillum sembra indicare un luogo dal quale è possibile vedere meglio, un punto
d’osservazione atto a osservare senza essere visti57. Alla parola, tuttavia, in età moderna fu assegnato dagli Umanisti un
presunto significato strumentale58. Essa è menzionata pure da Niccolò Perotti nel Cornucopiae (II, 126), dove è citato
come plautino un frammento sicuramente spurio : uitrum cedo, necesse est conspicilio uti (« dammi il vetro (la lente ?) :
occorre che io mi serva di un conspicillo »)59.
26 L’uso di conspicillum è limitato al solo Plauto e compare, oltre che nella Cistellaria, anche nel fr. 101 sq. MONDA di una
commedia non varroniana, il Parassita medico60 : in conspicillo adseruabam pallium / obseruabam (« da un buon posto
tenevo d’occhio il pallium, osservavo […] »). Il passo rappresenta parte di una narrazione nella quale un personaggio
ricorda di aver osservato o custodito un pallio. Questa volta conspicillum è usato all’ablativo di luogo con in. Nella lingua
greca esistono diversi termini che indicano un posto da cui si può osservare, generalmente un’altura o comunque un
punto collocato in alto : ἄποψις, περιωπή, σκοπή, σκοπία, θεωρεῖων (attestato da Esichio). L’espressione in conspicillo può
corrispondere al greco ἐν σκοπιῇ.
27 Qualche anno fa, a partire da una citazione plautina nelle Deriuationes di Uguccione, Alba Tontini61 ha restituito alla
Casina parte di un verso nel quale compare il nostro termine : conspicillo <quom> conspexi uirginem : « quando di
nascosto ho visto la ragazza ». La citazione va a introdursi in una sezione della commedia di cui il palinsesto Ambrosiano
conserva solo delle tracce. L’ipotesi di inserire la citazione di Uguccione al verso 987 è ora accolta da Cesare Questa nella
sua edizione della Casina62. Anche qui, dunque, possiamo immaginare una sequenza in cui si racconta di una ragazza
spiata da un luogo adatto ad osservare senza essere visti.
28 Una rappresentazione scenica è determinata da un insieme di esperienze sensoriali, a cominciare da quelle
fondamentali che pertengono alla funzione visiva e all’ascolto. Davanti agli occhi dello spettatore si apre uno spettacolo di
azioni, parole, suoni, luci, oggetti, persone. Non sempre, però, una performance si presenta così piena e completa :
esistono forme teatrali prive di realismo visivo, come accade talvolta sulla scena contemporanea, o nelle quali le
convenzioni drammatiche suppliscono il naturalismo, ciò che avviene nel dramma greco e latino, o in altre antiche
tradizioni culturali, talora ancora oggi vive. Lo spettatore spectat soltanto gli attori e le loro azioni sceniche, su un
palcoscenico quasi del tutto privo di cose o di immagini che le rappresentano. Se interviene la necessità di descrivere un
oggetto inesistente, o, più spesso, un episodio accaduto nell’antefatto o una situazione che si svolge al di fuori del campo
visivo del pubblico, il teatro traduce quanto sfugge all’esperienza dell’occhio in una dimensione diegetica per comunicarla
al suo pubblico. Così, l’immagine che non può essere visualizzata diviene parola e richiede di essere soltanto ascoltata.

Fig. 1 : Cratere a campana pestano di Asteas, ca 360-330 a. C., con Zeus che porta una scala, Alcmena ed Hermes. Città del
Vaticano, Musei Vaticani

Fig. 2 : Cratere a calice pestano di Asteas, ca 360-350 a. C., con Dioniso e attori, tra cui una donna acrobata. Lipari, Museo
Archeologico Regionale Eoliano Luigi Bernabò Brea (particolare)

Fig. 3 : Cratere a calice pestano di Asteas, ca 350 a. C., con la pazzia di Eracle. Madrid, Museo Arqueológico Nacional

