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1. Il tema della vigilanza delle amministrazioni comunali sull’igiene urbana e sulla salu-
te pubblica in Italia nel corso dell’Ottocento risulta in generale ancora poco studiato e
in particolare è poco conosciuta l’organizzazione degli uffici e la fisionomia del perso-
nale che di queste funzioni era incaricato. Una ricostruzione di questo tipo può essere
tuttavia molto utile a far luce sia sulle diverse strategie messe in atto dagli stati preuni-
tari di fronte ai pericoli che incombevano sulla salute pubblica, sia sulle modalità con
cui gli stessi comuni, dopo l’Unità, dovettero adattarsi alla nuova legislazione italiana.
Se abbiamo infatti alcuni studi sul periodo postunitario1, manca quasi sempre il ter-
mine di paragone con il periodo precedente, indubbiamente il meno indagato sotto
questi aspetti. Occorrerebbero quindi ricerche sistematiche almeno sulle più impor-
tanti realtà urbane del paese, dove le novità venivano generalmente recepite con anti-
cipo rispetto ai comuni minori e fungevano poi da modelli per questi ultimi.
Può essere dunque interessante riportare in questa sede i principali risultati
emersi da uno studio sulla specificità dell’organizzazione milanese nell’Ottocento
preunitario (Zocchi 2006)2, cercando anche di fornire qualche notizia sul suo svi-
luppo successivo, per il quale manca ancora un’indagine a tutto campo.
Molti elementi facevano indubbiamente di Milano una città all’avanguardia nel
panorama sanitario italiano: primo fra tutti, la fitta ed antica rete di istituzioni assi-
stenziali che caratterizzavano il capoluogo lombardo, alla quale approdava non solo
quella parte dei cittadini sempre in bilico tra povertà e miseria, ma anche un nume-
ro consistente di indigenti provenienti dalle campagne.
Fra le strutture sanitarie spiccava senza dubbio per imponenza l’Ospedale
Maggiore, fondato da Francesco Sforza nel 1456 e giunto a ricoverare, intorno alla
metà dell’Ottocento, più di 2.000 persone. Da questo dipendevano amministrativa-
mente altre tre strutture portanti della sanità milanese: il Pio Istituto di Santa
Corona per l’assistenza ai poveri a domicilio, che dal 1497 stipendiava gli addetti al
servizio medico, chirurgico e ostetrico della città, il manicomio della Senavra e la
Pia Casa degli esposti e delle partorienti di S. Caterina alla ruota, entrambe aperte
nel 1781 in seguito alle riforme teresiano-giuseppine.
Completavano il quadro i due ospedali dei Fatebenefratelli e delle
Fatebenesorelle, una clinica privata (la «Casa di salute», aperta nel 1835) e un
numero elevato di «case di ricovero per pazzi e mentecatti» inaugurate prevalente-
mente negli anni ’20 dell’Ottocento, quali la Senavretta, l’Ospizio Dufour, la Villa
Antonini e l’Ospizio Colombo.
M. Breschi, L. Pozzi (a cura di), Salute, malattia e sopravvivenza in Italia fra ’800 e ’900, Forum, Udine 2007,
pp. 37-57.
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sanità), ma anche i numerosi organi del governo locale milanese, che svolgevano
funzioni insieme giurisdizionali ed esecutive e che da secoli erano in mano al ceto
dirigente patrizio. Le magistrature centrali furono allora sostituite da un’unica
struttura burocratica statale di nomina governativa, il Consiglio di governo, che ne
ereditò le competenze giurisdizionali, mentre gli organi del governo locale furono
sostituiti da un’unica Congregazione municipale, strettamente dipendente dalle
autorità governative, che ereditò le sole competenze amministrative ed esecutive
degli antichi corpi (Pagano 2002, 4-10).
La vigilanza sanitaria ed annonaria all’interno della città, prima demandata
rispettivamente al Magistrato di sanità e ai Giudici delle strade e delle vettovaglie,
divenne dunque da quel momento competenza della Congregazione municipale e
in particolare dei suoi due nuovi uffici «di sanità» e «delle vettovaglie e strade», i
quali, solo abbozzati dopo le riforme giuseppine, si strutturarono durante l’età
napoleonica e si organizzarono definitivamente e più razionalmente con la
Restaurazione.
Il Regolamento generale per gli oggetti di sanità da osservarsi nella Lombardia
austriaca, del 29 marzo 1787, sancì il passaggio di consegne dal soppresso
Magistrato di sanità al Comune, mentre la Grida generale degli ordini del Magistrato
alla sanità del 26 aprile 1781 aveva già posto le basi della legislazione igienico-sani-
taria per lo Stato, la città e i Corpi Santi di Milano. Si trattava, in realtà, di un rie-
pilogo di tutte le ordinanze emanate da questa magistratura nel corso degli anni,
che erano rimaste in gran parte disattese e avevano bisogno di una più efficace ed
organica codificazione. La Grida del 1781 e il Regolamento del 1787 furono in
seguito adottati come modello per i regolamenti delle altre città della Lombardia
austriaca e costituirono anche nell’Ottocento la normativa sanitaria di riferimento
per la città, nonostante l’emanazione successiva di norme specifiche per alcuni set-
tori particolari.
Non avendo a disposizione i regolamenti interni degli uffici municipali preuni-
tari, possiamo solo ricostruire a grandi linee le mansioni che l’Ufficio di sanità ere-
ditò dall’antico Magistrato. Indubbiamente esso acquisì tutte le competenze un
tempo affidate ai «commissari urbani» e agli «apparitori», gli impiegati del
Magistrato che perlustravano quotidianamente i quartieri e le vie di Milano accor-
rendo alle chiamate dei cittadini e denunciando ogni contravvenzione ai regola-
menti sanitari.
Come l’antico Magistrato, inoltre, l’Ufficio partecipava alle elezioni degli anzia-
ni delle parrocchie e sorvegliava il loro operato sul territorio; si occupava della poli-
zia mortuaria rilasciando i permessi di sepoltura e di trasporto delle salme, certifi-
cando le cause di morte e vigilando sia sul sistema di esazione delle tasse mortuarie,
sia sulla corretta costruzione dei cimiteri. Nel campo dell’igiene urbana rilasciava le
licenze per lo spurgo dei pozzi neri e multava i contravventori, vigilava sulla salu-
brità delle acque e delle strade, eseguiva i controlli sulle industrie insalubri; si occu-
pava di igiene annonaria in collaborazione con l’ufficio delle vettovaglie e strade,
controllando i cibi e le bevande in commercio ed ispezionando macelli, mercati e
negozi; eseguiva le visite sanitarie in occasione di malattie contagiose o di epizoo-
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tificati di sanità per l’espatrio nei luoghi colpiti dal colera e in seguito rimasto ad
affiancare e sostituire il collega in ogni caso di necessità; nel 1848 il Comune assun-
se sei vaccinatori comunali, riuscendo dopo l’ennesima epidemia vaiolosa del 1847
ad assumere direttamente tutta la gestione della vaccinazione, fino a quel momento
affidata ai troppo impegnati chirurghi condotti di Santa Corona. Infine nel 1857 il
medico supplente fu introdotto stabilmente nell’organico municipale come «medi-
co aggiunto» al medico municipale.
Queste nuove assunzioni e promozioni furono tuttavia effettuate dal Comune
solo dopo lunghe trattative e discussioni con il Governo, sempre contrario agli
aumenti di spesa, capillare e asfissiante nei controlli amministrativi e poco incline ad
approvare i progetti del Municipio (Colombo 1996; Mannori 1996). La
Congregazione municipale fu così costretta per tutto il periodo preunitario a dotarsi
del personale necessario al funzionamento dei suoi numerosi uffici mediante assun-
zioni provvisorie, assegni ad personam e gratificazioni straordinarie, tentando così di
mitigare la diffusa insoddisfazione e il senso di precarietà dei funzionari e degli impie-
gati. Grazie a questa politica di compromesso, comunque, il Comune poté assumere
persone sempre più specializzate e ‘professionalizzate’, modernizzando nel comples-
so la propria struttura amministrativa e rendendola, nei limiti del possibile, efficiente.
Il caso dell’Ufficio di sanità, da questo punto di vista, appare emblematico.
Con l’approvazione della nuova pianta degli impiegati del 1820, vediamo infat-
ti l’organico dell’ufficio già accresciuto con l’assunzione del medico municipale,
mentre la qualifica di «delegato», cioè di capo ufficio, si tramutò in quella di uffi-
ciale sanitario. Nell’arco di un decennio, poi, comparvero nella pianta del 1831
anche due cancellisti, un veterinario municipale, un «visitatore dei campi santi» e
due commessi, per un totale di nove impiegati. Rimasero invece fuori dalla pianta
organica, perché assunti ancora in via provvisoria, i quattro nuovi «veterinari alle
porte», che svolgevano comunque il loro lavoro (e continuarono a svolgerlo fino
all’Unità) proprio alle dipendenze dell’Ufficio di sanità.