Fig. 4 : Anfora a collo pestana di Python, ca 350 a. C., con la nascita di Elena dall’uovo. Paestum, Museo Archeologico
Nazionale (particolare)
Fig. 5 : Cratere a calice pestano di Asteas, 350-340 a. C., con schiavo e uomo che sale su una scala per raggiungere una
donna alla finestra. London, British Museum

Fig. 6 : Cratere a campana dalla Campania, ca 330-320 a. C., con Oreste e Pilade (Ifigenia in Tauride). Paris, Louvre

Fig. 7 : Ms. Leiden, Bibl. der Rijksuniversiteit, Voss. lat. Q 38 (saec. X-XI), f. 65r (particolare)
Fig. 8 : Cratere a campana apulo, ca 375-350 a. C., con la nascita di Elena. Bari, Museo Archeologico Nazionale (particolare)

Fig. 9a : Frammento di cratere a campana di Gnathia, ca 360-350 a. C., con una scena della Stenebea di Euripide. Würzburg,
Martin von Wagner Museum

Fig. 9b : Ricostruzione di H. Bulle, Eine Skenographie. 94. Berliner Winckellmannsprogramm, Berlin, 1934

Notes
1 Sugli a parte cf. G. E. Duckworth, The Nature of Roman Comedy. A Study in Popular Entertainment, Princeton, Princeton University
Press, 1952, p. 109-114 ; E. FRAENKEL, Elementi plautini in Plauto, Firenze, La Nuova Italia, 1960 (trad. it. di F. Munari), p. 203 sq. e
427 ; L. BARBIERI, Das Beiseitesprechen im antiken Drama, Diss. Innsbruck, 1966 ; D. BAIN, Actors and Audience : A Study of Asides
and Related Conventions in Greek Drama, Oxford, Oxford University Press, 1977 (per il teatro romano p. 154-184) ; T. MOORE, The
Theater of Plautus : Playing to the Audience, Austin, University of Texas Press, 1998, p. 33-44, passim ; C. W. MARSHALL, « Quis hic
loquitur ? Plautine Delivery and the “ Double Aside ” », SyllClass 10 (1999), p. 105-129 ; E. LEFÈVRE, « Asides in New Comedy and the
Palliata », LICS 3 (2003-2004), p. 1-16.
2 Cf. ad esempio E. HANDLEY, « Acting, Action and Words in New Comedy », in P. EASTERLING & E. HALL (eds), Greek and Roman
Actors : Aspects of an Ancient Profession, Cambridge, Cambridge University Press, 2002, p. 168. L’uso moderno, che pone le didascalie
al di fuori delle battute, è studiato da V. LOCHERT, L’Écriture du spectacle. Les didascalies dans le théâtre européen aux XVIe et XVIIe
siècles, Ginevra, Droz, 2009.
3 Cf. almeno V. E. HIATT, Eavesdropping in Roman Comedy, Diss. Chicago, 1946 ; G. E. DUCKWORTH, op. cit., p. 109-111 ; E. FRAENKEL,
op. cit., p. 418 sq. e 427 ; W. G. ARNOTT, « A Note on the Motif of “ Eavesdropping Behind the Door ” in Comedy », RhM 108 (1965),
p. 371-376 ; D. BAIN, op. cit., p. 105-117 ; T. MOORE, op. cit., p. 34-40, passim ; N. W. SLATER, Plautus in Performance : The Theatre of
the Mind, Amsterdam, Harwood Academic Publishers, 2000 (1985), p. 8-13 ; 19 sq. ; 133-136 ; C. W. MARSHALL, The Stagecraft and
Performance of Roman Comedy, Cambridge, Cambridge University Press, 2006, p. 161-167.
4 Cf., ad esempio, il lungo canticum di Ballione, ascoltato e commentato a parte da Calidoro e Pseudolo in Pseudolo 129-241.
5 A questo proposito, C. W. MARSHALL, op. cit. n. 3, p. 161-167, ha proposto un’interessante riflessione sulla gestualità dell’attore nelle
scene di origliamento e sullo split-focus che si viene a creare quando i due attori o i due gruppi di attori si collocano sui due lati opposti
del palcoscenico.
6 Cf. N. ZAGAGI, The Comedy of Menander : Convention, Variation, and Originality, London, Indiana University Press, 1995, p. 62 sq.