L’Ufficio aveva inoltre a disposizione dal 1809, per il controllo sul territorio, un
gran numero di commessi di sanità gratuiti che vivevano grazie alle entrate derivan-
ti dal servizio mortuario: si trattava dei vecchi anziani delle parrocchie, che da sem-
pre svolgevano questo ruolo nella città, perlustrando i quartieri e denunciando ogni
contravvenzione ai regolamenti annonari e sanitari. Ad essi erano inoltre affidate
molte pratiche di polizia mortuaria, quali la verifica delle cause di morte, il tra-
sporto e la tumulazione dei cadaveri, la compilazione dell’apposita «modula»
richiesta dal Municipio e l’esazione delle tasse funerarie. Uniche fonti di guadagno
per i commessi di sanità, le tasse risultavano però in molti casi insufficienti e non
adeguate al carico di lavoro, anche perché il Comune continuò ad affidare loro, per
tutto il periodo preunitario, una serie crescente di incarichi straordinari che ne
aggravarono le già precarie condizioni economiche. La presenza capillare nelle par-
rocchie e il servizio gratuito, del resto, facevano degli anziani i funzionari ideali del
Municipio, il quale senza alcun aggravio al bilancio se ne serviva indifferentemente
per ogni mansione che comportasse un rapporto diretto con la popolazione e una
funzione di controllo sul territorio.
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Meno noti, invece, gli incarichi degli impiegati assunti in pianta stabile
nell’Ufficio di sanità, per i quali non ci è giunta alcuna normativa o regolamenta-
zione. In quanto capo dell’Ufficio di sanità, l’ufficiale sanitario svolgeva probabil-
mente le funzioni un tempo attribuite al cancelliere generale dell’antico Magistrato,
ma solo per la parte concernente il circondario urbano e l’applicazione delle nor-
mative emanate a livello governativo. Con ogni probabilità, quindi, egli organizza-
va il lavoro dell’ufficio, distribuiva gli incarichi, stendeva le minute delle ordinanze,
compilava relazioni e rapporti per il Governo e per la Delegazione provinciale, pre-
senziava all’elezione degli anziani delle parrocchie, sovrintendeva allo spurgo dei
cavi sotterranei, firmava le molte licenze di spurgo dei pozzi neri, rilasciava i per-
messi per le inumazioni precoci, compilava le statistiche mortuarie indicando la
causa dei decessi ed era presente tutte le mattine in ufficio. Il suo ruolo cessò nel
1849, quando l’Ufficio di sanità fu accorpato con quello delle Vettovaglie e strade,
dando vita ad un unico Ufficio di pubblica sorveglianza, suddiviso al suo interno in
due rami amministrativi, uno annonario e uno sanitario, affidati ciascuno alla super-
visione di un aggiunto.
Quanto al medico municipale, la sua figura si differenziava notevolmente da
quella di un pubblico funzionario portavoce sul territorio delle direttive di governo
– ruolo incarnato ad esempio dal «medico civico» delle città trentine (Taiani 1995,
105-113)3 o dal «medico condotto» di molti comuni lombardi. Egli, infatti, di fron-
te alle autorità tutorie dello Stato appariva piuttosto come un fedele portavoce delle
istanze municipali, essendo a tutti gli effetti un funzionario del Comune. A diffe-
renza dei medici condotti stipendiati in modo precario e temporaneo dai comuni
minori, egli era inoltre meno soggetto ai rovesci della fortuna e agli arbitrî del nota-
bilato locale, avendo la sicurezza di un impiego stabile a tempo indeterminato e non
avendo il gravoso impegno della condotta.
Il medico milanese era però sottoposto all’autorità di un capo ufficio, l’ufficiale
sanitario, e aveva, almeno nei primi decenni dopo la Restaurazione, un’autonomia
decisionale molto limitata, che lo faceva somigliare più spesso a un burocrate che a
un «professionista della salute». Tra i suoi compiti vi erano infatti le visite agli
ammalati poveri da ricoverare a spese del Comune (cronici, pazzi o «venerei»),
quelle agli impiegati municipali che si assentavano dal lavoro per malattia, l’esame
degli alimenti insalubri sequestrati durante le ispezioni annonarie e, inizialmente,
anche l’esecuzione della vaccinazione. Il suo intervento diveniva invece fondamen-
tale nei casi di malattie epidemiche o contagiose, quando la sua professionalità
poteva emergere con più evidenza, nonostante a Milano la presenza di una folta
schiera di medici formatisi all’Università di Pavia e specializzatisi nelle corsie
dell’Ospedale Maggiore potesse a volte mettere in ombra il suo ruolo nell’organiz-
zazione dei soccorsi.
Si direbbe comunque che intorno agli anni ’40, e forse grazie alla presenza di un
professionista di fama come Giovanni Strambio (succeduto nel 1832 al meno cono-
sciuto Giuseppe Macchi), la figura del medico municipale cominciasse ad acquisi-
re un maggiore prestigio all’interno dell’Ufficio di sanità, mettendo in ombra pro-
gressivamente quella dell’ufficiale sanitario. Giuseppe Canziani, autore nel 1844 di
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più volte al Comune di Milano nel periodo preunitario vi fu quella di non aver rea-
lizzato un macello pubblico, richiesto fin dal 1827 dallo stesso governo austriaco ma
portato a termine solo dopo l’Unità, nel 1863. Indubbiamente il progetto, più volte
discusso dal Consiglio comunale, contrastava con gli interessi dei gestori privati,
proprietari dei tanti macelli disseminati nella città. Ma pur non arrivando a uno
scontro diretto con i privati, il Comune non rinunciò ad attuare una politica di con-
trollo sulla qualità delle carni e sulle modalità di macellazione all’interno delle
mura: proprio alla fine degli anni ’20, infatti, deciso a metter mano al riordino di
tutta la vigilanza annonaria sulle carni, emanò due regolamenti che dettarono le
norme per la vendita, la macellazione e l’introduzione in città di tutti i capi di
bestiame destinati a comparire sulle tavole dei milanesi fino all’Unità.
Il Regolamento pei venditorj di carni del 15 luglio 1828 stabilì una netta separa-
zione tra i macelli e le nuove rivendite di carni, introducendo anche per queste ulti-
me l’obbligo di una licenza municipale di validità triennale, da rilasciarsi dopo una
visita sanitaria ai locali e il consenso degli abitanti vicini. Per ottenere le licenze, gli
esercenti erano chiamati a fornire dati molto precisi sulla loro attività e a indicare
presso quale macello intendessero rifornirsi. In ogni negozio era consentita la ven-
dita di una sola qualità di carne (mastra, soriana, di vitello o di castrato) e le dispo-
sizioni igieniche per la sistemazione dei locali erano numerose e molto dettagliate,
come del resto le norme tendenti ad assicurare la corretta conservazione delle carni
in apposite ghiacciaie da notificare alla Congregazione municipale, la quale mante-
neva così la possibilità di eseguire i controlli sanitari.
Dopo aver disciplinato le modalità di apertura e di gestione delle rivendite, il
Municipio si accinse a regolamentare la macellazione e l’introduzione in città degli
animali, rafforzando soprattutto la vigilanza veterinaria. Pochi mesi dopo l’appro-
vazione del regolamento sui macelli, infatti, il 17 luglio 1829 la Congregazione
municipale emanò un Regolamento per l’introduzione e macellazione nella città di
Milano, nel quale l’obiettivo di tutela della sanità pubblica era evidente fin dal
primo articolo: «Nessuna bestia destinata al macello può essere introdotta in città
se prima non ne è verificato lo stato di salute». A tal fine, da quel momento in poi
l’ingresso degli animali fu consentito soltanto attraverso quattro porte della città
(Vercellina, Lodovica, Tosa e Comasina), in un orario ben determinato. Limitando
i luoghi e i tempi di accesso, infatti, il Comune poteva stringere le maglie della sor-
veglianza, collocandovi i propri funzionari.
Nascevano così i «veterinari alle porte», ad ognuno dei quali era affiancato un
commesso per la compilazione di un registro sul quale si annotavano il macellaio a
cui era destinato l’animale, il giorno, l’ora e la porta d’introduzione, la qualità e le
caratteristiche della bestia, il nome del conducente. Il bollettario era controllato
quotidianamente dalla Congregazione municipale e le bollette rilasciate ai condu-
centi erano valide soltanto per 24 ore.
L’altra importante novità introdotta dal regolamento era quella dei certificati
sanitari: ogni capo di bestiame, infatti, doveva essere visitato preliminarmente dal
veterinario (o perito) del luogo di provenienza e munito di un certificato che anda-
va consegnato ai funzionari municipali alle porte della città. Questi ultimi doveva-
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2) invio preventivo nei paesi colpiti (in particolare in Piemonte e a Genova nel
1835), a spese del Municipio, di alcuni medici che studiassero la malattia e rima-
nessero poi a disposizione del Comune per assumere incarichi direttivi e di
responsabilità nelle case e negli uffici di soccorso;
3) ampia generosità nella gratificazione economica dei medici e del personale di
soccorso; assimilazione del loro ruolo a quello di veri e propri «eroi» votati alla
difesa della salute pubblica;
4) snellimento delle pratiche burocratiche relative alle fedi di miserabilità dei biso-
gnosi e accettazione nelle case di soccorso di tutti i colerosi senza distinzione;
5) massimo rigore nell’isolamento dei malati e nell’esecuzione dei sequestri e delle
disinfezioni.