7 Cf. O. TAPLIN, Greek Tragedy in Action, London, Methuen, 1978, p. 70 sq. ; D. DEL CORNO, « Raccontare il “ fuoriscena ”. Tracciati di
tecnica teatrale fra Menandro e Plauto », in C. QUESTA & R. RAFFAELLI (eds), Due seminari plautini. La tradizione del testo. I modelli,
Urbino, QuattroVenti, 2002, p. 131. Su Euripide e la sua Stenebea cf. anche infra p. 255.
8 Per una, seppur rapida, riflessione sull’uso ironico delle convenzioni in Terenzio cf. S. M. GOLDBERG, Understanding Terence,
Princeton, Princeton University Press, 1986, p. 15 sq.
9 Cf. J. BARSBY, Terence. Eunuchus, Cambridge, Cambridge University Press, 1999, p. 186.
10 Cf. J. BARSBY, op. cit., p. 184 ; P. BROWN, « Terence and the Greek New Comedy », in A. AUGOUSTAKIS & A. TRAILL (eds), A
Companion to Terence, Chichester (West Sussex), Blackwell, 2013, p. 22. Dubbi sulla notizia di Donato ha espresso E. FRAENKEL, « Zur
römischen Komödie », MH 25 (1968), p. 231-242.
11 C. W. MARSHALL, op. cit. n. 3, p. 183. Su questo genere di inganno cf. anche V. E. HIATT, op. cit., p. 29 ; D. BAIN, op. cit., p. 171-184.
12 Cf. T. MOORE, op. cit., p. 115-117.
13 Cf. sull’illusione teatrale, la riflessione di E. CSAPO, « Kallippides on the Floor-sweepings : The Limits of Realism in Classical Acting
and Performance Styles », in P. EASTERLING & E. HALL (eds), op. cit. n. 2, p. 127-147.
14 G. E. DUCKWORTH, T. Macci Plauti Epidicus, Princeton, Princeton University Press, 1940, p. 165.
15 Altri esempi di concedam : Plauto, Bacchidi 610 ; Casina 434 ; Mostellaria 429 ; Terenzio, I Fratelli 635 ; Formione 891 ; Eunuco
206. Anche al plurale (concedamus) in un paio di esempi : Captivi 213 e Menecmi 570. Concessero : Aulularia 666 ; Mostellaria 687 ;
Trinummo 1007 ; Heautontimorumenos 174. Talvolta, come in Bacchidi 610 e Menecmi 570, l’espressione non dà seguito ad una scena
di spionaggio e rappresenta solo un modo per indicare l’entrata di un personaggio che recita un monologo. All’elenco di
G. E. DUCKWORTH vanno aggiunti anche Caecilio Stazio, fr. 227 RIBBECK³ e Afranio, Togata 200 (= 203 DAVIAULT). Cf. inoltre E.
FRAENKEL, op. cit. n. 1, p. 418.
16 Per i vasi fliacici il classico rinvio è agli studi di L. M. CATTERUCCIA, Pitture vascolari italiote di soggetto teatrale comico, Roma,
Bardi, 1951, e A. D. TRENDALL, Phlyax Vases, London, BICS Suppl. 19, 1967². Di A. D. TRENDALL cf. anche la voce « Fliacici, vasi »,
Enciclopedia dell’arte antica classica e orientale (EAA), Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1960, III, p. 706-713. — Devo
all’amico Eugenio Polito (Univ. di Cassino), che ringrazio, il suggerimento di indagare l’eventuale presenza di scene di origliamento
nella ceramica pestana.
17 Cratere a campana pestano di Asteas, ca 360-330 a. C., Città del Vaticano, Musei Vaticani. Cf. A. B. COOK, Zeus, Cambridge,
Cambridge University Press, 1940, III, p. 506-524 ; A. D. TRENDALL, Phlyax Vases, London, BICS Suppl. 19, 1967², p. 65 ; M. BIEBER,
The History of the Greek and Roman Theater, Princeton, Princeton University Press, 1961², p. 132, fig. 484 ; A. D. TRENDALL &
T. B. L. WEBSTER, Illustration of Greek Drama, London, Phaidon, 1971, IV, 19 ; A. D. TRENDALL, The Red-Figured Vases of Paestum,
London, British School at Rome, 1987, p. 124 sq., tav. 73a ; A. D. TRENDALL, s. u. « Alkemene », Lexicon Iconographicum Mythologiae