Questa strategia si dimostrò sostanzialmente valida in tutte le epidemie, anche
se il Comune introdusse nel tempo alcuni correttivi: nel 18498 «la soprintendenza
generale» per il colera fu affidata ad un’unica persona, il vicesegretario della prima
sezione municipale (che già nel 1836 era stato tra i più impegnati e lautamente retri-
buiti), mentre nel Palazzo del Broletto, alle dipendenze immediate del Municipio,
fu istituito un Ufficio centrale di soccorso. Composto da un medico direttore (il
medico municipale), dal medico aggiunto, dall’ufficiale di sanità e da due ama-
nuensi, esso doveva prendere tutte le decisioni operative in merito all’epidemia.
Questo ufficio si identificava dunque in sostanza con il nucleo centrale dell’Ufficio
di sanità del Comune e aveva a disposizione lettighieri, infermieri, addetti agli spur-
ghi e guardie per i sequestri, oltre ad una carrozza sempre pronta per i sopralluo-
ghi e le chiamate urgenti.
Grande collaborazione le autorità municipali ottennero anche, nel 1849, dal
clero, poiché durante l’emergenza epidemica la popolazione fu dispensata dall’ob-
bligo del digiuno e autorizzata a cibarsi di carne nei giorni di magro, mentre fu sol-
lecitata dal pulpito a curare l’igiene personale e delle abitazioni, ad evitare cibi indi-
gesti e a non lasciarsi suggestionare dai «volgari pregiudizi» sul colera fidandosi dei
medici e dei provvedimenti sanitari del Comune. I cittadini milanesi accettarono
infatti in modo abbastanza disciplinato le disinfezioni e i provvedimenti di contu-
macia, mentre qualche resistenza si manifestò tra gli abitanti del circondario ester-
no, i quali non si abbandonarono mai, tuttavia, alle scene di panico collettivo
denunciate in altre località.
Questa seconda epidemia, di minore intensità rispetto alla prima, colpì preva-
lentemente i grandi istituti ospedalieri e di ricovero della città, risparmiando la mag-
gior parte delle abitazioni private: su una popolazione di 172.327 abitanti, infatti,
Milano contò solo 284 contagiati (poco più dell’1,6 per mille) e 206 morti, dei quali
soltanto 70 si ammalarono nelle proprie case, mentre la maggior parte fu contagia-
ta all’interno di ospizi e ospedali. Questo spiega anche l’alta incidenza della morta-
lità rispetto agli ammalati, trattandosi di soggetti già indeboliti dalla vecchiaia e da
altre malattie preesistenti. Ancora una volta, inoltre, i Corpi Santi ebbero una per-
centuale maggiore di colerosi rispetto alla città (72 contagiati e 52 morti su una
popolazione di 32.830 persone, ovvero un malato ogni 456 abitanti).
Durante la successiva ondata epidemica del 1854 l’Ufficio centrale di soccorso
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Tab. 1. Contagiati e morti per colera a Milano durante le quattro epidemie preunitarie (1836-
1855)9
Epidemia Popolazione Contagiati % Morti %
6. Proteggere la città dai contagi fu dunque uno dei compiti che il Comune svolse
o tentò di svolgere con maggiore responsabilità nei decenni qui considerati. Ma se
nel complesso la sua organizzazione resse egregiamente ed anzi si consolidò in que-
sti frangenti, in altre circostanze ebbe invece difficoltà ad opporsi a una politica evi-
dentemente miope delle autorità di governo.
Nel caso ad esempio della profilassi antivaiolosa, la gratuità del servizio imposta
dal Governo ai medici dell’Ospedale Maggiore e poi ai chirurghi di Santa Corona
provocò ritardi e inadempienze proprio in quella Milano che vantava i primi espe-
rimenti e le prime campagne di vaccinazione in età napoleonica. Anche se il
Comune riuscì a riappropriarsi gradualmente delle competenze che gli erano state
sottratte con il regolamento governativo del 182110, fino ad assumere, nel 1848, sei
vaccinatori comunali e riacquistare così il completo controllo della profilassi, le epi-
demie di vaiolo continuarono fin dopo l’Unità a mietere molte vittime, costringen-
do l’Ufficio sanitario a ordinare sempre più spesso la rivaccinazione periodica della
popolazione.