Classicae, Zürich / München, Artemis Verlag, 1987, I, p. 552-556 ; J. R. GREEN, « Theatrical Motifs in Non-theatrical Contexts on Vases
of the Later Fifth and Fourth Centuries », in A. GRIFFITHS (ed.), Stage Directions. Essays in Ancient Drama in Honour of
E. W. Handley, London, BICS, 1995, p. 93-120, tav. 10b.
18 Cratere a calice pestano di Asteas, 360-350 a. C., Lipari, Museo Archeologico Regionale Eoliano Luigi Bernabò Brea. Cf.
A. D. TRENDALL, « Fliacici, vasi », Enciclopedia dell’arte antica classica e orientale (EAA), Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana,
1960, III, p. 711, fig. 870 ; IDEM, Phlyax Vases, London, BICS Suppl. 19, 1967², nr. 80 ; M. BIEBER, op. cit., p. 144, fig. 535 ;
A. D. TRENDALL & T. B. L. WEBSTER, op. cit., IV, 11 ; A. D. TRENDALL, The Red-Figured Vases of Paestum, London, British School at
Rome, 1987, p. 46, tav. 12f.
19 Cratere a calice pestano di Asteas, ca 350 a. C., Madrid, Museo Arqueológico Nacional. Cf. M. BIEBER, op. cit., p. 130, fig. 479a-b ;
A. D. TRENDALL, The Red-Figured Vases of Paestum, London, British School at Rome, 1987, p. 89 sq., tav. 46 ; O. TAPLIN, Pots and
Plays. Interactions between Tragedy and Greek Vase-painting of the Fourth Century B. C., Los Angeles, Paul Getty Museum, 2007, p.
143-145, fig. 45.
20 Anfora a collo pestana di Python, ca 350 a. C., Paestum, Museo Archeologico Nazionale. Cf. A. D. TRENDALL, op. cit., p. 139-143, tav.
89 ; O. TAPLIN, Comic Angels and Other Approaches to Greek Drama through Vase-paintings, Oxford, Clarendon Press, 1993, p. 83.
21 Cratere a calice pestano di Asteas, 350-340 a. C., London, British Museum. Cf. A. D. TRENDALL, Phlyax Vases, London, BICS, 1967²,
nr. 36 ; M. BIEBER, op. cit., p. 137, fig. 501 ; J. R. GREEN, Theatre in Ancient Greek Society, London, Routledge, 1994, p. 118 sq. ;
J. R. GREEN & E. HANDLEY, Images of Greek Theatre, Austin, University of Texas Press, 1995, p. 57, fig. 31 ; J. R. GREEN, op. cit. n. 17,
tav. 10a.
22 Non è detto che alcune delle scene riprodotte sui vasi pestani, che gli studiosi riconducono comunemente al genere fliacico, non si
riferiscano piuttosto a rappresentazioni di commedia.
23 Cratere campano a figure rosse, ca 330-320 a. C., Paris, Louvre. Cf. M. BIEBER, op. cit., p. 66, fig. 253 ; A. D. TRENDALL &
T. B. L. WEBSTER, op. cit., III, 3, 31.
24 Cf. G. JACHMANN, Die Geschichte des Terenztextes im Altertum, Basel, F. Reinhardt / Universitäts-Buchdruckerei, 1924, p. 98-119 ;
G. PASQUALI, Storia della tradizione e critica del testo, Firenze, Le Monnier, 1952², p. 363-368 ; J. N. GRANT, Studies in the Textual
Tradition of Terence, Toronto / Buffalo / London, University of Toronto Press, 1986, p. 18-59 ; C. R. DODWELL, Anglo-Saxon Gestures
and the Roman Stage, Cambridge, Cambridge University Press, 2000, p. 4-21. Per le riproduzioni delle miniature cf. L. W. JONES & C.
R. MOREY, The Miniatures of the Manuscripts of Terence Prior to the Thirteenth Century, Princeton, Princeton University Press,
1930-1931.
25 Cratere a campana apulo, ca 375-350 a. C., Bari, Museo Archeologico Nazionale. Cf. M. BIEBER, op. cit. n. 17, p. 135 fig. 492 ; A. D.
TRENDALL & T. B. L. WEBSTER, op. cit., IV, 26 ; M. DENOYELLE, « Comedy Vases from Magna Graecia », in M. L. HART (ed.), The Art of
Ancient Greek Theater, Los Angeles, Paul Getty Museum, 2010, p. 119, fig. 56.
26 Su queste strutture quadrangolari, che in molti edifici teatrali greci sporgevano in direzione della cavea, alle due estremità della
skené, cf. almeno M. BIEBER, op. cit. n. 17, p. 54-79 ; 108-128.
27 Frammento di cratere a campana di Gnathia, ca 360-350 a. C., Würzburg, Martin von Wagner Museum. La ricostruzione è in
H. BULLE, Eine Skenographie, in 94. Berliner Winckellmannsprogramm, Berlin, de Gruyter, 1934, fig. 1-5, tav. I-II ; Cf. A. W. PICKARD-
CAMBRIDGE, The Theatre of Dionysus in Athens, Oxford, Clarendon Press, 1946, p. 170 sq., fig. 55-57 ; M. BIEBER, op. cit. n. 17, p. 69,
fig. 266 ; A. D. TRENDALL & T. B. L. WEBSTER, op. cit., III, 3, 43 ; O. TAPLIN, op. cit. n. 19, p. 228, nr. 88. Cf. anche il cratere conservato a
Boston, Museum of Fine Arts 1900.349, in IBID., p. 202, nr. 72.
28 Cf. gli elenchi di F. SEAR, Roman Theatres. An Architectural Study, Oxford, Oxford University Press, 2006, ad indicem.
29 I due settenari anapestici presentano alcune corruttele, che però non pregiudicano il senso generale (al verso 1089 istic è correzione
di J. BRIX, Ausgewählte Komödien des T. Maccius Plautus, Leipzig, Teubner, 1901, per hic dei codici, mentre il verso 1090 è corretto
con l’integrazione di <mea> di I. CAMERARIUS, M. Acii Plauti comoediae uiginti, Basileae, per Ioannem Heruagium, 1552, e <hinc> di
F. LEO, Plauti comoediae II, Berlin, Weidmann, 1896 ; W. M. LINDSAY, T. Macci Plauti comoediae, Oxford, Clarendon Press, 1910, e
A. ERNOUT, Plaute. Comédies IV, Paris, Les Belles Lettres, 1936, adottano le cruces).
30 W. G. ARNOTT, op. cit. n. 3, p. 371 sq.
31 W. G. ARNOTT, op. cit. n. 3, p. 374-376, avanza l’ipotesi che nell’Eunuco, quando Pitia al verso 941 inizia a parlare, lo faccia dopo aver
ascoltato, nascosta sulla porta della casa di Taide, le parole di Parmenone.
32 Cf. ad esempio Casare, La Guerra gallica VI, 34, 6 ; Sallustio, La Guerra giugurtina 59, 2.
33 Nel secondo verso sermonem astu è congettura di L. MUELLER, Noni Marcelli Compendiosa doctrina, Leipzig, Teubner, 1888, p. 533
(preceduta da sermones astu di J. PASSERAT, come ricaviamo dall’apparato critico di L. QUICHERAT, Nonii Marcelli De compendiosa
doctrina, Paris, Hachette, 1872, p. 378) per sermones atus o sermone aius dei codici di Nonio, a cui si deve la citazione del frammento.
Poiché Nonio (p. 523 LINDSAY) nel citare il frammento lo assegna all’Aulularia, dove però un lenone è assente, per sanare l’errore di
attribuzione, da molti il frammento è accolto tra quelli della Vidularia. Tuttavia, tale ipotesi resta impossibile da provare e nella mia
edizione ho preferito raccogliere il frammento tra i dubia (S. MONDA, Titus Maccius Plautus. Vidularia et deperditarum fabularum
fragmenta, Sarsinae / Urbini, QuattroVenti, 2004, p. 103).
34 Frequente in queste scene : cf., ad esempio, Aulularia 607 e Truculento 708.
35 L’osservazione è di C. W. MARSHALL, op. cit. n. 3, p. 167.
36 Mi permetto di rinviare ad un mio articolo, « Plauto, Cas. 443 : proverbio o favola ? », Maia 55 (2003), p. 501-507.
37 C. W. MARSHALL, op. cit. n. 3, p. 141, n. 64, cita il passo come esempio di posizione tipica nelle scene di origliamento.
38 Cf. il commento di W. STOCKERT, T. Maccius Plautus. Aulularia, Stuttgart, Teubner, 1983, p. 44.