Ben poco si può rilevare di innovativo, nel periodo preunitario, anche in quasi
tutti i settori riguardanti l’igiene urbana, nei quali l’amministrazione municipale
milanese continuò ad oscillare tra arretratezza e modernità. Il Comune appariva
infatti ancora in difficoltà nell’assumere definitivamente quella funzione di garante
della salute collettiva che gli competeva già a partire dalle riforme giuseppine e nel
vincere le numerose resistenze frapposte dagli interessi privati. Solo dopo l’Unità la
situazione cominciò a mutare visibilmente, quando la libertà dal controllo soffo-
cante dell’Austria e le nuove politiche sanitarie promosse dagli igienisti consentiro-
no al Comune di realizzare molti dei progetti che prima del 1859 erano stati più
volte presentati senza successo.
Alcuni studi esistenti sul periodo postunitario restituiscono un quadro a tinte
fosche dell’inquinamento della città e delle condizioni di vita dei milanesi nella secon-
da metà del secolo, caratterizzata dal massiccio inurbamento e dall’avvio dell’indu-
strializzazione (Panzeri 1978; Faccini 1984, 730-731). Se tuttavia questo peggioramen-
to indubbiamente vi fu, certo non fu tale da incidere sulla mortalità complessiva dei
milanesi, né fu così evidente da stravolgere le condizioni igieniche della città, che rima-
sero complessivamente migliori di quelle di altre realtà urbane italiane ed europee.
Le molte realizzazioni e gli interventi urbanistici della seconda metà
dell’Ottocento, infatti, uniti alla campagna igienista di fine secolo e alle scoperte nel
campo della batteriologia riuscirono nel giro di un ventennio (1884-1904) a far
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scendere notevolmente la mortalità dovuta alle malattie infettive, che passò dal 6,19
al 2,76 per mille, mentre la mortalità infantile scese anch’essa dall’8,60 al 5,31 per
mille. Già nel 1881, inoltre, il medico municipale Felice Dell’Acqua assicurava che
da diversi anni la mortalità complessiva dei milanesi appariva in diminuzione e che
la città si trovava «in discrete condizioni così di benessere e di agiatezza in genera-
le, come di igiene in particolare» (Dell’Acqua 1881, 8-9).
Tra le prime realizzazioni che la nuova Giunta comunale portò a termine dopo
l’Unità vi furono l’istituzione di un sifilicomio nel 1861, l’apertura tra il 1862 e il
1872 di tre mercati coperti per la vendita dei prodotti alimentari e soprattutto la
costruzione del macello pubblico nel 1863. Qui si concentrarono tutte le attività di
macellazione della città e i controlli sanitari al bestiame, rendendo quindi superflua
la presenza dei quattro veterinari alle porte. Essi furono assunti nella nuova strut-
tura, il cui esercizio fu appaltato a una apposita società, mentre la loro qualifica
scomparve dalla pianta organica del Comune (Guida 1864, Grottanelli 1984).
L’altra grande opera pubblica, più volte progettata e mai realizzata nei decenni
preunitari, fu il Cimitero monumentale, che fu inaugurato nel 1867 ed ospitò, a par-
tire dal 1876, anche i primi esperimenti di cremazione dei cadaveri.
Quanto alle grandi infrastrutture urbane, i primi lavori di costruzione di una
moderna rete fognaria cominciarono nel 1868 nel centro della città e si conclusero
poi in tutta la cerchia urbana nei primi decenni del Novecento. In seguito all’ap-
provazione nel 1888-89 del grande piano regolatore dell’ingegnere Cesare Beruto,
negli anni ’90 si impresse infatti un’accelerazione a tutti i lavori di risanamento,
dando il via anche alla costruzione dell’acquedotto comunale, realizzato tra il 1889
e il primo decennio del XX secolo (Morandi 1992, 201-205).
Per adeguarsi ai progressi della scienza, inoltre, il Comune aprì nel 1884 il primo
Laboratorio chimico municipale, seguito nel 1893 dal Laboratorio batteriologico,
che resero più efficaci i controlli annonari e igienico-sanitari (Beltramini 1964, 10).
La lotta alle malattie infettive portò invece nel 1888 – anno di promulgazione
della legge sanitaria – all’avvio dei lavori di costruzione dell’Ospedale dei contagio-
si di Dergano (inaugurato nel 1896), dove fu installato anche uno stabilimento di
disinfezione con annessa lavanderia comunale (Ferrari 1904; Deiana 2005-2006).