39 Prescindo dalla questione dei due servi che nella tradizione manoscritta presentano lo stesso nome (cf. il commento di W. STOCKERT,
op. cit., p. 16-18).
40 Cf. il commento di W. STOCKERT, op. cit., p. 165. Sulla presenza di un simile altare cf. almeno J. A. HANSON, Roman Theater-
Temples, Princeton, Princeton University Press, 1959, p. 86-90 ; G. E. DUCKWORTH, op. cit. n. 1, p. 83 sq. ; P. ARNOTT, Greek Scenic
Conventions in the Fifth Century B. C., Oxford, Oxford University Press, 1962, p. 45-56 ; C. W. MARSHALL, op. cit. n. 3, p. 53 ;
G. MANUWALD, Roman Republican Theatre, Cambridge, Cambridge University Press, 2011, p. 72.
41 Confesso in generale la mia ritrosia a definire come metateatrali delle situazioni che si possono più semplicemente interpretare come
normali espedienti di comicità : mi piacerebbe che il fenomeno prima o poi rientrasse nei suoi naturali e più stretti confini del « teatro
nel teatro ».
42 Per i casi in cui un personaggio fa un resoconto di quanto accade o è accaduto in un interno, cf. D. DEL CORNO, op. cit. n. 7 ; G.
MANUWALD, op. cit., p. 71.
43 Cf. C. FELICI, « Preparare un’entrata. Studio di una convenzione del teatro plautino », Dionysus ex machina 3 (2012), articolo on
line (cod. DEM201145117).
44 Sulla scena e lo spectator in fabula che assiste e racconta cf. R. RAFFAELLI, Esercizi plautini, Urbino, QuattroVenti, 2009, p.
281-286.
45 In genere l’ekphrasis nel teatro comico è una metafora dell’intreccio, o almeno una rappresentazione dei personaggi di una
situazione scenica, come avviene nella Mostellaria con l’invenzione dell’immagine della cornacchia che gabba i due avvoltoi, che
Tranione finge di vedere per prendersi gioco di Simone e Teopropide (832-840). Su Eunucho 584-589, e la descrizione della tabula di
Zeus e Danae in Terenzio, oltre al commento di J. BARSBY, op. cit. n. 9, p. 195-197 ; cf. C. KNAPP, « References to Painting in Plautus and
Terence », CPh 12 (1917), p. 154 ; L. M. TROMARAS, « Ibi inerat pictura haec », Hellenika 36 (1985), p. 268-277 ; S. A. FRANGOULIDIS,
« Performance and Improvisation in Terence’s Eunuchus », QUCC 77 (1994), p. 123 ; R. GERMANY, Mimetic Contagion in Terence’s
Eunuchus, Diss. Chicago, 2008 ; B. DUFALLO, The Captor’s Image : Greek Culture in Roman Ecphrasis, Oxford, Oxford University
Press, 2013, p. 14-38.
46 J. BARSBY, op. cit. n. 9, p. 195, confronta limis del verso 601 con Ovidio, Amores III, 1, 33 : limis […] ocellis : « con la coda
dell’occhio ».
47 Cf. D. M. CHRISTENSON, « Eunuchus », in A. AUGOUSTAKIS & A. TRAILL, op. cit. n. 10, p. 268.
48 L’azione di Cherea ha suscitato varie reazioni nella critica : cf. il commento di J. BARSBY, op. cit. n. 9, p. 185 sq. Sulla violenza di
Cherea cf. anche L. P. SMITH, « Audience Response to Rape : Cherea in Terence’s Eunuchus », Helios 21 (1994), p. 21-38 ; K.
PHILIPPIDES, « Terence’s Eunuchus : Elements of the Marriage Ritual in the Rape Scene », Mnemosyne 48 (1995), p. 272-284 ; S. L.
JAMES, « Gender and Sexuality in Terence », in A. AUGOUSTAKIS & A. TRAILL, op. cit. n. 10, p. 175-194. In generale cf. K. F. PIERCE, « The
Portrayal of Rape in New Comedy », in S. DEACY & K. F. PIERCE (eds), Rape in Antiquity : Sexual Violence in the Greek and Roman
Worlds, London, Duckworth / The Classical Press of Wales, 1997, p. 163-184 ; M. LEISNER-JENSEN, « Vis comica : Consummated Rape
in Greek and Roman New Comedy », C&M 53 (2002), p. 173-196.
49 Nota G. E. DUCKWORTH, op. cit. n. 14, p. 250, che si tratta dell’unico caso in Plauto in cui la preposizione post ha senso locale anziché
temporale.
50 Cf. Varrone, La lingua latina V, 161 sq. ; Vitruvio, VI, 3, 1.
51 Un altro racconto che si deve a chi è stato spiato è quello del pescatore Cacisto nella Cistellaria, ai versi 62-68, il quale, con parole
simili a quelle che Gripo pronuncia nella Rudens (1167), si rivolge (probabilmente) al pubblico, ricordando come sia stato spiato da
Aspasio, che si era nascosto tra i mirti per spiarlo e sottrargli il baule. In generale sui rapporti tra le due commedie cf. R. CALDERAN,
Tito Maccio Plauto. Vidularia, Urbino, QuattroVenti, 2004², p. 82-95.
52 Nel ms. Ambrosiano si legge solo conspicio, per cui F. LEO, op. cit., che stampa conspicillo, suppone che la lezione di A fosse
conspicio illum.
53 Le feste Dionisiache spesso fanno da sfondo a un incontro tra due giovani e alla nascita dell’amore : Curculio 644 ; Pseudolo 59 (cf.
W. STOCKERT, T. Maccius Plautus. Cistellaria. Einleitung, Text und Kommentar, München, Verlag C. H. Beck, 2012, p. 113 sq.).
54 L’amore nasce alla vista della donna anche nel vecchio Demifone, come sappiamo dal racconto che il servo Acanzione fa al giovane
Carino nella scena del Mercator in cui Plauto crea uno sketch molto divertente basato sul ricorrere del verbo uideo (180-190).
55 Cf. W. STOCKERT, op. cit., p. 114 sq., anche per la bibliografia precedente.
56 Cf. A. TRAINA, Vortit barbare, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1970, p. 163 ; W. G. ARNOTT, Menander, III, Cambridge (Mass.) /
London, Harvard University Press, 2000, p. 344-347, ricorda che l’identificazione si deve già a D. LAMBIN nell’edizione delle commedie
di Plauto del 1576.
57 La formazione del sostantivo è diminutiva (dal verbo conspicio e il suffisso -illum), ma un sostantivo semplice corrispondente
(*conspicus) è inesistente. Il verbo specio, invece, ha sia specus (da cui speculum), sia il diminutivo specillum, che si intende come
« sonda », poi anche « specchietto ». Su specio e derivati cf. A. ERNOUT & A. MEILLET, Dictionnaire étymologique de la langue latine,
Paris, Klincksieck, 19594, p. 639 sq. ; A. WALDE & J. B. HOFMANN, Lateinisches etymologisches Wörterbuch, Heidelberg, Winter, 19725,
II, p. 570 sq. ; M. DE VAAN, Etymological Dictionary of Latin and the Other Italic Languages, Leiden / Boston, Brill, 2008, p. 578 sq. ;
M. KÜMMEL, « Zu einigen seltenen Wortem in der Cistellaria », in R. HARTKAMP & F. HURKA (eds), Studien zu Plautus’ Cistellaria,
Tubingen, Narr, 2004, p. 350, sostiene che conspicillum si sia formato sulla base di specillum.
58 Ricordo che Galileo chiamò il cannocchiale proprio conspicillum, specillum e soprattutto perspicillum.
59 La grafia conspicilium si alterna frequentemente a conspicillum nei manoscritti delle nostre fonti.
60 Il frammento è citato da Nonio (p. 118 LINDSAY) : « conspicillum » unde conspicere possis. Dal lessico di Nonio il conspicillum è
passato anche ai glossari (CGL V, 15, 10 ; V, 58, 13) : conspicillo : ita ut conspici possint, quod aiunt, longis lineis.
61 A. TONTINI, « Plaut. Cas. 987 (un verso ritrovato) », Maia 43 (1991), p. 9-13.
62 C. QUESTA, Titus Maccius Plautus. Casina, Sarsinae / Urbini, QuattroVenti, 2001.