Continuò però a mietere un gran numero di vittime a Milano, come in altre città
industriali, la tubercolosi, contro la quale il Comune impiegò molte risorse, coordi-
nandosi con la rete assistenziale cittadina in una vera e propria gara di iniziative
profilattiche, terapeutiche e di propaganda igienica (Cosmacini, De Filippis,
Sanseverino 2004).
Per quanto riguarda i mutamenti avvenuti all’interno dell’Ufficio di sanità, inve-
ce, non esistono ancora studi specifici sull’argomento, ma sappiamo che la promul-
gazione della legge sanitaria del 1865 comportò un mutamento di rotta rispetto al
progetto di riforma in corso di studio dal 1861. Quest’ultimo mirava infatti ad affi-
dare all’Ufficio sanitario un ruolo molto più importante ed autonomo rispetto al
passato. In particolare, riconoscendo l’importanza del medico municipale all’inter-
no della struttura, prevedeva per lui la nomina a capo dell’ufficio e un’ampia fun-
zione consultiva in tutte le questioni riguardanti l’igiene e la sanità cittadine.
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La legge del 1865 costrinse invece il Comune ad uniformarsi agli altri comuni
del Regno e a nominare una Commissione permanente di sanità municipale presie-
duta dal sindaco e composta da otto membri tra cui medici, consiglieri comunali e
un ingegnere. La Commissione aveva le seguenti attribuzioni:
1) rimozione di ogni causa di insalubrità dal territorio comunale;
2) sorveglianza sull’esatto adempimento dei regolamenti di polizia urbana e rurale
adottati dal Municipio;
3) sorveglianza sulla salubrità e sulle condizioni igieniche degli ospedali, delle
scuole, degli asili d’infanzia, degli stabilimenti di beneficenza, degli orfanotrofi,
ecc.;
4) sorveglianza sull’esatta osservanza delle prescrizioni igieniche relative alle inu-
mazioni nei cimiteri comunali.
La successiva riforma approvata dal Consiglio comunale nel 1869 decretava in
modo definitivo questi cambiamenti e se poneva ufficialmente a capo dell’Ufficio
sanitario il medico, subordinava però il suo operato alle direttive della
Commissione di sanità, di cui era segretario. Tutto il settore riguardante la polizia
mortuaria, inoltre, fu scorporato dall’Ufficio di sanità e delegato ad un apposito
Ufficio funerario, nel quale trovarono posto, fra gli altri, anche i vecchi commessi
di sanità (ex anziani delle parrocchie), ora assunti direttamente dal Comune con la
qualifica di «ufficiali sanitari» (Atti 1869, seduta 8 gennaio).
Con l’aggregazione alla città, nel 1874, del circondario esterno dei Corpi Santi,
il numero degli abitanti conobbe una forte impennata, passando dai 200.000 circa
del 1871 ai 300.000 circa del 1879. L’Ufficio di sanità di Milano subì indubbiamen-
te un sovraccarico di lavoro in questo periodo e dovette assumere direttamente
anche il servizio medico-ostetrico delle condotte del circondario, che non dipende-
vano dall’Istituto di Santa Corona ma erano finanziate dal Comune dei Corpi Santi
(Guida 1876). Se la politica igienico-sanitaria della municipalità milanese poteva
ora estendersi in modo più uniforme anche al di fuori del ristretto confine delle
mura, le ampliate sfere di competenza contribuirono anche a rallentare notevol-
mente l’approvazione del regolamento d’igiene, in corso di studio dal 1865 (Boriani
1992). Solo con l’arrivo a Milano nel 1896 del nuovo medico capo Guido Bordoni
Uffreduzzi, proveniente dall’Ufficio d’igiene di Torino, il Regolamento poté essere
finalmente completato ed entrò in vigore il 1° gennaio 1902 (Forti Messina 2006).
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L’organizzazione sanitaria del Comune di Milano nel XIX secolo
5 Per dispiegare la propria attività, il Comune to solo come indicativo, data l’approssimazio-
di Milano era organizzato in tre «sezioni» ne delle statistiche coeve circa la popolazione
destinate ad occuparsi di determinati settori di Milano. In quest’ultima è comunque com-
amministrativi. Ogni sezione era presieduta da presa sia la popolazione mobile che quella resi-
una coppia di assessori e affidata a un vicese- dente in città.
gretario municipale, che operava sotto la guida 10 Il regolamento governativo del 13 novembre
e la supervisione dei due assessori e del segre- 1821, adattando la regolamentazione napoleo-
tario municipale (Verga 1914, XLIV-XLV). Sia nica ed uniformandola alle norme già in vigore
l’igiene annonaria che la sanità pubblica erano dal 1817 negli altri territori della monarchia,
competenza della prima sezione municipale. avocò al Governo, e in particolare al consiglie-
6 Sul colera del 1836 cfr. Calderini 1837;
re protomedico, la direzione superiore della
Gazzetta 1837; Radice 1986; AOM-2, b. 299;
vaccinazione. La nuova normativa prevedeva la
Clerici 1837; ASCM, b. 32, fasc. 532 e b. 33,
suddivisione della città in circondari di vacci-
fasc. 547.
7 Per i dati relativi all’epidemia milanese cfr. nazione corrispondenti a quelli delle parroc-
Relazione 1856, 47; Ferrario 1855, 16. Sulle chie, a ciascuno dei quali la Delegazione pro-
altre realtà italiane cfr. Della Peruta 1992, 36; vinciale doveva destinare un vaccinatore, sce-
Onger 1993, 131; Forti Messina 1979, 109. gliendolo preferibilmente tra i medici e i chi-
8 Sul colera del 1849 cfr. Strambio, Ambrosoli rurghi condotti o stipendiati dagli istituti di
1849; Dubini 1849 e 1850, nonché le varie pubblica beneficenza, i quali dovevano pre-
Notizie del cholera, apparse in quei mesi sulla starsi gratuitamente a questo servizio (Rego-
«Gazzetta medica lombarda». lamento a fine di provvedere alla più regolare
9 Il calcolo della mortalità complessiva rispetto esecuzione della vaccinazione, in Gride 1850,
al numero degli abitanti deve essere considera- 70-76).
Riferimenti archivistici
AOM Milano, Archivio dell’Ospedale Maggiore
ASCM Milano, Archivio storico civico e Biblioteca Trivulziana
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PA O L A Z O C C H I
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L’organizzazione sanitaria del Comune di Milano nel XIX secolo
Italia dal XVIII al XX secolo (dalla fondazio- Regolamento sanitario 1835, Regolamento sani-
ne delle scuole alle odierne facoltà universita- tario e di beneficenza [...] pel caso che si
rie), Istituto editoriale Cisalpino, Milano- manifestasse il cholera morbus nella R. Città
Varese. di Milano, 24 ottobre 1835, in AOM-1, b.
C. Pancino 1989, Igiene e sanità nella Milano di 285.
fine Ottocento, in F. Della Peruta (a cura di), Relazione 1855, Il cholera-morbus in Milano
Sanità e società. Veneto, Lombardia, nell’anno 1854. Relazione della Commissione
Piemonte, Liguria, Casamassima, Udine, sanitaria municipale, Pirola, Milano.
165-191. Relazione 1856, Relazione della Commissione
L. Panzeri 1978, Miglioramenti igienici e tifo sanitaria di Milano sul cholera-morbus nel-
addominale in Milano dall’Unità alla prima l’anno 1855, Pirola, Milano.
guerra mondiale, «Storia urbana», 4, 63-80. R. Roccia 2000, Amministratori e amministra-
A. Pasi 1998, La ‘bizzarra’ marcia del colera. zione, in U. Levra (a cura di), Storia di
Ambiente urbano e prevenzione nella Pavia
Torino, vol. VI, La città nel Risorgimento
dell’Ottocento, in E.G. Rondanelli (a cura
(1798-1864), Einaudi, Torino, 435-457.
di), Dagli antichi contagi all’Aids. Opere ed
G. Strambio, G. Ambrosoli 1849, Intorno
eventi al San Matteo di Pavia, Laterza,
all’invasione del cholera-morbus in Milano
Roma-Bari, 77-94.
G. Piccinato 1989, Igiene e urbanistica in Italia nell’anno 1849, «Annali universali di medici-
nella seconda metà del XIX secolo, «Storia na», 36, 394-395, 243-260.
urbana», 47, 47-66. R. Taiani 1995, Il governo dell’esistenza.
C. Pogliano 1984, L’utopia igienista (1870- Organizzazione sanitaria e tutela della salute
1920), in F. Della Peruta (a cura di), Storia pubblica in Trentino nella prima metà del
d’Italia, Annali 7, Malattia e medicina, XIX secolo, il Mulino, Bologna.
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case di soccorso pei cholerosi, [...], 24 ottobre Amministrazione municipale e igiene pubbli-
1835, in AOM-1, b. 285. ca a Milano (1814-1859), Angeli, Milano.
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