Table des illustrations


Fig. 1 : Cratere a campana pestano di Asteas, ca 360-330 a. C., con Zeus che porta una scala, Alcmena ed
Titre Hermes. Città del Vaticano, Musei Vaticani

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Fig. 2 : Cratere a calice pestano di Asteas, ca 360-350 a. C., con Dioniso e attori, tra cui una donna acrobata.
Titre Lipari, Museo Archeologico Regionale Eoliano Luigi Bernabò Brea (particolare)

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Fig. 3 : Cratere a calice pestano di Asteas, ca 350 a. C., con la pazzia di Eracle. Madrid, Museo Arqueológico
Titre Nacional

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Fig. 4 : Anfora a collo pestana di Python, ca 350 a. C., con la nascita di Elena dall’uovo. Paestum, Museo
Titre Archeologico Nazionale (particolare)

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Fig. 5 : Cratere a calice pestano di Asteas, 350-340 a. C., con schiavo e uomo che sale su una scala per
Titre raggiungere una donna alla finestra. London, British Museum

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Fig. 6 : Cratere a campana dalla Campania, ca 330-320 a. C., con Oreste e Pilade (Ifigenia in Tauride). Paris,
Titre Louvre

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Titre Fig. 7 : Ms. Leiden, Bibl. der Rijksuniversiteit, Voss. lat. Q 38 (saec. X-XI), f. 65r (particolare)
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Fig. 8 : Cratere a campana apulo, ca 375-350 a. C., con la nascita di Elena. Bari, Museo Archeologico
Titre Nazionale (particolare)

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Fig. 9a : Frammento di cratere a campana di Gnathia, ca 360-350 a. C., con una scena della Stenebea di
Titre Euripide. Würzburg, Martin von Wagner Museum

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Titre Fig. 9b : Ricostruzione di H. Bulle, Eine Skenographie. 94. Berliner Winckellmannsprogramm, Berlin, 1934
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Pour citer cet article


Référence papier
Salvatore Monda, « Lo sguardo nascosto nella commedia di Plauto e Terenzio », Cahiers des études anciennes, LI | 2014, 245-276.

Référence électronique
Salvatore Monda, « Lo sguardo nascosto nella commedia di Plauto e Terenzio », Cahiers des études anciennes [En ligne], LI | 2014,
mis en ligne le 09 juin 2014, consulté le 03 janvier 2021. URL : http://journals.openedition.org/etudesanciennes/805

Auteur
Salvatore Monda
Università degli studi del Molise

Droits d’auteur

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